/ICC Olii HARVARD UNIVERSITY LIBRARY OF THE Museum of Comparative Zoology / '■ V /i - ■ ' , ■ .(!' ; ??i' ;■ I I 1 ' •1 » •V' t''"' * ( • h-'- l ' », , i y.. F V^i* DEC 61937 t r DELLA DELLE SCIENZE DI TORINO Tomo LXVI TORINO Via Carlo fSlberto, 3, MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO - ’K . t'-;: „v!5^' " ' < ■ •vir^- - "^éès:.:dr^M:yi ,»'/ ì'’ DEC 61937 r • MEMORIE ^ '3 ^ DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO SERIE SEOONEA Tomo LXVI Parte Prima \:ac- or- o:r < h Nì.a'^ ./.CtOi-O r ! ' f ^ ^ 1 ; TORINO Libreria FRATELLI BOCCA via Carlo niberto, 3. 1915 ■W SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI ^ -"' virisi:: • ■'■„ i^> r..- - .PT‘ '. ^-: :?’ ■ ‘ , - , .r '^.^: , >- .•■'•• ■ .- ^ ^^-'' 'iiiim ' ‘ ' » '= ^ - ■ ^ ' -^'d 'Vi* ' 5. - - ''^lir?* - •■ i^u^^PE3fe?v'r^#"#Y- ■ -.j^ ■•-.■■ :.-•*■ v»-^. 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Loredan Lorenzo, Intorno al processo dell’ atresia follicolare dell’ovaia nei mammiferi (con 1 tavola) ......... FoÀ Pio, Sulla produzione delle piastrine del sangue e sulla patogenesi della trasformazione fihroadenoidea nella milza (con 1 tavola) Campetti Adolfo, SxdV equilibrio di due coppie di liquidi parzialmente miscibili (con 1 tavola) ......... Peyronel Beniamino, Primo elenco dei funghi di Val San Martino o valle della Germanasca. — Contributo alla Flora micologica delle Valli Valdesi del Piemonte .......... Mattirolo Oreste, G. B. Romano di Castellino Panar o e la sua opera botanica (1810-1877). — (Note per servire alla storia dei botanici mon- regalesi) ............ Pp. f) 1-66 1-64 1-53 1-41 1-22 1-35 1-15 1-23 1-12 1-58 1-24 I r 4 ( 1 1 i i 1 Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie 11, Voi. LXVl. - N. 1. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 1 in |:l REVISIONE DEI GORDII MEMORIA DEL SOCIO Prof. LORENZO CAMERANO Approvala nell’ adunanza del 7 Marzo 1915. Il primo lavoro monografico sui Gordii venne pubblicato dal Villot nel 1874 {Monographie des Dragonneanx, I e II parte, “ Archiv. de Zool. expér. et gén. III, pp. 39-72 e 181-238 (1874)) e comprendeva 34 specie (delle quali parecchie incerte per l’insufficienza dei dati de- scrittivi forniti dai diversi Autori), che il Villot riunì neH’unico genere Gordius Linn. Nel 1896 F. Romei' pubblicò un lavoro sulla sistematica dei Gordii {Béitrag zur Systematik der Gor- diiden, “ Abhandl. d. Senckenberg. Naturi. Gesell. voi. XXIII, 1896), nel quale ammise 32 specie divise in due generi Gordius Linn. e Chordodes (Creplin) Mòbius. Il lavoro del Ròmer riuscì di poca utilità, poiché egli non ebbe a sua disposizione che un materiale scar- sissimo e non fu spesso molto felice nella interpretazione delle descrizioni date dagli Autori e nella valutazione dei caratteri differenziali delle specie: in questo lavoro inoltre vi sono notevoli lacune. Nel 1897 io pubblicai la mia Monografia dei Gordii (“ Mem. R. Accad. Scienze di Torino Ser. II, voi. XLVII, con tre tavole, 1897), nella quale io proposi due nuovi generi: Paragordius e Parachordodes, e divisi le specie dei Gordii in quattro generi : Gordius Linn., Paragordius Camer., Parachordodes, Camer. e Chordodes (Creplin) Mòbius, i quali vennero accolti. Le specie descritte nel mio lavoro ammontavano a 58, così l’ipartite: Genere Gordius 13, gen. Paragordius 4, gen. Parachordodes 14, gen. Chordodes 27. La revisione di tutte le specie fino ad allora state descritte mi conduceva ad ammetterne altre 27 come inquirende per insufficienza di dati forniti dagli Autori. Dal 1897 ad oggi, il Linstow, il Montgomery, io stesso ed altri, studiando numerose collezioni di Gordii, abbiamo notevolmente accresciuto il numero delle specie di questi animali: qualcuna anche delle specie inquirende potè essere precisata, in guisa che il numero di 58 specie, che era considerato nella mia Monografia, è oggi presso a che raddoppiato, ed è salito pi’ecisamente a 113, così ripartite: gen. Gordius .... 26 gen. Parachordodes . . 24 , Paragordius ... 6 „ Chordodes ... 57 Le tavole dicotome della mia Monografia, come facilmente si comprende, sono divenute di fronte al grande numero delle nuove specie state descritte, insufficienti, ed è necessario procedere ad una revisione di tutto il gruppo per poter venire a stabilire tavole dicotome A LORENZO CAMERANO — REVISIONE DEI OORDIl 2 elio comprendano tutte lo specie oggi conosciuto. Ciò io ho cercato di faro nel presente lavoro, nel quale dò anche la nuova bibliografia, la più completa che mi fu possibile di fare, dal 1897 ad oggi. Lo nostre conoscenze circa la distribuzione geografica dei Gordii si sono dal 1897 ad oggi arricchito di dati numerosi e cosi pure quelle relative agli ospiti : ma molto vi è ancora da fare in questi campi, poiché per regioni estesissime poco o nulla si sa intorno agli ani- mali che ci occupano. Molto puro rimane da ricercare intorno ai primi stati larvali, allo sviluppo e alla biologia dei Gordii. Voglio sperare che il presente lavoro, il quale tratta in un sistema ordinato tutto il gruppo dei Gordii, allo stato odierno delle nostre conoscenze, riuscirà di aiuto per le ricerche future. Il nuovo materiale da me studiato ha le provenienze seguenti: Il dott. A. Shipley del Nuovo Museo di Cambridge (Inghilterra) mi inviò Gordii di Sarawak (Borneo), della Nuova Britannia, della Penisola Malese (spedizione “ Skeat,,), del Sudan (Nilo bianco), del Basso Siam, dell’Alta Birmania. Il prof. N. Annandale mi comunicò le ricche collezioni del Museo Indiano e il dott. A. Willey quelle del Museo di Colombo (Ceylan). Il dott. A. Skorikov mi inviò le ricche collezioni del Museo Zoologico dell’Accad. I. delle Scienze di Pietroburgo. 11 prof. R. Southern del Museo di Dublino Gordii d’Irlanda. Il prof. Yngve Sjòstedt i Gordii del suo viaggio nell’Africa occidentale tedesca. L. r. de Beaufort i Gordii raccolti dalla spedizione olandese nella Nuova Guinea e quelli del suo viaggio nelkArcipelago Indiano (1909-10). Il dott. F. Silvestri i Gordii da lui raccolti nella Repubblica Argentina e nel Paraguay e nell’Eritrea. Il dott. A. Boi'elli i Gordii raccolti nel suo viaggio nel Matto Grosso, nel Paraguay e nel suo viaggio nei Pirenei. Il prof. A. Blanhard Gordii di Guanajauld e di Altoyac (Messico). Il conte M. G. Peracca Gordii di Perak (Malacca). L’ing. G. Gariazzo Gordii del Congo. Il dott. R. Gestro, direttore del Museo Civico di Stor. Nat. di Genova, Gordii del Guatemala. Il dott. G. A. Boulenger del Museo Britannico Gordii del Congo. Il prof. W. Zyxoff di Mosca Gordii di Russia. Il prof. A. Carroccio i Gordii del Museo Zoologico di Roma. Il dott. Berg Gordii di Cordoba (Repubblica Argentina). Il dott. Richard Gordii di Monaco (Principato). Il capitano Testafochi Gordii della Somalia. Il sig. Ernst Gendre Gordii della Guinea francese. Il sig. Barbero Gordii di Asuncion Paraguay. Il dott. C. Porter Gordii del Cile. L’Istituto Imperiale di ricerche forestali di Debrera Dun Gordii dell’India. I dott. Festa, Borelli, Peracca, Damiani ; i prof. C. Parona, E. Giglio Tos m’ inviarono Gordii di varie località italiane. II Museo Zoologico di Torino ebbe Gordii da Madagascar, dalle Isole Sandwich, dal Museo di Albany, da Merida (Venezuela). A tutte le egregie persone ora menzionate porgo i miei più vivi ringraziamenti. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 3 RIBLIOORAKIA I numeri d’ordine dei lavori segnati in questo elenco bibliografico sono in continuazione di quelli del- l’elenco bibliografico stampato nella mia “Monografia dei Gordii„, che comprendeva i lavori pubblicati fino al 1897. (196) L. Camerano, Monografia dei Go7-dii, “ Mera. E. Accad. Scienze di Torino ser. II, voi. XLVII, pp. 1-81, con 3 tav. (1897). (to’?) Id., Gordiens du Mexique, “ Bull. Soc. Zool. de France „ (1898). (198) Id., Gordii della Malesia e del Messico, “Atti R. Accad. Se. Torino XXXIV, con una tav. (1899). (199) Id., Gordii di Madagascar e delle isole Sandwich, “ Bollettino Mus. Zool. Anat. Corap. Torino ,, voi. XVI, n. 412 (1901). (200) Id., Viaggio del doti. A. Borelli nel Matto Grosso e nel Paraguay - Gordii, “ Ibid. voi. XVI, n. 411 (1901). (201) Id., Gordii raccolti dal doti. F. Silvestri nella Repubblica Argentina e nel Paraguay, “ Ibidem voi. XVI, n. 410 (1901). (202) Id., Descrizione di una nuova specie di Choi’dodes del Congo, “ Ibid. „, voi. XVII, n. 426 (1902). (203) Id., Gordii raccolti dalla spedizione “ Skeat „ nella Penisola Malese 1899-900, “ Ibidem „, voi. XVI, n. 408 (1901). Riportato anche in “ Prooc. Zool. Soc. Londra, 1903, p. 152. (204) Id., Nuova specie di Chordodes del Sudan, “ Boll. Mus. Zool. Anat. Comp. Torino voi. XVII, n. 416 (1902). (205) Id., Nuove specie di Gordii del Basso Siam, “ Ibidem „, voi. XVIII, n. 437 (1903). (206) Id., Gordii di Ceijlan, “ Ibidem „, voi. XVIII, n. 438 (1903). — Traduzione in “ SpoUa Zeyla- nica “ Colombo Museum „, Ceylan, voi. I, parte II, p. 34 (1903). (207) Id., Gordiens nouveaux ou peu connus du Miisée Zool. de VAcad. Imp. des Se. de St-Pétersbourg, II, “Ann. Mus. Zool. Acad. Se. St-Pétersb. ,, voi. Vili (1903). (208) Id., I Gordii (lavoro di volgarizzazione), “ Varietas „, Rivista mensile di E. Sonzogno, anno I, n. 7. Milano, 1904. (209) Id., Nuova specie di Chordodes del Guatemala, “ Ann. Mus. Civico di Genova „, ser. 3% voi. I (1904). (210) Id., Sull’identità specifica del Pai-achordodes Wolterstorfìi e del Parachordodes Pleskei, “ Boll. Mus. Zool. Anat. Comp. Torino „, voi. XIX, n. 470 (1904). (211) Id., Osservazioni intorno al Chordodes Skorikovi, “ Ibid. „, voi. XIX, n. 469 (1904). (212) Id., Nuova specie di Gordio dell’Alta Birmania, “ Ibidem voi. XIX, n. 468 (1904). (213) Id., Gordii dei Pirenei, “ Ibid. „, voi. XX, n. 505 (1905). (214) Id., Osservazioni intorno al Chordodes Festae, “ Ibidem „, voi. XX, n. 504 (1905). (215) Id., Sur les Gordiens ì-ecueillis par le capitarne F. H. Steivai’t dans le Tibet, “ Record of thè Indian Museum ,, voi. II, p. IV (1908). (216) Id., Gordiens du Miisée Indiens, “ Ibidem voi. II, p. II, n. 12 (1908). (217) Id., Nota sul Chordodes Hawkeri, “ Boll. Mus. Zool. Anat. Comp. Torino „, voi. XXIII, n.580 (1908). (218) Id., Gordii d’ Irlanda, “ Ibidem „ voi. XXIII, n. 578 (1908). (219) Id., Wiss. Ergebn. der Schwedischen Zool. Exped. nach dem Kiliìnandjaro, dem Mera, etc., uìiter Leitung von Pì-of. Dr. Yngve SJostedt, 22-4, Gordiidae. Stoccolma (1910). (220) Id., Praeda itineris a L. F. Beafoi-t in Archipelago indico facti amiis 1909-10 — Gordiens — Bijdragen tot te Dierkunde K. Zool. Genoots “ Natura Artis magistra „. Amsterdam (1911). (221) Id., Résidtats de l’Expéd. scient. Néerlandaise à la Nouvelle Guinée “Gordiens», voi. V, Zool., liv. 5. Leida (1911). (222) Id., Gordiens du Musée Indien, Nouvelle sèrie, “ Record of thè Indian Museum », voi. VII, p. Ili (1912). 1-OliENZO CAMEKANO REVISIONE DEI GOKDII 4 (223) L. Cameuano, Intorno al Chordodes Hatvkeri , “ Boll. Mus. Zool. Anat. Corap. Torino voi. XXVII, n. G46 (1912). (224) Ii>., Nuova specie di Chordodes del Congo, “ Ibidem ,, voi. XXVII, n. 645 (1912). (225) 0. voN Linstow, Neue Hebnintlien, “Arcliiv f. Naturg. „, anno 71, voi. I (1905). (226) Ii>., Nematoden des zoologischen Musenm in Konigsberg, “ Ibidem ,, voi. I (1906). (227) II)., Neue und bekunnte llehninthen, “ Zool. Jahrb. Syst. voi. 24 (1906). (228) In., Gordiiden und Mermithiden des Kdnigl. Zool. Mus. Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin III (1906). (229) Id., Nemathelminten grosstentheils in Madagascar gesammelt, “Arch. f. Naturg. „ (1897). (230) Id., Zur Sgstematik der Nematoden, “Arcliiv raikros. Anat. ,, voi. XLVII (1897). (231) Id., Helminthologische Beohacht. zur Enwicklungs. con Gordius aquaticus Gmel, “ Arcliiv mikros. Anat. LI (1898). (232) Id., Hélminthen von den TJfern des Ngassa-Sees, “ Jenaisehen Zeitsch. f. Naturw. XXXV (1900). (233) Id., Beobachtungen an neuen und bekannten Nemathelminten, “ Archiv f. mikros. Anat. „, LX (1902). (234) Id., Neue Beobachtungen an Helminthen, “ Ibidem „, voi. LVIV (1904). (235) T. H. Montgomeuy, Fr., Descriptions of two new exotic species of thè genus Chordodes, “ Zool. Jahrb. Syst. voi. XI (1898). (236) Id., Description of thè female of Chordodes albibarbatus, “ Ibidem „, XI (1898). (237) Id., The Gordiacea of certain american collections, “ Bull. Mus. Comp. Zool. „, XXXII, n. 3 (1898). (238) Id., The Gordiacea of certain american collections, with particular reference to thè North Ame- rican fauna, II, “ Proc. Californian Acad. of Se. „, Tbird ser. Zool., I, n. 9 (1898). (239) Id., Sgnopses of North American Invertebrates, II, Gordiacea, “ The American Naturalist „, XXXIII, n. 392 (1899). (240) Id., Gordiacea from thè Cope collection, “ Biological Bull. „, voi. I, n. 2 (1900). (241) Id., The Identity of thè Gordiaeean species Chordodes Morgani and C. puerilis, “ Proc. of thè Acad. N. ser., Philadelphia (1901). (242) Id., The aduli organisation of Paragordius varius, “ Zool. Jahrb. Anat. „, voi. 18 (1903). (243) Id., The deoelopment and structure of thè larva of Paragordius, “ Proc. Acad. Nat. Se. „, Phila- delphia (1904). (244) Id., The distribution of thè North American Gordiacea with description of a new species, “ Ibid. „, Philadelphia (1907). (245) Corrado Parona, Altro caso di pseudoparassitismo di Gordio nell’uomo [Parachordodes pustu- losus (Baird)], “Clinica medica,, n. 10. Edit. F. Vallardi, Milano (1901). (246) Id., L’ Elmintologia italiana dai suoi primi tempi all’anno 1910. Novara, Tip. Gioachino Gaddi. Voi. I (1911), voi. II (1912). (247) R. Blanchard, Les animaux parasites introduits par l’eau dans l’organisme, “ Revue d’hy- giène , (1890). (248) V. V. Ebner, Ueber Fasern und Waben, eine histologische Untersuch. der Haut der Gordiiden und der Knochengrundsubstanz, “ Sitzb. R. Akad. Wiss. Wien ,, Mathem. Nat. Klas., CXIX (1910). (249) L. A. Jagerskiòld, Chordodes Kallstenii, eine neue Gordiide aus Kamerun, “ Bihang Till. K. Svenska Vet. Akad. ,, Handlingar, 23, IV, 7 (1897). (250) Max Rautiier, Das Cerebralganglion und die Leibshohle der Gordiiden, “ Zool. Anzeig. „, XXVII, n. 19 (1904). (251) Id., Beitrdge zur Kenntnis der Morphologie und phylogenetischen Beziehungen der Gordiiden, “ Jenaisehen Zeitschr. f. Naturw. ,, XL (1905). (252) Alexander Schepotieff, Ueber den feineren Bau der Gordiuslarven, “ Zeit. f. wiss. Zool. „, voi. LXXXIX (1908). (253) Jan Svàbenik, Studien an Nematomorphen, “ Zool. Anzeig. XXXIII, n. 12 (1908). (254) Id., Prispèvky K. Anatomii A Histologii Nematomorph., “ Vèstnik Kràl Oeské Spoi Nauk Tr. Math. pfirodov , (1809), cis. 7. (255) F. Vejdovsky, Bemerkungen zu den Gordiidenarbeiten von Linstows, “ Zool. Anzeig. „, n. 561 (1898). (256) E. Topsbnt, Sur un cas de pseudoparasitisme chez l’homme du Gordius violaceus Baird., “ Bull. Soc. se. et méd. de l’Ouest ,, IX (1900). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 5 (257) D. Tuetiakow, Soiluppo dei Gordii (in lingua russa). Trav. Soc. Imp. Nat. St-Pétersbourg, “ Compt. Rend. Séanc. I (1901). (258) Wesenberg-Lund, Ueber eine eventuelle Brutpflege voti G. aquaticus, “ Internai. Rev. der ges. Hydrobiologie und Hydrographie voi. Ili (1910). (259) N. Th. Meyer, Ziir Entwicìclung voti Gordius aquaticus, “ Zeitseli. f. wiss. Zool. voi. CV, p. 125 (1913).* (260) V. A. Mììhldore, Studien iiber die Entwicklung der Nematomorphon, “ Zool. Anzeig. ,, LXII, p. 32 (1913). (261) Io., Beitrdge zur Entwicklimgsgeschichte und zu den phglogenetischen Bezielmngen der Gordiuslarve, “ Zeit. f. wiss. Zool. voi. CXI (1914). (262) H. A. Baylis, Report on thè Nematodes and Gordiacea collected by thè British Ornithologists’ Union Expedition and thè Wollaston Expedition in Dutch New Guinea (Presentato alla Soc. Zoo- logica di Londra nel marzo del 1914, ma non ancora pubblicato). (263) WiERZBJSKi, Notaka do fauny robaków z rodz Gordiide (Notizia sui Gordii di Galizia), “ Sprawozd. Komis. fizyogr. Kraków t. 31, p. 216 (1896). (264) E. Maison, Gordius et némertien, “ Le Cosmos N. S., voi. 47, pp. 547-48 (1902). (265) E. Green, Note on a species of Gordius parasitic in te body of a Mantis, “ Journ. Bombay nat. Hist. Soc. „, voi. 14, p. 610 (1902). (266) P. Guégnen, Nouveau cas de pseudo-parasitisme d’un Gordius dans le tube digestif de l’honinie, “ C. R. Soc. Biol. Paris ,, voi. 59, p. 398 (1905). (267) Io., Sur un nouveau cas de parasitisme occasionnel dans le tube digestif de l’homme d’un nématode du genre Gordius, “ Bull. Soc. Pharmacol. ,, voi. 12, p. 257, 1 pi. (1905). (268) V. A. Huard, Le Dragonneau ou Gordius aquaticus, “Naturai, canad. „, voi. 3, p. 117 (1905). (269) R. Staddbn, The hairworm (Gordius aquaticus), “ Lancashh’e Nat. Darwen N. S., 2 (1910) (lavoro di volgarizzazione). (270) Wilhelm Schreitmììller, Gordius aquaticus, “ Batt. Aquar. Terrar. Kde. „, Jahrg. 22, p. 495 (1911). (271) E. L. Russ, Contribution à Vétude des parasites des Trichoptères, “Ann. Se. Univers. Jassy „, voi. 7, p. 255 (1912) (Gordius tolosanus). (272) F. ZscHOKKE, Gordius als parasit des Menschen, “ Centralblatt Bakt. Jena „, I (1912). (273) Id., Gordius aquaticus as a parasite of Man, “ Helminth. Soc. Washington-Science „, N. S., voi. 35, p. 636 (1912). (274) E. Bayer, Hypodermis und neue Hautsinnesorgane der RhynchobdelUden, “ Zeit. f. wiss. Zool. „, voi. 64, p. 657 (1898) (Tratta anche della cuticola e della subcuticola dei Gordii). (275) H. Me. CooK, Note on thè Intelligence of a Cricket parasitised by a Gordius, “ Proc. of thè Acad. Nat. Se. Philadelphia „, p. 293 (1884). (276) R. Hartmbyer, IV. Gordiidae in Die Siiswasserfauna Deutschlands di A. Brauer, Heft 15, p. 86. .Jena, Fischer (1909). (277) VoN Linstow, Beitrdge zur Kenntnis der Fauna Turkestans, “ Trav. Soc. Nat. St-Pétersbourg XXXVII (1907) (in lingua russa — menziona il Parachordodes pustulosus). (278) E. Ninni, Catalogo della Raccolta Elmintólogica del conte A. P. Ninni, “Atti R. Istituto Veneto Se. Lett. Arti „, voi. LX, parte 2“, p. 70 (1901). Elenca: Gordius tricuspidatus (Treviso), G. tolo- sanus (Treviso e Grenoble), G. Presili (di Airg sur Noyarel), G. violaceus, G. gratianopolensis, G. gemmatus (di Grenoble), G. aquaticus (di Saint-Egrève). (279) A. E. Shipley, On thè entoparasites collected by thè “ Skeat expedition „, “ Proc. Zool. Soc. Londra „ (1893), II, p. 152 : Nematomorpha (Ristampa il lavoro di Camerano, conf. 203). (280) VoN Linstom, Helminthologische Beobacht., “Archiv f. mikros. Anat. voi. 56, p. 373, tav. XV, fig. 20-21 (larva di Parachordodes tolosanus in Rhyacophila nubila Zett. di Gottinga). (281) Georgina Sweet, The Endoparasites of Australian Stock and native Fauna, I, “ Proc. Royal Soc. of Victoria „, XXI (New Series), II (1909) (Cita il Gordius incertus di Villot della Tasmania, già indicato dal Villot, e Gordius sp. ? N. S. W. secondo Cobb, “ Agric. Gaz. ,. N. S.W., II, p. 213 (1891)). (282) VoN Linstow, Nematoden aus dem Koniglichen Zool. Mus. Berlin, “ Mittheil. Zool. Mus. Berlin „, III, 3, p. 259 (1907) (cambia il nome del suo Gordius pallidus, che è preoccupato, in Gordius semilunaris). 0 LOUENZO CAMEKANO REVISIONE DEI GORDII (283) VoN Linstow, Oh )ro/v«s of thè Famihj Gordiide from Corea, “ Proc. Zool. Soc. Londra p. 557 (1906). (284) Cn. W.\iii)ELL Stiles, Three New American cases of Infection of Man witìi llorse hairs Worms, (Paragordius varins), “ Dall. Hyg. Lab. Treas. Dept. pubi. Health mar. Hosp. Serv. n. 34, p. 53, 21 figg. (1907) (col sommario dei casi consimili). (285) R. BLANCii.\Rr), Dictionn. encijclopéd. des se. méd., 5® sér., voi. Ili, pp. 39-41.. Paris (1888). (286) L. Cameuano, Nota su due Gordii dell’ Eritrea, “ Boll, del Lab. di Zool. gen. e agraria della R. Scuola sup. di Agricoltura di Portici „, voi. TX, p. 335 (1915). (287) P. DE Beadchamp, Turhellaries, Trématodes et Gordiacés, del viaggio di Alluand e Jeannel nel- VAfrica orientale. Paris (1913), p. 20. (288) B. Hofmanner, Gordiiden und Mermithiden aus dem tJiurganischen Natur. historischen Museum zu Frauenfeld, “ Frauenfeld. Mitt. Thurg. Nati. Gs. p. 286 (1913). (289) VoN Hans Blunok, Ehi Kurzes Wort zur Kenntnis der Gordiiden biologie, “ Zool. Anzeig. „, voi. XLV, n. 7 (1915). (290) Hans Hbrzog, Gordius als Parasit des Menschen, “ Corr. Bla. Schweiz. Aerzte 43, p. 1065 (1913). Distribuzione geografica dei Dordii. Dall’anno 1897, in cui io pubblicai la Monografìa dei Gordii, ad oggi il numero delle specie di Gordii conosciuto si è raddoppiato. Le nuove specie tuttavia state descritte non vengono a modificare essenzialmente le linee generali della distribuzione geografica di questi animali che io ho indicato nella monografia stessa (pag. 370 e seg.). Le specie oggi conosciute di Gordii (lasciando in disparte quelle inquirende per l’in- sufficienza delle descrizioni date dagli Autori) sono nelle varie regioni zoologiche così di- stribuite : Gen. Gordius 1. Pioltii Camer. 2. Villoti Rosa 3. lapponicus Linstow Gen. Gordius 1. Pioltii Camer. 2. Villoti Rosa 3. angulatus Linstow 4. hispidus Linstow Regione Europeo-Siberiana. Gen. Paragordius Gen. Parachordodes Gen. Chordodes 1. tricuspidatus (L. Duf.) 1. Vejdovskyi (landa) 2. stglosus (Linstow) 2. violaceus (Baird) 3. Kaschgaricus (Camer.) 4. gemmatus (Villot) 5. pustulosus Baird 6. tolosanus (Dujard.) 7. maculatus (Linstow) 8. Woltersforfii (Camer.) 1. Tellina (Camer.) 2. De Filippii Rosa 3. hetularius Linstow Regione Mediterranea. Gen. Paragordius Gen. Parachordodes Gen. Chordodes 1. stglosus (Linstow) 1. violaceus (Baird) 1. Tellinii (Camer.) 2. alpestris (Villot) 3. gemmatus (Villot) 4. pustulosus (Baird) 5. W olterstorfi (Camer.) MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 7 Gen. Gordius 1. semilunaris Linstow 2. fìdgur Baird Gen. Gordius 1. fulgur Baird 2. Salvadorii Camer. 3. Feae Camer. 4. corrugatuR Camer. 5. Horsti Camer. 6. Dorine Camer. 7. Cognettii Camer. 8. Zavattarii Camer. 9. Paronae Camer. Gen. Gordius 1. fulgur Baird 2. Dorine Camer. 3. flnms Linstow 4. snnwemis Linstow 5. Willeìji Camer. 6. Pnronne Camer. Regione Cinese. Gen. Paragordius Gen. Parachordodes Gen. Chordodes — 1. Kaschgnrictis Camer. 1. Montoni Camer. 2. violnceus (Baird) 3. pustulosns (Baird) 4. corennus Linstow 5. Wolterstorfii (Camer.) Regione Indiana. Gen. Paragordius 1. Emergi (Camer.) 2. Rfglosus (Linstow) Gen. Parachordodes 1. Kuscìignricus Camer. 2. pustulofsus (Baird) 3. Roccntii Camer. Regione Australiana. Gen. Paragordius Gen. Parachordodes 1. vnriits (Leidy) — Regione Neozelandese. Gen. Chordodes 1. Annnndnlei Camer. 2. Giglio-Tosi Camer. 3. Wéberi Villot 4. liguligerus Roemer 5. Montoni Camer. 6. nelinnus Camer. 7. Silvestri Camer. 8. cnledoniensis (Villot) 9. Modiglianii Camer. 10. òrnatus Grenacker 11. hnrnmensis Roemer 12. Pollonerne Camer. 13. Skorikovi Camer. 14. Shipleyi Camer. 15. simnensis Camer. 16. insidintor Camer. 17. Furnessi Montgm. Gen. Chordodes 1. undidntus Linstow 2. moluccnmis Roemer 3. Jatidae Camer. 4. cnledoniensis Villot 5. Modiglinnii Camer. 6. timorensis Camer. 7. nnmdntus (Linstow) Sono stati descritti due Gordii coi nomi di Gordius diblastus (Erley e di Gordius pa- chi/dermus (Erley della Nuova Zelanda: ma le descrizioni sono insufficienti per giudicare a quale genere appartengono: foi’se si tratta di specie del genere Chordodes. Gen. Gordius Regione di Madagascar. Gen. Paragordius Gen. Parachordodes 1. nbbrevitttus (Villot) Gen. Chordodes 1. pnrdnlis Camer. 2. mndngnscnriensis Cara 3. Montgomergi Camer. 8 LORENZO CAMERANO — REVISIONE DEI GORDII Gen. Gordius 1. meì’Kaiiits Ciimer. Gen. Gordius 1. rohustus Leidy 2. Danielis Camer. 3. californicns Camer. Gen. Gordius 1. rohustus Leidy 2. obesus Camer. 3. aeneus Villot 4. paranensis Camer. 5. Danielis Camer. 6. californicus Camer. 7. quatemalensis Linstow 8. flavus Lin.stow Regione Africana. Gen. Paragordius 1. areolatus Linstow 2. ciuctus Linstow Gen. Parachordodes 1. Raphaelis Camer. 2. Sjostedti Camer. 3. Kaschgaricus (Camer.) 4. erythraeus Camer. Regione Nord Americana. Gen. Paragordius 1. varius (Leidy) Regione Sud Gen. Paragordius 1. varius Leidy 2. flavescens Linstow Gen. Parachordodes 1. platì/cephalus (Montg.) 2. lineatus (Montgm.) 3. longareolatus (Montg.) 4. alasciensis (Montgm.) Americana. Gen. Parachordodes 1. Alfredi (Camer.) 2. Latastei (Camer.) 3. prismaticus (Villot) 4. platycephalus (Montg.) 5. capitosulcatus (Montg.) Gen. Chordodes 1. ferox Camer. 2. digitatiis Linstow 3. Kallstenii Jilgersk. 4. Gariazzii Camer. 5. Boulengerii Camer. 6. capillatus Linstow 7. HawTceri Camer. 8. albibarbatus Montgm. 9. tubercidatus Linstow 10. clavutus Linstow 11. capensis Camer. 12. madagascariensis Calli. 13. Pollonerae Camer. Gen. Chordodes 1. occidentalis Montgm. 2. Morgani Montgm. Gen. Chordodes 1. Nobilii Camer. 2. talensis Camer. 3. brasiliensis landa 4. Bouvieri Villot 5. Peraccae Camer. 6. aurantiacus Linstow 7. Cameranonis Montg. 8. cubanensis Montgm. 9. Dugesi Camer. 10. Festae Camer. 11. Gestri Camer. 12. Griffinii Camer. Non sono stati indicati Gordii nella Regione polare artica e nella Regione polare antartica. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1. 9 I Ospiti dei Oordii. Nella mia Monografia dei Gordii (196) diedi un elenco degli ospiti nei quali erano stati trovati allo stato parassita i Gordii allo stadio di larva e allo stadio filiforme e adulto. Le ricerche compiute dal 1897 ad oggi concedono di arricchire l’elenco di dati numerosi. I Gordii allo stadio filiforme, giovani o adulti, vennero trovati allo stato parassita negli ospiti seguenti: Uomo (1). Aldrovandi, Siebold, Patruban, Gay e Guégnen menzionano casi di Gordii parassiti nel- l’uomo: ma la determinazione specifica degli esemplari è incerta. Gordius Villoti (Rosa) (Cerutti e Camerano 156). Paragordius varius Leidy. - (Diesino, teste Kirtland 76 e Wardell Stiles 284). 3 casi. Paragordius cinctus Linstow (Linstow 228). Paragordius tricuspidatus (L. Dufour) - (R. Blanchard 195). Parachordodes tolosanus (Duj.) - (Fiori e Rosa 105 e Linstow 228). Parachordodes violaceus (Baird) - Topsent 256. Parachordodes pustulosus (Baird) - (Parona 245 e 246). I casi sopra citati sono stati osservati in Italia, Francia, Austria, Baviera, America e nel Transvaal. Montone. Gordius sp.? (Crisp. 122). Uccelli. Paragordius stylosus (Linstow) in un Otis Macquinii (Linstow 109). Anfìbi. Gordius sp.? in un Amblystoma (Garman 179). Pesci. Gordius Villoti Rosa (Camerano 207). In un Idus. Insetti. Coleotteri. Gordius Villoti Rosa (Villot 186, Linstow 97, 231, Camerano 196 e Hartmeyer 276) — Carabus coriaceus, C. gemmatus, C. violaceus — Harpalus fatidicus — Omaseus vulgaris, 0. melas — Calhatus cisteloides — Feronia melanaria — Silpha atrata. Parachordodes tolosanus (Duj.) - (Linstow 97, 182, 163, 181, 231, 227 e Camerano 196) — Carabus hortensis, C. morbillosus, C. violaceus — Procrustes coriaceus — Harpalus pubescens, H. hirtipes, hottentota, H. ruficornis — Sphodrus leucophtalmus, Pterostichus (1) Cfr. anche C. Parona (245-246) e Wardell Stiles (284). 10 LORENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII Hujer, Omaseus melas, Pferostichus nigritus, P. nielns — Feronia melanaria, F. metallica, Molops elafutt, Calathiis cisteloides — Poecilus lepidus — Pterostichns metallicus — Pelar blaptoides — Dgtiscus marginalis — Sglpha atrata. Parachordodes violaceus (Baird) - (Baird 64, Villot 186 e Camerano 196, 218) Carabus violaoeus, Carabus olgosidus Illig — Procrustes violaceus — Calathus cisteloides (Inghil- terra) — Silpha subrotunda. Parachordodes pustulosus (Baird) - (Baird 64, Villot 186 e Camerano 150, 155, 196) — Blaps obtìisa, B. mortisaga, Sphodrtis leucophtalmus, Hargìalus uenens, Blaps anthrucina. Ortotteri. Gordius Villoti Rosa (Villot 186, Linstow 97, 231 e Camerano 196) — Grillo sp.? — Mantis religiosa, Gomphocerus viridulus. Locusta hemitogia. Locusta sp.? — Decticus pe- destris, D. verrxicivoros. Decticus sp. ? Locusta viridissima, L. cantans — Tìuimnotrizon apterus. Gordius Doriae Camer. (Camerano 132) — Acanthodis sp.? (Locustario). Gordius Horsti Canier. (Camerano 198) in un Locustario. Gordius annulatus Linstow (Linstow 228) Onconotus onus. Gordius hispidus Linstow (Linstow 228) — Thamnotrizon apterus. Paragordius tricuspidatus (L. Dufour 27 e Villot 85) — Gryllus bordigalensis — Decticus albifrons. Paragordius varius (Montgomery 244) — Acheta abbreviata. Parachordodes Raphaelis Cainor. (Camerano 151, 196) — Phgllodroniia hemerobiina, P. pa- renthesis. Chordodes brasiliensis Camer. (Camerano 194) — Stagmatoptera hgaloptera (Mantide). Chordodes caledoniensis (Villot 85) — Mantis sp.? Chordodes baramensis (Roemer 184) — Hierodtda basalis. Chordodes ornatus (Grenacher 79) — Mantis sp.? Chordodes pilosus (Moebius 70) — Blattea gigantea. Chordodes parasitus (Creplin 47 e Villot 85) — Acanthoditis glabrata. Chordodes ferox (Camerano 151, 196) — Mantide sp.? Chordodes sp.? (J. Bell. 189) — Mantis membranacea, Idoteum diabolicum, Hierodtda biocu- lata (Mantidi). Chordodes madagascariensis (Camerano 143) — Mantide sp.? Chordodes pardalis (Camerano 143) — Aethiomerus adelphus (Conocefalide). Chordodes siamensis (Camerano 216) — Mantis sp.? Chordodes Annandalei (Camerano 216) — Mantis sp.? Chordodes Shipleyi (Camerano 198) — Mantis sp. ? Chordodes Montgomeryi (Camerano 199). In una grossa Mantide. Chordodes Montoni (Camerano 203). Da una grossa Mantide. Chordodes furnessi (Mcìntgomery 235) — Hierodula sp.? e Deroplatys sp. ? (Mantidi). Chordodes Morgani (Montgomery 244) — (Blattidi). Chordodes occidentalis (Montgomery 244) — (Acrididi). Chordodes tmdulatus (Linstow 226) — Mantis sp. ? Chordodes capillatus (Linstow 232) — Rhombodera scutata (Mantide). Chordodes Skorikowi (Camerano 206) — Mantis sp. ? Chordodes Pollonerae (Camerano nel presente lavoro) — Ortottero del gruppo degli Etrodidi — Madiga aberrans. Chordodes Hawkeri Camerano da Mantis sp.? e da Popa andata Fabr. 11 MEMOlilE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUIl., .SERIE II, VOL. LXVI, N. 1. Miriapodi. Gordius Villoti (Camerano 142) — Scolopendra sp.? — Lithobius forficatus (Villot 186). Ragni. Gordius Villoti (Roemer 177) Ragno (Gen.?). Paraclìordodes tolosanus (Linstow 97) — Drassus fiiscus. I Gordii allo stato di larva armata vennero trovati allo stato parassita negli ospiti seguenti: Anfibi. Gordius Villoti (Leydig 188) — Rana temporaria. Pesci. (Villot 86, 110, Linstow 231 e Camerano 196). — Vennero trovate in Cobitis barbatula, Phoxinus laevis — Petroinijzon Pianeri — Lampreda adulta le specie seguenti: Gordius Villoti, Paragordius tricuspidatus, P. stylosus, Parachordodes tolosanus, P. violaceus. Molluschi. Linstow, Villot 86 in Limnaea ovata, Planorbis sp. ? Gordius Villoti, Paragordius tricusiìi- datus, Parachordodes tolosanus. Insetti. Gordius Villoti — in varie sorta di insetti : Tangpus, Corethra, Chironomus, Hydrophilus piceus, Dytiscus (Villot 86 e Linstow 231). Paragordius tricuspidatus id. Paragordius varius (Montgomery 243). Parachordodes tolosanus (Linstow 227, 231, 280, e Russ 275). — Ephemera vulgata, Claeon dipterum, Sialis lutarla — Rhyacophila nubila. Vermi. (jrordius Villoti (V^illot 86) — 'Nephelis octoculata — Gordius sp.? — Enchytraeus albidus (Claparède, Redi. anat. Oligoch., “ Mém. Soc. Phys. Hist. Nat. Genève XVI, 1862). Genere CHORDODES (Oraepein) Mììbixts. Camerano, Monografìa dei Gordii, “ Meni. R. Acc. delle Scienze di Torino ser. Il, voi. XLVIT, p. 368 (1897). Le specie oggi conosciute si possono disporre nella seguente tavola dicotoma, nella quale sono indicati i loro caratteri principali. Nelle pagine che seguono ho riferito le descrizioni delle specie state descritte dopo la pubblicazione della mia Monografia (1897) e quelle che sono in qualche modo modificate, accresciute, o chiarite, e quelle ancora per le quali si sono avuti nuovi dati circa la loro distribuzione geografica. — Per le altre specie rinvio il lettore alla mia Monografia sopra citata. 12 LORENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII il. Areole papillari (lolla cuticola di una sola sorta: alcuno con un tubercolo o con un pro- lungamento spiniforme trasparente o con peluzzi rifrangenti. H. Areole molto ravvicinate fra loro per tutta la superficie del corpo. a. Senza areole accoppiate. h. Areole di forma conica o più o meno allungate, rotonde. c. Con peluzzi rifrangenti sopra una parto delle aioole. 1. Annandalei Cainer. ce. Senza peluzzi rifrangenti: qualche areola qua e là porta un prolungamento rifrangente e vi è qua o là fra le areole qualche piccolo tubercolo rifran- gente. 2. Weberi Camer. bh. Areole in forma di rilievi verrucosi, quasi rotondi. 3. moluccanus Roemer. bbb. Areole allungate, liguliformi. 4. liguUgerus Roemer. aa. con areole accoppiate, fra le quali sorge un prolungamento jalino, corto. 5. Bedriagae Camer. lili. Areole relativamente molto lontane le une dalle altre, salvo quelle che si uniscono di tratto in tratto per formare gruppi irregolari, le quali sono fra loro a contatto. 6. talensis Camer. AA. Ai-eole papillari della cuticola di 2 sorta; le une generalmente più basse, più chiare, più numerose, le altre più elevate, generalmente più scure, isolate o varia- mente riunite a gruppi fra le prime. JR. Areole tutte o in parte coperte da numerosi e minuti tubercoli rifrangenti. c. I granuli rifrangenti si trovano sopra tutte le areole; sopra quelle più alte e più scure formano come un orlo regolare. Le areole più basse hanno contorno poligonare. 7. Tellinii Camer. cc. I granuli si trovano soltanto sulle areole più basse; le areole più elevate e più grosse portano un prolungamento chiaro, conico o incurvato. 8. Giglio Tosi Camer. BB. Areole senza minuti e numerosi granuli rifrangenti. l. Areole più basse e più chiare di aspetto moriforme. a. Areole moriformi più basse e più chiare con in mezzo uno spazio rifrangente; areole più grosse, chiare, isolate od unite due a due con lunghi prolunga- menti chiari. 9. Nohilii Camer. «fi. Areole più basse, chiare, ovali, senza porzione mediana rifrangente più chiara; areole più elevate, moriformi, isolate o riunite in gruppi di due o più, alcune con un prolungamento jalino digitiforme. 10. undulatus Linstow. II. Areole più basse, più chiare, di aspetto non moriforme. a. Le areole più basse e più chiare sono a contatto fra loro e a contorno poligonale irregolare: gli spazi interareolari mancano. b. Le areole più scure e più elevate hanno una porzione mediana più chiara e por- tano una corona di peli fini e corti. Qua e là fra le areole più chiare sor- gono prolungamenti chiari, grandi, spiniformi e ricurvi. 11. Festae Camer. bb. Le areole hanno aspetto finamente zigrinoso; le areole più elevate e più scure sono senza la corona di peli fini e corti: mancano i gx’ossi prolungamenti spiniformi; ma qua e là vi sono soltanto piccoli prolungamenti rifiangenti. 12. Gestri Camer. aa. Le areole più basse e più chiare non sono a contatto fra loro: gli spazi inter- areolari sono più 0 meno ampi. b. Negli spazi interareolari vi sono numerosi e minuti granuli rifrangenti. 13. Grif finii Camer. MEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, VOI,. I,XVI, N. 1 . 13 hb. Gli spazi interareolari sono privi di minuti granuli rifrangenti. r,. Le areole più basse, più chiare e più piccole hanno forma irregolare e appa- iono come solcate da fessure od anche divise in varie parti: lo areole più scure sono relativamente molto grandi (da 30 a 37 p) 14. Diujesii Camer. cc. Le areole più basse e più chiare sono relativamente molto piccole, numerose, rotonde e distanti fra loro: le areole più grosse e più scure sono ovali con margine ondulato e sono munite nel mezzo di una porzione più chiara: esse sono separate fra loro dalle areole della prima sorta. 15. annulatus Linstow. ccc. Le areole più basse, più chiare, più piccole, sono di forma regolarmente ovale e sono distanti fra loro: le areole più elevatesene coniche, appuntite ed incurvate, si trovano riunite in gruppi: ma sono separate fra loro dalle areole della sorta precedente; fra le areole dei gruppi sorgono lunghi pro- lungamenti chiari che costituiscono come un ciuffo. 16. clavatus Linstow. ceco. Le areole più basse e quelle più rialzate portano superiormente dei fini e corti peli : le areole più elevate e più scure hanno una porzione chiara nel mezzo: esse sono isolate o riunite a paia qua e là od anche formano dei gruppi più 0 meno numerosi. 17. Furnessi Montgm. ecccc. Le areole hanno forma conica o cilindrica e fra esse, isolate o riunite in gruppi da 6 a 10, stanno altre areole di egual forma alle precedenti, ma più scure, più alte e con peli molto lunghi all’apice. 18, haramensis, Roemer. A A A. Areole papillari di più di due sorta, le une generalmente più basse, più chiare, più numerose, le altre di diversa forma, più elevate, più scure, isolate o varia- mente riunite in gruppi fra le prime. I. Areole più basse e più chiare di aspetto non moriforme. a. Negli spazi interareolari vi sono minuti granuli o tubercoli rifrangenti. b. Gli spazi interareolari sono relativamente grandi e i granuli rifrangenti sono nu- merosi. c. Fra le areole più basse vi sono qua e là gruppi di due areole più grosse, più elevate, più scure, munite di un ciuffo di lunghi peli. 19. penicellatus Camer. cc. Fra le areole più basse e più chiare vi sono gruppi di areole più elevate, sparsi qua e là, costituiti da varie areole elevate, munite all’apice da fini peli, che circondano una areola mediana fatta ad otre che porta un prolungamento jalino. 20. tuberculatus Linstow. bb. Gli spazi interareolari sono relativamente molto stretti e i granuli o tubercoli rifrangenti sono poco numerosi. c. Le areole più basse hanno un canale mediano pieno di sostanza rifrangente. d. Areole più chiare a contorno rotondo, quasi semisferiche. 21. De Filippii Rosa. dd. Areole più chiare a contorno irregolarmente poligonale, cilindriche o coniche. 22. capensis Camer. cc. Le areole più basse e più chiare senza il canale mediano pieno di sostanza rifrangente. d. Areole più basse, più chiare, rotonde, molto ravvicinate fra loro: mancano i grossi prolungamenti conici, spiniformi, sparsi qua e là. 23. puncticulntus Camer. dd. Areole più basse, più chiare, a contorno irregolare, molto ravvicinate fra loro, qua e là vi sono grossi prolungamenti conici, appuntiti, e pure qua e là vi sono sottili e lunghi prolungamenti chiari, bacillari. 24. Hawkeri Camer. u LORENZO CAMEKANO REVISIONE DEI GORDII ita. UH spazi intorareolaii sono privi eli minuti granuli o tubercoli rifrangenti. h. Areole piìi liasse. piìi chiaro che portano superiormente un prolungamento spini- forme, sottile. e. Qua 0 là sporgono prolungamenti grossi, spiniformi, ricurvi, chiari, e pure qua e là vi sono piccoli e sottili prolungamenti chiari, digitiformi. 25. Morgani Montgm. co. Si trovano soltanto i piccoli e sottili prolungamenti chiari, digitiformi. 26. cubanensis Montgm. hb. I prolungamenti spiniformi, sulle areole più basse e più chiare, mancano. c. Oltre ai prolungamenti ialini, sottili, sparsi fra le areole si trovano qua e là grossi prolungamenti appuntiti, spiniformi, più o meno incurvati. (l. Areole chiare più basse, più numerose, a contorno più o meno nettamente festonato o frastagliato e in forma per lo più allungata, molto ravvi- cinate fra loro, con un canale mediano pieno di sostanza rifrangente. 27. sianiensis Camer. dd. Areole chiare più basse e più numerose a contorno rotondeggiante, o irre- golarmente poligonale, non festonato. e. Fi'a le areole più basse e più chiare si trovano qua e là due areole più scure appaiate in mezzo alle quali vi è un porocanale. 28. madagascariensis Camer. ee. Le areole più scure, più elevate sono riunite a gruppi di sei, o più, intorno ad altre più grosse e più elevate. /. Prolungamenti spiniformi molto grossi, trasparenti, ricurvi a mo’ di spina (diametro basale da 16 a 18 p, altezza da 17 a 20 p). 29. ferox Camer. • //'. Prolungamenti spiniformi notevolmente più piccoli e meno spessi. 30. Montgomery Camer. eee. Le areole più scure hanno un contenuto mediano rifrangente, sono molto numerose e sono distribuite in modo irregolare, ora isolate, ora riu- nite a gruppi 0 in serie lineari irregolari. 31. insidiator Camer. cc. I grossi prolungamenti spiniformi mancano. d. Areole più chiare e più basse spesso con due formazioni rifrangenti accoppiate nel mezzo: areole papillari scure, cilindriche, molto sporgenti, coperte alla sommità da fini peli, isolate o riunite qua e là in gruppi di due o tre. 32. Bouvieri Villot. d,d. Areole più chiare e più basse senza formazioni rifrangenti. e. Areole più elevate e più scure in parte riunite in numero notevole in gruppi sparsi qua e là e in parte riunite due a due fra i gruppi precedenti. 33. Cameranonis Montgm. ee. Areole più elevate e più scure riunite in gruppi sparsi qua e là di sei o più areole: mancano le areole scure accoppiate sparse qua e là fra i gruppi. /. Fra le areole si trovano speciali infossamenti che contengono formazioni chiare rifrangenti peliformi accoppiate, 34. occidentalis Montgm. //. Le formazioni rifrangenti peliformi accoppiate fra le areole mancano. g. Areole scure, elevate, riunite: ma a spiccata distanza, intorno a due o più areole papillari, più elevate, che portano lunghi filamenti disposti a ciuffo irregolare. 35. Peraccae Camer. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 15 io(jrafi(( dei G ordii ( 196 ), p. 375, tav. I, figg. 15-15(/. 8. Chordodes Giglio- Tosi Camer. Chordodes Giglio-Tosi (Camerano, Gordiens du Musée Imlien, “ Records of thè Indiai! Museum voi. II, parte II, p. 114 (1908). Località: Purneah, N. Bengal. 9 Lungh. 355 mm.. Largii. 1 mm. Colore del corpo bruno. La cuticola presenta due sorta di areole papillari. Quelle della prima soi'ta sono alquanto rialzate e un po’ arrotondate e più basse di quelle della seconda sorta. Esse sono coperte da fini granulazioni. Le areole della seconda sorta sono più grosse e più convesse delle pre- cedenti e sono provvedute di un prolungamento chiaro in forma di un tubo un po’ conico e leggermente incurvato. Queste areole sono disposte qua e là, isolate, o talvolta ravvicinate fra loro due a due. Queste areole sono alla loro base larghe circa 10 p. I tubi chiari sono lunghi da 12 a 15 p circa, con un diametro trasversale di circa 2 o 3 p. 9. Chordodes Nohilii Camer. Chordodes Nohilii Camer.ano, Gordii raccolti dal doti. Filippo .Silvestri nella Bepuh- hlica Argentina e nel Paraguay, “ Boll. Mus. Zool. Anat. Coiiip. Torino „, XVI, n. 410 (1901). Località: Cosquin presso Cordova (Repubblica Argentina). 9 Lungh. 240 mm.. Largii. 1 mm. Colorazione bruna, un po’ più chiara nella regione pericloacale. Lo strato cuticolare esterno presenta: 1° Areole papillari moriformi a contorno preva- lentemente ovale con in mezzo una cavità piena di sostanza rifrangente ; 2° Prolungamenti rifrangenti, corti e ricurvi, appuntiti che sorgono qua e là fra le areole papillari prece- denti; 3° Papille grosse, chiare, sparse qua e là fra le areole papillari moriformi, ora isolate, ora riunite due a due e portanti lunghi prolungamenti chiari scrpentiniformi. 10. Chordodes undulatus Linstow. Chordodes undulatns Linstow, Nematoden des Zoologischen Musenms in Konigsherg, “ Archiv fiir Naturg. „, 190G, I, p. 257, tav. XVIII, fig. 20. Località: Sydney — da una Mantis sp. 9 Lungh. 185 mm., Largii. 0,9 mm. Colorazione bruno nerastra; l’estremità anteriore giallo bruna. MEMORIE - CLASSE UI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 19 La cuticola presenta duo sorta di areole papillari; 1° Areole più chiare, ovali, coH’assc maggiore perpendicolare all’asse longitudinale del corpo, di aspetto morifornie. Esse sono a contatto fra loro ed occupano tutta la cuticola; 2° Areole un po’ più grandi delle precedenti e più scure, anche di aspetto moriforme, isolate fra quelle della prima sorta o riunite a gruppi, di due o quattro; la parte mediana di questa sorta di areole appare chiara e di forma ovale. Ad essa in alcune delle areole corrisponde un prolungamento chiaro, digiti- forme. 11. Chordodes Festae Camer. Camerano, Monografìa del Gordii (196), p. 386, tav. Ili, fìg. 38 (1897) — (214), (1905). L’esame di parecchi esemplari dei due sessi avuti dopo la pubblicazione della mia Mo- nografia sui Gordii mi concede di dare la descrizione completa di questa specie. Località: Cuenca (Ecuador) — Merida (Venezuela). 5 Lungh. 84-95-105-115-120-145-165-170-175 mm., Largh. da 0,5 a 1 mm. Colorazione: Nei maschi, bruna o bruno nera; nelle femmine bruna più o meno scura; le estremità anteriore e posteriore sono nei due sessi più chiare. La cuticola ha la stessa struttura nei due sessi e presenta: 1° Areole papillari molto ravvicinate fra loro, a contorno poligonale, irregolare, non moriformi, poco elevate, di color chiaro, con una porzione mediana più o meno rifrangente (larghe in media 12 p) ; 2° Areole papillari a contorno grossolanamente ovale o rotondo, più scure e notevolmente più elevate delle prime, con una parte mediana più chiara e l’orlo superiore coronato da corti e fini prolungamenti trasparenti. Queste areole di tratto in tratto si riuniscono in gruppi di 25 o 30 intorno a due che presentano fra loro un prolungamento trasparente, oppure si trovano iso- late 0 riunite a gruppi di due o tre fra le areole della prima sorta. Qua e là fra le areole più chiare sorgono prolungamenti trasparenti, grandi, spiniformi, ricurvi (il loro diametro alla base è di 4 p), e altri più piccoli, quasi cilindrici, i quali stanno sulle areole della prima sorta. Nello areole mediane dei gruppi più scuri delle areole papillari si trovano, sopratutto lungo le linee longitudinali del corpo, dei ciuffi di produzioni piliformi, rifrangenti, di lun- ghezza varia; talvolta anche notevolmente lunghi. 12. Chordodes Gestri Camer. Cìtordodes Gestri Camerano_, Nuova specie di Chordodes del Guatemala “ Annali del Museo Civico di Stor. Nat. di Genova „, serie 3% voi. I, p. 93 (1904). Località: Querzaltenango (Guatemala). (J Lungh. 150-195 mm., Largh. 0,5-1,25 mm. — 9 Lungh. 275 mm., Largh. 1 mm. Colorazione: Il maschio è bruno nero, la femmina è di color bruno chiaro. Nei due sessi le estremità anteriori e posteriori sono più chiare. La cuticola presenta: 1° Una sorta di areole papillari a contorno non festonato e senza aspetto moriforme, le quali hanno forma e dimensioni variabili (il diametro maggiore di esse può variare da 12 a 24 micromillimetri). Esse sono molto ravvicinate fra loro e presentano una o due forma- zioni rifrangenti. Queste areole sono poco sporgenti : la loro superficie superiore è, o con- vessa, 0 leggermente come appuntita, od anche talvolta è incavata ; 2° Fra le areole della sorta precedente si notano dei gruppi ben distinti di areole più grandi e più scure che spic- cano nettamente fra quelle precedentemente indicate. Questi gruppi sono costituiti in gene- rale da sette a dieci areole a contorno grossolanamente poligonale e di dimensioni variabili •20 l;OKENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII (il diamotio maggiore di esse può variare da 25 a 38 microinillimetri). Ciascun gruppo appare costituito da duo areole papillari mediane, nella linea di separazione dello quali si nota un grosso poro canale rifrangente, circondate da altre areole un po’ più piccole. Queste ultime presentano una o due formazioni rifrangenti. La supeificie delle areole papillari, costituenti i gruppi sopra detti, appare, vista con sufficiente ingrandimento (ob. F. Zeiss. od. 2), fina- mente zigrinosa; 3“ Qua e là fra le areole papillari della prima sorta se ne notano alcune che portano un piccolissimo prolungamento rifrangente. Lo strato cuticolare della femmina ò simile a quello del maschio coi gruppi di areole papillari più scuri formati da un minor numero di areole che non nei maschi. 13. Chovdodes Grif/inii Camer. Chordodes Grif finii Camerano, Gordiens du Mexiqae, “ Bull. Soc. Zool. de France voi. XXIIl, p. 73 (1898) — Gordii delia Malesia e del Messico (198)^ ligg. 5-5u, (1899). Località: Altoyac (Vera-Cruz) — Messico. 5 Lungh. 65 mm., Largh. 0,4 mm. — 9 Lungh. 110 nim.. Largii. 0,6 mm. Colorazione bruno chiara, più scura nel maschio; l’estremità anteriore e posteriore del capo sono un po’ più chiare. La cuticola presenta due sorta di areole papillari. Le areole della prima sorta sono leggermente rialzate, a contorno aiTotondato e di colore chiaro, spesso sono provviste di formazioni rifrangenti accoppiate. Le areole della seconda sorta sono più grosse, più spor- genti, di colore più scuro, arrotondato alla loro base e spesso provviste di un prolungamento aguzzo, rifrangente. Due, tre o quattro di queste areole sono talvolta molto ravvicinate fra loro in guisa da formare come delle serie irregolari. Le areole, sopratutto quelle della prima sorta, sono generalmente separate fra loro da uno spazio relativamente grande nel quale vi sono numerose granulazioni rifrangenti. Qua e là si notano prolungamenti rifran- genti più grandi, i quali diventano notevolmente lunghi nella parte inferiore dell’estremità posteriore del maschio. 14. Chordodes Dugesi Camer. Chordodes Dugesi Camerano, Gordiens da Mexique, “ Bull. Soc. Zool. de Frauce voi. XXIII, p. 73 (1898) — Gordii della Malesia e del Messico, “ Atti R. Accad. Scienze Torino „, voi. XXXIV (1899), figg. 4-4«. Località: Altoyac (Vera-Cruz) — Megsico. 5 Lungh. 322 mm., Largh. 2 mm. Colorazione generale nera; l’estremità anteriore e la regione circumcloacale sono bian- castre. Lo strato cuticolare presenta due sorta di areole papillari : 1° Areole relativamente grandi (30 a 37 g di larghezza), di colore nero con contorno irregolare e colla superficie disuguale, in alcuni punti come rigonfia e in altri incavata. Queste areole non sono molto rialzate. Esse sono numerose, ora stanno isolate, ora si avvicinano due a due. Fra queste ultime nel mezzo della linea che li separa vi è un poro canale chiaro. Verso l’estremità posteriore del corpo queste areole sono più numerose e più sporgenti ed, esaminate a piccolo ingrandimento, hanno l’aspetto di piccoli tubercoli neri; 2° Areole più basse, più chiare. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1. 21 molto più piccole, che stanno fra le })recedenti. Esse hanno contorno irregolare e ap[>aiono come solcate da fessure od anche divise in varie parti. Fra esse stanno dei pori canali chiari simili a quelli che si trovano fra le areole della prima sorta. 15. Chordodes annulatus (Linstow). Pamchordodes annidatiis Linstow, Gordiiden u. Mermithiden des K. ZooL Mnseams Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin „, 111, p. 246, fig. 17 (1906). Località: Queensland — Australia. 5 Lungh. 225 mm.. Largii. 0,79 mm. — $ Lungh. 263 a 232 mm., Largh. 1,38 mm. Colorazione bruno chiara, collare nero. Il corpo presenta anelli trasversali sollevati. La cuticola ha due sorta di areole: 1° Areole piccole, ialine, rotondeggianti; 2° Areole grosse, ovali, col margine ondulato, che presentano un ingrossamento chiaro nel mezzo (il diametro maggiore delle areole è di 0,029 o 0,018 mm.). Il diametro maggiore è‘ trasversale rispetto all’asse longitudinale del corpo. Queste areole sono riunite in gruppi irregolari. Il capo è assottigliato, l’estremità caudale del J è fatta a cucchiaio, e nella femmina è ingrossata a bottone. Questa specie, per la forma generale del corpo e sopratutto per quella della estremità posteriore del 5, che, a quanto risulta dalla descrizione del Linstow, non è divisa in lobi ma è intiera ed incavata a cucchiaio, ed anche per la forma della estremità posteriore della 9) deve ascriversi al genere Chordodes. 16. Chordodes claratus Linstow. Chordodes claratus Linstow, Gordiiden und Mermithiden des Kongl. Zool. Mnsenms Berlin, “ Mitteil. Mus. Zool. Berlin III, p. 246, tav. 5, fig. 16 (1906). Località: Jaunde — Kamerun. 5 Lungh. 191 mm., Largh. 0,99 mm. — 9 Lungh. 238-267 mm., Largh. 1,14-1,78 mm. Colorazione rosso bruna; estremità del corpo più chiara. La cuticola presenta due sorta di areole: 1° Areole più piccole, poco sviluppate, di forma ovale, distanti fra loro, e che occupano tutta la cuticola; 2° Areole rialzate, coniche, appuntite, alquanto incurvate, riunite a gruppo ; ma frammiste a quelle della sorta prece- dente. Nel gruppo sorgono numerosi e lunghi filamenti chiari che formano come un ciuffo. 17. Chordodes fiirnessi Montgm. Chordodes furnessi Montgomery, Descriptions of two new exotic species of thè genus Chor- dodes, “ Zoolog. Jahrb.-Systematik „, XI, p. 379, tav. 2, figg. 1-6 (1898). Località: Borneo (9 da Hierodula sp. (Mantide), il 5 da un Deroplatys sp. (Mantide)). 5 Lungh. 216 mm., Lax'gh. 1,25 mm. — 9 Lungh. 268 mm., Largh. 2 mm. Colorazione: Nel 5 giallo bruno, nella 9 bruno olivastro scuro; la estremità anteriore nei due sessi è biancastra. La cuticola presenta varie sorta di areole: 1" Areole papillari rotondeggianti, relativa- mente piccole, poco rialzate, coperte superiormente da peluzzi fini e corti. Èsse sono relati- I.OKENZO CAMEKANO REVISIONE DEI GORDII vauiento distanti fra loro ed occupano la maggior parto della cuticola; 2" reole papillari più alte delle procedenti, rotondeggianti od ovali, di coloro più scuro, superiormente arro- tondate, con un poro canale chiaro nel mezzo e col margine coperto da una corona di peluzzi chiari, fini e corti. Esse si trovano o isolate, o riunite a gruppi di due, oppure riunite in gruppi più numerosi (da 15 a 20) ed irregolari nei quali ve ne sono di dimensioni varie. 3° Processi jalini, digitiformi, alti come le areole della seconda sorta e incurvati all’apice: essi sono sparsi qua e là. 18. Chordodes harmnensis Roemer. CaiMEkano, Monografìa dei Gordii (196), p. 383. 19. Chordodes penicMlatus Camer. Camerano, Monografia del Gordii (196), p. 378, tav. II, fìgg. 24-24: n. 20. Chordodes tuherculutus Linstow. Chordodes tuherculatus Linstow, Helminthen von den Ufern des Ngassa-Sees, “ Je- naisclien Zeitschr. f. Naturwiss. „, voi. XXXV, pag. 417, tav. XIIT, fig. 17 (1900). Località: Presso Langenburg (Lago Nyassa, pescato a 160 metri di profondità). 9 Liingh. 195 mm., Largh. 