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sabato 30 gennaio 2021

Da "Spillover" di David Quammen


Abbiamo aumentato il nostro numero fino a sette miliardi e più, arriveremo a nove miliardi prima che si intraveda un appiattimento della curva di crescita. Viviamo in città superaffollate. Abbiamo violato, e continuiamo a farlo, le ultime grandi foreste e altri ecosistemi intatti del pianeta, distruggendo l’ambiente e le comunità che vi abitavano. A colpi di sega e ascia, ci siamo fatti strada in Congo, in Amazzonia, nel Borneo, in Madagascar, in Nuova Guinea e nell’Australia nordorientale. Facciamo terra bruciata, in modo letterale e metaforico. Uccidiamo e mangiamo gli animali di questi ambienti. Ci installiamo al posto loro, fondiamo villaggi, campi di lavoro, città, industrie estrattive, metropoli. Esportiamo i nostri animali domestici, che rimpiazzano gli erbivori nativi. Facciamo moltiplicare il bestiame allo stesso ritmo con cui ci siamo moltiplicati noi, allevandolo in modo intensivo in luoghi
dove confiniamo migliaia di bovini, suini, polli, anatre, pecore e capre - e anche centinaia di ratti del bambù e zibetti. In tali condizioni è facile che gli animali domestici e semidomestici siano esposti a patogeni provenienti dall’esterno (come accade quando i pipistrelli si posano sopra le porcilaie) e si contagino tra di loro.

sabato 10 ottobre 2020

La vita attuale


La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio?

(Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pagina 479 edizione Dall'Oglio 1976)

(fotogramma da "Stalker" di Andrej Tarkovskij)




martedì 8 ottobre 2019

Il mondo è un'arancia


(Rafael Romero Barros, 1863)

La signora Medlock sorrise. Era orgogliosa di Susan Sowerby.
- Susan sa il fatto suo, - proseguì con entusiasmo - ho pensato tutta la mattina a una cosa che mi ha raccontato ieri, e precisamente a una predica che ha fatto ai suoi figli perché avevano litigato. Ha detto loro che quando andava a scuola il suo libro di geografia diceva che la terra aveva la forma di un'arancia, e che si rese conto prima di avere dieci anni che l'arancia intera non appartiene a nessuno. Nessuno possiede più del proprio spicchio, e qualche volta sembra che non ci siano abbastanza spicchi per tutti. Nessuno deve pensare di possedere tutta l'arancia, o scoprirà a sue spese che si è sbagliato. Ciò che i bambini imparano dagli altri bambini, mi ha detto, è che non ha senso voler avere l'intera arancia, buccia e tutto. Altrimenti, è probabile che non si avranno neppure i semi, che sono amari da mangiare.
- E' una donna saggia, - replicò il dottor Craven mentre indossava il cappotto.
- Beh, ha un suo modo di dire le cose - concluse la signora Medlock compiaciuta (...)

(Frances Hodgson Burnett, Il giardino segreto, capitolo 19, pag.166 ed. Einaudi 2010, traduzione di Luca Lamberti.)



venerdì 5 luglio 2019

Miracoli reversibili


(Henri Rousseau, 1897)


















Ulisse lascia la natura com'è, Giosuè la modifica secondo il suo bisogno, perché il Dio dei suoi padri ha creato l'uomo signore della terra. Gliene ha dato governo, ma essa non gli appartiene: gli è affidata perché la custodisca. “E Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino Eden perché lo lavorasse e lo conservasse,” insegna il libro della Genesi. “Lo conservasse”: vuol dire che ne è responsabile, deve risponderne. Il primato dell'uomo sulla natura esclude qui ogni diritto di sopraffazione.
Giosuè ferma sole e luna, Mosè divide le acque, altri profeti compiranno prodigi soprannaturali. Saranno sempre eccezioni che sospenderanno le leggi fisiche per poi ristabilirle. Il sole si rimetterà in moto, le acque del mar Rosso si riuniranno: nella Scrittura gli interventi dell'uomo sul creato sono tutti reversibili.

(Erri De Luca, Una nuvola come tappeto, pag.75 ed. Feltrinelli 1994)





mercoledì 27 marzo 2019

Cavernoso covil coniglio


Questi campi cosparsi di ceneri infeconde,
e ricoperti dell'impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;
dove s'annida e si contorce al sole la serpe,
(i coniglietti sono opera di Beatrix Potter)
e dove al noto cavernoso covil torna il coniglio (...)

(Giacomo Leopardi, da "La Ginestra")


Sotto l'impietrata lava, prosegue Leopardi, "fur liete ville e colti" (cioè campi coltivati): ma "or tutto intorno una ruina volve".


Non ho mai ricavato molto dalle mie letture della "Ginestra" (sono un po' un asino, lo ammetto, e mi ci perdo facilmente) ma alle volte scattano dei contatti, delle connessioni, forse anche dei lapsus; e al posto dello sterminator Vesevo e della lava ho visto noi stessi, e le modificazioni fatte all'ambiente. Dalla lava rinasce una ginestra, chissà cosa rinascerà dal cemento e dall'asfalto, o magari dall'eternit seppellito nei campi di Pavia e della Campania insieme ai rifiuti speciali.
 
Non so cosa rispondermi, la Natura è piena di sorprese e chissà cosa ci aspetta per il futuro; per intanto mi porto via questo verso, "al cavernoso covil torna il coniglio". Mi piace molto, finora mi era sfuggito ma adesso che l'ho trovato il coniglio di Leopardi non vuole più andare via, e devo dire che la cosa non mi dispiace affatto.





martedì 19 marzo 2019

«La metterei sotto con l'automobile»


 «La metterei sotto con l'automobile», ha detto l'altro giorno l'opinionista tv Maria Giovanna Maglie riferendosi alla sedicenne svedese Greta Thunberg, che sta mobilitando i ragazzi della sua età cercando di sensibilizzare più persone possibile al tema del cambiamento climatico. E ha aggiunto: «se non fosse malata». Così mi sono preoccupato e sono andato a cercare informazioni su Greta, che dalle foto sembra più bambina della sua età: mi sono subito rassicurato, non è malata. Le hanno diagnosticato la sindrome di Asperger, ma non è una malattia del fisico e direi che non è nemmeno una malattia, visto come si dà da fare in pubblico.


