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domenica 19 gennaio 2025

Un angelo a Milano

 



Ed era alto e dall’aspetto fiero,

candido angelo bello e severo.

Stava seduto in un angolo, a Milano,

tentando e ritentando un suo lavoro,

riempiendo lento, col cavo della mano,

anfore fatte d’un acciaio arcano.

Dopodiché, con evidente pena,

anima e corpo ricucir tentava.


Giuliano Bovo

martedì 10 ottobre 2023

Lorenzo Da Ponte ( III )


 III parte     DA TRIESTE A NEW YORK


Allontanato dalla corte asburgica, Da Ponte si recò dunque a Trieste nel 1792.  Dopo qualche tempo venne riabilitato dal nuovo imperatore, ma a Vienna per Da Ponte non c’era più posto. Con il nuovo amore, Anna Celestina Grahl, da lui chiamata Nancy, decise di partire per Parigi, per, poi, dietro consiglio di Casanova, cambiare destinazione  e recarsi a Londra.


Ritratto di Casanova attribuito a Francesco Narici

Quando partii da Vienna per andare a Trieste, la donna, ch'io amava, partì per Venezia. (…) ad onta di mille promesse, di mille giuramenti di amore e di gratitudine,  (….) pose in dimenticanza non solo ogni sentimento d'affetto e di gratitudine, ma s'adoperò indegnamente per allontanare da me il dolce piacere di tornar in seno della mia patria. Quest'atto però d'iniquità feminina vòlto fu in breve dalla mia ragione alla mia propria salute. In meno d'un mese mi trovai libero di un'ignominiosa passione, che per tre anni continui mi tenne schiavo infelice di quella donna. Io non credea, dopo questo, che fosse cosa possibile l'innamorarmi. M'ingannai. Il mio cuore non era e non è forse fatto per esistere senza amore; e, per quanti inganni e tradimenti m'abbiano nel corso della mia vita fatto le donne, in verità io non mi ricordo d'aver passato sei mesi in tutto il corso di quella, senza amarne alcuna, e amare (voglio vantarmene) d'un amore perfetto. 

sabato 7 ottobre 2023

Lorenzo Da Ponte ( II )

 II parte      L'INCONTRO CON MOZART


Dopo aver soggiornato a Dresda, nel 1781 Lorenzo Da Ponte fu introdotto nella corte di Giuseppe II divenendo poeta dei teatri imperiali con l’obbligo di comporre drammi buffi.

Conobbe Mozart nel 1783. Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte vennero rappresentate tra il 1786 e il 1790.





…il deciso favore, mostratomi dall'imperadore, creò in me una nuova anima, raddoppiò le mie forze per le fatiche da me intraprese, e non mi die' solamente coraggio da incontrar gli assalti de' miei nemici, ma da guardar con disprezzo tutti i loro sforzi. Non andò guari, che vari compositori ricorsero a me per libretti. Ma non ve n'eran in Vienna che due, i quali meritassero la mia stima. Martini, il compositore allor favorito di Giuseppe, e Volfango Mozzart, cui in quel medesimo tempo ebbi occasione di conoscere in casa del barone Vetzlar, suo grande ammiratore ed amico, e il quale, sebbene dotato di talenti superiori forse a quelli d'alcun altro compositore del mondo passato, presente o futuro, non avea mai potuto, in grazia delle cabale de' suoi nemici, esercitare il divino suo genio in Vienna, e rimanea sconosciuto ed oscuro, a guisa di gemma preziosa, che, sepolta nelle viscere della terra, nasconda il pregio brillante del suo splendore. 

mercoledì 4 ottobre 2023

Lorenzo da Ponte ( I )

 
Nei pressi della Biblioteca di Ceneda, siede immobile una figura. Lo sguardo, forse nostalgico, o forse fiero, è probabilmente rivolto verso una antica abitazione, legata a Lorenzo Da Ponte, autore dei libretti di tre famose opere mozartiane, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte. 

Il monumento a Da Ponte è collocato in un contesto verde e silenzioso e a chi si dirige verso la Biblioteca comunale di Vittorio Veneto ( Ceneda è uno dei due centri di cui si compone la città ) la figura appare ormai familiare e, spero, nota.

Vivendo e avendo insegnato a Vittorio Veneto, per far conoscere ai miei studenti la storia del loro concittadino, preparai anni fa un lavoro sul librettista. A facilitarmi il compito è stato lo stesso Da Ponte, che ha scritto di sé e della propria avventurosa vita in una pubblicazione autobiografica,  Mémoires.

