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lunedì 16 dicembre 2024

topi



 






( li ho trovati qui  )


 

 

 

domenica 12 giugno 2022

Gratitudine

                          da "L'uomo che scriveva lettere" di Isaac Bashevis Singer


All'improvviso Herman sentì uno squittio. Il topo era uscito furtivamente nell'oscurità e si guardava attorno con cautela, come per il timore di un gatto in agguato nelle vicinanze. Herman trattenne il respiro. "Non aver paura, creatura santa, nessuno ti farà del male." La osservò avvicinarsi al piattino dell'acqua e berne un sorso, poi un secondo e un terzo e infine mettersi a rosicchiare pian piano il formaggio.

"Come potrebbe esistere una meraviglia più grande?" pensò Herman. "Ecco un topo, figlio di topi, nipote di topi, frutto di milioni, di miliardi di topi che sono vissuti, hanno sofferto, si sono riprodotti, e che adesso sono scomparsi per sempre, ma hanno lasciato un erede, l'ultimo, sembra, della sua stirpe. Eccolo lì che mangia. Che cosa penserà tutto il giorno nel suo buco? A qualcosa deve pur pensare. Ha una mente, un sistema nervoso; fa parte della creazione di Dio alla stessa stregua dei pianeti, delle stelle, delle lontane galassie."

Il topo alzò improvvisamente la testa e lo fissò con uno sguardo umano, pieno d'amore e di gratitudine. Herman immaginò che lo stesse ringraziando.





Il topolino che saluta è un disegnino di Giuliano

venerdì 3 luglio 2020

Situazione di stallo


... e in basso, l'ultimo metro di palazzo sopra l'acqua che hai sfondato, e dentro vedi i pali nudi... ma cos'è? Moto ondoso, quella cosa che ribalta le gondole in bacino, questo è moto ondoso (...) Sopra ogni palo a nudo sotto la fondamenta, una pantegana cariatide. Viva, ma ferma. Se si muove la pantegana viene giù il palazzo tanto così. C'è un gatto a sorvegliarla sulla riva, uno per ogni pantegana. E' stallo, da anni. L'unica bestia che ancora si muove, nei canali, è il mototopo.

da "Il Milione, quaderno veneziano" di Marco Paolini, anno 1998 (qui)



(Zhu Ling, 1820-1850)

mercoledì 1 aprile 2020

Netsuke




















Su internet capita spesso di trovare belle immagini, e alcune tra le più simpatiche degli ultimi mesi le metto qui intorno: sono piccole sculture giapponesi e si chiamano "netsuke". Dopo averne viste un discreto numero mi sono finalmente posto la domanda: che cosa è di preciso un netsuke? La risposta per intero la trovate qui, in estrema sintesi posso anticipare che si tratta di una vera sorpresa, perché i netsuke sono elementi di abbigliamento. Il kimono giapponese, infatti, non ha tasche; per portare il necessario si usano borse o scatole legate alla cintura, e il netsuke serviva per chiudere la borsa o per trovarla più facilmente. Un parente stretto del portachiavi, insomma.
Porto qui dei netsuke che raffigurano animali, ma possono avere qualsiasi soggetto e non c'è limite alla fantasia. Se volete cercarne altri in rete, buon divertimento.


mercoledì 29 gennaio 2020

Rabia

A.Carracci, Il venditore di pasta per topi
 Ma i veri padroni di Venezia e delle strade nelle ore del mattino erano gli ambulanti, e Mattia non tardò ad accorgersene. Il primo ambulante in cui era capitato di imbattersi e che gridava a pieni polmoni:” Rabia! Rabia!”, era stato per l’appunto un venditore di rabia  cioè di veleno per topi. Mattio s’era stretto contro il muro per scansarlo e l’ambulante gli era passato davanti tutto impettito -anche un venditore di veleno per topi, nel suo piccolo, può essere un grande uomo! -tenendo in spalla un lungo bastone, una canna d’India da cui penzolavano, attaccati ad altrettanti uncini, dodici topi morti: sei per parte, grossissimi e molto vecchi, a giudicare dalle code quasi prive di pelo. Sull’altra spalla il venditore aveva una bisaccia con dentro la rabia, e poi anche portava appesi alla cintura due fiaschetti di inchiostro, tre o quattro mazzi di piume d’oca già tagliate e una filza di spugnette da calamaio, che costituivano il resto della sua mercanzia destinata a topi e scrittori. Gridava camminando: “ Penne, inchiostro, spugne da calamaio! Rabia, rabia!”