Mi sarei già dimenticato di questa frase (quante scemenze abbiamo dovuto ascoltare in questi anni...) se non fosse particolarmente rivelatrice. «La metterei sotto con l'automobile» è un commento perfetto, direi involontario, agli argomenti messi in piazza da Greta Thunberg. Greta dice che dobbiamo cambiare i nostri comportamenti, e tra questi c'è anche l'automobile, ovviamente. Le auto danneggiano l'ambiente non solo per le emissioni, ma anche per il fatto che hanno bisogno di strade asfaltate; l'asfalto e il cemento (e il riscaldamento delle nostre case) sono parte importante delle modifiche ambientali che hanno portato all'inquinamento di aria e acqua, e probabilmente anche al riscaldamento globale. Gli studi sulle particelle del famoso PM10, quelle che finiamo col respirare, dimostrano inoltre che c'è una parte consistente di particolato fine costituito da frammenti dei dischi dei freni: ogni volta che tocchiamo i freni, dai dischi si stacca qualcosa. Anche nelle auto elettriche, anche nelle ibride, anche in quelle con emissioni zero. Toccare l'automobile dà fastidio, tutti noi usiamo l'automobile, è comoda, è utile... molti di noi ne farebbero volentieri a meno, ma oggi è quasi impossibile fare a meno dell'automobile. Capisco quindi che gli appassionati d'automobile, toccati sul vivo, prendano posizioni di questo tipo; l'irritazione degli automobilisti non cancella comunque l'esistenza del problema.

Non mi sono ancora fatto un'opinione su Greta Thunberg, non sono sicuro che il suo messaggio vada alle persone giuste . Ad ascoltare Greta, come capita sempre in questi casi, sono solo le persone già sensibili alla causa e non quelle che dovrebbero cambiare i comportamenti; poi va a finire che alle elezioni votano per candidati come Trump. Inoltre, sul piano mio personale, sono sempre stato piuttosto infastidito dai fanatismi (il veganesimo, per esempio) e dai toni da predicatore da strada; però, in fin dei conti, Greta ha solo sedici anni e quello che sta facendo è comunque importante.
Quanto alla "sindrome di Asperger", penso da sempre che sia il mondo a non essere tanto bello; ritirarsi da questo mondo (che pure ci concede molti bei momenti) appare sempre di più un comportamento adeguato. Anche gli animali, per difendersi, molto spesso vivono appartati.
Detto questo, quella frasetta, «La metterei sotto con l'automobile», mi sembra sempre più significativa ogni volta che mi torna in mente. Circa centoventi anni fa, un certo signor Sigmund Freud si interessò di queste cose in un libro che fece epoca, oltretutto di lettura facile e divertente: "Psicopatologia della vita quotidiana", che precede di poco "L'interpretazione dei sogni". Chissà se la signora Maglie lo conosce, io direi di sì ma forse se lo è dimenticato.
(illustrazione di Ake Lewerth)

venerdì 15 marzo 2019

Le api e i fiori


(illustrazione trovata on line senza indicazioni d'autore)

"...la fecondazione dei fiori avviene per mezzo degli stami e dei pistilli, sui quali le api e i calabroni commettono atti impuri permessi, anzi meritori e quasi sacri."

(Luigi Meneghello, Pomo pero, capitolo 5)



Dopo aver purtroppo fatto notare che anche Meneghello confonde i bombi con i calabroni (ma, d'altra parte, usando una lingua "bassa", per di più da bambino, questa confusione ci può stare e forse è voluta), la mia domanda è su quelle persone furbe che ridacchiano e si danno di gomito quando si parla delle api e dei fiori riguardo all'educazione sessuale. Mi sono sempre chiesto: ma queste persone furbe che la sanno lunga, come spiegherebbero il sesso e la maternità a un bambino o a una bambina? Ci penso un attimo, e concludo che preferisco non saperlo; ma un po' di inquietudine a questo riguardo mi rimane dentro, e anche un brivido di freddo. Continuo a pensare che l'esempio delle api e dei fiori, soprattutto per bambini molto piccoli, sia il modo migliore per introdurre l'argomento; purtroppo, per i furbi di cui sopra osservare la Natura è considerato cosa da scemi o da bambini. I furbi di cui sopra (purtroppo abbondano, ce ne sono tanti anche tra i funzionari tv) pensano che i documentari sugli animali e sulla Natura siano una noia, buoni per un riempitivo tra una partita e un talk show. Eppure, la fecondazione dei fiori è uno degli spettacoli più grandi e misteriosi a cui possiamo assistere: se vedete un'ape su un fiore, non correte a prendere l'insetticida, guardate e lasciate correre. La Natura sa sempre quel che fa, noi furbi purtroppo no.






martedì 5 febbraio 2019

Storia del topo

(disegno di Laura Richards, da un libro del 1881)
Vorrei raccontare a Delio una novella del mio paese che mi pare interessante. Te la riassumo e tu gliela svolgerai, a lui e a Giuliano. - Un bambino dorme. C'è un bricco di latte pronto per il suo risveglio. Un topo si beve il latte. Il bambino, non avendo il latte, strilla e la mamma strilla. Il topo disperato si batte la testa contro il muro, ma si accorge che non serve a nulla e corre dalla capra per avere del latte. La capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare. Il topo va dalla campagna per l’erba e la campagna arida vuole acqua. Il topo va dalla fontana. La fontana è stata rovinata guerra e l'acqua si disperde: vuole il mastro muratore che la riatti. Il topo va dal mastro muratore: vuole le pietre. Il topo va dalla montagna e avviene un sublime dialogo tra il topo e la montagna che è stata disboscata dagli speculatori e mostra dappertutto le sue ossa senza terra. Il topo racconta tutta la storia e promette che il bambino cresciuto ripianterà pini, quercie, castagni, ecc. Così la montagna dà le pietre ecc. e il bimbo ha tanto latte che si lava anche col latte. Cresce, pianta gli alberi, tutto muta; spariscono le ossa della montagna sotto nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventa regolare perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura ecc. Insomma il topo concepisce una vera e propria piatilietca (piano quinquennale). E' una novella propria di un paese rovinato dal disboscamento. Carissima Giulia, devi proprio raccontare questa novella e poi comunicarmi le impressioni dei bimbi. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

(Antonio Gramsci, lettera del 1 giugno 1931, da Lettere dal carcere, ed.Einaudi 1965)





mercoledì 30 gennaio 2019

Fumo e fuoco, giardini e frutteti


Due frammenti di autori diversi, che colpiscono per le descrizioni di qualcosa di apparentemente anomalo. C'è ancora qualcuno, oggi, che usa questi metodi in agricoltura?