0,48 mm. Colorazione bruno scura con macchie più scure e con aspetto iridescente. La cuticola presenta quattro sorta di areole papillari: 1° Areole rotonde separate fra loro da uno spazio relativamente ampio nel quale stanno numerose granulazioni rifrangenti. Queste areole che il Linstow dice: “ rande mit heller Mitte un strahilinger Zeichnung „ si devono interpretare come areole con centro chiaro e provviste di minuti filamenti che spor- gono da esso ed hanno disposizione raggiata; 2° Areole più o meno rialzate, coniche, di color scuro ; 3° Areole assottigliate, alte e munite al loro apice di formazioni granuliformi rifrangenti ; 4° Areole alte, rigonfiate verso la loro metà circa e terminanti in un prolun- gamento digitiforme chiaro. Come si può arguire dal disegno dato dal Linstow, le areole del prolungamento digiti- forme (4°) costituiscono il centro di un aggruppamento di areole più rialzate, della terza e della seconda sorta, aggruppamenti che corrispondono alle macchie scure della cuticola. Il maschio non è conosciuto. 21. Chordodes De-Filippii Rosa. Camerano, Monografia dei Gordii (196), p. 382. 22. Chordodes capensis Camer. Camerano, Monogra:fia dei Gordii (196), p. 386, tav. II, figg. 28-28a. 23. Chordodes puncticiilatus Camer. Chordodes puncMculatus Camerano, Gordiens nouveaux ou pen connus du Mnsée d’hisfoire naturelle de Lende, “ Note from thè Lejden Museum „, voi. XVII (1895) — MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUU., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 23 Monografia dei Gordii, “ Mem. Acc. Se. Torino „, serie 2% voi. XLVII, p, 384, tav. II, fìgg. 25-25a (1897) — Gordii della Malesia e del Messico, “ Atti R. Se. Aee. Torino voi. XXXIV (1899) — Gordii raccolti dalla spedizione “ Skeat „ (203), (1901). Località: Deli (Sumatra) — Perak (costa sud-occidentale della penisola di Malacca) — Isola presso la costa di Kedah (Penisola Malese). 5 Lungh. 192-195-232 mm.. Largii. 1 mm. Colorazione; Il maschio è nero, ora senza traccia di bianco nella estremità anteriore, ora questa è più chiara; l’estremità posteriore è un po’ più chiara. La femmina è bruno chiara con piccolissime macchiette bruno scure, le quali sono dovute ai gruppi di areole più rialzate e di color bruno scuro. Lo strato cuticolare ha la stessa struttura nei due sessi e presenta le varie sorta di areole seguenti: 1° Areole rotonde poco elevate, non moriformi, ma a margini basali roton- deggianti: esse sono molto ravvicinate fra loro, i margini stretti che le separano presentano granulazioni assai minute; 2° Areole papillari simili alle precedenti, ma con un prolunga- mento trasparente lungo e ricurvo, digitiforme: esse sono sparse qua e là fra le prime; 3° Areole papillari larghe alla base come quelle del primo gruppo o più piccole, a contorno rotondo od ovale, di altezza varia, ma più alte delle precedenti e di colore notevolmente più scuro : esse stanno isolate, o riunite due a due od anche in gruppi di maggior numero, talvolta anche di 10, 15, 20, 26: i gruppi sono variamente disti’ibuiti. La grandezza delle areole che costituiscono i gruppi è varia, spesso quelle mediane sono più grosse delle altre. Le areole ora menzionate portano alla sommità un cerchio di prolungamenti peliformi, sot- tili e rifrangenti, ma corti. In qualche gruppo, sopratutto in vicinanza del solco longitudi- nale ventrale, le areole mediane più grosse presentano prolungamenti più lunghi. 24. Chordodes Haivhevi Camer. Chordodes Hawkeri Camerano, Nuova specie di Chordodes del Sudan, “ Boll. Museom Zool. Anat. Coni]). Torino „, voi. XVII, n. 416 (1902) — Nota sul Chordodes Ilaivkeri, “ Idem „, voi. XXIII, n. 580 (1908) — Osservazioni intorno al Chor- dodes Haivkeri, “ Idem „, voi. XXVIl, n. 646 (1912). Località : Nilo Bianco (Sudan) — Grahamstow (da una Mantis) — Victoria Nyanza — Katanga — Sierra Leone (da una Mantis) — Mombasa (da una Popa undata Fahr.). (5 Lungh. 60-73-140-156-173-192 mm., Largh. da 0,3 a 0,8 mm. 9 Lungh. 60-70-88-100-103-115-117-165-190-230-235-250 mm., Largh. da 0,4 a 1,5 mm. Colorazione brunastra più o meno scura, talvolta nerastra, con numerose macchiette irregolari di colore bruno più scuro determinate dalle riunioni a gruppi delle areole più scure della cuticola. Queste macchiette sono più spiccate generalmente nei maschi che nelle fem- mine (negli individui di colorazione più chiara non sono visibili). Nei maschi l’apertura cloacale è orlata di bruno nero : ciò si osserva pure nelle femmine di maggiori dimensioni. Lo strato cuticolai’e esterno è simile nei due sessi e presenta le varie sorta di areole papillari seguenti : 1° Areole papillari non moriformi, ma a contorno irregolare, poco rial- zate, di dimensioni variabili da micromillimetri 3 a 5, a 8, a 10. Esse non sono molto rav- vicinate fra loro. Negli spazi che le sepai’ano si nota qua e là qualche piccolo granulo; 2” Areole papillari delle dimensioni delle precedenti, ma rialzate, a contorno superiormente rotondeggiante e di colore più scuro. Esse sono isolate fra quelle della categoria precedente, LOKENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII L>t 0 sono raggruppate a 2, a 3, a 4 e più. La loro altezza raggiunge anche gli 8 micromilli- inetri; 3° Areole papillari simili alle precedenti, ma rivestite al loro mai'gine superiore di una corona di tilamonti linissimi e corti. Questo areole sono sparse fra le altre o si trovano riunite a gruppi colle precedenti. Nel mezzo vi sono generalmente due areole più grandi le (inali spesso chiudono fra loro una piccola areola bruno chiara senza prolungamenti filiformi. 1 gruppi possono contare anche da 20 a 30 areole. In questi gruppi le areole sono di colore notevolmente più scuro e danno origine, sopratutto nelle femmine di maggiori dimensioni, alle macchie più scure dello strato cuticolare; 4° Prolungamenti sottili rifrangenti a forma bacillare col diametro di 2 micromillimetri e colla lunghezza di 10 o 12 micromillimetri; essi sorgono -qua e là; 5° Prolungamenti conici, appuntiti, più grossi si trovano pure sparsi fra le areole precedenti; essi hanno alla base una larghezza di 3 o 4 micromillimetri e mi- surano una lunghezza di 6 od 8 micromillimetri nelle, femmine. Nei maschi sono più grossi e più lunghi. La loro lunghezza può giungere anche a 18 micromillimetri. 25. Chordodes 3Iorgani Montgm. Chonlodes Monjani Montgomery, “ Bull, of Museiim Comp. Zool. Harward College „, XXXII, n. 8, p. 47, tav. 12, fig. 94; tav. 18, fìgg. 95-100 (1898) — ( 238 ), p. 840 (1898) — ( 239 ), p. 651 (1899). — The Identity of thè Gordiacean species, Chordodes Morgani and C. puerilis Montgm., “ Proceed. Acad. Naturai Se. Pliiladelphia, p. 289, tav. XI (1901) — ( 244 ), p. 272 (1907). Chordodes puerilis Montgomery ( 237 ), p. 48, tav. 18, fìgg. 101-1 05 (1898). Località: Lago Erie, Maryland, Jowa e Pennsylvania. 5 Lungh. 64-212-220 min., Largh. 1 mm. — 9 Largh. 222 mm. Colorazione bruna più o meno scura, più nel maschio che nella femmina; l’estremità anteriore è chiara. La cuticola presenta varie sorta di areole papillari: 1° Areole papillari piccole, rotonde e che portano superiormente una sottile formazione spiniforme. Esse sono molto numerose e occupano tutta la cuticola; 2° Areole piccole, di contorno irregolare, poco rialzate, senza spina, meno numerose delle precedenti e sparse fra esse; 3° Areole papillari notevolmente più alte delle precedenti, colla estremità superiore coronata da prolungamenti sottili e corti ; 4° Areole papillari rotonde, meno rialzate delle precedenti, arrotondate o quasi piane supe- riormente, senza la corona di prolungamenti sottili e corti, variamente distribuite; 5° Areole papillari che portano un lungo prolungamento chiaro, spiniforme, ora quasi diritto, ora incur- vato superiormente; 6° Papille areolari, rotondeggianti, piccole e basse, che portano un pro- lungamento digitiforme, sottile, ialino e alto come le areole della terza sorta; esse sono sparse qua e là. Le papille delia terza e della quarta sorta si riuniscono spesso in vario numero a formare gruppi irregolari che appaiono di colore più scuro. Nella cuticola della femmina minore è lo sviluppo delle papille più rialzate e dei gruppi, mentre più estesa è l’area occupata dalle piccole areole della prima sorta munite di piccola spina. 26. Chordodes cubanensis Montgm. Chordodes cnbanensis Montgomery, The Gordiacea of eertain american collections, “ Bull. Miiseuin Comp. Zool. Harvard College „, XXXII, n. 8, p. 52, tav. 15, fìgg. 118- 128 (1898). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 25 Località: Cuba. 5 Lungh. 165 mm., Largh. 1 mm. — $ Lungh. 280 mm., Largh. 1,6 mm. Colorazione nero piceo, colla estremità anteriore più chiara. La cuticola presenta varie sorta di areole papillari : 1° Areole papillari più piccole, poco elevate e terminate da una spina sottile, raramente duplice. Esse sono numerose e occupano gli spazi della cuticola che stanno fra le areole papillai'i delle sorta seguenti; 2“ Areole papillari rotondeggianti alla base, notevolmente più elevate delle precedenti, o coniche o colla estremità superiore arrotondata o irregolarmente dentata. Esse si riuniscono in vario numero in gruppi irregolari; 3° Areole papillari alte come le precedenti, ora di eguale diametro di esse, ora spiccatamente più larghe e provviste superiormente di prolun- gamenti peliformi corti; esse sono o isolate o riunite in gruppi di due o più; 4° Qua e là sporgono dei prolungamenti ialini, digitiformi, sottili, alti poco più delle papille della terza sorta. La struttura della cuticola è simile nei due sessi; nel maschio sono tuttavia più nume- rose e più spiccate le areole papillari della seconda e della terza sorta. 27. Chordodes siamensis Camer. Chordodes siamensis Camerano, Nuove specie di Gordii del Basso Siam, “ Boll. Mus. Zool. Anat. Comp. Torino voi. XVIII, ii. 437 (1903). Località: Basso Siam. 9 Lungh. 200 mm., Largh. 1,8 mm. La colorazione è bruno nera, più chiara verso l’apice anteriore e verso l’estremità po- steriore. Lo strato cuticolare esterno presenta: 1° Areole papillari a contorno festonato, le quali sono più chiare delle altre, in forma per lo più allungata; la loro lunghezza varia da 10 a 15 micromillimetri e la loro larghezza da 8 a 12 micromillimetri. Sotto al vetrino copri- oggetti, per la pressione di questo, esse appaiono come embricate; hanno un contenuto più chiaro, che, nelle sezioni ottiche, sembra disposto come entro un canale mediano. Queste areole sono molto ravvicinate fra loro; 2° Areole papillari non moriformi, più alte e più scure, dell’altezza di circa 27 micromillimetri, ora isolate, ora riunite due a due, ora riunite in numero di dieci o dodici intorno a due areole papillari più larghe in modo da costituire gruppi di areole papillari scure sparsi qua e là. Le areole più grosse mediane di questi gruppi presentano fasci di prolungamenti relativamente lunghi e grossi, sopratutto in quelle che stanno in prossimità del solco longitudinale, ventrale, mediano; 3° Areole papillari un po’ più scure di quelle della prima sorta, sopra indicata, a contorno rotondo o leggermente festonato, le quali portano un piccolo prolungamento digitiforme, rifrangente. Esse sono relativamente numerose e sono sparse qua e là fra le areole della prima sorta. La loi’o lar- ghezza varia da 10 a 12 micromillimetri; 4° Qua e là, ma poco abbondanti, si notano alcune areole papillari a contorno rotondo che portano un prolungamento infrangente più grosso e più alto (circa 10 micromillimetri) e fortemente ricurvo. 28. Chordodes niadagascariensis Camer. Camerano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 387, tav. II, figg. 23-23a (1897). Ho esaminato tre esemplari di Fauta Osalan (Guinea Francese) che, quantunque presen- tino qualche differenza nella struttura della cuticola dall’esemplare tipico da me descritto di Madagascar, tuttavia credo si possano riferire alla stessa specie. 26 LORENZO CAMEKANO REVISIONE DEI GORDII 9 Lungh. 224-226 inni., Largii. 1 inni. — Colorazione giallo brunastra chiara. $ Lungh. 151 inni., Largii. 0,5 inni. — Id. id. id. Lo strato cuticolare esterno è simile a quello da me descritto e figurato per l’esem- plare 5 Madagascar, soltanto la colorazione delle areole è meno scura in guisa che meno spiccate appaiono quelle riunite due a due e sparse qua e là, le quali sono anche meno nu- merose, e quelle che formano i gruppi: le formazioni rifrangenti accoppiate nelle altre areole sono più frequenti. Queste differenze non mi paiono sufficienti, ripeto, per costituire una specie diversa dal C. madagascariensis. 29. Chordodes ferox Canier. Oamerano, Moìiogm^ia dei Gordii ( 196 ), p. 388, tav. II, figg. 26-26«-26^. 30. Chordodes Montgomeryi Camer. Chordodes Montgomeryi Camerano, Gordii di Madagascar e delle isole Sandtrich, “ Boll. Mus. Zool. Aiiat. Comp. Torino „, voi. XVI, n. 412 (1901). Località: Fort Dauphin (Madagascar) da una grossa Mantide. 9 Lungh. 130 mm.. Largii. 1,5 mm. La colorazione è bruno scura, quasi nera, un po’ più chiara all’estremità antei'iore e posteriore. Lo stato cuticolare esterno presenta: 1° Areole papillari rialzate non moriformi a con- torno rotondo, od ovale, od anche poligonale; alcune sono quasi claviformi essendo un po’ più grosse all’estreinità distale; esse hanno un canale mediano pieno di sostanza rifran- gente; 2° Areole papillari più scure e più alte delle precedenti, riunite in gruppi di sei o sette 0 poco più, intorno a due altre areole più grandi ; 3° Areole papillari più grosse, a contorno rotondo od ovale con prolungamenti più o meno lunghi, sottili assai, chiari e ri- frangenti, le quali stanno nel mezzo delle areole papillari precedenti (2°); 4° Qua e là si notano prolungamenti spiniformi, chiari, ricurvi all’apice e non molto grossi; 5° Qualche piccolo prolungamento sottile, corto, rifrangente sopra ad areole papillari simili a quelle del primo gruppo. % 31. Chordodes insidiator Camer. Chordodes insidiator Camerano, Gordii della Malesia e del Messico, “ Atti della II. Accad. delle Scienze „, voi. XXXIV, fìg. 2-2 « (1889). Località: Monte Matau, a 2000 piedi di altezza, Sarawak (Borneo). 5 Lungh. 143 mm. (l’unico esemplare studiato, manca della estremità anteriore). Lar- ghezza 1 mm. Colorazione bruno scura. Lo strato cuticolare esterno presenta: 1° areole papillari di colore chiaro, non mori- formi, a contorno talvolta frastagliato, di diametro variabile da 7, 8, 10 g, di forma conica, arrotondate alla sommità; 2® Areole papillari di colore più oscuro, non moriformi, un po’ più grandi e più alte delle precedenti, a forma spesso clavata, contenenti neH’interno una so- stanza rifrangente; queste areole sono assai numerose e sono distribuite in modo irregolare, ora isolate, ora lùunite a gruppi, ora in serie lineari contorte; esse si riuniscono anche intorno alle areole più grandi seguenti; 3® Areole papillari un po’ più grandi e più alte delle MEJIOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEJI. E NATDK., SEDIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 27 precedenti, a sezione trasversale ovale, col massimo diametro di circa 15 m, ricoperte alla sommità da una corona di peluzzi sottili e rifrangenti ; queste areole si riuniscono a gruppi, di due o tre, e sono circondate, ad una qualche distanza però, dalle areole della sorta pre- cedente; 4° Areole papillari chiare che portano all’apice un prolungamento digitiforme, ricurvo, rifrangente; esse sono isolate e sono sparse fra le areole della prima e della seconda sorta ; 5° Prolungamenti spiniformi fortemente ricurvi, grandi (lunghi da 28 a 30 g), trasparenti, sparsi qua e là. 32. Chovdodes JBouvievi Villot. Camerano, Monografia dei Gordii (196), p. 384, tav. II, figg. 22-22 a (1897). Oltre agli esemplari menzionati nella mia Monografia ho esaminato i seguenti: Merida, a 1630 metri s. liv. d. m. (Venezuela) 5 Lungh. 186 mm.. Largii. 1 mm.: colore brunastro chiaro — 9 203-301 mm., Largh. 1-2 mm.: colore giallastro bruno chiaro. Chama (Venezuela) 5 187 mm., Largh. 1 : colore brunastro — 9 Librigli- 122- 227-229 mm., Largh. 2 mm., colore giallastro bruno chiaro. Escoriai, a 3000 metri s. liv. d. m. (Venezuela) 9 Lungh. 226-255-280-298-305 mm., Largh. 1,5-2 mrn.: colore giallastro brunastro chiaro. Gimenez (Colombia) 5 Lungh. 110-155 mm., Largh. 0,8-1 mm.: colore giallastro chiaro. In tutti questi esemplari i caratteri della cuticola corrispondono a quelli dell'Ecuador: i peluzzi che rivestono le areole papillari rialzate, isolate o riunito a gruppi, sono più o meno lunghi e folti. 33. Chovdodes Camevanonis Montgm. Chovdodes Camevanonis Montgomery, Govdiacea from thè cope eollection, “ Biological Bulletin „, voi. I, n. 3 (Boston U. S. A.), 1900, p. 95, figg. 1 a 6 (244), pag. 272 (1907). Località: Mazatlau (Panama). 5 Lungh. 425 mm., Largh. 2 mm. Colorazione nerastra coll’estremità anteriore bruno rossa. La cuticola presenta varie sorta di areole papillari: 1° Areole poco elevate, roton- deggianti 0 a contorno irregolare, qualche volta incavato e quasi a forma di ferro di cavallo, molto numerose e occupanti la maggior parte della cuticola. La loro forma è pre- valentemente conica, cosi che esse si toccano fra loro alla base; 2° Areole papillari più ele- vate delle precedenti, di forma più o meno conica e coll’apice superiore talvolta irregolar- mente dentato, di colore più scuro delle precedenti, riunite a gruppi in numero vario (da 25 a 50), oppure riunite a paia fra le papille della prima sorta; 3° Areole papillari rialzate di colore oscuro, con un ben evidente poro canale mediano, che si trovano nel mezzo dei gruppi formati dalle areole della sorta precedente; esse non presentano peluzzi alla loro estremità superiore; 4° Prolungamenti ialini delicati, claviformi, sparsi qua e là fra le areole. 34. Chovdodes occidentalis Montgm. Chovdodes occidentalis Montgomery, The Govdiacea, of cevtain ameviran collections, “ Bull, of Museum Cornp. Zool. Harvard College „, voi. XXXII, n. 3 (1898), p. 50, 28 LORENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII tav. 14, tigg. 111-114; tav. 15, figg. 115-117 — (238) j). SU, tav. XIX, figg. (> a 12; tav. XX, Hgg. 15 a 23 (1898) - (239), p. 051 (1899) - (244), p. 272 (1907). Chordodes (jordioides Montgomery (237), p. 49, tav. 13, figg. 100-107 ; tav. 14, figg. 108- 110 (1898) — (238), p. 330 (1898). Località: Sonora (Messico), California, Arizona, Montana, Texas, Wyoming. 5 Lungh. maggiore 460 mm., 9 Lungh. maggiore 420 mm.. Largii, maggiore 1,5 mm. La colorazione è variabile dal giallastro al bruno rossiccio, al bruno cioccolatte, aH’oli- vastro scui’o o al nero pece; frequentemente nella femmina la colorazione è meno intensa che nel maschio; le estremità anteriore e posteriore sono spesso nei due sessi più chiare. La cuticola presenta (1°) areole non molto rialzate, di forma irregolarmente poligonale 0 con una parte di margini arrotondati, molto vicine le une alle altre; talvolta un certo numero di esse confluisce insieme per formare come delle strisce trasversali. Negli individui in cui l’indurimento e l’inscurimento della cuticola sono più inoltrati si notano qua e là delle areole (2°) di dimensione variabile riunite a gruppi che presentano una colorazione più scura. Montgomery descrive e figura le areole di un individuo che presentano numerose for- mazioni granuliformi che ricoprono irregolarmente le areole (238), tav. XIX, fig. 11-12. Forse questa non è una struttura normale, ma è dovuta a qualche sostanza che si deposita sullo strato esterno della cuticola. (Questo fatto io l’ho osservato in esemplari di Gordius Villoti che erano rimasti dopo la deposizione dei prodotti sessuali per un certo tempo nel- l’acqua di una pozza). Fra le areole si trovano speciali insenamenti che contengono formazioni chiare, peliformi, accoppiate (3°). Qualcuna delle areole, quelle più grosse, portano un poro canale chiaro. Fra le areole sorgono qua e là delicati prolungamenti claviformi o digiti- formi, poco più alti delle areole stesse. Qualche volta su alcune areole si possono trovare piccoli prolungamenti rifrangenti. 35. Chordodes Peraecae Camer. Camerano, Monografa dei Gordii (196), p. 385, tavola 11, figg. 27-27of (1897) — (200), (1901). Oltre agli esemplari delle località indicate nella mia Monografia dei Gordii ho esaminato un esemplare 9 trovato entro un esemplare di Blatta [Tschnoptera hrasiliensis Br.) a Urucum: Lungh. 60 mm., Largh. massima 0,05 mm. Questa specie è stata da me descritta sopra esemplari di S. Fabio (Provincia di Tu- cuman) e di Aguairenda (Chaco Boliviano) appartenenti pure al sesso femminile; ma di di- mensioni maggiori; Lungh. 126 mm., Largh. 0,06 mm. — Lungh. 198 mm., Largh. 0,08 mm. Le minori dimensioni dell’esemplare di Urucum, il quale è adulto o di color bruno chiaro, trovano forse la loro spiegazione, come in altri casi analoghi, nella piccola mole dell’ospite (l’individuo che lo conteneva della specie di Blatta sopradetta misura appena 18 mm. in lunghezza). Questa specie è, come è noto, a corpo stretto e relativamente allungata. I caratteri dello strato cuticolare esterno sono come negli esemplari tipici. 36. Chordodes capillatus Linstow. Chordodes eapillrdus Linstow, Helminthen von den IJfern des Ngassa-Sees, “ Jeiiaisclien Zeitsc-liv. f. Natunv. XXXV, p. 416, tav. XIII, fig. 16 (1900). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 29 Località: Langenburg (Lago Nyassa) da un Mantide {Rhombodera scutata Korsch.). 9 Lungh. 219 min., Largh. 2,01 ram. Colorazione bruno scura ; bruno chiara nell’estremità anteriore. La cuticola appare come zigrinata. Questo carattere dipende probabilmente dal non avere ancora l’animale fatto vita libera nell’acqua. La cuticola presenta tre sorta di areole: 1° Areole che il Linstow dice rotonde, con una rotonda infossatura, le quali occupano la maggior parte della cuticola; 2° Areole simili alle precedenti, ma più scure, circondate da un orlo chiaro e riunite a gruppi e danno l’aspetto di macchie scure; 3“ Areole più grandi, a contorno chiaro, isolate e collocate nel mezzo delle areole della seconda sorta e portanti lunghi filamenti chiari disposti in quattro fasci. Dalla figura data dal Linstow si vede che gli spazi interareolari sono privi di forma- zioni rifrangenti. 37. Chordodes timoreusis Camer, Camerano, Monografia dei Gordii (196), p. 385. 38. Chordodes hetulavitis Linstow. Chordodes betularius Linstow, Nette Beohachtangen an Relminthen, “ Archiv fiir nii- kroskop. Anat. „, voi. 64, p. 492, tav. XXVllI, llg. 16 (1904). Località: In un fiume che sbocca nel Mar Caspio. 9 Lungh. 262-325-331 inm., Largh. 1,18 mm. Colorazione giallo brunastra con macchie trasversali bruno scure, che ricordano per la loro disposizione le macchie del tronco della betulla. La cuticola presenta varie sorta di areole: 1° Areole rotonde od ovali, distanti fra loro ; 2° Alcune fra esse sono disegnate dal Linstow come provviste di un margine rotondo. E probabile che queste siano più rialzate delle altre; 3° Areole più grandi anch’esse, rotonde od ovali, riunite in gruppo di sei o poco più. Esse presentano una corona di filamenti corti ed eguali. E probabile che anche queste siano più elevate delle altre. Negli spazi che sepa- rano le areole non si osservano formazioni rifrangenti. 39. Chordodes ornatiis Grenacher. Camer.vno, Monografia dei Gordii (196), p. 382. 40. Chordodes albibarbatiis Montgm. Chordodes albiharhatus Montgomery, Descriptions of tiro new exotic species of thè genus Chordodes, “ Zool. Jahrb.-Systematik „, XI, p. 381, tav. 22, figg. 7-11 (1898) — Description of thè female of Chordodes albibarbatuSj “ Zool. Jahrb.-Syst. „, voi. II (1898), tav. 29. Località: Ogove — Africa — Gaboon River (W. Africa). 5 Lungh. 223 mm., Largh. 1,25 mm. — 9 Lungh. 215 mm., Largh. 2 mm. Colorazione del maschio bruno giallastra con macchiette scure irregolari ; l’estremità an- teriore, la parte inferiore e la regione cloacale di color giallastro chiaro. La femmina è bruno scura senza macchie. 30 l-OUENZO CAMEliANO — REVISIONE DEI GOKDll ha cuticola presenta vario sorta di areole: 1® Areole poco rialzate di dimensioni varia- bili, a superficie più o meno convessa e di aspetto come screpolato : esse sono molto nume- rose, a contatto fra loro ed occupano la maggior parto della cuticola; 2® Areole papillari notevolmente alte, ora coniche, ora quasi cilindriche, di colore oscuro, con un poro canale chiaro nel mezzo e col margine superiore coperto da peli fini, chiari e corti. Esse stanno riunite in gruppi in numero di 20 a 30 e circondano le areole della sorta seguente o si tro- vano a formare piccoli gruppi di tre 0 quattro isolati; 3° Areole papillari, grandi, elevate, di forma più o meno prismatica, e cilindrica, a sezione ovale, con un grande poro canale chiaro, ovale nel mezzo e provviste di un folto ciuffo di peli lunghi e biancastri. Esse stanno riu- nite a paia e formano il centro dei gruppi delle areole della sorta precedente; 4® Prolunga- menti ialini, claviformi, poco più alti delle areole della prima sorta e sparsi qua e là; 5® Prolungamenti spiniformi sparsi qua e là, meno numerosi nei maschi che nelle femmine. Essi sono alquanto ricurvi, con l’apice bruscamente assottigliato per un certo tratto. 41. Chordodes pardalis Camer. Camerano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 381. 42. Chordodes Shipleìji Camer. Chordodes Shiplegi Camerano, Gordii della. Malesia e del Messico, “ Atti della R. Accacì. delle Scienze di Torino voi. XXXIV, fìgg. 1-1 a, 1 (1899). Località: Sàrawak (Borneo). 5 Lungh. 250 mm., Largh. 1,8 mm. Colore generale del corpo nerastro; l’estremità anteriore è biancastra per la lunghezza di mezzo millimetro circa, l’estremità postei'iore è più chiara del resto del corpo. Lo strato cuticolare esterno presenta : 1® Areole papillari a contorno festonato e tal- volta di aspetto moriforme: queste areole sono di color più chiaro delle altre ed hanno forma e grandezza variabili, con tendenza però ad essere notevolmente allungate. La loro lunghezza varia da 10 a 15 p. Sotto al vetrino sopraoggetti, per la pressione di questo, esso appaiono come embricate: hanno un contenuto più chiaro che, nelle sezioni ottiche, sembra disposto come entro ad un canale mediano. Queste areole nella parte ventrale e precisa- mente in vicinanza del solco longitudinale mediano si fondono insieme e dànno luogo a strisele trasversali scure, interrotte e a margini festonati, separate da spazi! più chiari ; 2° Areole papillari di aspetto spiccatamente moriforme, di colore notevolmente più scuro delle precedenti: esse sono più o meno allungate e di forme irregolari: talvolta quasi davi formi; anch’esse hanno nella parte di mezzo un contenuto più chiaro. Le areole di questa sorta si trovano isolate o riunite a gruppi di tre, quattro o cinque o sette; talvolta fra due areole di questi gruppi, nella parte di mezzo della linea di contatto, sorge un prolungamento digitiforme rifrangente. Le areole di questa categoria si raggruppano pure intorno alle areole papillari di maggiori dimensioni della sorta seguente. Questa sorta di areole si accumula lungo il solco longitudinale ventrale mediano ; 3® Areole papillari grandi, rialzate, non mo- riformi a sezione ovale, col massimo diametro di g 26 a 28, riunite a gruppi di due o tre circondate dalle areole moriformi, della sorta precedente. Dalla parte superiore di esse spuntano numerosi prolungamenti, fini e rifrangenti, disposti a corona e fasci di prolunga- menti più grossi, pure rifrangenti e molto lunghi, sopratutto nelle areole papillari che sorgono in prossimità del solco longitudinale, ventrale, mediano; 4® Areoli papillari a con- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 31 torno festonato, larghe alla base circa 12 g e portanti un prolungamento digitiforme, alquanto ricurvo, rifrangente, lungo circa 20 p- Queste areole sono isolate e sono sparse qua e là fra quelle della prima sorta; 5° Prolungamenti spiniformi, conici, appuntiti; ma leggermente ricurvi all’apice, lunghi p 28 circa, trasparenti, i quali sorgono da areole papillari moriformi e di colore scuro. Essi sono sparsi qua e là: ma appaiono più numerosi nella parte ven- trale presso il solco longitudinale. 43. Cliordodes Balzani Camer. C.AMERANO, Mouogmpd dei Gordii (196), p. 379, tav. li, figg. 20-20n-20^. 44. Chordodes Montoni Camer. ('hordodes Montoni Camerano, Description d'tme nouvelle espèce de Gordien de la Chine, “ Bull. Soc. Zool. de France „, 1895, voi. XX, n. 4, p. 99. — Monografia dei Gordii (196), p. 387, tav. II, figg. 21-21« (1897) - (198), figg. 3-3a (1899) - (203), (1901). Oltre agli esemplari di Ho Chau — Provincia di Ngan Haei (China) già menzionati nella mia Monografia dei Gordii, ne ho esaminati di Perak (costa sud-occidentale della penisola di Malacca): 9 Lungh. 312 min.. Largii. 2,5 mm., di colorazione nero vellutata, coll’estremità anteriore biancastra per la lunghezza di un millimetro circa, e di un’isola della costa di Kedah (penisola Malese), 9 (estratta dal corpo di una grossa Mantis) nera vellutata, coll’estre- mità anteriore e posteriore biancastre. In questi esemplari appare, nelle areole chiare della prima sorta, una struttura che li fa ritenere del tipo moriforme come risulta dalla fig. 3“ (203). 45. Chordodes SUorikovi Camer. Chordodes Skorikoìvi Camerano, Gordiens nouveaux ou peu eonniis du Musée Zoologique de V Acad. I. d. Se. de St-Pétershourg , li, “Animaire Mus. Zool. Pétersb. „, v. Vili, p. 22 (1903). — Gordii di Ceylan “ Bull. Mus. Zool. Aiiat. Comp. Torino „, XVIII, n. 438 (1903). — Spolia Zeylanica “ Colombo Museiim Ceylan „, voi. I, parte II, p. 34 (1903). — Osservazioni intorno al Chordodes Skorikoaà, “ Bull. Musei Zool. Anat. Comp. Torino „, XIX, 409 (1904). Località: Ceylan — Kandy (Ceylan) — Basso Siam. 5 Lungh. 105-114-] 28-154 mm., Largh. 1 a 1,25 mm. — 9 Lungh. 225-255-340-355 mm., Largh. 1,5-1,75-1,9-2 mm. Nei maschi il colore del corpo è bruno rossiccio più o meno scuro, colla esHemità ante- riore del corpo bianchiccia e colla estremità posteriore di color bruno più chiaro nella regione circum e postcloacale. Osservando l’animale in alcool, si notano sul corpo, qua e là, delle macchie irregolari più chiare che appaiono anche, sopratutto negli individui più scuri, nelle sezioni tangenziali della cuticola, esaminata per trasparenza al microscopio. Nelle femmine la colorazione del corpo varia dal bruno chiaro al bruno scuro, quasi nerastro, colle estremità anteriore e posteriore del corpo più chiare. Le macchie chiare della cuticola sono ben visibili negli individui non troppo inscuriti. LORENZO CAMERANO REVISIONE DEI OORDII :^2 Lo strato cuticolare esterno presenta: 1“ Areole nioriformi, con protuberanze tubercolari non molto spiccato, di color bruno giallognolo chiaro; 2“ Areole papillari simili alle prece- denti (talvolta un po’ grosse) più rialzate, più scure, sparse qua e là, spesso unite due a duo; 3° Areole papillari simili allo precedenti che portano all’apice un prolungamento ri- frangente sottile 0 un po’ ricurvo: esso sono sparse qua e là fra le areole del Ingruppo; 1" Areole papillari simili a quelle del 2“ gruppo, scure, riunite in numero di sette, otto o dieci intorno a due areole papillari più grosse coronate alla cima da peli più trasparenti. (Quelle collocate lungo la linea mediana longitudinale ventrale hanno ciuffi di lunghi prolun- gamenti trasparenti; 5" Qua e là, sopratutto ai lati della linea ventrale longitudinale me- diana, si notano dei prolungamenti spiniformi, trasparenti, di forma grossolanamente conica, non incurvati all’apice. La struttura della cuticola non presenta notevoli differenze nei due sessi. 46. Chordodes digitatus Linstow. Chordodes dìcjiiatus Linstow, Hehninthen von den Ufern des Nyassa-Sees, “ Jenaischen Zeitsclir. f. Naturwiss XXXV, p. 417, tav. XIV, fig. 18 (1900). Località: Altipiano di Unyika (Nord di Konde). Linstow'^ dà la misura degli esemplari da lui studiati, variabile in lunghezza da 50 a 140 mm., e in larghezza da 0,44 a 0,84 min., ma non dice a quale sesso essi apparten- gono. La descrizione che egli dà della sua specie non si sa a quale sesso si riferisca, essen- dosi egli dimenticato di indicarlo. Colorazione bruno chiara con macchie brunoscure. La cuticola presenta 3 sorta di areole: 1° Areole rotonde, granulose che occupano la parte principale della cuticola; 2° Areole rotonde con un prolungamento digitiforme ialino, spiniforme; 3° Areole grandi, allargate che portano superiormente dei filamenti riuniti a ciuffo. Queste areole si trovano nelle macchie scure. Esaminando la figura data dal Linstow, si può aggiungere che le areole della prima sorta sono relativamente distanti fra loro, e lo spazio che le separa è privo di granulazioni rifrangenti. È molto pi’obabile che queste areole corrispondano alle forme di quelle che io ho in varie descrizioni di cuticole di Chordodes indicato come moriformi, perchè nel loro aspetto tubercolare ricordano il frutto della mora o quello del gelso. 47. Chordodes Kallstenii Jagerskiòld. ('hordodes Kallstenii Jaegerskiòld, Eine neiie Gordiide aus Kamerun, “ Biliaiig Till K. Svenska Vet. Akad. Handl. „, voi, 28-IV, n. 7, figg. 1 a 6 (1897). Località: Ekundu .(Kamerun). 9 Lungh. 133 mm., Largh. 0,8 mm. Colorazione dell’animale nell’alcool giallo bruno, un po’ più chiara all’estremità anteriore. La cuticola presenta: 1° Areole papillari rotondeggianti e più o meno riiilzate, chiaro, che occupano tutta la cuticola, ora essendo quasi a contatto fra loro, ora divise da un pic- colo spazio inteareolare privo di formazioni rifrangenti ; a giudicai’e dal disegno dato dal .Jagerskiòld il loro aspetto è moriforme; 2° Areole papillari di aspetto moriforme di altezza e dimensione variabile, che portano sulla loro superficie delle piccole formazioni peliformi chiare, sparse fra quelle della sorta precedente ; 3° Grosse areole papillari, più scure, isolate MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 33 0 riunite due a due; sono più alte delle altre, talvolta più strette alla base e più larghe verso la metà della loro altezza e ricoperte superiormente da un ciuffo di prolungamenti peliformi chiari, lunghi e relativamente grossi; 4® Prolungamenti, spiniformi, appuntiti e incurvati, lunghi da 0,020 a 0,030 e spessi da 0,004 a 0,007 mm., trasparenti e senza colore. Essi sono poco numerosi e sono sparsi irregolarmente. 48. Chordodes Gariazzi Camer. Chordodes Gariazzi Oamerano, Descrizione di una, nuova specie di Chordodes del Congo, “ Boll. Mus. Zool. Aiiat. Coiiip. Torino „, voi. XVII, u. 420 (1902). Località: Congo Belga. $ Lungh. 240 mm., Largh. 1,5 mm. Colorazione generale brunastra, più chiara verso l’estremità anteriore e verso l’estre- mità posteriore del corpo. Su tutto il corpo sono numerose ed irregolari macchie bruno nerastre assai spiccate. La forma generale del corpo è quale suol essere nelle specie del genere Chordodes-, il solco mediano poscloacale è corto, esso misura un mezzo millimetro circa. Lo strato cuticolare esterno presenta le varie sorta di areole papillari seguenti: 1° Areole più chiare e più basse, di aspetto spiccatamente moriformi : esse misurano in larghezza da 12 a 18 micromillimetri e sono molto ravvicinate fra loro; in alcuni punti dell’animale si com- primono fra loro tanto da assumere un aspetto poliedrico; 2® Areole papillari simili alle prece- denti; ma più scure e un po’ più elevate riunite in gruppi di 2, 3 o 4; una di esse porta un pro- lungamento rifrangente claviforme che, per la posizione che spesso prende nel preparato della cuticola, pare sorga fra due delle areole papillari del gruppo; ma in realtà è impiantato sopra una di esse; 3° Areole papillari simili alle precedenti, portanti un analogo prolunga- mento rifrangente claviforme ; ma isolate qua e là fra le areole papillari della prima sorta. Queste areole in alcuni tratti dell’animale sono numerose; 4® Areole papillari più grosse, scure e più grandi (circa 25 micromillimetri di larghezza), a sezione ottica ovale, le quali sono circondate da 12 a 17 areole papillari scm-e più piccole, in modo da formare dei gruppi qua e là. Sulle areole papillari più grosse di questi gruppi sono spiccati, numerosi e corti filamenti rifrangenti; 5® Qua e là sporgono prolungamenti spiniformi chiari e trasparenti, lunghi da 26 a 30 micromillimetri e larghi alla base da 5 a 6 micromillimetri circa, i quali sono di forma grossolanamente conica e sono poco ricuvi ; anche questi prolungamenti sono numerosi. 49. Chordodes Boulengerii Camer. Chordodes Boulengerii Oamerano, Nuova, specie di Chordodes del Congo, “ Boll. Mus. Zool. Anat. Comp. Torino „, voi. XXVII, n. 645 (1912). Località: Bitye sul fiume Dja (Bacino del Congo). $ Lungh. 225 mm., Largh. 0,5 mm. — $ Lungh. 234-251-255-257-260-337 mm., Largh. da 1,5 a 2. La colorazione di questi esemplari è bruno scura con numerose e spiccate chiazzature nere in tutto il corpo. L’estremità anteriore del corpo e la regione pericloacale è più chiara. La colorazione è in complesso più scura nel maschio che non nelle femmine. Lo strato cuticolare esterno presenta spiccate differenze fra i maschi e le femmine. Nel maschio lo strato cuticolare esterno presenta le varie sorta di areole papillari se- ] 34 LORENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII guenti: 1“ A reole papillari più chiare e più basse, di aspetto spiccatamente moriformo ; 2“ Areole papillari simili alle precedenti : ma più scure e alquanto più elevate, isolate o riu- nite a gruppi di due, tre, quattro, o cinque o sei con disposizione irregolare; 3“ Areole pa- pillari scuro rialzate e che portano un piccolo prolungamento rifrangente claviforme, iso- late qua e là, ma numerose, qualche volta unite colle areole della sorta precedente; 4“ Areole papillari scure più grosse, a sezione ottica ovale, le quali sono circondate da areole papil- lari scure, più piccole, in modo da formare dei gruppi rialzati costituiti da numerose areole papillari, anche 25, 30, 40. Sulle areole papillari più grosse di questi gruppi sono prolun- gamenti rifrangenti, talvolta notevolmente lunghi. Mancano i grossi prolungamenti spiniformi isolati elio si trovano in varie specie di Ckordodes. Nella femmina lo strato cuticolare esterno, presenta: 1° Areole papillari moriformi, più chiare, avvicinate fra loro; 2° Areole papillari più scure e più elevate riunite in piccoli gruppi di tre o quattro, relativamente distanti gli uni dagli altri; molto raramente queste areole sono isolate; 3° Areole papillari più grandi e più elevate, a sezione ottica ovale, riu- nite in numero di due con 10, 12, o 15 altre areole scure rialzate a formare dei gruppi, non molto vicine fra loro. Dalle areole più grandi di ciascun gruppo escono numerosi e assai lunghi prolungamenti rifrangenti ; 4° Prolungamenti sottili e corti, rifrangenti, che stanno sopra qualcuna delle areole della 2^ sorta. Essi sono molto più scarsi di numero che nei maschi; 5“ Prolungamenti spiniformi relativamente grossi, chiari e trasparenti, lunghi da 25 a 28 micromillimetri, che si trovano numerosi, sparsi qua e là. In questa specie vi è una differenza notevole nella struttura dello strato cuticolare esterno fra il maschio e la femmina. Le principali differenze sono le seguenti: nel maschio si trovano numerosi piccoli prolungamenti rifrangenti che stanno sopra le areole papillari moriformi rialzate sparse qua e là, nella femmina essi sono assai scarsi. Nella femmina invece sono numerosi i prolungamenti spiniformi grossi e lunghi, che mancano nel maschio; nel maschio i gruppi di areole papillari scure sono più numerosi e ravvicinati e costituiti da un maggior numero di areole papillari. Il sistema generale di colorazione è analogo nei due sessi. 50. Chordodes Jandae Camer. Cameraxo, Monograpa dei Gordii (196), p. 377, tav. I, figg. 10-1 6 e/- 10 A. 51. Chordodes 3Iodiffliaìiii Camer. Camerano, Monografia dA Gordii (196), p. 378, tav. I, fig. 18-18r/. — (221) p. 541 ( 1012 ). Oltre agli esemplari delle località indicate nella mia Monografia dei (ìordii ho esaminato un (5 e una 9 di Manokwari (Baia di Dorè) Nuova Guinea. 5 Lungh. 179 min.. Largii. 1 min. 9 Lungh. 189 min.. Largii. 1 mm. — La colorazione loro è bruno chiara. 52. Chordodes aurantiaeus Linstow. (Jhordodes aiirardiacus Linstow, Gordiiden and, Mermithiden des Konigìischen ZooL Ma- seums Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin. „, III, p. 246, tav. 5, fig. 15 (1006). Località: Honduras. 9 Lungh. 522 mm.. Largii. 1,38 mm. La colorazione dell’animale, osservato neU’alcool, appare rosso bruno, neiranimale osser- vato fuori dell'alcool, nero con macchie grigiastre irregolarmente distribuite. L’estremità anteriore è bianco giallastra, senza collare nero posteriormente. MEMOKIE - CIBASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 35 La cuticola presenta 4 sorta di areole: 1° Areole rotonde chiare, alquanto distanti fra loro e di aspetto inoriforme, sparse per tutta la cuticola; 2° Areole simili alle precedenti, sparse qua e là, e portanti un prolungamento chiaro digitiforme; 3“ Areole simili a quelle della prima sorta, ma di colore oscuro e riunite a gruppo: qualcuna con un prolungamento chiaro digitiforme; 4° Areole come le precedenti, ma provviste di lunghi prolungamenti chiari. Queste areole sono in ciascun gruppo circondate dalle precedenti e danno luogo alle macchie sopradette. Negli spazi interareolari non vi sono formazioni rifrangenti. 53. Chordodes caledoniensis Villot. Camerano, Monografìa dei Gordii ( 196 ), p. 381. 54. Chordodes Pollonerae Camer. Chordodes Pollonerae Camerano, Gordiens da Musée Indien - Nouvelle series, “ Records of thè Indian Museum „, voi. VII, parte III, p, 215 (1912). Località: Assam — Aodegle (Somalia) in un Ortottero Madiga aberrans (Hetrodidi). 5 Lungh. 131 mm.. Largii. 1,5 mm. — 9 Lungh. 245 mm., Largh. 1,5 mm. Colorazione bruno nerastra nel maschio, brunastra chiara nella femmina. La cuticola presenta 5 sorta di areole papillari: 1° Areole papillari in forma di frutto di gelso (mori- formi) larghe da 12 a 14 g, il loro contorno è rotondo od ovale. Esse sono molto ravvicinate fra loro e di colore chiaro; 2° Areole papillari simili alle precedenti, ma più rialzate e di colore più scuro. Esse sono isolate o riunite a gruppi, qua e là, di due, tre o quattro; 3° Areole papillari simili alle precedenti della 2"* sorta, e munite di un piccolo prolunga- mento rifrangente. Esse sono poco numerose e sono sparse qua e là ; 4" Areole papillari simili a quelle della 2® sorta; ma più alte e di forma conica che circondano in numero di 7 od 8 0 poco più, una due o tre areole papillari di colore più scuro, di forma ovale o rotonda, che portano sulla loro parte superiore dei prolungamenti fini, corti e rifrangenti, che costi- tuiscono le areole papillari della 5“ sorta. Non ho osservato prolungamenti spiniformi. 55. Chordodes brasiliensis Janda. Camerano, Monografìa dei Gordii ( 196 ), p. 377, tav. Ili, figg. 29-29a-296-316. Oltre agli esemplari citati nella mia Monografìa dei Gordii ne ho esaminato uno 9 del- l’Uruguay: Lungh. 491 mm. e largo 2 mm., di colore rossiccio molto scuro. 56. Chordodes aelkmiis Camer. Camerano, Monografìa dei Gordii ( 196 ), p. 380, tav. I, figg. 17-17«. 57. Chordodes Silvestri Camer. Camerano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 380, tav. I, figg. 19- 19 a. LOKENZO CAMEKANO UEVISIONE DEI GOHDII 3() (Jenere PARACHORDODES Oamekano Oamekano, Monografìa dei Gordii, “ Mem. R. Accad. Scienze Torino serie li, XLVII, p. 308 ( 1897 ). (Valgono le stesse osservazioni fatte per il genero Chordodes). I. Areole della cuticola che portano nel mezzo un poro canale chiaro. a. Areole isolate, rotonde o quadrangolari, distanti fra loro: gli spazi interareolari sono privi di formazioni rifrangenti. 1. maculatus Linstow. II. Areole della cuticola con formazioni rifrangenti irregolari, appaiate. 2. Kaschgaricus Camer. III. Areole della cuticola tutte, o in parte, con tubercoli sulla loro superficie, allungati, ro- tondi, di forma varia. a. Tutte le areole hanno la loro superficie coperta da numerosi e piccoli tubercoli che conferiscono loro un aspetto rugoso. 3. capitosulcatus Montgm. aa. Una parte delle areole, quelle più piccole e più numerose, porta superiormente, nel mezzo, un gruppo di tubercoli ; le altre, più grandi, più scure, sono senza tu- bercoli e sono riunite a gruppi, o a serie irregolari: fra esse, qua e là, vi sono grossi pori canali. 4. Vejdoivskiji (Janda). IV. Areole della cuticola colla superficie superiore priva di tubercoli, di formazioni rifran- genti o di pori canali. A . Areole di una sola sorta. B. Areole unite due a due di fronte l’una all’altra (separate da un solco longitudinale) e disposte in modo da formare serie longitudinali parallele fra loro per lunghi tratti. Le serie longitudinali di coppie di areole sono separate fra loro da uno spazio interareolare. a. Gli spazi longitudinali fra la serie di coppie di areole sono privi di tubercoli ri- frangenti. b. Nel solco che separa le due metà delle areole vi è qua e là qualche poro canale, c. Ad ogni coppia di areole corrisponde nel mezzo del loro solco mediano un poro canale: le areole sono eguali nei due sessi. 5. Raphaelis Camer. c. I pori canali che si trovano noi solchi mediani delle areole sono ii'regolarmente disposti. La struttura dello strato esterno della cuticola è diversa nei due sessi. Nel 5 1® areole sono irregolari e come frazionate trasversalmente. Nella 9 mancano le formazioni alveolari spiccate e vi sono numerosi e spiccati pori canali disposti in serie longitudinali, irregolari. 6. Sjostedti Camer. aa. Gli spazi longitudinali fra le serie di coppie di areole presentano numerosi, pic- coli tubercoli rifrangenti. h. I pori canali sono riuniti due a due e sono irregolarmente distribuiti. 7. abbreviatus (Villot). bb. I pori canali sono isolati. c. Nel solco che separa fra loro le due metà delle areole in ciascuna coppia mancano le formazioni tubercolari : le areole sono in ciascuna metà di aspetto reniforme o bacillare a margini diritti. 8. Latastei Camer. cc. Nel solco che separa fra loro le due metà delle areole in ciascuna coppia vi sono numerosi e piccoli tubercoli. 9. Alfredi Camer. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE EISICIIE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 37 liB. Areole disposte in modo da formare lunghe striscie longitudinali parallele fra loro per lunghi tratti nel senso della lunghezza dell’animale: orlate nei loro margini da piccoli tubercoli rifrangenti: qua e là negli spazi interareolari dei pori canali colla formazione a croce. 10. aerythraeus Camer. BBlì. Areole della cuticola isolate di forma rotonda, ovale o più o meno regolarmente poligonale: non disposte in serie longitudinali, regolari, parallele fra loro. a. Gli spazi interareolari non presentano produzioni tubercoliformi, o setoliformi, o peliformi. 6. Vi sono grossi pori canali isolati fra le areole. c. Le areole sono molto ravvicinate fra loro: sono di dimensioni variabili e a contorno irregolare: i pori canali sono distribuiti irregolarmente. 11. prismaticus (Villot). cc. Le areole sono distanti fra loro : sono di dimensioni quasi eguali e a contorno prevalentemente esagonale: i pori canali sono disposti in serie longitudinali. 12. coreanus Linstow. bb. Mancano i grossi pori canali isolati fra le areole. e. Le areole sono di dimensioni variabili, prevalentemente di forma poligonale e sono molto ravvicinate fra loro. Esse tendono ad allungarsi nel senso dell’asse longitudinale del corpo e ad assumere l’aspetto rettangolare. 13. lineatus (Montgm.). cc. Le areole sono di forma variabile, rotonde, ovali, poligonali, talvolta conflui- scono fra loro nel senso dell’asse trasversale del corpo. Nel 5 ^'1 disotto del- l’apertura cloacale vi è una ripiegatura cutanea foggiata ad angolo acuto. 14. densareolatus (Montgm.). aa. Gli spazi interareolari presentano produzioni tubercoliformi, o setoliformi, o peli- formi, o digitiformi. b. Negli spazi interareolari vi sono soltanto dei rari ed isolati prolungamenti digi- tiformi ialini, poco più alti delle areole e irregolarmente sparsi qua e là. 15. longoareolatus (Montgm.). bb. Negli spazi interareolari vi sono numerose produzioni rifrangenti riunite due a due. Nel solco che separa ciascuna coppia vi è un piccolo tubercolo rifran- gente. Le areole sono poco elevate e a contorno rotondo. 16. Roccatii Camer. bbb. Negli spazi interareolari le produzioni tubercoliformi, o peliformi, sono più o meno numerose. c. I lobi posteriori del 5 '^on hanno serio di lunghi peli più o meno convergenti al davanti dell’apertura cloacale: vi sono soltanto piccoli peluzzi sparsi. 17. platycephalus (Montgm.). cc. I lobi posteriori del 5 presentano nella regione cloacale due serie di lunghi peli convergenti al disopra della apertura stessa. <1. Le due serie di peli convergenti non si riuniscono fra loro al disopra del- l’apertura cloacale. Le formazioni rifrangenti interareolari sono numerose. 18. violaceus Baird. dd. Le due serie di peli convergenti si riuniscono al disopra dell’apertura cloa- cale fra loro quasi ad angolo retto. I piccoli tubercoli degli spazi intercloa- cali sono ridotti ad alcuni isolati, sparsi qua e là. 19. alpéstris (Villot). BBBB. Areole della cuticola non disposte a coppie: unite in numero vario fra loro in serie longitudinali di lunghezza varia, non parallele fra loro; ma tortuose. 3S LORENZO CAMERANO — REVISIONE DEI GORDII a. liO arcole del 5 sono più o mono grandi coi margini liberi di aspetto irregolar- mente spinoso. Nel 5 vi sono dne serio di peli rigidi precloacali divergenti e nella parto interna dei lobi posteriori vi sono numerose papille spiniformi. 20. W olterstorffìi Camer. aa. Lo areole del 5 non solo hanno l’aspetto spinoso sui loro margini, ma sembrano unite fra loro da rialzi lineari attraverso ai solchi interareolari. Nel 5 man- cano nella regione cloacale le serie di peli rigidi, vi è invece una piegatui'a tegumentare precloacale, arcuata. 21. alaxensis (Montgm.). AA. Areole di due sorta, le une più chiare e più piccole, isolate; le altre più grandi e più scure, isolate o riuniti a gruppi di due o più. Ji. Strato cuticolare, per quanto riguarda le areole, eguale nei due sessi. 22. gemmatus (Villot). /ili. Strato cuticolare, per quanto riguarda le areole, diverso nei due sessi. a. Nella 9 le areole più piccole isolate ve ne sono di quelle più grandi costituite dalla riunione di due con in mezzo un porocanale. Nel 5 vi sono due serie di peli nella regione cloacale convergenti fra loro ad angolo al davanti del- l’apertura cloacale. 23. pustulosus (Baird). aa. Nella 9 Io areole sono tutte eguali: i poricanali sono negli spazi intercloacali. Nel 5 serie di peli della regione cloacale convergono fra loro al davanti dell’apertura cloacale in modo da formare un arco o un ferro di cavallo. 24. tolosanus (Dujard). 1. Parnchordodes maculatiis Linstow. Gordius maculcdns Linstow, Nematoden, Trematoden tmd Acanthocephiden gesammelt von Prof. Fedtschenko in Turkestan, “ Archiv f. Naturgesch. I, 1883, p. 300, tav. IX, fig. 41. Gordius maculatus Linstow, species inqiiirenda. — Camerano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 413 (1897). Parachordodes macidatus Linstow, Neue Helminthen, “ Archiv fùr Naturgesch. anno 71™”, I, p. 273, tav. X, figg. 13-14 (1905). Località: Turkestan russo — Thianschau. Nella mia Monografia dei Gordii avevo considerata questa specie come inqiiirenda, poiché la prima descrizione data dal Linstow, fatta sopra un esemplare 9> ®va sufficiente: l’A. ha completata la descrizione stessa in un lavoro posteriore (sopra citato). 5 Lungh. da 168 a 175 mm., Largh. da 0,59 a 0,72 mm. — 9 Lungh. da 235 a 305 mm.. Largii, da 1,11 a 1,3 mm. Colorazione bruna’ più o meno chiara, tendente al nerastro nel 5 con collare nero. La cuticola presenta areole scure a contorno ora rotondo, ora irregolarmente quadran- golare, che portano nel mezzo un poro canale chiaro. Le areole ora sono irregolarmente di- stribuite, ora, come si osserva nella parte ventrale del 5, sono disposte più o meno regolar- mente in serie longitudinali (3 serie long.). Negli spazii interareolari, che sono grandi, pare non vi siano formazioni speciali. I lobi posteriori del 5 sono larghi e arrotondati all’apice. L’apertura cloacale è rotonda e collocata vicino al punto di divisione dei lobi posteriori : mancano formazioni a setola o a pelo nella regione cloacale e sui lobi. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 39 2. Paraciiordodes kaschgaricus Camer. Camerano, Monografìa dei Gordii ( 196 ), p. 395, tav. 1, figg. 2-2 a, 9 (1897) — ( 207 ), p. 21 (1903) 5 — ( 220 - 222 ), p. 216 (1912) — ( 286 ), (1915). Località: Kaschgaria — Turkestan chinese — Stagno di Gusevskij presso il fiume Lu- gawka (Minusiusk) — Oasi di diami — Tosari (Giava) — Shembaganur, Paini llills, distretto di Madura (Madras) a 6300 piedi di a. s. 1. d. m. — Dedda (Eritrea). 5 Lungh. 55-70-220-283-370 mm., Largii, da 0,5 ad 1 mm. 9 Lungh. 125-227-240-242-271 mm., Largii, da 0,8 ad 1,5 mm. Il 5 è di color bruno 0 nerastro senza collare nero e senza strisele longitudinali scure, la 9 è di color giallastro chiaro. Il corpo è assottigliato anteriormente, e posteriormente si restringe alquanto tanto nel maschio che nella femmina. Nella 9 l’estremità posteriore del corpo presenta un solco dorso ventrale nel quale si apre l’orifizio cloacale. Nel 5 i due lobi posteriori sono corti (V 2 mni.), relativamente larghi e sono alquanto divergenti e arrotondati : mancano le serie di peli con- vergenti nella regione cloacale. Le areole dello strato cuticolare sono simili nei due sessi. Esse hanno contorno rotondo, 0 poligonale, più 0 meno irregolare: sono di dimensioni varie e molto ravvicinate fra loro: la loro superficie appare come screpolata: esse sono di altezza varia ed irregolare. Sulle areole stanno frequentemente delle formazioni rifrangenti accoppiate, che danno alla cuticola un aspetto particolare. Fra le areole sporgono qua e là alcuni piccoli e radi tubercoli rifran- genti, isolati. 3. Pavachovdodes c.apitosuìeatus (Montgm.). Gordiani capitosìdcatus Montgomery, The Gordiacea. of certa in american coUections, “ Bull, of thè Museum of Compar. Zool. voi. XXXIl, 11 . 3, p. 39, tavola 9, figg. 67-69; tav. 10, fig. 70 (1898). Località: Cuba. $ Lungh. 165 mm.. Largii. 