Propongo qui, in più puntate, quanto ho ricavato dalla lettura delle memorie di Da Ponte, alternando passi delle sue memorie ( in corsivo ) a sequenze di sintesi e commento.

Buona lettura :)

venerdì 14 luglio 2023

La stanza del padre

 

( fonte )

Nella stanza di suo padre le pareti erano coperte di tappezzerie dorate. Vi si respirava l'odore caldo e accogliente del tè, che il Rabbi beveva da un bicchiere dipinto di rosso. Fumava sottili sigarette profumate,
che mandavano nell'aria immobile alte colonne di fumo azzurrastro che si condensavano in nuvole leggere. Nella credenza di mogano erano allineati barattoli di spezie il cui odore filtrava dalle antine di vetro.

A volte vedeva il padre che, chino sopra un libro, cantava sommessamente. Lo vedeva alzare gli occhi quando lui entrava nella stanza, e sorridergli, non già come un padre, ma come un giovane compagno. " Ebbene, Nahum," gli diceva " come vanno i tuoi studi?"


    I.J. Singer, " Yoshe Kalb", ed. Adelphi

sabato 1 luglio 2023

FELLINI E LA FANTASIA

 

Sto leggendo un interessante libro pubblicato per la prima volta circa quarant'anni fa dalla Einaudi, si intititola "Fare un film". Il testo  raccoglie una serie di scritti in cui Federico Fellini parla di sé, del suo immaginario, della genesi dei suoi film, film straordinari, suggestivi, ma  dimenticati, tanto che fino al 2020, centenario della nascita del regista,  era un'impresa procurarseli in dvd!

 Fellini era uno degli autori più amati da Giuliano, coautore di questo blog e purtroppo scomparso più di due anni fa. Giuliano, in uno dei suoi altri blog, giulianocinema ha dedicato a Fellini e ai suoi film 89 post. Da una di queste pubblicazioni ho tratto l'articolo di Enzo Biagi che riporto e che Giuliano aveva accuratamente ricopiato. Buona lettura!





 FELLINI E LA FANTASIA

di Enzo Biagi, corriere della sera-7, febbraio 1998

Lo hanno iscritto, quelli della BBC, nella lista dei personaggi, cento in tutto, che hanno fatto la storia culturale del secolo. C'è anche un certo Hirst, che ha esibito, come opera d'arte, «una pecora intera morta e latte di mucca in contenitori trasparenti pieni di formalina». Mah. Strana compagnia: con lui ci sono Albert Camus, Walt Disney, Francis Bacon; ma tra gli esclusi John Ford, Marguerite Yourcenar, Luigi Pirandello, Giorgio Morandi e Amedeo Modigliani. Ma si sa: tutte le classifiche comportano anche una dose di faziosità.

Federico Fellini diceva: 
«Quante volte ho sentito definire i miei film “fantastici". Debbo quindi considerarmi un uomo che vive, che commercia con la fantasia. Ma non mi sono mai chiesto che cos'è. Provo l'imbarazzo, diciamo: la vergogna, di un palombaro al quale chiedessero che cos'è il fondo del mare e non sapesse che cosa dire. Già: ma forse io sono un palombaro che sa dire com'è. Per un momento avrei la tentazione di cavarmela così: “La fantasia è un ghiribizzo"».
Poi ci ripensava e si lasciava andare. «Voglio spudoratamente raccontare che cosa mi succedeva quando avevo sette od otto anni. Avevo battezzato i quattro angoli dei mio letto con i nomi dei quattro cinematografi di Rimini: Fulgor, Opera Nazionale Balilla, Savoia (come si chiamava quell'altro?...) e Sultano. Andare a letto era per me una festa, allora».

Mi sembra la rivelazione del segreto della sua arte.