1.
Kòvrin arrivo da Pesòckij alle dieci di sera. Trovò Tànja e sua padre, Egòr Semënič, in grande agitazione. Il cielo chiaro, stellato, e il termometro preannunziavano il gelo per la mattina dopo, e intanto il giardiniere Ivan Karlyč era andato in città e non c’era altri di cui fidarsi. A cena si parlò solo del gelo della mattina seguente e fu deciso che Tanja non si sarebbe coricata e all’una sarebbe andata in giardino a vedere se tutto fosse in ordine, ed Egòr Semënič si sarebbe alzato alle tre ed anche prima. Kòvrin passò con Tanja tutta la sera e dopo mezzanotte andò con lei in giardino. Faceva freddo. Nella corte si sentiva già un forte odore di bruciato. Nel frutteto, che era chiamato il giardino commerciale e che dava ad Egòr Semënič migliaia di rubli di prodotto netto ogni anno, si stendeva, proprio a livello della terra, un fumo nero, denso e pungente che, avvolgendo gli alberi, salvava queste migliaia di rubli dal gelo. Gli alberi erano lì in ordine come su di una scacchiera e le loro file erano diritte e regolari come ranghi di soldati; questa regolarità pedantesca e il fatto che tutti gli alberi erano della stessa altezza e avevano corone e rami del tutto eguali rendevano il quadro uniforme e perfino noioso. Kòvrin e Tànja andavano tra le file degli alberi, dove bruciavano delle piccole cataste di letame, di paglia e di ogni specie di rifiuti, e di tanto in tanto incontravano operai che vagavano nel fumo come ombre. Erano fioriti soltanto i susini e alcune specie di meli, ma tutto il giardino affondava nel fumo e solo nei pressi della serra Kòvrin poté respirare a pieni polmoni.
«Già quando ero ragazzo starnutivo qui per il fumo, » disse scrollando le spalle. « Ma ancor oggi non ho capito come questo fumo possa salvare dal gelo. »
«Il fumo sostituisce le nuvole quando mancano, » rispose Tànja.
«E a che servono le nuvole? »
« Col tempo scuro e nuvoloso non si produce il gelo della mattina. »
«Ah , capisco! »

Anton Cechov, da "Il monaco nero" (1894), dal secondo volume dei Racconti nell'edizione tascabile Garzanti, traduzione di Ettore Lo Gatto


2.
E c’era anche un sentiero di terra nera, ben battuto, che si addentrava in mezzo agli alberi. Quando Tiburius vi mise piede, non poté non pensare a quel pazzo del piccolo dottore, che un terriccio così per i suoi rododendri e la sua erica doveva ricavarlo dalla combustione di sostanze diverse, mentre lì si trovava già in natura; senza contare poi che in quel luogo, ai piedi degli alberi, vedeva fiorire un’erica molto più bella di quella coltivata dal dottore nei suoi vasi. Si ripromise di parlargliene, una volta tornato a casa.

Adalbert Stifter, Il sentiero nel bosco, pag.50 ed.Adelphi, traduzione di Margherita Belardetti


(fermo immagine da "Lo specchio" di Andrej Tarkovskij)






sabato 26 gennaio 2019

La falda di Milano



Nei primi tempi del digitale terrestre guardavo spesso Rai Storia (oggi non più, la programmazione è di molto peggiorata), che trasmetteva cose interessanti, spesso mai viste o troppo presto dimenticate, incluse le repliche di documentari e servizi tg di anni passati. Tra questi servizi di cronaca replicati (ma per chi non ha mai visto quella trasmissione una replica equivale a una prima visione, sembra ovvio ma vaglielo a spiegare) ne ricordo uno che parlava della falda di Milano, datato a metà anni '70. Milano sorge sopra una grande falda d'acqua, a tutti gli effetti un enorme lago sotterraneo; la stessa cosa capita a molte città e paesi poco a sud delle Alpi, inclusa la zona dove abito io nel comasco. In quella trasmissione ci si preoccupava del calo di livello della falda, un calo vistoso e preoccupante non solo per l'approvvigionamento di acqua potabile ma anche per il pericolo di frane e smottamenti. Oggi invece succede questo: che la falda è tornata a crescere, e in modo così abbondante che bisogna tenere sempre tenere in funzione le pompe per evitare che si allaghino le stazione della metropolitana (soprattutto la linea verde, che porta alla Stazione Centrale). Le due informazioni sono dunque in contrasto fra di loro, e mi immagino già - se solo l'argomento non fosse caduto assai presto nel dimenticatoio - i soliti commenti dei qualunquisti sugli "espertoni" che poi ne sanno meno di noi e che sbagliano le previsioni. Non è così: sono passati quarant'anni, e in questi quarant'anni abbondanti di cose ne sono successe tante. La più visibile, e probabilmente la più importante, è la chiusura delle grandi fabbriche che circondavano Milano, e che pompavano molta acqua dalla falda. Non una cosa da poco: si tratta delle raffinerie di petrolio dei Moratti, dell'Alfa Romeo, delle acciaierie Falck a Sesto. Un'acciaieria ha bisogno di una quantità enorme di acqua, per chi non lo sapesse; e oggi l'acciaieria non c'è più, da molti anni, mentre invece era ancora in piena attività quando fu realizzato quel servizio del telegiornale. Al posto delle raffinerie, a Rho e a Pero, c'è la nuova sede della Fiera di Milano; al posto dell'Alfa Romeo c'è un ipermercato; a Sesto San Giovanni sono in gioco speculazioni edilizie di vario tipo. Insomma, la falda ha tutte le ragioni di crescere, visto che le fabbriche che pompavano acqua sono state chiuse tutte.
Sembrerebbe una favola a lieto fine, allagamento del metrò a parte, se non fosse per un dettaglio non da poco: le falde sotterranee si riempiono con le precipitazioni atmosferiche (acqua e neve) che penetrano nel terreno, e con l'acqua che arriva dalle montagne. In questi anni c'è stata una grande siccità, nevai e ghiacciai si riducono sempre di più; e le precipitazioni atmosferiche non penetrano più nel terreno perché abbiamo asfaltato e cementato quasi tutto, e l'acqua piovana va direttamente nei condotti delle fogne (spesso allagando tutto, perché le "bombe d'acqua" non sono gestibili dai tombini) quindi senza più penetrare nel terreno. Se a questo si aggiunge l'inquinamento del terreno (in Lombardia la cronaca ci ha portato notizie terribili in proposito), non c'è molto da stare allegri. Nell'estate 2017 a Parma (a Parma, in zona Po) è stata razionata l'acqua potabile per mesi, a causa della siccità; qui in Lombardia ho ascoltato al tg dei politici di governo in Regione dire "da noi non c'è problema perché abbiamo la falda". Beh, speriamo che duri la pacchia. Cos'altro dire?


