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mercoledì 19 aprile 2023

La linea d'ombra

Ieri ho sfilato dal posticino in cui era stato sistemato almeno 10 anni fa, un cd acquistato in Irlanda e, scorrendo la lista dei brani essenzialmente di tradizione celtica, un titolo mi ha riportato a uno scritto di Giuliano che voglio qui riproporre. Giuliano trovò una relazione tra un passo tratto dall'  Evgenij Onegin di Pushkin, un passo de "La linea d'ombra di Conrad" e infine il testo della canzone che ieri ho ascoltato e che poi ho scoperto essere in realtà una poesia di Yeats, Down by the Salley Gardens.  

Ripropongo di seguito il post di Giuliano, pubblicato sul suo blog, Deladelmur



Ho conosciuto la voce d'altri desideri,

ho conosciuto la nuova tristezza;

per i primi non ho speranze,

e per le vecchie tristezze ho pietà.

O fantasie ! Dov'è la vostra dolcezza?

dov'è la giovinezza, ritmo eterno ?

è proprio vero che dunque, alla fine,

io sono appassito, e appassita è la sua corona?

E' vero, proprio vero,

che senza elegiache illusioni

è fuggita la primavera dei miei giorni

( cosa ch'io ripetevo finora scherzando ) ?

Ed è proprio vero ch'essa non ha ritorno?

Vero proprio che presto avrò trent'anni ?

...

Così è giunto il mezzodì, e debbo

confessarmi, lo vedo io stesso

...

e tu, ispirazione giovanile,

agita la mia immaginazione,

rianima il sonnecchiante cuore,

vieni più spesso al mio cantuccio,

non lasciar raffreddare l'anima del poeta,

fa' che essa non sia crudele, non si irretisca,

non si pietrifichi infine,

nell'incanto distruttore del mondo,

fra i gelidi superbi,

fra gli sciocchi brillanti,

...

fra i figli astuti, pusillanimi,

folli e male avvezzi,

tra i delinquenti e i ridicoli, noiosi,

ottusi e faccendieri giudici,

tra le civette baciapile,

tra i servi volenterosi,

tra le scene quotidiane alla moda,

i tradimenti rispettosi, garbati,

tra i verdetti gelidi

della crudele vanità,

tra la vuotaggine dispettosa

dei calcoli, dei pensieri e delle convenzioni,

in quel vortice, insomma,

dove con voi io nuoto adesso,

amici cari !

...

Beato chi è stato giovane da giovane

beato chi è maturato a tempo,

chi gradualmente il freddo della vita

ha saputo sopportare con gli anni;

chi non s'è abbandonato a sogni strani,

chi non s'è fatto estraneo al volgo mondano ...

(Pushkin, Evgenij Onegin, cap. 6-8,ed. Sansoni, traduzione di Ettore Lo Gatto)


Solo i giovani hanno di questi momenti. Non parlo dei giovanissimi. No. I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. E' il privilegio della prima gioventù di vivere in anticipo sui propri giorni, in tutta una bella continuità di speranze che non conosce pause né introspezioni. Uno chiude dietro di sè il piccolo cancello della mera fanciullezza ed entra in un giardino incantato. Là perfino le ombre splendono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha una sua seduzione. E non perché sia una terra ignota. Si sa bene che tutta l'umanità ha percorso quella strada. Ma si è attratti dall'incanto dell'esperienza universale da cui ci si attende di trovare una sensazione singolare o personale: un po' di se stessi. Si va avanti, allegri e frementi, riconoscendo le orme di chi ci ha preceduto, accogliendo il bene ed il male insieme - le rose e le spine, come si dice - la variopinta sorte comune che offre tante possibilità a chi le merita o, forse, a chi ha fortuna. Sì. Uno va avanti. E il tempo pure va avanti, finché ci si scorge di fronte una linea d'ombra che ci avverte di dover lasciare alle spalle anche la regione della prima gioventù.

Questo è il periodo della vita che può portare i momenti ai quali ho accennato. Quali momenti? Momenti di tedio, di stanchezza, di scontento. Momenti d'irriflessione. Parlo di quei momenti nei quali i giovani sono propensi a commettere atti inconsulti, come sposarsi all'improvviso o rinunziare ad un'occupazione senza motivo. Questa non è la storia di un matrimonio. Non mi andò così male. Il mio atto, per quanto avventato, ebbe più il carattere di un divorzio, quasi di una diserzione. Senza una ragione plausibile per una persona di buon senso, piantai il mio lavoro - abbandonai il mio posto - lasciai il bastimento del quale non si sarebbe potuto dire altro di peggio che era un bastimento a vapore e che, perciò, non esigeva quella cieca fedeltà che... Ma è inutile voler giustificare quello che io stesso anche allora immaginai che fosse un po' un mio capriccio. (...)

