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venerdì 2 febbraio 2018

Il posto segreto di Fucsia

Mervyn Peake, Autoritratto -1932-
Riaccostò la porta, mise il paletto e venne presa dai brividi, come sempre, non appena si chiudeva la porta alle spalle. Per un momento il tremito la scosse tutta, da capo a piedi.
Poi, reggendo la candela che illuminava il suo viso e tre gradini alla volta, Fucsia iniziò l’ascesa verso il suo regno segreto.
Salendo per le volute di tenebra, il suo corpo s’impregnava di trepidazioni spossanti, come una pianta al sopraggiunger dell’aprile. Il cuore le batteva da spezzarsi.

Era un amore, il suo, intenso e profondo come l’amore dell’uomo per la donna. Come l’amore dell’uomo o della donna per il proprio mondo, per il mondo che è al centro del loro essere, il punto in cui la fiamma della vita arde finalmente libera e intatta.
L’amore del tuffatore per il suo mondo di luci vaganti, di perle e di alghe, col fiato che urge nel petto. Nato nell’istante stesso del tuffo, egli si riconosce in ogni sciame di pesci verdicci, nei colori delle spugne, e quando posa sul fondo fatato dell’oceano, la mano stretta a una costola insabbiata di balena, egli è completo e infinito. Vita, energia e universo pulsano all’unisono nel suo corpo. Amore.
L’amore del pittore, solo, davanti alla grande superficie colorata che sta creando. La tela, ritta di fronte a lui, gli rimanda forme incerte, interrotte, agitate da un ritmo nuovo, tra il soffitto e il pavimento. Tubetti contorti, colore fresco spremuto e spalmato sul secco della tavolozza, polvere sotto il cavalletto, bave di colore sul manico dei pennelli. La luce, bianca in un cielo nordico, tace. La finestra è spalancata e l’uomo respira l’odore del suo mondo. Il suo mondo: una stanza d’affitto, acqua ragia. L’uomo avanza verso la creatura che sta per nascere. Amore.
La terra grassa si sbriciola tra le dita del contadino. «Qui, finalmente» mormora il pescatore di perle muovendosi lieve tra strane luci acquoree, e il pittore, sulla zattera solitaria della sua soffitta, bisbiglia: «Io sono io», e con loro il lento villano sul suo acro di terra, e con loro la bruna Fucsia sulla scala ricurva, dicono: «Qui, finalmente»


Fucsia saliva, sfiorando con la destra la parete di legno, e salendo sentiva di essere una cosa sola con la scala a spirale e il solaio. Incontrò l'attesa asse sconnessa  e seppe che rimanevano solo diciotto gradini: altri due giri e il solaio l'avrebbe accolta con il suo indescrivibile crepuscolo grigio-oro.



Mervyn Peake, Tito di Gormenghast, ed. Adelphi     
trad.di Anna Ravano