0,9 mm. Colorazione bruno nera. Montgomery descrive questa specie sopra un esemplare 5 0 quale presenta nella sua estremità anteriore un solco antero-posteriore che lo divide come in due lobi sui quali stanno due depressioni a mo’ di fosse circondate da una sorta di cerchio chiaro. Questa con- formazione è probabilmente soltanto individuale e forse anormale. Credo sia prudente non dare ad essa speciale importanza diagnostica, almeno fino a tanto che non siano stati esa- minati altri individui. I lobi posteriori del $ sono relativamente lunghi e divergenti, e sono privi di formazioni peliformi 0 di spine. L’apertura cloacale è collocata in vicinanza del punto di divisione dei due lobi posteriori. Le areole della cuticola sono piccole, di dimensioni variabili, rotondeggianti 0 irrego- larmente poligonali e molto ravvicinate: nei solchi interareolari non vi sono produzioni iieli- formi 0 setoliformi. La superficie delle areole appare rugosa per la presenza di numerosi e piccolissimi tubercoli. Anche prescindendo dai sopradetti caratteri del capo pare che questa specie si possa ritenere distinta dalle altre per i caratteri dei lobi posteriori del maschio e per quelli delle areole cuticolari. 40 LORENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII 4. Parneìiordodes Vejdovskyi (.)anda). Oamerano, Mo)io il dire se essa possa considerarsi come distinta. I caratteri della cuticola che solo restano a nostra dispo- sizione dimostrano una notevole rassomiglianza col Parachordodes densoreolatus che il Mont- gomery ha descritto nello stesso lavoro, e credo che il suo P. Leidyi si possa far rientrare in questa specie. 15. I*arachordodes lomjareolatus (Montgm.). Gordius loiignreolatus Montgomery, The Gordiaeea of certaiu american col/ections ecc., “ Proc. of thè California Acad. of Sci. „, Third Ser. Zool., I, p. 33L, tav. XIX, figg. 1 a 5 (1898) — (244), p. 271 (1907). Località: San Francisco California. 5 Lungh. 115 mm., Largh. 0,5 mm. Colorazione bruno olivastra iridescente. I lobi posteriori del 5 sono relativamente corti e spessi, a margini pai'alleli e arroton- dati alla estremità. L’apertura cloacale è ovale e collocata ad una distanza dal punto di divisione dei lobi quasi eguale alla larghezza di un lobo. Intorno all’apertura cloacale e per un tratto sino al punto di biforcazione dei lobi, vi sono numerose e minute spine coniche. Le areole della cuticola sono di forma allungata nel senso dell’asse longitudinale del corpo, ma non costituiscono serie continue regolari e sono spesso alternativamente disposte le ime rispetto alle altre. Le areole sono separate fra loro da spazi relativamente ampi, privi di^ formazioni rifrangenti tubercoliformi o spiniformi. Qua e là, ma con poca frequenza, si notano dei processi digitiformi chiari, isolati, poco più alti delle areole. Questa specie è ben distinta per i caratteri della areolatura della cuticula e per quelli dei lobi posteriori del $. 16. Parachordodes Roccatii Camer. Parachordodes Roccatii Camer.ano, Gordiens du Musée Indien. Nouvelle serie. “ Re- corcls of thè Indiali Museum voi. VII, parte III, p. 215 (1912). Località: Majkhali, Almora district. — Imalaia Occid. 9 Lungh. 203 mm., Largh. 0,8 mm. Colorazione bruna. L’estremità anteriore è alquanto assottigliata. L’estremità posteriore è più grossa con l’apertura cloacale terminale. L’estremità appare come troncata obliquamente. 41 r.OKENZO CAMEKANO REVISIONE DEI GORDII Lo iU'oole della cuticola sono poco elevate e a contoino rotondo (sono larghe da 12 a 20 |i). Fra le areolo vi sono numerose formazioni rifrangenti (larghe 5 g) riunite due a due e separate fra loro da un solco molto stretto nel quale vi è un piccolo tubercolo rifrangente. La forma complessiva del corpo e sopratutto quella della estremità posteriore, mi fa asse- gnare questo esemplare al genere Farachordodes. La struttura caratteristica della cuticola concede di ritenerla specie distinta. 17. Parae/iordodes platycephalus (Montgm.). Gordiiis piai ijcephaliis Montgomery, The Gordiacea of certain nmeriean collections, “ Bull, of thè Museum ot Comparative Zool. at Harvard College voi. XXXII, n. 3, p. 34, tav. 6 e fig. 46 della tav. 7 (1898) — ( 239 ), p. 652 (1899) — ( 238 ), p. 340 (1898) - ( 244 ), p. 272 (1907). Località: Sud-Montana — Guatemala. 5 Lungh. 216 mm., Largii. 1 mm. — 9 Lungh. 335 mm., Largii. 1,4 mm. Colore bruno più o meno intenso; il collare nero è spiccato. I caratteri che il Montgomery menziona intorno alla forma dell'estremità anteriore del maschio e della femmina, sono variabili spesso da individuo ad individuo, e non raramente si osservano in individui di altre specie dello stesso genere che sono fra loro ben distinte per altri caratteri. I lobi posteriori del 5 hanno forma quasi cilindrica o sono incurvati alla loio estremità verso l’interno, mancano di spicule o di lunghi peli e presentano soltanto dei piccoli e corti peluzzi. L’apertura cloacale ha forma ellittica col diametro maggiore di- sposto nel senso delFasse longitudinale del corpo. Essa è collocata a notevole distanza dal- l’inizio della divisione dei lobi. Le areole della cuticola sono di varie dimensioni, irregolarmente rotonde o poligonali e sono separate fra loro da uno spazio più o meno ampio nel quale stanno formazioni setoli- formi 0 spiniformi più o meno numerose o sviluppate. Qualcuna delle areole, sopratutto nel 5) è più rialzata delle altre. Questa specie appare ben distinta sopratutto per i caratteri che presentano i lobi posteriori del maschio. 18. Farachordodes violaceus (Baird). Camerano, Monografìa del Gordil ( 196 ), p. 392, tav. 1, fig. 1. Oltre che delle località indicate nella mia Monografia dei Gordii e nei lavori in essa menzionati, ne ho esaminati individui anche delle località seguenti ; 9 di Aosta, 3 esempi. 9 di Saalene, presso Jena, Lungh. mass. 170 mm., Largh. 0,6 mm. Colorazione giallo chiara con collare nero poco spiccato — 9 Inghiltei*ra, in un Calathus cisteloides — 6^9 (neoteniche) di Voltri (Genovesato) — Una 9 entro la cavità del corpo di un Carabus olyosidus Illig (neotenica) — Pietralata, 1 esempi. 9 ancora in parte entro il corpo di una Silpha subrotundata (Steph.) Clonbrock. Con. Galway. — 1 esemplare 5 Lungh. 155 mm., Largh. 0,6 mm., colore bruno scuro, di Mormington. Con. Meath. (Giugno 1894) — 1 esempi. Lungh. 195 mm., Largh. 0,6, di Swords. Con. Dublino — 2 esempi. Lungh. 207 mm., Largh. 0,6 mm. - Lungh. 114 mm., Largh. 0,5 mm. di Lambay. Con. Dublino (“ Iris Naturalist „, 1907, p. 84) — 1 esempi. Lungh. 250 mm., Largh. 0,6 mm., colore giallo chiaro, di Bundoran. Con. Donegal. — 3 esempi. 5, Lungh. 270 mm., Largh. 0,7 mm. — Lungh. 185 mm , Largh. 0,5 mm. — Lungh. 100 mm., Largh. 0,4 mm. (individuo neotenico) di Bally- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, \OL. I XVI, N. 1. 45 mote. Con. Sligo (Agosto 1892) — 1 esempi. 5» Lungh. 165 mm.. Largii. 0,5 mm., colore bruno chiaro, di Killaloe. Con. Clore (Giugno 1895) — 1 esempi. 5 di Entok-gomba, presso il fiume Dza-cju nel bacino del fiume Azzurro — 1 esempi, di Conow, S. India. Gordius violaceus Baird — Montgomery ( 237 ), p. 42, tav. 8, fìgg. 60-62; tav. 11, figg. 75 a 77 — ( 244 ), p. 272 (1907). Montgomery riferisce a questa specie dubitativamente un esemplare $ di California ed 1 esempi. $ di Cuba. Nel suo lavoro posteriore (244) dice: “ I doubt whether this is tenable, since thè diagnosis is meagre and males are unknown „. Io sono dello stesso avviso del Montgomery, poiché è probabile che questi due esemplari 9 siano da riferirsi a qual- cuna delle specie americane di Parachordodes anziché al P. violaceus Baird. 19. Parachordodes alpestris (Villot). Camerano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 393. 20. Parachordodes Wolterstorfpi (Carnei-.). Gordius Wolterstorffii Camerano, Ricerche sopra i Gordii d' Europa e descrizione di due nuove specie, “ Boll. Mus. Zool. e Anat. Comp. Torino „, v. Ili, n. 42 (1888). Parachordodes Wolterstorffii (Camerano), Monografia dei Gordii, “ Mem. Acc. Scienze Torino „, Sez. Il, voi. XLVII, p. 392 (1897). Gordius pustidosus (Baird), Roemer, Beitrag zur Sgsteniatik der Gordiiden, “ Abhand. d. Senckenberg. Naturi. Gesell. „, voi. XXIII (1896). Gordius Pleskei Camer.ano, Gordiens noiiveaux etc., “ Ann, du Musée Zool. Acad. Iinp. des Sciences de St.-Pétersbourg p. 118 (1896), e voi. Vili (1903). Parachordodes Pleskei (Camerano), Monografia dei Gordii, “ Mem. Accad. Se. Torino „, serie II, voi. XLVII, p. 391 (1897). Parachordodes Wolterstorffii Camerano, Dell’ identità specifica del “ Parachordodes Wol- stertorffii „ e del “ Parachordodes Pleskei „, “ Boll. Mus. Zool. Anat. Comp. To- rino „, voi, XIX, n, 470 (1904), Località: a) 4 esempi. 5 di Francoforte, Lungh. 140-145-260 mm., Largh. mass. 0,1 mm. h) 4 esempi. China settentrionale, Lungh. 160-200 min., Largh. 0,5-0, 6 mm. c) 2 e.sempl. 9) China settentrionale, Lungh. 205-330 mm., Largh. 0,5-0, 6 mm. d) Esemplari raccolti dalla spedizione del Tibet “ Museo Zoologico dell’Accademia Imp. delle Scienze di Pietroburgo Carnei-., op. cit., voi. VII, 1903. 5 Lungh. 205 mm., Largh. mass. 0,4 mm. — Lungh. 175 mm., Largh. 0,5 — Lungh. 155 mm., Lai-gh. 0,4 mm. — Lungh. 130 mm., Largh. 0,3 mm. — Lungh. 125 mm., Largh. 0,3. 9 Lungh. 200 mm., Largh. mass. 0,4 mm. — Lungh. 135 mm., Largh. 0,3 mm. — Lungh. 130 mm., Largh. 0,4 mm. e) 18 esemplari contorni di Avellino, Lungh. 195 mm., Largh. mass. 0,6 mm. — Lungh. 183 mm., Largh. mass. 0,5 mm. — Lungh. 168 mm., Lungh. 0,5 mm. — LORENZO CAMERANO liEVlSIONE DEI GOKDII Lungi). 145 limi., Largii, mass. 0,5 min. — Lnngli. 122 mm., Laigli. mass. 0,1 min. — Lniigh. 115 min.. Largii, massima 0,4 mm. — Lnngli. 0,5 min.. Largii, mas- sima 0,3. /’) 3 esempi. 9. contorni di Avellino, Lungli. 155 mm.. Largii, massima 0,7 mm. — Lungli. 130 mm.. Largii, mass. 0,5 mm. — Lungh. 35 mm.. Largii, mass. 0,3 mm. 11 corpo nei due sessi è sottile e termina anteriormente quasi bruscamente in una calotta bianca, ben evidente. Nelle 9 l’estremità posteriore è arrotondata, talvolta con un accenno ad un solco nel quale si apre l’apertura cloacale. Nei 5 l’estremità posteriore ha due lobi postcloacali un po’ allargati. Vi sono due serie di peli rigidi divergenti precloacali. 1 lobi postcloacali portano nella loro parte ventrale ed interna numerose papille spiniformi. La colorazione è giallognola chiara, o giallo brunastra, o bruno scura. Nei 5 predomina la colorazione giallo brunastra, o bruno scura: nelle 9i che ho avuto occasione di esami- nare, prevale la colorazione giallognola chiara, o giallo brunastra. La colorazione dei 5 è più intensa verso la metà posteriore del corpo. Si nota nei due sessi un collare poco distinto e col suo margine posteriore indeciso e sfumato: le linee scure longitudinali sono evidenti, ma di colorazione poco intensa. L’estre- mità posteriore delle 9 c la parte inferiore dei lobi postcloacali nei 5 è più chiara. Nei maschi lo strato cuticolare esterno, negli individui a chitinizzazione inoltrata, pre- senta areole papillari basse, avvicinate fra loro e con spiccata tendenza a saldarsi fra loro per costituire striscie longitudinali, più o meno lunghe: le areole hanno come l’aspetto di grosse cellule, coi margini che rimangono liberi, irregolarmente spinosi: esaminate con suffi- ciente ingrandimento (ocul. 2 ob. F. Zeiss), appaiono zigrinose. Negli spazi interareolari irre- golari e di forma serpeggiante, si notano qua e là delle formazioni rifrangenti che attra- versano gli strati fibrillari cuticolarie dànno luogo alle ben note /hmfmom a croce. Qualcuna di tali formazioni rifrangenti si trova pure di tratto in tratto nelle areole. In certi tratti dell’animale le striscie longitudinali formate dalle areole saldate sono notevolmente lunghe, con spazi interareolari più stretti. Nelle femmine le areole papillari sono in complesso un po’ più grandi che nei maschi (da 12 a 21 micx-omillimetri in lunghezza, e da 11 a 15 micromillimetri in larghezza). La tendenza a saldarsi delle areole per costituire striscie longitudinali è meno spiccata che nei maschi e non raramente le areole si uniscono fra loro tanto nella direzione longitudinale quanto in quella trasversale, venendo a delimitare cosi spazi interareolari isolati che si pre- sentano nelle sezioni tangenziali della cuticola come spazi chiari a forma irregolare. Negli individui a strato cuticolare poco chitinizzato, gli spazi interareolari sono talvolta larghi e le areole sono cosi più distanti fra loro che non nei maschi : in questi casi le areole hanno i loro margini rotondeggianti. Negli spazi interareolari e talvolta anche nelle areole si notano le stesse formazioni rifrangenti che nei maschi, le quali corrispondono talvolta a piccole protuberanze tubercoliformi o peliformi. Il Parachordodes Wollerstorf/U, inteso nel modo ora indicato, è specie con distribuzione geografica assai vasta (analoga a quella del Parachordodes pustulosùs (Baird), del Parachor- dodes violaceus (Baird), ,del Gordius Villoti Rosa, del Gordius Pioltii Camer., ecc.), vale a dire: China settentrionale, Tibet, Germania, Italia. È probabile che ricerche ulteriori la faranno rinvenire in altre località della regione Europeo-siberiana, della regione Chinese e della regione mediterranea. Nella Monografia dei Gordii da me pubblicata nel 1897 (1), io parlai a lungo del poli- morfismo prodotto da varie cause nei Gordii e delle difficoltà, talvolta assai grandi, che esso (1) ' Mem. R. Accad. delle scienze di Torino Ser. II, voi. XLVII. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 47 arreca alla valutazione dei caratteri differenziali specifici e conchiusi: “ Da ciò deriva la necessità di ritenere come provvisorie le diagnosi di parecchie specie state descritte sopra uno 0 due soli esemplari. Nello stato presente delle nostre cognizioni intorno ai Gordii credo tuttavia sia utile la formazione di queste diagnosi, data la rarità di tal sorta di animali e la dispersione del poco materiale raccolto in molte collezioni diverse Dal 1897 ad oggi i caratteri di parecchie specie di Gordii poterono collo studio di nuovo materiale venir meglio precisate. Nell’anno 1888 io descrissi il Parachordodes WolterstorffH col nome di Gordiiis Wolter- storffii (1) sopra quattro esemplari femmina di Francoforte avuti in esame dal dott. W. Wol- terstorff, e questa specie conservai nella Monografia dei Gordii sopra citata. I caratteri prin- cipali che differenziavano la specie in questione dalle altre allora conosciute erano: le areole papillari dello strato cuticolare esterno di una sola sorta; ma che si saldano spesso insieme in modo da costituire delle strisele più o meno lunghe; fra le strisele di areole sporge qua e là qualche prolungamento corto rifrangente; sulle areole si trovano pure qua e là piccoli tubercoli. Il maschio era sconosciuto. Questa forma di Gordio rimase come isolata pei suoi caratteri dello strato cuticolare esterno fra le altre specie del genere Parachordodes fino al 1896, in cui io stesso descrissi il Parachordodes Pleskei della China settentrionale (2). Lo strato cuticolare esterno degli individui da me attribuiti a questa ultima specie, pur essendo fatto sul piano generale di quello del Parachordodes Wolterstorffii, presenta, come io ho fatto notare a suo tempo, alcune differenze. Più tardi il dott. A. Borelli mi portò un Gordio 5 che egli raccolse in Italia nei con- torni di Avellino, il quale unitamente a numerosi altri esemplari 5 e 9 pure di Avellino con vario grado di chitinizzazione dello strato cuticolare esterno, che cortesemente mi inviò il dott. Stegagno assistente presso la R. Scuola di Agricoltura di quella città, mi concesse di ripigliare in esame il valore dei caratteri differenziali dello strato cuticolare esteimo delle due specie sopradette di Parachordodes e di meglio chiarirli. Risulta dal loro studio che le differenze state assegnate per lo strato cuticolare esterno fra il Parachordodes Wolterstorffii e il P. Pleskei sono probabilmente dovute ad un diverso grado di chitinizzazione dello strato cuticolare stesso: il P. Pleskei corrisponde allo stadio di chitinizzazione più inoltrato rispetto al P. Wolterstorffii. Ciò posto, non risultando gli altri caratteri essenzialmente diversi, le due specie in que- stione debbono essere riunite in una sola, la quale per legge di priorità deve portare il nome di Parachordodes Wolterstorffii (Camer.). 21. Parachordodes ala.rensls (Montgm.). Gordins alaxensis Montgomery, The dìstrihaiion of thè North American Gordiacea, with description of a new species, “ Proceecl. Acad. Nat. Se. Philadelphia „, 1907, p. 270, figg. 1-2-3. Località: Snug-Harbor, Cook Inlet, Alaska. 5 Lungh. 120 mm. (1) Ricerche sopra i Gordii d’Europa e descrizione di due nuove specie, “ Boll, dei Mu.sei Zool. e Anat. Conip. di Torino ,, voi. Ili, n. 42. (2) Gordiens nouveaux ou peti connus du Musée zoologique de l'Acad. Iinpér. des Se. de St.-Pétershourg, Annuarie du Mus. Zool. St.-Pétersbg. ,, 1896, p. 118. 48 LORENZO CAMEKANO REVISIONE DEI GOKDII Colorazione bruno scura, iridescente, con collare nero. I lobi posteriori del maschio sono alquanto allargati nella regione mediana e più ristretti verso restremità che è arrotondata: Tapertiira cloacale è ovale e collocata a una, grande distanza dal punto di divisione dei lobi. Al davanti deU’apertnra cloacale vi è una ripiega- tura incurvata della pelle, colla concavità rivolta in basso: sui lobi mancano i peli e le spicule. Le areole della cuticola sono di forma e dimensione variabili e irregolarmente polie- driche con margini in parte rettilinei e in parte incurvati. Esse tendono ad allungarsi se- condo l’asse longitudinale del corpo e secondo questa direzione tendono a saldarsi insieme. Le areole sembrano unite fra loro attraverso agli spazi interareolari da piccole prominenze lineari. 22. Paraclìordodes fjemmatus (Villot). Camekano, Monografìa dei Gordii ( 196 ), p. 395. Località: Grenoble — Fort de Gavarnie o di Boucharo a 2282 m. e. s. 1. d. m. (Pirenei) 9 Lungh. 107 min., Largh. 0,6 mm. — llsenthal (Boken, Harz.) J Lunghezza 70-110 mrn.. Largii. 0,4-05 mm. — Gallizia - Monti Tatra. — 9 Lungh. 270 mm.. Largii. 1 mm. — S. Mar- tino a Scopeto - Vicchio di Mugello (Firenze). 23. Paraclìordodes 2 ^ustulosiis (Baird). Camekano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 39G, tav. I, fig. 8 — ( 215 ), p. 310 (1908) - ( 222 ), p. 216 (1912) — ( 216 ), p. 114 (1908) — ( 207 ), p. 25 (1903) - LiNSTdW ( 277 ). Oltre agli esemplari delle località indicate nella mia Monografia dei Gordii e nelle opere in essa menzionate, ne ho esaminati delle località seguenti : Bra — Rivoli (Piemonte), 9 di Bastia (Corsica), Lungh. 235 mm., Largh. 0,8 mm. — Przewaljsk — Chazret (Samarcanda) — Birbas (Semirecie) — Stagno Gusevskij (Minusinsk) — Etok-gomba, presso il fiume Dza-cju (Bacino del Fiume Azzurro), 5 Lungh. 75-100-112-113- 122-130-160-230 mm., Largh. 0,5-0, 6-0, 7-0, 8-1 mm.; 9 Lungh. 100-118-135-145-188-195-200- 225-263 mm., Largh. 0,5-0, 6-0, 7-0, 8-1-1, 5 mm. — Silcuri, Cachar. Assam, 9 Lungh. 440 mm., Largh. 1,5 mm. — Yarkand, 9 Lunghezza 120 mm., Largh. 0,8 mm. — Gyantse (Tibet, a 13,120 piedi s. 1. d. m.), 9 Lungh. 193 mm., Largh. 1 mm. — Mang-tsa (Tibet, a 14,500 p. s. 1. d. m.), 9 Lungh. 135-140-295 rnm., Largh. 0,8-1 mm. - 5 Lunghezza 113-114-116 mm., Largh. 0,5-0, 8 mm. 24. Paraclìordodes tolosanus (Dujard.). Camekano, Monografìa dei Gordii ( 196 ), p. 398 (1897). Oltre agli esemplari delle località indicate nella mia Monografia dei Gordii e nelle opere in essa menzionate, ne ho esaminati anche delle località seguenti: 9 di Carcare (Piemonte), Lungh. 110 ram. — 9 di Aquila — 5 dei contorni di Roma. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOI,. LXVI, N. 1 . 49 Genere PARAGORDIUS Camerano Camerano, Monografìa dei Gordii, “ Mem. R. Accad. Se. Torino serie II, vol.XLVll, • p. 368 (1897). (Valgono le stesse osservazioni fatte per il genere Chnrdodes). I. Sti’ato cuticolare senza formazioni areolari chiare o di colorazione varia. a. Lobi posteriori della 9 di egual lunghezza; il mediano largo con margini in gran parte paralleli fra loro. 1. cinctus Linstow. II. Strato cuticolare con formazioni areolari, chiare o di colorazione varia, rifrangenti. A. 1 lobi posteriori della 9 sono coperti da numerosi e lunghi peli. 2. Emergi Camer. AA. 1 lobi posteriori della 9 sono privi di peli. a. 1 lobi posteriori della 9 sono fra loro di egual larghezza, di eguale lunghezza e di eguale forma. 3. P. tricuspidatus (L. Dufour) (Villot). aa. 1 lobi posteriori della 9 sono disuguali; il mediano è più piccolo, o di forma diversa dei laterali. b. Il lobo mediano deH’estremità posteriore della 9 forma ellittica, un po’ ristretto alla base, allargato nel mezzo e nuovamente ristretto all’apice; esso è notevol- mente più stretto dei lobi laterali, ma è egualmente lungo. 4. varius (Leidy). bb. Il lobo mediano dell’estremità posteriore della 9 6 di forma conica spiccata, talvolta è più corto dei lobi laterali. c. La linea che unisce fra loro i due lobi laterali è nella parte superiore ampia- mente arcuata. 5. areolatus Linstow. ce. La linea che unisce fra loro i due lobi laterali è foggiata nella sua parte superiore ad angolo quasi acuto. 6. stglosus (Linstow). 1. Paragordius cinctus Linstow. Linstow, Gordiiden und Mermithiden des K. Zool. Museums Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin voi. Ili, p. 245, fig. Il (1906). Località: Usambara, Magili (Africa orientale tedesca) — Transvaal, Lydenburg. 5 Lungh. 162 mm., Largh. 0,71 mm. — 9 Lungh. 178 mm.. Largii. 0,79 mm. Colore giallo brunastro ; collare nero distinto e stretto. La cuticola è senza areole. Lobi posteriori della femmina di eguale lunghezza e da due a tre volte lunghi quanto larghi. Il lobo mediano è largo, a margini paralleli e arrotondato alla estremità. I lobi presentano due linee oscure che si incontrano sui lobi posteriormente ad angolo acuto. L’esemplare del Transvaal è stato trovato parassita nell’uomo. Questa specie appare ben distinta dalle altre conosciute per la mancanza delle areole nella cuticola. Il Linstow non descrive il maschio sebbene ne dia le misure. G LORENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII r)0 2. Parafioì'dius Enieryi (Camer.). Camerano, Monoyrafm dei Gordii (196), p. 401, tav. Ili, figg. 04-87, Località: Grandi isole della Sonda. 3. Parayoi'dias tvieaspidatus (L. Dufonr). Camerano, Monograpa dei Gordii (196), p. 400. Località : Francia. 4. Paragordius varius (Leidy). Camerano, Monograpa dei Gordii ( 196 ), p. 402, tav. Ili, figg. 26-33-35 (1897) — ( 197 ), 1898 - ( 199 ), 1901 - ( 207 ), 1903. — Montgomery ( 237 ), 1898 — ( 238 ), 1898 — ( 244 ), 1907 - ( 242 ), 1903 — ( 243 ), 1904. Olti'e alle località indicate nella mia Monograpa e nelle opere in essa enumerate ho esaminato esemplari delle località seguenti: Q di Altoyac (Vera Cruz: Messico; Lunghezza 105 mm.). $ Isola Mani (Isole Sandwich). 9 di Costa Rica(Lungh. 180 mm.. Largii. 0,5 min.). Montgomery l’ha osservato nelle località seguenti: Nuova York, Maine, Massachussetts, New Jersey, Pennsylvania, Virginia, Kansas, California, Guatemala, San José del Cabo, Baia Cai., St. Helena, Napa Cai., Callistoga, Illinois, Michingan, Arizona, South Dakota, Nuovo Messico, Austin, Texas. Questa specie è una delle più diffuse negli Stati Uniti. Ne ho esaminato un esemplare 9 > Lungh. 215 mm., Largh. 0,8 mm., di Carthago (Costa Rica). 5. Paragordius areolatus Linstow. Linstow, Gordiiden und Mermiihiden des K. Zool. Mìis. Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin „, voi. Ili, pag. 245, figg. 12-13 (1906). Località: Botschabelo — Sud Ostafrica. 9 Lungh. 162 mm., Largh. 0,75 mm. La colorazione è uniformemente bruna. La cuticola presenta areole irregolarmente rotonde con doppio contorno (da 0,0052 a 0,0075 mm. di grandezza). I lobi posteriori della 9 sono disuguali ; il mediano è regolar- mente assottigliato a punta arrotondata; i due lobi laterali sono largamente separati fra loro; il margine che li unisce è largamente arcuato. Il doppio contorno delle areole di cui parla l’A. è dovuto ad una apparenza ottica che presentano spesso le areole del genere Paragordius, e che appare o scompare secondo si avvicina o si allontana l’obbiettivo del microscopio. Questa specie appare distinta dal Paragordius stilosus Linstow, sopratutto per la forma dei due lobi laterali dell’estremità della 9» i quali in quest’ultima specie sono riuniti fra loro da un margine che forma un angolo superiormente abbastanza acuto ed anche per la forma del terzo lobo che è più ristretto e con margini in parte paralleli fra loro. MEMOKIK - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOC. I-XVI, N. 1 . 6. Pavagorditis stylosas (Linstovv). Camerano, Monofjrafìa del Gordii, p. 401, tav. Ili, fìg. 39. Località: Turkestan — Italia settentrionale e centrale, Sicilia. Ne ho esaminato anche un esemplare 9 4i Delhi (Punjab.), Lungh. 195 min.. Largii. 1 mm. Genere GORDIUS Linn. Camerano, Monografia dei Gordii, “ Mem. R. Aecad. Scienze Torino serie II, v. XLVII, p. 369 (1897). (Valgono le stesse osservazioni fatte per il genere Chordodes). I. Strato cuticolare esterno con speciali formazioni chiare, rifrangenti (che talvolta simulano piccole areole), isolate o riunite a gruppi, lo quali provengono da pro- lungamenti epidermici che attraversano gli strati cuticolari e vengono ad affiorare alla superficie della cuticola, divaricando nel loro percorso le fibrille dei vari strati della cuticola, in modo che intorno ai prolun- gamenti stessi si ha talvolta l’aspetto come delle formazioni a croce o a stella. Qualche volta si osservano pseudoareolature dovute ad incre- spamenti degli strati fibrillari della cuticola. Negli individui neotenici si hanno residui deH’areolatura giovanile. A. Con collare nero spiccato. h. Formazioni chiare, rifrangenti, grandi, ovali, isolate. 1. Pioltii Camer. bh. Formazioni chiare, rifrangenti, piccole e rare. e. Lobi posteriori del 5 ricurvi alla loro estremità verso la parte interna. 2. meruanns Camer. cc. Lobi posteriori del 5 diritti, lunghi, lamina postcloacale ricurva ad arco sesto acuto. 3. Zavattarii Camer. bbb. Formazioni chiare, rifrangenti, isolate o riunite a gruppi sparsi irregolarmente, peluzzi ben sviluppati, estremità dei lobi posteriori dei 5 corti, appun- titi, alquanto divergenti. 4. Feae Camer. AA. Senza collare nero. b. Formazioni chiare, rifrangenti, appaiate e disposte ad intervalli eguali, regolari. 5. obesus Camer. bb. Formazioni chiare, rifrangenti, piccole, isolate, distanti fra loro e per lo piu collo- cate nel mezzo degli spazi rombici. c. Lobi posteriori dei 5 ben sviluppati e divergenti. 6. aeneus Villot. cc. Lobi posteriori dei 5 corti. 7. qiiatemalensis Linstow. IL Strato cuticolare esterno senza le formazioni chiare, rifrangenti, delle quali è detto nella divisione precedente (I). Lo strato cuticolare esterno o è intieramente liscio, 0 presenta granulazioni, o peluzzi sparsi qua e là. Qualche volta liORKNZO CAMEKANO REVISIONE DEI GORDII si osservano pseudoareolature dovute ad increspamenti degli strati fibril- lari della cuticola. Negli individui neotenici vi hanno residui dell’areo- latura giovanile. ^4. Strato cuticolare con numerose e ravvicinate rughe longitudinali, anastomizzate fra loro su tutta la superficie del corpo. 8. corrug.atus Camer. AA. Strato cuticolare esterno liscio. B. Senza collare nero o con un tratto un po’ più scuro sfumato. C. Una lamina postcloacale nel 5 precloacale, concentrica colla prima, talvolta nerastra. 9. paranensis Camer. CC. Esiste la sola lamina postcloacale nel 5- X). Lobi posterioi’i del 5 con una serie di peli precloacali. 10, Danielis Camer. DD. Lobi posteriori del 5 senza la serie di peli precloacali. E. Senza peli setoliformi sui lobi posteriori dei J. a. Apertura cloacale del 5 ovale col diametro maggiore nel senso della lun- ghezza dell’animale. b. Lamina postcloacale del 5 foggiata ad angolo molto acuto. 11. angulatus Linstow. bb. Lamina postcloacale del 5 largamente rotonda. 12. flavus Linstow. (la. Apertura cloacale del 5 rotonda. b. Lamina postcloacale del 5 rotonda. c. Lamina postcloacale del 5 incurvata quasi a ferro di cavallo. 13. lapponicus Linstow. CC. Lamina postcloacale del 5 largamente semilunare. 14. seinilunaris Linstow. bb. Lamina postcloacale del 5 foggiata ad angolo aperto. 15. Paronae Camer. EE. Con peli setoliformi sui lobi posteriori del 5, lamina postcloacale semilunare. 16. hispidus Linstow. BB. Con collare nero o bruno scuro. C. Sulla cuticola del 5 vi sono numerose macchie chiare. D Sul corpo vi sono due strisele longitudinali scure che partono dal collare scuro. a. Le macchie chiare sono ovaliformi, numerose e disposte in modo che il loro maggior diametro è perpendicolare all’asse longitudinale del Gordio. 17. Villoti Rosa. aa. Le macchie chiare sono irregolari e a contorno sfumato. 18. Cognettii Camer. 1)1). Le strisele longitudinali scure mancano. a. Le macchie chiare della cuticola del 5 sono a contorno rotondo. 19. californiciis Camer. CC. Le macchie chiare della cuticola del 5 mancano. D. Oltre alla lamina postcloacale vi è una spiccata ripiegatura precloacale nerastra. 20. Horsti Camer. DJ). Esiste la sola lamina postcloacale nel 5- C. Con piccole formazioni peliformi sulla cuticola. a. Lobi posteriori del 5 corti, arrotondati alla estremità, lamina postcloacale grande e a curvatura rotonda; corpo spesso spiccatamente iridescente. 21. fiilgur Baird. an. Lobi posteriori del 5 allargati nel mezzo e poi bruscamente appuntiti al- l’apice. 22. Salvadorii Camer. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOI,. LXVI, N. 1 . 53 aaa. Lobi posteriori del 5 grandi, relativamente lunghi, divergenti, e arro- tondati all’estremità, lamina postcloacale grande, piegata ad angolo aperto nella parte superiore. 23. robustus Leidy. CC. Senza formazioni peliformi sulla cuticola. (t. Lobi posteriori del 5 lunghi, grossi, divergenti e arrotondati aH’estremità, lamina postcloacale semilunare. 24. Willeyi Carnei-. aa. Lobi posteriori del 5 corti, conici, bruscamente e fortemente appuntiti. 25. Doriae Camer. aaa. Lobi posteriori del 5 corti, grossi, poco divergenti, arrotondati all’estre- mità, lamina postcloacale del 5 foggiata a ferro di cavallo. 26. satnoensis Linstow. Gbistekk GORDIUS Liistn. (partim). 1. Gordius Pioltli Camer. Camerano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 403. Gordius Fioltii Camerano ( 207 ). Gordius stellatus Linstow, “ Mittheil. Zool. Mas. Berlin 111, p. 244, fìgg. 9-10 (1906). Oltre agli esemplari già indicati nella mia Monografia e nei lavori in essa citati ho esaminati parecchi individui dei contorni di Monaco (Principato), 5^9 riuniti in gomitolo e accoppiati, stati raccolti dal dott. Richard il 5 dicembre 1902, e un esemplare $ del Lago Teleckoje (Aitai). V. Linstow descrisse il suo Gordius stellatus sopra esemplari delle località seguenti : Rudersdorf (Marca di Brandeburgo), Pedrazzo nel Tirolo. 5 Lungh. da 318 a 348 mm., Largh. da 0,51 a 0,60 mm. Colore bruno, con collare scuro e due linee scure longitudinali. Sulla cuticola vi sono numerose macchie rotonde biancastre intorno alle quali si dipar- tono delle linee sottili disposte raggiatamente. I lobi posteriori sono relativamente lunghi e ravvicinati ; la lamina postcloacale quasi semilunare colle punte che giungono fino ad un quarto della lunghezza» del margine interno dei lobi. La descrizione del Linstow^ lascia vedere una notevole rassomiglianza della sua specie col Gordius Pioltii Camer., per la presenza del collare scuro e delle linee scure longitudi- nali, e per la forma complessiva, dei lobi posteriori dei maschi e della lamina postcloacale. La cuticola presenta pure numerosi spazi rotondi biancastri. Le linee sottili disposte rag- giatamente intorno ad esse sono molto probabilmente dovute al divaricarsi dei vari strati fibrillari della cuticola, che avviene per l’insinuarsi fra essi di prolungamenti dello strato epidermico, ai quali appunto corrispondono gli spazi biancastri rotondeggianti. Per queste ragioni credo che gli esemplari descritti dal Linstow si possono far rientrare nel campo di variazione del Gordius Pioltii Camer. 2. Gordius meruanus Camer. Camerano, Gordiidae, Wiss. Ergehn. d. Schwedischen Zool. Exped. nach dem Kiliman- djaro, dein Mera di Yngve Sj’óstedt, ecc. Stoccolma, 1910, p. 28, fig. 4. 51 LOUENZO CAMEKANO KEVISIONE DEI UORDII Locai Uà : Rogione elevata del monte Méru. 5 Lungli. 460 min., Largii. 1 mm. La colorazione del corpo è bruno chiara, colla parte anteriore del corpo biancastra; il collare nero è spiccato e largo circa un millimetro ; le strisce longitudinali scure nuincano’; i lobi posteriori sono nerastri alla loi'o estremità. Lo strato cuticolare è liscio con rare e piccole formazioni rifrangenti. 1 lobi posteriori del 5 corti e misurano un mezzo millimetro circa di lunghezza; guardati dal lato ven- trale appaiono nettamente ricurvi verso la parte interna; la lamina postcloacale del 5 è semilunare e non si protende sui lobi. 3. Gordius Zavattarii Carnei-. Camerano, Gonliens du Musée hidien, “ llecords of thè luclian Museum voi. II, parte II, n. 12, p. 117 (1908), (216). Località: Darjiling. 5 Lungh. 295 mm., Largh. 0,6 mm. La colorazione generale del, corpo è giallo chiara. Il collare nero è ben spiccato. Vi sono due sti’iscie longitudinali nerastre che partendo dal collare si estendono lungo il corpo. I lobi dell’estremità posteriore sono lunghi circa un mezzo millimetro; sono poco divergenti e arrotondati alla loro estremità. La lamina postcloacale è ben sviluppata, ricurva quasi ad arco sesto acuto e nerastra. Lo strato cuticolare esterno è privo di areole, ma presenta delle formazioni chiare, ri- frangenti, assai piccole (lunghe da 3 a 4 p), disposte qua e là e quasi sempre nel mezzo degli spazi rombici, determinate dalle linee incrociate caratteristiche della cuticola delle specie del genere Gordius. Questa specie ha, per ciò che riguarda la cuticola, qualche rassomiglianza col Gordius aeneus Villot, ma se ne dilferenzia per la forma della lamina postcloacale del maschio e per la mancanza in quest’ultimo del collare nero. 4. Gordius Feae Carnei-. Camerano, Monografia dei Gordii (196), p. 404, tav. Ili, fig. 47. Località: Bhamò (Alto Irawaddi) — Masheliya (Ceylan). 5. Gordius obesus Carnei-. Camerano, Monografìà dei Gordii (196), p. 403, tav. I, fig. 6; tav. Ili, fig. 41. Località: Valle del Santiago e Gualaquiiza (Ecuador). 6. Gordius aeneus Villot. Camerano, Monografia dei Gordii (196), p. 405. Località: Venezuela — Messico (?). MEMORIE - CLASSE Ì)I SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 7. Gordius quatemalensis Linstow. Gordius qiiatemnlemis Linstow, Beobachtungen un neuen umhekannien Nenudhelminthen, “ Archiv ftir mikroscop. Anat. „, voi. (30, p. 228, tav. XIII, fìgg. 15-10 (1902). Località: Chiacam (Guatemala). 5 Lungh. 157 mm.. Largii. 0,75 mni. Il colore è bruno chiaro senza collare scuro e senza linee longitudinali scure. La cuticola è iridescente e presenta numerosi circoletti circondati da fibrille raggiata- mente disposte. I lobi posteriori sono corti, arrotondati all’apice ; l’inforcatura ha il mai gine superiore arrotondato ; la lamina postcloacale è semilunare e le sue punte non giungono sul margine interno dei lobi. Dalla descrizione del Linstow si può arguire che questa specie presenta nella cuticola dei prolungamenti che la attraversano e divaricando le fibrille dei vari strati danno luogo all’aspetto stellato della cuticola stessa in corrispondenza di ciascun prolungamento. Probabilmente questa specie ha qualche affiniLà col Gordius oeneus Villot, per la strut- tura della cuticola, ma se ne differenzia nella forma dei lobi posteriori dei 5 (Confr. Came- rano ( 196 )). 8. Gordius corrwfatus Camer. Camerano, Monografìa dei Gordii ( 196 ), p. 405. Località: Tandjong — Morawa (Sumatra orientale). 9. Gordius paranensis Camer. Gordius paranensis Camer. - Camerano, Monografìa dei Gordii ( 196 ) — e inoltre ( 201 ), 1901 — Montgomery ( 237 ), 1898. Oltre agli esemplari già indicati nella mia Monografia dei Gordii e nei lavori in essa citati ne ho esaminato delle seguenti località: Villarica (Paraguay), Rio Monda-y (Paraguay), Urucum (Matto Grosso). Il dott. T. H. Montgomery indica questa specie di Casablanca (Cile). Fino ad ora questa specie venne trovata soltanto nella regione neotropicale. Ho esaminato 3 esemplari di Salto Quilpuè (Cile): 5 Lungh. 147 mm.. Largii. 1 mm.; 9 Lungh. 405-615 mm., Largh. 1 mm. Nella estremità anteriore vi è un bi’eve tratto un po’ piu scuro e sfumato; la lamina precloacale non è scura, poiché la colorazione generale dell’animale è bruno rossiccio chiaro. L’inscurimento di questa lamina coincide col maggior inscurimento della colorazione generale dell’animale. 10. Gordius Danielis Camer. Gordius Danielis Camerano ( 144 ), 1894 — Monografìa dei Gordii ( 196 ), 1897, p. 40(3. Gordius aquaticus diffìcilis Montgomery ( 237 ), p. 80, tav. 8, figg. 14-15 (1898) — ( 238 ), p. 889 (1908) — ( 239 ), p. 651 (1899). Gordius Villoti diffìcilis, Montgomery ( 244 ), p. 271 (1907). 50 LORENZO CAMERANO — REVISIONE DEI GORDII Dalla descrizione e dalle figure date dal Montgomery per il suo Gordius aquaticus diffi- cilis credo di poter conchiudere che questa forma è la stessa da me descritta col nome di (lordins Danielis. Queste due forme coincidono per i caratteri dell’estremità posteriore del 5 ed anche per quelli della cuticola e per la colorazione, mancando ambedue del collare nero anteriore. Il Montgomery parla di areolature della cuticola visibili sopratutto neH’estremità ante- riore e neH’estremità posteriore. Non si tratta di vere areole, poiché queste mancano nella cuticola delle specie del genere Gordius allo stato adulto, ma di apparenze di areole dovute 0 ad increspature degli strati fibrillari della cuticola o a residui dell’areolatura propria dei giovani, come talvolta si osserva negli individui neotenici (confr. Camerano, Motwyrafia dei G ordii ( 196 )). Distinzione geografica-. Provincia di S. Louis (Repubblica Argentina), Carolina del Nord. 11. Gordius angulatus Linstow. Gordius angulutus Linstow, Gordiiden und Mermithiden des K. Zool. Mus. Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berliu voi. Ili (1900), p. 243, tav. 4, fig. 2. Località: Funchal — Madera. 5 Lungh. 102 mm.. Largii. 0,30 mm. — 9 Lungh. da 136 a 325 mm., Largii, da 0,75 a 1,07 mm. La colorazione varia dal bianco giallognolo al bruno. L’A. non parla di collare nero, nè di striscio longitudinali nere. Il maschio ha i lobi posteriori ravvicinati, e provvisti di una lamina postcloacale fatta ad arco molto acuto e che si prolunga colle sue due estremità sui lobi fino oltre alla metà del loro margine in- terno. Per quest’ultimo carattere questa specie appare distinta dalle altre del genere Gordius. 12. Gordius flavus Linstow. Gordius flavus Linstow, Gordiiden und Mermithiden des K. Zool. Mus. Berlino, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin ,, voi. Ili, 1906, p. 243, fig. 1. Località: Nuova Britannia — Isole Hawai — Isole Fji (?). 5 Lungh. 263 mm., Largh. 1,11 mm. - 9 Lungh. da 362 a 365 mm., Largh. 1,90 mm. Colore giallastro, un po’ più scuro verso il capo. L’A. non parla di collare scuro, nè di linee longitudinali scure. I lobi posteriori del 5 sono una continuazione del corpo in modo che il loro margine esterno è rettilineo; la loro estremità è arrotondata; l’inforcatura ha contorno rotondo. La lamina postcloacale è rotonda colle punte che si spingono lungo il margine interno dei lobi fino ad 4/3 circa della loro lunghezza. L’apertura’ cloacale è di forma ovale col diametro maggiore disposto nel senso della lunghezza dell’animale. Mancano le formazioni a pelo. 13. Gordius lapponicus Linstow. Gordius lapponicus Linstow, Gordiiden und Mermithiden des K. Zool. Mus. Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin „, voi. Ili, 1900, p. 244, fig. 6. Località: Lapponia. (5 Lungh. 135 mm., Largh. 0,44 mm. — 9 Lungh. 125 mm., Largh. 0,48 mm. MEMOItlE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE li, VOL. LXVI, N. 1. 57 Colore giallastro chiaro eguale, senza collare nero e senza linee longitudinali scure. — I lobi posteriori del 5 sono corti, arrotondati; l’inforcatura è foggiata ad angolo acuto; la lamina postcloacale è rotonda ; le sue punte si estendono fino ad Vs della lunghezza del mar- gine interno dei lobi; mancano i peli setoliformi. 14. Gordius semiliinavis Linstow. Gordius pdlulus Linstow, Oh worms of thè Family Gordiidae from Corea, “ Proc. Zool. Soc. London 1906, II, p. 557, fìg. 95-A (nome preoccupato). Gordius semilunaris Linstow, Nematoden aits dem K. Zool. Mus. Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin „, III, 3, 1907, p. 259 (propone il cambiamento del suo Gordius pallidus, sopra citato, in G. semilunaris, essendo il nome palUdus già da lui stato adoperato (“ Mitt. Zool. Mus. Berlin „, III, 1906, p. 244 (per in- dicare un’altra specie). Località: Korea. 5 Lungh. 265-292-305 mm.. Largii. 0,75 mm. Colorazione giallastra chiara; lobi posteriori del corpo corti e arrotondati; lamina post- cloacale ampia e semilunare; apertura cloacale circolare. Il Linstow non pai’la di collare nero, nè di produzioni peliformi o spiniformi sulla cuticola e nella regione cloacale e nei lobi po- steriori; probabilmente questi caratteri non esistono. 15. Gordius Paronae Camer. Camerano, Nuova specie di Gordii del Basso Siam, “ Boll. Mus. Zool. Anat. Comp. Torino „, voi. XVIII, n. 437 (1903) - (216), p. 116 (1908), — (221), p. 541 (1911). Località: Kota Bharu (Basso Siam) — Darjiling — Sikkim — Tura (Caro Hills) — Fiume Bàb (Nuova Guinea). 5 Lungh. da 140 a 370 mm., Largii, da 0,4 ad 1 mm. — 9 Lungh. da 300 a 430 mm., Largh. da 1 ad 1,5 mm. La colorazione generale del corpo è bruna, o bruno nerastra con varia intensità. Negli esemplari più piccoli può essei’e anche giallastra chiara. Mancano sempre il collare nero e le strisele longitudinali scure. Gli individui ben conservati e con colorazione scura sono al- quanto iridescenti. L’estremità anteriore del corpo è biancastra ed i lobi posteriori del 5 sono inferior- mente più chiari del resto del corpo. La lamina postcloacale del 5 ® nera. Lo strato esterno cuticolare è liscio senza alcuna formazione rifrangente o peliforme. Vi sono le linee incro- ciate solite a trovarsi nelle specie del genere Gordius. I lobi postcloacali del 5 sono lunghi mezzo millimetro circa; visti di profilo, essi appaiono appuntiti; essi sono preceduti da un restringimento del diametro trasversale del corpo e sono appena divergenti all’apice. La lamina postcloacale del 5 ® foggiata ad angolo molto aperto; essa ricorda nella sua forma quella del Gordius Villoti Rosa; le punte della lamina si estendono fino alla metà circa della larghezza di ciascun lobo. 58 LOUENZO CAMEIIANO KEVISIONE DEI GOHDII 16. Goi'dius hispidus Linstow. (h)nlius /rispìdns Linstow, Gonliiden and Mennithiden des K. Zooloy. Mm. Berlin, “ Mitteil. Zool. Berlin III, p. 243, figg. 3-4 (HlOO). Il Linstow ha descritto questa specie sopra un esemplare 5 loBo dal corpo di un Tharn- notrizon apteri Fabr. di Trafoi nel Tirolo. 5 Lungh. 268 mm. ; Largh. 0,84 mm. La colorazione è giallastra chiara, uguale. I caratteri della cerchiatura della cuticola ed anche quelli dei rialzi longitudinali di fortna varia (fig. 3) non sono caratteri che servono per la distinzione della specie del genere Gordius, poiché essi dipendono da condizioni particolari che certi individui presentano quando vengono esaminati dopo la loro estrazione dal corpo dell’ospite e non hanno ancota fatto vita libera (confr. anche descrizione del Gordius annulatus Linstow). Servono invece quelli che si deducono dalla forma dell’estremità posteinore del 5- I lobi sono spiccatamente di- vergenti e si avvicinano notevolmente alla forma che si trova nel Gordius Villofi Rosa: la lamina postcloacale è semilunare, essa è un po’ diversa che in quest’ultima specie e così pure la forma del margine superiore dell’inforcatura che è ad angolo anziché essere largamente rotonda. Vi sono peli setoliformi abbondanti sui lobi. 17. Gordius Villoti Rosa. Camerano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 407. Gordius Villoti Rosa, Camerano ( 207 , 213 , 218 ). Gordius anmdatus Linstow, “ Mitteil. cl. Zool. Mus. Berlin „, III, p. 243 (1906). Gordius pallidus Linstow, “ Mitteil. d. Zool. Mus. Berlin „, III, p. 244, lig. 5 (1896). Oltre agli esemplari già indicati nella mia Monografia dei Gordii e nei lavori in essa citati, ho esaminato esemplari provenienti dalle località seguenti: Castello Brown (Porto Fino) — Un 5 di piccole dimensioni trovato nei condotti dell’acqua potabile di Genova (31 Gen- naio 1870) — Stassano (Scrivia) — Palo — Roma — Viterbo — Moana Saida — Sassari (forma neotenica) — Rio Marina, Marciana Alta, S. Bario (Isola d’Elba) — Padola (Cadore) — Scharfel (Hartz) — Volga • — Governo di Seratow (Russia) (forma neotenica) — Montluis — Gavarnie (Pirenei) — River Caragh. Glencar. — Abbeyleix (Irlanda) (forma neo- tenica) — Fiume Kivej (Akmolinsk) — Lago Karasim — Fiume Enisej — Lago Baikal — Viborg (Finlandia) — Omsk (Siberia) — Krasnojarsk (Siberia) — Aman — Kutan (Samar- canda) — Carskoje-Selo (Governo di Pietroburgo) — Lago Bologoje (Governo di Rovgorod). Questi nuovi dati vengono a precisare l’area della distribuzione geografica della specie, che comprende si può dire tutta la regione paleartica. In essa il G. Villoti pare sia la specie più diffusa e più frequente. V. Linstow descrisse il suo Gordius pallidus sopra un esemplare 5 di Kronstadt (Sie- benburgen). Lungh. 118 mm., Largh. 0,26 mm. Il colore é giallo chiaro con un collare bruno scuro. La lamina postcloacale è rotonda e le sue punte si spingono fino a metà circa del mar- gine interno dei lobi, i quali, ampiamente distanti col margine superiore delPinforcatura rotondo, presentano internamente dei peli setoliformi. MEMOUIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1. 59 Pare a me che l’esemplare descritto dal Linstow, col nome di G. ■pallidus, non presenti caratteri tali da doversi considerare come specie distinta. 1 suoi caratteri rientrano nel campo di variazione di quelli del Gordius Villoti Rosa, tenendo presente che si tratta di un esem- plare di piccole dimensioni, con cuticola poco inspessita e poco colorata. Confr. riguardo alla variazione del Gordius Villoti, Camerano (142), (196), (155), (207). V. Linstow descrisse il suo Gordius annulatus sopra un solo esemplare 9 trovato in un Ouconotus onos deH’Amur (Siberia orientale). L’esemplare è lungo 405 mm., colla maggior larghezza di 1,22 mm. E di color bruno e presenta delle solcature trasversali profonde prin- cipalmente verso la parte anteriore del corpo. Sopra quest’ultimo carattere il Linstow fonda la sua specie. Il costituire una specie del genere Gordius col solo esame delle femmine è cosa poco sicura, poiché le femmine delle varie specie sono in generale molto simili fra loro ; nel caso presente non credo che il carattere delle solcature trasversali possa servire, perchè è carattere transitorio che non raramente si osserva nei Gordii, sopratutto negli esemplari che si estraggono dal corpo dell’ospite e che non hanno fatto vita libera nel- l’acqua (1). Gli altri carattei’i indicati dal Linstow fanno rientrare l’esemplare nella diagnosi del Gordius Villoti Rosa, specie che è largamente diffusa nell’Asia centrale ed orientale (confr. Camerano (155) e (207)). 18. Gordius Cognettii Camer. Camerano, Nuova specie di Gordii dell'Alta Birmania, “ Boll. Mus. Zool. Aiiat. Comp. Torino voi. XIX, n. 468 (1904). Località: Katha (Alta Birmania). 5 Lungh. da 495 a 575 ram., Largh. da 1,5 a 2 mm. La colorazione è variabile dal bruno chiaro al nero lucente. Nell’individuo più chiaro il collare nero e le striscio longitudinali nerastre che partono dal collare sono ben spiccate; nell’altro esemplare si confondono colla tinta scura fondamentale del corpo. Nella cuticola si osservano numerose macchie bruno giallognole chiare, che spiccano maggiormente nell’in- dividuo a colorazione nera. Le macchie sono di dimensioni variabili, a contorno sfumato e sono molto ravvicinate fra loro. Lo strato cuticolare esterno è liscio e non presenta alcuna formazione rifrangente o peliforme particolare. Nella cuticola si osservano le linee incrociate solite a trovarsi nelle specie del genere Gordius. I lobi postcloacali sono preceduti da un restringimento del diametro trasversale del corpo; essi sono appuntiti, non divergenti; visti di profilo, presentano la loro faccia poste- riore come appiattita bruscamente rispetto alla faccia posteriore del corpo dell’animale nel punto in cui incomincia la separazione dei lobi stessi; non presentano peluzzi. La lamina postcloacale è piegata ad angolo, in modo da avere l’aspetto di un triangolo; si estende colle sue punte poco lungo i lobi. 19. Gordius californicus n. sp. Gordius subspiralis Diesino, Camerano, Gordiens du Mexique, “ Bull. Soc. Zoolog. de France „, voi. XXIII (1898), p. 75. (1) Cfr., a questo proposito, A. Camerano, Ricerche sopra i Gordii d’Europa ecc., “ Boll. Mus. di Zool. e Anat. C. Torino voi. Ili, 42 (1888), dove, ad esempio, indico un esemplare di Gordius Villoti Rosa che io stesso estrassi da una Scolopendra e che presentava il corpo finamente segmentato. 00 l.OKENZO CAMEKANO REVISIONE DEI UOKDIl Gordius (tqiKilicus Linn, Montgomery, The Gordiacea of eertain nmerican eolledions, II, “ l’roc. Ciilifoniia Acad, of Sciences Third Series Zool., voi. 1, n. 9 (1898), lìgg. 18-U. Io ho attribuito al Gordius subspiralis Diesing nel lavoro sopra citato, due esemplari di (luanajuato Messico, ma dopo le ricerche del Montgomery sui Gordii dell’America del Nord, potendosi meglio precisare i caratteri del Gordius subspiralis Diesing, che entra in sinonimia del Gordius robustns Leidy, i due esemplari sopra detti, non possono più essere riferiti al Gordius subspiralis o Gordius robustus, poiché nel 5> 1^ cuticola presenta numerose piccole macchie chiare, rotonde, che mancano nella sopradetta specie. Questo carattere del 5 di Guanajuato è molto simile a quello che presentano gli esemplari 5 della Città del Messico e di Berkeley in California, che il Montgomery nell’opera sopra citata assegna al Gordius aquaticus Linn. Io credo che questi individui non possono essere ritenuti come Gordius Villoti Rosa {aquaticus Linn. del Montgom.), poiché le macchie chiare della cuticola dei 5 di quest’ultima specie sono spiccatamente di forma ovale disposte in modo che il loro diametro maggiore é perpendicolare all’asse del Gordio (confr. figura in Camerano, Ricerche intorno alle specie italiane del “ genere Gordius „, “ Atti R. Accad. Scienze Torino „, voi. XXII, 1886). Inoltre negli esemplari in questione mancano le due fascie scure longitudinali, che invece si trovano nel G. Villoti Rosa. Secondo gli esemplari da me studiati la lamina postcloacale del 5 è poco sviluppata; i lobi dell’estremità posteriore sono corti e lisci ed, osservati di fianco, appaiono come bru- scamente assottigliati, mentre nel Gordius Villoti i lobi sono relativamente larghi e diver- genti ; la lamina postcloacale é ben sviluppata e intorno all’apertura cloacale e sulla parte interna dei lobi si trovano papille rialzate e spiccate. Credo necessario per queste ragioni indicare col nome specifico di G. californicus gli esemplari descritti da Montgomery e da me. Dimensioni : 5 Lungh. 160 min.. Largii, massima ^/2 mm. ; 9 Lungh. 227 min., Larghezza mass. 8 decimi di mm. Distribuzione geografica: Guanajuato (Messico), Città del Messico, Berkeley (California). 20. Gordius Horsti Camer. Gordius Horsti Camer., - Camerano, Monografìa dei Gordii 1897 — ( 198 ), 1899). Località: Borneo. Ho esaminato inoltre un esemplare 9 tolto da un locustario trovato nel Museo di Sa- rawak, che mi pare si possa riferire a questa specie. 21. Gordius fulgur Baird. Gordius fulgur Baird, Camerano, Monografia dei Gordii ( 196 ), p. 410, 1897 — ( 216 ), p. 115, 1898 - ( 222 ), p. 216, 1912. Località: Batjan, Celebes, Nepal, Giappone, Birmania. Ho inoltre esaminato: un esemplare 5 di Badarput (Assam), Lungh. 550 mm., Largh. 1 mm. — un esemplare 9 di Tavay, Lungh. 760 mm., Largh. 1 mm. — un esemplare 9 della stessa località, Lungh. 1180 mm., Largh. 1 mm. — un esemplare 9 di Andamans, Luirgh. 720 mm., Largh. 1 mm. — un esemplare 9 del lago di Indawgyi (Burina), Lungh. 720 mm., Largh. 2 mm., che credo si possano riferire alla specie in questione. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . ()1 22. Gordius Salvadorii Carnei-, Camerano, Monografìa dei Gordii (196), p, 411, tav. Ili, tìg, 40. Località: Grandi isole della Sonda. 23. Gordius rohustus Leidy. Gordius rohustus Leidy, A Sinopsis of Entozoa and some of their Ecto-congeners oh- served hg thè Author, “ Proc. Acad. Nat. Sci. Philadelphia „, 8, 1850) — Came- rano, Gordiens nouveaux etc. du Musée Zool. de V Acad. des Se. de St.-Pétersbourg, “ Ann. Mus. Zool. Acad. Se. St.-Pétersbourg „, voi. Vili, 1903. Gordius subspiralis Diesino, Revision der Nematoden, “ Sitz. d. K. Acad. Wiss. Wien. „ (1801) — ViLLOT, Monographie des Dragonneaux, “Arch. Zool. gén. et expér. „, 3, p. 51 (1874 - e.K Diesino) — Camerano, Gordiens nouveaux ou peu connus du Musée d'histoire naturelle de Legde, “ Notes from tlie Leyden Mus. „, voi. XVll (1895) — Camerano, Monografia dei Gordii, “ Mera. Accad. Scienze Torino „, serie II, voi. XLVII, p. 407 (1897). Gordius aquaticus Villot, Revisions des Gordiens, “ Ann. Se. Nat. „, 7® serie, 1880 (partirà), p. 277 — Roemer, Beitrag zur Sgstemntik der Gordiiden^ " Abliand. d. Senckenberg. naturi. Gìesell. voi. XXIII (1890). Gordius aquaticus rohustus Montom., - Montoomery, The Gordiacea of certa in american collections, “ Bull, of Museums of Comp. Zool. at Harvard College „, voi. XXXII, n. 3, p. 30, tavv. 1 e 2; tav. 3, figg. 13-10-19 (1898) — The Gordiacea of certain american collections, II, “ Proc. Californian Acad. of Sciences „, Third Ser. Zoo!., voi. I, n. 9, p. 335 (1898) e “ The American Naturalist „, 1899, p. 051. Gordius Villoti Rosa, Montoomery, The distribution ofthe North American Gordiacea, ecc., “ Proc. Acad. Nat. Se. Philadelphia „, 1907, p. 271. Per le ricerche del Montgomery, i caratteri di questa specie si possono stabilire nel modo seguente. La colorazione generale è variabile dal giallastro chiaro al bruno scuro. Il collare bruno scuro è distinto, sebbene in vario grado. Qualche volta è poco spiccato e talora quasi mancante nelle femmine. Mancano, a quanto pare, le due fascio longitudinali scure che dal collare scuro vanno fino alla estremità del corpo e che si trovano in varie specie del genere Gordius : ad esempio, nel G. Villoti Rosa, che è affine a questa. Nei maschi mancano le piccole macchiette chiare ovali sulla superficie del corpo, che sono caratteristiche del G. Villoti. I $ sono generalmente più scuri delle 9- forma gene- rale del capo è simile a quella del Gordius Villoti Rosa, e così pure si dica per la lamina postcloacale del maschio e per la estremità posteriore della femmina. Nel maschio mancano le papille rialzate intorno all’apertura cloacale e sulla parte interna dei lobi che si trovano nel G. Villoti. La cuticola liscia, senza areole, presenta le linee chiare (o scure, secondo che si avvicina 0 si allontana leggermente l’obbiettivo) che si incrociano in modo da delimitare degli spazi rombici e che si sogliono trovare nelle specie del genere Gordius. A differenza del G. Villoti, la cuticola presenta sopratutto verso le estremità anteriore e posteriore del capo numerosi peluzzi. 