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sabato 8 novembre 2025

La luna

 

Il cielo era stato nuvoloso per giorni e giorni, forse un mese intero; era perfino nevicato. Da quanti giorni non alzavo gli occhi verso il cielo? Da quanto tempo non vedevo una stella?

La mattina esco di casa, sistemo la giacca a vento, prendo l’ombrello e il cappello. Chiudo bene la porta, scendo le scale, schivo una pozzanghera. Alzo in su la faccia per vedere se piove almeno un po’ o se devo aprire l’ombrello e , oh meraviglia! le nuvole si sono diradate, ha smesso di piovere. Sorpresa delle sorprese, c’è anche la luna piena, seminascosta da una nuvola. M’ero perfino dimenticato che esistesse, la luna piena.

- Ehilà! - le grido - Dove t’eri cacciata?

La nuvola prosegue il suo cammino, spinta da un leggero vento, e libera del tutto la faccia della luna. Il cielo è ormai quasi del tutto sereno, e la luna brilla, piena e bella, grande come non è mai stata. Si possono vedere mari e oceani, le catene montuose, l’intera superficie.

- E’ sempre un piacere rivederti, dopo tanto tempo! - le grido ancora.

La luna non rispose. Forse faceva finta di non vedermi?

- Vieni giù che ci facciamo due chiacchiere! Vorrei tanto conoscerti meglio, ma se tu non vieni qui, io come faccio?

La luna forse sorrise, dentro di sè, ma non rispose niente. Cosa le avevo fatto di male? S’era forse offesa per qualche mia parola? Eppure, aveva sempre gradito la mia compagnia... La facevo ridere, diceva.

- Scusa per le maniere, l’altra volta, ma sai...

 E lì per lì, appena dette quelle parole, mi venne in mente che è sbagliato chiedere scusa, che così facendo non si ottiene niente, e tutte quelle cose che ti dicono gli amici ma non ci credi - eppure, ricordo bene che le piacevano i miei scherzi, e i suoi sorrisi. O è stata solo una mia impressione? Fa niente, vado avanti lo stesso: siamo solo io e lei!

- E’ una bella giornata, vero? Fa freddo, ma non importa: basta coprirsi bene, sento che oggi sarà una bella giornata, il tempo sta cambiando. Ci sarai anche domani sera?

Me l’avevano detto: gelida, fredda, distante... Possibile? Mi fermo, mi siedo sui gradini della chiesa - la grande cattedrale, punto d’incontro di tutti noi; a quest’ora però siamo solo io e il furgone delle pulizie. Tutta questa piazza così vuota!

E, mentre penso che devo andare a lavorare - mica posso stare qui seduto tutta la mattina! - ecco che tornano nuove nuvole, e la luna è di nuovo nascosta, chissà con chi se ne è andata...

Mi rialzo, fa freddo, e la stessa solitudine della piazza, che prima mi era tanto piaciuta, adesso mi gela l’anima. Ho sempre amato l’inverno, che strano: e adesso... Mi rimetto in cammino. Torna in te stesso! mi dico, non chiedere l’impossibile. Vedi, qualcuno sta arrivando: si aprono i primi bar, i fornai mettono fuori il naso. Si accende qualche luce qua e là, qualche insegna, appare per strada qualche altro pendolare infreddolito ...

D’improvviso, una luce, un rumore di passi. Sollevo da terra lo sguardo, di nuovo: ed ecco che la nuvola se ne è andata, il cielo è di nuovo sereno, la luna mi sorride, mi stende le mani, mi parla:

- Stavo scherzando, sai: anche a me piace scherzare. Ma mi avevi proprio fatta arrabbiare, l’ultima volta! Che non si ripeta più, d’accordo? 


Giuliano Bovo



giovedì 10 settembre 2020

Moon Palace


 Il posto giusto lo trovai sulla Centododicesima West, dove mi trasferii il quindici di giugno, arrivandovi con le mie valige qualche istante prima che due omoni consegnassero i settantasei cartoni contenenti i libri di zio Victor, rimasti chiusi per nove mesi in un magazzino. Era un monolocale a quinto piano di un grande palazzo senza ascensore: una stanza di medie dimensioni con un cucinino nell'angolo a sud-est, armadio a muro, bagno e una coppia di finestre che davano su un vicolo. Sul davanzale battevano le ali e tubavano piccioni, mentre nello spiazzo sottostante stavano piazzati sei bidoni della spazzatura ammaccati. All'interno l'atmosfera era scura, uno sfumato grigiore diffuso ovunque, che anche nelle giornate più splendenti non lasciava trapelare più di un meschino bagliore. Sulle prime sentii qualche spasmo, minuscole crisi di paura difronte alla prospettiva di vivere da solo, finché feci una singolare scoperta, che mi aiutò a riscaldare la casa e a sistemarmici.   Era la seconda sera o terza sera che ci passavo e, del tutto casualmente, mi trovai in piedi tra le due finestre, disposto obliquamente rispetto a quella sulla sinistra. Girato leggermente lo sguardo in quella direzione, mi apparve improvvisamente visibile una fessura libera tra i due palazzi sul retro della casa. Ed ecco lì sotto la Broadway, nel suo tratto più ristretto e limitato, ma a contare era il fatto che tutta la zona a me visibile appariva riempita da un'insegna al neon, una fiammeggiante pira di caratteri azzurri e rosa che tracciava distintamente le parole MOON PALACE. Vi riconobbi l'insegna di un ristorante cinese che aveva sede nello stesso edificio, poco più in là, ma la forza dell'impatto con quelle parole coprì ogni possibile riferimento e associazione. Caratteri magici, sospesi là nel buio come un messaggio proveniente da altrove se non dal cielo. Mi venne subito in mente lo zio Victor con il suo complessino*, e in quel subitaneo istante di irrazionalità fui abbandonato da ogni paura. Mai avevo provato qualcosa di altrettanto improvviso e assoluto. Una stanza spoglia e sudicia si era convertita in un luogo di interiorità, in un punto cruciale di strani presagi e misteriosi eventi arbitrari. Continuai a tenere lo sguardo fisso sull'insegna del Moon Palace, finché piano piano capii che ero arrivato nel posto giusto, che quell'appartamentino era veramente il luogo dov'ero destinato a vivere. 
Paul Auster, Moon Palace, ed. Einaudi
Traduzione di Mario Biondi

