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martedì 30 aprile 2019

Luna rossa


– A Borgo Antí! –ricominciò il Riccetto. (...) Ma l’altro non lo filava manco per niente. 
– E facce na cantata, Borgo Antí, – gridò. 
Borgo Antico però non si voltò nemmeno, fermo nella sua posizione, con la faccia di cioccolata, lucida e nera. 
– Che, canta pure lui, – fece lo Sgarone ironico. 
– Come, no, – rispose anch’egli ironico il Riccetto. 
Borgo Antico stava sempre zitto, e pure Genesio taceva, come se non s’accorgesse di niente. 
Mariuccio, il piú piccolino dei tre fratelli, disse: – Nun je va de cantà. 
(...) – Che je dai? – chiese tutt’a un botto Genesio. 
– Je do na nazzionale, va, – disse il Riccetto. 
– Canta, – ordinò Genesio al fratello.
– Mo canta,– annunciò Mariuccio. 
Borgo Antico alzò le spalle magre e nere e affilò ancora piú contro il petto la sua faccia d’uccello. 
– E canta, – ripeté già in collera Genesio.
– E che devo da cantà? – disse Borgo Antico con voce rotta.
– Canta Luna Rossa, daje, – disse il Riccetto.
 Borgo Antico si mise a sedere stringendo contro il torace i ginocchi, e cominciò a cantare in napoletano, tirando fuori una voce dieci volte piú grossa di lui, tutto pieno di passione che pareva uno di trent’anni. Gli altri maschi che da un po’ non si facevano sentire, dietro le gobbe della scarpata, nel fango, vennero su intorno a lui a ascoltare.
– Ammazzalo, quanto canta, – disse il Roscetto, mentre in tutto il fiume non si sentiva che quella voce. 

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita


(fonte)



Luna rossa (qui ),  intonata da Borgo Antico, uno tra i personaggi più patetici di Ragazzi di vita, insieme al fratello Ginesio che, nel finale del romanzo  annegherà nell'Aniene, è una delle canzoni napoletane più tradotte al mondo e più amate dai grandi interpreti. La ripropongo qui nell'interpretazione di Roberto Murolo.


venerdì 26 aprile 2019

Sotto il cielo di Roma




Il Riccetto continuava a starsene disteso, senza dar retta ai nuovi venuti, ammusato, sul fondo allagato della barca, con la testa appena fuori dal bordo: e continuava sempre a far finta di essere al largo, fuori dalla vista della terraferma.
– Ecco li pirata! – gridava con le mani a imbuto sulla sua vecchia faccia di ladro uno dei trasteverini, in piedi in pizzo alla barca: gli altri continuavano scatenati a cantare. A un tratto il Riccetto si rivoltò su un gomito, per osservare meglio qualcosa che aveva attratto la sua attenzione, sul pelo dell’acqua, presso la riva, quasi sotto le arcate di Ponte Sisto. Non riusciva a capir bene che fosse. L’acqua tremolava, in quel punto, facendo tanti piccoli cerchi come se fosse sciacquata da una mano: e difatti nel centro vi si scorgeva come un piccolo straccio nero

sabato 9 marzo 2019

Chirone e Giasone


Tutto è santo, tutto è santo! Non c'è niente di naturale nella natura (...) Quando la natura ti sembrerà naturale, tutto sarà finito (...) Ti sembra che un pezzetto solo non sia innaturale e non sia posseduto da un dio? (...) In ogni punto in cui i tuoi occhi guardano è nascosto un dio, e se per caso non c'è, ha lasciato lì i segni della sua presenza sacrao silenzio o odore di erba o fresco di acque dolci.
Eh sì: tutto è santo! Ma la santità è insieme una maledizione.
Gli Dei che amano in un tempo stesso odiano.




Giasone bambino e Chirone ( fotogramma di "Medea" )



Le prime sequenze di Medea di Pier Paolo Pasolini sono bellissime. In un ambiente in ombra da cui si intravede  un paesaggio addolcito da una  luce che smussa ogni limite, Chirone racconta a Giasone, ancora bambino, la storia delle sue origini; il centauro continua il suo racconto fuori dalla capanna, mentre Giasone gli è in  groppa. Il bimbo ascolta ma non sembra capire. Nella inquadratura successiva i due sono distanti, quel tanto che basta a sottolineare che Giasone è cresciuto, è un individuo, può stare da solo. "Tutto è santo, tutto è santo" dice il centauro e infatti ogni cosa,  ogni essere pare un'espressione divina, fuori dal tempo e intrisa di luce.  Ma è un attimo; le sequenze successive vedono Giasone già uomo, nella capanna/grotta mentre ascolta Chirone e poi, all'esterno, su un dosso; è pronto, ormai,  a lasciare chi lo ha protetto e istruito  e a entrare in una storia.

Qui il film 

domenica 3 febbraio 2019

Ossimori

I momenti di pausa tra un consiglio di classe e un altro a volte sono fecondi, riservano piacevoli sorprese; tra una chiacchiera e l'altra ( non ricordo più su cosa )  un mio collega, un ingegnere, peraltro,  cita un'espressione ossimorica contenuta in un testo poetico di Pier Paolo Pasolini. La riporto qui insieme ai versi in cui è incastonata.


                                                                             10 giugno 1962
Un solo rudere, sogno di un arco,
di una volta romana o romanica,
in un prato dove schiumeggia il sole
il cui calore è calmo come il mare:
lì ridotto, il rudere senza amore. Uso
e liturgia, ora profondamentee estinti,
vivono nel suo stile - e nel sole -
per chi ne comprenda presenza e poesia.
Fai pochi passi, e sei sull'Appia
o sulla Tuscolana: lì tutto è vita,
per tutti. Anzi, meglio è complice
di quella vita, chi stile e storia
non ne sa. I suoi significati
si scambiano nella sordida pace
indifferenza e violenza. Migliaia
migliaia di persone, pulcinella
d'una modernità di fuoco, nel sole
il cui significato è anch'esso in atto,
si incrociano pullulando scure
sugli accecanti marciapiedi, contro 
l'Ina-Case sprofondate nel cielo.
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.


da Poesie mondane, in Poesia in forma di rosa, in, Tutte le poesie,  a cura di W. Siti, Mondadori 


 Una parte del testo poetico viene recitata da Orson Welles in un cortometraggio di  Pasolini"La ricotta" ( qui )
L'ossimoro che trovo fulminante è "Io, feto adulto"ma non è l'unico ad avermi lasciato senza parole.


Orson Wells in un fotogramma di "la ricotta"