(Joseph Conrad, inizio di “La linea d’ombra”)


Down by the Salley Gardens

(Words: W. B. Yeats, 1889. Tune: Maids of the Mourne Shore, Trad.)

It was down by the Sally Gardens, my love and I did meet.

She crossed the Sally Gardens with little snow-white feet.

She bid me take love easy, as the leaves grow on the tree,

But I was young and foolish, and with her did not agree.

In a field down by the river, my love and I did stand

And on my leaning shoulder, she laid her snow-white hand.

She bid me take life easy , as the grass grows on the weirs

But I was young and foolish, and now am full of tears.

Down by the Sally Gardens, my love and I did meet.

She crossed the Sally Gardens with little snow-white feet.

She bid me take love easy, as the leaves grow on the tree,

But I was young and foolish, and with her did not agree.

(edizione consigliata: innanzitutto Kathleen Ferrier, ( qui )e poi John Mac Cormack)  ( qui ) ( qui la traduzione )


Ascolto l'Eugenio Onieghin di Pushkin, nella versione messa in musica da Ciaikovskij, e non posso non rimanerne ancora colpito. Eppure non è la prima volta che ascolto quest'opera, dovrei essermi abituato; ma è un po' l'effetto che fa la Bohème di Puccini, che credi di sapere già tutto e magari anche di esserne stufo, e invece mi sorprende sempre e mi trovo ad essere commosso. Di che cosa parla l'Eugenio Onieghin? Del tempo che passa, e che non torna più; e delle diverse strade che la vita ci mette davanti. La scelta, il più delle volte, spetta a noi: ma non sempre sappiamo individuare la strada giusta.

Evgenij Onegin è un giovane ufficiale russo, di quelli dei primi dell'Ottocento. Di lui si innamora Tatiana, che è poco più che una bambina; lei gli scrive una lettera, ma lui non le risponde nemmeno, ha ben altro per la testa. Ma passa poco tempo e Tatiana è ormai una giovane donna; per lei Eugenio litiga col suo migliore amico, Lenski. I due si sfidano a duello, e Lenski muore. Nel finale, Tatiana è una donna sposata; ad un ricevimento, Eugenio la incontra dopo molto tempo e scopre di esserne perdutamente innamorato. Ma ormai è tardi.

Credo poi che siano in pochi a conoscere davvero “The shadow line” di Conrad: il titolo di questo libro è stato talmente copiato e inflazionato che ha finito per perdere significato, ed è un peccato gravissimo. “La linea d’ombra” e “The end of the tether”, tradotto spesso con “Al limite estremo”, sono i libri dove Conrad parla del primo lavoro, del primo comando di una nave (il mestiere di Conrad, capitano su una nave mercantile) , delle prime responsabilità. Alle volte ci sono ostacoli incomprensibili sul nostro cammino, non riusciamo a capacitarci di quello che succede, ed è facile sbagliare (come capita in “Lord Jim”) oppure rinunciare e accontentarsi di qualcos’altro.

E infine “Down by the Salley Gardens”, una melodia bellissima sui versi di Yeats, che racconta l’incontro di un giovane con una ragazza; un incontro che non avrà seguito e che lascerà un grande vuoto nel ricordo: ancora l’Eugenio Onieghin.

lunedì 5 febbraio 2018

Yeats


Qualche tempo fa, parlando di sirene, ho detto che di Yeats conoscevo poco o niente a parte la raccolta di Fiabe irlandesi. Il giorno dopo, senza quasi che me ne accorga, comincia ad emergere nella mia memoria una melodia tra le più belle: la melodia del ricordo, dolce e triste, un'occasione perduta che riaffiora. Ma sì, "Down by the Salley Gardens": il testo è di Yeats, il soggetto è molto simile a quello dell'Eugenio Onegin di Puskin. Due giovani si incontrano ai Giardini, lei è incantevole, tutto appare favorevole, l'amore potrebbe sbocciare con la naturalezza con cui le foglie nascono sui rami, "ma io ero giovane e stupido" (I was young and foolish) e l'ho lasciata andare...
Quanto alla musica, il mio insegnante di pianoforte mi aveva spiegato cosa succede: è un reel, ma suonato lentamente e con dolcezza.

It was down by the Salley Gardens, my love and I did meet.
She crossed the Salley Gardens with little snow-white feet.
She bid me take love easy, as the leaves grow on the tree,
But I was young and foolish, and with her did not agree.
In a field down by the river, my love and I did stand
And on my leaning shoulder, she laid her snow-white hand.
She bid me take life easy , as the grass grows on the weirs
But I was young and foolish, and now am full of tears.
Down by the Salley Gardens, my love and I did meet.
She crossed the Salley Gardens with little snow-white feet.
She bid me take love easy, as the leaves grow on the tree,
But I was young and foolish, and with her did not agree.
(Words: W. B. Yeats, 1889. Tune: Maids of the Mourne Shore, Trad.)

nella versione di Kathleen Ferrier

nella versione di John Mac Cormack

sabato 30 dicembre 2017

Sirene irlandesi


La Sirena o, come si dice in irlandese, la Moruadh o Murrùghach (da muir, mare e oigh, ragazza) è una presenza non infrequente sulle coste più selvagge. Ai pescatori non piace vederla perché preannuncia sempre burrasca imminente. Le Sirene maschio (se si può usare una tale espressione - non ho mai sentito il maschile di Sirena) hanno denti verdi, capelli verdi, occhietti porcini e naso rosso, ma le loro donne sono bellissime, con coda di pesce e piccoli piedi palmati simili a quelli delle anatre. A volte - e non si può biasimarle - esse preferiscono ai loro amanti marini degli aitanti pescatori. Si dice che il secolo scorso, vicino a Bantry, fosse vissuta una donna tutta coperta di squame come un pesce e che fosse il frutto di una unione di tal tipo. Certe volte escono dal mare e vagano per la spiaggia sotto forma di piccole mucche senza corna. Quando assumono il loro vero aspetto, portano un cappello rosso chiamato cohullen druith, di solito coperto di piume; se viene loro rubato, non possono tornare ad immergersi tra le onde.
Il rosso è, in ogni paese, il colore della magia, ed e sempre stato così da tempo immemorabile. I cappelli delle fate e dei maghi sono sempre rossi.
(William Butler Yeats, Fiabe irlandesi, pag.61 ed.Einaudi 1981 trad. Maria Giovanna Andreolli e Melita Cataldi)


Yeats mette nella sua raccolta tre racconti di sirene: nel primo, "Le gabbie d'anime", una sirena maschio tiene prigioniere sott'acqua le anime dei marinai annegati. Il protagonista, Jack Dogherty, diventa suo amico e insieme fanno gran bevute (alcoolici, ovviamente); Jack ne approfitta per liberare, un po' alle volte, le anime. La sirena maschio è così descritta:« capelli verdi, lunghi denti verdi, naso rosso e occhietti porcini. Aveva la coda di pesce, le gambe ricoperte di squame e le braccia corte come pinne. Non portava vestiti ma teneva sotto il braccio il cappello a tre punte». Ed è appunto "prendendo a prestito" il cappello a tre punte che Jack riuscirà a immergersi da solo, per liberare le anime. Le anime sono tenute prigioniere dentro delle bottiglie, quindi Jack Dogherty è in qualche modo parente dell'Astolfo sulla Luna. Tutto questo (la favola è narrata in tono comico) Jack lo deve fare di nascosto dalla moglie; e le anime sono invisibili, così che Jack non ha la soddisfazione di vederle volare via. L'amicizia fra Jack e Coo (così si chiama l'essere marino) durerà comunque per molti anni.
La seconda storia, "Il funerale di Flory Cantillon", racconta invece del matrimonio fra un uomo e una sirena, e della loro discendenza: quando uno della loro famiglia moriva, racconta la leggenda, veniva seppellito sotto il mare; ed in certi giorni particolari era possibile vedere sott'acqua la cappella del loro cimitero.
La terza storia, "La signora di Gollerus" narra del matrimonio fra un uomo e una sirena. La moglie sarà brava e avranno dei figli, ma a un certo punto lei scomparirà e non se ne avrà più notizia, lasciando al marito la cura dei figli. La sirena è così descritta:« una creatura giovane e bella che si pettinava i capelli d'un colore verde mare». Il protagonista (si chiama Dick) le ruba il berretto magico, così lei non può più immergersi e comincia a piangere. Allora Dick le si avvicina e la prende per mano:« non c'era nulla di sgradevole in quella mano, soltanto fra le dita aveva una piccola membrana, come quella che si vede nei piedi delle anitre, ma era sottile e bianca come la pelle fra l'uovo e il guscio.»

                                                                                     (l' immagine viene da "Kladderadatsch", 1943)

mercoledì 20 settembre 2017

Cardellino


Nei tempi antichi viveva in Irlanda un nobile uomo della casata dei Fitzgerald. Il suo nome era Gerald, ma gli Irlandesi, che avevano sempre avuto molta considerazione per la sua famiglia, lo chiamavano Gearoidh Iarla, il Conte Gerald. Aveva un grande castello, o meglio una fortezza, a Mullaghmast; e ogni volta che il governo inglese si provava a recare un torto alla sua patria era sempre pronto a prenderne le difese. Oltre a essere un valoroso condottiero in battaglia e abilissimo nell’usare ogni tipo d’arma, era esperto in magia nera ed era capace di assumere qualunque forma volesse. Sua moglie sapeva di questo potere e spesso gli chiedeva di farla partecipe di qualcuno dei suoi segreti, ma mai il Conte aveva voluto accontentarla. Lei insisteva soprattutto per vederlo sotto qualche strana sembianza, lui però continuava a rimandare con un pretesto o l'altro. Ma non sarebbe stata donna se non avesse avuto perseveranza. Il marito infine l’avvertì che se si fosse spaventata anche solo un po' mentre lui si trovava fuori dalla sua forma naturale, non gli sarebbe più stato possibile riacquistarla prima che molte generazioni di uomini fossero andate sotto terra. «Oh! Non sarebbe stata la moglie adatta per Gearoidh Iarla se avesse potuto spaventarsi facilmente. Se solo lui l’avesse accontentata in questo suo capriccio, avrebbe visto quant'era coraggiosa!»


Così una bella sera d’estate mentre stavano seduti nel grande salone, egli volse il viso dall’altra parte, mormorò alcune parole e, in un batter d’occhio, era bell'e che sparito e un grazioso cardellino svolazzava per la stanza. La moglie, per quanto si ritenesse coraggiosa, ne fu un po' spaventata ma seppe controllarsi abbastanza bene, soprattutto quando l’uccellino andò a posarsi sulla sua spalla, sbatté le ali, appoggiò il beccuccio alle sue labbra e cinguettò la più bella melodia che mai si fosse udita. La bestiola si mise a disegnar cerchi per la stanza, giocò a rimpiattino con la sua dama, volò in giardino, tornò indietro, si posò sul suo grembo come addormentato e balzò via di nuovo.
Quando il gioco era durato abbastanza da soddisfare entrambi, spiccò un altro volo all’aperto; ma, parola mia, non ci mise molto a tornare. Volò dritto in seno alla sua donna e, l’attimo seguente, un falco rapace si precipitava dietro di lui. La donna diede uno strillo acuto, sebbene non ce ne fosse bisogno, perché il terribile uccello - entrato come una freccia - andò a sbattere contro un tavolo con tale violenza che la vita gli schizzò fuori. Dal corpo scosso dai tremiti della bestia la dama volse lo sguardo al luogo dove, un attimo prima, aveva visto il cardellino: ma non posò mai più gli occhi né sul cardellino né sul Conte Gerald.
Una volta ogni sette anni il Conte cavalca per la grande pianura del Kildare su un destriero dagli zoccoli d’argento che, al tempo in cui sparì, erano spessi mezzo pollice: quando questi zoccoli saranno diventati sottili come l’orecchio di un gatto, egli sarà restituito alla società dei viventi, combatterà una grande battaglia contro gli Inglesi e regnerà sull’Irlanda per quarant’anni. Assieme ai suoi guerrieri dorme ora in una lunga caverna sotto il Forte di Mullaghmast. Nel mezzo della caverna si allunga una tavola: il Conte sta al posto d’onore e i suoi soldati, vestiti delle loro armature, siedono ai due lati con la testa appoggiata sul piano. I cavalli, sellati e imbrigliati, stanno ritti ai loro posti dietro i padroni, su entrambi i lati; e quando il giorno verrà, il figlio del mugnaio che nascerà con sei dita per mano suonerà la sua tromba, e i cavalli scalpiteranno e alzeranno nitriti, e i cavalieri si sveglieranno e monteranno sui loro destrieri per andare a combattere.
In una notte che si ripete ogni sette anni, mentre il Conte cavalca per la grande pianura del Kildare, l’accesso può esse visto da chiunque si trovi a passare di lì. Circa cento anni fa un mercante di cavalli che, un poco ubriaco, era fuori sul tardi, vide la caverna illuminata e vi entrò. Le luci, il silenzio e la vista degli uomini con l’armatura lo intimorirono non poco ed egli ridivenne sobrio. Le mani cominciarono a tremargli e una briglia gli cadde sul pavimento. Il suono del morso echeggiò per tutta la lunga caverna, e uno dei guerrieri che stava vicino a lui sollevò leggermente la testa e, con una voce fonda e roca, disse: - E già ora? - L’uomo ebbe la presenza di spirito di rispondere: - Non ancora, ma lo sarà presto, - e il pesante elmo ricadde sulla tavola. Il mercante di cavalli usci più in fretta che poté, e io non ho mai sentito di altri cui sia capitata una simile avventura.
L’ultima volta che Gearoidh Iarla è riapparso, gli zoccoli del cavallo erano sottili come una moneta da sei penny.

William Butler Yeats, L’incantesimo di Gearoidh Iarla; da "Fiabe irlandesi", pag.373-374 ed. Einaudi 1981, traduzioni di Maria Giovanna Andreolli e Melita Cataldi.

(il cardellino prigioniero è di Karel Fabritius, anno 1654)