* ( i Moon man )

domenica 6 settembre 2020

Vaga luna


L'invocazione alla luna, la più famosa e la più grande, è sicuramente "Casta Diva", una grande scena (e non soltanto un'aria: tutta la scena occupa un quarto d'ora) dall'opera "Norma" di Vincenzo Bellini. Oggi però mi è tornata davanti una piccola aria da camera, scritta da Bellini quando non era ancora famoso: il testo non è gran cosa, l'innamorato che si rivolge alla luna, ma la melodia è di quelle che non si dimenticano e ancora oggi è molto eseguita in concerto.

qui per voce maschile
qui per voce femminile
(ma poi fate voi, on line ce ne sono molte belle versioni)

(Jan Bogaerts, 1904)


Vaga luna, che inargenti
queste rive e questi fiori,
ed inspiri agli elementi
il linguaggio dell'amor;
testimonio or sei tu sola
del mio fervido desir,
ed a lei che m'innamora
conta i palpiti e i sospir.
Dille pur che lontananza
il mio duol non può lenire,
che se nutro una speranza,
ella è sol nell'avvenir.
Dille pur che giorno e sera
conto l'ore del dolor,
che una speme lusinghiera
mi conforta nell'amor.
(testo di anonimo)
(1827 circa, pubblicata postuma nel 1838)


giovedì 16 aprile 2020

La luna che mangia le nuvole


Ricordo: da giorni, in città, si anelava ad un poco di pioggia da cui si sperava qualche sollievo al caldo anticipato. Io non m'ero neppure accorto di quel caldo. Quella sera il cielo aveva cominciato a coprirsi di leggere nubi bianche, di quelle da cui il popolo spera la pioggia abbondante, ma una grande luna s'avanzava nel cielo intensamente azzurro dov'era ancora limpido, una di quelle lune dalle guance gonfie che lo stesso popolo crede capaci di mangiare le nubi. Era infatti evidente che là dov'essa toccava, scioglieva e nettava.

(Italo Svevo, La coscienza di Zeno, cap.5, pag.170 ed. Dall'Oglio 1976)

 
(St. Nicholas magazine, 1891)
 

venerdì 14 febbraio 2020

Serenata sotto la luna


Una serenata, direi così famosa che la conoscono tutti, magari senza sapere che è di Schubert. Il testo, per una volta, non è di quelli memorabili (leggeri scorrono i miei canti nella notte, verso di te; qui nel bosco silenzioso, cara, vieni da me! ...) Non è Heine, e nemmeno Goethe; ne è autore Ludwig Rellstab e direi che può piacere, ma vale qui ciò che si dice da sempre dei libretti d'opera, "con la musica di Verdi anche Francesco Maria Piave diventa Leopardi". Ma qui mi conviene fermarmi, già troppe parole. Buon ascolto.

nell'ordine: Hans Hotter , Jussi Bjoerling, Thomas Quasthoff e Claudio Abbado, Sergej Rachmaninov

 
(Albert Anker, 1887)
Ständchen (Serenade)
(Musica di Franz Schubert, testo di Ludwig Rellstab)
Leise flehen meine Lieder
Durch die Nacht zu dir;
In den stillen Hain hernieder,
Liebchen, komm zu mir!
Flüsternd schlanke Wipfel rauschen
In des Mondes Licht;
Des Verräters feindlich Lauschen
Fürchte, Holde, nicht. 
Hörst die Nachtigallen schlagen?
Ach! sie flehen dich, 
Mit der Töne süßen Klagen 
Flehen sie für mich. 
Sie verstehn des Busens Sehnen,
Kennen Liebesschmerz,
Rühren mit den Silbertönen 
Jedes weiche Herz. 
Laß auch dir die Brust bewegen,
Liebchen, höre mich! 
Bebend harr' ich dir entgegen!
Komm, beglücke mich!

giovedì 14 novembre 2019

La luna di Bilbao


Quella vecchia luna di Bilbao, non la dimenticherò presto: proprio come un grande palla, quella vecchia luna di Bilbao, che sorgeva presso le dune mentre nel saloon della spiaggia ci si cullava con un ritmo dei tempi andati. Avremmo potuto cantare tutta la notte, e io posso ancora ricordare che erano le più belle, le più belle, le più belle notti di tutti i tempi. Non c'era vernice sulla porta, l'erba cresceva sul pavimento, ma c'era tanta amicizia su quella spiaggia di Bilbao, quella vecchia spiaggia di Bilbao...