«Non ho mai fatto capricci per restare alzato la sera: tutto quello che dicevano i grandi attorno alla tavola esauriva presto ogni interesse per me, sicché, appena potevo, correvo nella mia camera e mi infilavo sotto le lenzuola, spesso, anzi, con la testa sotto il cuscino. Chiudevo gli occhi, aspettavo buono buono col fiato trattenuto e un po' di batticuore, fino a quando, di colpo, silenziosissimo, cominciava lo spettacolo. Uno spettacolo tra i più straordinari. Che cos'era? Difficile raccontarlo, descriverlo: era un mondo, una fantasmagoria rutilante, una galassia di punti luminosi, sfere, cerchi lucentissimi, stelle, fiamme, vetri colorati, un cosmo notturno e scintillante che si proponeva, prima immobile, poi in un movimento sempre più vasto e avvolgente, come un immenso gorgo, un'abbagliante spirale. Ero succhiato e stordito in mezzo a questa esplosione, in una specie di vertigine che non mi dava nausea. Durava un tempo che non saprei stabilire, non troppo a lungo in ogni caso; infine si esauriva silenziosamente com'era venuto, perdendo forza come gli ultimi bagliori del fuoco che si spegne. Aspettavo qualche minuto, poi andavo a mettere la testa in un altro angolo, e le immagini riprendevano. La terza volta erano più sbiadite, avevano smalti meno lucidi. Raramente lo spettacolo notturno si ripeteva quattro volte. Alla fine, un po' stanco, ma soddisfatto e ancora riverberato da tutto quel bombardamento di stelle e di scintille solari, sprofondavo nel sonno».


Enzo Biagi, Corriere della sera, 7 febbraio 1998

sabato 24 giugno 2023

Limpida scrittura


"Per difendermi, da me stesso e dal mondo, una delle mie tecniche preferite, quella che mi è sempre venuta naturale e che poi nel tempo ho affinato, arrivando a farne un'arte - arte, detto per inciso, per niente astratta, visto che mi dà da vivere -, è trattenere un frammento di essere per sé, e farsi così, per quanto possibile, trasparenti. E vivere o scrivere, che poi, per chi scrive, è lo stesso, è nella trasparenza che mi sono sempre tenuto in equilibrio. No, non sempre; comunque"

Vitaliano Trevisan, Black tulips, ed. Einaudi

opera di Ettore Spallletti


martedì 3 gennaio 2023

Bruno Munari

 Da "Album di famiglia" di Ernesto Ferrero                                                                                                  Giulio  Einaudi editore






" Pensa con le mani", diceva l'editore, beato. Il mago sorvola la materia, la solleva in volo. I vuoti, gli spazi, i bianchi, valgono anche più dei pieni. Vuole creare intorno all'oggetto il cuscinetto d'aria che lo fa respirare, che lo solleva da terra. (...)

venerdì 9 dicembre 2022

Nella grande solitudine

fotogramma di Salmonberries


 Dal racconto "Nella grande solitudine" in Le civette impossibili di Brian Phillips


Colin aveva un modo fascinosamente bizzarro di continuare a guardarti negli occhi pur morendo di imbarazzo per il fatto di essere osservato - lo stesso che potrebbe avere tua cugina dark quindicenne. E' una cosa che ho notato più volte negli abitanti delle zone remote dell'Alaska, la sensibilità totale e indifesa nei confronti degli sconosciuti. Era come se l'isolamento avesse impedito loro di rendersi insensibili alla presenza degli altri. Quando cammini per strada a Manhattan riesci magari a intuire che ogni persona che incroci è una costellazione di memorie e sensazioni vasta e unica quanto quello che hai dentro tu, ma è impossibile apprezzarlo davvero, una persona dopo l'altra: diventeremmo pazzi. Vivere tra la folla ci anestetizza all'effetto dei volti. La terra incognita di ogni sguardo, come la chiamava Saul Bellow. Ma se ti fai due passi nell'Alaska remota, anche solo per comprarti un sacchetto di patatine al negozio del paesino, spesso la reazione che ottieni è tipo: SALVE, VASTO E TERRIFICANTE COSMO DELLA PERSONALITA'. I varchi sono spalancati.

 

 

domenica 27 novembre 2022

Un volto stanco

 

Riporto oggi il primo di quattro scritti di Giuliano su un noto film di Federico Fellini, "Roma". Rileggendolo su giulianocinema, ho trovato  delineato con cura  un dettaglio, mi riferisco all'espressione assunta dall'ingegnere che guida i lavori di scavo della metropolitana romana e che rivela il modo di essere e di sentire del capocantiere, un modo apprezzato da Giuliano.