(nella foto, l'expo di Milano del 1906)

domenica 6 gennaio 2019

Jogging


La mattina presto, ma solo sabato e domenica, li vedo passare davanti alle finestre; oppure esco e mi tallonano da vicino come in una spy story. Ma non sono dietro di me, ansanti, per farmi del male: infatti mi sorpassano e se ne vanno, sudati e un po' scomposti, in mutande d'estate e in tuta firmata d'inverno. Che dire, è una bella cosa tenere in ordine il fisico. Io non ho più l'età per correre (artrosi, ahimè) e un po' li invidio, ma c'è qualcosa che non mi torna. Quello che non mi torna è questo: che vengono tutti da case nuove, costruite da pochissimi anni. Mi ricordo ancora i volantini dell'immobiliare che vendeva quelle villette: "la tua casa nel verde", dicevano. Tradotto in linguaggio comprensibile, significa che prima c'era il verde (campo coltivato, prosecuzione del bosco con un po' di robinie), ma ora c'è la tua casa e il verde non c'è più se non per qualche asfittico giardino. Ma quelli che fanno jogging, forse, credono di essere ecologici; stanno attenti ai sacchetti di plastica, comprano l'auto ibrida, fanno jogging, magari qualcuno è anche vegano. Di quel che c'era prima, prima della tua casa nel verde, a loro credo che non importi niente.

Io non sono vegano, cerco di stare attento a quello che mangio (nei limiti del possibile), ho un'auto che uso pochissimo, e i sacchetti di plastica continuo a usarli, finché posso: li uso e li riuso, anche per un anno, finché reggono, e poi li butto nella plastica (raccolta differenziata, qui si fa da decenni). E poi osservo i corvi, le gazze, le cornacchie: fino a qualche anno fa, fino a prima che costruissero "la tua casa nel verde", qui da me non venivano quasi mai, adesso li conosco uno per uno e potrei perfino dar loro un nome. Corvi, gazze e cornacchie vivevano sulle robinie: "la tua casa nel verde" ha sfrattato anche loro, ma a chi vuoi che importi, "baby we are born to run".


(la foto del curbàtt sul balcone è mia)

martedì 11 dicembre 2018

No tav, sì tav


A Torino, metà novembre, c'è stata la "marcia dei trentamila" per dire sì alla TAV; l'altro ieri, sempre a Torino, una folla forse anche superiore per dire di no alla TAV. Se ne è parlato molto ma secondo me manca nei commenti un dettaglio fondamentale. Si tratta, di fatto, di un contrasto fra città e campagna, o città e montagna. Non c'è dialogo: gli abitanti della Val di Susa e delle altre zone interessate dai lavori vorrebbero difendere l'ambiente in cui vivono (il cantiere durerà vent'anni), i cittadini ribattono che le infrastrutture, lo sviluppo, eccetera. Dato che di mezzo c'è il cemento, vincono senz'altro i cittadini che nel cemento vivono fin dalla nascita e non conoscono altro modo di vivere (tranne la domenica, il week end quando si va a sciare, a fare il pic nic, o al mare). Oltretutto, il cemento rende soldi, l'ambiente intatto no. Mi piacerebbe che si parlasse di queste cose, invece si risponde sempre con questioni puramente economiche. Mi metto nei panni di uno della mia età che abita in Val di Susa: il cantiere durerà vent'anni, e si sa che vent'anni in Italia possono diventare anche trenta o quaranta. Esistono anche opere incompiute e lasciate lì come sono, gli esempi purtroppo sono tanti. In queste condizioni, una persona sopra i cinquanta difficilmente potrà tornare a fare una passeggiata in quelle zone.

 
Due altre considerazioni prima di chiudere: in questo ambito possono rientare anche i "gilet gialli" francesi, perché la loro protesta (clamorosa) nasce da tasse sull'automobile e la benzina. Guai a toccare l'automobile, insomma. Su un mio piano strettamente personale, la marcia dei 30 mila mi ricorda quella dei 40mila della Fiat, sempre a Torino, che di fatto pose fine al potere contrattuale degli operai; prima contro gli operai, oggi contro l'ambiente. Come finì quella marcia, degli anni '70? Quali furono i risultati? Oggi a Torino di fatto la Fiat non c'è più. Chiusa Mirafiori, chiuso il Lingotto, la nuova FCA ha sede in Olanda. Ma molti di quei quarantamila fecero in tempo ad andare in pensione, beati loro. E chissà come sarà la Val di Susa, fra quarant'anni.