(Karel Zeman, Il barone di Munchhausen, 1962)

Questa famosa canzone viene da "Happy end", 1929, testo di Bertolt Brecht, musica di Kurt Weill, soggetto di Elisabeth Hauptmann (con lo pseudonimo Dorothy Lane). Scritta dopo il successo di "L'opera da tre soldi", è sempre una storia di gangsters che wikipedia in inglese paragona a "Guys and dolls"; la trama è molto complicata e l'opera ebbe poco successo, il che è strano perchè contiene molta bella musica. Bella e famosa: oltre a "Bilbao song", troviamo "Surabaya Johnny", "Matrosen tango" (tango dei marinai), e molto altro. "Happy end" fu comunque ripresa più volte, nel dopoguerra, ed ebbe successo anche a Broadway. (quello che riporto qua sopra è un mio riassunto del testo, chiedo venia per la scarsa qualità).
qui e qui per gli ascolti
(nel primo link, Christopher Lloyd prima dello zio Fester e di "Ritorno al futuro"; nel secondo, Gisela May nell'originale in tedesco)

sabato 13 luglio 2019

Perché la luna cambia aspetto


In Hijo de la luna,  ( qui )  una canzone dei Mecano, si racconta che una zingara, per riavere il suo uomo dalla pelle scura come il fumo, chiese aiuto alla bianca luna e le 
fonte
promise di darle in cambio il suo primogenito. 
L’uomo tornò e a primavera nacque un bimbo con l’ incarnato chiaro come quello della luna; il padre non lo riconobbe come proprio e, ritendosi disonorato, uccise il bambino. Fu così che la luna potè prendere il piccolo con sé e diventare madre. 
La luna è piena, cala o assume la forma di una falce ( o di un dondolo/culla ) a seconda che il bimbo abbia più o meno bisogno delle sue cure.

giovedì 27 giugno 2019

Moonchild


La solitaria figlia della Luna che viene ritratta nella quarta traccia di In the court of Crimson King  -  l'album d'esordio dei King Crimson - ha gli alberi come interlocutori , muove passi di danza nel letto dei fiumi, si riposa nei pressi delle fonti e con una bacchetta argentea dirige l’orchestra dei  notturni volatili. Vestita di bianco, si lascia trasportare dal vento e attende, infine,  il sorriso di un figlio del sole.
Qui per l'ascolto.



Call her Moonchild
Dancing in the shallows of a river

fonte

Lonely Moonchild
Dreaming in the
shadows of a willow

Talking to the trees of the
Cobweb strange
Sleeping on the steps of a fountain
Waving silver wands to the
Night-birds song
Waiting for the sun
on the mountain

She’s a Moonchild
Gathering the flowers in a garden
Lovely Moonchild
Drifting in the echoes of the hours

Sailing on the wind
In a milk white gown
Dropping circle stones on a sun dial
Playing hide and seek
With the ghosts of dawn
Waiting for a smile from a Sunchild…

(testo di Pete Sinfield)


Chiamala Bambina di Luna,
danza nelle acque basse di un fiume.
Solitaria Bambina di Luna,
sogna nell'ombra di un salice
parla agli alberi della Ragnatela Strana
dorme sui gradini di una fontana
fa fluttuare bacchette d'argento
alle canzoni degli uccelli notturni;
aspetta per il sole sulla montagna.
Lei è una Bambina della Luna
raccoglie i fiori in un giardino.
Amorevole Bambina della Luna,
naufraga negli echi delle ore.
Veleggia sul vento
in un abito bianco come il latte;
fa cadere pietre rotonde su una meridiana,
gioca a nascondino con i fantasmi dell'alba,
aspetta un sorriso da un Bambino del Sole.
 
(una traduzione alla lettera di Giuliano , che , dice lui, serve solo per non andare a prendere il dizionario) 






lunedì 17 giugno 2019

Lucania






Si può ritornare nella propria terra in molti modi, non solo cambiando cinque volte treno per raggiungere Matera, la città in cui sono vissuta per tanti anni, ma anche, più piacevolmente, occupandosi di un libro che è insieme un diario di viaggio, un percorso letterario in prosa e in versi, un documento storico-etnologico, un reportage fotografico sulla mia terra d’origine, la Lucania.

Un libro che è tante cose, dunque; d’altronde, il suo autore, Nicola d’Imperio
è tante persone: è medico, pittore, scrittore, escursionista.