Roma di Fellini ( I )

Roma (1972) Regia: Federico Fellini - Soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi - Fotografia: Giuseppe Rotunno. Musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina - Ideazione scenografica: Federico Fellini - Scenografia e costumi: Danilo Donati . Coreografia: Gino Landi - Affreschi e ritratti: Rinaldo Antonello, Giuliano Geleng . Con: Peter Gonzales (Fellini a 18 anni), Fiona Florence (Dolores), Marne Maitland (guida alle catacombe “underground guide”), Britta Barnes, Pia De Doses (la principessa), Renato Giovannoli (card. Ottaviani), Elisa Mainardi, Paule Rout, Paola Natale, Marcelle Ginette Bron, Mario Del Vago, Alfredo Adami, Stefano Mayore, Gudrun Mardou Khiess, Giovanni Serboli, Angela De Leo, Libero Frissi, Dante Cleri, Mimmo Poli, Galliano Sbarra (presentatore avanspettacolo), Alvaro Vitali (si esibisce al Teatro Jovinelli), Norma Giacchero, Federico Fellini. Sono stati intervistati: Marcello Mastroianni, Anna Magnani, Gore Vidal, John Francis Lane, Alberto Sordi. Durata: 119



La troupe che sta girando il film sta per scendere nel sottosuolo, negli scavi per la metropolitana che era allora in costruzione. A fare da guida c’è un uomo, che di solito viene presentato come “guida alle catacombe”, e che su Imdb è indicato come “underground guide”: a tutti gli effetti, lo si direbbe piuttosto un ingegnere capocantiere, e così lo chiamerò d’ora in avanti. D’altra parte, il suo rapporto con gli operai parla chiaro; e che sia lui a fare da guida alla troupe è più che naturale. L’ingegnere è piccolo di statura, vestito con eleganza ma poco appariscente, gentile e distaccato, competente e disponibile; si vede subito che gli operai lo trattano con rispetto e anche con affetto, ma il suo è un volto senza entusiasmo.

domenica 24 maggio 2020

Il romanzo alla fine del XX secolo


( fonte )

A volte ci si intrattiene con conversazioni affannose sugli aspetti generali della vita; a volte ci si abbandona a un abbraccio carnale. Certo, ci si scambia il numero di telefono, ma in genere ci si richiama poco. E, anche se ci si richiama, e ci si rivede, la delusione e il disincanto prendono rapidamente il posto dell’entusiasmo iniziale. Credete a me, la vita la conosco: le cose vanno proprio così.
Questo progressivo stemperarsi dei rapporti umani non manca di creare qualche problema al romanzo. Come si potrà, infatti, proseguire la narrazione di passioni focose, sviluppate nel corso di diversi anni e talvolta in grado di far sentire i propri effetti su diverse generazioni? Il meno che si possa dire è che siamo lontani da Cime tempestose. La forma romanzesca non è concepita per ritrarre l’indifferenza, né il nulla; si dovrebbe inventare un’articolazione più piatta, più  concisa e più dimessa.

Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta, ed. La nave di Teseo

domenica 1 marzo 2020

Edwin

 Il grande amore di mia madre è morto oggi. Era una vecchia quercia, sano fino al midollo anche in punto di morte. È crollato per terra mentre sfogliava, chino sul leggio, una pagina della Sinfonia in Sol minore di Mozart. Quando lo hanno trovato, stringeva nella mano rigida un brandello della partitura, gli squilli dei corni all’inizio dell’Adagio. Una volta aveva detto a mia madre che la Sinfonia in Sol minore è il più bel brano musicale mai composto.  Leggeva da sempre le partiture come altri leggono i libri. Di qualsiasi opera gli capitasse tra le mani, arcaica o frivola che fosse. Ma soprattutto andava a caccia del nuovo. Solo in età avanzata, verso i novant’anni, senti il bisogno di rivivere un’altra volta quello che già conosceva, in modo diverso, alla luce di un sole che si andava spegnendo. Rilesse dunque il Don Giovanni che aveva divorato con occhi affamati da ragazzino, e La Creazione. Era musicista, direttore d’orchestra. Tre giorni prima di morire aveva diretto il suo ultimo concerto alla Stadt halle. Gyorgy Ligeti, Bartók, Conrad Beck. Mia madre l’ha amato per tutta la vita. Ne’ lui né gli altri se ne sono mai accorti. Nessuno sapeva della sua passione, lei non ne fece mai parola. “Edwin “sussurrava però in riva al lago da sola con il suo bambino per mano. Circondata da anatre starnazzanti sulla sponda in ombra, guardava la riva opposta, splendente di sole. “Edwin”. Il direttore d’orchestra si chiamava Edwin.

