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domenica 16 giugno 2013

L'INFINITO LA MEMORIA LA TECNOLOGIA


BORGES – FUNES O DELLA MEMORIA





“Funes o della memoria” (“Funes el memorioso”, tratto da Ficciones, 1944) è un amaro racconto di Jorge Luis Borges nel quale si narra la storia, ambientata in Uruguay a fine Ottocento, di un giovane, Ireneo Funes, la cui condanna è quella di avere una prodigiosa memoria che gli permette di cogliere ogni dettaglio di tutto ciò che lo circonda. Il “cronometrico Funes” è un giovane uruguayano dai tratti indiani, un tipo bislacco e taciturno, la cui vicenda viene resa da un narratore identificabile con l’autore. Se da un lato Funes riesce a ricordare ogni cosa con estrema facilità, dall’altro non è in grado di formulare idee generali, la sua memoria registra solo particolari e non concetti compiuti. Questa condizione lo conduce, infine, all’isolamento e all’incomunicabilità


il racconto è ambientato nel periodo storico di fine 1800, in Uruguay, in un mondo ancora rurale ma già pronto a lanciarsi nel nuovo secolo, che sarà il secolo dell’industria e delle invenzioni, dei meccanismi, delle grandi esposizioni commerciali e scientifiche, dunque un mondo sospeso tra due visioni della vita, una (al tramonto) ancora semplice e in qualche modo magica e una seconda (agli albori) pronta ad ubriacarsi di tecnologia al punto tale da farne la propria religione e la propria forma accettabile di magia. Anche il protagonista è un povero contadino ma che ha una straordinaria capacità di sapere sempre l'ora esatta.
Il narratore garantisce sulla verità di ciò che andrà narrando, definisce il periodo temporale (1884-1887), la zona geografica (Fray Bentos), il tipo di rapporto che lo ha legato al protagonista, il numero di volte in cui lo ha incontrato (tre) e ci specifica anche che la sua testimonianza sarà imparziale e, si intuisce, andrà a far parte di un qualche compendio insieme ad altre testimonianze sulla figura di Ireneo Funes el memorioso, che dunque – immaginiamo - deve aver raggiunto una fama che ha travalicato i confini della cittadina dove si svolgono i fatti.









Questo primo approccio serve a stringere col lettore il cosiddetto patto di credulità, come spesso avviene nella tecnica dei romanzi storici o realistici, (per esempio attraverso la finzione del ritrovamento del manoscritto come fa MANZONI nei Promessi sposi). E’ l’io narrante stesso che ha vissuto ciò che racconta, dunque va creduto
La parte centrale del racconto ci propone le circostanze del primo incontro, casuale e fugace (nel “giorno sette febbraio dell’anno ottantaquattro”), dove intravvediamo Ireneo poco più (o poco meno) che bambino che corre e, senza interrompere la sua corsa risponde alla domanda del cugino del narratore che gli chiede che ore sono. La risposta, " Mancano quattro minuti alle otto ", fornita quasi come un riflesso condizionato,  ci fornisce le prime indicazioni di una forma di diversità che in qualche modo affligge il ragazzo, anche se ancora non sappiamo se si tratti di virtù o di patologia. 
La terza parte ci informa dell’incidente occorso al protagonista, della sua infermità e del conseguente dono (o condanna) che l’incidente ha portato come sua conseguenza
Non è importante indagare la causa medica, né se questo potenziamento abnorme della memoria sia verosimile o meno nella realtà , ciò che importa sono le sue conseguenze. Il narratore, e dunque testimone oculare della vicenda, si trova a Fray Bentos, ha con sé una serie di testi in latino, e un dizionario, col quale si aiuta. 
Venutolo a sapere Ireneo chiede di poter fruire per qualche giorno di qualche testo latino e del dizionario. La richiesta è singolare, e così pare al narratore, che gli fa comunque avere il Gradus ad Parnassum di Quicherat e la Naturalis Historia di Plinio. 
Dopo pochi giorni il narratore riceve un telegramma poco rassicurante sulle condizioni di salute del padre e, prima di intraprendere il viaggio di ritorno, si reca alla casa di Ireneo per tornare in possesso dei suoi libri.
Qui ha inizio il motivo centrale e fondamentale del racconto, che contiene il suo messaggio filosofico.