Sebastiano Vassalli, Marco e Mattio
Ed. Mondadori

lunedì 14 ottobre 2019

Sette topolini



(Beatrix Potter, 1902)
Nel suo girovagare lungo i corridoi e le stanze vuote, Mary non aveva incontrato nessuno; ma, dopo aver chiuso l'anta dell'armadietto, le parve di udire un lieve fruscio. Fece un balzo e guardò verso il divano accanto al caminetto, dal quale sembrava fosse venuto il rumore. In un angolo del divano c'era un cuscino e nel velluto che lo ricopriva c'era un buco da cui faceva capolino un musino con un paio d'occhietti spaventati. Mary si avvicinò piano piano per vedere che cosa fosse. Gli occhietti scintillanti appartenevano a un topolino grigio, che aveva fatto dentro il cuscino un comodo nido. Sei topini vi dormivano, rannicchiati accanto alla madre. Se non c'era nessun altro essere vivente nelle cento stanze, c'erano almeno sette topini che non sembravano affatto soli.
- Se non avessero tanta paura di me, li porterei via - disse Mary.

(Frances Hodgson Burnett, Il giardino segreto, pag.50 ed. Einaudi 2010, traduzione di Luca Lamberti.)


martedì 5 febbraio 2019

Storia del topo

(disegno di Laura Richards, da un libro del 1881)
Vorrei raccontare a Delio una novella del mio paese che mi pare interessante. Te la riassumo e tu gliela svolgerai, a lui e a Giuliano. - Un bambino dorme. C'è un bricco di latte pronto per il suo risveglio. Un topo si beve il latte. Il bambino, non avendo il latte, strilla e la mamma strilla. Il topo disperato si batte la testa contro il muro, ma si accorge che non serve a nulla e corre dalla capra per avere del latte. La capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare. Il topo va dalla campagna per l’erba e la campagna arida vuole acqua. Il topo va dalla fontana. La fontana è stata rovinata guerra e l'acqua si disperde: vuole il mastro muratore che la riatti. Il topo va dal mastro muratore: vuole le pietre. Il topo va dalla montagna e avviene un sublime dialogo tra il topo e la montagna che è stata disboscata dagli speculatori e mostra dappertutto le sue ossa senza terra. Il topo racconta tutta la storia e promette che il bambino cresciuto ripianterà pini, quercie, castagni, ecc. Così la montagna dà le pietre ecc. e il bimbo ha tanto latte che si lava anche col latte. Cresce, pianta gli alberi, tutto muta; spariscono le ossa della montagna sotto nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventa regolare perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura ecc. Insomma il topo concepisce una vera e propria piatilietca (piano quinquennale). E' una novella propria di un paese rovinato dal disboscamento. Carissima Giulia, devi proprio raccontare questa novella e poi comunicarmi le impressioni dei bimbi. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

(Antonio Gramsci, lettera del 1 giugno 1931, da Lettere dal carcere, ed.Einaudi 1965)





domenica 17 giugno 2018

Microtus arvalis (un topo, in fin dei conti)


Topo, topo,
senza scopo,
dopo te cosa vien dopo ?

(Forestry Association Hungary)
(Toti Scialoja, Versi del senso perso)

Dal balcone si vede bene: c'è un buco nel prato, e il gatto vi infila dentro tutta la zampina, fino quasi all'articolazione. Non sono talpe, perché le talpe lascerebbero in giro il mucchietto di terra, e non sono nemmeno i nostri topini soliti, "mus musculus", che di buchi nei prati non ne fanno. Basta una piccola ricerca ed ecco saltare fuori il colpevole: si chiama arvicola, topo campestre, "Microtus arvalis". Per noi è una novità, almeno qui nel prato di casa: molto graziosi come tutti i topini, sono però destinati quasi sicuramente a una brutta fine, perché la nostra casa è ben presidiata da un piccolo esercito. Per esempio, mercoledì ne ha preso uno Aramis; ieri sera ho visto Minou e Spike alle prese con un altro topino (c'è tutto il tempo di vederli, perché mica se li mangiano subito - si sa, ci giocano, prima). Infine, oggi è il turno di Ciccetta che di tutti è forse la cacciatrice più spietata. Eppure, Ciccetta è dolcissima e timida, sembra un pupazzo di peluche di quelli belli, o forse un cartone animato degli Aristogatti; ma la sua natura è quella, predatrice notturna, per di più con l'ottima scuola di mamma Gatta, la Gatta per definizione, matriarca di questa colonia, ancora in gran spolvero nonostante la vita all'aperto e l'infinità di gattini e gattine da lei generati.






