Il paese è cambiato. Anche se rimango chiuso in biblioteca sento tutti i cambiamenti, li sento uno sopra l'altro come cicatrici di frustate sulla mia schiena, i più remoti scandalosamente attuali come i più freschi. (...)
Fuori del paese la cosa più bella era un grande lavatoio di pietra, e chi aspettava la corriera si sedeva sul bordo all'ombra, e tuffava le mani nell'acqua gelida, che anche quando era torbida di sapone sembrava pulita. Adesso c'è solo una colonnina spartitraffico, e quando, in corriera, dico " fino al lavatoio", il bigliettaio mi guarda con sospetto.
A questo fervoroso spirito di rinnovamento i Baldi sembravano aver aderito senza resistenze, anzi con un loro speciale entusiasmo. (...) Guardavo la nostra casa e la loro e le trovavo sempre più divergenti, l'una ancorata in una fissità quasi minerale (...), l'altra immersa nel flusso del tempo, che se la portava via, se la lavorava a sua imago, ne cambiava la chimica. Una casa va e l'altra resta, pensavo, e nella nostra sentivo abitare lo spirito della morte, come se di due gemelli solo uno crescesse, combinando le cellule del proprio corpo con gli elementi del mondo in un connubio rigeneratore, mentre l'altro morisse bambino e rinsecchisse così, come una piccola mummia; poi però mi ribellavo a questa idea, e mi dicevo che se lo spirito della vita coincideva con la catena di scempi che si perpetrava oltre il muro, se vivere significa morire in continuazione, allora la morte era anche di là, dai Baldi, e più brutta di là che di qua.
Pensando che ci doveva essere stato un tempo in cui le due case erano molto meno lontane fra loro, mi accorgevo con spavento di portarmi addosso non solo i miei ricordi, ma anche quelli degli altri: riuscivo a soffrire anche per loro, per quello che avevano perso e che nemmeno rimpiangevano, e perfino quando non avevo mai saputo cosa c'era prima, ugualmente ne percepivo l'ombra dietro l'attualità, come un fantasma sdegnato che impetri vendetta. Tutto il paese era popolato di queste ombre, tremolavano ovunque e mi sembrava di essere il solo a vederle. E anche quando gettavo lo sguardo in giardini mai visti, durante giri in bicicletta sempre più rari e brevi, non potevo non difendermi dall'assalto di altre e altre ombre, che si levavano da tutte le parti imponendosi con la lor muta dolenza.
Rientravo a casa turbato, carico di appelli e di richiami che mi frastornavano, e di quelle larve inquietate mi sentivo il custode, come l'ultimo sacerdote di un culto che solo in lui sopravvive.
Michele Mari, Euridice aveva un cane, ed. Einaudi
| Felice Casorati, Ragazza sul tappeto rosso |
Il passo che ho riportato è tratto da Euridice aveva un cane, una raccolta di racconti di Michele Mari. Qui e Qui una fine analisi di Elena del racconto eponimo e di altri racconti che sottendono gli stessi temi del primo: il Tempo, la Memoria. Elena sviluppando la sua linea interpretiva, mette a confronto Proust e Mari.