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domenica 25 marzo 2018

Il labirinto senza muri


Narrano gli uomini degni di fede che nei primi giorni ci fu un re delle isole di Babilonia che radunò i suoi architetti e maghi e ordinò loro di costruire un labirinto tanto complicato e sottile che gli uomini più prudenti non osavano entrarvi, e coloro che entravano si perdevano. Quest'opera era uno scandalo, perché la confusione e la meraviglia sono proprie di Dio e non degli uomini. Con l’andar del tempo venne alla sua corte un re degli arabi, e il re di Babilonia (per farsi beffe della semplicità del suo ospite) lo fece entrare nel labirinto, dove vagò vergognoso e confuso fino al calar della sera. Allora implorò l’aiuto divino e trovò la porta. Le sue labbra non profferirono alcuna lamentela, ma disse al re di Babilonia che egli aveva in Arabia un labirinto migliore, e che se Dio voleva, un giorno glielo avrebbe fatto conoscere. Poi tornò in Arabia, riunì i suoi capitani e cadì e invase i regni di Babilonia con tanta venturosa fortuna che ne abbattè i castelli, ne sbaragliò le genti e fece prigioniero lo stesso re. Lo legò sulla schiena di un veloce cammello, e gli disse: “O re del tempo e sostanza ed emblema del secolo! a Babilonia mi facesti perdere in un labirinto di bronzo con molte scale, porte e muri; ora il Potente ha voluto che ti mostri il mio, dove non esistono scale da salire né porte da forzare, né faticose gallerie da percorrere, né muri che ti vietino il passo." Poi gli sciolse i lacci e lo abbandonò in mezzo al deserto, dove morì di fame e di sete.


Storia dei due re a dei due labirinti, da "The land of Midian Revisited" (1879) di R.F. Burton
tratto da "Racconti brevi e straordinari", a cura di Adolfo Bioy Casares e Jorge Luis Borges, pagine 84-85 edizione Franco Maria Ricci, traduzione di Gianni Guadalupi.



martedì 29 agosto 2017

La memoria di Venezia


Venezia, la città che amo di più al mondo, è soprattutto un labirinto. Esattamente come la rappresentò, nel 1500, con le sue tavole incise nel legno di pero, Jacopo de' Barbari, nella sua sorprendente Veduta a volo d'uccello ( qui ). Una Venezia quasi spettrale, che fa venire le vertigini per la precisione dei suoi dettagli. Le calli e i ponti, che spesso non conducono da nessuna parte e ti fanno tornare al punto di partenza. Quando ci si perde per Venezia si riacquistano le immagini del proprio passato, attraverso percorsi attorcigliati.
C'è un dettaglio che Jacopo de' Barbari non poteva mettere a fuoco e che è frequente meta delle mie visite e utile appiglio dei miei ricordi. Nell'alto e vecchio muro che delimita la Corte Centani, sulla Fondamenta Venier dai Leoni, dietro la fondazione Guggenheim, a tre metri di altezza, sta conficcata una testina di marmo bianco. Sembra un fantasma, o uno Zefiro, che voleva sbucar fuori, ma è rimasto impigliato nel momento di trapassare i mattoni. E' il volto di un rubicondo ragazzo con le guance gonfie e la bocca contratta, come se stesse per emettere un soffio.
Venezia è piena di pezzi di statue antiche incastonate negli angoli e nelle pareti dei suoi palazzi. Come le statue dei Mori, che danno il nome alle Fondamenta e al Campo. Uno se li trova di fianco all'improvviso, alla propria altezza come viandanti freddi e misteriosi. ( qui )
Questi frammenti mostrano come parte della bellezza della città lagunare sia stata costruita con le razzie dei palazzi dell’Oriente. Ogni nave che tornava trasportava  – anzi: doveva per obbligo  portare – statue, colonne, pavimenti che servivano ad abbellire la città. La Basilica di San Marco è l’esempio più vistoso di un patchwork di furti, un collage di stili e materiali, estratti dal loro contesto e funzioni originali, che la rendono unica e inimitabile. Mi pare che così anch’io scrivo quando racconto miei ricordi: a volte rubo pezzi da altre storie, incastonandoli nelle mie.

Francesco M. Cataluccio, L'ambaradan delle quisquiglie, ed. Sellerio


mercoledì 28 giugno 2017

Un vortice di nulla



"...Nel cuore dell’Orlando Furioso c'è un trabocchetto, una specie di vortice che inghiotte a uno a uno i principali personaggi (...) Un vortice di nulla."
 
Italo Calvino





Ariosto allontana diversi cavalieri dal campo di battaglia e dunque da Parigi, assediata dai Mori, e li manda in cerca di qualcosa che hanno perduto: la persona amata, il proprio antagonista, il cavallo o un semplice oggetto; ognuno di loro ha l'impressione di poter riafferrare ciò che ha smarrito all'interno di un magico castello in cui gli  capita di entrare e del quale resta prigioniero.

                                    ....e così stanno,
che non si san partir di quella gabbia;
e vi son molti a quest'inganno presi,
stati le settimane intiere e i mesi.





Nel dodicesimo canto dell’Orlando Furioso si materializza il più illusorio dei luoghi, il castello del mago Atlante. I cavalieri che ne varcano la soglia finiscono per dimenticare ogni cosa meno che l'oggetto del loro desiderio e il  desiderio, osserva Italo Calvino "è una corsa verso il nulla".



Se con Gradasso o con alcun ragiona
di quei ch’andavan nel palazzo errando,
a tutti par che quella cosa sia,
che più ciascun per sé brama e desia.



