Visualizzazione post con etichetta pittori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pittori. Mostra tutti i post

lunedì 2 dicembre 2019

Barbara Regina Dietzsch















Barbara Regina Dietzsch (1706 -1783, bavarese di Norimberga) nasce in una famiglia di pittori e di artisti; sposò il pittore Nikolaus Matthes e vissero insieme ad Amburgo. Realizzò dipinti di botanica e anche incisioni, che realizzava da sola. Wikipedia in tedesco conclude così: Uno dei suoi recensori si meraviglia di questo perfezionismo poco dopo la sua morte, perché "raramente è uscita dalla città con i suoi fratelli e ha condotto una vita sedentaria, a casa, curando il suo lavoro." (Johann Meusel, Hg., Miscellaneen artistischen Inhalts, 23 H., Erfurt 1785, S. 304). Non c'è molto di più su di lei, peccato; non si finirebbe mai di guardare le meraviglie che ci ha lasciato.




sabato 30 novembre 2019

Maria Sybilla Merian






















Maria Sybilla Merian (Francoforte sul Meno 1647- Amsterdam 1717) è figlia di un incisore ed editore svizzero, Matthaeus Merian, e di Johanna Sybilla Heim, sua seconda moglie. Rimane orfana di padre a tre anni, e sua madre si risposa con il pittore Jakob Marell. Si sposa a 18 anni, anche lei con un pittore, nel 1665. Diventa una valente botanica ed entomologa iniziando a disegnare i bachi da seta e via via appassionandosi alle scienze naturali in un'epoca in cui anche le persone colte seguivano ancora Aristotele secondo il quale i bruchi nascevano dalla putrefazione ed erano bestie immonde. Maria Sybilla Merian pubblica prima un libro di botanica e poi uno sui bruchi, dove nelle tavole mette il bruco, la pianta di cui si nutre, e l'adulto. I libri sono dei capolavori, molto accurati anche da un punto di vista scientifico. Ha due figlie e una vita molto ricca, da romanzo (fate un giro su ww.wikipedia.it, meriterebbe un film o uno sceneggiato tv) che la porterà fino in Suriname dopo aver conosciuto Federico Ruysch, nel 1699. Dalla fauna e dalla flora del Suriname nasce un altro libro, un altro capolavoro ancora oggi molto consultato. In Suriname però si ammala, ed è costretta a tornare in Europa. Il suo ritratto ( qui ) era sulla banconota da 500 marchi, nella Repubblica Federale Tedesca. Qui metto un piccolo campionario delle sue infinite meraviglie.









giovedì 28 novembre 2019

Mary Vaux Walcott
















Mary Morris Vaux (americana 1860-1940) prima che pittrice era una naturalista, botanica e geologa; nata a Philadelphia in Pennsylvania da ricca famiglia quacchera, fin da giovane comincia a fare escursioni e scalate sulle Montagne Rocciose; in Canada una montagna ha il suo nome (Mount Mary Vaux). Pittrice e anche fotografa, collabora con lo Smithsonian Institute e pubblica libri molto belli e molto dettagliati, di grande valore scientifico. Nel 1914, a 54 anni, già famosa, sposa il paleontologo Charles Doolittle Walcott dello Smithsonian Institute. Mary viaggia molto negli Usa e in Canada, e a 75 anni va in Giappone per trovare un'amica che aveva sposato un diplomatico giapponese. Una biografia notevole, per una donna di quel periodo storico; da non perdere i suoi disegni e le tavole dai suoi libri, ne porto qui qualcuna come esempio. (notizie da wikipedia in inglese)





(la foto di Mary Vaux è del 1914, l'anno del suo matrimonio)














mercoledì 30 ottobre 2019

Giovanna Garzoni






Giovanna Garzoni (1600-1670) nata ad Ascoli ma di famiglia veneziana, viene dalla scuola di Fede Galizia. Visse a Napoli, Torino, Firenze, Roma; non ne so molto di più ma a parlare per lei bastano i suoi disegni. Buona visione.