“ La Lucania a piedi dallo Ionio al Tirreno” è il resoconto di un viaggio “lento”, a piedi, che ha impegnato l’autore e alcuni amici per otto giorni, dal 7 al 14 agosto 2010, ma è soprattutto il ricongiungimento con l’ambiente originario e dunque con un paesaggio concreto e mitico allo stesso tempo.




Quest’ultimo aspetto si rivela nei racconti in corsivo che l’autore sapientemente inserisce nell’ordito del libro e che gli consentono di recuperare leggende, figure ancestrali della tradizione lucana, dai briganti che strappano e mordono il cuore delle loro vittime, e le altrettanto feroci brigantesse, ai monacelli, fantasmi bambini, con tanta voglia di giocare, a un’entità che genera ancora oggi inquietudine, il lupomn; il termine “Lucania” deriva, dice l’autore, da lupo e il lupomn altro non è che il lupo mannaro, un uomo che, di notte, subendo il fascino della luna di cui è innamorato, si trasforma.
La luna è una componente importante del paesaggio lucano; si tratta proprio di una luna silenziosa, di leopardiana memoria, una luna che si staglia luminosa in un paesaggio remoto, fatto di distese interrotte da rilievi levigati dal tempo, immoti





In un passo molto bello, Nicola D’Imperio parla anche di un’altra luce, quella dell’alba trattenuta dall’elemento più tipico e caratteristico della Lucania, l’argilla; questa restituisce il colore – che ha conservato – dell’alba quando quel momento è ormai scomparso, trascorso.
Il paesaggio lucano conserva – e forse proprio per questo è antico, enigmatico, silenzioso. E’ un paesaggio malinconico perché del tempo serba memoria.
Il tempo trascorso è palpabile anche nei calanchi fratturati, erosi, scabri ; nei paesi -distanti tra loro anche cento chilometri - arroccati sui rilievi con una torre svettante, quasi il Medioevo non fosse mai finito; nel suono delle fontane e in quello del pascolo, in quello dei campanacci delle secche mucche podoliche che l’autore definisce “ solitarie, silenziose, schive ma con grandi occhi umidi che si fanno leggere dentro”; nei ciottoli dei fiumi che portano il segno delle piene improvvise e ricorrenti.



Qui un' intervista all'autore

( il post  è già comparso qualche anno fa nel mio vecchio blog )


domenica 26 maggio 2019

Bad moon rising


(Andrew Wyeth, 1982, moon madness)


"Bad moon rising" dei Creedence Clearwater Revival  (qui per l'ascolto) è una delle canzoni più famose del periodo d'oro del rock. A leggerne il testo, viene da pensare a un film western di quelli con i banditi; però più che a Clint Eastwood o a Gregory Peck, riascoltandola, viene da pensare ai tempi che stanno correndo, "on the rise" proprio adesso mentre scrivo. E il pensiero è che, se noi europei la scampiamo anche questa volta, significa proprio che siamo nati sotto una buona stella.






Vedo una cattiva luna che sorge
vedo guai sulla strada
vedo terremoti e fulmini
vedo cattivi giorni oggi
Non andare in giro stanotte
c'è un obbligo a prendere la tua vita
c'è una cattiva luna che sorge
Sento uragani che soffiano
so che la fine è vicina
sento la voce di rabbia e di rovina.
Non andare un giro stanotte
c'è un obbligo a prendere la tua vita
c'è una cattiva luna che sorge
Spero che tu abbia messo insieme le tue cose
Spero che tu sia abbastanza pronto a morire
Sembra che stia arrivando malvagio tempo
tempo di "occhio per occhio"...


Bad moon rising
I see a bad moon a-rising
I see trouble on the way
I see earthquakes and lightnin'
I see bad times today
Don't go 'round tonight
It's bound to take your life
There's a bad moon on the rise
I hear hurricanes a-blowing
I know the end is coming soon
I fear rivers over flowing
I hear the voice of rage and ruin
Don't go 'round tonight
It's bound to take your life
There's a bad moon on the rise
I hope you got your things together
I hope you are quite prepared to die
Look's like we're in for nasty weather
One eye is taken for an eye
Oh don't go 'round tonight
It's bound to take your life
There's a bad moon on the rise
There's a bad moon on the rise
(scritta da John C. Fogerty
Creedence Clearwater Revival)

martedì 30 aprile 2019

Luna rossa


– A Borgo Antí! –ricominciò il Riccetto. (...) Ma l’altro non lo filava manco per niente. 
– E facce na cantata, Borgo Antí, – gridò. 
Borgo Antico però non si voltò nemmeno, fermo nella sua posizione, con la faccia di cioccolata, lucida e nera. 
– Che, canta pure lui, – fece lo Sgarone ironico. 
– Come, no, – rispose anch’egli ironico il Riccetto. 
Borgo Antico stava sempre zitto, e pure Genesio taceva, come se non s’accorgesse di niente. 
Mariuccio, il piú piccolino dei tre fratelli, disse: – Nun je va de cantà. 
(...) – Che je dai? – chiese tutt’a un botto Genesio. 
– Je do na nazzionale, va, – disse il Riccetto. 
– Canta, – ordinò Genesio al fratello.
– Mo canta,– annunciò Mariuccio. 
Borgo Antico alzò le spalle magre e nere e affilò ancora piú contro il petto la sua faccia d’uccello. 
– E canta, – ripeté già in collera Genesio.
– E che devo da cantà? – disse Borgo Antico con voce rotta.
– Canta Luna Rossa, daje, – disse il Riccetto.
 Borgo Antico si mise a sedere stringendo contro il torace i ginocchi, e cominciò a cantare in napoletano, tirando fuori una voce dieci volte piú grossa di lui, tutto pieno di passione che pareva uno di trent’anni. Gli altri maschi che da un po’ non si facevano sentire, dietro le gobbe della scarpata, nel fango, vennero su intorno a lui a ascoltare.
– Ammazzalo, quanto canta, – disse il Roscetto, mentre in tutto il fiume non si sentiva che quella voce. 

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita


(fonte)



Luna rossa (qui ),  intonata da Borgo Antico, uno tra i personaggi più patetici di Ragazzi di vita, insieme al fratello Ginesio che, nel finale del romanzo  annegherà nell'Aniene, è una delle canzoni napoletane più tradotte al mondo e più amate dai grandi interpreti. La ripropongo qui nell'interpretazione di Roberto Murolo.


mercoledì 13 marzo 2019

La luna incompleta


In "Heimat" di Edgar Reitz (seconda parte, puntata 10) a un certo punto la mezza luna brilla in cielo; c’è la nebbia e fa freddo. Uno dei protagonisti, Reinhard, recita all'amica Esther Goldbaum un estratto di questa poesia di Grillparzer (1791-1872, viennese):

- Salve, mezza luna che sei lassù.
Anch’io, come te, sono mezzo...
nato mezzo bene e mezzo male,
misero in entrambe le forme:
il mio bene è senza dignità,
il mio male è senza violenza.

(An den Mond, poesia di Franz Grillparzer, citata in Heimat II n.10)


Ho cercato in rete e ho trovato un paio di versioni italiane, entrambe piuttosto arbitrarie. Aiutandomi col dizionario, facendo meglio che posso, ho provato a trarne qualcosa di più vicino all'originale. Ovviamente, ho lasciato perdere rime e metrica; mi interessava rendere l'idea di cosa si dice in questa poesia e se qualcuno vuole correggere eventuali miei errori (eventuali e inevitabili, visto lo stato attuale del mio tedesco) ringrazio fin d'ora.

La mezza luna risplende in cielo,
e c'è nebbia, e freddo.
Salute a te, metà lassù,
come te, anch'io cerco l’altra metà.
Metà buono, metà cattivo sono nato,
carente in ogni metà,
la mia bontà senza dignità.
il mio male senza forza.
Dimezzate gustai le gioie della vita,
niente di più intero dei miei pentimenti;
i primi morsi goduti,
poi tutto mi apparve indifferente.
A metà rinunciai alla mia Musa,
e lei mi esaudì per l’altra metà;
giunto a metà della vita,
ella fuggì e mi lasciò vecchio.
E così siedo lunatico (di malumore),
ma la frammentazione si attenua;
la metà vuota dell'anima
soppianta lentamente ciò che era pieno.

(Franz Grillparzer, La mezza luna risplende in cielo)


Questo è il testo originale:

Der Halbmond glänzet am Himmel,
Und es ist neblicht und kalt.
Gegrüßt sei du Halber dort oben,
Wie du, bin ich einer, der halb.
Halb gut, halb übel geboren,
Und dürftig in beider Gestalt,
Mein Gutes ohne Würde,
Das Böse ohne Gewalt.
Halb schmeckt ich die Freuden des Lebens,
Nichts ganz als meine Reu;
Die ersten Bissen genossen,
Schien alles mir einerlei.
Halb gab ich mich hin den Musen,
Und sie erhörten mich halb;
Hart auf der Hälfte des Lebens
Entflohn sie und ließen mich alt.
Und also sitz ich verdrossen,
Doch läßt die Zersplitterung nach;
Die leere Hälfte der Seele
Verdrängt die noch volle gemach.

(Franz Grillparzer, Der Halbmond glänzet am Himmel)

(nelle immagini: tarocco cinquecentesco di Giulio Bonasone; un fotogramma dal film "Night tide" di Curtis Harrington, 1961 - un film che non ho mai visto)

giovedì 7 marzo 2019

Oliver's moon


Non so quanti lo sanno, ma Oliver Hardy aveva una bella voce di tenore leggero, ben intonata, alla quale i doppiatori italiani non hanno mai reso giustizia. A dirla tutta, Alberto Sordi se la cavava abbastanza bene ma aveva voce di basso e non di tenore; sugli altri doppiatori di tempi più recenti sarà meglio calare un velo pietoso (se non hanno passato dei guai, anche dall'aldilà, è soltanto perché Ollie era troppo buono e bravo per offendersi). Oliver Norvell Hardy (questo il nome completo) aveva infatti iniziato sui palcoscenici del vaudeville, e forse anche dell'operetta; nei suoi film canta spesso, ma magari noi non ci facciamo caso perché siamo distratti dai disastri combinati nel frattempo da Stan Laurel.

Porto qui due esempi, entrambi dedicati alla luna: in "Pardon us" (1930, i primissimi anni del cinema sonoro) Stan e Ollie sono due evasi che cercano di non farsi riprendere. Uno degli espedienti è quello di tingersi la faccia di nero, così da passare per afroamericani: oggi questa sequenza farebbe storcere il naso a molti, ma siamo nel 1930 e si tratta, come sempre, di giochi da bambini, del tutto innocenti. La canzone è "Lazy moon", la luna pigra che gli innamorati aspettano ma che non si decide a spuntare da dietro la collina. E' una canzone del 1903, scritta da Bob Cole e Rosamond Johnson; con Oliver Hardy canta The Hall Johnson Choir. (qui)

L'altra canzone dedicata alla luna è "Shine on harvest moon", la luna del tempo del raccolto (luna di settembre, dice il mio dizionario), abbinata a Stan e Ollie che vanno ad arruolarsi nella legione straniera. Il film è "The flying deuces" (I diavoli volanti), dei primi anni '30; la canzone invece è datata 1908, scritta da Nora Bayes (musica) e Jack Norworth (parole). (qui)

 
(con Dorothy Coburn, anni '20)


martedì 30 ottobre 2018

Ove le ninfe ognor cacciano belve

(immagine reperita in rete )

Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve
.

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, XXXIV, 72

domenica 29 luglio 2018

Perché tarda la luna?


L'invocazione alla Luna più famosa e importante è sicuramente "Casta Diva", dalla Norma di Bellini; però anche la Turandot di Puccini ha bella musica per la luna (la Luna Piena), forse anche troppo bella se si legge bene il testo. Nella Turandot, infatti, la luna piena segna il momento dell'esecuzione capitale del giovane Principe di Persia, che non è riuscito a risolvere i tre enigmi proposti dalla Principessa; la folla è in attesa, e per la folla si tratta di uno spettacolo, così come erano davvero le esecuzioni capitali, anche da noi in Europa (cosa che tendiamo a rimuovere e dimenticare). In questa crudeltà si può trovare un punto di contatto con Norma: nell'opera di Bellini (del 1831, su testo di Felice Romani) il popolo vuole infatti la guerra e spera che la luna piena porti battaglia (ma così non sarà). "Turandot" è una fiaba cinese tratta dal settecentesco Carlo Gozzi, ebbe la sua prima nel 1926 con i versi di Giuseppe Adami e Renato Simoni. La scena della luna è nel primo atto. (qui)

LA FOLLA (Coro)

Perché tarda la luna?
Faccia pallida, mostrati in cielo!
Presto, vieni, spunta, o testa mozza!
Vieni, amante smunta dei morti!
O esangue, o taciturna, o squallida,
come aspettano il tuo funereo lume i cimiteri!
Ecco... laggiù... un barlume...
dilaga un cielo la sua luce smorta!


Il seguito è storia nota: il principe Calaf, giunto da lontano, in esilio, è tra la folla; non gli piace ciò che vede, ma deciderà comunque di sfidare la sorte. Nel secondo atto scioglierà gli enigmi, ma rimetterà tutto in gioco quando vedrà la rabbia e la delusione di Turandot. Il terzo atto si apre con una delle pagine più famose nella storia dell'opera, la grande scena e aria che culmina nel "Nessun dorma": Calaf viene da lontano, nessuno conosce il suo nome, la sfida per Turandot è appunto indovinare il nome dello straniero che l'ha sconfitta. A questo scopo, tutti i suoi sudditi sono stati movimentati: prima dell'alba, bisogna indovinare quel nome. E dunque questa sarà una notte insonne, "nessun dorma", pena torture e morte, prima dell'alba quel nome deve saltare fuori. Il principe ignoto riprende la frase che circola tra la folla, "nessun dorma", e si interroga sul suo futuro.

(la fotografia in alto è di Lejaren à Hiller, 1920 circa; nell'altra è ritratta l'attrice Marietta Milner, sempre degli anni '20)

mercoledì 2 maggio 2018

La luna (Tommaso Landolfi)




L'amico e io non possiamo patire la luna: al suo lume escono i morti sfigurati dalle tombe, particolarmente donne avvolte in bianchi sudari, l’aria si colma d’ombre verdognole e talvolta s'affumica d’un giallo sinistro, tutto c'è da temere, ogni erbetta ogni fronda ogni animale, una notte di luna. E quel che è peggio, essa ci costringe a rotolarci mugolando e latrando nei posti umidi, nei braghi dietro ai pagliai; guai allora se un nostro simile ci si parasse davanti. Con cieca furia lo sbraneremmo, ammenoché egli non ci pungesse, più ratto di noi, con uno spillo. E, anche in questo caso, rimaniamo tutta la notte, e poi tutto il giorno, storditi e torpidi, come uscissimo da un incubo infamante. Insomma l’amico ed io non possiamo patire la luna.
Ora avvenne che una notte di luna io sedessi in cucina, ch'è la stanza più riparata della casa, presso il focolare; porte e finestre avevo chiuso, battenti e sportelli, perché non penetrasse il filo dei raggi che, fuori, empivano e facevano sospesa l'aria. E tuttavia sinistri movimenti si producevano entro di me, quando l'amico entrò all'improvviso recando in mano un grosso oggetto rotondo simile a una vescica di strutto, ma un po’ più brillante. Osservandola si vedeva che pulsava alquanto, come fanno certe lampade elettriche, e appariva percorsa da deboli correnti sottopelle, le quali suscitavano lievi riflessi madreperlacei simili a quelli di cui svariano le meduse.
- Che è questo? - gridai, attratto mio malgrado da alcunché di magnetico nell’aspetto e, dirò, nel comportamento della vescica.
- Non vedi? Son riuscito ad acchiapparla... - rispose l’amico guardandomi con un sorriso incerto.
- La luna! - esclamai allora. L’amico annuì tacendo.
Lo schifo ci soverchiava: la luna fra l’altro sudava un liquido ialino che gocciava di tra le dita dell’amico. Questo però non si decideva a deporla. (...)

(Tommaso Landolfi, Il racconto del lupo mannaro, dal volume "Il mar delle blatte", 1939)
(dipinto di Remedios Varo, 1958)


domenica 29 aprile 2018

La luna (Stevenson)


The moon has a face like the clock in the hall;
she shines on thieves on the garden wall,
on streets and fields and harbour quays,
and birdies asleep in the forks of the trees.
The squalling cat and the squeaking mouse,
the howling dog by the door of the house,
the bat that lies in bed at noon,
all love to be out by the light of the moon.
But all of the things that belong to the day
cuddle to sleep to be out of her way;
and flowers and children close their eyes
till up in the morning the sun shall arise.

(Robert Louis Stevenson, The Moon, n.32 da "A child's garden of verses")

Anthony Burgess una volta ha scritto che l'inglese è una lingua monosillabica, come il cinese; e già leggendo il primo verso di questa poesia si può capire che cosa intendeva. Di fatto, il ritmo usato da Stevenson è intraducibile in italiano, a meno di non voler scrivere qualcosa di completamente differente. Per esempio, "bat" è un monosillabo ma va tradotto per forza di cose con "pipistrello", una parola che da sola riempirebbe un verso intero; la stessa cosa accade con "clock" e "orologio". Di conseguenza, il mio tentativo di traduzione ha l'unico significato di risparmiare a chi passa di qui l'andare a prendere il dizionario se non ci si ricorda qualche parola (spero di non aver fatto troppi errori). (purtroppo non ho trovato il nome dell'autore del disegno, mi dispiace molto)

La luna ha una faccia come l'orologio nel salone;
splende sui ladri sul muro nel giardino,
su strade e campi e banchine del porto,
e sugli uccellini che dormono nelle biforcazioni dei rami.
Il gatto che schiamazza e il topo che squittisce,
il cane che abbaia dalla porta della casa,
il pipistrello che giace nel suo letto a mezzogiorno,
tutti amano essere fuori quando c'è il chiaro di luna.
Ma tutte le cose che appartengono al giorno
si stringono nel sonno per essere lontani dalla sua via;
e i fiori e i bambini chiudono i loro occhi
finché nel mattino non torni a salire il sole.

(Robert Louis Stevenson, n.32 da "A child's garden of verses")

venerdì 27 aprile 2018

La luna (Italo Calvino)



La luna di pomeriggio nessuno la guarda, ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse. E' un'ombra biancastra che affiora dall’azzurro del cielo, carico di luce solare; chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza? E' così fragile e pallida e sottile; solo da una parte comincia ad acquistare un contorno netto come un arco di falce, e il resto è ancora tutto imbevuto di celeste. E' come un’ostia trasparente, o una pastiglia mezzo dissolta; solo che qui il cerchio bianco non si sta disfacendo ma condensando, aggregandosi a spese delle macchie e ombre grigiazzurre che non si capisce se appartengano alla geografia lunare o siano sbavature del cielo che ancora intridono il satellite poroso come una spugna.
In questa fase il cielo è ancora qualcosa di molto compatto e concreto e non si può essere sicuri se è dalla sua superficie tesa e ininterrotta che si sta staccando quella forma rotonda e biancheggiante, d’una consistenza ancora più solida delle nuvole, o se al contrario si tratta d’una corrosione del tessuto del fondo, una smagliatura della cupola, una breccia che s’apre sul nulla retrostante. L’incertezza é accentuata dall'irregolarità della figura che da una parte sta acquistando rilievo (dove più le arrivano i raggi del sole declinante), dall’altra indugia in una specie di penombra. E siccome il confine tra le due zone non è netto, l’effetto che ne risulta non è quello d’un solido visto in prospettiva ma piuttosto d’una di quelle figurine delle lune sui calendari, in cui un profilo bianco si stacca entro un cerchietto scuro. Su questo non ci sarebbe proprio nulla da eccepire, se si trattasse d’una luna al primo quarto e non d’una luna piena o quasi. Tale essa infatti sta rivelandosi, man mano che il suo contrasto col cielo si fa più forte e la sua circonferenza si va disegnando più netta, con appena qualche ammaccatura sul bordo di levante.
Bisogna dire che l’azzurro del cielo ha virato successivamente verso il pervinca, verso il viola (i raggi del sole sono diventati rossi), poi verso il cenerognolo e il bigio, e ogni volta il biancore della luna ha ricevuto una spinta a venir fuori più deciso, e al suo interno la parte più luminosa ha guadagnato estensione fino a coprire tutto il disco. E' come se le fasi che la luna attraversa in un mese fossero ripercorse all’interno di questa luna piena o luna gobba, nelle ore tra il suo sorgere e il suo tramontare, con la differenza che la forma rotonda resta più o meno tutta in vista.
In mezzo al cerchio le macchie ci sono sempre, anzi i loro chiaroscuri si fanno più contrastati per rapporto alla luminosità del resto, ma ora non c'è dubbio che è la luna che se li porta addosso come lividi o ecchimosi, e non si può più crederli trasparenze del fondale celeste, strappi nel manto d’un fantasma di luna senza corpo. Piuttosto, ciò che ancora resta incerto è se questo guadagnare in evidenza e (diciamolo) splendore sia dovuto al lento arretrare del cielo che più s’allontana più sprofonda nell'oscurità, o se invece è la luna che sta venendo avanti raccogliendo la luce prima dispersa intorno e privandone il cielo e concentrandola tutta nella tonda bocca del suo imbuto. E soprattutto questi mutamenti non devono far dimenticare che nel frattempo il satellite è andato spostandosi nel cielo procedendo verso ponente e verso l’alto.
La luna è il più mutevole dei corpi dell’universo visibile, e il più regolare nelle sue complicate abitudini: non manca mai agli appuntamenti e puoi sempre aspettarla al varco, ma se la lasci in un posto la ritrovi sempre altrove, e se ricordi la sua faccia voltata in un certo modo, ecco che ha già cambiato posa, poco o molto. Comunque, a seguirla passo passo, non t'accorgi che impercettibilmente ti sta sfuggendo. Solo le nuvole intervengono a creare 1’illusione d’una corsa e d’una metamorfosi rapide, o meglio, a dare una vistosa evidenza a ciò che altrimenti sfuggirebbe allo sguardo.
Corre la nuvola, da grigia si fa lattiginosa e lucida, il cielo dietro è diventato nero, è notte, le stelle si sono accese, la luna è un grande specchio abbagliante che vola. Chi riconoscerebbe in lei quella di qualche ora fa? Ora è un lago di lucentezza che sprizza raggi tutt'intorno e trabocca nel buio un alone di freddo argento e inonda di luce bianca le strade dei nottambuli. Non c'è dubbio che quella che ora comincia è una splendida notte di plenilunio d’inverno. A questo punto, assicuratosi che la luna non ha più bisogno di lui, il signor Palomar torna a casa.
(Italo Calvino, da "Palomar": Luna di pomeriggio)

 
(le immagini: una carta di una lotteria messicana; una foto di Lourdes Castro;
una cartolina postale di Libby Hall)

 

giovedì 4 gennaio 2018

Al lume della luna



Jessica, figlia del ricco Shylock,  fugge dalla casa paterna per sposare  Lorenzo. 
Nella I scena del V atto de "Il mercante di Venezia",  Shakespeare fa in modo che i due innamorati  evochino storie di celebri amanti che sotto una limpida  luna, proprio come loro, videro compiersi  il loro destino.

Lorenzo  - La luna splende di tutto il suo lume. In una notte come questa, quando il dolce vento baciava leggermente gli alberi ed essi non facevano il più piccolo rumore, in una notte come questa, Troilo, io credo, salì sulle mura di Troia ed esalò in sospiri la sua anima, volto verso le tende dei Greci, dove quella notte taceva Cressida.

Jessica - In una notte come questa, Tisbe sfiorò timidamente col piede la rugiada e vide, prima dello stesso leone, l'ombra di lui e fuggì atterrita.

Lorenzo - In una notte come questa Didone, con in mano un ramo di salcio, s'arrestò sul selvaggio lido, e faceva cenni al suo amore di tornare a Cartagine.

Jessica - In una notte come questa, Medea colse le erbe incantate che dovevano ringiovanire il vecchio Esone.

Lorenzo - In una notte come questa Jessica fuggì come una ladra dalla casa del ricco ebreo e, con un amante sprovveduto, corse da Venezia sino a Belmonte.

Jessica - In una notte come questa, il giovane Lorenzo le giurò di amarla immensamente e le rubò il cuore con molte proteste di verace amore, e nessuna di esse era sincera.

Lorenzo - In una notte come questa, la leggiadra Jessica, come una piccola bisbetica, calunniò il suo amante ed egli le perdonò.

Jessica - Io vi batterei nel ricordare notti famose, se nessuno ci disturbasse. Ma zitto! Odo il calpestio di qualcuno.

W. Shakespeare, Il mercante di Venezia - Atto V, scena I -

Al lume della luna a me non è mai successo niente di eclatante, solo ( ma è tanto ) il piacere sottile di osservarla.