(nell'immagine, dal Saint Louis Dispatch del 1910, una previsione sul futuro - cioè oggi)

giovedì 29 novembre 2018

Grattacieli a Milano


« ... Milano è una delle poche città del mondo ad avere una così affascinante struttura di strade e viali a griglia. E' difficile pensare al perché ci sia stato bisogno di saltare fuori dal sistema organico con i grattacieli (le immagini mostrano le torri di Porta Nuova, poco distanti). Non sono contrario alla verticalità, anzi, amo i grattacieli. La Torre Velasca e il Pirelli ne sono esempi bellissimi, ma bisogna che i grattacieli vengano inseriti in un contesto e che siano in dialogo con l'esistente. Invece questi grattacieli sono stati progettati andando contro il DNA della città, e il risultato è un caos. E non parlo della qualità individuale degli edifici: anche il "bosco verticale" (aggiunge rivolgendosi a Stefano Boeri, seduto in platea) sarebbe più armonico se fosse in un contesto meno caotico di questo.»
L'architetto svizzero Jacques Herzog a Milano, Fondazione Feltrinelli, da Repubblica 25 maggio 2018
« Spero che nel suo progetto ci sia quello di aumentare gli alberi, - dice ancora Jacques Herzog al sindaco Sala; - in molti posti si potrebbero addirittura raddoppiare. E' una proposta popolare che di solito porta voti (...) »


Sul fatto che piantare alberi in città porti voti, mi permetto di avere molti dubbi (temo che sia vero il contrario: è una vita che sento dire che gli alberi sporcano l'automobile, cascano con la neve e il vento, e al loro posto si può fare un parcheggio...). Per il resto, sono completamente d'accordo. Aggiungerei ancora che per secoli l'Italia è stata di modello alle altre nazioni, oggi invece andiamo a rimorchio di Chicago, di New York, perfino di Dubai e di Singapore. Ma Milano non è il Dubai, non è New York (New York si affaccia sull'oceano, venendo dal mare i grattacieli fanno un effetto che non è replicabile nella pianura padana), come sarebbe bello avere una città a misura d'uomo. Invece, ecco i grattacieli: chissà che fine avranno fatto i residenti nella zona di Porta Nuova, che avrebbero voluto un parco e invece si ritrovano davanti a casa un grattacielo che gli porta via la luce del sole. Se ne parlava prima che si costruissero i grattacieli, poi basta. Si parla solo del valore commerciale della zona, si magnifica il "bosco verticale" (che costa una fortuna in manutenzione), si esalta la "nuova skyline di Milano", si progettano cose simili a Mantova, ci sarà un grattacielo anche a Cantù, e immagino che si lavori ancora sottotraccia al progetto per la megatorre di Pierre Cardin a Venezia. Io continuo a pensare che i boschi siano più belli al loro posto, per terra; rifletto sui parchi costruiti a Milano dopo il 1945, sulle rovine dei bombardamenti. Dopo il 1945 Milano ebbe dei parchi nuovi, il Parco delle Basiliche e il Monte Stella, nati dalle rovine dei bombardamenti e dal loro sgombero. Gli architetti e gli amministratori del Nuovo Millennio ci costruirebbero dei grattacieli, almeno tre e tutti sghembi o storti. E, mi raccomando, che siano più alti della Madonnina del Duomo: basta con i tabù e con i pregiudizi, come dicono loro mettendo a tacere con un ghigno chi non è d'accordo.

Un saluto e un abbraccio alle persone che abitavano o abitano ancora a Porta Nuova, e che si sono opposte senza successo alla "nuova skyline". Sappiano che ormai è così dappertutto, anche nei più piccoli comuni. Non consola, lo so, e non è affatto vero che "mal comune mezzo gaudio". Non in questi casi, di certo (chissà cosa ci diranno, i nostri pronipoti...).

(nelle immagini, un mio montaggio di Mosca, Dubai, Chicago e Milano; ma potrebbero essere Londra, Astana, Seattle, Hong Kong, magari anche Venezia tra qualche anno, se il progetto Cardin va in porto)


lunedì 5 novembre 2018

L'auto ecologica ( 2 )

L'auto ecologica non esiste. Per funzionare, un'automobile deve avere una strada; e le strade distruggono l'ambiente. Su una strada non cresce niente, se ci passano le automobili; quasi niente sulle strade sterrate, niente del tutto sull'asfalto o sul cemento, per chilometri e chilometri. Vale anche per i fuoristrada, che corrono sulle stesse strade delle altre automobili e che inoltre fanno danni (rendendo onore al loro nome) anche fuori dal manto stradale. Esiste l'automobile che inquina meno delle altre, certo: si è provveduto a migliorare i gas di scarico, ed è certo un'ottima cosa, ma ecologia è il rapporto con l'ambiente, e se si distrugge l'ambiente cosa resta?
Sembra una banalità, o magari un discorso strano (così strano che non lo inizio mai, so già come mi guardano se tocco questo tasto), ma l'auto ecologica è una contraddizione in termini, ed è triste constatare che l'aggettivo "ecologico" sia diventato solo un espediente del marketing. Ti compri un'auto nuova e sei ecologico: ma non è vero, se ci pensi solo un attimo ti accorgi che non può essere vero.

Provo a mettere qui qualche spunto di riflessione, giusto per provare a pensare almeno un po' a cosa succede. Di solito mi chiedono "e allora tu cosa vorresti fare", ma io non sono nessuno e non posso farci niente, solo vorrei che almeno se ne parlasse. Comunque sia: 1) Le buche nelle strade, tutti si lamentano ma nessuno pensa a cosa succede: anche volendo sorvolare sulle più che probabili truffe degli asfaltatori (l'utilizzo di materie prime scadenti, per esempio), va detto che il traffico aumenta da decenni in maniera esponenziale. Non solo le auto sempre più grosse e pesanti (i suv) ma anche i Tir che riforniscono i centri commerciali, i furgoni delle consegne a domicilio (ci avete mai pensato? tutti incensano il commercio on line, ma poi le consegne le fanno con i furgoni, e sono tanti, e anche molto aggressivi). 2) I ponti che crollano: non è solo l'invecchiamento del cemento armato, c'è anche il traffico più che raddoppiato rispetto a quando furono progettati. Molte più auto, sempre più grosse e pesanti, e molti tir e furgoni. 3) I camper: chi usa un camper passa per un amante dell'ecologia, ma avete mai fatto caso a quanto è grande un camper? Ricordo racconti di camperisti o roulottisti che si vantavano di essere passati su stradine strette di montagna, magari in Sardegna o in Corsica... 4) Il motocross e anche il ciclocross, stesso discorso. Una persona sola, o magari due, possono anche tagliare per i boschi; ma se ci si fanno le gare, che fine fa il bosco, o il prato? 5) I parcheggi: qui in paese si sono lamentati per i parcheggi fuori dalla scuola elementare, ed è ovvio che tutti siamo in difficoltà e vorremmo trovare parcheggi più facili, però basta un piccolo calcolo per capire che si tratta di trecento o quattrocento auto che ogni giorno al termine dell'orario scolastico convergono in quel punto preciso. Che si fa, un paese tutto di parcheggio? Per fare il parcheggio attuale sono state demolite tre villette con giardino e un'area coltivabile, ma ancora non basta. 6) I fuoristrada sono benemeriti se usati dalle poche persone che ne hanno veramente bisogno, guardaboschi, pompiere, ambulanze; se ne passa uno ogni tanto non succede quasi niente, se ne passano decine o centinaia arrivano le frane. E poi, non è detto che queste "super automobili" servano sempre: lo spettacolo dei suv buttati là dalle mareggiate o dalle recenti alluvioni fa impressione.
Eccetera, di esempi se ne potrebbero fare tanti altri: per esempio la Strada Regina sul lago di Como, dove c'erano delle case (case d'altri tempi) che rallentavano il traffico, a dire degli automobilisti. Oggi quelle case sono state abbattute, la strada è stata allargata, ma gli intasamenti ci sono lo stesso, basta poco sulla Regina per fare fermare tutto. Le frane, per esempio. Forse quelle case erano lì per dirci che avere la Regina era giù un miracolo, o un lusso: sulle sponde del lago, di là la ripa scoscesa della montagna, di qua la ripa scoscesa che porta al lago, con magari la cascatella in mezzo e i massi sospesi tenuti fermi dalle reti (chi ci è passato lo sa, suggestivo ma anche da brividi). Se poi ci facciamo passare anche i suv e i tir...
 

Ecco, questo è il discorso che avrei voluto iniziare tante volte. So già che poi mi dicono, con una smorfia sarcastica, "ma allora tu cosa vorresti fare?". Non lo so, io non sono nessuno e non ho suggerimenti da dare, al massimo - così passo davvero per matto, lo so già - posso suggerire di leggere l'ottocentesco Samuel Butler, che in "Erewhon", nei capitoli intitolati "Il libro delle macchine" aveva già capito tante cose. (qui)

(il disegno è di John Falter, la foto era on line senza indicazioni sull'autore)

sabato 3 novembre 2018

L'auto ecologica ( 1 )

Luigi Meneghello era figlio di un meccanico d'auto, gli piacevano (come a tanti italiani) le moto e le automobili. Quando si trasferì in Inghilterra, per insegnare all'Università di Reading, scoprì che la passione per le automobili non era altrettanto diffusa in quelle contrade. Meneghello lo spiega bene anche nell'intervista televisiva con Marco Paolini: per gli inglesi, l'automobile era solo un mezzo per andare da un posto a un altro, senza altri particolari significati; e di questo era rimasto deluso e sorpreso. Ho trovato molti di questi "rottami" anche nei libri di James Herriot, e in altri libri inglesi; e devo dire che ho trovato queste pagine divertenti e anche commoventi, perché in anni difficili (gli anni '30 per il veterinario Herriot, gli anni '40 del primo dopoguerra per Meneghello) si dava il giusto valore alle cose, almeno in Inghilterra, e l'automobile non era al primo posto in quella scala di valori.
Quando uscimmo, [il vicario] si offerse di portarmi intanto alla Hall in macchina. «I’ve got a car» mi disse, e nel verbo del possesso, e specialmente in quel “Ka” si sentiva l’orgoglio del padrone di un carro in quei tempi grami. Andammo a riprendere il Ka. Aveva accennato che era una berlina (saloon) nerastra (maroon). C’era qualcosa di distintamente volgare nel suo modo di proferire queste parole, e anche buona parte delle altre. Arrivammo al Ka, un manufatto molto deprimente. Appresi, in seguito, che un Ka non aveva le caratteristiche essenziali delle nostre automobili, la maggiore o minore bellezza delle forme per esempio, o l’agilità impetuosa del motore, presente o carente. Il Ka era un aggeggio utilizzabile per il trasporto delle persone e dei loro ammennicoli. E basta. Anzi si sarebbe detto che quanto più era brutto, vecchio, goffo, se possibile anche parzialmente sfasciato, tanto più risaltava la sua essenza pragmatica. Qui poi c’era un tratto negativo particolare. Il Ka del vicario era come lui, come la sua voce, era un po’ sguaiato. (...)
(Luigi Meneghello, Il dispatrio, pag.85 ed.BUR 2007)
 

Amo molto Meneghello, ma sulla questione delle auto e delle moto non sono mica tanto d'accordo con lui, e penso ogni giorno di più che bisognerebbe davvero cominciare a considerare l'automobile per quello che è, un mezzo di trasporto e non un giocattolo. So già che è una partita persa in partenza, fin da piccoli siamo condizionati dal "brum brum" delle macchinine e ci insegnano a guardare le moto con ammirazione (le moto grosse!). Insomma, l'automobile e la strada asfaltata ormai da tempo vengono vissute come se fossero il nostro ambiente naturale; sulla questione però ci sarebbe molto da dire, a cominciare dal fatto che l'asfalto non si mangia e dove c'è l'asfalto non cresce niente. Ci avevate mai pensato?
Siamo stati cresciuti, fin da piccoli, con il mito della formula uno, dei rallies, delle gare in moto, di Los Angeles e delle autostrade sopraelevate; il nostro immaginario ormai è quello e sarà difficile cambiarlo, ammesso che lo si voglia. Però ci si dimentica sempre di un dettaglio non da poco: a Los Angeles c'è il deserto. In un posto situato dentro il deserto, o ai suoi confini, si può ben costruire un'autostrada a cinque corsie per senso di marcia. Lo stesso capita a Las Vegas (il deserto del Nevada, dove facevano i test per la bomba atomica), o in Qatar e in Oman, paesi presi a modello dall'edilizia in questo inizio di millennio.
In Italia il deserto non c'è, ma c'è chi si impegna per crearlo e direi che siamo già a buon punto. Vrum vrum a tutti.

 
(le due foto erano su internet, purtroppo senza indicazioni sull'autore)
 

giovedì 14 dicembre 2017

L'attesa



"... L'importante è che due più due fa quattro, il resto sono tutte sciocchezze"
"Anche la natura è una sciocchezza?" fece Arkàdij, guardando pensieroso in lontananza i campi variopinti, illuminati soavemente e dolcemente dal sole ormai basso.
" Anche la natura è una sciocchezza nel senso in cui la intendi tu. La natura non è un tempio, ma un'officina in cui l'uomo è un operaio."
In quello stesso istante dalla casa volarono fino a loro le lente note di un violoncello. Qualcuno stava suonando con sentimento, anche se con mano inesperta, L'attesa di Schubert e nell'aria si diffondeva una dolce melodia.
" Cos'è?" fece stupito Bazarov.
"E' mio padre."
"Tuo padre suona il violoncello ?"
" Si."
dipinto di C. Lorraine

TurgenevPadri e figli




La sonata D960 ( "L'attesa" è il secondo movlmento- andante sostenuto- ) 
Il secondo movimento  ( video )
Il secondo movimento  ( video )  nella versione per violoncello

domenica 8 ottobre 2017

Vortice

Cominciò a essere notato molto tempo addietro lo strano nesso che un Sioux spontaneamente stabilisce fra una serie di enti per noi disparati: i bozzoli, che si legano alla nascita di ragni, farfalle, falene, ma anche agli alci, ai bisonti e ai lupi. Si è ricostruito il perché di questa trafila. Si osservi un bozzolo o crisalide: è l'avvolgersi vorticoso di fili setosi attorno a un asse vuoto; osservando con partecipazione si può sempre avvertire, ricostruire quel vorticare costitutivo. Dal bozzolo della crisalide spesso vediamo nell’estate nascere ragni, farfalle e falene, che osserveremo di poi vorticanti nel vento. Vedremo i ragni, avvolti nella loro tela, trasportati dal vento, percorrere centinaia di chilometri. Ma consideriamo nella secca estate alci, bisonti, lupi. Il maschio all’improvviso scalcia il suolo e la polvere si solleva in un gorgo, avvolgendosi alla femmina prescelta, isolandola. La stessa girandola esprime dunque anche l’essenza di questi quadrupedi.
Tutti questi esseri incarnano ciò che il Sioux agogna di ottenere: con l’aria anche lui desidera entrare in una relazione intima, con essa si vorrebbe immedesimare. Aspira a essere un vento rapinoso, ad attorcigliarsi subitaneo attorno alle prede e quindi a volar via di scatto. La sua sensibilità è più sottile della nostra. Coglie un'infinità di particolari, che sfuggono ai sensi riposati. Sorprende la velocità delle sue associazioni. Vive in un tempo accelerato rispetto al nostro e capirlo è arduo; cosi é quasi impossibile ghermire un animale dal tempo più svelto del nostro, colombo o rondinella che sia.


(Elemire Zolla, Lo stupore infantile, pag.96 edizione Adelphi 1994) (sul nomadismo)


















(il dipinto di William Blake è del 1799,
la foto ottocentesca
di un indiano Sioux è purtroppo senza indicazioni)

giovedì 31 agosto 2017

Bahia, Brasile


Bahia, Brasile, 1838
(...) Questi sono gli elementi del paesaggio, ma è un tentativo senza speranza quello di descrivere l’effetto generale. Dotti naturalisti descrivono questi spettacoli dei tropici nominando una quantità di oggetti ed enumerando qualche loro particolare caratteristico. Per un dotto viaggiatore ciò può forse dare qualche idea definita, ma chi, vedendo una pianta in un erbario, può immaginare il suo aspetto quando cresce sul suo terreno nativo? Chi, vedendo delle piante in una serra, può ingrandirne alcune fino alle dimensioni degli alberi nella foresta e ammucchiarne altre in una giungla intricata? Chi, guardando nello studio di un entomologo le brillanti farfalle esotiche e le singolari cicale, assocerà a questi oggetti senza vita l'incessante musica di queste ultime e il volo pigro delle prime, costanti ornamenti del meriggio tranquillo e ardente dei tropici? E' quando il sole ha raggiunto la sua altezza maggiore che si devono vedere tali spettacoli; allora il denso e splendido fogliame del mango nasconde il terreno con la sua ombra più scura, mentre i rami superiori sono del verde più brillante per la profusione della luce. Nelle zone temperate il caso è diverso; qui la vegetazione non è così scura o così ricca e perciò i raggi del sole declinante, tinti di rosso, di porpora o di giallo brillante, accrescono la bellezza di quei climi.
Mentre camminavo tranquillamente lungo i sentieri ombrosi e ammiravo ogni panorama che si susseguiva, desideravo trovare parole capaci di esprimere le mie idee. Qualsiasi aggettivo mi sembrava troppo debole per dare a quelli che non hanno visto le regioni intertropicali la sensazione di delizia che prova la mente. Ho detto che le piante in una serra non danno una giusta idea della vegetazione, ma devo ricorrere a questo paragone. La terra è una grande, selvaggia, disordinata e lussureggiante serra, fatta dalla natura stessa, ma della quale si é impossessato l’uomo, che l'ha riempita di case allegre e di giardini ordinati. Come sarebbe grande il desiderio di ogni ammiratore della natura di vedere, se fosse possibile, il paesaggio di un altro pianeta! Eppure si può dire con verità a ogni persona in Europa che soltanto alla distanza di pochi gradi dalla sua terra natale gli splendori di un altro mondo sono aperti per lui. Durante la mia ultima passeggiata mi fermavo ogni tanto ad ammirare quelle bellezze e mi forzavo di fissare nella mia mente per sempre un'impressione che sapevo che col tempo, prima o poi, sarebbe svanita. Le forme dell'arancio, della palma, del cocco, della felce arborea e del banano resteranno nitide e distinte; le mille bellezze che le fondono in uno scenario perfetto svaniranno, ma lasceranno, come un racconto udito nella fanciullezza, un quadro pieno di figure indistinte, ma bellissime.
(Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, pag.607 ed. Giunti 2002, traduzione di Mario Magistretti)


(il dipinto di Henri Rousseau è del 1907, l'immagine di Darwin viene dal sito "Projeto Darwin na Bahia")



giovedì 27 luglio 2017

Tempesta di foglie

E' un pezzo che Pel di Carota, assorto, tien d’occhio la foglia più alta del pioppo grande. Fantastica, aspettando che si muova. Pare staccata dall’albero, si direbbe che viva a sé, sola, senza gambo, libera. Ogni giorno si indora al primo e all’ultimo raggio di sole. Da mezzogiorno sta lì immobile, come morta, pare una macchia piuttosto che una foglia, e Pel di Carota si spazientisce, a disagio, quando finalmente la foglia fa un segno. Sotto di lei, una foglia vicina fa lo stesso segno. Altre foglie lo ripetono, lo comunicano alle foglie vicine, che lo trasmettono rapidamente. E' un segno d’allarme, perché all’orizzonte compare l'orlo d’una calotta bruna.
Il pioppo rabbrividisce già! Tenta di muoversi, di smuovere i grevi strati d’aria che lo impacciano.
La sua inquietudine contagia il faggio, una quercia, gli ippocastani, tutti gli alberi del giardino avvertono a gesti che nel cielo la calotta si allarga, spinge innanzi il suo orlo netto e cupo.
Prima agitano le rame sottili, zittiscono gli uccelli, il merlo che gettava qualche nota a casaccio, come un pisello verde, la tortorella che Pel di Carota un momento fa vedeva versare a scatti il suo tubare dalla gola variopinta, la gazza intollerabile con quella sua coda da gazza. Poi mettono in moto i grossi tentacoli, per spaventare il nemico. La calotta livida continue la sua lenta invasione. Soffitta a poco a poco il cielo. Ricaccia il sereno, tura i buchi che potrebbero lasciar entrare l’aria, si prepara a soffocare Pel di Carota. A volte si direbbe che cede sotto il suo stesso peso, sta per cadere sul villaggio ma si ferma sopra la punta del campanile, teme di stracciarvisi.
Eccola così vicina che, senz’altra provocazione, il panico si scatena, s’alzano fragori. Gli alberi confondono le masse scure e corrucciate in fondo alle quali Pel di Carota immagina nidi pieni d’occhi tondi e di becchi bianchi. Le vette si tuffano e raddrizzano come teste svegliate di soprassalto. Le foglie scappano a branchi, tornan subito, impaurite, ammansite, e tentano di riappiccarsi. Quelle fini dell’acacia sospirano, quelle della betulla scorticata si lagnano; quelle dell'ippocastano fischiano, e le aristolochie rampicanti gorgogliano inseguendosi sul muro.
Più giù i meli tozzi scuoton le mele, fan suonare il terreno di tonfi sordi. Più giù i ribes sanguinano gocce rosse, i ribes neri gocce d’inchiostro. E più giù i cavoli ubriachi agitano le orecchie di asino e le cipolle si urtano tra loro, spaccano le palle gonfie di semi. Perché mai? Cos’hanno mai? E che cosa vuol dire tutto questo? Non tuona. Non grandina. Né un lampo né una goccia d’acqua. E' quel nero tempestoso lassù, quella notte silenziosa in pieno giorno che li fa impazzire, che spaventa Pel di Carota.
Ora la calotta è completamente spiegata sotto il cielo nascosto. Si muove. Pel di Carota lo sa; scivola, fatta di mobili nubi; lei scomparirà, lui rivedrà il sole. Tuttavia, benché soffitti del tutto il cielo, la calotta gli stringe la testa. Lui chiude gli occhi e lei gli benda le palpebre, dolorosamente.
Lui si caccia le dita nelle orecchie. Ma la tempesta entra in lui, dal di fuori, coi suoi gridi, il suo turbine. Gli afferra il cuore come una cartaccia sulla strada. Lo spiegazza, lo gualcisce, lo accartoccia, lo appallottola. E Pel di Carota non ha ormai più che un cuoricino da nulla, una pallottola di cuore.

(Jules Renard, Pel di Carota, pag.149 ed. BUR 1951, traduzione Piero Bianconi)
(dipinto di Pieter Kluyver, 1816-1900)

martedì 18 luglio 2017

L'eterna domanda


Era una mattinata calda, subito prima della Pentecoste. Nell’orto di Ester apparivano già verdi germogli. Yasha aprì la porta della stalla ed entrò. (...) A volte gli accadeva di tornare da un viaggio e di constatare che uno dei suoi beniamini se n’era andato, ma questa volta nessun animale era morto. Si sentiva di buon umore e si aggirò senza meta per la sua proprietà. L’erba nell’aia era verde e vi crescevano molti fiori: boccioli gialli, bianchi, variegati, e fiori piumati che si disperdevano ad ogni brezza. Arbusti e cardi arrivavano sin quasi al tetto della capanna. Farfalle svolazzavano qua e la, e api ronzavano di fiore in fiore. Ogni foglia ed ogni stelo avevano i loro abitatori: un bruco, un insetto, un moscerino, creature a malapena discernibili ad occhio nudo. Come sempre, Yasha si meravigliò della loro presenza. Da dove venivano? In che modo esistevano? Che cosa facevano durante la notte? In inverno morivano, ma con l’estate gli sciami tornavano, Come accadeva tutto ciò?


 Quando si trovava nella taverna, Yasha recitava la parte dell’ateo, ma in realtà credeva in Dio. La mano di Dio appariva evidente ovunque. Ogni frutto, ogni ciottolo, ogni granello di sabbia ne proclamavano l’esistenza. Le foglie dei meli erano roride di rugiada e scintillavano come candeline alla luce mattutina. La sua casa si trovava ai margini della città, ed egli vedeva vasti campi di frumento, per il momento verdi, ma che di lì a sei settimane sarebbero stati di un giallo dorato, pronti per la mietitura. Chi creava tutto ciò? si domandava Yasha. Il sole, forse? In questo caso, chissà, il sole era Dio. Yasha aveva letto in qualche sacro testo come Abramo avesse adorato il sole prima di credere all’esistenza di Jehova. No, non era ignorante, Suo padre era stato un uomo dotto, e Yasha aveva studiato persino il Talmud da ragazzo. Dopo la morte del padre gli avevano consigliato di continuare gli studi, e invece era entrato a far parte di un circo viaggiante. Per metà ebreo, per metà gentile... non si considerava né ebreo né gentile. Aveva elaborato una propria religione: esisteva un Creatore, che però non si rivelava a nessuno e non lasciava capire in alcun modo che cosa fosse permesso o proibito. Coloro i quali parlavano in suo nome erano mentitori.
(Isaac B. Singer, Il mago di Lublino, pag.11-12 ed. TEA-Longanesi, trad.Bruno Oddera)
(quando voglio farmi del bene, leggo Isaac B. Singer)

 
(i due dipinti sono di Marc Chagall)