02 LOUENZO CAMEIiANO REVISIONE DEI OlORDII 11 carattere indicato dal Montgomery, della fascia bruna intorno airapertiira cloacale del 5 ^ dell’apertnra cloacale della 9? è carattere non esclusivo al G. robiistus, poiché si incontra non raramente nei 5 ® nelle 9 del G. Villoti (Cfr. Camerano (196), pag. 409). Le dimensioni dato dal Montgomery sono di 655 mm. per il 5 con 43 mm. di larghezza e di 705 mm. per le 9 con 49 mm. di larghezza. La 9 del Texas da me esaminata (Camerano, 154) è lunga 250 mm. e larga -1 mm. Montgomery fa del robustus di Leidy una sottospecie del G. aqaaticus Linn. o come meglio si dove dire per le ragioni già da me esposte nella mia Monografia (196) del G. Vii- loti Uosa. A mio avviso il Gordius robustus Leidy è specie ben distinta dal G. Villoti per i caratteri sopra esposti e che può essere considerata come autonoma, come già avevo detto nel mio lavoro sopra citato ( 207 ). — Montgomery più tardi ( 244 ), pag. 271, riunisce sotto il nome di G. Villoti Rosa, il G. robustus Leidy, il G. aquaticus robustus (Leidy.) Montgom., e il suo G. aquaticus Linn. Distribuzione geografica: Maryland, Massachussetts, Columbia, Nuova York, Maine, Penn- sylvania, Montana, Kansas, San Francisco, Berkeley Cai., Costa Rica. 24. Gordius Willeyi Camer. Gordius Villeyi Camer. - Camerano, Gordii della Malesia e del Messico ( 198 ), figg. 6 e 6«. (1899). Località: Nuova Britannia. 5 Lungh. 270 mm., Largh. 0,8 mm. La colorazione generale del corpo è bruna senza alcuna sorta di macchiette chiare ; il collare nero è ben spiccato : esistono le linee longitudinali scure che partono dal collare. Lo strato cuticolare è privo di areole e di formazioni chiare, rifrangenti ed anche di pro- duzioni peliformi. I lobi posteriori del 5 sono lunghi poco più di mezzo millimetro, sono alquanto divergenti, ingrossati e arrotondati alla loro estremità ; l’inforcatura è ad angolo acuto. La lamina posteriore è ben sviluppata e foggiata alquanto a ferro di cavallo. 25. Gordius Doriae Camer. Gordius Doriae Camer. - Camerano, Monografia, dei Gordii ( 196 ), p. 411 (1897) — ( 198 ), 1899 - ( 216 ), p. 115, 1908 - ( 221 ), p. 542,1911 - ( 222 ), p. 216, 1912. Località: Monti Carin — Cobapò (Birmania). Ho inoltre esaminato esemplari delle località seguenti : 5 4i Perak (costa sud occidentale della penisola di Malacca), Lungh. 352 mm., Largh. 1 mm. — 5 4i Bagracote, Siliguri (N. Bengal), Lungh. 63 mm., Largh. 1,5 mm. — 9 idem, Lungh. 360 mm., Largh. 2 mm. — Vari esemplari 5 di Darjeling, Lungh. da 300 a 365 mm., Largh. da 0,8 a 1,5 mm. — $ di Pegu, Lungh. 330 mm., Largh. 1 mm. — 9 idem, Lungh. 460 mm., Largh. 1 mm. — 9 di Somarwar (distretto di Almora nell’Imalaia occid.), Lungh. 195 mm., Largh. 1 mm. — 9 Paese degli Sekanto (Nuova Guinea), Lungh. 380 mm., Largh. 1,5 mm. — Digboi (Assam), 9 Lungh. 282 mm., Largh. 1 mm. 26. Gordius samoensis Linstow. Gordius samoensis Linstow, Gordiiden und Mermithiden des Zool. Museum Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin „, III, p. 244, figg. 7-8 (1906) MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 1 . 63 Località: Samoa. .5 Lungh. da 345 a 387 mm.. Largii, da 1,45 a 0,95 mm. La colorazione è bruno chiara con un collare scuro. La cuticola presenta una serie di areole a contorno rotondo o poligonale. I lobi poste- riori sono relativamente corti, larghi e arrotondati all’apice; l’ inforcatura è fatta ad angolo molto acuto : la lamina postcloacale è rotonda e fatta a ferro di cavallo colle punte che si spingono fino ad ^,'3 circa della lunghezza del margine interno dei lobi. Il diametro trasver- sale del corpo, a livello della lamina postcloacale, non è diverso da quello del corpo nella regione precloacale. Le areole di cui parla il Linstow sono formazioni pseudoareolari dovute a increspatiu’e degli strati fibrillari della cuticola che non raramente si osservano in certi individui delle specie del genere Gordius (ad es., nel Gordius Villoti) e non sono carattere utilizzabile per la diagnosi specifica (confr., ad es., la fig. 4, tav. I, del mio lavoro: Ricerche intorno all’ana- tomia ed istologia dei Gordii. E. Loescher, Torino, 1888. SPECIES INQUIRENDAE Delle specie inquirende che avevo elencate nella mia Monografìa dei Gordii, pag. 412 e seg., si poterono in seguito identificare le seguenti : Gordius macidatus Linstow, Gordius lineatus Leidy, Gordius rohushis Leidy, come risulta dalle descrizioni unite a questo lavoro. Alle specie che rimangono da chiarirsi, credo opportuno aggiungere le seguenti : 1. Gordius granulosus (Linstow). Gordius granulosus Linstow, Nemathebninten grósstentheils in Madagascar gesammeU, “ Archiv f. Naturgescli. „, 1897, voi. I, p. 31, tav. IV, fig. 12 (1897). Località: Madagascar. Un esemplare venne trovato nell’acqua e l’altro entro ad una Idolomorpha defoliator. L’A. non dice di che sesso sono i due esemplari, e non descrive l’estremità posteriore. La loro determinazione generica non è sicura. Probabilmente si deve escludere, per la struttura della cuticula, il genere Gordius : ma non si può dire con sicurezza se si tratti di Parachordodes 0 di Chor'dodes. La forma del corpo, che è fortemente assottigliata anterior- mente, potrebbe lasciar supporre che si trattasse di Chordodes, e ciò potrebbe far credere anche la disposizione e struttura delle areole cuticolari ; ma anche la descrizione della cuti- cola dovrebbe essere più minuta e completa per poter essere convenientemente interpretata. Ci’edo conveniente considerare questa specie come inquirenda. 2. Gordius platyurus Baird. Gordius platgrus Baird, Catcd. Entoz, Brit. Museuni London, p. 36, tavv. 1, 4. Gordius platyurus Baird, Diesino, Revision der Nematoden, “ Sitz. K. K.Akacl. Wien. „, voi. 42 (1861) — ViLLOT, Monogr.des Dragonneaux, “ Ardi. Zool. gén. et expér. „, voi. 3, p. 52 (1874) — QUrley, On Ilair-u'orms in thè collect. of t. Brit. Museum, “ Ann. Mag. Nat. Hist. „ (5), 8 (1881) — Roemer, Beitrag zar Systematik der 04 I.OrtENZO CAMERANO REVISIONE DEI GORDII Gordiiden, “ Abh. Senckeiibg. Naturf. Ges. voi. 28 (1890) — Montgomery (237), p. 80, tav. 7, figg. 50-52 (1898). Lii descrizione di questa specie venne fatta dal Baird sopra un esemplare indicato come dubitativamente proveniente dalla Giamaica. Essa non è sufficiente per far riconoscere la specie, poiché vi sono indicati i soli caratteri seguenti : “ corpo bianco molto lungo, assot- tigliato anteriormente, depresso posteriormente, poco distintamente forcuto, liscio, poco distin- tamente annellato, con un solco lineare longitudinale sopra uno dei lati. Lungo 32", largo in media 1,2'" e posteriormente 1"' L’esemplare descritto dal Baird è una 9- b Diesing, il Roemer, l’Oerley e il Villot si riferiscono sempre e soltanto alla descrizione primitiva del Baird. Montgomery (237), pag. 36, tav. 7, figg. 50-52, assegna alla specie del Baird un esem- plare di località ignota e pur femmina da lui esaminato, coi caratteri della cuticola che si i-iferiscono al genere Gordius. Egli dà il disegno dell’estremità posteriore che si presenta appiattita e con una depressione longitudinale mediana. La forma di questa estremità è quella che frequentemente si trovava nelle femmine del Gordius Villoti Rosa e di altre specie del genere Gordius, dopo che hanno o totalmente, o in gran parte deposto le uova, e non credo perciò si possa considerare come carattere atto a distinzioni specifiche fra le fem- mine del genere Gordius. Tolto questo carattere, non sicuro, non ne rimangono altri nella descrizione del Montgomery per riconoscere con sicurezza la specie. 3. Gordius montenegrinus (Svàbenik). Gordius montenegrinus Svabenik, Pr/spèvkg K. Anatomii A Ilistoìogii Nenicdomorph , “ Véstnik Kràl-Ceské Spoi. Nauk. Tr. math.-prìrodov. „, 1909, cis. 7. Località: Montenegro. La descrizione di questa specie venne data dall’A. soltanto in lingua boema, e l’A., nel riassunto in lingua tedesca del suo lavoro, non dà la diagnosi della specie da lui stabilita. Dal disegno della cuticola che egli dà, si vede che questa specie presenta delle macchie relativamente grandi e una pseudoareolatura (figg. 1-2). Si può arguire che probabilmente si tratta di una forma simile al Gordius Villoti Rosa e che forse deve identificarsi con essa. 4. Gordius Agassizi Montgm. Gordius Agassizi Montgomery (237), p. 88, tav. 9, figg. 68-60 (1898). L’individuo proveniente dalle isole Sandwich, che ha servito per la descrizione al Montgomery, presentava, neirestremità anteriore e posteriore, dei caratteri anormali, come torsioni e ripiegature irregolari, dovute al fatto che esso aveva già compiuto l’opera della riproduzione e probabilmente era rimasto, dopo morto, un certo tempo nell’acqua. Nei gordii sopratutto del genere Gordius le estremità anteriori e posteriori degli individui 5^9 die hanno compiuto l’opera della riproduzione, e che, come è noto, muoiono in seguito, presen- tano non raramente deformazioni varie, delle quali non si può tener conto in una diagnosi specifica. L’esemplare descritto dal Montgomery appai-tiene, per i caratteri della sua cuti- cola, al genero Gordius : ma la descrizione data dall’A. non concede di dire di più. MEMOKIE - Cl-ASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, 'VOI,. I.XVI, N. 1. Gf) 5. Gordius ambif/uus Beauchamp. P. de Beauchamp (287), pag. 20, figg. 6-10, descrive due individui, un 5 ed una 9, stati raccolti dalla spedizione Alluand e Jeannel nell’Africa orientale (1911-12) nel fiume Roueruaka nella foresta di Neirobi (Kikuyu) a circa 1700 m. di altezza s. 1. d. m., asse- gnandoli ad una nuova specie. Il maschio presenta, secondo l’Autore, una conformazione al tutto inusitata nelle specie del genere Gordius della lamina precloacale. “ La lamelle rétro- cloacale caractéristique du genre Gordius qui, dans toutes les espèces connues, est une simple créte dont l’insertion dessine un fer à chevai, est ici développée en une languette effilée, dont la longueur atteint sensiblement celle des deux lobes de l’extrémité inférieure. Ceux-ci sont assez minces, faiblement divergents et arrondis au bout. La languette est de consistance charnue, très differente de celle du reste, et sa base est si mince qu’on aper^oit par transpa- rence en dessous d’elle la fente cloacale Questa descrizione ed anche la figura data dall’A. fanno sorgere il dubbio che non si tratti di una conformazione normale, ma piuttosto acci- dentale, sopratutto la sua “ consistenza carnosa e la sua grande trasparenza alla base possono lasciare supporre si tratti di ima certa quantità di sperma rappi'eso rimasta appiccicata dopo l’accoppiamento. Non raramente questo si osserva, ad esempio, negli esemplari conservati in alcool, nei quali le piccole quantità di sperma aderiscono all’estremità posteriore del maschio molto tenacemente e possono prendere aspetti diversi. Accidentali e transitorii si possono considerare i due lobi laterali disegnati dall’A. nella estremità posteriore della femmina. Dalla descrizione data dall’A. della struttura della cuticola, si può rilevare che nel 5 vi è un residuo dell’areolatura giovanile, e che qua e là sul corpo si trovano delle produzioni peliformi. Meno chiara è la descrizione della cuticola della femmina. Per tutte queste ragioni credo sia prudente considerare la specie in questione come inqtiirenda. 6. JParayordius flavescens Linstow. Linstow, Gordiiden und Mermithiden des K. Zool. Mus. Berlin, “ Mitteil. Zool. Mus. Berlin voi. Ili, p. 246, fig. 14 (1906). Località: Tucuman, Argentina — Costa Rica. Il Linstow ha descritto questa specie sopra esemplari 9 e dà come lunghezza 155 mm. e come larghezza 0,95 mm. Il colore è giallo brunastro; vi è un collare nero che si sfuma posteriormente nella colorazione bruna del corpo. Nella cuticola indica delle areole rotonde, ciascuna con un margine chiaro, e distaccate le une dalle altre. Per l’estremità posteriore dice soltanto: “ Weibliches Hinterleibsende drei- lappig, ohne besondere Merkmale La descrizione del Linstow non è sufficiente per riconoscere la specie, tanto più che non dice nulla della forma dei lobi dell’estremità posteriore. Ora il dire che l’estremità tri- partita della 9 non ha alcun carattere particolare non basta, poiché non si sa rispetto a quale delle specie già descritte vengono dal Linstow paragonati i suoi esemplari, se cioè a quelle specie in cui i tre lobi sono di eguale lunghezza e di eguale sviluppo, o a quelle in cui il lobo mediano è più corto e più stretto, ecc. Neppure è sufficiente ciò che il Linstow dice delle areole chiare rifrangenti, poiché il carattere del margine chiaro è dovuto ad un fenomeno ottico che si osserva anche nelle areole di altre specie di Paragordius, secondo che si avvicina o si allontana l’obbiettivo del microscopio. (36 LORENZO CAMEKANO REVISIONE DEI GORDll È possibile che il P. flavescens sia da riferirsi al Paragordiiis variiis (Leidy), che si trova puro neirArgontina o in parecchie regioni deH’America settentrionale e meridionale; ma la descrizione del Linstow non concede di fare ciò con sicurezza. Pare più opportuno conside- rare la specie in questiono come inquirenda. 7, Chordodes echiìiatus Linstow. Chordodes ecidnatus Linstow, Helniinthen von den Ufern des Ni/assa-Sees, “ Jenaischen Zeitschr. f. Naturw. XXXV, p. 417, tav. XIV, fig. 19 (1900). Località: Fiume Lumbiva presso Langenburg. Il Linstow dà le dimensioni deU’esemplare studiato, che sono 590 mm. per la lunghezza del corpo e 0,4 mm. per la larghezza : ma non dice di quale sesso sia. Colorazione bruno chiara. La cuticola presenta una sola sorta di areole, le quali sono disposte in serie longitu- dinali regolari molto ravvicinate ; ciascuna areola, come dice il Linstow, è provvista di due prolungamenti sporgenti che toccano la porzione convessa e danno ad essa nel suo insieme la forma di “ Wappenlilien „. La descrizione data dal Linstow non è molto chiara; essa e la figura, la quale pare che rappresenti le serie di papille non viste dalla faccia superiore, ma di fianco e di scorcio, lasciano pure in dubbio sulla vera forma delle areole stesse. La forma descritta dal Linstow credo debba essere ristudiata per dare una migliore descrizione della cuticola, per determinare il sesso deH’esemplare tipico ed anche per verifi- care se si tratta realmente di un Chordodes, poiché la configurazione e disposizione delle areole ed anche la notevole lunghezza dell’animale rispetto alla larghezza, fa sorgere qualche dubbio che si possa trattare di una femmina di qualche specie di Parachordodes. X, i l ì i , I 3 Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie li, Voi. LXVI - N. 2. Classe di Scienze fìsiche, matematiche e naturali. NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI DELLA CATENA DEL SIMPATICO JCL&I "V" ertelorsLti in.f eriori. MEMORIA DEL Dott. MARCO PITZORNO, Aiuto. Approvata n di’ adunanza del 1 Marzo 1915. Lo studio del simpatico olfre difficoltà anche più notevoli di quelle del sistema nervoso centrale ed i suoi gangli sono più refrattari dell’asse cerebro-spinale alla reazione nera di Golgi ed ai metodi fotografici. Di modo che soltanto scarse cognizioni possediamo sulla mor- fologia del simpatico, e per quel che riguarda le connessioni dobbiamo fondarci esclusiva- mente sui dati desunti daH’esperienza fisiologica. Gli studi di Kolliker (24), Cajal (14), van Gehuchten (63), Sala (54), Lenhossék (26), Retzius (52), ecc., col metodo Golgi; quelli di Retzius (5), Dogiel (16), Huber (21), Mi- CHAiLow (36) col metodo Ehrlich; quelli di Cajal (47), Marinesco (31), Carpenter e Cornee (8), ecc., coll’impregnazione argentica, hanno illustrato singoli punti della minuta anatomia del simpatico, ma complessivamente a tutt’oggi questo sistema è molto meno conosciuto del cerebro-spinale. Esaminando la numerosa bibliografia che riguarda la struttura dei gangli simpatici si nota subito che gli AA. hanno più di tutto intrapreso le loro ricerche sugli Anfibi, sugli Uccelli e sui Mammiferi, trascurando completamente o quasi le altre classi di vertebrati, se si escludono le osservazioni di Huber, il quale dei pesci trascurò completamente i Selacei. 'f. Io, già da alcuni anni, volendo colmare questa lacuna, mi sono occupato dello studio della struttura dei gangli simpatici dei Pesci e dei Rettili, ed alcune notizie ho già rese ' pubbliche in tre note preliminari: ora rendo noto il risultato completo delle mie indagini. Materiale e metodo di studio. Ho esteso le mie ricerche su Selacei, Teleostei, Anfibi, Rettili ed Uccelli ; le specie da * me esaminate furono le seguenti: % Pesci — Selacei — Schylliorhinus canicula, Mustelus laevis, Selache maxima. o MAIiCO PITZORNO — NUOVR IIICEHCHK SULLA STRUTTURA DEI GANGU, ECO. Pesci — Selaoei — 'Peleostet Anfibi — Anuri Rettili — Chelonì Uccelli — Palmipedi „ — Trampolieri „ — Gallinacei — Raja clavafa, Torpedo marmorata , Raja piinctata, Mpliobates bovina. — Anguilla vulgaris, Xiphias gladius, Trigla corax, Th,gnnus mdgaris, Lophim piscatoì-ius, Orthagorisr.us mola . — Bufo vulgaris. — lùngs europea, Testtido graeca, Thalassochelgs carreia. — Anas domestica. — Ardea cinerea. — Gallus domesticus. Le mie indagini furono condotte sui gangli della catena simpatica e più specialmente sui gangli cervicali e toracici. Nei Selacei furono oggetto del mio esame i primi due gangli situati ai lati dell’esofago. 11 materiale freschissimo, tolto dall’animale appena ucciso o poche ore dopo la morte, veniva trattato col metodo Cajal dell’argento ridotto, previa fissazione in alcool 90 °/o ammoniacale. Nei Selacei la permanenza nel termostato a 35'’-37“ per 8 giorni era necessaria perlina buona impregnazione; nei Teleostei la durata doveva essere alquanto maggiore, 9-10 giorni, e così pure nei Cheloni. In qualche specie per la messa in colorazione della tigroide ricorsi alla colorazione alla Nissl. Tutte le figure furono riprodotte coU’apparecchio Zeiss e da preparati al metodo Cajal. Di alcuni caratteri delle cellule nervose simpatiche poco noti 0 ritenuti propri di alcune specie. Le mie ricerche hanno dimostrato per lo meno poco fondata raftermazione di Cajal (48), che i gangli simpatici deH’uomo adulto abbiano un’organizzazione più elevata che quelli degli altri vertebrati. L’osservazione limitata a poche specie può farci ritenere come carattere speciale della struttura di un dato organo in una data specie, una disposizione che il metodo comparativo dimostra comune a più specie, e perciò presumibilmente di interesse fisiologico generale. La necessità quindi di non fare osservazioni frammentarie, ma di esaminare molte specie, e di seguire per tutte lo stesso metodo d’indagine si rende indispensabile per poter distinguere i caratteri che sono comuni a tutti gli elementi che entrano nella costituzione di un dato organo in tutte le specie e darci ragione delle differenze che per avventura in alcune di esse potrebbero incontrarsi. Il tipo di cellule nervose con corpo cellulare avente superficie uniforme e spi'ovvisto di prolungamenti protoplasmatici, tipo che caratterizza le cellule dei gangli sensitivi dei j)iccoli animali, è assolutamente eccezionale nel simpatico: invece esso si trova costantemente negli Anfibi e molto di rado in qualche Selaceo e Teleosteo. Tutte le altre cellule presentano un numero più o meno grande di prolungamenti protoplasmatici, i quali possono originarsi dalla MEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 3 superficie della cellula, oppure con un tronco comune al cilindrasse; ma esistono determinate cellule, che più oltre avremo opportunità di riferire con quanta frequenza si riscontrino in ogni singola specie, le quali, oltre ai prolungamenti pi’otoplasmatici, presentano particolari appendici terminanti in un rigonfiamento. Sino a poco tempo fa si solevano classificare i prolungamenti di una cellula in dendriti e cilindrasse, oggidì però dopo gli studi di Cajal e di Levi sui gangli sensitivi cerebro- spinali si debbono distinguere dai dendriti le così dette fibre davate, le quali unitamente ai lobi ed al fenestramento rappresentano proiezioni a distanza di una parte del corpo cellulare. I lobi e le fibre davate, per le numerose forme di passaggio che esistono tra gli uni e le altre, non sono che espressioni diverse di una identica disposizione morfologica. I lobi non rappresentano che parti del protoplasma che si sono separate dalla parte principale del corpo cellulare contenente il nucleo, e l’istogenesi ci dimostra come essi si costituiscano durante la differenziazione della cellula per uno strozzamento circolare che si forma in un dato punto del corpo cellulare. Io sono convinto che questi lobi non hanno niente di comune coi dendriti, anzitutto dal punto di vista strutturale. I dendriti degli elementi simpatici si ramificano dopo un certo tratto e terminano con estremità sottilissime, inoltre i prolunga- menti protoplasmatici delle cellule simpatiche, prescindendo dal loro spessore, sono identici a quelli degli elementi dei centri nervosi. I lobi a grosso peduncolo, i quali si trovano so- pratutto nei Chelom, sono evidentemente tanto diversi dai dendriti che è superfluo diffon- dersi a stabilire i caratteri differenziali; il dubbio potrebbe sussistere soltanto per le fibre davate più sottili e più lunghe, ma esse a differenza dei dendriti hanno calibro uniforme in tutta la loro lunghezza; inoltre nei Chelom troviamo tutte le forme di passaggio fra le fibre sottili e quelle a grosso peduncolo. Infine lo studio della genesi di queste fibre — ed in ciò mi riferisco non ad osservazioni mie personali ma a quelle eseguite da Levi (30) sui gangli sensitivi — dimostra che esse si formano sempre per peduncolizzazione di una grossa porzione del corpo cellulare: il peduncolo a poco a poco si assottiglia e si allunga ed il lobo si allontana dalla cellula. La lunghezza di queste fibre davate è variabile: se ne pos- sono osservare di brevi che non oltrepassano i limiti della capsula pericellulare ; altre si por- tano colla loro estremità ingrossata a notevole distanza dal corpo cellulare. Come già dissi, questi lobi e queste fibre davate erano finora state osservate e giustamente interpretate esclusivamente nei gangli spinali; perii simpatico queste formazioni furono da alcuni AA. (Cajal (47), Michailow (35)) osservate nei Mammiferi, ma interpretate come dendriti; ora io ho potuto mettere in evidenza la loro esistenza nei vertebrati inferiori e tenendo conto degli studi fatti da Levi sui gangli sensitivi stabilire la loro vera natura. L’altra forma di proiezione a distanza di parte del corpo cellulare è rappresentata dal così detto fenestramento. Questa disposizione messa in evidenza nelle cellule dei gangli sen- sitivi da Cajal ed illustrata ampiamente in tutte le sue particolarità da Levi, non è stata finora che vagamente descritta da Michailow (35) nelle cellule gangliari simpatiche. Il fene- stramento s’inizia nelle cellule lungo tempo dopo che il neuroblasta si è trasformato in cel- lula nervosa, e la sua prima comparsa è indicata da piccoli canali nella parte periferica del protoplasma; questi canali ingrandendosi sempre più e diventando più numerosi invadono una parte del protoplasma che si distingue nettamente dalla parte centrale omogenea che circonda il nucleo; la parte fenestrata periferica del protoplasma viene denominata comu- nemente apparecdiio fenestrato: questo ha un’estensione variabilissima. Il fenestramento può presentarsi con diversi aspetti, che però tutti si ricollegano alla stessa disposizione: esso può limitarsi a semplici anse endocapsulari sottili, che col metodo fotografico assumono una tinta nera non essendovi manifesta la loro struttura fibrillare; queste anse dalla loro ori- gine si ripiegano e dopo aver descritto un arco di cerchio ritornano sul corpo cellulare sal- dandosi con esso. Di queste anse in una cellula se ne può trovare una sola, come pure un 4 MARCO PITZOliNO NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. numero maggiore, ed essere omogeneamente distribuite su tutta la superficie del corpo cel- lulare, oppure riunite in una zona limitata. Esse possono anche avere spessore maggiore; riesce allora visibile la loro struttura fibrillare, e gli spazi vuoti da esse limitati costitui- scono delle ampie finestre. Le anse invece di rimanere indipendenti le une dalle altre pos- sono trovarsi unite da tratti anastomotici, per cui si ha la formazione di reti variabili per la loro estensione, per l’ampiezza delle maglie, per lo spessore delle trabecole. Tutte queste forme di fenestramento potei io ora mettere in evidenza nelle cellule gangliari simpatiche dei vertebrati inferiori, e la loro analisi particolareggiata vedi’emo più oltre nella descri- zione delle singole specie. Nelle cellule simpatiche il cilindrasse può nascere dal corpo cellulare isolatamente, ma molto spesso la sua origine si confonde con un gruppo di dendriti che riuniti a cfuffo na- scono da una parte limitata della superficie della cellula. Esso in alcune specie si presenta sottile sin dalla sua origine, ma più frequentemente nei vertebrati inferiori nel suo tratto prossimale assume un aspetto tozzo, cioè si presenta molto grosso, con una larga base, senza che sia possibile stabilire un limite netto tra esso ed il corpo cellulare. In molti casi il cilin- drasse origina con un tronco comune ad uno o più dendriti ; il quale molto frequentemente ha una lunghezza ed una grossezza proporzionale al numero dei prolungamenti che da esso hanno origine. Le cellule nervos'e dei gangli simpatici dei vertebrati inferiori hanno, oltre il cilin- drasse, molti prolungamenti protoplasmatici, spesso sottili, i quali frequentemente nascono con 1 o 2 grossi tronchi comuni che si ramificano ripetutamente, ma possono anche dipar- tirsi da punti fra loro lontani della superficie cellulare, per cui questa acquista un aspetto stellato. I dendriti della prima varietà spesso convergono in un complicato intreccio, che fu descritto per la prima volta da Cajal (47) nel simpatico dell’uomo, e fu da lui denominato glomerulo dendritico. Questi glomeruli sono plessi intricatissimi, molto spesso aventi forma globosa, costituiti per la convergenza in un territorio limitato di dendriti grandemente rami- ficati appartenenti ad una o più cellule ; questi glomeruli sono resi ancora più complicati per la partecipazione di fibre afferenti. La loro analisi non è sempre facile, ma non infre- quentemente si osserva che la divisione di questi dendriti avviene per lo più dicotomica- mente. Cajal distingue glomeruli semplici e glomeruli composti. I glomeruli semplici sono co- stituiti dai prolungamenti di una sola cellula; i glomeruli composti dalle arborizzazioni dei dendriti appartenenti a due o più cellule, per cui Cajal li distingue in glomeruli bicellulari, tricellulari e pluricellulari. Queste formazioni glomerulari io ho potuto osservare che in alcune specie di vertebrati inferiori sono molto frequenti, sebbene Cajal le ritenesse speciali del simpatico dell’uomo. Tutte le particolarità che ho ora brevemente accennato, le vedremo meglio nei loro dettagli nella esposizione dei caratteri delle cellule gangliari simpatiche delle singole specie. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE 11, VOL. LXVI, N. 2 . Ò R E 3 C I Selacei. Cenni bibliografici. Sino al 1828 si negava nei Selacei l’esistenza di un sistema nervoso simpatico, e solo in quell’anno Cuvier (13) affermava di averlo visto nelle Raje, senza però darne alcuna descrizione. Nel 1835 Giltay (20) per primo descrive negli Squali un ganglio sim2)atico vicino all’esofago. Quasi contemporaneamente Swan (61) figurava il sistema nervoso simpa- tico della Raja batis come un cordone completo che risiede ai lati della colonna vertebrale. Remak (49) nel 1837, meglio che non ave.ssero fatto i suoi predecessori, descrive il simpa- tico negli Squali, accennando ad una serie di gangli rotondi che corrispondono ai nervi spinali e che diminuiscono di volume a misura che si seguono caudalmente. Dal 1° ganglio originano dei nervi per le branchie. Cuvier nel 1845 nelle sue Legons d’ Anatomie comparée, tom. Ili, insiste sulla presenza del simpatico nei Selacei e nei Teleostei e cranialmente lo fa giungere fino al 5° paio dei nervi cranici. Stannius (60) nel 1849 studia il simpatico nella Spinax acanthias e Garcharia glaucus, e lo descrive come un cordone situato ai lati della colonna vertebrale ed unito ai nervi spinali per mezzo di rami comunicanti. I primi due gangli sono maggiormente sviluppati degli altid. Contrariamente all’asserzione di Cuvier la parte cefa- lica del simpatico nelle specie da lui studiate mancherebbe. La più recente e completa de- scrizione macroscopica del simpatico dei Selacei ci viene data da Chevrel (10). Secondo questo A. la parte cefalica e la parte caudale del simpatico mancano probabilmente in tutti gli Elasmobranchi. I gangli simpatici che lo costituiscono si estendono dal diaframma alla estremità caudale dei reni, e sono posti ai due lati della colonna vertebrale. Negli Squali questi gangli si possono dividere in due gruppi: il primo gruppo comprende i primi gangli i quali sono uniti tra loro da rami anastomotici ; il secondo gruppo comprende i gangli della parte posteriore dell’addome, i quali non sono mai uniti tra loro da rami anastomotici lon- gitudinali. Chevrel considera i gangli simpatici degli Squali e delle Raje come dei piccoli centri nervosi donde partono nervi che si distribuiscono alla vena cardinale, ai reni, agli organi genitali ed ai loro condotti, ed agli altri visceri contenuti nella parte posteriore del- l’addome. Chevrel in questo stesso lavoro dà alcune notizie sull’istologia del sistema simpatico dello Scyllium catulus. I gangli simpatici sono circondati da una sottile membrana, le cellule che li costituiscono hanno un diametro variabile tra 15 e 27 g., tutte o quasi tutte hanno per carattere di essere unipolari e di possedere un doppio nucleo, raramente se ne riscon- trano di quelle che hanno un solo nucleo, sono tutte circondate da una capsula fornita di numerosi nuclei. Che le cellule nervose simpatiche possano essere fornite' di due nuclei venne più tardi confermato da Kohn (23), Diamare (15) e da me. In una mia nota del 1910 io dimostrava che le cellule simpatiche dei Selacei potevano essere multipolari, e che i loro dendriti potevano entrare nella costituzione di glomeruli, perfettamente identici a quelli che Cajal aveva ri- scontrato nell’uomo. (ì MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SURRA STRUTTURA DEI OANGRl, ECC. il I C E 11 C H E PERSONAL I Scli yUiorhiniis canicula. Esemplare di 1 m. di lunghezza. Il ganglio da me preso in esame ha una forma molto allungata e le sue due estremità sono rigonfie a mo’ di un manubrio; ha una lunghezza di cm. 1 O 21 larghezza di 5 mm. od uno spessore di 2 mm. In una sezione longitudinale, all’esame istologico, appare che la parte centrale assotti- gliata risulta esclusivamente composta di cellule gangliari e di fibre; le due estremità sono prevalentemente costituite da tessuto croinaffine e soltanto poche cellule gangliari sono qua e là disseminate nel suo spessore (fig. 1). Fig. 1. Fig. 2. Le cellule nervose sparse nella sostanza cromaffine (fig. 2) sono degli elementi di forma variabile per lo più allungati, i quali hanno la caratteristica di essere forniti di uno 0 più prolungamenti protoplasmatici che si dividono in un gran numero di ramificazioni molto sot- tili intrecciantisi in tutte le direzioni e formanti un intreccio a larghe maglie. La parte centrale del ganglio è percorsa da fasci di fibre nervose, relativamente grossi, con decorso longitudinale (fig. 1), fra i quali sono sparse irregolarmente le cellule; queste sono separate Luna dall’altra da abbondante connettivo. La forma predominante delle cel- lule di questo ganglio è la piriforme e l’estremità assottigliata si continua nel cilindrasse; le cellule più grandi hanno un diametro longitudinale di p. 35 ed uno trasversale di p. 20; le più piccole misurano p. 15 X 8; numerose sono le cellule di volume intermedio. Fig. 5, Fig. 6. 8 MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. La grandissima maggioranza di questo cellule è fornita di due nuclei, altre in minor numero ne hanno tre. I duo nuclei possono essere ravvicinati tra loro e collocati nella parte più ingrossata del corpo cellulare, e precisamente nel polo opposto a quello dal quale ori- gina il cilindrasse; nelle cellule a forma ellissoidale i due nuclei possono trovarsi ravvicinati nella parte centrale della cellula, ma più frequente- mente si trovano situati ai due estremi dell’asse lon- gitudinale del corpo cellulare. In qualche raro caso abbiamo osservato due cel- lule congiunte da un ponte protoplasmatico molto tozzo della lunghezza di p. 85; ciascuna cellula era piuttosto piccola e possedeva un unico nucleo (fig. 3). Questa disposizione rientra in quella da altri cono- sciuta come cellule gemelle (Dogiel nella retina). Il cilindrasse è, salvo rare eccezioni, di gran lunga più grosso dei dendriti e per questo carattere facilmente se ne distingue. Quando poi dal suo tratto prossimale si dipartono molti dendriti (fig. 5), il ca- libro di questo suo tratto iniziale è notevolissimo ed ha apparenza protoplasmatica. Dalla continuità gra- duale del corpo cellulare nel grosso cilindrasse la cel- lula ritrae un aspetto piriforme. Più distalmente il cilindrasse si assottiglia, fin dove è dato seguirlo non da collaterali; esso dopo un certo tratto prende parte alla costituzione dei fasci che percorrono il ganglio. Tutte le cellule o quasi hanno dendriti ed in molte cellule la loro disposizione è molto caratteri- stica partecipando alla costituzione di quelle singolari formazioni che definimmo come glomeruli. I dendriti che chiameremo liberi sono talora lun- ghissimi e grossi, ed in numero variabile per ciascuna cellula, altre volte sottili e brevi tanto che termi- nano a poca distanza dalla capsula. Il loro decorso è lievemente ondulato. I dendriti liberi talora nascono dal corpo cellu- lare ad intervalli regolari o quasi, ma più spesso a ciuffo, in prossimità dell’origine del neu- rita, il loro punto d’origine è spostato verso il tratto iniziale del cilindrasse, cosicché questi prolungamenti potrebbero essere scambiati come collaterali del neurita se non ne differissero por i loro caratteri. Alcune volte abbiamo visto i prolungamenti lunghi dopo un breve decorso raggiungei’e un fascio di fibre e continuarsi in esso seguendo la sua direzione, in qualche caso abbiamo potuto osservare che il prolungamento raggiunto il fascio di fibre si divideva a T ed i due rami si dirigevano in direzione contraria. In questa specie i glomeruli formati dall’intreccio dei dendriti, provenienti talora da una sola cellula, altre volte da due o tre cellule, sono frequentissimi, anzi possiamo affer- mare che le cellule le quali formano glomeruli sono in grande prevalenza. Nella fig. 4 si osserva un glomerulo monocellulare, costituito dai rami terminali di un unico dendrita, il quale sin dalla sua origine si presenta molto sottile e dopo un decorso di 12 g. si ispessisce, e da questo tratto più cospicuo si dipartono a brevissima distanza l’uno dall’altro moltis- simi sottili prolungamenti, questi alla loro volta si suddividono e s’intrecciano fra loro in un plesso intricatissimo. Fig. 7. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 9 Analogo al precedente è il glonierulo riprodotto nella fig. 5; esso ne differisce per il fatto che il prolungamento protoplasmatico che costituisce il glomerulo origina anziché dal corpo cellulare da un tronco comune al cilindrasse; esso si divide subito in un ciuffo di rami sottili, i quali si avvolgono su loro stessi in uno spazio limitatissimo. Nella fig. 6 il glomerulo è ampio ed è costituito a spese di quattro grossi prolunga- menti di una unica cellula, i quali dopo un tratto più o meno breve si dividono; le sottili fibre che ne dipartono si avvolgono in larghe spire su loro stesse. I rami terminali di un grosso fascio di fibre afferenti avvolgendosi esse pure a spira e confondendosi coi rami ter- minali del dendrita completano la costituzione del glomerulo. Nella fig. 7 è riprodotto un glomerulo formato da due cellule distinte, dalla più grossa si diparte un prolungamento protoplasmatico di enorme spessore il quale si suddivide in parecchi rami e questi vanno incontro a suddivisioni ulteriori di calibro sempre decrescente; i rami terminali sottilissimi divengono subito molto tortuosi e s’intrecciano in modo complicatissimo Fig. 8. 10 MAKCO IMTZOllNO — NUOVE IIICEKCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. fra di loro e collo ramilìcazioni provenienti dalla divisione del prolungamento dell’altra cel- lula. Il prolungamento di quest’ultima è molto sottile, più lungo e si divide dicotomicamente; da questi due rami di biforcazione si dipartono sottili rami terminali sinuosi, i quali, lo ripeto, si intrecciano con quelli di gran lunga più numerosi provenienti dall’altra cellula. L’estensione occupata da questo glomorulo è grandissima. Fig. 9. Fig. 10. Nella fig. 8 il glomerulo occupa nella sezione una superficie alquanto minore, ma i pro- lungamenti a spese dei quali esso si costituisce percorrono un tragitto più lungo: uno di questi è cospicuo e prende una parte preponderante nella costituzione del glomerulo, mentre quello proveniente dall’altra cellula fornisce soltanto pochi rami. Le fibre del glomerulo dif- feriscono anche da quelle del precedente per un decorso meno sinuoso, esse formano delle spire abbastanza regolari. Anche in questo caso alla costituzione del glomerulo partecipano i rami terminali di un grosso fascio di fibre afferenti, avvolte pur esse a spiiale. Nella fig. 9 troviamo pure un glomerulo formato da due prolungamenti di cellule di- stinte, delle quali una soltanto è compresa nella seziono: le fibre del glomerulo sono in prevalenza cospicue e sinuose, solo i rami terminali sono più sottili. Anche qui si nota che il prolungamento protoplasmatico più grosso è quello che prende una parte preponderante nella formazione del glomerulo. MKMOKIE - CI-A.SSE 1)1 SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOI,. LXVl, N. 2. 11 Nella fig. 10 si osserva un piccolissimo glomerulo formato da due dendriti, ciascuno dei quali si origina dai neuriti di due cellule distinte. Più distalmente il neurite dà un altro dendrita, il quale a sua volta forma un nuovo gloinerulo. La cellula a della fig. 11 dà due prolungamenti, ciascuno dei quali contribuisce alla formazione di un glomerulo. La cellula c ne forma tre, ciascuno dei quali a sua volta con- tribuisce alla formazione di tre glomeruli distinti. 12 MARCO PITZOKNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECO. Alla formazione di un gloinerulo possono concorrere i prolungamenti di tre cellule ed allora si hanno i glomcruli tricellulari di Cajal. Nella fig. 12 osserviamo uno di questi glo- meruli. Anche in questo caso il glomerulo è ben delimitato esternamente, il suo aspetto complessivo è quello di un vero gomitolo, i rami più grossi si vedono disposti ad arco, e tra essi si osserva una grandissima quantità di sottili diramazioni interposte tra le precedenti. Negli esempi finora portati i glomeruli erano costituiti dai rami terminali dei dendriti; nella fig. 13 partecipano alla costituzione del glomerulo dei rami collaterali i quali si comportano nel modo descritto. Per quel che riguarda il rapporto dei rami che par- tecipano alla costituzione del glomerulo, io sono convinto che essi si mantengono indipendenti (fig. 13); io non ho osservato anastomosi, nè fra i rami di divisione di un den- drita, nè fra i dendriti di cellule distinte. I cilindrassi non sono quasi mai avvolti da*fibre spirali; queste furono da me osservate soltanto in due cellule ed una di queste possedeva un neurite di enorme spessore (fig. 14). Caratteristiche delle cellule gangliari simpatiche di Schylliorhinus : Corpo cellulare voluminoso, cilindrasse che molto spesso origina con un tronco comune ai dendriti; nella grande maggioranza delle cellule i dendriti si avvol- gono in glomeruli; alla costituzione di ciascun glomerulo partecipano quasi sempre 1-2 o 3 cellule distinte. Mustelus laevis. Due esemplari della lunghezza di m. 1 e 1,10. Il ganglio preso in esame è anche in questa specie quello che si trova Fjg 14 situato ai lati dell’esofago. Il sistema cromaffine contrae col ganglio gli stessi rapporti che nella specie precedente : in una sezione mediana la parte centrale è esclusivamente costituita da cellule gangliari e da fibre, mentre le due estremità sono formate prevalentemente da sostanza cromaffine nella quale qua e là si trovano sparse cellule nervose simpatiche isolate o riunite in gruppi di piccolo numero. Queste cellule nervose che si trovano nella sostanza cromaffine presentano gli stessi caratteri di quelle della specie precedente. Nella parte centrale del ganglio le cellule sono prevalentemente piriformi, e l’estremità assottigliata della cellula si continua nel neurite. La grandezza di queste cellule è variabile, le più grandi misurano p. 80 X M- 72, le più piccole p. 30 X M- 23. In prevalenza contengono due nuclei. Quasi sempre il corpo di queste cellule è liscio e regolare, però in taluni casi si ha un accenno a fenestramento dovuto a sottili anse protoplasmatiche, che limitano colla superficie delle cellule delle piccole finestre; di queste anse, in una cellula, se ne trova gene- ralmente una, al massimo due. Anche qui il neurite acquista un calibro particolarmente notevole quando dal suo tratto prossimale originano dei dendriti. Anche in questa specie dobbiamo distinguere i dendriti divergenti, liberi, dai dendriti glomerulari. I primi, in numero variabile per ciascuna cellula, sono spesso lunghissimi e si dividono ripetutamente, I dendriti glomerulari come in Schylliorhinus si presentano sotto due MEMORIE - CIBASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOI,. 1,XVI, N. 2. 13 forme differenti: talora originano dalla cellula con una larga base o dopo brevissimo tratto si dividono in numerosissimi sottili rami che entrano nella costituzione dei gloineruli, talora invece fin dal loro tratto iniziale sono molto più sottili e la loro divisione avviene ad una distanza più o meno grande dalla loro origine. Questi dendriti come quelli liberi possono originarsi da un tronco comune col neurita. I glomeruli formati dai dendriti sono molto frequenti e presentano le identiche ca- ratteristiche di quelli di Schylliorhiniis] si osservano glomeruli monocellulari, bicellulari e pluricellulari-, essi sono sempre costituiti oltreché dalle divisioni e suddivisioni dei dendriti glomerulari anche da numerose e sottili fibre afferenti che s’intrecciano fra loro in modo complicato. Molte cellule sono in' questa specie avvolte da sottili fibre le quali provengono da punti diversi del ganglio, spesso accompagnano un dendrita od il cilindrasse e finiscono per cir- condare la cellula con un plesso che è sempre contenuto nell’interno della capsula, oppure si avvolgono intorno ad essa a spira ; talora dopo aver circondato la cellula accompagnano un altro prolungamento e si portano a distanza. Talora ad una cellula convergono più plessi distinti, ciascuno dei quali segue un prolungamento (fig. 15). Ognuna di queste cellule nervose è circondata da una capsula connettiva ricca di nuclei; talora però due e raramente anche più cellule sono rinchiuse in una capsula comune, allora 14 MAKCO l’ITZOItNO — NUOVK KICEliCHE SUIX.V STRUTTURA DEI GANGLI, ECO. ò fucilo ossor.varo corno una di esso possa prendere uno sviluppo preponderante e su un punto della sua superficie presentare una concavità nella quale viene ad adattarsi una parte del corpo dell’altra cellula più piccola. Talora la differenza delle due cellule è tale che quella inaggiorniento sviluppata invade quasi la totalità dello spazio limitato dalla capsula, per cui la cellula più piccola rimane totalmente circon- data dalla cellula maggiore; la più piccola quindi rimane completamente inglobata nella cellula più grande. Nella tìg. 16 è riprodotto un esempio tipico di questa singolare disposizione. Biassunto. — Alcune cellule con sottili anse periferiche (fenestramento) ; frequenti glomeruli con caratteri identici a quelli della specie pre- cedente, La maggioranza delle cellule è circon- data da nidi pericellulari a sottili fibre. Selaclie maxima. Furono esaminati due esemplari, l’uno della lunghezza di m. 3,80, l’altro un po’ più piccolo. La distribuzione della sostanza cromaffine è si- mile a quella delle altre specie. Alla costituzione del ganglio partecipano in parte elementi volu- minosi, con numerose espansioni di cui diremo fra breve, in parte molte cellule piccole, piriformi con scarsi e sottilissimi prolungamenti. Questi ultimi, che evidentemente rappresentano cellule gangliari non completamente differenziate, risie- dono per lo più al limite tra la massa principale del ganglio ed il tessuto cromaffine, oppure si spingono nella sostanza cromaffine stessa. Il loro diametro longitudinale medio è di 17 g. Esse sono spesso tanto stipate, che per effetto della compressione esercitata reciprocamente dal contatto fra cellule vicine, la loro forma viene ad essere profondamente modificata. Le cellule grandi, le quali possono avere anche un diametro massimo di 250 g., hanno forma variabilissima; se ne osservano di sferiche, ovoidali, allungate, piriformi, triangolari con angoli arrotondati ed anche a forma di semiluna ; manca la figura stellata. Hanno tutte il loro gran diametro parallelo all’asse longitudinale del ganglio e sono tra loro separate da notevole quantità di tessuto connettivo, per cui rimangono quasi sempre distanti Fiina dall’altra. Anche i fasci maggiori di fibre nervose sono orientati secondo l’asse longitudinale del ganglio e decorrono tra queste cellule. Tutti questi elementi nervosi sono forniti di due nuclei sferici, talora ravvicinati, altre volte situati in punti opposti del corpo cellulare; oppure uno è centrale e l’altro risiede ad un polo, in quest’ultimo caso esso determina una sporgenza sulla superficie della cellula. Nelle più grandi cellule vediamo spesso scavati dei canali, nei quali le parti ristrette si alternano con altre molto dilatate. I canali possono anche essere in numero di 3-4, talora indipendenti, altre volte anastomizzati ; ed in qualche cellula descrivono un cerchio quasi completo, in modo che i due punti di sbocco sono ravvicinati. Non è infrequente osservare come nell’ interno di questi canali decorrano dei sottili prolungamenti che originano dalla loro parete ; in un caso che ho riprodotto nella fig. 17 un fascio di sottili fibre, che ritengo di natura nervosa, penetrava dall’esterno in uno di questi canali e lo seguiva per tutta la sua lunghezza, per fuoriuscire dall’estremità opposta. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 15 In altre cellule trovo scavate delle enormi cavità sferoidali, ed esse si ricollegano evi- dentemente ai canali suaccennati, queste cavità sono in gran parte occupate da connettivo; ad esse fanno capo alla loro volta dei canali intracellulari. Dal loro contorno originano dei prolungamenti, i quali dopo aver attra- versato la cavità ne fuoriescono, altri fila- menti si vedono dairesterno portarsi nel loro interno e tutti questi rami intreccian- dosi fi’a loro formano una rete nel tessuto connettivo che occupa l’insenatura. Nelle figg. 18 e 19 sono riprodotte due di queste cavità. Nella fig. 19 è riprodotta una cel- lula nel cui citoplasma è scavata un’ampia cavità dalla parete della quale origina un robusto prolungamento di forma conica con aspetto protoplasmatico, che alla sua estre- mità si divide in parecchi rami, uno dei quali terminante con una estremità legger- mente ingrossata fuoriesce da una finestra che attraversa la sua parete. Queste ca- vità si riscontrano con una certa frequenza nelle cellule gangliari di questa specie. In questa specie si ripete lo stesso fatto che io ho già precedentemente descritto in Mustelus , di una cellula piccola completamente rinchiusa in una cellula più grande. Nella Fiff. 17. fig. 20 è riprodotto uno di questi casi. La cellula grande circonda da ogni lato la più pic- cola e nel ponte protoplasmatico che separa la cellula piccola dalla superficie esterna è It) MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SURRA STRUTTURA DEI GANGRI, ECC. scavata una finestra attraverso alla quale si fa strada il cilindrasse della cellula rinchiusa. I diametri delle duo cellule variano secondo i casi: in quello riportato nella fig. 20, la cel- lula grande misurava 68 X 71,4 p., la piccola 51 X 42,5 p. Le due cellule avevano costitu- zione normale, con struttura fibrillare ben evidente, ed in casi fortunati, come in quello riprodotto, è apprezzabile sulla stessa sezione l’ori- gine del cilindrasse in ambedue le cellule. Nella fig. 21 è riprodotto un altro di questi casi, il cilin- drasse della cellula piccola invece di portarsi al- l’esterno attraverso una finestra, passa attraverso un canale scavato nel corpo cellulare della cellula che la circonda. In qualche raro caso (fig. 22) una sola grande cellula (Voi. p. 127 X IH) conte- neva due piccole cellule, delle quali una misurava p. 63 X 39 e l’altra p. 25,5 X 32. In questa specie si osservano, per quanto di rado, delle cellule gemelle come quelle riprodotte nella fig. 23, ove le due cellule sono unite tra loro da un tozzo e lungo ponte protoplasmatico ; una delle due cellule è fornita di un solo nucleo, l’altra di due. Molti di questi elementi sono forniti di fibre Fig. 22. davate sottili e brevi che talora si dividono in due rami, con un piccolo l'igonfiamento sferico od ovoidale ; esse sono sparse in vari punti della superficie cellulare, ma non di rado sono raccolte in una zona limitata. Altre volte la fibra è lunga e la clava è voluminosa ed a MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUE., SERIE II, VOL. I.XVI, N. 2. 17 forma irregolare. Nella cellula riprodotta a fig. 24, queste fibre davate sono numerosissime, alcune di esse son molto lunghe ed anzi il punto d’origine dalla cellula non appare nella figura, ma per analogia con altre imagini osservate, non du- bito che esse nascano da quella cellula. Anche le cellule fenestrate non sono infre- quenti. La forma più semplice di fei>estramento è rappresentata da semplici anse inserite isolatamente sulla superficie della cellula, oppure riunite in Fig. 24. Fig. 25. gruppo in una zona limitata. In una cellula di tali anse possono trovarsene da una a tre. Talora le anse hanno un aspetto protoplasmatico, ed allora assumono uno spessore molto 18 MARCO PITZORNO — NDOVK RICERCHE SDÌ, LA STRUTTURA DEI OANGLI, ECC. più grande, come più grande risulta la finestra che limitano colla superficie della cellula. Non sono nemmeno infrequenti i casi nei quali la zona fenestrata è molto più estesa, per cui si forma una rete a grandi maglie, con per una gran parto della superficie della cel- lula, invadendola talora anche completamente. Nella fig. 25 è rappresentato uno dei casi nei quali la rete è maggiormente sviluppata. 11 cilindrasse nasce per lo più dal polo opposto a quello nel quale si trovano i nuclei; sin dalla sua origine ha un diametro non molto considerevole relativamente al grande volume della cellula; nel suo tratto prossimale è retti- lineo e dopo breve cammino si ripiega e si unisce a cilindrassi di altre cellule; dalla riu- nione di questi si costituiscono dei fasci che percorrono il ganglio; non mi sembrò che tali cilindrassi fornissero dei collaterali. trabecole di diverso spessore, che si estende Fig. 26. Fig. 27. I prolungamenti protoplasmatici nascono sempre a ciuffo da una zona limitata della cellula che può trovarsi in vicinanza del cilindrasse, come pure in un punto qualunque della sua superficie. Fra questi i più cospicui hanno costituzione protoplasmatica e si dividono riccamente in rami di calibro sempre decrescente, i più sottili, che nei preparati Cajal ap- paiono coloriti intensamente in nero, o non si dividono affatto o si dividono una sola volta. Dei glomeruli se ne osservano monocellulari, bicellulari e pluricellulari. Nella fig. 26 è rappresentata una cellula fornita di un glomerulo monocellulare ; in essa si distingue un MEMOKIK - CLASSE LI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SEUIE li, VOL. LXVI, N. 2 . 