Renzi ci riprova a coglionarci con le sue promesse pre elettorali. A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, sentenziava Andreotti. Nessuno, naturalmente, può dirlo con certezza. Ma è quanto meno sospetto il «timing» del vertice sulle pensioni fra governo e sindacati, proprio a ridosso delle prossime elezioni amministrative e a qualche mese dal referendum costituzionale. Sulle pensioni, però, non c’è davvero più spazio per giochetti pre-elettorali. La situazione è arrivata al limite. Ci sono intere generazioni che potranno lasciare il lavoro solo dopo i 75 anni e con trattamenti previdenziali da fame. Ma c’è anche il gran popolo dei lavoratori che, arrivati a un passo dalla pensione, è stato costretto a continuare a lavorare fino alla soglia dei 66 anni. Da questo punto di vista il vertice di ieri rappresenta una buona notizia ma è presto per cantare vittoria. Il confronto è alle prime battute e per ora gli interventi sulle pensioni sono pagine bianche scandite da qualche titolo e pochi spunti di riflessione. Senza neanche una quantificazione finanziaria. Le vere novità, non a caso, sono arrivate dal premier Matteo Renzi, che ha rassicurato il ceto medio «non ci saranno tagli alle pensioni di reversibilità» e ha annunciato un intervento a sostegno delle pensioni minime (magari con l’estensione del bonus) e un primo assaggio di flessibilità in uscita (sia pure graduale e, parzialmente, a carico degli stessi lavoratori). Gli spazi di manovra, però, sono risicati. Solo l’estensione del bonus di 80 euro alle pensioni minime costerebbe, ad esempio, fra i 2,5 e i 3 miliardi di euro. Ai quali occorrerebbe aggiungere fra 6 e 9 miliardi per coprire l’eventuale anticipo dell’età pensionabile a 63 anni. Con i conti pubblici che continuano a essere sotto i riflettori dell’Ue e con la ripresa che tarda a decollare, il governo dovrà inevitabilmente scegliere se puntare sulla riduzione delle tasse (come ha già annunciato) o se superare la legge Fornero.
@enio