Il narratore entra nella stanza di Ireneo, ma la stanza è buia, e può solo sentire una voce che parla correntemente in latino. Per tutta la durata della sua conversazione col protagonista non avrà modo di distinguerne i lineamenti, solo col sopraggiungere delle prime luci della mattina vedrà il volto del suo interlocutore. 
Il tema della della cecità, seppur temporanea, è importante per Borges (che l’ha vissuta di persona). La cecità rappresenta il modo con cui Borges percepisce il mondo: un mondo chiaroscuro, eternamente circonfuso di ombre. Alla difficoltà del narratore di mettere a fuoco la realtà si contrappone la lucidità folle di Ireneo che è letteralmente condannato a ricordare tutto. Nulla sfugge alla sua capacità mnemonica, neppure il più piccolo particolare, ed egli è sprovvisto di una capacità selettiva che gli permetta di isolare i particolari essenziali da quelli importanti. Ciò che fa del suo potenziale dono una condanna. E infatti Ireneo racconta e spiega i suoi progetti assurdi e dementi di cercare un sistema che gli permetta di ordinare e controllare in un sistema la mole infinita dei suoi ricordi (una ricerca di verità e di conoscenza assoluta della realtà che risulta impossibile e appunto soltanto folle).
La memoria di Ireneo non è altro che una delle incarnazioni possibili dell’infinito e dell’impossibilità dell’uomo non solo di gestirlo, ma addirittura di capirlo.
 Più che di fronte al dramma del non poter non ricordare ci troviamo faccia a faccia col dramma dell’inutilità del ricordo perché esso stesso soverchia il significato e lo annulla nella ripetizione infinita di immagini e sensazioni inutilizzabili. 




 “Pedro Leandro Ipuche ha scritto che Funes fu un precursore dei superuomini, “uno Zarathustra selvatico e vernacolare”; non lo metto in dubbio, ma non si deve dimenticare che fu anche un cittadino di Fray Bentos, con certe incurabili limitazioni.

Funes  è  uno strano superuomo,  strano perché la sua superiore intelligenza sembra opera di un prodigio di natura o di uno scherzo, una beffa del destino, e Funes è solo un povero contadino  . Come il pastore errante di LEOPARDI la sua intelligenza non è frutto della civiltà, della cultura, del progresso: egli rappresenta l’uomo nel suo essere primitivo e istintivo, di fronte all’INFINITO ed al suo MISTERO.
“Noi, in un’occhiata, percepiamo: tre bicchieri su una tavola. Funes: tutti i tralci, i grappoli e gli acini d’una pergola. Sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882, e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. Questi ricordi non erano semplici: ogni immagine visiva era legata a sensazioni muscolari, termiche ecc. Poteva ricostruire tutti i sogni dei suoi sonni, tutte le immagini dei suoi dormiveglia”.

La sua superiore capacità di memorizzare non lo rende come il superuomo di Nietzche al di sopra del bene e del male, nel senso che non lo rende capace di  controllare e dominare il mondo, ma al contrario, egli finisce con essere al di fuori del bene e del male, cioè incapace di inserirsi nella realtà, di comprenderla nei suoi nessi logici, nel suo svolgersi nel  tempo e nello spazio, troppo occupato a selezionarla e suddividerla in sempre più piccoli particolari : non può apprezzarla nel suo quadro d’insieme e quindi non è capace di viverla, di interagire con essa.

“Funes discerneva continuamente il calmo progredire della corruzione, della carie, della fatica. Notava i progressi della morte, dell’umidità. Era il solitario e lucido spettatore d’un mondo multiforme, istantaneo e quasi intollerabilmente preciso […]Gli era molto difficile distrarsi dal mondo; Funes, sdraiato sulla branda, nel buio, si figurava ogni scalfittura e ogni rilievo delle case precise che lo circondavano”.


Ireneo Funes, legato al narratore da una conoscenza occasionale e quasi del tutto superficiale, in giovane età rimane paralizzato dopo un incidente a cavallo.
 Da quel momento in avanti la sua memoria diviene prodigiosa (e dunque mostruosa) e la sua vita si biforca: da una parte quella psichica ossessionata e condannata dalle funzioni sproporzionate che ha raggiunto la sua memoria, e dall’altra l’immobilità fisica che lo vede costretto a vivere tutti i suoi giorni in una stanza e, al più, verso sera, a guardare una minima porzione di mondo dalla finestra. Privato del movimento, perde il senso dello spazio fisico, che non può più percorrere in  corsa illimitatamente. Gli rimane la vista che Ireneo Funes gode dalla FINESTRA, che però non è quella potenzialmente infinita a cui Leopardi  aspira guardando dal colle di Recanati attraverso la SIEPE.

«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare»


L’INFINITO di LEOPARDI è un INFINITO SPAZIO- TEMPORALE E SPIRITUALE  (corrispondente all’IMMORTALITA’) costituito da un TUTTO nel quale la mente razionale del poeta  annega e si perde  -“in questa immensità s’annega il pensier mio e naufragar m’è dolce in questo mare”-   perché  egli sa che la Natura crudele ha creato l’uomo sempre insoddisfatto, in cerca di una felicità infinita, un bene illimitato, e nello stesso tempo lo ha creato mortale in un mondo esclusivamente materiale e perciò finito e limitato. Ciò renderà l’uomo sempre sofferente  ed infelice. L’infinito fisico spaziale per Leopardi non esiste realmente, ma è una finzione della mente, dell’immaginazione, un’illusione creata proprio dalla difficoltà (la siepe che impedisce l’intera visuale) ad arrivare ad una risposta certa con i mezzi sensibili.