lunedì 28 ottobre 2019

Fede Galizia






Fede Galizia (1578-1630) era milanese, figlia di un pittore trentino (miniaturista). Della sua vita non si sa molto; muore nella Milano del 1630, a causa della peste di cui racconta Manzoni nei Promessi Sposi. I suoi dipinti, una meraviglia continua: non si smetterebbe mai di guardarli.









sabato 26 ottobre 2019

Rosa Bonheur


(Edouard Dubufe, ritratto di Rosa Bonheur)



Rosa Bonheur (1822-1899), figlia di un pittore, nasce a Bordeaux e vive quasi sempre in Francia, ma con molti viaggi in America e in Europa. Non l'avevo mai sentita nominare, e pensavo che quel nome e cognome curioso fosse uno pseudonimo; difficilmente la troverete in un libro sulla Storia dell'Arte ma ogni volta che vedo un suo dipinto rimango ammirato. E' uno dei vantaggi di internet, poter conoscere anche autori di cui non si parla mai. Autrici, in questo caso; ed è solo la prima puntata.


 








lunedì 11 febbraio 2019

Lelapo

fonte

Il cane dipinto da Piero di Cosimo ha un nome. Si tratta di Lelapo, famoso per la sua velocità: non dava scampo alcuno alle sue prede. Qui appare immobile, come Procri, la donna al centro del dipinto, uccisa dal marito Cefalo, forse nel quadro rappresentato in forma di satiro. Lelapo fu dato in dono a Procri da Minosse insieme a un giavellotto altrettanto formidabile: non mancava un colpo. La donna sarà ferita mortalmente proprio da quest’arma: gelosa del marito, Locri era nascosta tra i cespugli per spiarlo; Cefalo, sentendo un fruscio e credendosi osservato da un animale in agguato, lanciò il giavellotto e ferì mortalmente la moglie. Sembra che nella morte di Procri e nel dolore di Cefalo trovasse soddisfazione Artemide a cui cane e lancia erano originariamente appartenuti.

Trovo che questo dipinto parli di molte cose, dell'arte soprattutto, e di come riesca ad assorbire in sé, in modo lirico, qualsiasi cosa, anche la morte.


La storia di Procri e Cefalo appare nelle Metamorfosi di Ovidio ( qui ).
Qui una lettura dell'opera di Grazia ( dal blog "senzadedica" )

sabato 29 dicembre 2018

Audubon


Dipingere nei dettagli qualcosa che sta fermo, un fiore o una pianta o un paesaggio, è già qualcosa che è riservato a pochi; ma rendere così bene un animale in movimento, come una fotografia, è davvero qualcosa che non cessa mai di stupirmi. Eppure, tra il Settecento e l'Ottocento, prima dell'invenzione della fotografia come la conosciamo oggi, erano molti i disegnatori e le disegnatrici capaci di queste meraviglie. Il più famoso è probabilmente John James Audubon (americano, 1785-1851) al quale dedico questo post, un piccolo omaggio.

venerdì 14 settembre 2018

Tigri


Gli esperti dicono che molti dei pittori che disegnarono queste tigri, in realtà, non avevano mai visto una tigre ma soltanto pelli e animali impagliati. Il risultato è comunque qualcosa che colpisce.

Gan-Ku, fine '800

mercoledì 11 luglio 2018

Giraffe ( I )


Diciamo la verità: la giraffa è un animale del tutto improbabile, anche più improbabile dell'elefante. Se non l'avessimo mai vista fin da bambini, se non ci fossero stati gli zoo e la tv, chi mai crederebbe all'esistenza di un animale così? Se anche ve la descrivessero, come prima cosa accorcereste subito quel collo e quelle zampe e la rendereste più simile a un cavallo, o magari a un cammello ("Giraffa camelopardalis" è infatti il nome scientifico di una delle specie, e del cammello è davvero un po' parente, almeno nel modo di masticare). E così hanno fatto tutti i pittori e i disegnatori nei secoli passati, quando incrociare una giraffa per le strade non era così comune come capita oggi (oggi, quando anche i bambini di tre anni sanno come è fatta una giraffa).
Curiosare fra i musei in cerca di giraffe dipinte non è facilissimo, non sono poi così tante le giraffe d'autore ma qualcosa si trova. Per esempio, queste
(Bernardino Luini, al Santuario di Saronno)