19 robusto dentrita di aspetto px’otoplasmatico che si ramifica parecchie volte ; dalla sua base originano pure altri dentriti di minor diametro i quali aneli’ essi partecipano alla costitu- zione del glomerulo ; sottili fibre provenienti da altri punti del ganglio, prendono pur esso parte alla sua costituzione. Nella fig. 27 sono riprodotte due cellule che coi loi’o dendriti costituiscono un glomerulo bicellulare. Come si rileva facilmente, questi dendriti nascono a ciuffo da una zona limitata della rispettiva cellula e colle loro ramificazioni, unitamente a . fibre che provengono da altri punti del ganglio, costituiscono il glomerulo ; però queste ra- mificazioni sono più espanse e meno sinuose che nei glomeruli delle specie precedenti; più che un vero e proprio glomerulo si tratta di una convergenza di ramificazioni, provenienti da cellule distinte in una regione determinata. I glomeruli pluricellulari sono pur essi nume- rosi e nella loro costituzione, oltre ai prolungamenti protoplasmatici, vi prendono pure parte fibre sottili che provengono da altre parti del ganglio. Caratteristiche delle cellule simpatiche di Selache sono : grande volume delle cellule, qualche cellula gemella, citoplasma scavato da canali e da ampie cavità nelle quali possono essere incluse una o due cellule più piccole; dendriti di vario spessore i quali partecipano alla costituzione di glomeruli, mono-, bi- e pluricellulari ; l’intreccio delle fibre nel glomerulo è più espanso ed anche meno intricato che in Schylliorhinus ; frequenti le fibre davate e non rari gli apparecchi fenestrati costituiti da anse o da reti a sottili fibre, talora molto Peso grammi 2150. Il ganglio preso in esame è sempre quello situato ai lati dell’eso- fago ; il tessuto cromaffine ha nel ganglio la distribuzione consueta. Cellule sferiche, piri- formi, con 1 0 2 nuclei eccentrici. ìSebbene non in numero rilevante si osservano delle cellule lobate. I lobi possono essere claviformi, oppure sessili con larga base. Di questi lobi possono anche contarsene B o 4 in una cellula (fig. 28); dai lobi talora origina qualche dentrita, come pure in un caso il cilin- drasse originava da un lobo claviforme peduncolato (fig. 29). estese. Torpedo niarinorata. 20 MAKCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTUBA DEI GANGLI, ECO. Cilindrasse conico all’origine, più oltr< Dendriti lunghi che si raniiticano una della superfìcie, altre volte si dipartono da I di diametro uniforme; non dà collaterali. 0 due volte si possono originare da vari punti una zona limitata, oppure nascono con un grosso tronco comune dal polo opposto all’origine del neurita (cellule bipolari) ; od anche in prossimità di quest’ ultimo, ed infine il loro tx-onco di origine può essere comune a quello del neurite (fig. 30). Riassunto : i dendi’iti non formano mai glomei’uli ; qualche cellula con lobi. Raja punctata. Un esemplare del peso di grammi 270. Distribuzione del tessuto cromaffine analoga a quella descritta. In questo tessuto si osservano delle cellule simpatiche Asolate o riunite in gruppi di 2 0 3. Queste cellule sono allungate, con una estremità ingrossata, e munite di numerosi e sottili prolungamenti che si ramifiicano per lo più l’iccamente. Nella parte centrale del ganglio il connettivo è scarsissimo e le cellule sono molto ravvici- nate. Diametro longitudinale p. 47,5, trasversale p. 28. Hanno un solo liucleo ; manca qualsiasi accenno di fenesti'amento, e mancano le fibre davate. Il cilindrasse sottile, nel tratto che lo si può seguire non dà mai rami collatei’ali. I dendriti sono lunghi, originano per lo più con una larga base, e si dividono parecchie volte assottigliandosi a misura che si portano distalmente, per perdei’si ti’a i fasci di fibre ohe decoiTono nel ganglio. Si oidginano da vari punti della cellula ed anche da una zona limi- tata, mai con tronco comune al cilindrasse. Assenza completa di nidi pericellulari. La struttura degli elementi nervosi gangliari in questa specie è delle più semplici. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUU., SERIE li, VOI.. I.XVI, N. 2. 21 Haja clavata. Fìk. 31. Due esemplari: uno del peso di Kg. 20, e l’altro di Kg. 18. Il tessuto cromaffine ha la distribuzione consueta. Le cellule nervose simpatiche che si trovano in essa sono alquanto più piccole di quelle che si osservano nella parte centrale del ganglio, hanno una forma allungata e sono munite di numerosi pro- lungamenti non molto grossi che si ramificano riccamente. Nella parte centrale del ganglio le singole cellule sono separate da connettivo ab- bondante. In prevalenza le cellule sono piriformi; notevole è Tuniformità nella grandezza delle varie cellule. Diametro long. |u. 90, trasversale g. 70. Hanno un solo nucleo, che frequentemente risiede nel polo opposto all’origine del neurita. Qualche cellula (fig. 31) appare se- parata da uno strozzamento in due seg- menti, uno dei quali contiene il nucleo, riuniti ad un grossissimo ponte protoplasmatico. Dal confronto di queste imagini con quelle che ritroveremo nei Chelom, credo di poterle ' definire come lobulazioni del protoplasma. Trovo molte cellule con 2-4 sottili anse periferiche, sparse od anche ravvi- cinate ; si tratta evidentemente di un fenestramento che interessa una parte molto limitata della cellula. Fibre da- vate brevi che terminano nell’interno della capsula, il rigonfiamento terminale è piccolo. Si originano spesso presso il neurite. Alcune fibre davate sono più grosse, il loro rigonfiamento terminale è più cospicuo, ed in tal caso oltrepassano per breve tratto il limite della capsula. Il cilindrasse quasi sempre lo si distingue dagli altri prolungamenti; ori- gina dalla cellula con una larga base' a forma conica; ha in generale un anda- mento sinuoso, e molto frequentemente lo si può seguire sin nei fasci di fibre che decorrono longitudinalmente nel ganglio. Nel tratto che può essere seguito il ci- lindrasse non dà alcun ramo collaterale, qualche rara volta però ad una notevole distanza dalla sua origine, come nella fig. 32, dà origine a qualche dendrita glomerulare. In qualche rarissimo caso ho anche potuto osser- 22 MARCO ITl'ZORNO — NUOVK RICERCHE SULLA STRUTTUliA DEI GANGLI, ECC. varo che il cilindrasse nel suo tratto iniziale dà origine a qualche piccola fibra clavata. Infine in taluni casi il cilindrasse origina da un grosso tronco (fig. 33) che gli è comune coi dendriti, allora tutti i prolungamenti della cellula nascono da questo tronco. 1 dendriti in numero vario sono per lo più grossi e lunghi, originano dalla cellula con larga base, e si dividono parecchie volto e nel maggior numero dei casi sono extracapsu- lari ; alcune volte sono endocapsulari, ed allóra decoi’rendo tra la superficie della cellula e la superficie interna della capsula, descrivono degli archi attorno al corpo cellulai’e ed in- trecciandosi tra loro formano un nido peridendritico (fig. 34). I dendriti molto frequentemente originano da una porzione limitata della cellula, oppure riuniti in un gruppo insieme al cilindrasse (fig. 35). In alcune cellule i dendriti divergono e terminano senza contrarre rap- porti evidenti con altri elementi nervosi. In altre invece i dendriti convergono in una re- gione limitata ed i loro rami s’ intrecciano formando un glomerulo monocellulare (fig. 33). Non ho mai riscontrati glomeruli hi-, pluricellulari. Attorno ad un gran numero di queste cellule ho potuto mettere in evidenza dei nidi pericellulari formati da sottili fibre afferenti ; queste fibre si accostano ad uno dei prolun- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. I.XVI, N. 2 . 2‘S gamenti della cellula, lo seguono sino alla sua origine, diventano endocapsulari, e poi si avvolgono attorno al corpo cellulare descrivendo numerose spire. In alcuni casi queste fibre dopo aver oltrepassata la capsula, terminano al di sotto di essa con una estremità ingrossata di forma sferica od ovale. Di tutte queste fibre non ho potuto accertarne la provenienza. Riassumendo : in Eaja clavata si osservano cellule prevalentemente piriformi, fornite di un solo nucleo, munite di numerose fibre davate per lo più endocapsulari ; alcune cellule enestrate per la presenza di piccole finestre dovute a sottili anso ; dendriti grossi e lunghi, spesso riuniti a ciuffo, ramificati parecchie volte, talora avvolgenti la cellula per costituire un nido pericellulare ; il cilindrasse origina talora da un grosso tronco comune ai dendriti; presenza di nidi pericellulari formati da sottili fibre afferenti ; glomeriili monocellulari. MARCO l’ITZORNO — NUOVK RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. JMyl iohates ho fina. sono molto numerose. Nella sua forma più semplice il fenestra- mento è rappresentato da qualche ansa talora sottile, altre volte di aspetto protoplasmatico; quando le anse sono molto nume- rose esse si intrecciano (fìg. 37) e si anastomizzano, queste anse mancano nella zona polare; quando le anse sono molto nume- rose ed anastomizzate, la parte periferica della cellula viene ad avere una costituzione molto complessa (figg. 38 e 39). Il cilindrasse in talune cellule è sottile ed il suo tratto iniziale è a forma conica, in altri casi è invece molto grosso. I dendriti sono pochi e non si ramificano che scarsamente. Un esemplare del peso di Kg. 20. 11 tessuto cromaffine ha la consueta distribuzione. Le cellule sono sparse per una esten- sione notevolissima anche nei j-ami che partono dal ganglio, le cellule sono molto discoste Luna dall’altra e sono separate da cospicui fasci di fibre. 11 connettivo è scarso, e non esiste mai una capsula pericellulare nettamente differenziata dal con- nettivo circostante. Facendo astrazione dalle cellule nervose che risiedono nel tessuto cromaffine, nel ganglio dob- biamo distinguere due tipi principali di cellule che si differenziano per notevoli caratteri. Tij)o I. — Queste cellule hanno un diametro longitudinale di p. 97 e trasversale di p. 90 ; si tro- vano a preferenza nella parte media del ganglio e lontane dalla sostanza cromaffine. Alla superficie di molte cellule si distinguono delle profonde depressioni a contorno circolare. Numerose le fibre davate di varia lunghezza (fig. 44). Anche le cellule fenestrate Vìg. 37. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2 . Fig. 39. Fig. 42. M MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. I2(i Fig. 43. Non si osservano formazioni glomcrulari ; tuttavia in alcuni casi lio potuto osservare delle cellule die si mettevano in rapporto fra loro mediante le estremità terminali di fibre davate. Nella fig. 40 si osserva che da una cellula si diparte una grossa fibra clavata che alla sua estremità si divide in parecchi rami; i due più grossi di questi rami si adattano in due nicchie scavate nel corpo di una cellula vicina. Tipo II. — In questa varietà di cellule i dendriti sono numerosi e formano dei glomeruli ; all’incontro manca costantemente una zona fenestrata, come mancano pure le fibre davate. Fig. 44. I glomeruli possono essere monocellulari, bicellulari e pluricellulari. Nella fig. 41 è rap- presentato un glomerulo della prima varietà; due grossi dendriti originati da una estremità della cellula dopo breve tratto si ramificano riccamente ed i rami di divisione s’intrecciano fra loro. Nella fig. 42 è invece riprodotto un glomerulo bicellulaL’e. In questo i dendriti ori- ginano da due estremità opposte di due cellule vicine, le loro ramificazioni sono numero- sissime e r intreccio che esse costituiscono è grandemente complicato. I casi di glomeruli cosi isolati come si osservano nelle figure ora descritte sono piuttosto rari, poiché le cellule per lo più emettono gruppi di dendriti da vari punti della loro superficie, per cui una cel- lula coi suoi prolungamenti viene a partecipare alla formazione di parecchi glomeruli; nella MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM, E NATOK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 27 fig. 43 della cellula a partono 3 ciuffi di dendriti, due dei quali formano due glomeruli intrecciandosi con due ciuffi di dendriti che partono dalla cellula h\ quest’ ultima emette un lungo prolungamento il quale si suddivide in un terzo ciuffo di dendriti ; quest’ultimo s’intreccia coi dendriti provenienti dalla cellula c. La cellula c concori’e poi alla formazione di un alti'O glomerulo, che non fu riprodotto nella figura. Riassunto: in questa specie troviamo due tipi di cellule ben distinti : il 1° con fene- stramento, fibre davate e con dendiiti scarsi; il 2° con dendriti numerosi e ramificati, che formano molti glomeruli. Riassunto delle osservazioni sui Selacei. 1 gangli della catena simpatica si trovano in tutti i Selacei in intima connessione col sistema cromaffine, nel quale si trovano anche elementi nervosi gangliari sparsi isolatamente 0 riuniti in gruppi. Per quel che riguarda l’architettura del ganglio soltanto in Myliobates troviamo una varietà di ganglio diffuso, cioè con cellule disseminate per un tragitto non breve nei rami che partono dal ganglio; in tutte le altre specie il ganglio è nettamente delimitato, ma mentre in Torpedo ed in Raja pimctata le cellule sono per la scarsità del connettivo rav- vicinate, in Schylliorhinus, Raja clavata, nelle quali il connettivo di sostegno è abbondante, le cellule si trovano a notevole distanza l’una dall’altra. In generale si può affermare che nelle specie di piccola mole gli elementi nervosi sono ravvicinati fra loro, mentre negli animali a grande mole gli elementi nervosi dei gangli sono grandemente distanti gli uni dagli altri, e ciò sia per la maggior quantità di connettivo che entra nella costituzione del ganglio, sia per il numero maggiore di fibre che l’attraversano. Predominano le cellule piriformi. Volendo confrontare il volume di questi elementi tra le diverse specie si può compilare la seguente tabella : Selache maxima. Voi. MijUobates bovina. „ „ Raja da vaia. „ „ Mustelus laevis. „ ,. Scìiylliorhinus canicula. „ „ Raja punctata. „ „ Torpedo marmorata. „ „ 562 518 456 024 280 757 122 882 62 500 26 226 7 821 Dall’esame di essa si rileva in modo non dubbio, che la grandezza degli elementi ner- vosi gangliari è in rapporto diretto colla mole dell’animale. Nei Selacei le cellule lobate sono rare, tra le specie esaminate riscontrai solo eccezio- nalmente dei lobi in Torpedo e Raja clavata, tutte le altre specie ne erano prive. Anche le cellule con fibre davate non si riscontrano in tutte le specie; in Scìiylliorhinus, Selache, Torpedo, Raja punctata e Myliobates (cellule del II tipo) non si osservano fibre da- vate ; le trovai numerosissime in Raja clavata e Myliobates (I tipo). Non osservai mai cellule fenestrate in Schylliorhinus, Torpedo, Raja p., Mylliobates (II tipo); semplici anse vi erano in Mustelus e Raja c.; reti più complicate in Selache e Myliobates (I tipo). È mestieri osservare che mai il fenestramento interessava la zona polare. Col metodo Cajal si riesce a mettere in evidenza la struttura fibrillare delle cellule nervose dei Selacei, e le fibrille in alcune specie formano un plesso uniforme, a maglie 28 MARCO l’ITZORNO NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. allungato molto strette ; mentre in altre, come in Raja cimata (tig. 36), bisogna distin- guere due zone ; una superficiale costituita da fibrille grosse che formano una rete a maglie poligonali molto ampie; ed una profonda le di cui fibrille sono più sottili e le maglie più stretto; le fibrillo delle due zone convergono verso l’origine del cilindrasse, e si continuano in esso. La sostanza cromofila è disseminata in piccoli granuli, e questi sono più grandi, e maggiormente addensati verso la superficie del nucleo che è rivolta verso il centro delle cellule; nei Selacei adunque non esistono vere zolle tigroidi, ma questa sostanza è sempre in forma di granuli minutissimi diffusi. La grande maggioranza delle cellule è fornita di due o più nuclei. Non esiste alcun rapporto tra la grandezza delle cellule e il numero dei nuclei; cosi in Raja clavata le cellule pur avendo un notevole volume sono fornite di un solo nucleo, allo stesso modo che si osserva in Raja punctata. La capsula che circonda le singole cellule in alcune specie è nettamente differenziata dal tessuto connettivo circostante, mentre tale differenziazione non è percettibile in altre specie. Ove la capsula è ben distinta, è possibile osservare nel suo inteino numerosi nuclei. I dendriti sono talora distribuiti su tutta la superficie del corpo cellulare, ma in un gran numero di elementi i dendriti nascono tutti da una zona limitata di essa, e questa può anche corrispondere al punto dal quale sorge il cilindrasse, per cui cilindrasse e den- driti alla loro origine formano tutti insieme un ciuffo, e spesso tutti i dendriti ed anche il cilindrasse nascono con un tronco comune, che può avei’e anche uno spessore enorme ; in genere lo spessore di questo tronco è proporzionale al numero ed allo spessore dei dendriti che da esso si originano. In alcune cellule i dendriti sono divergenti, sia che nascano o no da un tronco comune, ed i loro rami di divisione terminano a distanza anche grande dalla cellula; e questa varietà di dendriti non differisce da quella delle cellule dei centri. Caratteristica del simpatico dei Selacei, e secondo le ricerche di Cajal (47) anche del simpatico dell’uomo, è la convergenza dei dendriti e dei loro rami di divisione in una zona limitatissima, ove questi rami formano un groviglio intricato intrecciandosi in parte fra loro (varietà monocellulare), in parte con 1 0 2 cellule vicine (glomeruli bi- o pluricellulari)-, talora uno stesso dendrita partecipava alla costituzione di più glomeruli; esso forniva anche più ciuffi di rami collaterali, ciascuno dei quali costituiva un glomerulo, ed infine partecipava alla formazione di un altro glomerulo coi suoi rami terminali. In tutte le specie da me studiate, fuorché in Raja punctata ed in Torpedo, ho trovato moltissimi glomeruli; ma la loro complessità era particolarmente note- vole in due specie di gran mole, in Schylliorhinus ed in Myliobates. Io non ho mai potuto di- stinguere delle anastomosi tra le fibre che costituivano i glomeruli ; pur non nascondendomi le difficoltà di potermene rendere conto, dato il fitto intreccio di fibre che s’osserva in un glomerulo ; per quanto mi fu dato osservare mi formai la convinzione che le fibre terminino liberamente nei glomeruli. ' In alcune specie di Selacei si possono col metodo Cajal mettere in evidenza attorno alle cellule dei nidi pericellulari e delle fibre spirali attorno al cilindrasse. Queste forma- zioni io le osservai in Schylliorhinus, Mustelus e Raja clavata, senza però poterne stabilire l’origine. Nelle altre specie non ne osservai, forse perchè in quei casi il metodo non era in grado di colorirle elettivamente. È degno di nota il fatto da me osservato in Mustelus e Selache, di una o due cellule che possono essere incluse in una cellula di maggior volume. Una simile disposizione non ha riscontro in nessun altro organo del sistema nervoso centrale e periferico ed allorché io l’osservai in Selache riteneva che fosse unico, però più tardi 1’ ho osservato anche in Mustehis. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM, E NATUR., SERIE II, VOL. LXYI, N. 2. 29 Nel simpatico dei Sdacei possono trovarsi cellule gemelle, io le riscontrai in Schijl- liorhinus e Selache, in tutti i casi le due cellule gemelle sono tra loro unite da un robusto ponte protoplasmatico. Le cellule nervose che si trovano nella sostanza cromaffine si distinguono da quelle della porzione principale del ganglio. In Selache abbiamo visto come esse conservino ancora in parte dei caratteri embrionali ; mentre nelle altre specie sono completamente sviluppate e si caratterizzano per avere una forma allungata, ed essere in genere forniti di numerosi prolungamenti, i quali si dividono riccamente, formando delle eleganti reti. Queste cellule nervose della sostanza cromaffine non presentano nè fenestramento, nè fibre davate, man- cano di nidi pericellulari, ed i loro dendriti non costituiscono mai glomeruli. Dal confronto fra la struttura dei gangli delle varie specie, rileviamo che quelle di gran mole {Schylliorhinus, Selache, Myliobates, Raja clavata) sono caratterizzate da cellule non solo più grandi, ma di struttura di gran lunga più complessa ; in Torpedo, Raja punctata le cel- lule non hanno fibre davate, nè fenestramento, nè glomeruli, e la loro costituzione è quasi uniforme. T eleostei. Cenni bibliografici. CuviER (14) è il primo che ebbe ad osservare il sistema nervoso simpatico dei Teleostei e lo descrive come due filamenti nervosi, senza gangli apparenti, che decorrono ai lati della colonna vertebrale; Carus (9) fu il primo che osservò dei gangli nella porzione cefalica. Stannius (59) ebbe il merito di eseguire una ricerca relativamente completa dei Teleostei-, e più tardi Chevrkl (10), descrivendo il simpatico in numerosissime specie, confermava molte delle osservazioni di Stannius, e riportando fatti nuovi allargava ancora le nostre conoscenze sulla morfologia di questo organo. Dalle ricerche di Chevrel risulta che il simpatico dei Teleostei rappresenta un doppio cordone che si estende dal trigemino sino aH’estremità posteriore del canale emale. In esso si distinguono tre porzioni: la cefalica, la toracica e la caudale. Nella porzione cefalica si osservano cinque gangli : il primo è collocato sotto il ganglio di Gasser, il secondo sotto il nervo facciale, il terzo sotto il nervo glosso-faringeo, il quarto corrisponde al pneumogastrico, il quinto all’ipoglosso. Questi gangli sono uniti ai rispettivi nervi da una o più radici. La porzione toracica risulta costituita da due cordoni che restano distinti in tutta l’estensione della cavità, inviandosi però delle anastomosi, oppure i due cordoni si riuniscono formando un cordone unico. Nell’un caso e nell’altro a ciascun nervo rachidico corrisponde un ganglio più 0 meno visibile. La tei’za porzione corrisponde al canale emale, ed i due cordoni sono sempre distinti. La struttura di questi gangli che costituiscono la catena simpatica dei Teleostei, non fu oggetto di studi che in questi ultimi tempi, e tutta la letteratura si riduce ai brevi cenni che ci danno Chevrel (10), Nemiloff (38), Levi (30), ed al lavoro alquanto esteso di Huber (21). Chevrel, esaminando questi gangli a debole ingrandimento, osservò che in alcune specie hanno un aspetto moriforme dovuto alla grandezza delle cellule che li costituiscono, mentre in altre specie il loro aspetto è quello di una massa omogenea. Afferma che l’esame istolo- gico rivelerebbe nella struttura dei gangli simpatici dei Teleostei delle differenze profonde tra le diverse specie ; però egli non estende il suo esame oltre quelli di Labrax Iwpus, e di 30 MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. questi si limita a far notare che lo cellule nervose simpatiche hanno una grandezza varia- bile compresa tra i 0 ed i 35 p., che esse sono unipolari, che ciascuna non possiede che un nucleo. Nemiloff, impiegando il metodo al bleu di metilene, osservò che nei gangli del cordone simpatico dei Teleostei le cellule sono piccolo e gli elementi multipolari sono in prevalenza. Tra questi si possono distinguere cellule che posseggono dendriti brevi, addensati e gran- demente divisi e cellule con prolungamenti forniti di ispessimenti. Nemiloff fa inoltre osser- vare che le cellule non sono esclusivamente addensate nel ganglio, ma se ne trovano in numero rilevante nei rami comunicanti ed anche nei rami efferenti. Levi si occupò incidentalmente della struttura delle cellule nervose-simpatiche dell’Or- tìuKjoriscus mola. Egli osservò che le cellule hanno un volume abbastanza uniforme, che sono prive di capsula, che sono fornite di un solo neurita, e di un gran numero di prolungamenti lunghi e sottili, o riuniti a ciuffo in un punto o distribuiti uniformemente sulla superficie della cellula; questi dendriti si dividono in due o tre rami e finiscono con terminazioni libere. Alcune di queste cellule sono fenestrate. Levi nelle sue ricerche impiegò il metodo fotografico di Cajal. Huber studiò col metodo Ehrlicii i gangli del cordone simpatico di Ambloplites rupestris, Micropterus dolomicus, Perca flavescens. Le cellule simpatiche sono rivestite da una capsula, sulla faccia interna della quale si trovano molti elementi che Huber definisce di natura nevroglica. Il cilindrasse origina dalla cellula con una parte iniziale conica, ed Huber non potè accertarsi se a distanza dalla cellula esso si rivesta o no di una guaina di mielina. I dendriti variano da 4 a 6, sono scarsamente ramificati. 11 ganglio è attraversato da un gran numero di fibre midollate. Di queste alcune passano indivise attraverso il ganglio senza dare alcuna ramificazione, altre invece emettono dei rami collaterali che vanno a costituire delle reti endocapsulari più o meno complicate. Le fibre midollate che formano questi plessi pericellulari potevano essere seguite fino ad alcune radici che pervenivano al ganglio, però non riusci a stabilire la loro origine reale. NeH’interno del ganglio osservò anche delle set- tili fibre ainieliniche e ritiene che esse non siano altro che i prolungamenti cilindrassili delle cellule nervose del ganglio, senza poter tuttavia rintracciare l’origine di una fibra non midollata da una cellula nervosa gangliare. Le altre pubblicazioni sulla struttura del simpatico dei Teleostei (di R. Monti (37), di Sakuffef (55)) riguardano esclusivamente i plessi e le espansioni simpatiche neH’intestino e non i gangli. RICERCHE PERSONALI Anguilla vulgarls. Un esemplare lungo centimetri 90. I gangli presi, in esame sono quelli toracici; hanno forma sferica; le cellule sono piri- formi; circondate da una capsula grossa e l'icca di nuclei. Ciascuna cellula gangliare possiede da uno a quattro nuclei, di eguale grandezza, spesso tra loro molto ravvicinati. I nuclei possono fare sporgenza sulla superficie della cellula, ciascun nucleo è fornito di un nucleolo. La grandezza media delle cellule è p. 56 X P- 20. Molte cellule di questa specie sono monopolari, altre bipolari e multipolari. Nelle cel- lule multipolari riesce facilissimo distinguere il cilindrasse tra i diversi prolungamenti della cellula ; ma in alcune cellule bipolari i due prolungamenti presentano identici caratteri mor- fologici, per cui riesce impossibile distinguere quale sia il dendrita e quale il cilindrasse. MEMOIIIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 31 Il cilindrasse in alcune cellule è sottile sin dal suo inizio; in altre tozzo, origina dalla cellula con una larga base conica, e va gradatamente assottigliandosi a misura che si allon- tana dalla cellula, dopoché da esso si sono separati alcuni sottili dendriti. I dendriti che chiameremo liberi, in numero variabile, sono brevi , si dividono tutt’ al più in due rami , e dopo aver attraversato la capsula, terminano nel connettivo in- terstiziale. Originano dal corpo cellulare da qualsiasi punto della sua superficie, ma più frequentemente dal polo dal quale origina il cilindrasse. Oltreché dal corpo cellulare, come ho già detto, possono originarsi anche dal cilindrasse ad una distanza variabile dalla cellula. I dendriti glomerulari sono robusti e dopo breve tratto si dividono in molti rami sottili, che divengono subito tor- tuosi, s’intrecciano fra loro e costituiscono un tipico glo- merulo. Nella fig. 45 é raffigurato un glomei’ulo al quale partecipano i dendriti provenienti da due cellule distinte, e questo é il caso più frequente in Anguilla. Attorno a molte di queste cellule ho potuto osser- vare eleganti reti pericellulari, formate da fibre di vario spessore, che attraversata la capsula si dividono e suddi- vidono tra questa e la superficie della cellula. Al disotto della capsula in nicchie scavate sulla .superficie del proto- plasma, ho talora osservato delle fibre con clava termi- nale, delle quali non mi fu possibile rintracciare l’origine. Si trovano talora in questa specie due cellule riunite da un robusto e lungo ponte protoplasmatico (cellule gemelle). Riassunto: Cellule con 1-4 nuclei; dendriti liberi brevi e poco ramificati. Glomeruli for- mati dal concorso dei ciuffi dendritici di due cellule distinte. Xiphias (fladitis. Due esemplari, ciascuno del peso approssimativo di Kg. 90. I gangli presi in esame erano i toracici. Il ganglio ha forma ovoidale, le cellule sono per lo più addensate; però esse non si arrestano al ganglio, ma si continuano anche nei cordoni intermediari. Per rispetto alla grandezza queste cellule possono essere distinte in grandi e piccole: le grandi misurano in media p. 50 X ù- 36 ; le piccole p. 30 X P- 22. Sono per lo più piriformi ed hanno tutte un unico nucleo per lo più eccentrico; ciascuna é cir- condata da una capsula, priva di nuclei, non troppo bene differenziata dal connettivo circo- .stante. L’estremità della cellula assottigliata si continua in un neurite che non dà collate- rali (fig 46). I dendriti in numero variabile sono sparsi sulla superficie della cellula; per lo più sottilissimi sin dal loro inizio, altre volte tozzi ed a forma conica alla loro origine ; si divi- dono poco, 1-2 volte tutt’al più, oltrepassano sempre la capsula per terminare a distanza anche notevole. In questa specie non mancano le cellule lobate, i lobi sono sempre più piccoli della parte principale che circonda il nucleo. 32 MAKCO PITZOHNO — NUOVE KICEKCHE SUEEA STRUTTURA DEI GANGU, ECC. Si trovano anche cellule con fibre davate extracapsulari^ in numero di 2-3, che però non oltrepassano di molto i limiti della capsula. Si osserva puro qualche cellula fenestrata con piccole finestre periferiche. Fig. 46. Oltre alle più cospicue fibre nervose che attraversano il ganglio, una parte delle quali è certamente costituita da cilindrassi delle cellule del ganglio, ve ne sono altre molto più sottili, che sono frammiste alle altre e si dividono ripetutamente; come queste fibre terminino è difficile sta- bilire, ma in qualche caso ho visto alcune di queste fibre sottili circon- dare la capsula della cellula gangliare. Due esemplari, l’uno del peso di grammi 800, l’altro di grammi 600. Nei gangli di Trigla le cellule sono compatte e si trovano raccolte in un mantello periferico ; però qualche cellula sparsa si trova anche nel fascio di fibre che è riunito nella parte assile del ganglio e che si con-tinua nel cordone intermediario, il quale collega fra loro i vari gangli. Queste cellule sono tutte rivestite da una spessa capsula ben distinta dal connettivo circostante, sulla sua superfìcie interna si trovano numerosi nuclei; la grandezza di queste Trigla corax. f MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, "VOL. LXVI, N. 2 . 33 cellule è quasi uniforme, ed hanno un diametro medio longitudinale di g. 18 e trasversale di g. 10. Esse sono nella maggioranza piriformi, se ne trova qualcuna stellata, per lo più con unico nucleo. Il cilindrasse è voluminoso ed è facilmente riconoscibile, ha un decorso sinuoso. I den- driti, in numero variabile, sono per lo più sottili, molto lunghi, si dividono parecchie volte ed i loro rami di divisione si confondono talora tra le fibre che enti’ano nella costituzione di un fascio. Cilindrasse e dendriti possono talora nascere da un tronco comune che ori- gina dalla parte più assottigliata della cellula e che si continua in esse senza linea netta di demarcazione (fig. 47). Sottili fibre amieliniche, in numero spesso rilevante, vanno frequentemente a costituire dei nidi pericellulari, i quali sono sempre endocapsulari. Come si vede, la struttura dei gangli simpatici in questa specie è molto semplice es- sendo costituiti da cellule prive di lobi e di fibre davate, mancando inoltre di cellule fene- strate, e di formazioni glomerulari. \ Mugi cephalus. Un esemplare del peso di grammi UGO. Le cellule nervose hanno un volume uniforme, e presentano un diametro trasversale di g. 20. Sono tutte improntate sullo stesso tipo, la loro forma è globosa e sono tutte multi- polari (fig. 48). Non si osservano nè fenestramento, nè fibre davate. N 34 MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. Il cilindrasse si distingue facilmente da tutti gli altri prolungamenti, è molto più cospicuo dei dendriti (fig. 48), origina dal corpo cellulare con un tratto iniziale leggermente conico, ha decorso rettilineo e lo si segue facilmente per tratti molto lunghi, senza dare rami col- laterali 0 subire alcuna divisione. I dendriti sono molto sottili e molto lunghi, sono uniformemente distribuiti su tutta la superticie del corpo cellulare; nel loro decorso non subiscono alcuna ramificazione. Non è percettibile una vera capsula pericellulare. Orthaf/orisciis mol a. Un esemplare di piccola mole. — Il Levi (30), avendo avuto dei dubbi sulla vera natura di alcune cellule multipolari che egli ebbe ad osservare nei gangli cerebro-spinali di questa specie, volle confrontare queste cellule con quelle dei gangli della catena simpatica, al fine di stabilire delle differenze che eventualmente potevano esistere tra i due gangli. Egli ne dà la seguente descrizione : “ I gangli simpatici hanno cellule di volume ab- bastanza uniforme ; ne esistono bensì di piccole, ma in scarso numero. Tutte le cellule si trovano a note- vole distanza Luna dall’altra, e non sono mai circon- date da una capsula, ma sono innicchiate in mezzo al connettivo interstiziale; quest’ultimo è attraver- sato dai prolungamenti protoplasmatici delle cellule e dai fascetti dei neuriti provenienti, almeno in parte, dalle cellule del ganglio. Il carattere differenziale che prima d’ogni altro colpisce, confrontando tali organi coi ganglietti a cellule multipolari, è la grande uni- formità nella costituzione delle varie cellule. “ Esse possiedono tutte, senza eccezione, un solo grosso neurite, il quale ha nel suo tratto iniziale un aspetto protoplasmatico e si assottiglia più oltre, ed un grandissimo numero di prolungamenti lunghi e sottili, talora distribuiti abbastanza uniformemente su tutta la superficie cellulare; non di rado i più lunghi s’impiantano a ciuffo sopra una zona limitata od anche con un grosso tronco comune d’aspetto proto- plasmatico. Il loro calibro è uniforme in tutta la lun- ghezza loro, assottigliandosi un poco soltanto poco dopo l’origine ed all’ estremità distale. Hanno tutti un decorso sinuoso ed anche questo rappresenta un carattere differenziale importante di fronte alle cel- lule multipolari cerebro-spinali, ove le appendici sono sempre rettilinee. Si dividono in 2-3 rami, che terminano liberamente intrecciandosi con quelli di elementi vicini, nonostante la grande distanza che separa le varie cellule. “ I prolungamenti più voluminosi dànno molte collaterali ad angolo retto parallele alla superficie della cellula; altri rami si dividono e suddividono più volte. Alcune cellule erano fenestrate MEMOKIK - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. l^XVI, N. 2. 35 Per gentilezza del Prof. Levi, io potei esaminare i suoi preparati, ed a quanto egli ebbe a dire posso aggiungere quanto segue. Le piccole cellule misurano in inedia p. 23 X d. 15, si trovano sparse nel ganglio, fram- miste alle cellule grandi; sono piriformi, il loro cilindrasse origina con un tratto iniziale di Fig. 50. Fig. 51. forma conica, alcune mandano 1-2 dendriti, talora ramificati; il nucleo sferico è per lo più situato al polo opposto dal quale origina il cilindrasse. Le cellule grandi misurano in media p. 85 X 60; hanno un solo nucleo; in alcune cellule si osservano le fibrille disposte a vortice, come ebbe a descrivere Levi nelle cellule dei gangli cerebro-spinali della stessa specie. Molte fra queste cellule sono fenestrate. Nella fig. 50 ho riprodotta la sezione trasver- sale di una cellula nella quale la zona centrale ove risiede il nucleo ha un aspetto uni- forme, mentre la zona periferica molto estesa, fenestrata, risulta costituita da più serie di arcate di spessore non uniforme, molte delle quali concentriche alla zona centrale, ed unita a queste da trabecole aventi gli stessi caratteri. Dalle arcate più esterne sorgono dei sottili filamenti che si portano alla parte più periferica della zona fenestrata. Nella fig. 51 è rap- presentata una cellula nella quale l’intero corpo cellulare è percorso da un notevole numero di ampi canali che s’intersecano e si anastomizzano tra loro, talché la cellula assume un aspetto spugnoso. Questi che io ho riprodotto sono i tipi più salienti di cellule fenestrate dei gangli simpatici di Orthagoriscus, e sarebbe troppo lungo descrivere tutte quelle altre forme che si potrebbero distinguere per l’estensione più o meno grande della zona fene- strata, per lo spessore delle arcate, per l’ampiezza dei canali e delle trabecole. È mestieri osservare come dalla parte fenestrata qualche volta si possano originare dei dendriti. Il cilindrasse di queste cellule origina con una parte conica d’aspetto protoplasmatico MARCO PITZOKNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. m (tìg. 49): ha nel suo primo tratto un andamento sinuoso, e soltanto di rado dà origine a qualche sottile dendrita in corrispondenza del suo tratto iniziale. Sebbene attorno alle cellule simpatiche di questa specie non abbia osservato dei nidi pericellulari, pure non escludo in modo assoluto che non ne esistano: ho visto talvolta delle fibre sottili volgere ad arco attorno alle cellule, decoirendo vicinissime ai corpi cellulari, però dopo un tratto più o meno lungo queste fibre scomparivano. Che queste fibre non fossero impregnate compieta- mente, o che i nidi pericellulari real- mente manchino, io non lo saprei in- dicare con certezza. In questa specie mancano nel sim- patico le cellule gemelle, che pure Levi ebbe ad osservare nei gangli cerebro- spinali di questa specie. Caratteristiche delle cellule gan- gliari simpatiche di Orthagoriscus: corpo piriforme, cilindrasse di forma conica nel suo tratto iniziale , numerosi den- driti; cellule con fenestramento più o meno esteso, più o meno completo ; as- senza di una vera capsula pericellulare. Ho trattato col metodo Cajal i gangli simpatici di parecchi esemplari Fig. 52. grandi e piccoli di questa specie, ma non riuscii mai ad ottenere preparati soddisfacenti. Ciononostante lùuscii a mettere in evidenza l’esistenza in tutte le cellule di numerosi prolungamenti protoplasmatici (fig. 52). Se però esistono cellule fenestrate o lobate non saprei affermarlo, data la manchevolezza dei miei preparati. Thynnus vulgaris. Lophius piscatorius. Un esemplare di Kg. 8 di peso. La catena simpatica si presenta sotto forma di un nastro quasi omogeneo in tutta la sua estensione, poiché i gangli non costituiscono dei notevoli ingrossamenti. Ciascun ganglio presenta una parte . centrale nella quale sono in prevalenza le fibre nervose, mentre gli ele- menti cellulari si trovano a preferenza addensati nella parte periferica: non mancano cellule isolate 0 riunite in piccoli ammassi nei cordoni intermediari e nei rami comunicanti. Le cellule che costituiscono i gangli non hanno un volume uniforme, ma variano gran- demente ; se ne trovano di grandi e di piccole. Le cellule grandi sono piriformi o sferiche, hanno in media un volume di g. 86 X M- 50, raramente raggiungono un volume di g. 100 X 80. Il nucleo è unico, spesso reniforme. La maggioranza delle cellule è fornita di una capsula spessa, ricca di nuclei. Molte cellule sono percorse da canali, i quali fanno capo alla superficie. In corrispon- ME.MOUIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOI,. LXVI, N. 2 . 37 (lenza della zona polare talora essi sono particolarmente numerosi ed allora quella zona appare fenestrata (fig. 54). La superficie della cellula non è sempre regolare per la presenza di fibre davate e più spesso di anse. Le fibre più brevi, le quali terminano sotto la capsula, hanno un peduncolo sottile e l’estremità ingrossata; quelle invece che oltrepassano la capsula sono più spesse e lievemente rigonfie all’estremità (fig. 53). Le anse hanno vario spessore; quelle sottili si alternaiu} con altre di aspetto proto- plasmatico (fig. 53). Talora sono scarse, altre volte tutta la porzione marginale della cellula appare sforacchiata. Nelle cellule multipolari i prolungamenti in numero variabile, possono essere uniforme- mente distribuiti sulla superficie della cellula, ma talora anche riuniti in una zona limitata di essa. Di questi prolungamenti, uno rappresenta il cilindrasse, gli altri sono dei dendriti. Fig. 53. Fig. 54. Questi sono lunghi, si ramificano, si assottigliano a misura che si portano distalmente e terminano con estremità assottigliata fra i fasci di fibre che percorrono il ganglio. Spesso i dendriti hanno origine comune al cilindrasse. Attorno alle cellule grandi si osservano talora dei nidi pericellulari endocapsulari e costituiti da sottili fibre, alcune delle quali prima di raggiungere la cellula accompagnano il cilindrasse decorrendo parallelamente ad esso; altre raggiungono la cellula perforando la capsula in altri punti. Tutte queste fibre, raggiunta la cellula, si avvolgono attorno ad essa senz’ordine determinato, costituendo un canestro a maglie abbastanza piccole. Alcune di queste fibre si ramificano dopo aver attraversata la capsula. Le cellule piccole sono per la maggior parte piriformi, molte sono unipolari, ed altre presentano dei dendriti, misurano in media p.50Xù-25. Queste cellule non presentano nè fenestramento, nè canali, nè fibre davate; intorno ad esse non ho riscontrato nidi peri- cellulari. Riassumendo; in questa specie si osservano cellule grandi e piccole; le grandi possono presentare anse, fibre davate, nidi cellulari ; i canali possono anche interessare la zona polare. 38 M.VKCO l’ITZOliNO — NUOVE UICEliCHE SULLA STltUTTDKA DEI OANGLI, ECO. Riassunto delle osservazioni sui Teleostei. Nei Teleostei i gangli simpatici sono attraversati da una grande quantità di fibre nervose, le quali possono riunirsi in fasci più o meno grossi, decorrendo longitudinalmente nella parte centrale del ganglio. Gli elementi nervosi taloi*a sono grandemente addensati, come in Trigla e Magi ; in altri casi invece, come in Orthagoriscus, si trovano a notevole distanza fra loro per la grande quantità di tessuto connettivo che si trova interposto. Si può così affermare che nelle specie di grande mole gli elementi cellulari del simpatico si trovano a grande distanza gli uni dagli altri, mentre nelle specie di piccola mole esse sono invece molto più addensati. In alcune specie le cellule simpatiche hanno una grandezza uniforme, in altre se ne possono distinguere di grandi e di piccole. Le variazioni di volume delle cellule nelle singole specie è anche nei Teleostei in l’apporto alla mole dell’animale, come si può rilevare dal seguente prospetto : Orthagoriscus mola. Voi. Thynnus vulgaris. „ Xiphiiis gladius. „ Lophius piscatorius. „ Anguilla vulgaris. „ Magi cephalus. „ Trigla corax. „ 217 321 , 63 500 38 137 „ 32 000 „ 26 348 7 812 5 304 Sebbene nei Teleostei prevalgano le specie le cui cellule simpatiche presentano un solo nucleo — Xiphias, Mugi, Orthagoriscus, Thgnnus, Lophius — se ne hanno altre, come in Trigla, che ne presentano 1-2, e, come in Anguilla, 1-4. Le cellule con lobi furono da me trovate in un solo Teleosteo, in Xiphias, ed anche in questa specie erano piccoli e rari; le fibre davate soltanto in qualche cellula ài Lophius ed anche in questa specie erano rare. Cellule fenestrate a rete anche molto estesa si trovano in Orthagoriscus mola, e si noti che si trattava di un esemplare giovane, ove l’apparechio fenestrato era presumibilmente poco sviluppato; in Lophius è fenestrata molto spesso prevalentemente la zona polare; in altre specie in fine troviamo soltanto piccole anse alla superficie della cellula. Anche nei Teleostei i dendriti talora nascono da vari punti della cellula, altre volte da una zona limitata. Sono quasi sempre divergenti, e soltanto in Anguilla convergono in un glomerulo il quale s’intreccia con una formazione analoga di uua cellula vicina. I dendriti possono talora originare da un tronco comune col cilindrasse. Talora in Anguilla, Trigla, Lophius riscontrai degli eleganti nidi pericellulari: sottili fibre nervose attraversano la capsula o più spesso arrivano in contatto col corpo cellulare seguendo il cilindrasse, si dividono dal disotto di questa e circondano il corpo cellulare. In Anguilla notai la presenza di cellule gemelle. Non tutte le specie sono circondate da una capsula nettamente distinta: in Orthago- riscus le cellule sono semplicemente innicchiate nel connettivo ; in altre specie, come in Lophius, Anguilla, la capsula, oltre ad essere ben differenziata, è molto spessa e ricca di nume- rosi nuclei. MEMORIE - CEASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOI,. I.XVI, N. 2. 39 A.INF'IBI Cenni bibliografici. Negli Anfibi Anurì, i soli studiati finora, il simpatico è costituito da due catene simme- triche di gangli situate ai lati della colonna vertebrale; i vari gangli di ciascuna catena sono fra loro riuniti dai cordoni intermediari. La loro struttura fu ampiamente studiata dagli antichi ricercatori. Arnold (4) nei gangli simpatici della rana trovò che le cellule come le fibre sono circon- date da un neurilemma di vario spessore; al neurilemma è sovrapposto un rivestimento connettivo corrispondente al perinervio. Da Arnold e Beale (7) contemporaneamente fu dimostrata la costante esistenza di una fibra spirale che circonda il cilindra.sse per continuarsi nel corpo cellulare, ove forma una rete in connessione col nucleo e col nucleolo — così almeno ritenevano quegli Autori. CouRVOisiER (12) ritiene che il cilindrasse principi o termini nel nucleo; il nucleolo è connesso con una rete, da questa origina la fibra spirale. Ranvier (51) col metodo all’acido osmico trovò che le cellule nervose simpatiche degli Anfibi sono unipolari ; hanno contorni ben delimitati e sono rivestite da una capsula al disotto della quale si distinguono dei nuclei; sono fornite di un prolungamento robusto (fibre droite) e di una fibra spirale sottile che dopo aver avvolto a spira il prolungamento robusto sembra perdersi sulla cellula. Ogni cellula simpatica è fornita di un nucleo. ScHWALBE (56) trova che la maggioranza delle cellule dei gangli simpatici della rana sono unipolari, mentre le rimanenti sarebbero bipolari. Considera la fibra spirale come un prolungamento della cellula che si avvolge a spira attorno all’altro ; questo lo considera come un dendrita. Arndt (1) ammette la natura nervosa della fibra spirale, dubita però che in alcuni casi, ispessimenti della capsula possano essere ritenuti come fibra spirale. Key e Retzius (22) dimostrano la natura nervosa della fibra spirale, avendola vista ad una certa distanza ricoprirsi di una guaina di mielina. Ehrlich (18) per il primo dimostrò col suo metodo dell’iniezione vitale, che la rete formata dalla fibra spirale non si continua col corpo cellulare, bensì da essa si dipartono sottili fibrille le quali terminano in contatto col citoplasma, con piccoli rigonfiamenti. Con- ferma inoltre l’osservazione di Key e Retzius che la fibra spirale ad una certa distanza dalla cellula si riveste di mielina e da ciò è indotto a ritenerla di natura cerebro-spinale. Aronson (3) ed Arnstein (2) confermano le osservazioni di Ehrlich. Retzius (51) alle osservazioni di Ehrlich aggiunge che la rete pericellulare è endo- capsulare, e che la fibra spirale diviene mielinica in un punto più o meno distante dalla cellula; essa molto spesso si divide a T. Considera la fibra spirale di origine cerebro-spinale. Feist (19), contrariamente all’affermazione di Ehrlich e di Retzius, considera la fibra spirale come il cilindrasse, ed il prolungamento da questa avvolto come un dendrita. Smirnow (57) conferma le osservazioni di Ehrlich, aggiunge però che le fibre spirali in parte si distribuiscono al tessuto muscolare, in parte sono destinate a formare anasto- mosi con altre cellule. Huber (21) si servì egli pure del metodo di Ehrlich per lo studio del simpatico della Rana catesbiana ; la cellula simpatica sai’ebbe unipolare e soltanto eccezionalmente si riscon- to MAliCO PITZOKNO — NUOVE UICEUCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECO. trailo cellule multipolari nelle pareti del canale intestinale. Nei grossi gangli quest’unico prolungamento, contrariamente aU’affermazione di Smirnow, non subisce alcuna divisione in vicinanza della cellula. Tuttavia Hunicu, in preparazione di faringe e di esofago, potè seguire uno di questi prolungamenti lino neirinterno della mucosa, ove si divideva in due rami cdie si distribuivano ad una ghiandola. In preparazioni di vescica potè osservare le ramificazioni di questi cilindrassi distribuirsi ai muscoli lisci. 11 corpo cellulare di ciascuna cellula è cir- condato da un plesso pericellulare intracapsulare a fibrille liscie o varicose; esse si conti- nuano in una libra spirale che circonda il tratto iniziale del cilindrasse. Queste fibre sarebbero di origine cerebro-spinale. Warfwing (64) si occupa dello studio delle cellule simpatiche degli Anfibi col metodo Ca.tal ; le sue osservazioni non ci rivelano alcun nuovo dato e sono una conferma di una parte dei risultati di Huber. Nella Rana tempornria le cellule sono rotonde od ovali. L’endo- plasma è occupato da una massa filamentosa che si continua nelle fibrille del cilindrasse. Attorno al corpo cellulare si presenta un nido pericellulare costituito da divisioni di una fibra spirale che circonda l’unico prolungamento della cellula, cioè il cilindrasse; le ultime divisioni di questa fibra terminano a mo’ di anello. Tra nido pericellulare e massa filamen- tosa dell’endoplasma non esisto, contrariamente all’asserzione di Arnold, alcun rapporto di continuità. RICERCHE PERSONALI Le mie osservazioni sugli Anfibi furono limitate al Bufo viilgaris, nella quale specie ho confermato completamente i risultati antecedenti. Le cellule hanno un diametro di p. 25; sono per lo più mononucleate, di rado con due nuclei. La fibra spirale che avvolge il cilindrasse è a forma di imbuto con base rivolta verso la cellula; nella parte distale della fibra, cioè verso l’apice deH’imbuto, le spire divengono più lasse. A livello del corpo cellulare la fibra attraversa la capsula e forma un nido pericel- lulare a fibre liscie (mentre a Key e Retzius in preparati alla Ehrlich apparivano vari- cose). Mancano cellule fenestrate e con fibre davate. Cheioni. Cenni bibliografici. Nei Chelonì, i soli Rettili da me studiati, la catena gangliare simpatica costituisce due cordoni situati ai lati della colonna vertebrale, i di cui gangli si trovano in rapporto varia- bile con quelli spinali a seconda delle diverse specie. Nella Testudo graeca e nella T. nenio- ralis si osservano 2-3 gangli cervicali e dei gangli toracici che contraggono cogli spinali i noti rapporti che noi siamo soliti osservare nei Mammiferi. Huber (21) in Chelydra serpen- tina riscontra tre gangli cervicali ; dal g. stellatum partono due filamenti volti caudalmente, i quali si uniscono ad un ganglio che giace sul primo nervo dorsale; nei segmenti dorsali successivi si trovano piccoli gangli simpatici che riposano sui gangli spinali. Riquier (53) neWEings europea e nella Thaìnssochelgs carreta dimostrò che nel torace i gangli simpatici sono intimamente fusi coi gangli spinali dal II al VII segmento completamente e dall’ Vili al X solo per una parte. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUB., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 41 Scarsa è la letteratura che riguarda rintima struttura dei gangli simpatici dei Rettili, poiché sull’ argomento non si ha che un lavoro di Huber del 1889, una mia nota del 1910 ed un recentissimo lavoro del Riquier. Huber (21) studiò la struttura dei gangli simpatici in Chelydra serpen- tina ed Emys meleagris col metodo della colorazione vitale. Ogni cellula è fornita di un solo cilindrasse, il quale può originarsi direttamente dal corpo della cellula, oppure da un den- drita. Le cellule multipolari si trovano in tutti i gangli, le bipolari — con cilindrasse ed unico dendrita — si trovano specialmente vicino ai poli del ganglio tra le fibre afferenti ed efferenti; le unipolari sono le più grandi e si trovano a preferenza nei gangli della catena. Esse spesso presentano una depressione nel punto in cui origina l’unico prolungamento, il quale talora descrive un tragitto rettilineo e si divide in rami secondari dopo un certo tratto, altre volte descrive un giro intorno alla cellula. Talora l’unico prolungamento si divide subito in un numero di rami secondari ed in questi casi il cilindrasse può originare direttamente da questo tronco comune, oppure originarsi da uno dei suoi rami collaterali. Il corpo cellulare è circondato da una capsula nucleata che sembra continuarsi col nevrilemma del cilindrasse. Entro la capsula di molte cellule unipolari si trova un gran numero di nuclei che Huber ritiene di nevroglia. Numerose fibre midollate che penetrano nel ganglio per mezzo delle sue radici, percor- rono il ganglio e giungono fin sotto le capsule pericellulari ove formano dei plessi. Si distin- guono due gruppi di plessi cellulari : a) plessi cellulari semplici costituiti da una fibra che si avvolge attorno al corpo di cellule gangliari multipolari o bipolari ; b) plessi cellulari complessi che circondano il corpo cellulare di una cellula unipolare. I plessi cellulari sem- plici risultano dalla divisione e suddivisione di un cilindrasse che ha perduto la sua guaina di mielina, le quali si dispongono attorno al corpo cellulare formando un nido. Queste reti sono endocapsulari, i rami che le costituiscono sono varicosi, ed alcuni di essi possono anche terminare liberamente. La disposizione di queste reti varia grandemente. Nei plessi cellulari complessi un ramo collaterale di una fibra midollata giunta in prossimità dell’unico prolun- gamento delle cellule unipolari, descrive attorno a questo pai’ecchie spire, per dividersi poi in più rami e formare attorno al corpo cellulare una lassa rete. Talora dalla fibra principale originano delle fibre più sottili che formano una rete entro la spirale stessa. Le fibre che costituiscono i plessi pericellulari rappresentano, secondo Huber, i rami terminali di fibre cerebro-spinali. Delle fibre non midollate che attraversano il ganglio, molte rappresentano il cilindrasse delle cellule simpatiche del ganglio stesso ; altre poi penetrano nel ganglio per mezzo dei cordoni intermediari. L’A. non potè determinare la destinazione ultima di queste fibre. Nel 1910 io metteva in evidenza nei Chetoni dei glomeruli monocellulari, e la presenza di numerose cellule fornite di lobi sessili e peduncolati. Confermavo la presenza di nidi peri- cellulari e di fibre spirali attorno al cilindrasse nella T. carreta e nella Testudo graeca. Facevo notare l’intimo rapporto che due cellule possono contrarre mediante i loro lobi, o per mezzo delle ramificazioni di un grosso prolungamento che abbraccia il corpo cellulare di una cellula vicina. Recentemente Riquier (33) portò un nuovo contributo alla conoscenza della struttura dei gangli simpatici dei Chetoni, applicando il metodo Cajal ai gangli toracici di Thalasso- chelys carreta ed Emys europea. In questi gangli prevalgono le cellule del II tipo di Cajal, sebbene non manchino cellule del I e HI tipo, e rispetto alla grandezza si possono distin- guere in grandi e piccole. I dendriti di alcune cellule si addossano strettamente ad un capillare, e terminano circondandolo ad ansa od a spirale; altri prolungamenti terminano costituendo un nido dendritico sottocapsulare attorno a cellule vicine. La fenestratura costituisce in queste cellule un reperto raro, e l’apparecchio fenestrato risulta costituito da sottili fibre che for- 42 MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SUl.LA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. mano una rete molto semplice. I lobi nei gangli toracici mancano quasi completamento. Il nucleo giace per lo più alla periferia, in genei'o unico, talvolta è doppio. Ciascuna cellula è fornita di una capsula, talora duo elementi sono situati entro la stessa capsula; in un caso una capsula conteneva quattro cellule, delle quali una più grande unipolare e tre più piccole apolari. Riquier ha inoltre osservato delle cellule unite da ponti protoplasmatici, i quali possono essere uniformi in tutta la loro estensione o presentare delle finestre; in qualche caso il ponte anastornotico invece di esser unico era doppio. RICERCHE PERSONALI JEnif/s orbicularis. Due esemplari del peso approssimativo di grammi 600. I ganglietti del simpatico cervicale hanno la grandezza di un grano di miglio, e sono circondati da una spessa capsula. Le fibre nervose del ganglio sono raccolte in fascetti di scarso spessore, sparsi con poca regolarità. Fig. 55. Fig. 56. Le cellule hanno una grandezza uniforme ed hanno un diametro trasversale di q. 20. Esse sono in maggioranza unipolari, almeno apparentemente; ma in realtà, come vedremo, è quasi costante la presenza di dendriti, i quali partono dal tratto prossimale del cilindrasse 0 meglio da un tronco comune col cilindrasse. Alcune cellule sono piriformi ed il robusto cilindrasse si continua nella parte assotti- gliata della cellula, altre hanno forma sferica ed il cilindrasse s’impianta in una parte depressa del corpo cellulare. Talora questo prolungamento descrive un giro quasi completo intorno alla cellula. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 43 La forma di alcune fra le cellule di questa specie è molto irregolare per 1’esistenza di lobulazioni di volume talora quasi uguale a quello della parte principale della cellula e che sono congiunte ad essa da un grossissimo ponte protoplasmatico; qualche piccolo lobo può anche originarsi con tronco comune al cilindrasse (Fig. 56). I dendriti si originano, come ho detto, quasi costantemente dalla parte prossimale del cilindrasse, la quale acquista per questo fatto un notevolissimo spessore. Nella fig. 56 si può considerare la parte della cellula che ha un diametro minore, come il tronco comune a tutti i dendriti ed al cilindrasse; dei 3 dendriti, 2 si seguono per un certo tratto e poi si sfioccano in un pennello di fibrille sottili. In qualche rara cellula 1 o 2 dendriti si possono staccare dal corpo cellulare in prossimità immediata del cilindrasse. Eccezionalmente ho visto una fibra sottile che forma una spirale piuttosto larga intorno al cilindrasse; essa avvolge anche una parte del corpo cellulare (Fig. 55). Riassunto: qualche cellula con grosse lobulazioni. I dendriti nascono quasi sempre da un tronco comune al cilindrasse, e si dividono distalmente in un ciuffo di fibrille. Testudo graeca. Quattro esemplari del peso tra 750 e 900 grammi. L’architettura del ganglio è simile a quella della specie precedente. Le cellule hanno un diametro trasversale di g. 27, e sono fornite di un solo nucleo centrale o spostato verso la periferia; ciascun corpo cellulare è circondato da una spessa capsula. Fig. 57. Fig. 58. Gli elementi con lobi nei gangli cervicali rappresentano approssimativamente i del numero totale. Il numero e la disposizione dei lobi sono variabilissimi; possono essere molto numerosi, e non è raro il caso che il cilindrasse si origini da un lobo. In una cellula si possono trovare da 1 a 8 lobi (Fig. 57) ; allorquando una cellula ha più lobi, questi possono nascere senz’ordine da più punti della sua superficie, non di rado 44 MAUCO PITZOliNO — NUOVK KICERCHE SDLLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. più lobi originano in una parte limitata del corpo cellulare, sia indipendenti, sia con un tronco comune. Per quanto riguarda la grandezza dei lobi, essi possono essere più piccoli della parte principale della cellula nella quale risiede il nucleo, ma possono essere dello stesso volume ed anche più grandi di questa. Essi possono assumere le forme più svariate, e riuscirebbe impossibile descriverle tutte particolarmente, per cui ritengo utile riunirle in parecchi gruppi. Fig. 59. Fig. 60. Una prima distinzione che si può fare di questi lobi è di lobi sessili e di lobi peduncolati. I primi sono delle' masse di protoplasma che si trovano unite alla parte principale della cellula ove risiede il nucleo, mediante ponti protoplasmatici spesso brevissimi e tanto larghi che il limite tra la massa perinucleare della cellula ed il lobo è segnato da una semplice incisura (Fig. 58). I lobi peduncolati differiscono fra loro per la varia lunghezza e spessore del peduncolo, ed anche in una stessa cellula si ritrovano vari tipi di lobi (Fig. 64). I lobi a peduncolo sottile filiforme corrispondono a quelle formazioni che nei Mammiferi furono designate come fibre davate. Esistono poi dei lobi a forma irregolarissima che non po- trebbero venir descritti. Per la presenza dei lobi, le cellule lobate assumono delle forme irregolarissime. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVl, N. 2 . 45 Le cellule prive di lobi (Fig. 59) sono prevalentemente piriformi e si continuano in un robusto cilindrasse, dal tratto prossimale del quale si dipartono numerosi dendriti che possono nascere a ciuffo, oppure separatamente; talora questo unico prolungamento sin dalla sua origine si divide in due rami di eguale spessore ed allora non è possibile distinguere quale dei due rappresenti il cilindrasse. Questo robusto cilindrasse, dopo aver fornito i dendriti, si assottiglia bruscamente. Altri dendriti spesso nascono direttamente dalla cellula. I den- driti si dividono ripetutamente, ma anche da questo punto di vista riscontriamo variazioni da una cellula all’altra. I dendriti ed il cilindrasse delle cellule lobate presentano identici caratteri, solamente sul tratto prossimale del cilindrasse di questo tipo di cellula possono anche trovarsi inseriti dei lobi peduncolati (Fig. 60 e 61). In questa specie ho potuto osservare dei glomeruli monocellulari e nella Fig. 62 ne è riprodotto uno abbastanza tipico. In essa si osserva una cellula di forma sferica, nella quale da una zona limitata della sua superficie emanano due grossi prolungamenti, i quali dopo bre- vissimo decorso si dividono in parecchi rami più sottili e ravvicinati fra loro; le ramificazioni più sottili di questi prolungamenti volgono ad arco abbracciando le maggiori ; il prolunga- mento più lungo che decorre in linea retta senza subire alcuna suddivisione, rappresenta il cilindrasse. Sottili fibre volte a spirale avvolgono la parte più distale del cilindrasse rappre- sentata nella figura e poscia tutte le ramificazioni che provengono dai due grossi dendriti. -IG MAKCO PITZORNO — NUOVE KICEKCIIE SUU,A STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. In quasi tutte le cellule ho notato dei nidi pericellulari complicatissimi, costituiti da fibre sottili che circondano complessivamente in tutti i sensi il corpo cellulare ed i suoi lobi, come pure possono circondare i lobi ed i lor Fig. 64. peduncoli con volute speciali. Questi nidi sono più 0 meno complicati a seconda dei casi; le fibre che li costituiscono hanno un dia- metro uniforme, sono sempre endocapsulari, sebbene spesso si mantengano ad una certa distanza dal corpo cellulare (Figg. 63 e 64). Anche il tratto prossimale del cilindrasse e quasi sempre circondato da sottili fibre che lo avvolgono a spirale, mantenendosi ad una certa distanza da esso, circondando spesso complessivamente anche i lobi che originano da esso. In qualche caso ho potuto osservare delle fibre che decorrendo parallelamente al cilindrasse, all’interno od all’ esterno della spira (Fig. 61), vanno poi ad avvolgere con volute speciali qualche lobo che nasce dal cilindrasse. Queste fibre, raggiunta l’origine del cilindrasse, attraversano la capsula della cellula e concorrono alla formazione dei nidi pericellulari; in alcuni casi anzi mi è sem- brato che questi nidi fossero costituiti esclu- sivamente dalle fibre spirali del cilindrasse. Riassunto: origine dei dendriti dalla cel- lula 0 da un tronco comune del cilindrasse. Glomeruli monocellulari non rari. I ^/s delle cellule con lobi; fibre afferenti che avvol- gono a spira il cilindrasse per formare un nido intorno al corpo cellulare. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 47 Thalassochelys carreta. due punti opposti, due di questi lobi peduncolati, i quali volgevano entrambi con tragitto arcuato verso il polo della cellula ove era posto il nucleo, venendo colle loro estremità libere quasi a contatto, tanto da formare una specie di cappuccio verso quella estre- mità; talora uno di questi lobi è incurvato nel modo indicato verso la porzione di protoplasma che con- tiene il nucleo e l’altro in direzione opposta. 1 lobi possono essere claviformi, sferici, oppure presentarsi con forma allungata od irregolare, come nella fig. 66. È in questa specie interessante a notarsi che dai lobi, 00_ siano essi inseriti sul corpo cellulare o sul cilindrasse, possono originare dei dendriti i quali concorrono alla formazione dei nidi peridendritici, dei quali vedremo oltre (fig. 67). I dendriti si originano tanto dal tratto prossimale del cilindrasse, quanto dal corpo cel- lulare; nelle cellule sferiche si trovano uniformemente distribuiti sulla loro superficie, e sono Due esemplari del peso rispettivo di 25 e 40 Kg. Ai’chitettura del ganglio come nelle specie precedenti. Le cellule prevalentemente piriformi o sferiche, e con volume pressoché uniforme, misurano in media p. 30 X M- 20. Anche in questa specie dobbiamo distinguere nel ganglio simpatico cer- vicale cellule con lobi e cellule prive di lobi. Lo cellule con lobi costituiscono la grande maggioranza; i lobi pos- sono essere inseriti tanto sul corpo cellulare quanto sul tratto prossimale del cilindrasse. Si osservano dei lobi sessili i quali sono sempre più piccoli della parte di protoplasma perinu- cleare, e dei lobi peduncolati a pedun- colo breve aventi la forma di martello 0 di un dito pollice ripiegato ; si ri- scontrano inoltre dei lobi a lungo peduncolo. E molto caratteristica la forma che talora assumono certe cel- lule per la presenza di questi lobi. Ho visto dei casi (fig. 65), nei quali dalla massa protoplasmatica, in cui si trovava il nucleo, si originavano da f i 48 MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. rappresentati da prolungamenti di media grandezza che si ramificano scarsamente; nelle cellule piriformi ciascun dendrita può originarsi isola- tamente dal corpo cellulare, ma possono anche più den- driti avere una larga base comune, dall’apice della quale si separano a ciuffo parecchi dendriti volti tutti nella stessa direzione (fig. 68). Oltre a questi dendriti che colle loro ramificazioni si espandono nel ganglio tra gli elementi nervosi ed i fasci di fibre longi- tudinali, altri se ne riscontrano che originatisi dal corpo della cellula si avvolgono attorno Fig. 69. ad esso costituendo degli intricati nidi peridendritici. Questi dendriti (fig. 69) hanno alla loro origine una larga base, si dividono per lo più in grosse ramificazioni che decorrono tra MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXYI, N. 2. 40 la capsula pericellulare e la superficie della cellula che avvolgono circolarmente od a spirale, per costituire dei nidi peridendritici variabili in complessità, sia per il numero dei dendriti che possono parteciparvi, sia per le più o meno numerose ramificazioni che essi subiscono. Nella fig. 70 i dendriti che formano i suddetti nidi hanno una lunghezza insolita ed un calibro molto minore di quelli precedentemente descritti. Anche in questa specie frequentemente si trova un tronco di enorme grossezza comune al cilindrasse ed ai dendriti: questi si possono separare da questo tronco Timo dopo l’altro (fig. 67) od a ciuffo (fig. 70); nel primo caso il tronco si assottiglia gradatamente, nel secondo brusca- mente, e si continua nel neurite. Le cellule di questi gangli sono tutte fornite di un unico nucleo; in molte di esse le fibrille sono disposte a vortice; ciascuna è avvolta da una spessa capsula ricca V. di nuclei. Quasi tutti i cilindrassi nel loro tratto prossimale sono circondati da una o più fibre che lo avvolgono a spirale ; esse sono molto sottili, hanno un diametro uniforme, un andamento leggermente sinuoso, e le spire da esse formate sono lontane le une dalle altre, per cui si possono seguire facilmente. Queste fibre prima di avvolgersi attorno al cilindrasse, lo seguono per un breve tratto decorrendo pa- rallelamente ad esso, e dopo averlo avvolto a spirale si continuano attorno al corpo cellulare per costituire un nido pericellulare molto meno complicato di quello che abbiamo visto circondare le cellule della specie precedente. I nidi che circondano i corpi cellulari possono quindi essere co- stituiti dai dendriti che formano i nidi peridendritici e da sottili fibre affei’enti che nel maggior numero dei casi si avvolgono a spira attorno al cilindrasse (fig. 67). Interessante è il rapporto che alcune cellule contrag- gono con elementi vicini; questo rapporto è chiaramente indicato nella fig. 71. A primo aspetto ed a debole ingrandimento, allorché si esamina una di queste disposizioni si riceve l’impressione di trovarsi in presenza delle così dette cellule gemellari, ma allorché si esamina il preparato coi più forti ingrandimenti, si rileva che fra le due cellule vi é rapporto di con- 50 MAKCO PlTZOliNO — NUOVE HICEUCHE SULLA STRUTTUBA DEI GANGLI, ECC. tiguità e non di continuità; una delle due cellule presenta un lobo di forma sferica die vien ricevuto nella concavità che presenta un grosso prolungamento della cellula vicina. Un’altra modalità colla quale questi elementi possono trovarsi in rapporto tra loro, è quella che si rileva nella lig. 72, nella quale una cellula viene abbracciata dai dendriti che originano da un grosso tronco comune di una cellula vicina. Riassunto: La maggioranza delle cellule sono fornite di lobi; presenza di un tronco co- mune, spesso di enorme calibro, dal quale ori- ginano dendriti e cilindrasse; nidi peridendritici complicati; cilindrasse e corpo cellulare avvolti da libre spirali. Confrontando tra loro le diverse specie ri- sulta evidente che sussiste sempre un rapporto tra la grandezza delle cellule e la mole del- l’animale. In tutte le specie di Chelonl da me studiate molte cellule sono caratterizzate dall’ esistenza di lobi, ed anche in quelle studiate da Huber, essi esistevano, come si rileva dalle sue figure, ma quell’A. trascurò di porre nel dovuto rilievo tale carattei’istica disposizione. La loro frequenza è variabile da specie a specie: la grande maggioranza delle cellule di Thalassocheh/s e di Testudo graeca sono lobate, il numero degli elementi lobati è minore in Eniys orbicularis. In quanto al volume dei lobi esso sta in ragione diretta della loro frequenza, e perchè questa è più grande nelle specie di gran mole e per conseguenza con cellula voluminosa, vale la norma che il volume dei lobi è direttamente proporzionale al volume della cellula. In quanto al rapporto fra origine del cilindrasse e lobi, ho osservato che talora il cilin- drasse si origina da una- parte della cellula non lobata; ma spessissimo che vari lobi ed il cilindrasse costituiscono complessivamente un grossissimo tronco comune d’aspetto protopla- smatico, il quale si continua insensibilmente nel rimanente della cellula. Questo tratto co- mune può avere varia lunghezza e vario spessore, e talora, quando i lobi che nascono dal tronco comune al cilindrasse sono molto numerosi, il volume di questo tronco è di poco inferiore a quello della parte principale della cellula nella quale risiede il nucleo. Questa disposizione può essere ulteriormente complicata dal fatto che da questo tronco comune si dipartono anche i dendriti; e naturalmente un altro fattore che manifesta influenza sul volume del tronco comune è anche il calibro ed il numero dei dendriti. Riassunto delle osservazioni sui Chelonì. Lo variazioni di grandezza delle cellule dei Ch,elom che presi in esame, sono le seguenti : Thalnssochelgs carreia. Voi. q® 21 437 Testudo graeca. „ „ 8 593 lùngs orbicularis. „ „ 4 000 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUH., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 51 I dendriti possono espandersi nel ganglio e confondersi tra le fibre che lo attraversano ; oppure costituire dei gloineruli monocellulari, come pure possono costituire dei nidi periden- dritici attorno al corpo cellulare dal quale hanno origine, o a qualche altro elemento posto nelle loro immediate vicinanze. La grande maggioranza delle cellule di Testudo e di Thalassochelys ed alcune di Emys hanno il tratto prossimale del loro cilindrasse circondato da una o più fibre che lo avvol- gono in una spirale imbutiforme, i giri della quale diventano più larghi e più ravvicinati in direzione prossimale rispetto al corpo cellulare; ed allorché sul cilindrasse prende origine un lobo, la spirale avvolge anche quest’ultimo, e talora tutto il corpo cellulare è avvolto dalla parte terminale della spirale, la quale risiede al disotto della capsula ed il nido peri- cellulare formato dalla spirale si confonde col nido costituito dai dendriti della medesima cellula. Ho trovato anche dei nidi pericellulari costituiti da fibre afferenti le quali raggiunge- vano la cellula in un punto lontano dal cilindrasse. Nei gangli cervicali dei Cheloni tutte le cellule sono mononucleate ; le fibrille disposte a vortice attorno al nucleo ; la capsula avvolge tutta la cellula adattandosi alla sua forma irregolare. Nei gangli cervicali non ho mai osservato casi di fenestramento, nè glomeruli bi- e plu- ricellulari. UCCELLI Cenni bibliografici. Negli Uccelli la catena simpatica nella regione cervicale attraversa i fori intertrasver- sari delle vertebre, e nella regione dorsale gli spazi limitati dalla testa delle coste e dal- l’apofisi trasversa delle vertebre, decorrendo unitamente alle aa. vertebralis cervicis e vertebralis dorsi, quest’ultima da me messa in evidenza in questi vertebrati, alcuni anni or sono. Levi (30) dettagliatamente descrive l’intimo rapporto topografico che i gangli della catena simpatica contraggono coi gangli spinali. Ad ogni ganglio spinale corrisponde un ganglio simpatico. La distanza tra il ganglio spinale ed il rispettivo ganglio simpatico è brevissima e l’estremo prossimale del ganglio simpatico viene a trovarsi a livello delle cellule più distali del ganglio spinale; nonostante questo intimo rapporto sole poche fibre simpatiche raggiun- gono dirittamente il ganglio spinale, quasi tutte si raccolgono in un fascio, il quale rappre- senta il r. comunicante, e che si unisce al nervo periferico ; questo fascio poi si ripiega almeno in parte con tragitto ricorrente verso il ganglio spinale. In altre radici il ganglio spinale è di forma conica^ e colla sua base è impiantato sulla faccia ventrale del ganglio spinale. L’asse del ganglio simpatico è percorso da un grosso fascio di fibre che alla sua base si divide in parecchi fascetti secondari. Uno di questi si unisce alla radice motrice dirigendosi verso il midollo ; un fascetto segue la radice sensitiva ; molte altre fibre incrociano la radice motrice e sembrano dissociarsi nel ganglio spinale. A Levi però sembra più verosimile che queste ultime prendano origine da cellule spinali, e terminino nel ganglio simpatico. Un altro grosso fascio decorre lungo la faccia ventrale del ganglio spinale e si segue sin nel ramo spinale ventrale; un buon numero di queste fibre si stacca da questo fascio e si porta nel ramo spinale dorsale. Da questo intimo rapporto che contraggono i gangli spinali coi gangli simpatici, allorché si preparano questi ultimi rimangono ad essi uniti anche i gangli spinali. 52 MARCO PITZOKNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ÈCC. Il metodo al cromato d’argento permise a Cajal (45) di dimostrare con certezza in em- brioni di pollo al 14°-18" giorno di incubazione, la forma multipolare delle cellule simpa- tiche degli Uccelli', i prolungamenti sono varicosi: uno di ossi si mantiene indiviso ed ha il valore di un neurita, gli altri, i quali si ramificano, rappresentano dei dendriti. Retzius (52) confermò i risultati di Cajal, e si associò alla sua interpretazione sulla natura dendritica dei prolungamenti ramificati. Leniiossék (26) in embrioni trattati col metodo Golgi descrive cellule multipolari for- nite di 5-10 dendriti ed un cilindrasse. I dendriti sono grossi e relativamente brevi, alcuni non subiscono nessuna ramificazione. Timofeew (62) nel pollo e nel colombo osserva cellule multipolari, rivestite da una capsula ricca di nuclei. Ciascuna cellula simpatica è fornita di un solo nucleo. Huber (21) usando il metodo della colorazione vitale studiò il simpatico in un pollo di media grandezza. Egli conferma in gran parte le osservazioni degli AA. precedenti. Cosi egli trovò che le cellule simpatiche sono multipolari, con numerosi dendriti ed un cilindrasse. I dendi’iti sono brevi e non inclinati a molte ramificazioni; essi formano una rete intercalata tra i corpi cellulari. Alla formazione di questa rete, oltre i dendriti, partecipano fibre arnie- liniche e fibre midollate. Una parte delle fibre amieliniche rappresentano, secondo Huber, i cilindrassi delle cellule simpatiche del ganglio, l’altra parte giunge al ganglio dall’esterno. Le fibre midollate le vide provenire dalle radici anteriori. Queste fibre vanno coi loro rami terminali a costituire attorno alle cellule dei plessi pericellulari, i quali hanno una struttura molto semplice ; questi plessi sono intracapsulari. Recentemente Speciale (58) studiò i gangli simpatici cervicali del pollo col metodo Cajal. Osservò cellule grandi e piccole, aventi forma stellata, poligonale, ovalare, ecc. ; tutte erano multipolari. I dendriti lunghi e grossi erano relativamente uniformi nel loro decorso, e si dividevano sempre dicotomicamente. Accenna anche a pseudoglomeruli ed a ricchi nidi pericellulari. RICERCHE PERSONALI Gallus domesticus, Anas domestica ed Ardea cinerea. Ho riunita in una, la descrizione delle tre specie, poiché tra loro non esistono differenze degne di nota. Le mie osservazioni, lo dico subito, non sono in gran parte che una conferma di quelle di Lenhossék e di Huber. Le cellule nervose simpatiche sono tutte multipolari, la loro grandezza in ciascun ganglio è uniforme, in volume misurano in media, in: Anas domestica. Voi. q® 48 835 Gallus domesticus. „ „ 26 348 Ardea cinerea. „ „ 16 398 Ogni cellula è fornita di un nucleo sferico situato nella parte centrale del corpo cel- lulare. Non ho mai osservato la presenza di lobi, fibre davate, fenestramento. Il cilindrasse non sempre riesce facile a distinguersi ; nei casi nei quali lo potei identi- ficare chiaramente, esso era sottile, originava direttamente dal corpo cellulare, e nel ganglio non dava alcun ramo collaterale; spesso potei seguirlo fin entro un fascio di fibre. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE li, VOL. LXVI, N. 2. 53 I dendriti (fig. 73), in numero variabile, ma sempre numerosi, possono trovarsi unifor- memente distribuiti sul corpo della cellula, però in molti casi essi originano tutti da una porzione limitata della sua superficie. Questi dendriti alla loro origine hanno una forma Fig. 73. conica, e si assottigliano a misura che si portano distalmente, molto spesso subiscono delle divisioni per lo più dicotomiche, ed i loro rami terminali si confondono colla fitta rete di fibre interposta tra gli elementi. Questi dendriti non costituiscono mai glomeruli. RAFFRONTI E CONSIDERAZIONI Le mie ricerche portano un contributo ad alcune questioni particolari riguardanti l’ana- tomia del simpatico dei vertebrati inferiori, e più precisamente esse si occupano in special modo dell’origine e del decorso dei prolungamenti protoplasmatici, dei rapporti reciproci fra prolungamenti di cellule vicine, dei lobi e delle fibre davate, dell’apparecchio fenestrato e dei plessi di fibre afferenti che circondano la cellula ed i suoi prolungamenti. Il confronto fra un gran numero di specie fu particolarmente istruttivo, perchè mi fu così possibile stabilire quali fra le particolarità da me studiate siano comuni a tutte le specie e perciò presumibilmente abbiano importanza generale. Col metodo da me seguito, il quale non permette quando è adoperato nei gangli a completo sviluppo di mettere in evidenza cilindrassi per un tragitto lungo, non mi era pos- sibile di risolvere problemi attinenti al destino dei cilindrassi provenienti dalle cellule dei gangli del simpatico, nè l’origine delle fibre dei plessi che circondano le cellule dei gangli e che verosimilmente terminano intorno ad esse ; fui costretto adunque limitarmi allo studio r>4 MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. della nioi tblogia della cellula, e di quel tratto delle sue espansioni che si trovava in im- mediata sua prossimità. Nei gangli del simpatico di tutti i vertebrati da me studiati si trovano cellule gan- gliari e fibre, inoltre nei Pesci partecipa alla costituzione dei gangli un altro tessuto, il cro- maffine, il quale deriva bensì da un abbozzo comune cogli elementi simpatici, ma se ne discosta essenzialmente per la struttura. Quest’ultimo nei Selacei ha una grandissima esten- sione, formando due cospicui prolungamenti alle due estremità del ganglio propriamente detto ; però il limite fra ganglio e tessuto cromaffine non è nettamente segnato, perchè i fasci di fibre che si dipartono dalle due estremità del ganglio si dissociano alquanto attra- versando il tessuto cromaffine; ed in mezzo ai fasci di fibre troviamo qualche cellula gan- gliare, la quale ha lo stesso tipo di quelle della parte principale del ganglio. Inoltre in mezzo al tessuto cromaffine sono sparse qua e là delle cellule di un tipo del tutto diverso da quelle del ganglio; i cilindrassi di queste cellule verosimilmente, sebbene non ne abbia dato la dimostrazione, si uniscono ai fasci di fibre che percorrono quel tessuto. Nei punti più distali del ganglio circondate da ogni lato dal tessuto cromaffine si trovano due grosse vene (una a ciascuna estremità). Negli altri vertebrati non esiste nel ganglio un vero tes- suto cromaffine. Non escludo però che singoli elementi sparsi vi si trovino, come nei Mam- miferi, e che col metodo adoperato mi siano sfuggiti. Le cellule della parte principale del ganglio mandano i loro cilindrassi nei fasci di fibre, ma dato che il numero di queste è molto superiore a quello delle cellule, ed anche per analogia con quanto è stato dimostrato per i Mammiferi, è molto probabile che molte fibre, le quali si originano da altri gangli della catena, oppure dal sistema nervoso cen- trale, percorrano il ganglio senza entrare in connessione colle sue cellule. Io ho dimostrato infine l’esistenza di plessi di fibre le quali sembravano terminare in- torno alle cellule del ganglio; esse si distinguevano per la loro sottigliezza da tutte le altre fibre del ganglio. Non fui in grado di stabilire se queste fibre provengano da elementi del ganglio stesso, oppure da altri punti del sistema nervoso. Non insisterò sui rapporti topografici fra cellule e fibre, noi abbiamo visto che in alcune specie le prime sono raccolte in un territorio limitato in modo da costituire un organo compatto (ganglio); in altre specie invece (Lophius) le cellule sono sparse per una estensione notevole del cordone simpatico. Differenze simili furono osservate anche nei gangli cerebro- spinali ; ricorderò ad esempio che Levi ha osservato un’analoga diffusione del ganglio ples- siforme nel cavallo, e nei gangli spinali di Didelphus. Però io credo che a queste differenze non si debba dare molta importanza : data l’origine ontogenetica del simpatico per migra- zione di elementi dal sistema cerebro-spinale, si comprende che nelle varie specie questa migrazione possa arrestarsi bruscamente, oppure possa continuare per un periodo relativa- mente lungo dello sviluppo ; a seconda dell’una o dell’altra possibilità noi ritroveremo la forma di ganglio raccolto in uno spazio relativamente limitato oppure diffuso. Un’altra particolarità riguardante l’architettura del ganglio è quella dei rapporti reci- proci fra le cellule ; negli animali di piccola mole le cellule sono molto vicine l’una all’altra ed il connettivo interstiziale è scarso ; in quelli di gran mole le cellule sono lontane Luna dall’altra ed il connettivo interstiziale è abbondante. Evidentemente questa differenza è dovuta al fatto, che nelle seconde ciascuna cellula è provvista di numerose e lunghe espan- sioni le quali non troverebbero posto se il connettivo interstiziale fosse scarso (1). (1) Lo studio dei gangli di giovani animali dà una riprova di questa mia aft'ermazione ; in questi noi vediamo che le cellule sono sempre, anche se si tratta di grossi animali, molto ravvicinate; evidentemente in questi casi le espansioni sono ancora scarsamente sviluppate. Correlativamente aU’evoluzione ontogenetica di queste espansioni, il connettivo interstiziale diventa più abbondante e le cellule si allontanano sempre più Luna dall’altra. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 55 Pei’ rispetto al volume delle cellule simpatiche, abbiamo visto come nei gangli di alcune specie esse abbiano un volume uniforme, mentre in altre specie sia possibile distinguere delle cellule grandi e delle cellule piccole, ed in Selache ci fu anzi dato constatare come queste ultime presentino caratteri quasi embrionali. Nei gangli simpatici si verifica quindi lo stesso fatto che ebbe ad osservare Levi nei gangli cerebro-spinali, per cui ritengo che per le cellule del simpatico debba valere la stessa spiegazione che Levi ebbe a dare per quella dei gangli cerebro-spinali, e cioè che le piccole cellule provengono da quegli elementi del ganglio che essendosi sviluppati più tardi, hanno raggiunto un grado di differenziazione meno elevato. Per quanto riguarda le grandi cellule dei gangli cerebro-spinali, Levi, seguendo l’evo- luzione ontogenetica, ebbe ad accertare che i neuroblasti hanno approssimativamente la stessa grandezza nelle diverse specie, ma allorché il neuroblaste assume il carattere di cellula gangliare la grandezza della cellula cresce col crescere della mole delPanimale. Nelle pre- senti ricerche sul simpatico noi abbiamo precisamente riscontrate le cellule più grandi negli animali di mole maggiore, e perciò la legge di Levi trova nel simpatico una nuova e piena conferma. Nel cordone del simpatico dei Chelonei e dei Pesci ho incontrato un gran numero di cellule che si scostano per la loro forma e costituzione da quel tipo che fino a poco tempo fa era ritenuto costante e normale per tutti i gangli sensitivi e simpatici dei vertebrati. Com’è noto, le ricerche di Cajal, Levi, Dogiel hanno dimostrato che questo tipo, ritenuto come normale, non lo è affatto per molti gangli sensitivi dei vertebrati e che anzi per alcuni di questi — e secondo Levi — per quelli di gran mole — esso è assolutamente eccezionale. Già Michailow (34) aveva dimostrato che nel simpatico dei Mammiferi si trovano cel- lule con anse periferiche le quali hanno molta analogia con le imagini descritte nei gangli sensitivi di alcune specie. Le mie l’icerche dimostrano che i vari tipi di cellule che si di- scostano dal tipo considerato come normale — cellule con corpo regolarmente delimitato — sono frequentissimi in tutti i vertebrati. Per riassumere i dati esposti ricorderò che io ho trovato nei gangli del cordone simpatico : I. Cellule fenestrate in vari Setacei — ed in maggior frequenza di sviluppo le ho notate in Selache — in Teleostei [Orthagorisciis), nei Chelonei non ne ho riscontrate, ma secondo Riquier il fenestramento si troverebbe in alcune rare cellule del simpatico toracico. Con questa designazione comune noi comprendiamo disposizioni apparentemente molto diverse e che io credo si possano ricondurre al tipo comune di canali i quali atti’aversano la parte periferica della cellula, poco importa se questi canali possano acquistare non di rado un’ampiezza notevolissima e se la parte che li delimita possa essere rappresentata da trabecole grossolane a costituzione protoplasmatica, oppure se, quando questi canali ven- gono a comunicare ampiamente fra di loro, la loro parete si riduce tanto, da essere sem- plicemente rappresentata da piccole anse protoplasmatiche oppure da sottili fibrille. In tal caso la zona fenestrata acquista l’apparenza di una spugna a cavità larghissime. Questa concezione dell’apparecchio fenestrato è giustificata anzi tutto dal confronto fra le varietà che essa offre, e più ancora dalla conoscenza della sua origine. Infatti, fu dimo- strato da Levi che la zona fenestrata si costituisce nei feti di Mammiferi per effetto di una canalizzazione e di una proiezione a distanza della parte periferica del protoplasma dap- prima a costituzione uniforme. E contro questi dati di fatto mi sembra che non abbiano alcun valore gli argomenti addotti da Donaggio. È noto che questo A. ha affermato che l’apparecchio fenestrato non ha il significato che gli ha voluto attribuire Levi, bensì è costi- 50 MARCO PITZOKNO — NUOVE RICERCHE SDI-UA STRUTTURA I1EI GANGLI, ECC. tiiito da prolungamenti cellulari analoghi al cilindrasse, e quest’asserzione di Donaggio si fonda sopratutto sul fatto che in Orthagorisciis ed in Xtphias le trabecole della zona fene- strata si colorano con tonalità analoga a quella del cilindrasse e diversa da quella della parto centrale del protoplasma. Contro questo argomento Levi ha obbiettato che la diffe- rente affinità tintoriale della zona fenestrata, dipende dalla disposizione delle fibrille che in essa assumono e dal fatto che nella medesima manca del tutto la sostanza tigroide. II. Cellule con lobi e con fibre davate. — Questi elementi sono rari nei Pesci, frequentissimi nei Gkelonl. Credo di poter ricondurre ad una forma comune formazioni di apparenza diversa, quali i grossi lobi a tozzo peduncolo e le fibre anche più sottili che terminano con una sfera. E tale unificazione è giustificata dalle forme di transizione numerosissime che si trovano fra questi due estremi, anche nei gangli della stessa specie, ma più ancora dallo studio della loro genesi. Ricorderò che fu dimostrato da Levi per i gangli di senso dei Mammiferi, che le fibre davate sono precedute durante la differenziazione della cellula da grossi lobi a tozzo peduncolo, i quali si costituiscono per effetto di uno strozzamento circolare di una cellula avente prima un contorno regolare; col progredire dell’evoluzione della cellula, il peduncolo si assottiglia e si allunga e la massa protoplasmatica terminale si riduce sempre più e si può portare anche a grandissima distanza. Notevole mi sembra il fatto che le cellule lobate sono una caratteristica prevalente del simpatico dei Chetoni, e che in questi anche le cellule dei neuroni sensitivi offrono, secondo le ricerche di Levi, l’identica caratteristica. Per quali ragioni le cellule sensitive e simpatiche dei Cheloni e con preferenza di gran lunga maggiore, nelle specie di gran mole, acquistino questa singolare morfologia, sarebbe prematuro indagare. Forse uno studio minuto dell’istogenesi dei gangli sensitivi e simpatici poti’ebbe illuminarci in proposito. Mentre tutte le cellule simpatiche dei Mammiferi hanno la caratteristica comune di possedere, come quelle del midollo e dell’encefalo, numerosi prolungamenti protoplasmatici, nei Vertebrati inferiori non è caratteristica costante di tali cellule (1). Noi abbiamo visto che negli Anfibi Anuri tutte le cellule mancano di dendriti, e tanto nei Pesci che nei Chetoni non sono rare le cellule del tutto prive di dendriti. Però prescin- dendo, ripeto, dagli Anfibi, nei Pesci e Cheioni prevalgono di gran lunga le cellule con den- driti ; ed aggiungo che differenze nella morfologia dei dendriti fra Vertebrati inferiori e Mammiferi è più apparente che reale. Lasciamo da parte gli Uccelli ove ritroviamo cellule multipolari che mandano i dendriti in tutte le direzioni, come nei Mammiferi. Questa forma di cellule si trova anche nei Pesci e nei Cheioni, ma non è la più frequente ; nei Pesci si trova prevalentemente nel tessuto cromaffine. Molto più frequente è un’altra varietà di aggruppamento dei dendriti, che del resto van Gehuchten (63), Sala (54), Cajal (48) hanno notato nei Mammiferi : l’origine di tutti i dendriti di una zona limitata della cellula, ove possono formare 1 o 2 ciuffi. Questa varietà si ricollega, per una quantità di forme di transizione, all’altra anche più frequente della riunione di tutti i dendriti della cellula in un tronco comune, che può essere brevissimo e può essere anche molto lungo ; talora i tronchi sono due o più ; ed in- fine un grosso tronco si suddivide in 2-8 tronchi secondari. Lo spessore del tronco comune è sempre direttamente proporzionale al numero dei rami terminali nei quali esso si divide. (1) Dogiel eù Huber affermano invero che presso i poli dei gangli si possono trovare anche nei Mam- miferi cellule unipolari, cioè prive di dendriti. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATCR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2. 57 Tali rami sono sempre molto sottili e poco ramificati ; il che appunto giustifica la mia affermazione che i rami suddetti hanno molta analogia con quelli dei Mammiferi. — La caratteristica dei Vertebrati inferiori.! se non costante, certo frequente, è Torigine di sottili dendriti con un tronco comune, il quale frequentemente ha un enorme spessore : ha un aspetto protoplasmatico ed in molti casi si continua insensibilmente nel rimanente del corpo cellulare. Inoltre non è raro il caso che il grosso tronco sia comune non solo a tutti i dendriti, bensì anche al cilindrasse, il quale può separarsi dal tronco principale nel punto in cui questo si sfiocca nei suoi numerosi rami ; oppure i dendriti possono separarsi dal tronco comune a varia distanza, secondo il tipo monopodico, sì da apparire come collaterali del cilindrasse. In quest’ultimo caso lo spessore del tronco comune è gradatamente decrescente, quanto maggiore è il numero dei dendriti che da esso si dipartono. — Di tale disposizione troviamo esempi anche nelle cellule dei centri nervosi ed essa è definita come l’origine di un cilindrasse da un dendrita. Resta adunque stabilito che, prescindendo da questo tronco comune d’aspetto proto- plasmatico, i dendriti veri e propri non differiscono da quelli delle cellule simpatiche dei Mammiferi. Noi abbiamo veduto che in molte specie i prolungamenti protoplasmatici di tutte le cellule, ed in altre quelli di una gran parte delle cellule, divergono l’uno dall’altro, si rami- ficano e terminano liberamente nel connettivo del ganglio con estremità assottigliata ; e questo destino hanno tanto i dendriti delle cellule a forma stellata, che quelli di molte altre cellule nelle quali i dendriti nascono da una zona limitata della cellula od anche con tronco comune. Ma in altre cellule — e questa disposizione è quasi costante in molti Setacei, più rara nei Teleostei, nei Chetoni ; manca del tutto negli Anfibi e negli Uccelli — i sottili rami provenienti dalla divisione dei dendriti che si dipartono da una regione limitata della cellula (sia con tronco comune o no) convergono in uno spazio più o meno ristretto e s’in- trecciano fra loro in un gomitolo talora complicatissimo. Spesso il gomitolo o glomerulo di- viene più intricato per il fatto che le fibre assumono un decorso sinuoso. Inoltre in molti Setacei ed alcuni Teleostei ho notato la convergenza di dendriti provenienti da due ed anche tre cellule distinte — glomeruli bicellulari e tricellulari di Cajal. Noi abbiamo veduto che i glomeruli oltreché dal tratto terminale di un dendrita pos- sono essere costituiti, non di rade, da un ramo collaterale, ed in tal caso un unico tronco può costituire più glomeruli distinti, i quali s’intrecciano con altri glomeruli forniti dai den- driti di cellule vicine. Imagini di tale natura non trovano il loro riscontro in altre regioni del sistema ner- voso. Non possono venire paragonati ad esse i glomeruli del bulbo olfattivo, ove i dendriti delle cellule mitrali s’ intrecciano colle espansioni dei cilindrassi delle cellule olfattive. E noto che la disposizione che caratterizza i glomeruli olfattivi fu invocata come un argo- mento in favore della polarizzazione dinamica. Noi potremmo ricondurre la disposizione che caratterizza i glomeruli del simpatico alla foimula suddetta, soltanto riferendoci ai plessi di sottili fibre afferenti, le quali in molti casi s’intrecciano coi dendriti, e che lo stimolo sia trasmesso da quelle fibre ai dendriti di 2-3 cellule distinte, i quali s’intrecciano tra loro a costituire il glomerulo. Ma la formula della polarizzazione dinamica resta tuttora un’ipo- tesi, ed io non vorrei escludere la possibilità che gli intrecci fra i dendriti di più cellule siano destinati alla trasmissione di stimoli dai dendriti di una cellula a quelli di un’altra vicina. I dendriti oltre ai glomeruli possono anche costituire dei nidi peridendritici attorno al proprio corpo cellulare o di un’altra cellula posta nelle sue immediate vicinanze. Questa disposizione dei dendriti Cajal ebbe a riscontrarla nell’uomo, io più specialmente in Tha- Q 58 MARCO PITZOKNO NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. lassocheli/s. Questi nidi peridendritici potrebbero facilmente confondersi coi nidi pericellulari costituiti dalle fibre afferenti, però Ca.ial fa molto opportunamente osservare che il peri- dendrito facilmente si distingue da quello formato da fibre afferenti, per la maggior gros- sezza degli elementi che lo costituiscono. * * * Dalle nostre ricerche una conclusione indiscutibile possiamo traire : che le cellule fene- strate e con lobi e fibre davate sono una caratteristica esclusiva del simpatico come del neurone sensitivo dei vertebrati di gran mole; mancano completamente in tutti gli altri. Questo fatto conferma l’ ipotesi avanzata da Levi che queste singolari varietà delle cellule del sistema nervoso periferico, rappresentano un adattamento da parte della cel- lula all’eccessivo aumento della massa neurofibrillare, la quale è in rapporto col maggior volume del soma. Ricorderò che Levi suppose che, in accordo colla legge di Spencer, la cellula accre- scendosi conservi la sua forma sferica sino ad una determinata grandezza limite ; quando questa è oltrepassata l’aumento della massa neurofibrillare avviene in una forma più favo- revole al suo metabolismo ; con eguale accrescimento di massa aumenta la sua superficie in misura maggiore di quello che avverrebbe se la cellula conservasse la sua forma sferica. Nelle cellule dei centri nervosi non si osservano mai nè fenestramento, nè lobi, per il fatto che. in quei casi i prolungamenti protoplasmatici si estendono in arborizzazioni talora vastissime che rendono possibile un aumento della sua superficie quasi proporzionale all’ac- crescimento di massa. Si potrebbe obbiettare che anche nelle cellule simpatiche esistono dei dendriti, ma noi sappiamo che i dendriti dei neuroni simpatici sono di solito straordi- nariamente esili e scarsi, dimodoché l’ arborizzazione non è evidentemente sufficiente a garantire un metabolismo cellulare. Questa mia supposizione è convalidata dal fatto che negli Uccelli ove i dendriti del neurone simpatico sono più voluminosi e più numerosi che nei Pesci e nei Cheloni mancano, anche nelle specie di gran mole, tanto i lobi, che l’appa- recchio fenestrato ; e nel simpatico dei Pesci mai abbiamo rilevato che le cellule che sono disseminate nella sostanza cromaffine, e che sono caratterizzate da un’ arborizzazione den- dritica molto estesa, presentino lobi od apparecchio fenestrato. Singolare è la morfologia del neurone simpatico degli Anfibi: l’assenza in questi di elementi fenestrati e con fibre davate, non deve sorprendere, dato che noi abbiamo esaminato soltanto piccoli esemplari. Ma singolare è l’assenza dei dendriti, che non credo in nessun modo imputabile a deficienza tecnica, dato l’accordo fra i miei risultati e quelli di Huber. =*: * ♦ Fibre afferenti. — Noi abbiamo definito con questo nome delle fibre sempre sotti- lissime che arrivano alla superficie della cellula al disotto della capsula spesso (come ne,' Cheioni e negli Anfibi, più di rado nei Pesci), dopo aver avvolto a spira il cilindrasse. Che si tratti di fibre afferenti non vi è alcun dubbio, dato che esse talora prima di raggiungere la cellula, ma per di più al disotto della capsula, si dividono ripetutamente e formano un plesso, ma mai una rete, che assume intimi rapporti colla superficie della cel- lula. Sull’origine di queste fibre non sono in grado di riferire alcun dato. E noto che il g. ciliare è dai più ritenuto come appartenente al simpatico encefalico, sebbene il suo comportamento di fronte ai veleni sia diverso da quello dei gangli del cor- done. Le mie ricerche già pubblicate sul ganglio ciliare dei Selacei e dei Cheioni dimostrano MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2 . 59 che le cellule di quel ganglio in vari rappresentanti di quelle due classi sono lobate. Ma una caratteristica differenziale importante mi sembra la quasi completa assenza di dendriti che ho notato nel ganglio ciliare. Inoltre la fibra spirale afferente che è tanto costante nel g. ciliare dei Chelom differisce per il suo notevolissimo spessore e per la maggior compli- cazione delle sue spire dalla spira afferente dei neuroni simpatici. Questa differenza potrebbe forse essere spiegata colla circostanza che essa in questo ganglio è certamente fornita dal- l’oculo motore, come le ricerche di Lehnossék hanno dimostrato, mentre le fibre afferenti da me dimostrate nei gangli del cordone hanno tutti i caratteri delle fibre del simpatico, ed io suppongo che provengano da altri gangli del cordone, e rappresentino adunque fibre associative fra i vari gangli (?). Huber invero è convinto che queste fibre siano d’origine spinale. Ma questa supposi- zione mi sembra poco verosimile, dato che le fibre cerebro-spinali, le quali passano, almeno nei Mammiferi, per il ramo comunicante bianco, sono cospicue e fornite di una guaina mielinica, cioè con caratteri del tutto diversi da quelle che nei casi da me osservati forni- vano dei plessi pericellulari. Con ciò non intendo già di negare, il che sarebbe in contrasto coi dati della Fisiologia, che le fibre spinali assumano intimi rapporti coi neuroni del cordone simpatico. Ma è proba- bile che i plessi pericellulari forniti dalle fibre di origine spinale, non fossero riusciti colorati nei miei preparati. Se questa mia supposizione che io formulo del resto con tutta riserva fosse confermata, le fibre afferenti da me viste nei gangli del cordone avrebbero un valore diverso da quelle del ciliare. Le prime sarebbero fibre associative fra i vari gangli del cordone, le seconde le vere pregangliari, le quali, lo ripeto, non sarebbero state messe in evidenza per deficienza tecnica nei gangli del cordone. * * * Nei gangli di Schylliorhinus io potevo osservare alcuni dendriti che si portavano in un fascio di fibre, e che potevo anche seguire per un certo tratto entro di esso. Vidi inoltre alcuni di questi dendriti dividersi entro il fascio in due rami a T che procedevano in direzione opposta. Si potrebbe essere indotti a ritenere le cellule dalle quali provengono questi dendriti come cellule sensitive del II tipo di Dogiel, che furono nei Mammiferi anche viste da Huber e recentemente da Carpenter e Cornee. Non avendo io potuto seguire questi dendriti fino alle loro terminazioni, non oso pronunciarmi sul loro significato fun- zionale ; stimo però opportuno richiamare l’attenzione sulle cellule simpatiche dei Setacei, tra le quali si distinguono nettamente due tipi cellulari differenti : uno situato nel ganglio vero e proprio, e l’altro nella sostanza cromaffine. Le cellule che si trovano immerse in questa sostanza hanno dei caratteri che molto si avvicinano a quelli del II tipo di Dogiel e non è improbabile che possano essere di natura sensitiva. Istituto Anatomico della R. Università di Sassari, diretto dal Prof. G. Levi. 30 dicembre 1914. 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(V2 MAKCO PITZORNO NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. 8riE(}AZIONE DELLE EIGUKE Fig. 1. — Sezione longitudinale di ganglio di Schyìliorhinus canicula, nella quale è visibile una parte della sostanza croniaffine. Ingrandimento 40 X- Ridotta di V 4 • Fig. 2. — Cellula nervosa simpatica di Schyìliorhinus, che si trova immersa nella sostanza cromafBne. Ingrand. 550 X- Fig. 3. — Cellule gemelle di Schyìliorhinus. Ingrand. 640 X- Fig. 4. — Glomerulo monocellulare di Schyìliorhinus-, il dendrita che lo costituisce si ispessisce alla sua estremità distale, dalla quale si originano numerosi prolungamenti, i quali dividendosi ed intrec- ciandosi tra loro costituiscono il glomerulo. Ingrand. 550 X- Fig. 5. — Glomerulo monocellulare di Schyìliorhinus, costituito da un dendrita che origina da un tronco comune col cilindrasse. Ingrand. 620 X- Fig. 6 . — Glomerulo monocellulare di Schyìliorhinus, costituito da 4 grossi prolungamenti che nascono a ciuffo da una cellula, con fibre afferenti volte a spira. Ingrand. 1360 X* Fig. 7. — Glomerulo bicellulare di Schyìliorhinus. Ingrand. 1165 X- Fig. 8 . — Glomerulo bicellulare di Schijlliorhimis, con fibre afferenti volte a spirale. Ingrand. 1000 X- Pfig. 9. — Glomerulo bicellulare di Schyìliorhinus \ n&Wa. figura è riprodotto il corpo di una sola cellula. Ingrand. 1360 X* Fig. 10. — Glomeruli di Schyìliorhinus, costituiti da dendriti originatisi da un tronco comune col cilin- drasse. Ingrand. 620 X. Fig. 11. — Tre cellule simpatiche di Schyìliorhinus che coi loro dendriti costituiscono dei glomeruli. Ingrand. 570 X- Fig. 12. — Glomerulo tricellulare di Schyìliorhinus. Ingrand. 880. Fig. 13. — Glomerulo bicellulare dà Schyìliorhinus-, uno à&ì dendriti che lo costituisce non vi partecipa che coi suoi rami collaterali. Ingrand. 1360 X- Ridotto di Ve- Fig. 14. — Cellula simpatica di Schyìliorhinus, con robusto cilindrasse avvolto da fibra spirale. Ingran- dimento 1360 X. Ridotta di Ve- Fig. 15. — Cellula simpatica di Mustelus laevis, con comjDlicato nido pericellulare, costituito da sottili fibre afferenti. Ingrand. 620 X- Fig. 16. — Due cellule simpatiche di Mustelus l., la più piccola delle quali si trova inclusa nella più grande. Ingrand. 620 X- Fig. 17. — Canale scavato in una cellula simpatica di Selache maxima e fibre che lo attraversano. Ingrand. 740 X- Fig. 18. — Cavità e canali scavati in una cellula simpatica di Selache. Ingrand. 636 X- Fig. 19. — Grande cellula simpatica di Selache, nel cui citoplasma è scavata un’ampia cavità; dalla parete di questa origina un robusto prolungamento che si ramifica alla sua estremità, uno dei suoi rami si porta all’esterno attraverso una finestra. Ingrand. 690 X- Fig. 20. — Due cellule simpatiche di Selache, la più piccola delle quali è inclusa nella più grande; il cilindrasse della prima si porta all’esterno attraverso una finestra scavata nel citoplasma della cellula che la include. Ingrand. 480 X- Fig. 21. — Cellula simpatica di Selache, nel cui interno si trova inclusa una cellula più piccola; il cilin- drasse di questa si porta all’esterno attraverso un canale scavato nel citoplasma della cellula che la include. Ingrand. 740 X- Fig. 22. — Inclusione di due cellule simpatiche piccole in una più grande, nel ganglio simpatico di Selache. Ingrand. 480 X- Fig. 23. — Cellule gemelle simpatiche di Selache. Ingrand. 690 X- Fig. 24. — Cellule simpatiche di Selache, dalla cui superficie originano numerose fibre davate. Ingran- dimento 690 X- rr- » « MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 2 . 68 Fig. 25. — Cellula fenestrata di Selache ; il fenestramento forma una complicata rete che invade tutta la superficie della cellula. Ingrand. 690 X- Fig. 26. — Cellula simpatica di Selache, con glomerulo monocellulare. Ingrand. 690 X- Fig. 27. — Due cellule simpatiche di Selache, i cui dendriti costituiscono un glomerulo bicellulare. Ingrand. 570 X- Fig. 28. — Cellula simpatica lobata di Torpedo marmorata. Ingrand. 1400 X- Fig. 29. — Cellula simpatica di Torpedo, con lobi ; da uno di questi origina il cilindrasse. Ingrandi- mento 1400 X- Fig. 30. — Cellula simpatica di Torpedo, munita di un robusto prolungamento dal quale prendono ori- gine tutti i dendriti. Ingrand. 1400. Fig. 31. — Cellula di Raja clavata, con lobi. Ingrand. 740 X- Fig. 32. — Cellula di Raja, con cilindrasse e glomerulo monocellulare. Ingrand. 840 X- Fig. 33. — Cellula di Raja, con spesso prolungamento dal quale originano tutti i dendriti ed il cilin- drasse; numerosi dendriti costituiscono un glomerulo monocellulare. Ingrand. 1300 X- Fig. 34. — Cellula di Raja, con intricato nido peridendritico. Ingrand. 1360. Fig. 35. — Cellula di Raja, nella quale i dendriti ed il cilindrasse nascono a ciuffo da una zona limitata della cellula. Ingrand. 620 X- Fig. 36. — Cellula di Raja, nella quale è visibile la disposizione delle fibrille in due piani. Ingrandi- mento 1560 X* Fig. 37. — Cellula di Mijliobates bovina, con anse protoplasmatiche. Ingrand. 