L’INFINITO di Funes è  una visione realmente infinita perché ogni oggetto, ogni colore, ogni sfumatura, ogni alito di vento vengono percepiti dal protagonista in maniera lancinante e perfetta, totale, e, peggio, ogni particolare registrato rimanda la mente di Ireneo ad altri ricordi memorizzati che a loro volta richiamano altri ricordi, e così via in maniera esponenziale.


Ciò lo porta ad appiattire il senso del tempo in un eterno presente – perché il passato  è sempre vivo nel suo ricordo come se non trascorresse – . Fuori dallo spazio e dal tempo  egli è un non-uomo, un automa senza capacità di soffermarsi sui sentimenti, sui legami con cose e persone, schiacciato dal peso  delle cose e dei  ricordi



Il filosofo Paolo Rossi parla così della differenza tra la memoria di un cervello umano e quella di una macchina:

"C'è un film molto bello che si chiama "Blad Runner", dove ci sono dei replicanti che sono assolutamente identici agli esseri umani e che vivono in mezzo a loro e che non sanno di essere dei replicanti. Il loro problema è questo. E poi c'è — nel momento in cui si affaccia nella mente di una di queste replicanti, che nel caso specifico era una donna — il dubbio di essere un replicante, cioè di non essere un vero essere umano, ma un automa, quindi qualcuno che ha una memoria che gli è stata inserita nel cervello come in una macchina e che non è la memoria vera; ecco allora c'è una crisi di questa persona che, guardando delle vecchie fotografie ingiallite su un pianoforte, si domanda se sono ricordi veri o sono falsi. Il dubbio che quei ricordi siano falsi la getta in una angoscia terribile, perché è una persona che non può avere nostalgia del passato. Ecco l'assenza della nostalgia, l'assenza della memoria è, come si dice comunemente - mi sembra una cosa tuttora valida - una perdita dell'identità. "



La memoria, dice Paolo Rossi, costituisce l'identità di un individuo, ma anche l'identità collettiva, ma il punto è capire come si ottiene questa identità, che tipo di memoria viene attivata, che genere di ricordi ne fanno parte e qui entra in gioco il tema della dimenticanza, cioè la memoria deve essere necessariamente selettiva ed il cervello deve necessariamente cancellare la maggior parte dei ricordi che risultano superflui ed il cui affollamento ucciderebbero la mente portandola alla pazzia:

"Come la mia identità è data dalla memoria personale, allo stesso modo, entro certi limiti, posso dire che l'identità di un gruppo è data dalla sua memoria, tant'è vero che ogni gruppo, ogni partito o qualunque collettività umana, anche un club di persone che si riunsicano per giocare a carte, alla fine, costruiscono dei simboli che sono quelli che richiamano loro le finalità o gli scopi per i quali queste persone in qualche modo si trovano. Però, ecco, viene da dire che il tema della dimenticanza non è un problema marginale, la memoria e la dimenticanza sono due cose... Anche qui vale un'analogia forte. Cosa vuol dire ricordare, ad esempio ricordare la propria vita. Vuol dire selezionare, ricordare pezzi, istanti, momenti. Se uno fa il caso opposto, per così dire, rovescia il problema, se uno ricordasse tutto sarebbe in una situazione spaventosa, sarebbe in una situazione patologica. C'è un racconto di Borges molto bello che si chiama "Fugnès el memorioso". "Fugnès el memorioso" è un uomo che non può dimenticare nulla e poiché non può dimenticare non ha ricordi, ma ha una folla sterminata di cose che gli uccidono la mente, gli uccidono il cervello. Dice Borges: non come vediamo il bicchiere su un tavolo, ma vede tutti gli acini dei grappoli d'uva, che formano la pergola che sta sopra il tavolo, ricorda tutto il tessuto che ha visto, quel bicchiere in quel modo specifico, ricorda, quindi, i singoli atti, istante per istante. Quindi, se non c'è dimenticanza, non c'è neppure memoria, c'è soltanto questa specie di cosa spaventosa che sarebbe il ricordare tutto.