lunedì 18 dicembre 2017

L'arte nella tempesta

Malevič, autoritratto

In questi giorni ho letto uno scritto di Todorov sull'arte e la condizione degli artisti negli anni successivi alla Rivoluzione d'Ottobre. Lo scrittore bulgaro mette in evidenza il rapporto difficile tra intellettuali e potere e la difficoltà di conciliare la rivoluzione politica con quella letteraria e artistica . Se all'inizio corrono parallele, visto l'analogo intento di sovvertire la tradizione, ben presto l'esigenza di rendere  scrittori e artisti strumenti dell'ideologia dominante  sottrae agli intellettuali la possibilità di esprimersi liberamente e addirittura di vivere, basti pensare a Pil'njack, a Babel', a  Mandel'štam, alla Cvetaeva e allo stesso Majakóvskij.
La seconda parte del saggio di Todorov è dedicata a illustrare l'esperienza di Malevič, il padre del Suprematismo, e di una concezione estetica che poco si conciliava con la funzione e l'idea di arte del regime comunista. Malevič, pur con infinite difficoltà, testardamente continuerà a rimanere fedele alla sua ricerca. Riporto un passo del saggio di Todorov che riguarda proprio la concezione estetica di Malevič e lascia intendere quale valore superiore l'artista attribuisse alla creazione e alla ricerca pittorica.

L'esigenza di praticare una pittura "pura", di eliminare progressivamente dall'arte ogni elemento che non le appartiene esclusivamente, caratterizza tutto l'inizio del Novecento. L'dea si basa inizialmente su una tradizione occidentale molto antica, secondo cui all'attività che non rimanda a nulla al di là di se stessa è legato un valore superiore (...). E' Platone che definisce il bene superiore con il fatto che basta a se stesso: " l'essere vivente in cui esso ( il bene ) è presente sino alla fine completamente e in ogni modo, non ha più bisogno di nient'altro, ma possiede la più perfetta sufficienza". (...) L'estetica romantica, l'arte per l'arte e i movimenti artistici di fine Ottocento, come il simbolismo, si richiameranno a loro volta alla separazione tra pratiche utilitarie e pratiche a finalità estetica.  Malevič ritrova la concezione platonica del bene, che adesso però è incarnato dall'arte. Scrive:" L'arte è immobile, perchè è perfetta. L'arte non ha scopo e non deve averne, perchè è assoluta. Al contrario, può essere lo scopo di tutto ciò che si muove, perchè si muove ciò che è imperfetto."
Malevič, Suprematismo, 1916
Tzetan Todorov, L'arte nella tempesta, ed. Garzanti
Traduzione di Emanuele Lana

Significativo quanto Todorov afferma, a chiusura del saggio,  a proposito della ricerca artistica e dei valori assoluti che esprime: 
Quanto pesa l'individuo isolato di fronte all'enorme macchina che lo schiaccia? Gli artisti sono maciullati, perseguitati, deportati, addirittura fucilati, e sono i carnefici a trionfare. (...) I detentori del potere sono capaci di annientare quelli che vogliono sottomettere, ma non hanno alcuna presa sui valori estetici, etici, spirituali, provenienti dalle opere prodotte da questi artisti ( o da altre fonti ). Senza queste opere l'umanità non potrebbe sopravvivere, né ora né oggi. E' qui il trionfo dei fragili eroi del nostro racconto
Tzetan Todorov, L'arte nella tempesta, ed. Garzanti
Traduzione di Emanuele Lana


martedì 31 ottobre 2017

La vipera di Cleopatra


( Artemisia Gentileschi )
Si dice che Cleopatra morì per il morso di una vipera, e fin qui ci si limita a prendere atto: se così è andata, non resta molto altro da dire. Però girando per i musei (va bene anche uno virtuale) qualche curiosità viene. Nelle rappresentazioni dei grandi pittori ci sono infatti tante Cleopatre diverse (come nella verità storica: quella di Giulio Cesare era Cleopatra VII, la settima), tante quante sono le diverse modelle, ma ci sono anche tante vipere diverse, enormi o minuscole.