                                            Come la tigre il gatto s'avanza
                                            con un leggero passo di danza
                                            muove le membra con gran leggiadria
                                            sull'indifeso passero balza.
                                            Questa è la vera natura del gatto;
                                            ritorna un micio se vuole, se crede,
                                            ma è in lui la fiera nascosta e ben viva,
                                            s'affila i denti e gli artigli per l'arte.
                                            Come la vita il dolore il mio gatto
                                            ronfa gioiosa poi dorme s'acquieta
                                            per un nonnulla turbata s'inquieta
                                            il pelo drizza si gonfia poi graffia
                                            è come l'oca che sbuffa e poi soffia -
                                            però mi piace vederla qui quieta,
                                            il pelo liscio, la belva mansueta.

                     (Giuliano Bovo / Emilio Gauna, da Golem L'indispensabile - anno 2001)

mercoledì 20 dicembre 2017

Un topo che si chiama Gerald


Il topo che si chiama Gerald arriva verso la fine della canzone: "sta diventando un po' vecchio ma è un buon topo", dice di lui Syd Barrett. Prima, prima di Gerald, ci sono tante cose, ed è come ascoltare la voce di Lewis Carroll o di Edward Lear; il nonsense e le nursery rhymes sono ben radicate nella poesia inglese e anche Syd Barrett era cresciuto in quel clima culturale. I ricordi di un bambino, ripensati da grande; oggetti e animali, i giocattoli e gli oggetti degli adulti, e una bambina con cui condividerli.

(Syd Barrett e Lindsay Korner, 1967)
I versi sono intraducibili, come sempre nelle filastrocche e nei nonsense; si comincia da una bicicletta (ho una bici, puoi farci un giro se ti piace: ha un cestino, un campanello che suona, te la darei volentieri ma l'ho presa in pegno) si continua con un mantello (cloak) che in inglese fa rima con scherzo (joke), e qui arriva Gerald: un topo (mouse) che non ha una casa (house) e che sta diventando un po' vecchio ma è pur sempre un buon topo. E gli omini di pan di zenzero (gingerbread men), che sono tanti, che sono dappertutto, uno qui, uno là, prendine un paio se li vuoi, sono lì sul piatto. Tutto questo ha un piccolo ritornello, "you're the kind of girl that fits in with my world", tu sei la ragazza che si adatta bene al mio mondo. L'elenco degli oggetti (topo compreso: che sia un pupazzo anche lui?) termina con una stanza piena di oggetti musicali, ognuno con il suo suono, molti sono a orologeria: se vuoi, andiamo di là e li facciamo funzionare. (Lo ammetto, a Syd Barrett sono sempre molto affezionato e i Pink Floyd senza di lui non è che mi interessino più di quel tanto).



lunedì 1 maggio 2017

diavolo d'un cane

Sul cavallo di Brunilde può salire anche Faust. Tanti sono gli animali o gli elementi naturali menzionati nella tragedia, sin dalle prime battute. Nella II scena della I parte dell'opera, Mefistofele assume le sembianze di un cane che, il giorno di Pasqua, segue Faust. 


La notte  precedente Faust aveva attraversato un momento di profondo sconforto che lo aveva portato a desiderare la morte.  Pur avendo fama di dotto, pur essendo considerato un maestro,  aveva avvertito che, tutto sommato, il suo sapere era  inutile, insufficiente. 

(…) Come? Ancora qui io carcerato? / Cerchiato da questo cumulo di libri /che ti rodono i tarli, la polvere copre,/ che carte annerite circondano (…)

Già, quel che si chiama sapere. Ma chi /Si rischia a dire pane al pane?/ I pochi che ne hanno saputo qualcosa, /Che hanno dato corso, pazzi, alla piena dell’anima /E fatte palesi alle plebi le proprie passioni e i pensieri,/ Li hanno sempre messi in croce o sul rogo. (…)


Mentre sta per portare alla bocca un calice in cui aveva versato del veleno,  un suono di campane a festa gli ricorda l’infanzia, l’età dell’innocenza e lo trattiene dal compiere il gesto estremo. 

Nella serena atmosfera della domenica di Pasqua, Faust,  rinfrancato, esce e passeggia per le strade in compagnia del suo discepolo Wagner, ricevendo il saluto di chi lo incontra. Il dottore è considerato un sapiente, un uomo generoso ma Faust sente di non meritare niente.

Il dottore torna quindi nel suo studio seguito da un cane: è Mefistofele che subito si trasforma, sbarazzandosi  della forma provvisoria assunta.

martedì 7 marzo 2017

Del libero arbitrio di un topo




“– Ahimè,– disse il topo, – il mondo si rimpicciolisce ogni giorno di più. All’inizio era così grande da farmi paura, mi sono messo a correre e correre, e che gioia ho provato quando finalmente ho visto in lontananza le pareti a destra e a sinistra!
 Ma queste lunghe pareti si restringono così alla svelta che ho raggiunto l’ultima stanza, e lì nell’angolo c’è la trappola cui sono destinato.
– Non devi far altro che cambiare direzione, – disse il gatto, e se lo mangiò”.

F. Kafka, Piccola favola, in: Il messaggio dell’imperatore e altri racconti, a c. di Anita Rho, ed.
Frassinelli

martedì 27 dicembre 2016

Krazy Kat

La situazione è semplice e antica: un triangolo. La gatta Krazy Kat ama Ignazio (un topo), che però le risponde tirandole mattoni in testa. Krazy Kat equivoca, e considera le mattonate come dichiarazioni d'amore. Terzo protagonista, l'agente Pupp (un cane): anch'egli innamorato di Krazy Kat, tenta sempre di mettere in galera Ignazio, spesso riuscendovi. Sullo sfondo, la contea di Coconino nei disegni magici di George Herriman.  (nativo di New Orleans, 1880-1944: Krazy Kat è degli anni '30).
La storia del mattone mi è sempre sembrata una cosa strana, però poi ho trovato delle comiche di Charlot, le primissime girate un America, dove si vede esattamente questa cosa, per esempio in "Laughing gas" (Charlot dentista, 1914). Nella sua autobiografia, Chaplin si lamenta della rozzezza di queste comiche, tutte basate su sganassoni e inseguimenti; ne era responsabile Mack Sennett, che comunque ebbe il merito di far debuttare Charlot sullo schermo (va ricordato che nel 1914 il cinema esisteva da meno di vent'anni). E' molto probabile che Herriman abbia preso ispirazione proprio da queste comiche di Mack Sennett, o da una fonte comune.

giovedì 13 ottobre 2016

Il topo che andò in campagna


Una bella domenica un topo di città volle andare a trovare un topo di campagna. Si mise sul treno che il topo di campagna gli aveva detto di prendere, ma scoprì ben presto che il treno, di domenica, non si fermava a Beddington. Così il topo di città non potè scendere a Beddington e prendere l'autobus per Sibert's Junction, dove lo aspettava il topo di campagna. Il topo di città, purtroppo, dovette arrivare fino a Middleburg, dove aspettò tre ore un treno che lo riportasse indietro. Quando fu tornato a Beddington scoprì che l'ultimo autobus per Sibert's Junction era appena partito, così cominciò a correre, a correre e a correre, finché non riuscì a raggiungere l'autobus e a salirci sopra, scoprendo subito che non era l'autobus per Sibert's Junction ma quello che andava nella direzione opposta, attraverso Pell's Hollow e Grumm, fino a un posto che si chiamava Winsherby. Quando finalmente l'autobus si fermò, il topo di città ne discese, sotto una pioggia fitta, e scoprì che non c'erano più autobus, quella notte, per nessuna direzione. «Porco diavolo!» disse il topo di città, e si incamminò verso la città.

(James Thurber aggiunge una morale, che io metto a parte perchè il racconto mi piace già molto anche senza la morale, che è questa: "state dove siete che ci state comodi")

Testo e disegno sono di James Thurber, presi da Linus ottobre 1965; l'originale è facile da trovare, basta cercare su un motore di ricerca Sibert Junction's... (due anticipazioni: "stay where you are, you're sitting pretty" e "to the hell with it!")