 Paolo Rossi

http://www.emsf.rai.it/tv_tematica/trasmissioni.asp?d=392



"Noi siamo già l'oblio che saremo"



IL TEMA DELLA FOLLIA - ALIENAZIONE ED INCOMUNICABILITA’ DELL’UOMO LEGATO AI MITI DELLA MODERNITA’ – LA MACCHINA-  è trattato anche da
PIRANDELLO  - NEI QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE






Serafino Gubbio, napoletano, dopo aver esaurito una piccola eredità  facendo  una «vita da scapigliato» fra giovani artisti, va Roma e si imbatte in un vecchio amico sardo, Simone Pau, che lo conduce  nel suo albergo, un Ospizio di Mendicità. Qui arriva una troupe di attori della Casa cinematografica La Kosmograph per la ripresa «di un interno dal vero» . La troupe ha come direttore di scena Nicola Polacco, amico d'infanzia di Serafino. Polacco gli offre un lavoro di operatore alla Kosmograph, un ruolo adatto  a chi ha raggiunto la «perfetta impassibilità» e può agevolmente ridursi a «una mano che gira la manovella» della macchina da presa. Serafino accetta l'impiego anche perché vuole osservare da vicino  una delle attrici , Varia Nestoroff,un'inquietante avventuriera russa, che, con la sua prorompente personalità aveva distrutto la vita di persone a lui care. Varia Nestoroff era stata infatti fidanzata di un giovane pittore di Sorrento, Giorgio Mirelli, che Serafino aveva conosciuto quando era ancora studente. Giorgio viveva con la nonna e la sorella , fidanzata ad Aldo Nuti,  attore dilettante. Alla vigilia delle nozze tra Giorgio e Varia, Aldo Nuti, per dimostrare all'amico l'indegnità della donna che stava per sposare, divenne l'amante di Varia. Giorgio, ferito dal tradimento, si uccise. L'orrore del tragico evento allontanò i due amanti. Ma Aldo Nuti, diviso tra amore e odio per la donna - che intanto era divenuta prima attrice della Kosmograph - per riavvicinarla si fece scritturare come attore dalla Casa cinematografica. La Nestoroff è ora l'amante di un attore siciliano, Carlo Ferro, uomo all'apparenza grossolano  e violento . I rapporti di Varia con gli uomini sono oggetto di particolare studio da parte di Serafino Gubbio che osserva: «Nemici per lei diventano gli uomini, a cui ella s'accosta, perché la aiutino ad arrestare ciò che di lei le sfugge: lei stessa».
Alla Kosmograph si prepara un nuovo film di soggetto indiano, La donna e la tigre, con una scena finale molto rischiosa, in cui un cacciatore dovrà affrontare una tigre e abbatterla.
Il ruolo del cacciatore è affidato a Carlo Ferro, ma all'ultimo momento Aldo Nuti ottiene di sostituirlo.
L'attore, seguito da Serafino Gubbio con la sua manovella, entra in una grande gabbia, le cui sbarre sono state preparate per simulare la giungla; attorno al set Varia Nestoroff e altri attori assistono alla scena. Al «si gira», nella gabbia viene introdotta la tigre; Aldo Nuti imbraccia il fucile, ma rivolge la mira sulla Nestoroff che cade morta; la tigre si lancia su Nuti e lo sbrana prima di essere abbattuta. A Serafino, che con impassibile professionalità aveva ripreso la scena, la voce, per il terrore gli «s'era spenta in gola, per sempre». Il film, per la morbosa curiosità suscitata dalla «volgare atrocità del dramma», sarà un successo e Serafino, ridotto a un «silenzio di cosa», acquisterà l'agiatezza, ma continuerà « - solo, muto e impassibile - a far l'operatore».



Siamo, con la prima edizione del romanzo, nel 1915: le macchine che incombono nella nostra vita sono quelle belliche, in una atmosfera pervasa da fremiti futuristi. Il presagio di Pirandello è quello di una Terra devastata dalla follia distruttiva dell'uomo/macchina e ancor di più, il presentimento che, forse, proprio questo esito apocalittico possa essere l'unica via rigeneratrice dell'essere uomo: "mi domando se veramente tutto questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in giorno sempre più si complica e s'accelera, non abbia ridotto l'umanità in tale stato di follia, che presto proromperà frenetica a sconvolgere e a distruggere tutto. Sarebbe forse, in fin dei conti, tanto di guadagnato. Non peraltro, badiamo: per fare una volta tanto punto e a capo".

E così afferma
SVEVO   nel profetico finale  de  LA COSCIENZA DI ZENO-


L’UMANITA’ E GLI ORDIGNI
"Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c'era altra possibile vita fuori dell'emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte piú considerevole del suo organismo. La talpa s'interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s'ingrandí e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
        Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre piú furbo e piú debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha piú alcuna relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del piú forte sparí e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.




        Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno piú, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' piú ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie".