Urs Widmer, Il grande amore di mia madre
Ed. Keller

lunedì 2 settembre 2019

Una stanza

                                                                                     Da L'invenzione della solitudine* di Paul Auster

 
Pensa (...)  alle donne di Vermeer, sole nelle loro stanze, con la viva luce del mondo reale che penetra da una finestra ( a seconda dei casi aperta o chiusa ), e alla profonda fissità di quelle solitudini, evocazione quasi atroce del quotidiano e delle sue varianti domestiche. Pensa, in particolare, a un dipinto visto durante il viaggio ad Amsterdam, Donna in blu, la cui contemplazione, al Rijksmuseum, quasi lo paralizzò. Come ha scritto un critico:
" La lettera, la mappa, la gravidanza della donna, la sedia vuota, la scatola aperta, la finestra che non si vede: tutte sono allusioni o simboli naturali dell'assenza, del non veduto, di altri spiriti, altre volontà, altri tempi e luoghi, del passato e deel futuro, della nascita e forse della morte. In generale di un mondo che trascende i confini della cornice, e di orizzonti più vasti, più ampi che si chiudono dando di cozzo nella scena
sospesa davanti ai nostri occhi. Ed è tuttavia sulla pregnanza e sull'autosufficienza dell'attimo che insite Vermeer; con convinzione tale che la sua capacità di orientare e contenere si carica di valore metafisico ". 

Ancor più degli oggetti elencati, è la qualità della luce che entra dalla finestra non vista che lo persuade a volgere l'attenzione verso il difuori, al mondo oltre il dipinto. A. fissa attentamente il volto della donna, e a poco a poco riesce quasi a udirne la voce interiore mentre legge la lettera che ha tra le mani. Quella donna così avanti nella gravidanza , così tranquilla nell'imminenza deella maternità, con la lettera estratta dalla scatola, sicuramente già letta cento volte; e lassù, appesa al muro alla sua destra, una mappa del mondo che è immagine di tutto quanto esiste fuori dalla stanza: quella luce, che scende dolcemente sul suo volto e si riflette sul grembiule blu, il ventre gonfio di vita il cui blu è immerso nella luminosità, in una luce così pallida da essere quasi bianca. (...)

"La pregnanza e l'autosufficienza dell'attimo presente".






*   L'invenzione della solitudine è un libro autobiografico ma Paul Auster sceglie di parlare di sè ( A. ) in terza persona.
("... A. comprende che, mentre seduto in quella stanza scrive Il libro della memoria, sta parlando di sè come se fosse un altro per raccontare la propria storia. Deve assentarsi per essere presente. E così dice "A"., anche se intende "Io". Perchè la storia della memoria è una storia di sguardo; e rimane una storia di sguardo anche se le cos che si devono vedere non ci sono più " )

domenica 14 ottobre 2018

I quattro cardini del mondo

Sali sul tetto... chinati verso i quattro cardini del mondo, protendendo la mano. 
Sole... Acqua... Nuvole... Fiamma... 
Tutto quanto c’è di bello nel mondo.  
[...] Si spengono nel tempo, affondano nello spazio
i pensieri, gli eventi, i sogni, le navi... 
E io intanto porto nel mio viaggio dei viaggi 
il migliore fra i miraggi terreni

Maks Vološin  (qui e qui )


Di Maks Vološin ( 1877-1932 ), poeta e pittore russo,  non conoscevo nulla; mi ci ha messo sulle tracce Marina Cvetaeva che  in un suo scritto lo descrive così:.


Se si potesse rappresentare plasticamente ciascun uomo, Maks sarebbe una sfera.
Veniva sempre voglia di toccarlo, di  accarezzarlo   





giovedì 9 agosto 2018

Il mare ad ora insolita

S'era fatta l'una e dalle pensioni sparse per la collina s'udivano suonare i tam-tam. In gruppi, in carovana, i bagnanti multicolori cominciarono a sfollare lentamente. Poco lungi, sugli scogli, alcuni pescatori gettavano una reticella là dove il mare si vedeva rabbrividire. Al colpo, il brivido fuggiva lontano e i pescatori ritiravan la rete con quattro o cinque pesciolini saltellanti, che parevano spilli d'argento. Poveri pesciolini! E poveri pescatori!