690 X- Fig. 38. — Cellula di Myliobates, con fenestramento. Ingrand. 570 X- Fig. 39. — Cellula di Myliobates, con fenestramento. Ingrand. 860 X- Fig. 40. — Due cellule simpatiche di Myliobates, una delle quali fornita di una robusta fibra clavata che alla sua estremità distale si ramifica; due di queste ramificazioni s’ innicchiano in due cavità scavate nel citoplasma dell’altra cellula. Ingrand. 620 X- Fig. 41. — Cellula di Myliobates i cui dendriti costituiscono un glomerulo monocellulare. Ingrandi- mento 690 X- Fig. 42. — Glomerulo bicellulare di Myliobates, costituito dai dendriti di due cellule simpatiche. Ingran- dimento 1400 X- Ridotta di Fig. 43. — Tre cellule simpatiche che costituiscono fra loro parecchi glomeruli. Ingrand. 380 X- Fig. 44. — Cellula di Mijliobates, con fibre davate a grosso peduncolo. Ingrana. 640 X- Fig. 45. — Due cellule simpatiche di Anguilla vulgaris, i di cui dendriti costituiscono un glomerulo bicellulare. Ingrand. 570 X. Fig. 46. — Cellule simpatiche di Xiphias gladiiis. Ingrand. 840 X- Fig. 47. — ■ Cellula simpatica di Trigla corax\ tutti i dendriti nascono da un tronco comune col cilin- drasse. Ingrand. 870 X- Fig. 48. — Cellule simpatiche di Magi cephalus. Ingrand. 710 X- Fig. 49. — Due cellule simpatiche di Orthagoriscus mola, una vista in sezione trasversale. Ingrandi- mento 710 X- Fig. 50. — Cellula fenestrata di Orthagoriscus-. la zona fenestrata è costituita da anse concentriche. Ingrand. 710 X- Fig. 51. — Cucuzzolo di cellula di Orthagoriscus, attraversato da numerosi canali. Ingrand. 710 X- Fig. 52. — Cellule di Thynnus vulgaris. Ingrand. 710 X- Fig. 53. — Cellula simpatica di Lophius piscatorius, con anse e fibre elevate. Ingrand. 1360 X- Fig. 54. — Cellula di Lophius, con canali che attraversano la zona polare. Ingrand. 1360 X- Fig. 55. — Cellula simpatica di Emys orbicidaris, con lobo che nasce da un tronco comune col cilin- drasse, questo è avvolto da una fibra spirale. Ingrand. 1360 X- Fig. 56. — Cellula di Emys, dalla quale si oi'igina un robusto tronco che dà origine al cilindrasse ed ai dendriti. Ingrand. 1360 X- Fig. 57. — Cellula di Testudo graeca, fornita di numerosi lobi. Ingrand. 640 X- Fig. 58. — Cellula di Testudo g., con lobo sessile, lobi peduncolati e dendriti. Ingrand. 1300. Fig. 59. — Cellula di Testudo, priva di lobi; cilindrassi e dendriti nascono da un tronco comune. Ingrand. 1000 X> 1)4 MARCO PITZORNO — NUOVE RICERCHE SULLA STRUTTURA DEI GANGLI, ECC. Fig. 60. — Cellula di TesUido, lobi e cilindrasse originano da un tronco comune, fibra spirale che av- volge il cilindrasse e la cellula. Ingrand. 1300 X- Fig. 61. — Cellula di 'Testtido, con lobi che nascono da un tronco comune col cilindrasse, fibra spirale e fibre che decorrendo alFesterno di questa avvolgono il lobo più distale. Ingrand. 570. Cig. 62. — ■ Cellula di Testiido, con glomerulo monocellulare. Ingrand. 1300 X- Fig. 68. — Nido pericellulare intricato attorno ad una cellula di Testudo g., la cellula non è visibile. Ingrand. 1480 X- Fig. 64. — Cellula di Testudo, con lobi e fibra spirale. Ingrand. 800. Fig. 65. — Cellula di Thalassochelys carreta, con due lobi peduncolati ripiegati verso il nucleo in modo da formare una specie di cappuccio. Ingrand. 740. Fig. 66. — Cellula simpatica di Thalassochelys, con lobi irregolari e nido pericellulare. Ingrand. 1480 X- Fig. 67. — Cellula di Thalassochelys, con lobi che originano da un tronco comune col cilindi-asse; da uno di questi lobi originano dei dendriti che costituiscono un nido peridendritico; fibra spirale attorno al cilindrasse. Ingrand. 860 X- Fig. 68. — Cellula di 'Thalassochelys, con prolungamenti protoplasmatici che nascono a ciuffo da un peduncolo comune alla cellula, ed altri che nascono da un tronco comune al cilindrasse. Ingran- dimento 740. Fig. 69. — Cellula di Thalassochelys, con intricato nido peridendritico costituito da robusti prolunga- menti protoplasmatici. Ingrand. 860. Fig. 70. — Cellula di Thalassochelys, con robusto prolungamento avvolto da fibra spirale; da esso na- scono a ciuffo il cilindi’asse e numerosi dendriti ; altri dendriti nascono dal corpo cellulare e costituiscono un nido peridendritico. Ingrand. 900 X- Fig. 71. — Cellule simpatiche di Thalassochelys, in connessione tra loro mediante un lobo ed un pro- lungamento incavato alla sua estremità. Ingrand. 740. Fig. 72. — Cellula simpatica di Thalassochelys, che coi rami terminali di un grosso prolungamento si mette in rapporto con un’altra cellula. Ingrand. 1480. Fig. 73. — Cellule simpatiche di Gallus domesticus. Ingrand. 620. Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie li, Voi. LXVI. - N. 3. Classe di Scienze fìsiche, matematiche e naturali. RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BR0880 E DI TRAVER8ELLA SEC03STID-A. MEMORIA DEL Dott. LUIGI COLOMBA (Con una tavola in fototipia e tre sezioni intercalate nel testo). Approvata nell’adunanza del 25 Aprile 1915. Nella prima parte di queste mie ricerche, pubblicate qualche anno fa (1), ho studiato nei suoi caratteri petrografici principali il massiccio dioritico di Valchiusella, lungo il cui margine si trovano i giacimenti metalliferi di Brosso e di Traversella; mi occuperò oi’a dei depositi metalliferi proprii di essi e delle numerose formazioni metamorfiche ad essi associate. Sebbene alcuni di questi giacimenti siano stati coltivati fino da tempi molto lontani e taluni lo siano tutt’ora, le ricerche riguardanti la loro giacitura e la loro genesi furono tut- tavia fino a poco più di dieci anni fa, cioè fino a quando apparvero i lavori di Bonacossa e di Novarese, molto scarse ed incomplete, essendosi in generale gli autori precedenti limitati a cenni molto sommari e di carattere spesso prevalentemente tecnico. Ne consegue che, pur essendo i detti autori molto numerosi (2), le loro osservazioni non presentano una grande importanza, sebbene alcuni di essi, e specialmente Barelli e Burci, abbiano fatto delle osser- vazioni abbastanza estese su taluni di detti giacimenti desumendole da quanto era allora noto. (1) Colomba L., Ricerche sui giacimenti di Brosso e di Traversella. Parte I; Osservazioni petrografìche std massiccio dioritico di Valchiusella, “ Mem. della R. Accademia delle Scienze di Torino „ (1911-1912), Serie II, Tomo LXIII, p. 271. (2) De Robilant, Essai géographique sitivi d'une topographie soustéraine, minéralogique- et d’une docimasie des États de S. M., “ Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1784-85. — Bonvoisin, Sur la mineralogie du Piéinont, “ Journ. des Mines ,, 1802. — D'Aubuisson, Statistique minéralogique du Département de la Doire, “ Id. id. ,, 1811. — Barelli, Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1835. — Burci, L’elettricità applicata alla preparazione, ecc., “ N. Cimento ,, 1860. — Gastaldi, Studi geologici sulle Alpi occidentali, ‘ Mem. del Com. Geol. Ital. ,, 1871. — Iervis, I tesori sotterranei di Italia, Torino, 1873. — Baretti, Geologia della provincia di Torino, Torino, 1893. — Fuchs e Db Launay, Traiti des gìtes minéraux et métallifères, Paris, 1893. K 2 LUIGI COLOMBA — RICERCHE SOI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA Credo quindi inutile di accennare a quanto fu allora scritto dai detti autori, limitan- domi ad accennare come quasi tutti abbiano considerato i giacimenti di Brosso e di Traver- sella come filoniani; il solo Scheerer ammise la possibilità che quelli di Traversella potes- sero derivare da fenomeni di contatto. I lavori veramente importanti, per le questioni alle quali ho sopra accennato, sono quelli di Bonacossa (1) sui giacimenti di Brosso, e quelli di Novarese (2) su tutto il com- plesso dei giacimenti di Valchiusella; ad essi devesi aggiungere un lavoro molto recente di Muller (3). Bonacossa si occupò esclusivamente dei giacimenti di Brosso, dandone non solo i carat- teri generali ma pur anche esponendo le sue idee sul loro modo di formazione; le sue ricerche presentano un interesse molto grande, poiché, se anche non si possono accogliere in modo completo le sue idee sulla genesi di detti giacimenti, è certo che le sue osservazioni riguar- danti il loro modo di presentarsi e le relazioni che collegano le varie loro formazioni, hanno una grandissima importanza, riassumendo esse i risultati di una serie molto lunga ed estesa di ricerche compiute in posto. L’autore, d’accordo in questo con Gastaldi, ammise che gli schisti cristallini contenenti i depositi metalliferi di Brosso appartengano alla zona delle pietre verdi; essi avrebbei’O però subito notevoli modificazioni con produzione di silicati differenti, in causa tanto dei fenomeni metalliferi quanto del loro contatto con le rocce massicce da lui considerate come interstratificate nelle rocce schistose e quindi come loro contemporanee. Riguardo ai fenomeni metalliferi egli giunse alle seguenti conclusioni: La mineralizza- zione è a Brosso in diretta relazione con un sistema di paraclasi che attraversano gli schisti cristallini e che talvolta si prolungano anche attraverso alle rocce del massiccio ed anche al di là di esse, essendo più frequenti dove gli schisti cristallini presentano accidentalità di stratificazione, ed avendosi come conseguenza, in detti punti, una maggiore intensità negli effetti. Alcune fra le dette paraclasi sono cambiate in veri filoni metalliferi ricchi in solfuri ed in solfosali ; altre invece sono sterili e solo dove i loro piani tagliano le masse calcaree presentano fenomeni di mineralizzazione indubbiamente posteriori all’apertura delle paraclasi, le quali sarebbero appunto le vie percorse dagli agenti mineralizzatori. I fenomeni metalliferi si sarebbero manifestati in fasi successive, di cui taluna molto recente. [ minerali prevalenti — pirite ed ematite — o sono associati o formano ammassi separati che possono o no essere contenuti in uno stesso banco calcareo, essendo nel primo caso sempre separati da zone sterili. Ambedue deriverebbero da uno stesso fenomeno metalloge- nico, dipendendo la comparsa dell’una o dell’altra da condizioni speciali esistenti all’atto della loro formazione. L’agente chimico principale che allo stato di soluzione acquosa avrebbe determinato i fenomeni compiutisi a Brosso, percorrendo la paraclasi e sostituendo direttamente le masse calcaree preesistenti od impregnandole più o meno fortemente di minerali metalliferi, sarebbe stato rappresentato da un solfuro doppio ferroso-alcalino. In seguito ad una serie di reazioni avvenute con i calcari si sarebbero formati dei carbonati alcalini, ed il solfuro di ferro. (1) ScLOPis e Bonacossa, Monografia sulle miniere di Brosso, Torino, 1900. (2) Novarese V., L’origine dei giacimenti metalliferi di Brosso e Traversella, “ Boll, del R. Com. Geol. Hai. ,, 1901. — Die Erzlagerstdtten von Brosso und Traversella in Biemont, “ Zeit. fur prakt. Geol. ,, 1902. — La ser- pentina di Traversella e la sua origine, “ Boll, della Soc. Geol. Hai. ,, XXt, 1902. (3) Mììlleb, Die Erzlagerstcitten von Traversella in Piemont, “ Zeit. fiir prakt. Geol. ,, 1912. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3 . 3 nelle zone più interne, in seguito alla scomparsa del solfuro alcalino si sarebbe depositato sotto forma di pirite. Nelle zone più elevate invece, essendo più facili le azioni ossidanti, il detto solfuro avrebbe dato luogo a solfato ferroso ed a solfati basici di ferro, che si sarebbero facilmente decomposti dando ossido idrato di ferro, il quale, in seguito ad azioni posteriori, si sarebbe disidratato. I carbonati alcalini poi, specialmente in presenza di un eccesso di anidride car- bonica, avrebbero reagito cogli schisti cristallini, dando luogo a quarzo ed a silicati vari. Bonacossa ammise pure che l’ematite si sia formata direttamente per opera di acque ricche in bicarbonato ferroso, le quali reagendo coi calcari avrebbero dato luogo a carbo- nato ferroso, dal quale sarebbero derivati prima l’ossido idrato di ferro e poscia l’ematite. Vittorio Novarese alfermò il concetto generale d’una origine in seguito ad azioni di contatto, tanto per i giacimenti di Brosso quanto per quelli di Traversella, ed ammise che le formazioni che li costituiscono siano tutte dovute ad una serie di fenomeni di metamor- fismo compiutisi durante e dopo la intrusione del massiccio dioritico, nella sua areola di contatto con gli schisti cristallini e con i banchi di calcare in essi intercalati. Egli escluse che gli schisti cristallini stessi appartengano alla zona delle pietre verdi, eliminando in tal modo la possibilità di relazioni fra i giacimenti in questione e quelli di Cogne, S. Marcel, ecc., propri di detta zona ed intercalati nelle rocce che li contengono, per cui, mentre questi possono, secondo il suo parere, considerarsi come contemporanei ad esse, invece i giacimenti di Valchiusella sarebbero da ammettersi come non anteriori al miocene. I calcari metamorfici contenenti i minerali metalliferi sono, secondo Novai’ese, distri- buiti irregolarmente ed anche in orizzonti differenti negli schisti cristallini ; a Traversella il contatto dei calcari colle roccie del massiccio è diretto ; esso manca invece a Brosso. Risul- tano quindi delle differenze assai rilevanti nei caratteri dei giacimenti, le quali però vanno diminuendo dove il giacimento di Brosso si avvicina al massiccio dioritico. Maggiori ancora sono le differenze che si hanno nei depositi di tipo filoniano ed in quelli situati a notevole distanza dal massiccio; anzi per alcuni di questi ultimi, l’esistenza di rela- zioni con gli altri sarebbe più che altro provata dai numerosi dicchi di porfirite affioranti qua e là e che vennero da Novarese considerati come apofisi dello stesso massiccio oppure di altre masse rocciose più profonde. I fenomeni di metamorfismo e di contatto derivarono, secondo Novarese, da una serie di manifestazioni di tipo pneumatolitico e pneumatoidatogenico che accompagnarono e se- guirono l’intrusione del massiccio dioritico, sotto forma sia di emanazioni gassose e di vapori sviluppatisi durante la consolidazione del magma intrusivo, sia di acque minerali e termo- minerali che avrebbero agito posteriormente, non solo quando già era diminuita l’attività endogena, ma pur anche dopo la completa consolidazione del magma; quest’ultima fase sarebbe stata di molto facilitata dalle numerose fenditure che attraversano il massiccio diori- tico; alcune di dette fenditure anzi si sarebbero direttamente cambiate in filoni metalliferi. Riguardo all’andamento dei fenomeni metalliferi e di mineralizzazione Novarese consi- derò separatamente i vari gruppi di giacimenti, giungendo alle seguenti conclusioni: A Riondello si hanno due distinte formazioni, costituite, l’una da grandi masse di ma- gnetite con abbondante pirite ed in costante associazione con carbonati diversi e con masse di silicati idrati magnesiaci e l’altra da una serie di hornfels rappresentati sopratutto da pirosseniti e da anfiboliti di tipo molto vario costituenti la cosi detta porta del ferro. A Castiglione, Pian del Gallo e Montaieu le masse calcaree tendono a scomparire o mancano del tutto come ganga dei minerali metalliferi; si hanno ancora frequenti hornfels, ma la magnetite, priva in questo caso di pirite, è contenuta in una ganga serpentinosa e serpentinoso-calcarea; oltre alla magnetite si hanno pure calcopirite e pirrotite; il serpen- 4 LUIflI COLOMBA KICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA tino contiene residui di olivina. L’autore ammise che i serpentini provengano da rocce oli- viniclie dovute a fenomeni di metamorfismo analoghi a quelli prima descritti ; egli stesso però riconobbe la difficoltà di spiegare perchè in questi ultimi giacimenti, a differenza di quanto si osserva a Riondello, si sia formata prevalentemente olivina; escluse però che ciò possa essere dipeso da una maggior ricchezza dei calcari in magnesia. Per i giacimenti di Brosso egli fu d’accordo con Bonacossa nell’ammettere che i depo- siti dei minerali metalliferi siano dovuti ad acque minerali e termominerali; queste però, al pari di quanto avvenne negli altri giacimenti, dovettero essere in relazione con la intrusione del massiccio dioritico. Egli anzi osservò come anche a Brosso si abbiano accenni ad hornfels nelle cosidette quarziti dei giacimenti piritosi ed in alcune rocce che affiorano a piccola di- stanza da Brosso. Allo stesso concetto si ispirò Miiller, il quale nel suo lavoro, limitato esclusivamente ai giacimenti di Traversella, si è occupato di essi sotto i vari aspetti geologico, mineralo- gico e minerario (1). Miiller escluse che i banchi di calcare siano distribuiti irregolarmente negli schisti cri- stallini; essi costituirebbero invece due distinti orizzonti di cui l’inferiore, indubbiamente triasico, comprenderebbe le masse calcaree che, partendo da Montalto presso Ivrea, vanno fino oltre la Valchiusella, mentre l’orizzonte superiore, al quale apparterrebbero i banchi calcarei di Traversella, sarebbe di un’età del tutto incerta. Rispetto ai fenomeni di metamorfismo avvenuti nelle masse calcaree, l’autore, senza accennare a fatti sostanzialmente nuovi, concluse che le formazioni di contatto assumono il triplice tipo di hornfels, di serpentini e di masse metallifere, rimanendo in ogni caso visibili le tracce dei calcari preesistenti, per quanto essi abbiano subito modificazioni più o meno intense con produzione di minerali differenti, fra i quali è degna di nota la olivina. Egli ripartì gli hornfels in alcuni gruppi a seconda che in essi prevalgono il pirosseno, il granato o l’anfibolo, senza però descriverli dettagliatamente, se si eccettuano alcuni tipi molto speciali di cui io pure avrò occasione di occuparmi in seguito. Per i serpentini propri dei giacimenti superiori, l’autore, d’accordo con Novarese, li sup- pose derivanti da rocce oliviniche e diede di essi alcuni cenni dai quali risulta che possono (1) Al lavoro è pure unito un breve capitolo in cui l’autore si occupò delle rocce del massiccio; egli però si limitò in esso quasi esclusivamente a riassumere quanto disse Traverso; solo aggiunse alcune osser- vazioni su una roccia da lui considerata come una minetta e su alcuni caratteri delle rocce granulari e porfìriche. Le conclusioni a cui egli giunse non sono del tutto esatte. Egli d’accordo con Eosembusch ammise che le dioriti del massiccio siano tonalitiche; inoltre affermò che il loro plagioclasio è costituito da un’andesina contenente 55 “/o di albite; ora le mie osservazioni, anteriori a quelle di Miiller, escludono la prima di queste affermazioni e rendono insostenibile anche la seconda, bastando all’uopo di ricordare quanto ho detto sulla struttura zonale e sulle conseguenti variazioni di composizione chimica del detto plagioclasio. Parimenti ine- satte sono le conclusioni sue rispetto alle varietà pirosseniche da lui considerate tutte come forme di contatto, mentre in realtà ciò avviene solo per alcune di esse. Al pari di quanto ho fatto io, anche Miiller distinse nelle rocce porfiriche i due tipi delle microdioriti porfìriche e delle vere porfìriti, che sarebbero micaceo-anfìboliche e micaceo-quarzifere. Queste porfìriti furono da lui considerate come molto analoghe le une alle altre, sia che si tratti di rocce vicine o lontane dal mas- siccio, concludendo egli che la differente intensità delle loro tinte dipenda solamente dalle diverse proporzioni dei componenti colorati. Come già ho fatto notare, queste analogie mancano del tutto. Anche nel caso delle porfìriti, poi, non è ammessibile che il plagioclasio debba sempre riferirsi a labradorite, avendo io pure dimo- strato che esso può presentare grandi differenze di composizione. Egli accennò anche alle forme di contatto ed ai fìloni che si hanno sui margini del massiccio, considerandoli come aplitici mentre invece essi hanno, come ho fatto vedere io, un carattei'e micropegmatitico. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOI,. LXVI, N. 3 . 5 essere o lamellari o fibrosi, contenendo in alcuni casi ancora residui di olivina, fatto questo già constatato da Novarese. Nella parte riferentesi allo studio delle formazioni metallifere, l’autore accennò con qualche larghezza ai tipi metalliferi più diffusi, dando anche talvolta qualche indicazione su alcune variazioni dei caratteri morfologici di alcune specie in rapporto alle differenze di giacitura. In base alle sue osservazioni Mùller ammise che esistano grandi analogie fra i giaci- menti di Traversella e quelli di Persberg, studiati da Sjògren (1); anche a Traversella si avrebbero formazioni corrispondenti allo skarn primario di Persberg, le quali sarebbero rap- presentate dagli hornfels, dalle roccie oliviniche e dalle altre masse di silicati proprie dei giacimenti superiori ed inferiori. Questo skarn primario di Traversella sarebbe dovuto ad un metamorfismo più o meno intenso delle masse calcaree, nelle cui parti rimaste inalterate durante la sua formazione, si sarebbero in una seconda fase depositati i minerali metalliferi in una ganga di carbonati più o meno ricchi di ferro. Anche lo skarn primario in alcune sue parti si sarebbe modificato durante questa se- conda fase di metamorfismo, dando luogo ad anfiboliti ed a masse di clorite e di altri sili- cati idrati magnesiaci rappresentati essenzialmente dai serpentini e da masse di talco più o meno ricche in minerali metalliferi, contemporanei per il loro deposito a quelli contenuti nei calcari. Le notevoli differenze fra i vari giacimenti, negli effetti dei fenomeni di metamorfismo, deriverebbero, concordemente a quanto era già stato ammesso da Novarese, dalla loro diversa posizione rispetto al massiccio. Questi studi riassumono lo stato attuale delle nostre cognizioni sui giacimenti di Brosso e di Traversella, in rapporto alla loro costituzione, giacitura e genesi ; ora, se per quanto riguarda quest’ultima, la questione può considerarsi come risolta partendo dal concetto fonda- mentale di Novarese, molti altri fatti rimangono ancora da studiare onde avere un quadro completo dei fenomeni che si svolsero durante la formazione dei detti giacimenti, per quanto riguarda tanto i differenti tipi di formazioni metallifere e metamorfiche in essi esistenti, quanto le loro notevoli differenze, non essendo certamente sufficienti le osservazioni di Mùller. Negli anni scorsi, in ripetute visite fatte ad essi ho avuto modo di raccogliere e di ordinare un materiale molto abbondante ed interessante, per cui potei iniziare e compiere una serie molto estesa di ricerche destinate a portare un discreto contributo alla soluzione delle sopraindicate questioni. Quantunque in molti casi io abbia dovuto limitare le mie osser- vazioni, in causa delle condizioni di difficilissimo accesso ed anche di assoluta impraticabi- lità di alcune gallerie, tuttavia credo che i risultati da me ottenuti non siano del tutto trascurabili. L’area nella quale si svolsero i fenomeni metalliferi è molto grande e forma, come è noto per le ricerche degli autori precedenti, una grande corona lungo il contatto fra il mas- siccio dioriti co e gli schisti cristallini. In queste rocce schistose, analogamente a quanto si osserva nelle analoghe formazioni delle regioni alpine, si hanno numerosi banchi di calcare che in causa di una successione di strozzature assumono il tipo di lenti disposte in serie secondo la schistosità. In essi il cal- care è più 0 meno magnesiaco e spesso è associato a letti di mica, dando luogo a calceschisti disposti generalmente lungo le parti mediane dei banchi calcarei e che talvolta passano a veri micaschisti. (1) Sjogrbn H. J., The Persberg mining field, XI Intera. Geolog. Kongress, 1910. r> LUIGI COLOMBA UICERCIIE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA I giacimenti formano quattro gruppi principali topograficamente distinti. II primo quasi allo sbocco del vallone del torrente Bersella, comjn'ende i giacimenti di Uiondello o di Bertolino, ambedue in diretto contatto col massiccio dioritico. Il secondo, costituito dal giacimento di Castiglione, trovasi nella parte media di detto vallone ed è ancora molto vicino al massiccio, essendo anche attraversato da alcune sue apofisi. Al terzo gruppo appartengono alcuni giacimenti che si trovano nelle parti più alte del detto vallone e di quello adiacente di Avranco; essi sono rispettivamente indicati con i nomi di giacimenti di Montaieu, Pian del Gallo ed Alpe Cima, e sono pure in diretto con- tatto 0 molto prossimi ad alcune masse rocciose che in parte debbono indubbiamente costi- tuire delle apofisi del massiccio, di cui mantengono ancora, come ho fatto altra volta vedere, i principali caratteri petrografici; le altre invece, rappresentate da vere porfiriti, potrebbero anche considerarsi come apofisi appartenenti ad un altro massiccio più profondo e che in parte si sarebbe fatto strada attraverso a quello superiore. Al quarto gruppo appartengono i giacimenti di Brosso, situati lungo il breve vallone percorso dal torrente Assa che discende verso Cessolo; a differenza dei precedenti essi non sono in diretto contatto con le roccie del massiccio. Oltre a questi si hanno alcuni altri giacimenti minori che assumono un carattere filo- niano; tali sono i giacimenti Tempia ed Ajello affioranti dal massiccio fra Vico Canavese e Traversella, quelli della Pinacrosa e della Balma Bianca sul contrafforte occidentale del vallone del Bersella e quello di Borgofranco presso Ivrea. Questa ripartizione ha però solo valore topografico, poiché si osserva che alcuni giaci- menti separati gli uni dagli altri da tratti assai grandi, presentano invece grandi analogie, mentre avviene il fatto inverso per giacimenti molto vicini. Ciò avviene per i giacimenti filoniani i quali, malgrado la loro distanza da Brosso, deb- bono considerarsi come i prolungamenti di alcune paraclasi di detti giacimenti. Parimenti il giacimento di Castiglione, per quanto molto vicino a quello di Biondello, ha analogie molto maggiori con quello di Pian del Gallo, mentre quello di Montaieu, pur essendo molto vicino a quest’ultimo, si scosta nettamente da esso per i suoi caratteri. Data la vastità deU’argomento, non essendomi possibile di riassumere nella presente memoria i risultati di tutte le mie osservazioni, mi limito per ora ad occuparmi esclusi- vamente dei giacimenti inferiori di Traversella e precisamente di quelli di Biondello e di Bei’tolino, rinviando ad un’altra memoria lo studio degli altri giacimenti e le considerazioni generali che si possono desumere, come conclusioni finali, dairesame complessivo di tutti i giacimenti. Nella presente memoria incomincierò colla descrizione dei caratteri generali dei detti giacimenti, per quanto si riferisce alla disposizione ed allo sviluppo delle masse metallifere e delle formazioni metamorfiche, sia rispetto al massiccio intrusivo, sia nei loro mutui rap- porti, tenendo anche conto delle relazioni che le collegano agli schisti cristallini incassanti. In seguito descriverò brevemente i principali tipi delle dette formazioni, considerandole sotto il duplice aspetto mineralogico e petrografico. 1°. — Caratteri generali dei giacimenti, I. Il giacimento di Biondello si distingue da tutti gli altri appartenenti al bacino del Bersella per la sua grande estensione, per la intensità e per la varietà veramente notevoli dei fenomeni di metamorfismo ; invece il giacimento Bertolino è molto piccolo, essendo esso MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, "VOL. LXVI, N. 3 . 7 limitato ad una sola galleria che si apre a monte di quelle appartenenti al giacimento di Riondello e ad una distanza così breve da rendere difficile di poterlo considerare come indipendente da esso; risulta quindi molto più logico di ammettere che esso costituisca semplicemente una parte, anche non eccessivamente importante, del precedente, al quale si avvicina del resto moltissimo per il complesso dei suoi caratteri mineralogici e metalliferi. Le grandi masse metallifere proprie di questi giacimenti sono essenzialmente costituite da magnetite; è pure abbondante la pirite; meno frequenti, ma ancora molto diffuse, sono la calcopirite e la pirrotite, la cui giacitura però, nella maggior parte dei casi lascia sup- porre una origine indipendente da quella della magnetite, potendosi ammettere che esse siansi formate in una fase posteriore, forse indipendente dalla intrusione del massiccio dioritico. A questi minerali metalliferi principali se ne associano molti altri più o meno diffusi nell’interno dei giacimenti, i quali o possono considerarsi ancora come veri minerali metal- liferi, sebbene siano piuttosto scarsi, oppure sono da riguardarsi come minerali di ganga o come appartenenti alle formazioni metamorfiche ; tutti questi minerali però, sebbene presen- tino spesso caratteri mineralogici assai notevoli, come risulta dai numerosi studi che ad essi si riferiscono (1), non hanno generalmente importanza mineraria apprezzabile, salvo poche eccezioni. Le osservazioni inerenti alla disposizione che presentano le masse metallifere e meta- morfiche nella regione Riondello-Bertolino, hanno grande importanza, poiché, mentre per un lato permettono di stabilire se le dette masse debbano o no considerarsi come appartenenti ad un solo banco calcareo, per altro lato permettono di studiare in modo completo il diretto meccanismo dei depositi, A questo scopo riesce molto utile lo studio del piano del giacimento stesso fatto in questi ultimi anni dall’ing. Aronson e che io ho riportato, nelle sue parti principali, nella qui unita figura. In essa sono riprodotti gli andamenti delle principali gallerie del giaci- mento di Riondello e dell’unica costituente il giacimento Bertolino ; dall’esame dei materiali da esse attraversati è facile farsi un concetto chiaro della reciproca disposizione presentata nei detti giacimenti dalle numerose formazioni metallifere e metamorfiche da cui sono co- stituiti. (1) Questi studi furono si può dire iniziati, durante il tempo in cui tutti i detti giacimenti erano in piena lavorazione, con i classici lavori di Sella sui geminati di dolomite, calcite e quarzo (“ Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1856), di Descloiseaux sul quarzo (“ Mém. de l’Acad. de Trance ,, 1858) e di Struever sulla pirite (“ Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino 1869); già prima di questi autori il Dufrenoy si era occupato della villarsite (“ Compt. Rend. de l’Acad. de Trance 1842). A questo periodo appartengono i lavori di Scheerer sulla traversellite (“ Verhand. der K. Sachs. Gesellsch. der Wissensch. ,, 1858), di Struever sulla magnetite e sulla ematite (“Atti d. R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1871), di Bauer sulla scheelite (“ Jahresb. der Wurth. Naturw. Gesellsch.,, 1876), di Lavalle sul pirosseno (“Mem. della R. Accad. dei Lincei ,, 1884), di Brugnatelli su alcuni cristalli di pirite di Brosso (“ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1885). In seguito fuvvi un periodo di sosta, dopo il quale le ricerche furono attivamente riprese : a questo periodo di nuova attività ho pure io cooperato con una seide di note sulla baritina, sulla scheelite, sulTapo- 611ite e su varie altre specie poco note o non descritte di Brosso e di Traversella (“ Atti d. R. Acc. dei Lincei ,, 1906-1907-1909) ed in ultimo con una breve descrizione di un nuovo anfibolo indicato da me col nome di speziaite (“ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino „, 1914); ad esso appartengono pure i lavori di Spezia sulle inclusioni di anidride carbonica liquida nella calcite di Traversella (“ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino „, 1907), di Zambonini sulle scheelite (“ Atti della R. Accad. dei Lincei „, 1906), sull’epidoto di di Montaieu (“ Zeitscbr. fiir Krist., ecc. ,, 1902) e quelli di Johnsen sulla pirite di Brosso (“ Centralbl. fiir Min., ecc. „, 1902), di Deigrosso su alcuni carbonati misti di calcio, ferro e magnesio (“ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1914) e di Grill sul granato e su alcuni solfosali di Brosso {“ Atti della R. Accad. dei Lincei ,, 1913-14). 8 LUIGI COLOMBA RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA Fra queste gallerie sono specialmente degne di nota le due Mongenet, che sono ambedue scavate nelle parti inferiori del giacimento. Di esse, la più bassa, nota sotto il nome di Ribasso Mongenet, si apre sulla sponda destra del Bersella, ma si porta subito, passando sotto all’alveo del torrente, sulla sponda sinistra, dirigendosi sostanzialmente verso oriente, malgrado alcuni cambiamenti di direzione che si osservano lungo il suo percorso, come si può vedere dal piano del giacimento, in cui essa è indicata colla lettera A. A = dibasso Mongenet B = Gali eriaMongenel C = Galleria Riccardi (Cava a.B. J numeri rappresentano le juolc in metri sull' imbocco dd dibasso Monpenel . Ca l cari Rocce anfìboliche Mosse. metallifere Fig. 1. L'altra galleria, nota semplicemente col nome di galleria Mongenet ed indicata nel sopraccennato piano colla lettera 5, si apre sulla sponda sinistra del torrente ad una tren- tina di metri più in alto della precedente, a cui si mantiene pressoché parallela, a parte alcune piccole deviazioni che si osservano sul suo percorso. Ambedue queste gallerie sono nella loro prima parte, sebbene per tratti molto diffe- renti in lunghezza, scavate negli schisti cristallini; poscia, dopo aver attraversato una serie di hornfels pirossenici e granatiferi, penetrano in una grande massa di calcare più o meno intensamente modificato, incontrando poscia formazioni molto differenti, in causa del diverso loro livello. Il Ribasso Mongenet incontra una estesa formazione di hornfels prevalentemente piros- senici e di rocce anfiboliche ; poi, dopo essere ritornato per un certo tratto nuovamente nel 9 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. * 3 . calcare, incontra nuovi hornfels pirossenico-granatifeiù, ed in ultimo, nella sua parte terminale, penetra in una massa metallifera che giunge quasi fino al massiccio dioritico, essendone separata solamente da una esile fascia di hornfels analoghi ai precedenti. Invece la galleria Mongenet, dopo aver percorso un breve tratto nel calcare, incontra una massa metallifera che attraversa in tutta la sua lunghezza, dopo di che ritorna nel calcare e ad un certo punto si divide in due diramazioni ; una di esse discende e raggiunge il Ribasso Mongenet nel punto in cui questo penetra nella già accennata massa metallifera terminale; l’altra invece, dirigendosi direttamente verso sud-est, si innalza, sebbene di poco, e viene a terminare contro la formazione schistosa ; lungo il suo percorso la galleria Mon- genet presenta alcune altre diramazioni e sempre si osserva che in quelle ascendenti comin- ciano a comparire, specialmente al tetto, gli schisti cristallini. Anche il Ribasso Mongenet presenta, appena oltrepassata la prima serie di hornfels, una diramazione rettilinea diretta verso sud-est, la quale in tutta la sua lunghezza di un centi- naio di metri, è scavata nel calcare, presentando solo alla sua estremità qualche accenno a rocce anfiboliche e pirosseniche. Un’altra galleria molto estesa è la Galleria Riccardi o Cava Grande, indicata colla let- tera C nel sopraccennato piano ; essa si apre più a nord della galleria Mongenet, ad un livello di circa 50 metri su quello del Rilasso Mongenet, e dopo aver percorso un tratto orizzontale di un centinaio di metri verso est, attraverso agli schisti cristallini, incontra una massa metallifera molto estesa ; dopo averla attraversata, la galleria scende rapidamente di una ventina di metri, su un percorso di un centinaio di metri verso est, attraversando una nuova serie di schisti cristallini ; entra poscia in una massa metallifera, accompagnata da carbonati vari e da hornfels, che giunge fino al suo termine. II. Dall’esame dei materiali in cui sono scavate le dette gallerie e dal loro andamento si giunge, almeno a mio parere, alla conclusione che nel loro complesso le masse metallifere e metamorfiche attraverso alle quali esse passano debbano considerarsi come appartenenti a più banchi di calcare indipendenti e sovrapposti gli uni agli altri e non ad uno solo, come ammise Muller, il quale anzi, allo scopo di spiegare la esistenza di dette masse a livelli molto differenti, fu costretto a supporre che l’unico banco di calcare al quale esse dovrebbero appartenere, sia molto contorto, per quanto queste contorsioni non si manifestino affatto negli schisti cristallini circostanti. Se si considerano le due gallerie Mongenet, da quanto ho detto riguardo al loro anda- mento, credo che si possa escludere la esistenza fra l’una e l’altra di una qualsiasi traccia di schisti cristallini ; quindi, se si considerano le posizioni relative di dette gallerie in rap- porto alle masse calcaree, metallifere e metamorfiche da ambedue attraversate, non vi può esser dubbio che esse debbano appartenere ad uno stesso banco calcareo, il quale lungo il contatto cogli schisti cristallini o con le rocce del massiccio presenterebbe un orlo assai esteso, per quanto discontinuo, di formazioni metallifere e metamorfiche. Però questo banco di calcare non deve prolungarsi molto al disopra dei massimi livelli raggiunti dalla galleria Mongenet, poiché, come già ho detto, in molti punti di quest’ultima galleria e nelle sue diramazioni si hanno schisti cristallini al tetto. Non si può quindi ammet- tere che la massa metallifera incontrata dalla galleria Riccardi, appena oltrepassato il primo tratto di schisti cristallini, appartenga al detto banco calcareo. Ciò, d’altra parte, è pure escluso dalle formazioni attraversate da quest’ultima galleria, poiché il fatto che fra la sud- detta massa metallifera e quella in cui é scavata la sua parte terminale esiste una forma- 10 LUIGI COLOMBA RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA zione molto potente di schisti cristallini, dimostra che le due masse metallifere sono indi- pendenti. Ora, se si considera che la galleria Riccardi nella sua parte terminale è ad un livello non superiore a quello della galleria Mongenet, è logico di ammettere che la grande massa metallifero-metamorfica in cui detta parte è scavata appartenga allo stesso banco calcareo nel quale sono scavate per la massima parte le due gallerie Mongenet. Anche l’esame delle formazioni attraversate dalle gallerie superiori e talora direttamente affioranti nelle parti più elevate del giacimento, conferma queste mie conclusioni ; infatti si nota a Riondello che, oltre alle masse metallifere e metamorfiche a cui già ho accennato, se ne hanno altre collocate a livelli molto più alti e che oscillano fra i 50 ed i 100 metri sulla quota di livello del Ribasso Mongenet. Ora alcune di queste masse sono direttamente soprastanti a quelle che si hanno nelle parti terminali delle gallerie Mongenet e Riccardi, e poiché fra le une e le altre è interposta la grande massa di schisti cristallini in cui è scavata la parte intermedia di quest’ultima galleria, ne consegue che le dette masse deb- bono essere indipendenti. A questo banco calcareo superiore deve pure appartenere, secondo il mio modo di ve- dere, la massa metallifera della galleria Bertolino; invero se si considera quella attraversata nella sua prima parte dalla galleria Riccardi, si nota come essa si prolunghi nella direzione della galleria Bertolino, essendo ciò provato dal fatto che nella breve galleria Muto che si apre fra la galleria Bertolino e la galleria Riccardi, quasi allo stesso livello di quest’ultima, si ha una massa metallifera che per la sua giacitura e per il livello a cui comparisce deve indubbiamente considerarsi come un prolungamento verso la galleria Bertolino di quella attra- versata dalla galleria Riccardi ; e poiché i livelli sono molto prossimi e le distanze sono molto piccole, é assai probabile che essa venga ad unirsi a quella della galleria Bertolino, avendosi nel tratto attraversato dalla galleria Muto come una strozzatura. L’esistenza di almeno due banchi calcarei nella regione Riondello-Bertolino é pure con- fermata dall’esame dei materiali estratti dal più profondo dei due fori di sondaggio scavati nella galleria Bertolino, indicato nel piano di giacimento col n° II. Invero si nota che esso, su una profondità complessiva di circa 80 metri, presenta la seguente successione dall’alto verso il basso : 1) Carbonati metalliferi (calcari) con letti di magnetite. 2) Honifels pirossenici e granatiferi. 3) Schisti metamorfici ricchi in quarzo. 4) Carbonati e masse talcose con letti di magnetite. 5) Hornfels pirossenici. 6) Calcari granulari con pirite diffusa. 7) Masse cloritose, serpentini metalliferi, anfiboliti pirosseniche e pirosseniti. 8) Dioriti. Risulta evidente da questa successione che le masse di carbonati si ripetono più volte nei detti materiali, e se anche si vogliono unire insieme quelle dei numeri 4 e 6 perché solamente separate’ da hornfels, é invece necessario considerare come del tutto distinta dalle altre quella del numero 1, essendo essa separata da uno strato molto spesso (28 metri circa) di schisti metamorfici. Se quindi si ammette che la massa metallifero-calcarea superiore del giacimento Ber- tolino corrisponda a quella superiore di Riondello, la stessa corrispondenza dovrà ammet- tersi per le masse metalli fero-calcaree inferiori presenti nell’uno e nell’altro giacimento. Nello schizzo riportato nella qui unita figura é riprodotta una sezione del giacimento di Riondello, nella quale é rappresentata la disposizione che, secondo il mio modo di vedere, presentano le masse calcaree, metallifere e metamorfiche e le formazioni schistose nelle parti MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3 . 11 centrali del giacimento. Essa fu ottenuta seguendo approssimativamente il percorso delle gallerie Mongenet. In essa, come si vede nella detta figura, ho segnato una gi’ande apofisi del massiccio che penetra nel banco inferiore di calcare, giungendo fino al livello del Ribasso Mongenet ; Schistf Detriti di fa / da V VV V V V V V V W V Dioriti ÀÀ' z pe rcorso atei Ribasso Aionqe nat B - di sond ajjw tV, V Fior. 2. sarebbe essa rappresentata dalle rocce anfiboliche incontrate da detta galleria nella su'' parte centrale ; sono stato indotto ad ammettere questo legame fra le dette rocce e quelle del massiccio, perchè, come farò vedere in seguito, esse non sono affatto da considerarsi come semplici anfiboliti. III. Dalle osservazioni compiute sul complesso dei fenomeni di metamorfismo che si hanno, non solo a Traversella, ma in tutta l’aureola di contatto del massiccio intrusivo, è facile di constatare come essi si possano ripartire in due serie ben definite ; di queste una, i cui effetti si manifestano con una completa continuità lungo tutta la detta aureola di contatto, deriva dalle azioni compiutesi nelle rocce schistoso-calcaree in conseguenza dell’intrusione del massiccio, ed è caratterizzata, oltreché da una grande estensione intorno al detto mas- siccio, anche da una grande uniformità ; l’altra invece, localizzata solamente in alcune parti della detta aureola, è da considerarsi come dovuta a quelle azioni mineralizzatrici che, durante l’intrusione del massiccio ed anche posteriormente ad essa, determinarono la comparsa dei giacimenti metalliferi e delle numerose formazioni metamorfiche ad essi associate. Queste due serie di fenomeni di metamorfismo sono in molti casi nettamente distinte ; in altri casi invece compariscono promiscuamente, dando luogo a delle forme speciali deri- vanti dal sommarsi degli effetti dell’una e dell’altra. 12 LUIGI OOl-OMIiA KICKKCHE SUI GIACIMENTI DI 15KOSSO E DI TRAVEUSELLA La reale esistenza della prima serie di formazioni metamorfiche indipendenti dai feno- meni metalliferi, non può essere messa in dubbio; infatti, mentre nelle zone più intensa- mente mineralizzate, le rocce che formano i termini di immediato contatto fra gli schisti cristallini e lo rocce del massiccio e quelle che sono in diretto contatto con gli hornfels, con le rocce affini e con le masse metallifere presentano dei caratteri molto speciali, per cui talvolta quelli primitivi non sono più riconoscibili, si hanno invece altre zone molto differenti in cui i fenomeni metalliferi non si sono manifestati. In dette zone si hanno delle rocce le quali, pur essendo ancora da considerarsi come termini di immediato contatto col massiccio dioritico, hanno caratteri metamorfici molto meno spinti, osservandosi anzi in esse un gra- duale diminuire nelle loro modificazioni strutturali e mineralogiche, quanto più sono lontane dal massiccio; così ad esempio si hanno degli schisti cristallini che passano gradatamente alle forme normali, facilmente determinabili, nelle regioni della stessa Valchiusella poste a sufficiente distanza dal massiccio dioritico. Ho già nella prima parte di queste mie ricerche accennato ad alcuni speciali tipi di l’occe che apparivano sotto forma di esili intercalazioni schistose nella massa delle dioriti appartenenti alle zone più superficiali del massiccio, oppure sotto forma di inclusi contenuti nelle stesse dioriti; già allora ho fatto vedere come in esse i caratteri primitivi degli schisti cristallini si mantenessero ancora abbastanza evidenti, solo avendosi alcune modifica- zioni spiegabili per le speciali condizioni nelle quali essi erano venuti a trovarsi. Gli stessi fatti si osservano in alcune altre zone dell’aureola di contatto nelle quali si può con molta evidenza e sicurezza osservare il contatto diretto delle rocce del massiccio con gli schisti cristallini. Una località veramente caratteristica a questo riguardo trovasi a monte della galleria Bertolino, lungo il sentiero che conduce al giacimento di Castiglione; quivi è visibile il diretto contatto fra le due formazioni, e poiché vennero fatti alcuni scavi allo scopo di avere dei materiali da costruzione, è facile di osservare frammenti nei quali non solo sono visibili intercalazioni di filoni micropegmatitici, ma pur anche di veri filoni dioritici negli schisti cristallini, i quali, pur essendo metamorfici, non presentano traccia di quelle profonde modi- ficazioni che si osservano invece molto chiaramente dove essi vennero sottoposti alle azioni mineralizzatrici che determinarono la formazione dei depositi metalliferi. Ma anche senza giungere a quelle forme nelle quali, in causa dell’eccezionale intensità delle azioni mineralizzatrici, vennero completamente a scomparire i caratteri primitivi degli schisti cristallini, se si considerano le forme meno modificate che si trovano lungo il con- tatto con gli hornfels e con le masse metallifere, si può sempre conchiudere che in esse si hanno modificazioni molto superiori a quelle presentate da quelle forme che appariscono nella massima parte dell’aureola di contatto e nelle quali non si trova nessuna traccia di azioni metamorfiche postei'iori a quelle manifestatesi durante l’intrusione del massiccio; quindi anche in questi casi riesce sempre possibile di distinguere le forme appartenenti alle due serie, sebbene esistano spesso dei passaggi graduali dall’una all’altra, con produzione di termini intermedi. Le cose dette per gli schisti cristallini si possono ripetere per i banchi calcarei ed anzi con maggior ragione, poiché essi hanno subito nelle due fasi di metamorfismo delle modificazioni molto più intense, per il fatto che fu essenzialmente a loro spese che si for- marono i depositi metalliferi con tutto il loro accompagnamento di hornfels e di rocce affini. Anche in questo caso riesce generalmente abbastanza facile di distinguere le due serie di calcari metamorfici, tanto più se si confrontano con quelle forme che si debbono conside- rare come normali e che appariscono in vari punti della Valchiusella ed in modo speciale alla Cima Bossola ed in Val Bona. Nei termini appartenenti alla prima serie le modificazioni sono sopratutto strutturali. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3 . 13 pur non potendosi in modo assoluto escludei’e la comparsa di modificazioni chimiche o mi- neralogiche; in esse l’influenza delle azioni di contatto è facilmente determinabile, perchè le modificazioni vanno gradatamente diminuendo coll’ aumentare della loro distanza dal massiccio. Quelli della seconda serie presentano invece una straordinaria varietà di tipi e di forme, che in alcuni casi si debbono considerare come dipendenti dal fatto che essi appartengono a quelle zone nelle quali i fenomeni di mineralizzazione assunsero la massima intensità, mentre in altri casi sono riferibili a fenomeni speciali ed a cause particolari che agirono solamente in determinate condizioni. Ne consegue che in questi calcari della seconda serie, oltre a modificazioni strutturali molto più intense che non in quelli della prima serie, si notano delle sensibilissime varia- zioni nella composizione chimica, per cui la primitiva natura loro può anche mancare com- pletamente ; inoltre si presentano spesso ricchi in minerali molto differenti, a seconda della loro posizione rispetto a determinate forme di intenso metamorfismo. IV. Considerando il percorso delle due gallerie Mongenet, si vede come tanto in una quanto nell’altra si abbia un rapporto costante di posizione fra le masse metamorfiche e metalli- fere e le formazioni schistose e calcaree, osservandosi sempre che le dette masse appariscono lungo il contatto fra gli schisti cristallini ed i calcari; mentre poi gli hornfels e le rocce affini formano un involucro continuo intorno ai calcari, le masse metallifei’e invece si pre- sentano disseminate qua e là in accentramenti irregolari. Questa disposizione delle masse metamorfiche e metallifere è in certi limiti abbastanza costante in tutta l’estensione del giacimento. Nella galleria Riccardi si nota infatti che la sua parte più interna corre per un tratto abbastanza lungo, seguendo quasi esattamente il contatto fra il calcare e gli hornfels che lo cingono da ogni parte. Un’altra località, appartenente ancora al giacimento di Riondello, che offre pure occa- sione di compiere alcune interessanti osservazioni sulla reciproca posizione delle principali formazioni che si hanno in detto giacimento, trovasi nella sua parte superiore, dove esso viene a finire contro la parete del massiccio dioritico ; quivi si ebbe, molti anni fa, quando i lavori erano completamente abbandonati, una grande frana che mise allo scoperto, su un tratto abbastanza esteso, l’interna struttura del giacimento, rimanendo perfettamente visibili i suoi ultimi lembi. In questa località, che è incontrata dal piano della sezione da me riportata nella fig. 2, apparendo in essa nella parte più alta a destra di chi osserva, le rocce schistose, contenenti alcune intercalazioni calcaree più meno metamorfosate ed appartenenti al banco superiore di calcare, formavano una anti cimale molto schiacciata; poiché la rottura che determinò la frana seguì quasi esattamente il dorso dell’anticlinale stessa, ne venne che dalle due parti della rottura si osserva la stessa successione di rocce, rappresentate dai seguenti tipi a partire dall’esterno : 1) Micaschisti superficiali metamorfici. 2) Calcari in esili strati mineralizzati e contenenti disseminati abbondanti cristalli di pirite, generalmente distorti. 3) Hornfels (pirosseniti e pirosseniti granatifere). 4) Schisti cristallini metamorfici ed infiltrati più o meno estesamente di minerali delle rocce precedenti. 14 I.UIUI COl-OMHA KICEltCHE SUI GIACIMENTI DI «ROSSO E DI TKAVEKSELLA 5) Calcari più o meno modificati con intercalazioni di talco e magnetite con vari altri minerali. 6) Schisti cristallini analoghi ai precedenti. 7) Hornfels (pirosseniti e pirosseniti anfiboliche). Queste formano il dorso attuale dell’anticlinale e sembrano appoggiare direttamente sulle roccie del massiccio dioritico. Come si vede, in questo punto la successione delle vai’ie formazioni rocciose apparisce più complessa che non nelle parti inferiori attraversate dalle gallerie Mongenet, specialmente per il fatto che la massa calcarea più fortemente mineralizzata, quella cioè corrispondente al numero 5, apparirebbe chiusa entro due strati di schisti cristallini, essendo le rocce di tipo hornfelsico al di là di questi. Se però si tiene conto che a Traversella, analogamente del resto a quanto pure si os- serva a Brosso, si hanno spesso neH’interno dei banchi calcarei e specialmente presso i loro contatti con gli schisti cristallini, delle esili intercalazioni di queste ultime rocce, la strut- tura complessa presentata da questo estremo lembo del giacimento di Biondello, non ha più nulla di straordinario che lo stacchi da quanto comunemente si nota in detto giacimento, rimanendo anche in questo caso costante il fatto che le rocce hornfelsiche e quelle affini ad esse sono in contatto con gli schisti cristallini. Lo stesso fatto si osserva nella galleria Bertolino, per quanto in essa gli involucri horn- felsici siano solo parziali; infatti in questa parte del giacimento, se si considerano anche i ma- teriali attraversati dal foro di sondaggio al quale ho precedentemente accennato, sempre si nota la presenza di masse metamorfiche accompagnate da masse metallifere, le quali però sono esclusivamente limitate ai contatti inferiori fra schisti cristallini e calcari, mancando invece completamente in quelli superiori. Non mancano a Biondello casi nei quali sembra che manchi o si renda almeno molto meno certo questo rapporto ; però anche in questi casi la mancanza è più che altro apparente, dipendendo solamente dalla esistenza di altre rocce pure metamorfiche le quali sono inter- calate fra quelle sopracitate. Se si esaminano i materiali raccolti durante lo scavo dei fori di sondaggio, si ricavano dei dati molto interessanti. Il foro n. V scavato in fondo alle gallerie Mongenet, cioè nella massa metallifera in cui convergono le due dette gallerie, presenta la seguente successione di materiali dall’alto verso il basso, su una profondità di circa 85 metri. 1) Carbonati e calcari metalliferi con letti di magnetite. 2) Hornfels (pirosseniti e masse granatifere). 3) Calcari metamorfici. 4) Hornfels (pirosseniti di vario tipo con solfuri metallici: pirite, pirrotite e calcopirite). 