Nella letteratura gli scrittori hanno espresso soprattutto la paura della modernità e della macchina, anche quelli che volevano esaltarla l’hanno fatto attraverso immagini aggressive e violente, o profondamente negative, dimostrando più o meno inconsciamente l’incertezza e la debolezza dell’uomo rispetto alla capacità di controllo delle immense forze che la macchina può scatenare .
Le immense possibilità che la tecnologia offre all’uomo sono in effetti tali da illuderlo di poter dominare il mondo come appunto il “superumo” di Nietzche, che paga il pegno disumanizzandosi e diventando  un signore del male. Abbiamo visto che le caratteristiche della macchina per quanto perfette possano essere ed infinitamente superiori alle possibilità umane, non possono sostituire l’uomo senza modificare la sua essenza, ma non potranno mai superare l’uomo in qualità bensì soltanto in quantità.
Quando gli uomini impareranno a servirsi della tecnologia e della scienza come mezzi utili a migliorare l’esistenza dell’umanità, a ricostituire il giusto rapporto con la natura e l’equilibrio tra progresso e sviluppo a livello globale, allora forse le macchine e gli automi non faranno più paura a nessuno perché nessuno potrà correre il rischio di scambiarli con gli esseri umani dotati di cuore e sensibilità.

sabato 2 febbraio 2013

ORA ALTERNATIVA ALLA RELIGIONE CATTOLICA






FINALMENTE all'ITI Angioy 


è ATTIVATA 


L'ORA ALTERNATIVA ALLA RELIGIONE 

CATTOLICA 


All'atto dell'iscrizione verrà chiesto ai genitori di dichiarare per il proprio figlio/a  la scelta di avvalersi dell'Insegnamento della Religione Cattolica oppure di avvalersi di una delle attività alternative. 

 le attività alternative sono:

A) attività didattica alternativa, con docente nominato appositamente, secondo il progetto di Filosofia della Scienza approvato dal Collegio dei Docenti;

B)
 attività di studio assistito, con docente della scuola;


C)
 attività di studio libero, vigilato da personale non docente;


D)
 uscita dalla scuola, senza alcuna sorveglianza.



Si invitano i genitori a compiere consapevolmente la propria scelta e 
di rivolgersi al personale della scuola, qualora abbiano bisogno di chiarimenti.

domenica 30 settembre 2012

IL MEDIOEVO- LA POLITICA


I POTERI UNIVERSALI 

Dopo la distruzione dell’Impero Romano d’Occidente i popoli barbari si stanziarono nel territorio dando vita ai REGNI ROMANO BARBARICI. Tra questi divenne meglio organizzato e più forte il REGNO DEI FRANCHI grazie all’opera di consolidamento e conquista del re CARLO MAGNO, il quale, chiamato in aiuto dal PAPA contro i LONGOBARDI, li sconfisse occupando l’Italia centro settentrionale e si fece incoronare (800- IX sec.) IMPERATORE dal PAPA. Nacque così un nuovo impero :il SACRO ROMANO IMPERO CAROLINGIO.
Questo impero comprendeva un territorio tra FRANCIA, GERMANIA, ITALIA CENTRO SETTENTRIONALE. Non era quindi esteso come quello romano, ma Carlo Magno aveva l’ambizione e l’ideale di farlo diventare grande e potente come quello, dichiarandosi erede degli antichi imperatori romani e nello stesso tempo difensore del cristianesimo, la nuova religione che aveva sostituito quella pagana. In un certo senso l’IMPERATORE si sentiva in diritto di estendere la sua potenza ed autorità a tutta l’Europa, anche se non tutta gli apparteneva. Per questo il suo impero si chiamava SACRO E ROMANO.

Zona d’influenza carolingia
Zona impero romano
Territori governati dagli arabi
Territori contesi tra arabi e bizantini



Agli inizi del secolo X l’Impero di Carlo Magno, ereditato dai suoi figli,  era già in crisi e diviso.

Nel 936 un feudatario tedesco OTTONE DI SASSONIA riuscì a farsi nominare RE DI GERMANIA e scese in Italia nel 962 facendosi incoronare imperatore dal papa, come aveva fatto Carlo Magno.

 Rinacque così il SACRO ROMANO IMPERO GERMANICO, non più carolingio. Infatti la sede del potere era in Germania e solo una parte del  territorio francese fece parte dell’impero, il resto esistette come REGNO DI FRANCIA il cui primo re fu UGO CAPETO (dinastia capetingia) 




estensione territoriale del

SACRO ROMANO IMPERO CAROLINGIO



estensione territoriale del

                SACRO ROMANO IMPERO GERMANICO









EVENTI IN SUCCESSIONE         
         CAUSE                                                            CONSEGUENZE  
Carlo Magno  re di Francia fonda il Sacro Romano Impero Carolingio  - 800





Ottone I re di Germania fonda il Sacro romano  Impero Germanico - 962
Lotte dinastiche tra  i duchi di Baviera e di Svevia  per il potere fino alla incoronazione di   Federico I di Svevia  imperatore-1152