mercoledì 7 febbraio 2018

Euridice aveva un cane


Il paese è cambiato. Anche se rimango chiuso in biblioteca sento tutti i cambiamenti, li sento uno sopra l'altro come cicatrici di frustate sulla mia schiena, i più remoti scandalosamente attuali come i più freschi. (...)
Fuori del paese la cosa più bella era un grande lavatoio di pietra, e chi aspettava la corriera si sedeva sul bordo all'ombra, e tuffava le mani nell'acqua gelida, che anche quando era torbida di sapone sembrava pulita. Adesso c'è solo una colonnina spartitraffico, e quando, in corriera, dico " fino al lavatoio", il bigliettaio mi guarda con sospetto.
A questo fervoroso spirito di rinnovamento i Baldi sembravano aver aderito senza resistenze, anzi con un loro speciale entusiasmo. (...) Guardavo la nostra casa e la loro e le trovavo sempre più divergenti, l'una ancorata in una fissità quasi minerale (...), l'altra immersa nel flusso del tempo, che se la portava via, se la lavorava a sua imago, ne cambiava la chimica. Una casa va e l'altra resta, pensavo, e nella nostra sentivo abitare lo spirito della morte, come se di due gemelli solo uno crescesse, combinando le cellule del proprio corpo con gli elementi del mondo in un connubio rigeneratore, mentre l'altro morisse bambino e rinsecchisse così, come una piccola mummia; poi però mi ribellavo a questa idea, e mi dicevo che se lo spirito della vita coincideva con la catena di scempi che si perpetrava oltre il muro, se vivere significa morire in continuazione, allora la morte era anche di là, dai Baldi, e più brutta di là che di qua.
Pensando che ci doveva essere stato un tempo in cui le due case erano molto meno lontane fra loro, mi accorgevo con spavento di portarmi addosso non solo i miei ricordi, ma anche quelli degli altri: riuscivo a soffrire anche per loro, per quello che avevano perso e che nemmeno rimpiangevano, e perfino quando non avevo mai saputo cosa c'era prima, ugualmente ne percepivo l'ombra dietro l'attualità, come un fantasma sdegnato che impetri vendetta. Tutto il paese era popolato di queste ombre, tremolavano ovunque e mi sembrava di essere il solo a vederle. E anche quando gettavo lo sguardo in giardini mai visti, durante giri in bicicletta sempre più rari e brevi, non potevo non difendermi dall'assalto di altre e altre ombre, che si levavano da tutte le parti imponendosi con la lor muta dolenza.
Rientravo a casa turbato, carico di appelli e di richiami che mi frastornavano, e di quelle larve inquietate  mi sentivo il custode, come l'ultimo sacerdote di un culto che solo in lui sopravvive.

Michele Mari, Euridice aveva un cane, ed. Einaudi

Felice Casorati, Ragazza sul tappeto rosso


Il passo che ho riportato è tratto da Euridice aveva un cane, una raccolta di racconti di Michele Mari. Qui e Qui una fine analisi di Elena del racconto eponimo e di altri racconti che sottendono gli stessi temi del primo: il Tempo, la Memoria. Elena sviluppando la sua linea interpretiva, mette a confronto  Proust e Mari.

venerdì 19 gennaio 2018

Nato in inverno


Michele Mari bambino


Nacqui hieme ineunte. Poi ragazzino, incominciai a trasferire particole di anima nei libri che leggevo, fino a dislocarvela compiutamente: in questo modo potevo circolare nel mondo come un insensibile golem senza patir troppi danni, e quando mi prendeva vaghezza di recuperare un po' della mia anima andavo a cercarmela là dove l'avevo nascosta, nei libri: soprattutto in quelli spaventosi e d'avventura: finché, presa l'abitudine di recuperarne troppa, di roba, per far prima a nasconderla ho cominciato a sbatterla in gran quantità dentro i libri che mi sono messo a scrivere io, appositamente. Ecco, fine della dinamica.







E' un passo tratto da Leggenda privata, un libro dichiaratamente autobiografico di Michele Mari, un autore a cui mi sono accostata solo di recente.  Penso sia difficile raccontare di sé stessi evitando il rischio di banalizzare e ridurre il proprio vissuto; ancora più complicato è non tradire la propria intimità nel momento in cui la si rende oggetto di uno scritto e le si dà una forma.