Quale sarà dunque la vera vipera di Cleopatra? Provo a fare una piccola ricerca: in Europa c'è la "Vipera aspis", con molte sottospecie; il genere "vipera" esiste anche in Africa, e anche i crotali americani sono viperidi. In Egitto, nella zona desertica e in Arabia, vive "Cerastes vipera"; nel Sahara esistono anche "Bitis arietans" e "Macrovipera mauritanica". Variano anche le dimensioni: si va da 28 cm a 3,6 metri (ma solo in Sud e Centro America!). Difficile quindi stabilire con certezza che tipo di vipera abbia ucciso Cleopatra; non serve a molto nemmeno chiedere soccorso a William Shakespeare (Antonio e Cleopatra, atto V scena II) dove si parla solo di "serpente", un serpente qualsiasi però rapido e possibilmente indolore.



( Guido Cagnacci )




( Guido Reni )
( Michelangelo )

Alla fine della mia ricerca torno a guardare i quadri di Cleopatra e mi accorgo che, in fondo, non è che della vipera importi poi molto. I più espliciti sono soprattutto Guido Reni e Guido Cagnacci: nei loro dipinti la vipera è così piccola che quasi non si nota, una vipera neonata o di pochi giorni di vita, si direbbe. Reni ne dipinse almeno tre versioni (immagino che lo pagassero bene, per questo soggetto), sempre con la vipera quasi invisibile, e con la Cleopatra di Cagnacci Guido, bionda e nordica, la vipera è relegata in un angolo, piccolissima. Non è dunque la vipera quella che interessa, mi sembra ben chiaro, e io con le mie ricerche erpetologiche sono stato qui a perdere tempo e a farlo perdere anche a voi che mi avete letto fin qui. Ne chiedo scusa, ma del resto, si sa, come dissero i fratelli Goncourt: «Nessuno ascolta più fesserie di un quadro da museo». Per una volta, i quadri da museo sono salvi: le mie fesserie sono rimaste soltanto qui, sul blog.





giovedì 22 giugno 2017

Annunciazione


" L'Annunciazione di Lorenzo Lotto era la mia preferita, con la Madonnina provinciale che abbandona il libro sul leggio e volta le spalle all'angelo, quasi volesse scappare, impaurita al pari del gatto. Non era solo il registro intimistico ad attrarmi, era soprattutto la paura delle responsabilità, ciò in cui mi identificavo e contro cui lottavo. "

Sergio Garufi, Il nome giusto, ed. Ponte alle Grazie



lunedì 13 marzo 2017

Il leone di San Gerolamo

Tra i dipinti dei grandi pittori, nelle gallerie dei Musei o nei libri, il più facile da riconoscere tra i santi raffigurati è San Gerolamo: un vecchio con in mano un libro, spesso poco vestito, che ha al suo fianco un leone. Il libro è la Bibbia, che San Gerolamo tradusse in latino: è la cosiddetta Vulgata, ancora oggi in uso nei paesi cattolici. San Gerolamo (347-420) fu uno dei Padri del Deserto, che nei primi secoli del Cristianesimo vissero da eremiti in Egitto e in Terra Santa, nel deserto: da qui l'essere poco attento al vestiario. Il leone viene dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, testo fondamentale per iconografia e simbologia, scritto tra il 1260 e il 1298: un leone ferito a una zampa da una spina fu guarito da San Gerolamo e da allora non lo abbandonò più. Il leone è inoltre simbolo della violenza e della forza bruta vinte dalla pietà. (qui sotto, Antonio Colantonio, Napoli 1445)