"... il palazzo è deserto di quel che si cerca, e popolato solo di cercatori. Atlante ha dato forma al regno dell’illusione; se la vita è sempre varia e imprevista e cangiante, l’illusione è monotona, batte e ribatte sempre sullo stesso chiodo.
Questi che vagano per androni e sottoscala, che frugano sotto arazzi e baldacchini sono i più famosi cavalieri cristiani e mori: tutti sono stati attratti nel palazzo dalla visione d’una donna amata, d’un nemico irraggiungibile, d’un cavallo rubato, d’un oggetto perduto. Non possono più staccarsi da quelle mura: se uno fa per allontanarsene, si sente richiamare, si volta e l’apparizione invano inseguita è là, affacciata a una finestra, che implora soccorso.
Lo stesso grido d’aiuto, la stessa visione che a Ruggiero parve di Bradamante e a Orlando parve Angelica, a Bradamante parrà Ruggiero. Il desiderio è una corsa verso il nulla, l’incantesimo di

Atlante concentra tutte le brame inappagate nel chiuso d’un labirinto, ma non muta le regole che governano i movimenti degli uomini nello spazio aperto del poema e del mondo.
Anche Astolfo capita da quelle parti. Nel suo veloce giro del mondo è passato un momento a casa, in

Inghilterra, e adesso è di ritorno in Francia. Mentre sta bevendo a una fontana, un contadinello gli ruba il cavallo Rabicano: o almeno, così pare. Fatto sta che, inseguendo il ladruncolo e il cavallo, anche Astolfo finisce nel palazzo incantato.
Ma con Astolfo non c’è incantesimo che valga. Nel libro magico che gli ha regalato la fata Logistilla è spiegato tutto sui palazzi di quel tipo. Astolfo va dritto alla lastra di marmo della soglia: basta sollevarla perché tutto il palazzo vada in fumo. In quel momento viene raggiunto da una folla di cavalieri: sono quasi tutti amici suoi, ma invece di dargli il benvenuto gli si parano contro come se volessero passarlo a fil di spada. – Ehi, sono Astolfo, non mi riconoscete? Macché: quelli gridavano: – Ecco il gigante! Dàgli al rapitore! Al ladro, al ladro! – Ognuno un’accusa diversa ma tutte piene d’accanimento e d’ira.
Cos’era successo? Atlante, vedendosi a mal partito, era ricorso a un ultimo incantesimo: far apparire Astolfo ai vari prigionieri del palazzo come l’avversario inseguendo il quale ciascuno di loro era entrato là dentro. Ma ad Astolfo basta dar fiato al suo corno per disperdere mago e magia e vittime della magia. Il palazzo, ragnatela di sogni e desideri e invidie si disfa: ossia cessa d’essere uno spazio esterno a noi, con porte e scale e mura, per ritornare a celarsi nelle nostre menti, nel labirinto dei pensieri."


Italo Calvino racconta l’Orlando Furioso, ed. Einaudi



Questa e le immagini sopra pubblicate sono dipinti di Raffaele De Rosa


Italo Calvino non è l'unico ad aver  rimarcato il tema dell'illusione sotteso all' Orlando furioso. Jim Jarmusch  fa di "Mistery train", la riscrittura in chiave moderna del XII canto , così Il castello del mago Atlante diviene un hotel di Menphis, l'Arcade ( qui  un post sull'argomento  pubblicato in un mio  blog). 

Nel film la coppietta del primo episodio proviene dal lontano Oriente come Angelica e Argalìa; tutti i personaggi compiono dei " giri perduti" a piedi o in macchina, uno dei personaggi dell'ultimo episodio viene abbandonato da una ragazza "in fuga" e come Orlando "impazzisce"..


Nicoletta Braschi in "Mistery train" ; sul comodino una copia dell'Orlando furioso

lunedì 24 ottobre 2016

Il giardino di Barbablù


illustrazione di Arthur Rackham
Nella favola di Perrault, Barbablù chiede in sposa una tra due bellissime sorelle e, aprendo la sua dimora a parenti e amici delle fanciulle, riesce a far dimenticare il colore della sua barba e la sua cattiva reputazione: offre ai suoi ospiti otto giorni di perfetto svago.
E’ la più giovane delle sorelle a decidere di accettare la proposta di matrimonio.

A un mese dalle nozze, Barbablù, dovendo partire, affida alla sua sposa le chiavi delle stanze della dimora, vietandole però di aprire la porta di un salottino. Barbablù si allontana e la donna, pur temendo la collera del marito, si dirige verso la stanza cui le è precluso l’accesso e, senza indugiare, apre la porta. Sulle prime non vede niente, poi, pian piano, scorge sul pavimento sangue rappreso e, lungo le pareti, i cadaveri allineati di tutte le donne che Barbablù aveva sposato e poi ucciso. Sgomenta, la sposa lascia cadere le chiavi sul pavimento sporco di sangue. Barbablù torna prima del previsto; la moglie cerca di non far trapelare la sua agitazione ma Barbablù non tarda ad accorgersi che il suo divieto è stato infranto: le chiavi del salottino, sebbene ripulite, sono sporche di sangue. La sposa sa adesso cosa l’aspetta e chiede a Barbablù di darle modo di prepararsi a morire ritirandosi in preghiera; chiede una dilazione perché sa che i suoi fratelli stanno per giungere alla villa, sa che può salvarsi, è una questione di tempo. I fratelli giungeranno proprio quando Barbablu starà per colpire la fanciulla. Ad essere ucciso sarà Barbablù e non l’ultima delle sue spose. E’ il due ( le due sorelle, i due fratelli ) a prendere il sopravvento sull’uno; Barbablù dopo ogni matrimonio uccide per tornare ad essere “uno” ma nella favola di Perrault è il numero dell’unione a vincere, il numero della coppia.