venerdì 16 settembre 2016

Gatti e topi lucchesi

Qui siamo in campagna e spesso si vedono correre topi di diversa misura. Oggi mentre ero sdraiato sul letto mi sono sentito vellicare la nuca. Era successo che stanotte mi ero svegliato perché un topino frugava e gli ho dato la caccia, anche con la granata, ma senza successo. Sdraiato sul letto, sentendo il vellichio non me ne sono curato rifiutando di indulgere alle suggestioni. Ma dopo un poco proprio sotto la testa ho udito un grazioso pigolio e mi son detto: «E' lui», infatti ho sollevato il guanciale e subito dopo l'ho ricalato e compresso perché c'era, un topino piccolo e gentile. Ho stretto i due guanciali che nascondevano il topino e sono riuscito ad arrivare alla porta, e fuori li ho aperti; il topino è caduto in terra ed è corso via; per un po' l'ho lasciato correre poi, ricordandomi l'irritazione notturna, l'ho ucciso, con un po' di ribrezzo.
Suor Giacinta mi ha promesso che stasera alle otto mi porterà la gattina della Giuffré, una malata che ha una gatta affezionatissima, dal pelo nero lustro con una chiazza bianca per metà muso. Ho pensato di mettere la gatta nella cucina che c'è dopo il mio andito e rinchiuderla. Vedremo se ci starà o se non diverrà una diavolessa per sentirsi serrata.

(ore otto) Mi hanno portato la gattina, c'era suor Giacinta, una infermiera e la Giuffré con la gattina spaventata in braccio. C'era un'aria come la portassero, eccitate, a fecondare. Suor Giacinta, poiché pioveva, per attraversare il giardino esposto al cielo ha rannicchiato le ali della cornetta e ha detto a chi le offriva l'ombrello: «No! no! domani è domenica e me la cambio!» ed è fuggita via sotto l'acqua; era ritornata fanciulla. La gattina ora è di là, sola, in cucina, spaurita; le ho lasciato la luce accesa. Si è nascosta nella penombra tra l'acquaio e i fornelli. La Lella, quando è venuta a portarmi il caffè e gliel'ho fatta vedere ha esclamato gelosa che era più bello il suo gatto, quella "bestiaccia" invece faceva paura.
Se stanotte sento il brusichio di un topo, libero la gatta e vediamo se, da desiderosa di fuggire, improvvisamente attenta si mette a cacciare come successe quella volta col gatto della Lella che, piccolo Napoleone, in un attimo fece prigioniero il topino.

(Mario Tobino, Le libere donne di Magliano, pagg.128-130 edizione Oscar Mondadori 1967)

(la gatta è di Inogaki Tomoo)

mercoledì 14 settembre 2016

Il corso topigno della vita




Laggiù a casa, secondo l'uso d'un cento anni fa, molti soffitti erano di tela. Cioè, intendiamoci, erano ad antiche travate, ma rozze per lo più e irregolari; donde che, per coprire quelle brutture e d'altra parte risparmiare le spese di cassettatura ( bella parola in fede mia, non però peggiore di "evidenziazione" o dello scioglilingua "competitività" ), si ricorreva a tele, appunto; le quali poi, incartate, potevano venire più o meno vagamente dipinte. E, com'è ovvio, tale disposizione comportava una sorta di intercapedine tra le travi sbilenche e la faccia superiore della tela medesima. Col che siamo al punto che ci interessa.


In questa intercapedine i topi menavano al ruzzo la loro prole. Dove meglio avrebbero potuto? Lì non giungevano gatti nè insidie umane nè insidie meteorologiche nè luci pregiudizievoli agli occhietti bianchi e alquanto ripugnanti dei topini di nido.

E quegli esserini erano tanto felici della loro tregua spaziale e forse temporale, che nei loro giochi rendevano rumore ossia pesta di ginneti, pesta rossiniana. Cavalleria di topi. Di solito si udiva innanzi tutto un piccolo tonfo che corrispondeva, penso, al salto del topino da qualche buco un po' elevato sul piano della tela, o forse alla sua caduta in seguito a spintone della genitrice; cui tenevano dietro numerosi altri tofi del genere e da ultimo, come nelle sagre paesane, un "colpo scuro" corrispondente al salto materno.

Dopo di che, principiava una galoppata generale, che in particolari giorni molto umidi o troppo caldi poteva diventare frenetica: finchè non si spegneva, ritirandosi topi grandi e piccini pel sonno nei loro quartieri diurni, con qualche rumore inverso o antagonistico rispetto a quelli descritti.

Ecco, e tutto questo affascinava stranamente me bambino: quasi avessi presentito o meglio scoperto per mio conto il "corso topigno della vita " di cui un celebre poeta iperboreo.


Tommaso Landolfi

( da " La cavalleria dei topi" in Diario perpetuo ( qui ) ed. Adelphi pp. 334-335)


( topinho e topinha sono mamozzi di Giuliano )