Nel centro-nord  Italia nascono i COMUNI
Federico I di Svevia detto  Barbarossa scende in Italia contro i Comuni della LEGA LOMBARDA appoggiati dal Papa Alessandro VI-   1154


Sia il Papa che l’Imperatore ritenevano di possedere il POTERE UNIVERSALE, cioè un potere sacro dato da Dio per governare su tutto il mondo.
·         l’imperatore sosteneva, secondo l’interpretazione allegorico- religiosa dei testi antichi,tra cui l’autorità massima era la Bibbia, che Dio aveva assegnato all’impero romano la missione di conquistare e unificare tutto il mondo per permettere a Gesù  di diffondere il cristianesimo tra tutta l’umanità. Il potere imperiale rappresentava quindi una missione divina assegnata direttamente da Dio all’Imperatore, che sulla terra deteneva il massimo potere al di sopra di ogni cosa, anche dello stesso Papa, il quale deteneva il potere esclusivamente religioso.  L’incoronazione da parte del papa era solo un atto di  omaggio del papa nei confronti dell’imperatore.
·         Il Papa sosteneva invece che, essendo  il rappresentante di Dio sulla terra, discendente di San Pietro, nominato dalla stesso Gesù come fondatore della Chiesa, non poteva che avere il potere supremo a cui l’imperatore doveva obbedire, infatti l’imperatore viene incoronato- cioè scelto- dal papa come suo servitore e aiutante nelle faccende terrene.

TEORIA DEL SOLE E DELLA LUNA
Da queste posizioni contrastanti deriva la TEORIA DEL SOLE E DELLA LUNA, portata avanti dai papi e sostenuta soprattutto dal papa Innacenzo III, come forma di TEOCRAZIA:
Esiste un SOLE creato da Dio per illuminare e guidare l’universo – cioè il PAPA- e una LUNA che riceve luce dal sole ed è dipendente da esso – cioè l’IMPERATORE.

      TEORIA DEI DUE SOLI
Invece gli imperatori credono nella TEORIA DEI DUE SOLI, (sostenuta dallo stesso Dante Alighieri contro lo strapotere e la corruzione dei papi del suo tempo) secondo la quale il potere del papa ed il potere dell’imperatore sono stati creati autonomamente da Dio, il quale ha voluto assegnare (e lo dimostra la storia) all’IMPERO ROMANO il ruolo di combattere e fare giustizia sulla terra, con la divina missione di condurre l’umanità verso l’unità, la pace e la felicità terrena e corporale, con buone leggi ed ordine, ed al PAPA il compito di condurre sulla via del bene e proteggere dal peccato le anime dei fedeli.
I due compiti sono separati ed autonomi, perché l’uno riguarda la terra ed i corpi, l’altro il cielo e l’anima, ma devono anche essere alleati e concordi tra loro, perché solo grazie ad una vita terrena pacifica e serena l’anima può essere predisposta al bene ed al perdono divino.

LA LOTTA PER LE INVESTITURE,  nasce dal conflitto tra i DUE POTERI UNIVERSALI.
 Nei secoli XI e XII (tra 1000 e 1100)  Papato e Impero si disputarono il diritto di scelta e nomina dei vescovi.
I vescovi venivano nominati dal Papa, ma, a partire da Ottone I di Sassonia e i suoi successori, l’imperatore incominciò ad attribuire ai vescovi anche il titolo di conti, cioè feudatari vassalli, affidando loro i feudi.
 In questo modo il feudo non poteva essere dato in eredità ai figli (essendo ecclesiastici i vescovi non avevano figli legittimi)  e quindi l’imperatore poteva di nuovo disporne alla morte del vescovo-conte. Ciò significava maggiore fedeltà da parte dei vassalli e maggior controllo sul territorio da parte del potere dell’Imperatore. Col tempo gli imperatori arrivarono persino a nominare direttamente  vescovi i loro amici  – anche senza alcuna vocazione religiosa- al solo scopo di avere VESCOVI-CONTI  fedeli alle loro dipendenze.
Questa situazione portò ad un forte indebolimento del potere del papa, tanto che persino i papi venivano spesso scelti dallo stesso imperatore, in modo che fossero a lui ubbidienti.
La Chiesa finì con l’essere composta da moltissimi ecclesiastici interessati alla ricchezza, al potere ed alla guerra e privi di scrupoli e di sentimenti religiosi, macchiando la Chiesa di gravi peccati: la SIMONIA (l’uso dei poteri religiosi per arricchirsi) e il CONCUBINATO (avere mogli e figli nonostante il voto di castità) ed il NEPOTISMO (l’abitudine di dare favori e poteri ai propri figli illegittimi spacciati per “nipoti”).
Nel 1054 il Papa Gregorio VII si ribellò alla investitura dei vescovi conti ed ebbe inizio una vera e propria guerra tra papi ed imperatori che durò fino al 1122 quando, con il Concordato di Worms, si stabilì in pratica che le cariche religiose spettavano solo al papa.

In Germania nel 1125, alla morte del re e imperatore Enrico V di Franconia, due fazioni erano in lotta per l’elezione del successore. I Guelfi volevano eleggere il Duca di Baviera e Sassonia, della casata degli WELFEN (da qui il nome GUELFI) mentre i Ghibellini lottavano per i duchi di Svevia, gli Hohenstaffen signori del castello di Waiblingen o Wibeling (da qui il nome GHIBELLINO)
Ottenne il titolo di re di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero il duca di Svevia Federico I, detto Barbarossa. Questi scese in Italia per combattere contro i Comuni ribelli.
Subito ci furono gruppi di italiani  ed anche interi comuni che si schierarono dalla sua parte nella speranza di ottenere favori e vantaggi – questa fazione fu chiamata dei GHIBELLINI .
Contro di lui si schierarono i Comuni lombardi che volevano l’autonomia dei loro governi ed erano minacciati di completa distruzione da Federico di Svevia, contro l’imperatore  si schierò anche il Papa con tutti i suoi sostenitori – questa fazione fu dunque denominata dei GUELFI.
Quando nei Comuni italiani scoppiavano guerre e rivolte per il potere, le fazioni in lotta assumevano il nome di GUELFI E GHIBELLINI a seconda che fossero aiutati e sostenuti dal Papa o dall’Imperatore. Questi ultimi combattendo a fianco di alcuni Comuni e  contro altri  cercavano in realtà di prevalere l’uno sull’altro per i motivi legati ai conflitti sul potere universale. (vedi poteri universali)





L’IMPERO              FEDERICO PRIMO   E  FEDERICO   SECONDO   DI SVEVIA  
FEDERICO PRIMO
FA LA PACE CON I COMUNI
BATTAGLIA DI LEGNANO
Federico I  sconfitto dalla Lega Lombarda  1176
1183
      PACE DI COSTANZA
Federico I concesse l’autonomia ai Comuni

I COMUNI OTTENGONO L’AUTONOMIA






IL NIPOTE FEDERICO SECONDO DIVENTA RE DI SICILIA

Federico II di Svevia eredita il REGNO NORMANNO DI  SICILIA e deve combattere in Germania per ottenere il titolo imperiale
1214
Battaglia di Bouvines
Federico II alleato con Filippo II Augusto re di Francia e sostenuto dal papa Innocenzo III  sconfigge i rivali tedeschi  ed il loro alleato Giovanni senza Terra re di Inghilterra     
1215
Rafforzamento del Regno di Francia e del potere di FILIPPO II AUGUSTO che prende i feudi inglesi in Francia.
IL PAPA INNOCENZO III AIUTA FEDERICO II NELLA GUERRA CONTRO I  RE RIVALI SPERANDO CHE UNA VOLTA DIVENUTO IMPERATORE LASCI IL REGNO DI SICILIA

COMBATTE IN GERMANIA PER IL POTERE IMPERIALE

Federico II di Svevia  viene incoronato imperatore  nel  1220

Debolezza di GIOVANNI SENZA TERRA
DELLA GUERRA APPROFITTA IL RE DI FRANCIA CHE CHE SI ALLEA CON FEDERICO CONTRO L’INGHILTERRA

ALLEATO CON LA FRANCIA SCONFIGGE L’INGHILTERRA

Entra in CONFLITTO COL PAPA per la minaccia rappresentata dal suo potere in Sicilia.
Riprende la lotta CONTRO I COMUNI italiani



Giovanni senza Terra firmò la MAGNA CHARTA LIBERTATUMche riconosceva  importanti diritti al Parlamento dei Lords  
LA SCONFITTA INDEBOLISCE IL RE INGLESE COSTRETTO A CONCEDERE POTERE AL PARLAMENTO DEI LORDS

RIPRENDE LA LOTTA CONTRO I COMUNI E IL PAPA MA MUORE NEL 1250



Muore improvvisamente nel 1250







DECADENZA DEI POTERI UNIVERSALI
Dopo la morte di Federico II di Svevia nel 1250, il Regno di Sicilia cadde nelle mani di Carlo d’Angiò , chiamato dal Papa contro l’erede di Federico, il figlio Manfredi, che fu sconfitto e morì nella battaglia di BENEVENTO .
1273
Ha inizio la dominazione degli Angioini  nell’Italia meridionale e la sua decadenza

