Visualizzazione post con etichetta #fortuna. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #fortuna. Mostra tutti i post

sabato 28 aprile 2018

Un sabato italiano, ma mica poi tanto

Ho sbagliato il luogo d’incontro per gli allenamenti. Oggi sarei dovuta essere alla montagnetta xxv aprile per correre in pista e invece, la svampita che sono, mi sono presentata come al solito in piazza Castello. Ne ho approfittato per fare una lunga passeggiata fino alla mia vecchia agenzia di viaggio e mi sono resa conto che tutte le proposte in bacheca erano esattamente i luoghi a cui ripenso continuamente negli ultimi sei mesi: Islanda, Giappone, tour degli Stati Uniti, Route 66. Incredibile. In vetrina c’erano queste mete e io desidero andare proprio in quei posti.

Sono anni che non viaggio più da sola. Per tante ragioni, non ultima quella che quando ti dicono che è molto rischioso certe volte ti rendi conto che è proprio vero. Se ripenso a certa mia leggerezza, incoscienza e fiducia mal riposta negli incontri che ho fatto durante i miei viaggi direi che sono stata, quantomeno, estremamente fortunata. Ma non è solo per questo. È che ho paura di non essere più in grado di cogliere il valore del “portarsi altrove”, come se - al di là di una bella vacanza - fossi certa che ormai non sia più capace di stupirmi e di ritrovare nei paesaggi, usanze, sapori e profumi nuovi degli elementi reali di curiosità. Quando ci penso un po’ mi spavento per certa mia abulia, di recente costituzione, e un po’ mi metto in pace con il posto in cui mi trovo e le piccole solidità pazientemente costruite per ridimensionare smanie e inquietudini. Forse è per questo che l’unico posto in cui tornerei sono le Maldive: lì non devi fare niente se non contemplare una spiaggia bianca e un mare cristallino dove convivono pesci dai colori che neppure immaginavi esistessero in natura e adorabili squaletti che non hanno mai pensato di azzannare umani. Però tutte quelle proposte affisse lì, su quella vetrata dell’agenzia che pareva dirmi “so che non hai più voglia di partire da sola e che pensi che nessun luogo possa salvarti da te stessa. Lo so che ti sei impigrita e ti basta un libro o affondare nella poltrona di un cinema vicino alla metro per collezionare i tuoi venerdì dell’anno. Lo so che hai due o tre brutti ricordi che ti fanno fare a pugni con la tua ingenuità...eppure sono mesi che pianifichi mete immaginarie incastrandole con giorni di ferie reali, che vorresti allontanarti da tutto e da tutti pure se nessuno ti ha fatto abbastanza male da voler scappare via senza salutare...io so tutto”. Può darsi che sia davvero così e che un giorno tornerò di nuovo ad assecondare certe voci e tradurle in carte d’imbarco a posto unico. Chissà.

Lo incontro sempre più spesso. Poco più di un anno fa, in uno di quei giorni in cui facevo da tappabuchi alla prima informazione in ufficio conobbi un ragazzo poco più che ventenne, di origine sudamericana, molto carino e sempre sorridente. Non so che informazioni gli diedi ma credo che parlammo per qualche minuto. Qualche mese dopo l’ho rivisto proprio sul mio pianerottolo di casa: lui andava dai rumorosi abitanti del piano di sopra. Io non lo avevo riconosciuto, stavo lavando a terra, non ero truccata, avevo una tuta e speravo soltanto che non avrei sentito troppo rumore. Lui mi vede e mi dice: “Ciao! Tu sei quella dell'agenzia delle entrate, un viso come il tuo non si dimentica”. Io lo guardai senza riconoscerlo, poi però mi tornò in mente e gli sorrisi soprattutto perché mi diceva cose troppo inverosimilmente gentili, data la condizione “prosaica” in cui mi trovavo (tuta, straccio, coda di cavallo, zero trucco...). Da allora l’ho incontrato spessissimo: sull’autobus, per strada, alla metro di San Donato, lungo via Mecenate. Solo un saluto radioso del tipo “ciao bionda! Come stai?”...l’altro ieri abbiamo fatto addiritttura un pezzo di strada assieme, dopo essere scesi dallo stesso tram e ho scoperto che si chiama Manuel, che insegna ballo in alcune palestre, che ha delle lentiggini molto simpatiche sul naso. Ad un certo punto mi ha detto: “dai qualche volta te lo prendi un caffè con me?” Gli chiedo perché mai e lui mi dice “Ma come perché? Perché sei bella. Sicuramente te lo dicono almeno tre volte al giorno. E poi sei tranquilla...”. Io sono scoppiata a ridere e lui mi ha detto “Non ridere, io dico sul serio” . Non gli ho detto di sì, sebbene stranamente il mio lato diffidente non ritenesse di doversi allertare. Ho continuato a ridere per non offenderlo, lui mi ha accompagnato fino al cancello e  ha ribadito: ”la prossima volta che ci incontriamo ci prendiamo un caffè. È deciso”.

Credo che sia per questo buffo episodio “a lunga gittata” che oggi mi sono ricordata di nuovo dei miei viaggi in solitaria, delle persone assurde che ho incrociato, dei rischi che ho corso e di quanto sia importante “difendersi” con una sana diffidenza e un atteggiamento di fermo distacco. Ma forse mi sarei persa proprio tutto, pure il bello degli incontri felici e di un tempo carico di senso e di ricordi.
 E così ho pensato che senza la mia proverbiale, ma alla fine sempre provvidenziale, ingenuità forse non avrei trovato neppure il coraggio di mettere il naso fuori di casa. Vorrei ritrovare giusto quella dei miei vent’anni. Magari Manuel ne ha ancora abbastanza da darne persino a me...



domenica 27 agosto 2017

E il tuo "status" di grazia qual è?

Ogni tanto lambisco l'argomento, spesso in modo divertito perché ormai c'ho un'età e l'atteggiamento piano piano cambia giocoforza. In realtà credo di aver sempre avuto voglia di dirla meglio e tutta, di raccontare una certa condizione, per la verità piuttosto comune e diffusa, passando proprio per la mia personalissima esperienza. Ma poi come fare? Con quali toni? Riuscirei mai a tradurre esattamente quello che penso senza risultare patetica o ridicola? Molto spesso chi mi conosce poco o da poco non resiste alla tentazione di chiedermi come mai non abbia un fidanzato e il mio imbarazzo nella risposta è sempre lo stesso perché non ho ancora trovato la frase ad effetto definitiva che riesca a fugare ogni dubbio che la colpa sia mia. Quello che mi diverte è che tendano immmediatamente a precisare che me lo chiedono perché mi trovano così bella e di buon carattere che pare impossibile che non frequenti nessuno. Bene, li assolvo. Ora sì che la meritano una qualche risposta!

A me l'indipendenza e l'autodeterminazione sono sempre piaciute, ne ho fatto un'ossessione giovanile che ha assorbito ogni mia energia dell'epoca: quando ho smesso di studiare il mio unico pensiero era affrancarmi dalla dipendenza familiare, andare a vivere da sola e l'indipendenza economica. Questo ha significato gironzolare molto e fare una certa fatica a consolidare i rapporti. Nel frattempo però ho trovato comunque la maniera di incrociare persone con cui ho stabilito legami poi rivelatisi sbagliati perché basati su presupposti insufficienti e troppe incompatibilità, perché profondamente deludenti o costruiti sull'inganno o anche solo perché sognati per tanto tempo ma impossibili nella concreta espressione. Gli anni passano pure così, mentre si commettono errori o ad immaginare cose che in realtà non possono succedere.
Credo di essermi innnamorata pochissime volte nella mia vita, ma quando è successo ho convissuto per anni e anni con quel tarlo nel cuore e nella testa che mi ha spesso devastato e consumato e nel frattempo non c'erano incontri, corteggiamenti, lusinghe da parte di altri uomini a cui avessi voglia di cedere perché io volevo solo quello che dominava i miei sensi, sogni, incubi, speranze e desideri. Sono fedelissima pure negli amori platonici. Poi tutte le volte mi è passata. E pure questo mi spaventa. Mi spaventano le cose che finiscono e che per me erano state ragioni di vita, mi immalinconisce l'aleatorietà di sentimenti un tempo forti e che ad un certo punto non riesco più ad alimentare, ho paura delle crisi, dell'incomunicabilità che si insinua nelle lunghe storie cominciate con una grande passione. Non è bello non provare più nulla solo perché ti rendi conto che avevi sbagliato a provare qualcosa prima.

Io non ho bisogno di stare assolutamente con qualcuno per la paura di star sola. A me star sola piace moltissimo, non mi ha mai spaventato e anzi qualche volte ne ho fatto una sfida di crescita e di scoperta. Però ho bisogno (come tutti a questo mondo) di amare. E di farlo per sempre. Altrimenti non ho alcuna necessità, di nessun genere, neppure il più istintuale. Così stanno le cose e non lo so se sia una colpa, un caso, un modo di essere al pari di una qualsiasi altra normale attitudine o semplicemente una mia caratteristica.

Un amico molto simpatico, ma pure piuttosto giovane e troppo diverso da me nel modo di guardare il mondo, mi dice che dovrei allargare la base delle mie conoscenze iscrivendomi a Tinder o Once. Lui dice che trattandosi di algoritmi nei quali inserire delle variabili che mi caratterizzano, sarebbe molto probabile riuscire ad incontrare una persona che faccia al caso mio.
Per quanto in realtà mi appaia un tipo di approccio assolutamente sensato e ragionevole non mi sognerei mai di fare una cosa del genere. Io credo ancora nell'assoluta casualità degli incontri d'amore, nell'intuizione immediata di uno sguardo, nella parole pronunciate al momento e capaci in un istante di tradurre un groviglio intero di sensazioni, nel non sapere nulla l'uno dell'altro e nonostante questo capire da subito che per entrambi nulla sarà più come prima.
Io sono ancora sola. È probabile che sarà così per sempre. È ugualmente probabile che non sarà così per sempre. Non lo so. Non sono io a decidere, ma non sarà neppure un algoritmo a farlo. Di questo sono ragionevolmente certa.

mercoledì 8 giugno 2016

Chi è causa del mio mal? (A parte me stessa?)

Rientra nei tentativi, sebbene di quelli fatti senza crederci troppo. La spalla è ancora molto contratta, tanto che il dolore si è propagato al braccio e io faccio pure fatica a scrivere. Ormai sono quasi certa che dovrò andare da un dottore e che farò una lunga fisioterapia, appena rientrata dalle vacanze.
Oggi ho fatto un massaggio shiatzu. È stata la prima volta per me. Mi sono messa sul futon, luci spente e un signore per un'ora mi ha fatto delle pressioni su tutto il corpo, insistendo sulla parte dolorante, zona in cui ho sofferto moltissimo, tanto che lui stesso mi ha detto che è davvero forte il blocco e che probabilmente mi saranno necessarie altri tipi di cure. Ok un po' me lo aspettavo. Però è stata un'esperienza interessante: mi ha fatto un sacco di strane domande, ma pure questo già lo sapevo. L'Oriente con questa fissa che siamo dei sistemi olistici ci buttano dentro le ipotesi più assurde per arrivare a spiegarti le cause di un qualunque male. E io un po' confido in cose così e un po' no. A me l'omino del shiatzu ha detto che probabilmente mi trascino da troppo tempo una decisione difficile da prendere e che ho somatizzato tutti i miei conflitti interni in questo blocco alla spalla. Ok...del resto come si fa a smentire affermazioni del genere? Si chiama vita dopo la culla.

Sono belli i tentativi un po' alternativi, ti danno l'idea che davvero le soluzioni ai problemi possano essere tante e diverse e che non esista solo la strada più evidente, quella più battuta, più veloce, più comoda per arrivare ad uno scopo. Già da quella volta che, adolescente, comprai un libro sulla macrobiotica e trovai sconvolgente che per ogni etto di carne occorressero circa sette chili di cereali e una ventina di litri di acqua, mi resi conto di quanto si possa essere colpevoli verso il mondo pur non avendone affatto coscienza e poi di come sia importante risalire alla radice delle nostre azioni andando ben oltre gli atti compiuti da noi stessi.

Dopo il massaggio, mi è stato spiegato che gli ( eventuali) effetti benefici si percepiscono e si consolidano entro il giorno dopo, ma data la gravità del blocco probabilmente ci sarà da fare tutt'altro. Io tendo a non usare mai la chimica per curarmi, ma non tollero il dolore troppo prolungato, mi distrae da quegli stessi tormenti che mi hanno causato il male ma nei quali mi piace sguazzare con istinto quasi masochistico. Se sto fisicamente male non riesco a concentrami come vorrei sui miei drammi esistenziali, le mie carenze affettive, sulle mie utopie represse. E forse è proprio questo quello che non mi piace del mio stare fisicamente male: mi fa scendere con i piedi per terra, mi mette a cospetto di un problema reale che devo risolvere in modo empirico e non semplicemente filosofico o congetturale. E a me questo annoia molto. Poi all'improvviso ho capito: io tendo a ricercare quella che credo essere la mia felicità soltanto attraverso l'elaborazione di dolori di cui amo flagellarmi, quelli che mi sono scelta con cura mano a mano che gli anni passavano e che loro mi attraversavano.
Io, forse, non voglio stare bene sempre e comunque. Voglio star male a modo mio, come diceva l'adorato Troisi, quando si lamentava di non provare "quella sofferenza bella" che non riusciva a provare e che noi fanciulle romantiche chiamiamo mal d'amore.

Il guaio è che, secondo l'omino dello shiatzu, se a me piace star male così poi è inevitabile che la mia schiena un giorno o l'altro venga a dirmi quanto sono stupida a non pensare che nel dolore non ci sia altro che dolore...

Grazie omino dello shiatzu. Non mi hai guarito una mazza, ma mi hai liberato canali energetici nuovi. Per tutto il resto ci sta la medicina occidentale. Per fortuna.





mercoledì 16 marzo 2016

Tra volontà di "ferro" e fiducia nel Caso (ovvero, come ottenere quello che vuoi anche se non puoi)

Certe emozioni le provano solo quelli come me. I disordinati cronici. Noi della categoria sappiamo ormai per certo che ad un certo punto della vita ci rassegneremo al fatto che finiremo sconfitti e dominati dal caos. E a nulla varranno le periodiche crisi isteriche da "schiava Isaura" che si affannerà a riposizionare tutto secondo un'armonia cosmica a cui non tenderemo mai. Perché è così! è esattamente cosi che proiettiamo noi stessi nello spazio che tentiamo di gestire e sul quale ci illudiamo di lasciare una traccia. Non ci sta verso: le cose del disordinato il posto se lo scelgono da sole e quando lui le cercherà loro si troveranno in un posto che lui non immaginerà abbastanza presto da evitare disperazione, sconforto, rassegnazione, smarrimento. Si, il disordinato è fondamentalmente uno che perde le cose per un tempo che è direttamente proporzionale all'importanza e all'urgenza della cosa perduta.

Quella bastarda è stata sempre là, sulla mensola dell'ingresso che mi sta sotto al naso da qualunque angolo della casa (...casa...spazio infinitesimale capace però di occultare l'infinito mondo), ma soffocata sotto dodici collanine di perle colorate, un taccuino del 2013, una foto della mia laurea...quella bastarda di una USB che contiene la documentazione fondamentale su cui ho investito tutto il mio futuro prossimo se ne stava serafica e indisturbata sotto quelle macerie del mio quotidiano e del mio passato più dimenticabile. Ho impiegato due giorni a cercarla, mi sono chiesta in quale anfratto della casa si fosse insinuato, ma poi mi sono estesa nelle ricerche pure in ufficio, per tutta via Mecenate, per ogni posto abbia calpestato e in cui era ragionevole pensare di averla persa...due giorni nei quali non ho pensato ad altro che a una cosa che se ne stava tranquillamente non a vista ma sotto il mio naso.
Poi stasera l'intuizione. L'ho trovata e avrei voluto uccidere il vitello grasso per quanto ero felice

Dice che ti accorgi del vero valore di una cosa solo quando ti rendi conto di averla persa. Io non credo che sia vero in assoluto. Noi disordinati non mettiamo a posto le cose a cui teniamo perché ci piace tenerle a portata di mano, crediamo che lasciandole sparse è come se fossero sempre vicine a guardarci e a fare da contorno alla nostra quotidianità. Salvo poi rimanere soffocate da tutte le cose inutili che intanto accumuliamo senza motivo. È così che poi le perdiamo. E ritrovarle non ce le fa amare di più, ma solo riconoscere meglio il nostro schema interiore delle priorità.

Domani ci riprovo. Vado a donare il sangue. Già me la immagino la solita dottoressa che mi dice: "ancora tu? Ma lo vuoi capire che non tieni ferro? È la terza volta che ti faccio fare la cura e stai sempre a 11.8. È poco...hai capito...è-Po-co...vattene"
Ma in questa cosa stavolta sono stata ordinata, metodica e diligente: ferro, carne, lenticchie, frutti
rossi...disordinata è stata invece la mia natura, quella molto "femmina" che ciclicamente mi fa perdere tanto ferro e che ha fatto visita in largo anticipo stavolta. Manco con la buona volontà sto tranquilla...vediamo se prevale l'obbedienza ossequiosa alle raccomandazioni o invece il diabolico disordine naturale delle cose della mia vita.

Una cosa che spesso sento dire è che se tieni tanto a una cosa non la devi dire a nessuno, devi provare ad ottenerla all'insaputa di tutti se non non si realizza...ecco, lo sapevo che tenere un blog era controproducente. Che mi dispiace di non aver trovato il grande amore lo sapete tutti. E quindi niente, ormai non nasce neanche più. Non mi ricordo se ve l'ho detto che sto aspettando l'esito della mia candidatura per l'estero con un'ansia pari solo a quella provata all'esame di diritto commerciale. Ora lo sapete e quindi stagionerò a Milano per sempre e l'Europa uscirà da se stessa pur di evitare che esista un'esperienza in Europa a cui io possa candidarmi. Ma davvero funziona proprio così? Io sono disordinata, non amo le tattiche e neppure le strategie. Sono convinta che avere un metodo rigoroso funzioni, ma solo fino a un certo punto. Mi piace di più pensare che il Caso voglia metterci lo zampino a modo suo, che mi sollevi da una parte delle responsabilità e che decida che le cose che desidero, anche nella mia maniera sgangherata, alla fine me le meriti abbastanza da riuscire ad ottenerle. Preferisco che il Caso fuori di me e il Caos dentro di me si incontrino in un punto esatto detto Eureka!

 Quella dell'oroscopo mi ha detto che nel week end incontrerò l'amore...ma già c'ha preso tanto fino ad ora, non posso pretendere troppo. Non vedo l'ora di sapere quanto ferro tengo nelle vene...metti il "Caso" che sia tanto ;)...





domenica 8 novembre 2015

Dai presagi di una vita in cammino per "scoprire" le distanze

Sono tantissimi anni che non possiedo un'auto e quasi altrettanti che non guido più. Non mi è mai piaciuto molto, però riconosco che quando ero nelle Marche sarebbe stato impossibile per me riuscire a lavorare e muovermi in quella regione dove tutto era splendido ma i trasporti pubblici erano praticamente inesistenti. Una paio di volte ho avuto persino il coraggio di tornarmene da sola e di notte a Napoli con quella specie di lattina di coca cola che avevo dove manco l'auto radio era contemplato.

Ad Ascoli abitavo di fronte ad un gommista. Ero da lui spessissimo perché  foravo sempre. Ad un certo punto non volle più che lo pagassi tanto era intenerito dal mio modo maldestro di strusciare tutti i marciapiedi, e quando un giorno andai a salutarlo, visto che io mi era licenziata e me ne sarei tornata a casa, lui mi regalò il crick, perché si era accorto che non lo avevo. Quel giorno mi rivelò che, siccome io lasciavo sempre la macchina aperta, mi aveva fatto anche altri controlli più approfonditi e si era accorto che appunto mi mancava. Certa umanità la trova sempre la maniera di stupirmi.

Una volta ebbi pure un incidente. Ero nel parcheggio dell'ipercoop di Napoli. La fiancata dell'altra auto era completamente sfondata. Mi spaventai così tanto che appena scesi dalla macchina chiesi scusa alla giovane donna che guidava e mi addossai tutta la colpa, pur non riuscendo a capire come avessi fatto a fare quel disastro alla velocità così bassa che mantenevo. Soltanto quando un motociclista mi inseguì sulla via del ritorno per spiegarmi che aveva visto tutto, che avevo ragione io e che quell'auto era già da prima ridotta così, mi resi conto di quanto fossi poco padrona del mio mezzo pure quando lo usavo bene. Alla fine fu la donna con l'auto ammaccata da chissà chi a risarcire me. L'ho sempre detto che tengo un angelo custode di prima categoria :)

Poi una mattina dissi ai miei che sarei vissuta senza auto, che sicuramente ci doveva stare una maniera di fare senza pur non limitando la piena libertà di spostamento. A Milano questa cosa è del tutto naturale, anzi non capisco perché così tanti milanesi si ostinino ad usare un mezzo tanto inefficiente in una città come questa. Proprio non capisco.

Oggi sono andata in centro a piedi. Sono otto kilometri. Ho attraversato tutta la città con le cuffie, ci
stava il sole, un sacco di gente che correva e portava a spasso il cane, ci stavano due che si baciavano tanto bene a largo marinai d'Italia, ci stavano gli artisti di strada e la mia pressione bassa che ringraziava. Ho camminato per un'ora e mezza. Con la macchina avrei impiegato
dieci minuti. Sarebbero stati tutti del tempo perso.

venerdì 30 ottobre 2015

La resilienza sta bene su tutto (fortuna, amore, lavoro)

Ci deve per forza essere una ragione plausibile per cui il post di ieri, unitamente a quello del mio appuntamento al buio, vanti una marea in più di lettori rispetto alle mie abituali statistiche. Sinceramente non saprei che deduzioni fare, al netto di una mera casualità. Però deve pur esserci qualche ragione più logica.
Io in un post parlavo di lavoro e in un altro di difficoltà a trovare il grande amore. Insomma manca la salute e ho messo i pilastri per l'oroscopo di una povera inquieta.
Chiusa parentesi da egocentrismo letterario.

Alla fine prevale sempre il fatalismo nella mia personale visione delle dinamiche dell'esistenza. Nel mio destino di breve termine non era contemplata Roma e neppure un project manager tanto gentile e simpatico ma col quale non è scattato niente.
Eppure da sempre nella mia vita ho desiderato cose che ho voluto realizzare con tutte le mie forze senza riuscire neppure a lambirle. Ce ne stanno altre che ho ottenuto senza alcuno sforzo e a cui altri ambivano molto più di me. Ci sono occasioni che ho colto senza preventivarle in alcun dettaglio, solo improvvisandole, e mi sono sembrate come un pacco regalo inviato da uno sconosciuto.

Io credo tanto alla fortuna e al modo pessimo in cui è distribuita.
Credo abbastanza nella volontà e al suo variabile metodo di ricompensa dello sforzo.
Credo in buona misura nell'importanza dell'atteggiamento individuale e nella sua fondamentale rilevanza nell'attutire i colpi della fortuna avversa e degli sforzi non ripagati.
Non mi sono mai posta il problema della fede, perché non trovo in essa  nessuna risposta, nessuna forma di consolazione, nessun fascino, nessuna intelligenza.

Non saprei dire cosa sia prevalso nella mia vita e nel percorso che mi ha portato qui, coi miei 39 anni senza troppe pretese, con la mia enorme fortuna in certe sfere della mia vita e nessuna in altre, con la mia fatica sprecata per ottenere cose che forse non avrò mai e i perenni tentativi di modulare il mio spirito all'accettazione del fallimento.

Forse ciascuno di noi ha la sua quota di fortuna che deve sapientemente combinare con tanta forza d'animo, fatica, speranze...e poi quello che viene viene...
E qualunque cosa venga...ben venga :)









Un poco di quasi nulla mi pare già abbastanza

  Ieri pomeriggio percorrevo una via Torino a tal punto inondata dal sole che trovavo complicato persino mettere a fuoco la gente e fissare ...