Michele Mari in treno con la madre

lunedì 18 dicembre 2017

L'arte nella tempesta

Malevič, autoritratto

In questi giorni ho letto uno scritto di Todorov sull'arte e la condizione degli artisti negli anni successivi alla Rivoluzione d'Ottobre. Lo scrittore bulgaro mette in evidenza il rapporto difficile tra intellettuali e potere e la difficoltà di conciliare la rivoluzione politica con quella letteraria e artistica . Se all'inizio corrono parallele, visto l'analogo intento di sovvertire la tradizione, ben presto l'esigenza di rendere  scrittori e artisti strumenti dell'ideologia dominante  sottrae agli intellettuali la possibilità di esprimersi liberamente e addirittura di vivere, basti pensare a Pil'njack, a Babel', a  Mandel'štam, alla Cvetaeva e allo stesso Majakóvskij.
La seconda parte del saggio di Todorov è dedicata a illustrare l'esperienza di Malevič, il padre del Suprematismo, e di una concezione estetica che poco si conciliava con la funzione e l'idea di arte del regime comunista. Malevič, pur con infinite difficoltà, testardamente continuerà a rimanere fedele alla sua ricerca. Riporto un passo del saggio di Todorov che riguarda proprio la concezione estetica di Malevič e lascia intendere quale valore superiore l'artista attribuisse alla creazione e alla ricerca pittorica.

L'esigenza di praticare una pittura "pura", di eliminare progressivamente dall'arte ogni elemento che non le appartiene esclusivamente, caratterizza tutto l'inizio del Novecento. L'dea si basa inizialmente su una tradizione occidentale molto antica, secondo cui all'attività che non rimanda a nulla al di là di se stessa è legato un valore superiore (...). E' Platone che definisce il bene superiore con il fatto che basta a se stesso: " l'essere vivente in cui esso ( il bene ) è presente sino alla fine completamente e in ogni modo, non ha più bisogno di nient'altro, ma possiede la più perfetta sufficienza". (...) L'estetica romantica, l'arte per l'arte e i movimenti artistici di fine Ottocento, come il simbolismo, si richiameranno a loro volta alla separazione tra pratiche utilitarie e pratiche a finalità estetica.  Malevič ritrova la concezione platonica del bene, che adesso però è incarnato dall'arte. Scrive:" L'arte è immobile, perchè è perfetta. L'arte non ha scopo e non deve averne, perchè è assoluta. Al contrario, può essere lo scopo di tutto ciò che si muove, perchè si muove ciò che è imperfetto."
Malevič, Suprematismo, 1916
Tzetan Todorov, L'arte nella tempesta, ed. Garzanti
Traduzione di Emanuele Lana

Significativo quanto Todorov afferma, a chiusura del saggio,  a proposito della ricerca artistica e dei valori assoluti che esprime: 
Quanto pesa l'individuo isolato di fronte all'enorme macchina che lo schiaccia? Gli artisti sono maciullati, perseguitati, deportati, addirittura fucilati, e sono i carnefici a trionfare. (...) I detentori del potere sono capaci di annientare quelli che vogliono sottomettere, ma non hanno alcuna presa sui valori estetici, etici, spirituali, provenienti dalle opere prodotte da questi artisti ( o da altre fonti ). Senza queste opere l'umanità non potrebbe sopravvivere, né ora né oggi. E' qui il trionfo dei fragili eroi del nostro racconto
Tzetan Todorov, L'arte nella tempesta, ed. Garzanti
Traduzione di Emanuele Lana


domenica 26 novembre 2017

Paul Auster, 4321




Combinare lo strano con il familiare: a questo ambiva Ferguson, , osservare il mondo da vicino come il realista più coscienzioso creando però un modo di vedere il mondo con un'ottica diversa, lievemente distorta, perché a leggere i libri che si soffermavano solo su ciò che è familiare imparavi cose che già conoscevi, e a leggere libri che si soffermavano solo su ciò che era strano imparavi cose che non avevi bisogno di conoscere, invece Ferguson desiderava più di tutto scrivere storie che dessero spazio non solo al mondo visibile degli esseri senzienti e degli oggetti inanimati ma anche alle vaste e misteriose forze inosservate che si celavano dentro quel mondo. Voleva disturbare e disorientare, far ridere a crepapelle o tremare di paura, spezzare i cuori e sabotare le menti e far ballare la danza demenziale dei ragazzi lanciati nel loro duetto tra sosia. Sì, Tolstoy era così commovente, Flaubert scriveva le più belle frasi del creato, ma per quanto gli piacesse seguire le svolte drammatiche e sempre più drastiche della vita di Anna K. ed Emma B., in quel momento della sua vita i personaggi che gli parlavano con più forza erano il K. di Kafka, Gulliver di Swift, Pym di Poe, Prospero di Shakespeare, Bartleby di Melville, Kovalèv di Gogol e il mostro di Mary Shelley.

(...)

Hemingway gli insegnò a guardare le sue frasi con più attenzione, a misurare il peso di ogni parola e sillaba  che entravano nella costruzione di un capoverso, ma per quanto mirabile fosse la scrittura di Hemingway quando era al meglio, le sue opere non gli dicevano granché, tutto quello sfoggio di virilità e lo stoicismo a denti stretti gli sembravano un tantino ridicoli, così lasciò perdere Hemingway per il più profondo e impegnativo Joyce, e poi, quando compì sedici anni, ricevette un altro pacco di tascabili da zio Don, tra cui i libri di Isaac Babel,, sconosciuto fino ad allora, che diventò subito il suo autore di racconti numero uno, e di Heinrich von Kleist ( ...) che diventò subito il suo autore di racconti numero due, ma ancor più utile per lui, per non dire preziosa e fondamentale, fu l'edizione Signer a quarantacinque centesimi di Walden e Disobbedienza civile che trovò posto sullo scaffale tra la narrativa e la poesia perché, pur non essendo un autore di romanzi o di racconti, Thoreau era un autore sublime per chiarezza e precisione, costruiva frasi di una tale bellezza che Ferguson quella bellezza la sentiva come uno sente un pugno al mento o la febbre nel cervello. (...) in ogni capoverso che  scriveva Thoreau combinava due impulsi opposti e inconciliabili che Ferguson definì l'impulso a controllare e l'impulso a rischiare. Era quello il segreto per lui. Il controllo da solo avrebbe prodotto risultati asfittici, soffocanti. Il rischio da solo avrebbe prodotto caos e incomprensibilità. (...)
Ma Thourea non era solo lo stile. Era il bisogno selvaggio di essere se stessi, solo e unicamente se stessi (...), un animo testardo che affascinava il sempre più testardo Ferguson, l'adolescente Ferguson...

Paul Auster, 4321, Torino, Einaudi, 2017, pp.495-497
traduzione di Cristiana Mennella


mercoledì 8 novembre 2017

Nudo come un bruco






Il  gusto per i libri era nato presto in lui. Fanciullo, un paggio lo trovava talvolta a mezzanotte ancora intento a leggere. Gli toglievano il candeliere, ed egli allevava delle lucciole per sostituirlo. Gli toglievano le lucciole, ed egli per poco non metteva a fuoco la casa con una esca. Per dirla in nuce, lasciando al novelliere la cura di spianare le infinite pieghe della seta delle anime, Orlando era un aristocratico malato d'amore per la letteratura. Parecchi contemporanei suoi, e più ancora parecchi del suo rango, sfuggirono a quella peste, rimanendo così liberi di correre la cavallina, scatenarsi o fare all'amore a piacimento loro. Ma alcuni si infettarono di buon'ora di  un germe che si diceva nato dal polline dell'asfodelo, e portato dai venti di Grecia o d'Italia; germe di  natura così fatale da far tremare la mano pronta a colpire, da velare l'occhio intento a mirare la preda, da far balbettare la lingua mentre profferiva parole d'amore. Era nella natura funesta di questo male il sostituire un fantasma alla realtà, cosicchè ad Orlando, ill quale tutto aveva in dono dalla fortuna - vasellame, lingeria, case, servitori, tappeti, letti a profusione- bastava aprire un libro perché tanto ben di Dio dileguasse in fumo. I nove acri di pietra che formavano la sua casa svanivano; sparivano i centocinquanta valletti: invisibilidiventavano gli ottanta palafreni; e troppo ci vorrebbe a enumerare i tappeti, i divani, i finimenti, le porcellane di Cina, le argenterie, le ampolle, gli scaldavivande e gli altri beni mobili, non di rado d'oro battuto, i quali, sotto l'influsso del miasma svaporavano come bruma sul mare. Dopo di che, Orlando rimaneva solo a leggere, nudo come un bruco.

Virginia Woolf, Orlando, ed. Mondadori
Traduzione di Alessandra Scalero

L'immagine è un fotogramma del film di Sally Potter, ispirato al romanzo della Woolf ( qui una sequenza )