Dimenticandosi per un attimo di San Gerolamo (se possibile) è interessante guardare i leoni dipinti dai grandi pittori del Rinascimento. Sono davvero tanti, tanti quanti i San Gerolamo, che è uno dei personaggi storici più ritratti dai grandi pittori: ovviamente sono tutti dipinti di fantasia, non abbiamo nessun ritratto del vero San Gerolamo.

sabato 11 marzo 2017

Draghi


Un po' di draghi, che una volta facevano spavento ma con i tempi che corrono non fanno più paura a nessuno (per la paura, basta e avanza il telegiornale).  (qui sopra, Little Nemo di Winsor McCay, 1910 circa)

venerdì 23 dicembre 2016

Il cammello nel presepio


Il cammello ha due gobbe, il dromedario ne ha una sola. Questo lo sanno tutti, o forse no, non lo sanno davvero tutti, molti se ne dimenticano, altri se ne infischiano, come dar loro torto. In fin dei conti, non è che tutti i giorni ci capiti di incontrare un cammello (o dromedario che sia). A dirla tutta, vengono chiamati "kamel" o "camel" entrambi, un po' in tutte le lingue. Vivono in due posti molto diversi: il cammello a due gobbe è asiatico, per sua natura lo si trova dalle parti dell'Afghanistan o dell'Iran; è peloso, ha una lana lunga che è poi quella dei cappotti di cammello (si usano ancora?). Il dromedario vive in Egitto e in tutto il Sahara: ha una gobba sola e il pelo è corto, quindi il cappotto di dromedario ce lo possiamo dimenticare. Una volta l'ho detto a un collega sul posto di lavoro, che mi ha risposto "io sono stato in Egitto e ci ho visto il cammello con due gobbe"; se è per questo (ma non gli ho risposto, ho sospirato e ho lasciato perdere) io i cammelli li ho visti a Como, non distanti dal lago, al confine con la Svizzera: ero allo zoo, da bambino. Li ho visti anche e duecento metri da casa mia, dromedari e cammelli ed elefanti: al circo, allora si usava. I dromedari sono anche in Australia, numerosissimi: ce li hanno portati nell'800, non sono più andati via, l'Australia è piena di deserti e i dromedari ci si trovano benissimo. Sono due specie molto vicine, lo si vede dal nome scientifico: Camelus dromedarius e Camelus bactrianus; questo significa che possono incrociarsi e fare figli insieme. Non in natura, ma negli zoo e nei circhi, in cattività.

sabato 29 ottobre 2016

Il cagnolino del Barocci


Del Barocci, l'enciclopedia narra che era di Urbino, dove nacque in un anno imprecisato tra il 1528 e il 1535; e che il suo vero nome era Francesco Fiori. Dice anche che si ispirò a Raffaello e a    Correggio, e che  "avviò un manierismo prebarocco".
Non m'intendo di queste cose, e la storia dell'Arte non è il mio forte (ammesso che io ne abbia uno). Però mi piace girare per le mostre, e in una di queste, anni fa, mi sono imbattuto nel Barocci, o meglio in un suo dipinto di dimensioni molto grandi. In un angolino, in basso, c'era un cagnolino; ho dimenticato tutto il resto e mi sono fermato a guardarlo.

sabato 22 ottobre 2016

Piero della Francesca e le vespe di Jean Fabre



Il dipinto, datato 1474, è uno dei più famosi, e si trova a Brera: come sempre in Piero della Francesca ci si trova davanti a qualcosa di meraviglioso, e di spiazzante. Vengono sempre i brividi davanti a Piero della Francesca, non solo per la bellezza delle sue composizioni. E' come se Piero avesse accesso a qualcosa di soprannaturale, penso che sia l'impressione di molti di noi davanti alla Madonna del Parto, o ai capolavori conservati a Urbino. Piero della Francesca è tutto così, ma questo dipinto fa nascere più di un interrogativo anche allo sguardo più distratto. Prendo allora un libro, il primo che mi capita sotto mano, e cerco una descrizione fatta come si deve:

«... Nella "Pala Brera" ritroviamo immagini e motivi familiari in un'impaginazione di eccezionale grandiosità: il profilo di Federico di Montefeltro sull'armatura rutilante di riflessi in primo piano e l'architettura dipinta entro la quale sono situate le figure richiamano la perfetta prospettiva della Flagellazione. Dieci figure di santi sono disposte a semicerchio intorno all'immagine della Vergine con il Bambino e riecheggiante, sottolineandolo, l'andamento della nicchia, che conclude l'abside a specchiature marmoree e lesene classiche sullo sfondo; dalla conchiglia nel catino absidale pende un guscio di uovo di struzzo, simbolo della Creazione e dei quattro elementi secondo la letteratura medievale, ovvero dello spazio centrico, armonico e perfetto, secondo l'ideale rinascimentale; si tratta comunque di un efficace elemento di definizione spaziale nella complessa geometria della composizione, guidata da princìpi di rapporti e rispondenze armoniche. (...) »
(pag.217 volume V Storia dell'Arte ed.De Agostini, autore non specificato)

domenica 25 settembre 2016

L'uomo rana del Bramantino


Alla Pinacoteca Ambrosiana, appena aperta dopo un lungo restauro, perso tra le meraviglie che vi sono esposte, rimango a un certo punto perplesso davanti a un quadro del Bramantino, questo qui sotto.

Ha un titolo, "Madonna delle Torri", e risale al 1505-1519 (data incerta, ma è già tanto saperla con approssimazione). Sono perplesso perchè mi chiedo che cosa ci faccia una rana a pancia in su nell'angolo a destra; solo molto tempo dopo Primo Casalini mi spiegherà che il rospo con sembianze umane è una rappresentazione del demonio sconfitto. Rana o rospo che sia, traviato forse da un'antica passione per le scienze naturali, non riesco a capire come una rana possa essere demoniaca. Passi per il serpente, ma la rana? Allora, abbandono per un momento le mie conoscenze attuali e provo a mettermi nei panni di una persona dell'inizio del 1500. Siamo prima della nascita di Galileo, ben prima di Newton e di Carl von Linné; Charles Darwin sarebbe arrivato trecento anni dopo il quadro del Bramantino. Tutto questo per tacere di Lavoisier, di Mendeleev, di Bohr e Planck, di Crick e Watson, e quant'altro ancora. Un rospo, sì, il rospo delle streghe; il rospo, o magari il ranocchio, in cui viene tramutato il principe delle fiabe... Comincio a capire, ma il ranocchio a pancia in su continua a sembrarmi buffo e sconveniente, piuttosto che demoniaco: un rospo ubriaco, magari, ubriaco perso come il poeta in "The Fairy Queen" di Henry Purcell.

domenica 11 settembre 2016

Unicorni


Due unicorni, bianchissimi peraltro, salgono la rampa che porta dentro l'arca di Noè: succede nell'affresco di Aurelio Luini, uno dei figli del grande Bernardino Luini. Se volete vederlo con i vostri occhi, l'affresco è a Milano dentro la chiesa di San Maurizio, in corso Magenta (la chiesa merita una visita di per sè, per Bernardino Luini soprattutto). A dirla tutta, non credo che sia andata così. Bisognerebbe chiederne conto a Noè o a qualcuno dei suoi figli, ma sul fatto che gli unicorni siano davvero saliti sull'arca ho qualche ragionevole dubbio. Però, chissà, magari uno dei figli di Noè si chiamava Aurelio; vado a vedere se la Bibbia ne parla, e per intanto metto qui sotto una riproduzione dell'affresco di Aurelio Luini, invitando chi può ad andare a fare un giro in San Maurizio.


Ma, adesso che ci penso, qualcosa dentro di me mi dice che Luini junior doveva avere le sue fonti, non può essersela inventata di sana pianta. O magari aveva vicino una bambina che gli ha chiesto di mettere anche gli unicorni, e non se l'è sentita di spiegarle tutta la faccenda; o forse invece è andata davvero così, come nella vignetta della Settimana Enigmistica: