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venerdì 23 novembre 2018

Le stagioni secondo Purcell


In "The Fairy Queen" (La regina delle Fate, 1692) Henry Purcell mette in musica le stagioni. Il testo non è tratto da Spenser, che scrisse un poema con quel nome, ma da Shakespeare; erano infatti musiche pensate per una messa in scena del "Sogno di una notte di mezza estate". I testi musicati però non sono di Shakespeare, ed è difficile anche per gli esperti riuscire a trovarne l'autore. Comunque sia, ecco Febo (il Sole) che introduce l'argomento:  (qui per l'ascolto)


Phoebus:
When a cruel long winter has frozen the earth,
And Nature imprison'd seeks in vain to be free,
I dart forth my beams, to give all things a birth,
Making Spring for the plants, every flower, and each tree.
'Tis I who give Life, Warmth, and Vigour to all,
Even Love who rules all things in Earth, Air, and Sea,
Would languish, and fade, and to nothing would fall;
The World to its Chaos would return, but for me.
Choir
Hail! Great Parent of us all,
Light and Comfort of the Earth;
Before your Shrine the Seasons fall,
Thou who givest all Nature Birth.
(Quando un lungo e crudele inverno ha gelato la terra, e la Natura imprigionata cerca invano di liberarsi, io scaglio lontano i miei raggi e dò a tutte le cose la nascita, facendo primavera per le piante, per ogni fiore e ogni albero. Sono io che dò vita, calore e vigore a tutto; anche Amore, che regola ogni cosa in terra, aria e mare, languirebbe e appassirebbe e sparirebbe nel nulla; il mondo tornerebbe al suo caos originale, se non fosse per me. Salve, grande genitore di noi tutti, luce e conforto della Terra; davanti al tuo altare si prostrano le Stagioni, per te che hai fatto nascere tutta la Natura.)


Spring:
Thus the ever grateful Spring,
Does her yearly tribute bring;
All your sweets before him lay,
Then round his altar, sing and play.
(così la sempre riconoscente Primavera porta il suo tributo annuale: tutte le sue dolcezze pone innanzi a lui, quindi attorno al suo altare canta e danza)


Summer:
Here's the Summer, sprightly, gay,
Smiling, wanton, fresh and fair;
Adorn'd with all the flowers of May,
Whose various sweets perfume the air.
(ecco l'Estate, allegra e gaia, sorridente, scherzosa, fresca e bella; adorna di tutti i fiori di maggio, che con le loro diverse dolcezze profumano l'aria)





Autumn:
See my many colour'd fields
And loaded trees my will obey;
All the fruit that Autumn yields,
I offer to the God of Day.
(Guarda i miei campi dai tanti colori, e gli alberi carichi alla mia volontà obbediscono; tutti i frutti che Autunno produce io li offro al Dio del Giorno)



Winter:
Now Winter comes slowly, pale, meager, and old,
First trembling with Age, and then quiv'ring with cold;
Benumb'd with hard forests, and with snow covered over,
Prays the Sun to restore him, and sings as before.
(Ora giunge l'Inverno lentamente, pallido, magro, e vecchio; prima trema per l'età, poi ha i brividi per il freddo; annuvolato con dure foreste, e coperto dalla neve, prega il sole che lo ristabilisca e canta come faceva un tempo)


(illustrazioni di Kate Greenaway)



mercoledì 21 marzo 2018

Le stagioni secondo Wyatt


Come sempre con Robert Wyatt, è difficile capire se sta facendo sul serio o se ti prende in giro, o se magari si sta solo divertendo con un nonsense: « L'Inverno è il tempo in cui penso al passato» potrebbe essere il verso di un grande poeta, invece «D'Estate è quando mi piace star seduto sull'erba» è poco più di una considerazione da banale chiacchierata, eppure alla fine qualcosa rimane in mente. Qui Wyatt era molto giovane, suonava la batteria da grande percussionista e cantava nel secondo lp dei Soft Machine; prima presenta "The British Alphabet" ("Ladies and Gentlemen, the British Alphabet!") nei due sensi, quello giusto e poi alla rovescia (non è da tutti) e poi comincia a raccontare le stagioni e il passare del tempo, mettendomi subito in difficoltà perché non riesco a tradurre il senso del finale del primo verso ("means to ends"), ma insomma. E' qualcosa che ascolto sempre molto volentieri, spero che sia lo stesso per voi.



HIBOU, ANEMONE AND BEAR (un clic qui per l'ascolto)

Words by Robert Wyatt, Music by Mike Ratledge

In the Spring, I think of sex and means to ends
Summertime, I like to sit upon the grass
Autumn nights I go to parties with my friends
Winter time is when I think about the past
But of course I do all those things all year 'round
I mean, all the good things are there to be found
It's all here, pick-a-back and get to work
If you don't, your life will surely go berserk
Or indeed be bored to death, which is worse?
If something's not worth saying
Not worth saying
Not worth saying
Say it...



(In primavera, penso al sesso "and means to ends"; in estate, mi piace stare seduto sull'erba; nelle notti d'autunno vado alle feste con i miei amici; d'inverno è quando penso al passato. Ma, ovviamente, faccio queste cose tutto l'anno - voglio dire, le cose belle sono qui per essere trovate, è tutto qui, metti in spalla e comincia a lavorare. Se non fai così, la tua vita diventerà sicuramente piena di rabbia, o magari sarai annoiato a morte: cosa è peggio? Se qualcosa non vale la pena di essere detto, se non vale la pena di essere detto, dillo...)

(disegni da The Oswick Bird di Edward Gorey, 1966)

venerdì 27 ottobre 2017

Animali

Animali

Pomeriggio novembrino d'aria tersa. Intervallo tra uno scroscio di pioggia e l'altro. Sei papere fanno anatring lasciandosi trasportare dall'impeto del torrente rigonfio. Con l'ombrello chiuso e ancora sgocciolante cammino al loro fianco nella stessa direzione e mi chiedo cosa faranno una volta arrivate a quel gradino laggiù, che origina una piccola rapida. Scemo d'un umano! Ovviamente si alzano in volo. Ovviamente si alzano in volo.
Non le vedo già più.

Nicola Pezzoli, Il bambino che sbagliava le parolacce, Irrenhaus 2


martedì 22 novembre 2016

Sera d'autunno


In una sera d'autunno calda e umida arrivai in una città che mi era quasi sconosciuta; la poca luce delle strade era attenuata dall'umidità e dalle foglie degli alberi. Entrai in un caffè che si trovava vicino a una chiesa, mi sedetti a un tavolino in fondo e pensai alla mia vita. Sapevo ritagliarmi le ore di felicità e rinchiudermi in esse; innanzitutto rubavo con gli occhi dalla strada o dall'interno delle abitazioni una qualunque cosa dimenticata, e quindi la posavo nella mia solitudine. Provavo un tale piacere nel riesaminarla che se la gente lo avesse saputo mi avrebbe odiato.

da "Il coccodrillo" in Le Ortensie di Felisberto Hernández,
ed. laNuovafrontiera

Qui qualcosa sull'autore

Qui composizioni musicali di Felisberto Hernández

lunedì 14 novembre 2016

Il porcelet di Chartres



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                                                      ( grazie a Grazia )