CRISI DEL POTERE PAPALE
1303
Il Papa Bonifacio VIII vuole affermare la sua autorità sul re di Francia Filippo IV il Bello ma viene sconfitto e umiliato (schiaffo di Anagni)
CRISI DEL POTERE IMPERIALE
In Germania il trono imperiale rimase vacante in balia dei grandi principi tedeschi, fino all’elezione di Rodolfo d’Asburgo

RAFFORZAMENTO  DELLE MONARCHIE  FEUDALI


La  Francia esercita il suo potere sulla Chiesa imponendo, alla morte di Bonifacio VIII, l’elezione del papa Clemente V che trasferisce la sede pontificia  ad Avignone in Francia.
Ha inizio la “Cattività avignonese” –  1309- 1377







RINASCITA CITTA’



ECONOMIA DINAMICA E SOCIETA’ APERTA



BORGHESI
E
NOBILI




IL COMUNE
CONSOLARE


LOTTE TRA
MAGNATI




IL COMUNE
PODESTARILE




IL COMUNE DEL POPOLO






LA SIGNORIA
Con la svolta demografica  ed economica dell’anno mille rinascono le città che svolgono principalmente il  ruolo di centri commerciali.
Le città si popolano di mercanti ed artigiani, si costruiscono nuove case e strade, cresce la presenza di medici, avvocati , ingegneri, farmacisti ecc, e si sviluppa il mestiere del banchiere. Da un’economia agricola statica , quella della curtis, si passa ad un’economia dinamica e monetaria e la città è al centro dei traffici.
 Di conseguenza anche la società si trasforma da chiusa ad aperta, perché alle tre classi tradizionali – clero, nobili e servi – si aggiunge quella dei mercanti , artigiani e professionisti, che vivono in città (borgo), e che sono detti perciò BORGHESI, e ormai tutti, anche i poveri possono aspirare a cambiare il proprio stato sociale con i nuovi lavori offerti dal mondo cittadino.
Nelle città – soprattutto in quelle dell’Italia centro- settentrionale – si trasferiscono i piccoli feudatari  che prima vivevano nei castelli sparsi nei feudi e che costruiscono in città i loro palazzi. Viste le tante nuove esigenze di una città ricca di traffici e di interessi, i cittadini stanchi di aspettare l’intervento del feudatario sempre troppo lontano ed incapace di capire e risolvere le continue necessità, i cittadini  (nobili e ricchi borghesi) si riuniscono nella piazza e prendono decisioni autonomamente.
Si forma così il COMUNE, un’associazione volontaria di cittadini , basata su un giuramento (coniuratio) che stabilisce norme e prende provvedimenti che i partecipanti approvano all’unanimità e si impegnano a rispettare. Tutti i membri sono uguali ed hanno il diritto di eleggere tra loro  le alte cariche dello Stato: i CONSOLI.
Ma nella realtà il potere dei consoli, anche se elettivo, viene sempre affidato ai membri delle famiglie più potenti (nobili o borghesi molto ricche) che costituiscono la classe dei  MAGNATI, i quali sono in conflitto tra loro per il potere e guidano grosse fazioni di sostenitori in armi pronti ad azzuffarsi e guerreggiare per le strade della città, dividendosi in GUELFI (se cercano l’appoggio del Papa) e GHIBELLINI (se sperano nell’intervento dell’imperatore).
 Una dopo l’altra tutte le città passano allora ad un nuovo sistema: scelgono uno straniero, che non abbia alcun legame di parentela con i magnati della città e sia quindi disinteressato, e lo assumono come PODESTA’. Il podestà esercita tutti i poteri, ma alla fine di un anno di mandato il suo operato viene giudicato severamente e può essere anche imprigionato o addirittura ucciso dalla popolazione insoddisfatta.
Le lotte ed i disordini però continuano, anche perché nella lotta tra i magnati  si aggiungono le nuove famiglie borghesi (il POPOLO GRASSO) iscritte alle ARTI MAGGIORI, ed anche i piccoli borghesi (POPOLO MINUTO) appartenenti alle ARTI MINORI.
Così avviene che in alcune città si formano i cosiddetti COMUNI  DEL POPOLO o DELLE ARTI: per esempio a Firenze al tempo di Dante saranno i Priori (cioè i capi) delle Arti a governare per un certo tempo e lo stesso Dante fu eletto Priore.
 Persino gli operai salariati, i lavoratori più umili, non appartenenti alle Arti (come nella rivolta dei Ciompi- operai cardatori della lana) riuscirono a ribellarsi e prendere il potere a Firenze per un certo tempo.
 Ma ben presto in tutte le città italiane la situazione di continue rivolte e disordini portò alla presa del potere da parte di un Signore, cittadino o straniero, che, generalmente col consenso popolare,  si insediava al posto dei magistrati eletti, aboliva le forme repubblicane- democratiche e dava vita ad un potere assoluto: la SIGNORIA.