5) Carbonati e calcari metalliferi analoghi ai superiori e passanti in basso ad hornfels. 6) Schisti fortemente metamorfici. 7) Dioriti. I fori III e IV, scavati nelle parti terminali della galleria Biccardi distano di pochis- simo l’uno dall’altro e per di più hanno i loro sbocchi quasi allo stesso livello; in essi si os- servano le seguenti successioni di materiali dall’alto verso il basso, essendo rispettivamente profondi 53 e 74 metri. Foro n. Ili: 1 (A) Masse talcose con magnetite. 2{B) Hornfels verdi scuri (pirosseniti ed anfiboliti micacee). 3(C) Calcari metamorfici con anfibolo. 4(Z)) Hornfels granatiferi e pirossenico-granatiferi. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 15 5(-^ Carbonati e masse talcose e cloritose con magnetite. 6 (i^) Schisti cristallini metamorfici. Foro n. IV : 1 (A') Carbonati apatici con magnetite. 2(B') Hornfels pirossenici e granatiferi; hornfels cloritosi. 3 ((7') Calcari metamorfici con granato. 4(Z)') Hornfels pirossenici e pirossenico-granatiferi. h{E') Masse di clorito, talco e serpentino con pirite, calcopirite e scarsa magnetite. 6(1^') Schisti metamorfici. Nella qui unita figura sono rappresentati con le relative lettere le sezioni verticali dei detti due ultimi fori; io ho anzi, allo scopo di rendere più evidenti i legami che uniscono i materiali attraversati dai due pozzi, riunito, mediante tratteggiate, quelle formazioni le quali, pur essendo molto differenti per sviluppo, si debbono in essi considerare come corrispondenti, ottenendo in tal modo una sezione schematica del giacimento nel tratto compreso fra di essi. Come si vede dai dati sopra esposti, non sempre nei detti casi si osserva 1 ’esistenza di un contatto fra gli hornfels e gli schisti metamorfici ; però quando questo contatto manca si è perchè fra gli uni e gli altri si hanno delle masse metallifere a ganga o di carbonati o di idrosilicati ferromagnesiaci, per cui si mantiene ancora resistenza di un contatto fra gli schisti cristallini e le formazioni metamorfiche. In altri casi la esistenza di masse hornfelsiche non a contatto con gli schisti metamorfici e quindi con i confini dei banchi calcarei, si può spiegare come conseguenza di fenomeni locali di metamorfismo. Tale è il caso della grande massa di pirosseniti e- di rocce anfiboliche che comparisce lungo il Ri- basso Mongenet, nella sua parte mediana. Come già ho detto, io non credo che la massa di rocce anfiboliche che in detto tratto del Ribasso Mongenet è in- clusa nelle pirosseniti, debba considerarsi come una vera anfibolite o meglio ancora come una roccia paramorfica delle pirosseniti incassanti. Essa invece deve costituire una vera apo- fisi del massiccio, la quale, penetrando ampiamente nell’interno del banco calcareo, ha deter- minato in esso una serie di fenomeni di metamorfismo analoghi a quelli visti prima, avendosi come conseguenza la comparsa di hornfels analoghi ai precedenti. Nè questo è il solo punto in cui tale fatto si rende visibile a Riondello; percorrendo » l’avanzamento laterale ultimamente scavato nel Ribasso Mongenet, si nota che verso la sua > attuale parte terminale, comparisce una roccia perfettamente paragonabile alle rocce anfi- boliche a cui ho prima accennato; anch’essa è in contatto col calcare ed ha dato luogo, in j; conseguenza di questo contatto, a delle pirosseniti il cui tipo non differisce da quello prima f indicato, mentre il calcare apparisce nelle vicinanze pure intensamente modificato, r Considerando complessivamente queste relazioni di posizione che nelle zone intensa- ^ mente mineralizzate non in diretto contatto col massiccio dioritico si hanno fra gli schisti cristallini ed i banchi calcarei da un lato e gli hornfels, le rocce affini e le masse metalli- ^ fere dall’altro, si giunge alla conclusione che rappresentando questi materiali le forme che •5 in dette zone corrispondono ai massimi effetti del metamorfismo e della mineralizzazione, ^ anche a Riondello, analogamente a quanto fu osservato da Bonacossa a Brosso, i detti feno- 4 meni si manifestarono sopratutto lungo il confine fra i banchi calcarei e gli schisti cristal- \ ' \ Fig. 3. 16 LUIGI COLOMBA RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA lini incassanti, per il fatto che ivi si avevano delle soluzioni di continuità che rendevano più facile la circolazione degli agenti mineralizzatori e quindi più sensibili i loro effetti. Ne consegue che, diminuendo l’intensità di questi effetti coll 'allontanarsi da dette zone di contatto fra calcari e schisti cristallini, analogamente a quanto si osserva in questi, anche in quelli si passa gradatamente a forme sempre meno modificate per causa delle azioni mine- ralizzatrici, fino a giungere a forme nelle quali queste azioni sono state completamente nulle. Ciò spiega perchè nell’interno dei banchi calcarei si abbiano sempre plaghe più meno estese nelle quali solo si riconoscono gli effetti del metamorfismo di carattere più generale dovuti alla intrusione del massiccio dioritico. Queste plaghe interne semplicemente metamorfiche sono generalmente spostate verso le parti esterne dei banchi calcarei, cioè verso le loro parti più lontane del massiccio dioritico. Ciò è in relazione col fatto che i fenomeni di metamorfismo e di mineralizzazione presentano sempre una intensità molto maggiore nelle parti dei banchi stessi più prossime al massiccio, essendo quindi in tali parti molto più estesi ed evidenti i loro effetti, che non nelle loro parti esterne, quantunque anche in queste si abbiano forme intensamente metamorfiche rappresen- tate dagli hornfels e dalle masse metallifere ad essi associate. Il giacimento di Riondello-Bertolino, al pari di quanto del resto si nota in tutti gli altri giacimenti dello stesso gruppo, è ricchissimo di minerali differenti ed anche di tipi molto variati di rocce, la cui origine è senza dubbio connessa intimamente alla natura delle mani- festazioni endodinamiche ed alle condizioni nelle quali esse si svolsero nelle azioni di contatto. Lo stesso fatto si nota in tutti gli altri giacimenti in relazione col massiccio dioritico; però, come già ho detto e come d’altra parte risulta dalle osservazioni degli autori prece- denti, fra i vari giacimenti esistono delle differenze molto grandi sia dal lato mineralogico che strutturale, mentre invece tali differenze mancano del tutto o sono pochissimo accen- tuate nelle parti dell’aureola di contatto nelle quali mancano i depositi metalliferi. Si può quindi affermare che, mentre i fenomeni di metamorfismo dipendenti esclusivamente dall’in- trusione del massiccio si manifestarono con una sensibile uniformità, variando'solo da punto a punto la loro intensità, ciò non avvenne invece per le azioni mineralizzatrici che accom- pagnarono la formazione dei depositi metalliferi, avendo esse dato luogo ad effetti molto differenti non solo per quanto riguarda la natura chimica e mineralogica dei materiali for- matisi, ma pur anche per quanto ne riguarda la distribuzione. Questa varietà di tipi non può per altro considerarsi come un fatto straordinario, perchè, data la grande estensione dei fenomeni di mineralizzazione e di deposito e data anche la loro lunga durata, è logico di ammettere che abbiano potuto svolgersi manifestazioni di tipo molto differente, potendosi il fenomeno generale della intrusione del massiccio dioritico sud- dividere in diverse fasi di attività decrescente, da quella in cui il detto fenomeno si ini- ziava per opera del magma ancora fluido, a quelle posteriori nelle quali il massiccio già andava gradatamente consolidandosi od era già del tutto consolidato. A quali di queste fasi debbano riferirsi i vari 'giacimenti o meglio ancora le singole parti dei vari giacimenti non è possibile di stabilire senza uno studio accurato dei mate- riali rocciosi appartenenti ai singoli giacimenti; per il che credo utile per lo scopo prefis- somi, di riassumere i risultati delle osservazioni da me compiute sui materiali rocciosi pro- venienti dal giacimento di Riondello-Bertolino, incominciando dalle forme meno intensamente modificate. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. I.XVI, N. 3. 17 2°. — Formazioni metamorfiche e metallifere esterne e poco profonde. I. “ HoRNPELS „ E ROCCE AFFINI. Nella serie delle formazioni metamorfiche riferibili agli liornfels od a rocce ad essi affini si distinguono due gruppi ; il primo comprende quelle rocce che formano gli involucri par- ziali 0 totali dei banchi calcarei lungo i loro contatti con gli schisti cristallini; il secondo comprende un certo numero di forme che si trovano generalmente nelle parti più interne del giacimento, essendo talvolta in immediato contatto col massiccio dioritico. Mentre le prime si presentano nella massima parte dei casi come tipi litologici ben definiti, quelli invece appartenenti al secondo gruppo hanno caratteri variabilissimi. Fra di esse ve ne sono però alcune che presentano ancora una discreta analogia con le rocce del gruppo precedente, differendo da esse sopratutto per una maggiore complessità di composi- zione e per una meno regolare distribuzione dei loro componenti, per modo che non sono più perfettamente determinabili dal lato litologico. Non sempre queste forme si debbono considerare come derivanti da metamorfismo dei calcari ; alcune di esse invero costituiscono delle intense modificazioni degli schisti cristallini in seguito ad azioni di immediato contatto, per cui i detti schisti vennero ad assumere ca- ratteri metamorfici molto più spiccati di quanto si osservi lungo i loro contatti con i banchi calcarei. Altre fra queste forme appartenenti al secondo gruppo, invece che alle rocce incassanti debbono riferirsi alle zone superficiali del massiccio, costituendo per conseguenza dei tipi esomorfi del massiccio stesso. Altre infine sono costituite da masse di silicati prevalentemente magnesiaci e ferriferi, spesso idrati e che in alcuni casi passano a veri serpentini. Mùlier riferì tutte queste rocce ad un unico gruppo, considerandole come costituenti lo skarn primario, e considerò quelle ricche in idrosilicati di magnesio e di ferro come prove- nienti dalle altre in seguito ad un processo di alterazione che si sarebbe svolto durante la fase metallifera, da lui ammessa come posteriore a quella in cui si sarebbe formato il detto skarn. Anzi, almeno per quanto riguarda il giacimento di Riondello, non è ben chiaro se Mùlier consideri il detto skarn come realmente dipendente dalla intrusione del massiccio dioritico. Egli ha fatto solo eccezione per alcune forme molto complesse, le quali debbono rife- rirsi a quelle modificazioni avvenute nelle zone superficiali del massiccio. Io non credo che il concetto di Mùlier, secondo il quale le masse di silicati prevalente- mente idrati di magnesio e ferro dovrebbero sempre considerarsi come prodotti di alterazione di altre rocce riferibili agli liornfels, sia completamente sostenibile, poiché se tale fatto non può esser messo in dubbio per alcune di esse e specialmente per i serpentini, non è possi- bile di affermare che tale origine sia applicabile a tutte; invece, a mio parere, è molto più probabile che si tratti di formazioni speciali che si originarono in condizioni molto par- ticolari in conseguenza della loro giacitura rispetto al massiccio dioritico e che assunsero per conseguenza dei caratteri chimici e mineralogici molto differenti da quelli delle altre formazioni metamorfi che. Gli hornfels delle zone esterne sono essenzialmente rappresentati da pirosseniti, le quali però possono dar luogo a diverse varietà. Talvolta esse sono molto ricche in granato, passando quindi a pirosseniti granatifere ; questo minerale anzi forma spesso nelle dette pirosseniti dei grandi accentramenti, che nelle 18 LUIGI COLOMBA — RICEIiCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA parti esterno degli involucri danno luogo a delle forme che sono molto prossime alle vere granatiti, sebbene in generale non presentino caratteri sufficientemente omogenei per poterli considerare come tali; a questi ammassi granatiferi, nei quali il granato è associato a piros- seno, anfibolo, epidoto e che possono anche contenere minerali metalliferi rappresentati spe- cialmente da pirite e da calcopirite, appartengono quelle formazioni che da gran tempo erano note a Traversella col nome di porta del ferro, perchè la loro presenza indicava che dove- vano essere vicine le masse metallifere, per il fatto che queste sono generalmente associate appunto agli hornfels. Altre volte invece sono anfiboliche e l’anfibolo può essere rappresentato, oltre che da quella varietà a cui ho dato il nome di speziaite (1), anche da attinoto; questo anzi può dive- nire molto abbondante, avendosi in tal modo il passaggio a pirosseniti anfiboliche e ad anfi- boliti jnrosseniche, come quelle che si riscontrano in alcune parti del Ribasso Mongenet. Meno frequentemente sul contatto con gli schisti cristallini possono anche essere mi- cacee, sebbene in grado sempre non molto elevato. Nei tipi più normali le pirosseniti appariscono sotto forma di rocce di tinta variabile che dal grigio-verdastro va fino al verde-erba; le tinte più cariche sono proprie delle va- rietà più macromere; il pirosseno ne è sempre il componente principale. Sopra la tinta influiscono anche i componenti accessori rappresentati da anfibolo attino- litico, granato e speziaite \ quest’ultima anzi, in causa della intensità del suo colore, dà alle pirosseniti una tinta molto più scura. Nella loro massa si osservano spesso delle geodi di dimensioni in generale non molto grandi, al massimo grandi come una noce, nelle quali in una massa costituita da calcite spa- tica la quale riempie le cavità, sono contenuti aghi di speziaite e cristalli di granato associati in qualche caso ad epidoto ed a pirite; quando le geodi hanno dimensioni maggiori passano gradatamente a vere druse, nelle quali però non si nota nessuna differenza nella natura e nella distribuzione dei minerali in esse contenuti. Queste geodi e queste druse sono specialmente abbondanti dove le pirosseniti tendono ad arricchirsi notevolmente in granato. Nelle varietà granatifere la speziaite è sempre molto abbondante, essendo generalmente in fascetti di fibre intorno ai granuli di granato ; invece quando le pirosseniti granatifere passano alle masse di granato della porta del ferro la speziaite manca completamente, mentre invece è ancora presente, sebbene in quantità non molto grande, il pirosseno accompagnato da anfibolo attinolitico, da epidoto e da solfuri di ferro costituiti da pirrotite e pirite. Anche nelle varietà molto ricche in anfibolo attinolitico e che fanno passaggio alle vere varietà anfiboliche, la speziaite tende a ècomparire, come pure nelle varietà micacee; per cui si può affermare che la speziaite tende a scomparire quando le pirosseniti normali tendono a modificare stabilmente i loro caratteri mineralogici. All’esame microscopico queste rocce presentano caratteri assai differenti anche in una stessa varietà, specialmente per la struttura, che può essere più o meno macromera. Nelle pirosseniti tipiche la grana non è mai molto grande ; esse poi presentano general- mente nella loro massa a grana media delle plaghe lenticolari irregolarmente disseminate, nelle quali la grana è molto più piccola. W pirosseno costituisce la quasi totalità della roccia; dagli angoli di estinzione sempre poco elevati, raramente superioi'i ai 30° o 35° sulle linee di sfaldatura del prisma, si può concludere che si tratti di diopside. Questo pirosseno forma tanto le plaghe micromere quanto quelle macromere; esaminando attentamente le une e le altre, si giunge alla conclusione che le plaghe micromere sono da (1) Loc. cit. MEMORIE - CLASSE UI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, YOL. LXVI, N. 3. 19 considerarsi semplicemente come dovute ad una frantumazione dei granuli maggiori, donde un carattere cataclastico molto evidente in esse. Frammezzo ai granuli di pirosseno compariscono i minerali accessori; Vanfibolo attino- litico, sensibilmente pleocroico sui toni del verde erba, del giallo e del verde giallastro, appa- risce paramorlico del pirosseno. La speziaite, pur essendo infiltrata sotto forma di fibre fra i grani di pirosseno, sembra del tutto indipendente da esso, analogamente a quanto già ho fatto notare nella nota riguardante il detto minerale, quantunque si abbiano talvolta dei cristalli di attinoto che da una parte terminano in speziaite mentre dall’altra adei’iscono a cristalli di pirosseno; fatto questo che può spiegarsi supponendo che la speziaite si sia for- mata posteriox’mente. Il granato, sempre scarsissimo, apparisce in granuli rossicci completamente isotropi; si ha pure scarsa apatite in cristalli allungati o tozzi, disseminati fra i granuli di pirosseno. Tal- volta si hanno delle infiltrazioni di calcite spatica. In certe varietà più ricche di speziaite l’unica differenza che si nota consiste nel fatto che il detto minerale, oltre a trovarsi disse- minato in fascetti di fibre od in fibre isolate frammezzo ai granuli di pirosseno, apparisce pure in venature che tagliano irregolarmente la roccia. A questi vari minerali devesi pure aggiungere Yepidoto, che si presenta in grandi cri- stalli zonati e geminati nelle geodine che si hanno nelle pirosseniti ; questi cristalli di epidoto al pari del granato e della speziaite appariscono impiantati sulle pareti delle geodi, avendo quindi le loro estremità libere, perfettamente cristallizzate, immerse nella calcite che riempie le cavità delle geodi sotto forma di masse apatiche molto pure. Nelle pirosseniti granatifere l’unica differenza che si nota consiste nella maggiore quan- tità di granato', esso è completamente isotropo e, oltre a trovarsi disseminato nella massa della roccia sotto forma di granuli e di cristalli, forma pure delle minuscole geodine le quali, a parte le differenze di dimensioni, sono perfettamente simili a quelle maggiori sopra de- scritte, essendo in esse, al pari delle precedenti, il granato associato con speziaite e calcite. Il pirosseno è ancora abbondante e non presenta nessuna differenza da quello che si osserva nelle pirosseniti tipiche. Negli accentramenti granatiferi, a cui fanno passaggio le pirosseniti granatifere, si os- serva una massa costituita quasi esclusivamente di granato in grandi cristalli, stipati gli uni contro gli altri e che solo lasciano qua e là interstizi occupati da calcite spatica, la quale forma pure delle venature, da talco e da pirosseno in grandi cristalli che però corrispondono perfettamente per le loro estinzioni a quelli delle pirosseniti; a questi minerali si aggiun- gono Yepidoto in cristalli e granuli, la titanite in cristalli di tinte piuttosto scure, la pirite e la pirrotite; raramente si osserva pure la calcopirite. Il granato, che anche nelle vere pirosseniti granatifere si presenta costantemente iso- tropo, modifica invece notevolmente il suo comportamento ottico quando sotto forma di cri- stalli stipati forma le masse granatifere della porta del ferro; esso apparisce allora birifran- gente ed i suoi cristalli presentano la caratteristica struttura a settori. Frequentemente il granato a luce naturale lascia vedere una struttura zonata derivante dall’alternanza di strati concentrici diversamente colorati. Si tratta però sempre di differenze molto piccole, ma esse sono sufficienti perchè il granato presenti nelle zone diversamente colorate un differente contegno ottico, essendo monorifrangente in quelle più intensamente colorate e birifrangente nelle altre. Nelle pirosseniti micacee i caratteri fondamentali si mantengono immutati, sebbene esse presentino generalmente struttura macromera; però \\ pirosseno non differisce otticamente da quello delle altre pirosseniti; solo apparisce leggermente più colorato. La hiotite non mai abbondante è in lamelle bruno-giallastre, pleocroiche, analoghe a 20 LDIGI COLOMBA RICEKCUE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA quelle che si osservano nelle dioriti superficiali e negli scliisti cristallini seinpliceinente meta- morfici. Queste lamelle sono frequentemente cloritizzate in parte ed allora contengono dei reticolati microgranulari di magnetite e granuli diffusi molto piccoli di epidoto. Quest’ultimo minerale, oltre ad essere contenuto nella biotite cloritizzata, apparisce anche disseminato in alcune venature di calcite epatica che tagliano irregolarmente la massa delle pirosseniti, facendo capo a geodine piccolissime, le quali, al pari di quelle prima descritte, contengono granato, speziaite ed epidoto immersi nella calcite. Per terminare l’argomento delle pirosseniti, accennerò ancora ad un tipo strutturale che esse presentano talvolta nelle vicinanze dei calcari; in questi casi esse sono infiltrate fortemente di calcite, la quale forma delle grandi plaghe epatiche, assumendo talvolta quasi il carattere di una massa fondamentale. Si osserva allora che il pirosseno, oltre ad essere disseminato in granuli e cristalli, forma degli aggregati speciali a struttura raggiata, i quali compariscono immersi nelle plaghe di calcite. II. — Masse metallifere. Le masse metallifere che sono associate agli hornfels e che si incontrano lungo il per- corso delle principali gallerie, presentano costantemente quella struttura listata che è carat- teristica per il giacimento; si hanno però delle differenze col variare delle quantità di magnetite. Nelle parti in cui essa è assolutamente prevalente, costituisce una serie di strati com- patti di uno spessore anche di qualche centimetro, i quali alternano ripetutamente con esili liste e con strati di calcite e dolomite, che sotto forma di sottili filetti penetrano anche attra- verso agli strati di magnetite; in questi la magnetite è molto pura, essendo solo accompa- gnata da rari accentramenti di clorite e talco e da rara pirite e gli strati possono essere più 0 meno regolari e continui, come si vede nell’esemplare della fig. 4*^ della tavola. In certi punti però questi strati sono ampiamente tagliati da venature irregolari, anche molto grandi, formate da pirrotite e da calcopirite associate a clorite in grandi lamine ; esse appartengono a quelle formazioni metallifere che sono da riferirsi ad una fase metallo- genica posteriore. Col diminuire della quantità di magnetite, aumentano di numero o di larghezza gli intermedi strati di calcite; essi però mantengono sempre la loro tinta chiara, mentre si ac- centua la struttura largamente spatica della calcite e della dolomite che li costituiscono; gli strati di magnetite, sebbene molto ridotti di spessore, mantengono ancora i tipi prece- denti ; però la magnetite si osserva pure, sotto forma di nitidi cristalli, nelle zone di con- tatto degli strati calcarei con quelli metalliferi (1). Nelle figure 2® e 5® della tavola sono rappresentati due esemplari di detti tipi : in quello della fig. 2® si ha una disposizione rego- lare negli strati di magnetite ; in quello della fig. 5® si ha invece una distribuzione meno regolare, analoga in parte a quella dell’esemplare rappresentato nella fig. 4®; in essa però è più accentuata la tendenza della magnetite a presentarsi disposta in strati ben distinti, in conseguenza della sua minore quantità. In queste parti relativamente ricche in magnetite si osserva molto spesso la scheelite (1) Questi cristalli sciolti di magnetite presentano prevalentemente la forma del rombododecaedro; a queste parti del giacimento però appartengono anche quei cristalli studiati per la prima volta da Struever (“ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino 1871) e caratterizzati dalla forma dell’esacisottaedro. MEMOKIE - CLASSE LI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3 . 21 come sostituente parziale della calcite e della dolomite; essa si presenta in cristalli od in masse cristalline e si osserva che gli strati di magnetite talvolta penetrano nell’interno dei suoi cristalli senza subire alcuna deviazione; in altri casi invece essi deviano e sembrano scorrere lungo le facce de’ suoi cristalli. Quando poi i cristalli di scheelite sono molto grandi oppure quando si tratta di masse informi, allora avviene difficilmente che gli strati di ma- gnetite li attraversino completamente, arrestandosi invece dopo un breve tratto, salvo a ricomparire al di là di essi senza notevoli deviazioni. Questa scheelite sembra essersi formata in differenti fasi, non essendo raro il caso di cristalli voluminosi che contengono inclusi cristalli più piccoli e perfettamente delimitati di scheelite (1), i quali però non si presentano per nulla isorientati con quelli maggiori che li includono. Quando poi la magnetite diminuisce ancora di quantità, si possono avere negli esemplari aspetti molto differenti a seconda della loro provenienza. In molti casi si osserva solo un impoverimento ancora maggiore negli strati di magnetite, i quali, invece di mantenere il loro tipo compatto, appariscono costituiti da una serie continua e molto fitta di cristalli di dimensioni generalmente piccole, ma spesso nitidamente delimitati e separati gli uni dagli altri da infiltrazioni di calcite e di dolomite spatiche. In altri casi invece si nota che gli strati di magnetite si mantengono ancora nettamente, ma essi, invece di essere omogenei, lasciano vedere una parte mediana che pur variando di dimensioni li segue in tutta la loro estensione ; in essa si ha una massa epatica formata da carbonati molto ricchi in ferro e che presentano una tinta che va dal gialliccio al giallo- brunastro; la magnetite forma due striscie laterali che seguono fedelmente il contorno delle zone mediane nelle quali in generale essa manca completamente. Nella fig. 1* della tavola è rappresentato un frammento che presenta il detto tipo ; e nella fig. 3® è riprodotta una sezione microscopica ingrandita che lascia vedere il modo di presentarsi dei minerali negli strati di magnetite. In altri casi infine, e ciò avviene specialmente dove le masse metallifere tendono già alle parti interne del giacimento, la parte mediana degli strati metalliferi, invece che da carbonati ricchi in ferro, risulta costituita da aggregati di silicati differenti fra i quali pre- vale la clorite in grandi lamine, parzialmente trasformata per alterazione in quella varietà indicata dal Descloiseaux (2) col nome di talco-clorite ; ad essa sono associati l’epidoto, il pirosseno e Vanfibolo ; e raramente anche la villarsite, la quale, come io ho dimostrato (3), deve semplicemente considerarsi come olivina parzialmente alterata; si ha pure pirite general- mente cubica. Sopra questi aggregati la magnetite è impiantata in nitidi ciùstalli che presen- tano la combinazione 111, 110; ad essi sono pure associati cristalli piccoli ma ben definiti di scheelite (4); in ultimo è pure presente il quarzo in gruppi di cristalli aciculari. Procedendo più avanti ancora la magnetite tende a scomparire, per cui, quando i suoi strati sono solamente formati da cristalli isolati, essi solo più formano delle esili serie discon- (1) La reale esistenza di queste due fasi di formazione nella scheelite non ha nulla di comune con quanto venne asserito da A. Serra (“ Atti della R. Accad. dei Lincei 1909) sulla esistenza di due fasi di formazione della scheelite a Traversella rispettivamente caratterizzate dalla prevalenza della 111 e della 101. Se l’autore avesse avuto anche solamente la più superficiale conoscenza dei giacimenti di Traversella, avrebbe molto facilmente compreso quanto fosse assurdo il suo concetto fondato sull’esame di un solo cristallo. (2) Manuel de Minéralogie, Paris, 1862. (3) Osservazioni cristallografiche su alcuni minerali di Brosso e Traversella (“ Atti della R. Accad. dei Lincei ,, 1906). (4) A queste parti delle masse metallifere appartengono i cristalli dotati di facce anormali a cui ho altra volta accennato e di cui non ho ancora terminato lo studio; da esse pure provengono i cristalli studiati da Zambonini (“ Atti della R. Accad. dei Lincei ., 1906). '2-'> I.DIOI COl-OMHA HICKliCHK SUI GIACIMENTI DI BKOSSO E DI TRAVERSELLA tinue, avendo dimensioni piccolissime od essendo in granuli informi; negli altri casi si nota che le parti mediane aumentano gradatamente di dimensioni mentre gli orli di magnetite tendono a scomparire, per cui si giunge in ultimo a degli esemplari nei quali si hanno sol- tanto strati più 0 meno ripetuti e più o meno spessi costituiti o da carbonati ricchi in ferro 0 dalle solite associazioni di clorite, epidoto, anfibolo e pirosseno. Mentre in questi ultimi casi gli interstrati calcarei o dolomitici mantengono la loro caratteristica struttura spatica a grandi elementi, invece nel caso precedente la struttura dei detti interstrati diviene a poco a poco nettamente granulare. Esaminando questi materiali al microscopio, si osserva come le masse epatiche, le quali formano gli interstrati di tinta chiara, risultino sempre da aggregati di granuli di calcite o di dolomite, spesso di dimensioni molto grandi, ma senza orientazione definita; essi pre- sentano costantemente le caratteristiche striature dovute alla sfaldatura e generalmente si mostrano geminati secondo la 111. Quando gli strati interposti sono costituiti esclusiva- mente da serie discontinue di cristalli di magnetite, i detti granuli passano in generale indi- sturbati nel loro orientamento attraverso ad essi; invece quando gli strati interposti non sono formati di pura magnetite ed hanno un maggior spessore e specialmente quando hanno le loro parti mediane occupate dai carbonati ricchi in ferro, in generale i granuli esterni si arrestano giungendo al contatto degli strati; quando però avviene che essi penetrino nel- l’interno di queste parti mediane, si associano allora ai carbonati ferriferi, senza che varii il loro orientamento. La calcite e la dolomite possono essere associate irregolarmente, oppure può Luna pre- valere sull’altra, senza che ciò porti qualche modificazione nell’assettamento strutturale delle masse da esse costituite. Sebbene scarsamente, sono ad essi associati alcuni altri minerali e precisamente la pirite in piccoli cristalli pentagonododecaedrici; la clorite in grandi lamine, la tremolite in piccoli aghetti aggregati e la scheelite in cristalli più o meno deformati. Anche i carbonati ferriferi sono negli strati di magnetite costituiti da granuli aggregati a struttura spatica ; però essi sono sempre di dimensioni minori ed hanno un colore giallo bruniccio dovuto ad una loro parziale alterazione. Notevole è il modo di presentarsi della magnetite in detti strati, quando essa forma degli orli continui intorno alle parti mediane occupate dai carbonati ferriferi. Invero essa non si presenta mai nè in cristalli nè in granuli indipendenti, ma bensì sotto forma di bordi compatti che si modellano sui carbonati ferriferi interni, assumendo un contorno che ricorda quello di una serie lineare di l’omboedri, come si vede nella fig. 3^ della tavola e che cor- risponde perfettamente a quello che si osserva quando gli strati interposti sono esclusiva- mente formati da detti carbonati ricchi in ferro. Questo speciale modo di presentarsi della magnetite, si osserva anche quando essa è prevalente ed i carbonati ferriferi formano striscio molto esili. Spesso si hanno associati ai detti carbonati, nell’interno degli strati magnetitici, degli aggregati di lamelle di clorite parzialmente alterate in talco-, esse occupano generalmente le parti centrali dello zone mediane. Raramente si osserva associata ai carbonati che accompagnano la magnetite anche la zoizite in aggregati di fibre rossastre. III. — Calcari metamorfici. Come già ho detto nelle pagine precedenti, i banchi calcarei presentano nel loro interno dei nuclei anche molto estesi, i quali pur essendo da considerarsi come metamorfici, non MEMORIE - CLA5.se DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 23 hanno subito alcuna modificazione in conseguenza delle azioni raineralizzatrici che con inten- sità più 0 meno grande li hanno modificati nelle loro parti esterne. Considerando questi nuclei dei banchi calcarei che si hanno nella regione di Riondello con quelli che, come ad esempio avviene alla Cima Rossola, debbono per la loro grande distanza, considerarsi come del tutto esterni all’aureola di contatto del massiccio dioritico, si può facil- mente stabilire quale sia stato il tipo delle modificazioni che si produssero durante questa prima fase generale di metamorfismo. Queste modificazioni, analogamente a quanto avviene in molti altri casi consimili, sono prevalentemente strutturali, pur essendo accompagnate anche da cambiamenti nella compo- sizione chimica. I calcari perfettamente inalterati che in regioni lontane dal massiccio sono intercalati negli schisti cristallini della Valchiusella, come sarebbe appunto alla Cima Rossola, mentre dal lato chimico sono sempre piuttosto poveri in magnesia, dal lato strutturale presentano spesso una tendenza abbastanza marcata alla comparsa di una schistosità dovuta a letti di mica ; questa schistosità va accentuandosi generalmente lungo le zone periferiche dei banchi stessi, per modo che essi assumono in tali condizioni l’aspetto di veri calceschisti; altre volte si hanno anche nelle parti interne degli stessi banchi di questi arricchimenti in mica. Invece i calcari metamorfici della regione di Riondello presentano come più importante carattere strutturale quello di essere saccaroidi ; in alcuni casi anzi, come si osserva a Con- fienza, essi assumono l’aspetto di veri calcari compatti. In pari tempo essi sono più ricchi in magnesia, avendosi dei termini la cui composi- zione chimica corrisponde a quella della dolomite tipica, in cui si hanno quantità equivalenti dei due carbonati di calcio e di magnesio. Però questo arricchimento in magnesia non è uguale in ogni punto ; osservando i banchi calcarei nel loro complesso si può infatti facilmente constatare che la vera dolomite forma delle masse lenticolari avvolte da parti meno ricche in magnesia, che si presentano sotto forma di strati spesso appena riconoscibili, costituiti alternatamente da parti nelle quali la struttura saccaroide compatta si mantiene ancora molto evidente e da altre parti che hanno una tendenza, sempre poco accentuata, ad assumere una struttura schistosa. Osservando al microscopio i nuclei dolomitici, si vede che sono quasi esclusivamente formati da un intreccio a mosaico di granuli di dolomite ; solo raramente si notano nella loro massa piccoli letti di un minerale lamellare torbido e biancastro. Separando queste lamelle mediante trattamento della dolomite con acido nitrico diluito, si osserva come esse presen- tino generalmente contorni esagonali, essendo però frequentemente aggregate; spesso poi aderenti ad esse si hanno microscopicissimi pentagonododecaedri di pirite. Da alcuni saggi compiuti su dette laminette risulta che esse sono costituite da un idro- silicato di alluminio e magnesio di composizione assai variabile. La quantità di acqua che contengono è piuttosto alta: in un saggio quantitativo ottenni una percentuale pari a 12,84. Questo tenore in acqua si accorderebbe assai bene con quello della leuchtembergite, in cui secondo le analisi di Leuchtemberg (1), di Clarke e Schneider (2), di Marignac (3) e di Her- mann e Sipòcz (4), la quantità centesimale di acqua oscilla fra 11,47 e 12,74; anzi, per il complesso dei suoi caratteri si potrebbe paragonare il minerale da me esaminato alla clorite bianca di Mauléon, analizzata da Delesse e costituita appunto da un idrosilicato di alluminio (1) “ Verhand. der russisch. Kaiser, minerai. Gesellsch. zu St. Pétersburg ,, 1866. (2) “ Amer. Journ. of Science ,, 1890. (3) “ Ann. de Chim. et de Phys. 1844. (4) ‘ Journ. ftìr prakt. Chem. 1847. 24 LUIGI COLOMBA — RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA e magnesio contenente 12,16 °/o di acqua e che, secondo le osservazioni di Descloiseaux (1), è da considerarsi come una varietà di leuchtenibergite priva di ferro. È notevole anche il fatto che ambedue i minerali hanno la stessa giacitura, essendo anche la clorite bianca di Mauléon stata trovata in un calcare sotto forma di lamelle biancastre e torbide. Tenendo però conto delle variazioni di composizione chimica presentate dalle laminette 0 dal loro stato di alterazione, credo più logico di considerarle semplicemente come un pro- dotto di decomposizione della mica magnesiaca, propria dei calcari inalterati appartenenti alla formazione schistosa della Valchiusella. Nelle parti che avvolgono questi nuclei dolomitici, dove la struttura sì mantiene ancora molto omogenea, la quantità di magnesia, per quanto minore, è però sempre ancora assai alta, mentre invece apparisce molto minore negli strati intercalati dotati di struttura più schistosa; osservando le dette parti a struttura saccaroide al microscopio, si nota che esse differiscono assai dai nuclei dolomitici, perchè presentano una struttura cataclastica molto evidente, essendo la loro massa costituita da un aggz'egato di granuli a spigoli vivi, ancora riferibili a dolomite e cementati da una massa fondamentale formata da calcite in grandi plaghe epatiche; si nota anzi spesso che i granuli di dolomite presentano dimensioni mi- nori di quelle possedute dagli stessi granuli nei nuclei di dolomite compatta e si mostrano in gruppi isorientati, il che prova che essi derivano dalla frantumazione di granuli aventi dimensioni maggiori. Dal lato mineralogico questi strati di dolomite brecciforme non presentano alcuna diffe- renza dei nuclei dolomitici ; anche in essi si ha un residuo assai scarso, rappresentato quasi esclusivamente dalle già accennate laminette torbide associate a poca pirite-, solo lungo i loro contatti con gli altri strati calcarei, con essi alternanti, appariscono piccole quantità di altri minerali propri! dei detti ultimi strati. In questi ultimi il residuo insolubile è molto più abbondante e vario; sono ancora sempre presenti le solite laminette torbide ed i microscopici cristalli di pirite, oltre ai quali però si hanno anche altri minerali costituiti, oltre che da scarsi cristalli pure microscopici di blenda e di galena, da quantità assai grandi di un anfibolo riferibile aXVedenite e di spinello. h’edenite si presenta in fibre aggregate incolori o bianche, dotate di viva lucentezza vetrosa; in esse sono sempre visibili le facce della 110 e della 010 e meno frequentemente si hanno facce terminali non determinabili direttamente, ma che in causa della loro inclina- zione sulle facce della 110 sembrano doversi riferire alla Oli; l’estinzione sulle facce 010 oscilla fra -j- 14°30' e -|- 15°30', la densità fra 2,99 e 3,00 ; questi valori delle estinzioni e della densità corrispondono tanto a quelli propri! delle edeniti non ferrifere, quanto a quelli propri! della tremolite. Onde accertarmi della vera natura del detto anfibolo, ho creduto necessario di compiere su di esso una serie di saggi chimici qualitativi e quantitativi, i quali mi hanno permesso di stabilire che realmente si tratta di edenite; potendosi ciò de- durre dalle proporzioni poco elevate della silice (49 a 50 ®/o), dalle quantità rilevanti di allu- minio_ (18 a 20 ®/o) e dalla presenza di discrete quantità di soda. Lo spinello si presenta in piccoli ottaedri frequentemente geminati e dotati di una leg- gerissima tinta rosea ; spesso essi presentano il caratteristico appiattimento secondo una coppia di facce opposte, assumendo il tipo di lamine trigonali. Si presenta anche in masserelle che talvolta risultano da cristalli aggregati, mentre altre volte sono completamente informi ; di queste ultime anzi ho solamente potuto stabilire la vera natura chimica, oltre che dal loro colore, dal loro alto indice di rifrazione e dal fatto di esser solo decomposte dal bisol- fato potassico. (1) Manuel de Minéralogie, Paris, 1862. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 25 Osservando questi calcari in sezione sottile, si nota che essi presentano ancora una struttura granulare assai evidente, sebbene i granuli possano presentare dimensioni molto variabili, per modo che la massa delle roccie si risolve in un’alternanza di strati microgra- nulari e di altri macrogranulari, essendo questi ultimi in rapporto con la edenite, la quale apparisce sotto forma di incrostazioni, in modo che i suoi aghetti sono impiantati sugli strati macrogranulari, mentre le loro estremità libere sono immerse negli strati microgranulari. Anche lo spinello si presenta in esili letti sparsi qua e là; ma sempi’e in contatto con le incrostazioni di edenite, alle quali anzi è dovuta l’apparente schistosità dei calcari. Avvicinandosi alle zone che presentano la struttura cataclastica, incominciano a compa- rire qua e là granuli di dolomite il cui numero va rapidamente aumentando; in pari tempo la calcite da granulare a poco a poco assume il tipo di plaghe epatiche sempre più grandi. CoH’allontanarsi dalle parti precedentemente descritte i calcari modificano sensibilmente la loro struttura e la loro composizione chimica e mineralogica. Essi invero tendono ad assumere una tinta grigiastra, la quale però non è uniforme- mente distribuita nella loro massa, essendo la sostanza a cui è dovuta disposta od a strati dando ai calcari una struttura zonata, oppure sotto forma di chiazze e plaghe a contorni irregolari e distribuite senza ordine alcuno nei calcari, come si vede nel frammento ripro- dotto nella fig. 6“^ della tavola. Le quantità di detta sostanza variano assai, tendendo però ad aumentare coll’allontanarsi dalle plaghe centi’ali ed avendosi come conseguenza la comparsa di tinte più o meno intense. In pari tempo la struttura dei calcari diviene più compatta in causa della graduale diminuzione di dimensioni nei granuli che li costituiscono. Trattati con acido cloridrico diluito si sciolgono parzialmente, scomparendo anche la sostanza grigia in essi diffusa; trattandoli poscia con acido cloridrico concentrato, una gran parte del residuo che rimane dopo il primo trattamento e che è costituito essenzialmente da dolomite si scioglie, per modo che il residuo insolubile rimane in ultimo relativamente scarso. La sostanza scura che dà ai calcari la tinta grigia è costituita da un polisolfuro di ferro, molto facilmente decomponibile dall’acido cloridrico diluito con svolgimento di idrogeno sol- forato, il cui sviluppo è sensibilissimo quando si trattano frammenti di detti calcari con acido cloridrico. Questo polisolfuro di ferro si presenta sotto forma di una sostanza nera amorfa, fina- mente polverulenta, che nelle parti più intensamente modificate de’ calcari è associata a microscopici cristalli di pirrotite. Per quanto riuscisse molto difficile di separarlo dal calcare, ho compiuto alcuni saggi chimici allo scopo di stabilire quale sia la sua natura chimica ed ho potuto concludere che essa è da considerarsi come molto prossima a quella del monosolfuro. Questo solfuro di ferro non può però assolutamente considerarsi come pirrotite finissi- mamente divisa, sia perchè anche con i massimi ingrandimenti non svela mai la minima traccia di una struttura cristallina, sia perchè ha una densità notevolmente inferiore a quella della pirrotite. Infatti, avendo polverizzato finamente una certa quantità di calcare molto ricco di detta sostanza nera, osservai che impiegando il ioduro di metilene essa rimaneva a galla, mentre invece la pirrotite cristallizzata cadeva sul fondo. Ed anche diluendo il ioduro di metilene con benzolo non mi fu dato di separarla dalla polvere del calcare. Il residuo insolubile varia assai a seconda che si tratti di esemplari provenienti dalle zone prossime a quelle prima descritte, oppure di esemplari più intensamente metamorfici. Nel primo caso si hanno poche differenze da quanto si è visto prima; sono ancora pre- senti le laminette torbido ed i microscopici cristalli di pirite, blenda e galena che le accom- pagnano; parimenti si osservano ancora V edenite e lo spinello, il quale però differisce da 26 LUIGI COLOMBA lUCEKCIlE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA quello a cui ho prima accennato, sopratutto perii colore, essendo esso grigio-brunastro. Am- bedue questi minerali sono ancora disposti in straterelli disseminati nelle masse del cal- care; nello spinello sono molto rari i cristalli nettamente definiti, mentre invece prevalgono i granuli informi. A questi minerali si associa sempre, sebbene in grado più o meno elevato, una mica in laminette esagonali, perfettamente delimitate ed isotrope: essa deve considerarsi come magne- siaca, essendo completamente decomposta dall’acido solforico concentrato. La pirrotUe che, come ho detto, accompagna il polisolfuro di ferro amorfo, è general- mente in cristalli bipiramidati, molto schiacciati e nettissimi, sebbene sempre di dimensioni molto piccole. In questi calcari cominciano a mostrarsi dapprima scarsamente, ma in seguito più fre- quenti coll’avvicinarsi agli hornfels, il pirosseno e la olivina. Il primo di questi minerali è molto più abbondante del secondo; esso si presenta in cristalli disseminati dapprima scar- samente, ma in seguito, col tendere verso gli hornfels, sempre più abbondantemente; questi cristalli sono generalmente molto nitidi e presentano spesso faccettine perfettamente specu- lari; il loro colore verdolino molto chiaro e le loro estinzioni che sulle facce 010 si mantengono generalmente inferiori ai 30°-35°, indicano che si tratta di diopside. L’olivina è molto più rara e si presenta in granuli elissoidali che passano talvolta a cristalli dotati di facce curve ; essa è quasi completamente incolora e per la sua densità si avvicina assai al pirosseno, dal quale però si riconosce facilmente per le estinzioni costan- temente rette. A questi minerali se ne aggiungono altri, i quali però sono molto meno diffusi e sono propri solo di alcune varietà di calcari; fi*a questi è degno di nota il rame nativo, che si presenta in minuti granuli e scagliette, facilmente riconoscibili per il loro caratteristico colore e per la loro malleabilità; esso è accompagnato dalla calcocite, che si riscontra in piccolis- simi cristalli tabulari, oppure in minutissime incrostazioni di microscopici cristalli aciculari che coprono talvolta i cristalli di quarzo che si osservano pure qua e là disseminati nella massa del calcare. Raramente in alcuni esemplari osservai pure la presenza del rutilo in cristalli prisma- tici al solito geminati a ginocchio. Un carattere che merita di essere ricordato e che si osserva qua e là in questi calcari ricchi in polisolfuro di ferro è la presenza di serpentino il quale si presenta sotto forma di inquinazioni, di granuli disseminati, di piccole plaghe irregolari ed anche quando è più ab- bondante sotto forma di vene e di straterelli disseminati nel calcare. Il colore di questo ser- pentino varia assai ; quando apparisce scarsamente disseminato sotto forma di piccole plaghe, esso ha un aspetto cereo ed una tinta giallo chiara corrispondente a quanto si osserva nel serpentino nobile; quando invece è più abbondante, la sua tinta diviene più scura e tende decisamente al verde bruno ed al nerastro, pur osservandosi sempre nelle masse delle zona- ture dovute a differenze nella intensità e nel tono delle colorazioni. La sua presenzia è collegata a quella del polisolfuro di ferro; mancando questo, anch’esso scomparisce; parimenti, quanto più è abbondante quello, tanto più il serpentino è abbondante ed intensamente colorato. I suoi caratteri strutturali differiscono da punto a punto ; mentre in certi casi, e spe- cialmente nelle venature e negli strati, esso mostra una struttura fibroso-lamellare con delle estinzioni molto confuse di aggregato, in altri casi e massimamente quando apparisce disse- minato in piccole plaghe ed anche in granuli, lascia vedere una ben distinta struttura a reti- colato. L’esistenza di questi due tipi strutturali dipende semplicemente dal fatto che il serpen- tino si è formato a spese di minerali differenti e più precisamente a spese della mica alterata. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXYI, N. 3 . 27 del pii'osseno e della olivina. Tutti questi processi di serpentinizzazione sono molto evidenti e quindi molto facilmente riconoscibili. Per quanto si riferisce al pirosseno ed alla olivina, la serpentinizzazione incomincia a manifestarsi nei cristalli e nei granuli che, allo stato di individui isolati, sono disseminati nei calcari specialmente in vicinanza degli accentramenti ed anche delle vene di pirosseno; si osserva in tali casi che il processo di serpentinizzazione segue il solito andamento, inco- minciando alla periferia dei cristalli e granuli e penetrando nel loro interno seguendo le sfaldature, dando, in ultimo, luogo a granuli di serpentino, che spesso però contengono ancora nel loro interno qualche residuo del minerale da cui provengono. Si osserva quindi che in certi casi il calcare apparisce più o meno gremito di granuli di serpentino, che nelle sezioni sottili spiccano nettamente per le loro estinzioni ondulate sulla massa di calcite. Quando rimangono ancora residui del minerale preesistente, riesce molto facile di stabilirne la natura; invece tale distinzione riesce molto difficile quando la serpentinizzazione è completa, per il fatto che i caratteri del serpentino, che sempre presenta in tali casi la struttura a traliccio, sono molto simili, sia che esso provenga dal pirosseno, sia che provenga dall’olivina. Fatti analoghi si notano negli accentramenti più estesi di pirosseno, sebbene in essi manchi completamente la olivina; in questi casi si nota spesso che le plaghe di serpentino non mantengono il contorno primitivo degli accentramenti che in modo approssimativo, assumendo esse per lo più forme arrotondate. Ciò proviene dal fatto che durante il processo di serpentinizzazione vennero anche in parte disciolti i calcari circostanti; questo fatto è poi reso molto evidente dalla esistenza, nella immediata vicinanza delle plaghe serpentinose, di altre plaghe costituite da calcite spatica in grandi elementi, la quale indubbiamente è dovuta ad una soluzione e ad una successiva ricristallizzazione di quella inizialmente conte- nuta nei calcari. Quando il serpentino proviene dalla mica alterata, si osserva che il processo di serpen- tinizzazione incomincia con un intorbidamento delle lamelle; in seguito col progredire di esso le lamelle si modificano completamente, dando luogo alle già citate estinzioni confuse. Considerando le variazioni di tinta che presenta il serpentino, si può giungere alla con- clusione che su di esse non potè influire la quantità di ferro inizialmente contenuta mei mi- nerali preesistenti, poiché esso può variare notevolmente di colore, senza che lo stesso fatto si osservi nei detti minerali. Invece, se si considera che nei calcari, dove si hanno le plaghe serpentinizzate, è pure sempre presente il polisolfuro di ferro e che le tinte del serpentino sono tanto più scure quanto più è grande la quantità di detto polisolfuro, si può, non solo ammettere che le due sostanze si siano formate contemporaneamente, ma pur anche che sulla maggiore o minore ricchezza in ferro del serpentino e quindi sulla intensità più o meno grande della sua colo- razione, abbia influito in parte il ferro che si depositò allo stato di polisolfuro. Coll’aumentare del polisolfuro aumenta anche la pirrotite, la quale invece di presentarsi in cristalli isolati, assume l’aspetto di masse metalliche aventi una struttura a traliccio, essendo le maglie occupate da cristalli di pirosseno o di olivina più o meno alterati in serpentino. Nei punti in cui le plaghe di serpentino sono molto estese, e questo avviene dove i calcari sono molto ricchi in pirosseno, si osservano nel loro interno delle venature di criso- tilo e larghe lamine di talco, la cui formazione deve considerarsi come contemporanea o come posteriore a quella del serpentino, mancando esse completamente nei calcari ; oltre a questi si osservano pure nelle dette plaghe, rare masserelle di pirrotite dotate sempre del loro aspetto a traliccio. 28 LUIGI COIiOMBA lUCKIlCllE SUI GIACIMENTI 1)1 BllOSSO E DI TRAVERSELLA Sebbene questo polisolfuro di ferro sia molto diffuso nelle parti dei banchi calcari che sono compreso fra le masse interne meno modificato e gli involucri esterni formati dagli hornfeh e dallo masse metallifere, tuttavia non in ogni punto esso è presente, per cui si pos- sono avere dei calcari anche intensamente metamorfici e mineralizzati nei quali esso manca completamente. Ciò avviene specialmente nelle parti dei banchi calcarei che confinano con gli hornfels più esterni e con quelle formazioni essenzialmente granatifere e che vennero, come già ho detto, indicate còl nome di porta del ferro. Quivi si osserva una serie molto interessante di calcari che si possono considerare come pirossenici e granatiferi e che si presentano come una serie continua che dalle forme meno modificate contenenti i nuclei dolomitici, va fino alle vere pirosseniti ed alle masse pirossenico-granatifere della porta del ferro. Partendo dalle zone nelle quali le modificazioni sono minime, si osserva come nella massa dei calcari saccaroidi dolomitici, a cui già ho accennato, cominciano a comparire degli strati verdi-grigiastri e biancastri disposti tutti parallelamente, ma assai differenti nelle loro dimensioni; invero mentre quelli biancastri sono molto esili invece quelli verdi-grigiastri hanno uno spessore molto maggiore; essi presentano poi un orlo che pur mantenendosi della stessa tinta apparisce molto più scuro. Trattando frammenti di questi calcari con acido cloridrico si osserva che questo si com- porta in modo molto differente a seconda dei punti in cui agisce. Ove si ha il calcare iniziale oppure gli strati biancastri, usando acido cloridrico con- centrato, allo scopo di sciogliere anche la dolomite, si ha un residuo non molto abbondante nel quale si osservano i minerali proprii di dette parti dei calcari e precisamente lo spinello roseo, Vedenite e la mica alterata, la quale, mantenendo completamente i suoi caratteri già visti, costituisce gli strati biancastri, oltre ad essere disseminata nelle altre parti dei calcari. Invece gli strati verdi-grigiastri, poverissimi in calcite e dolomite, dànno appena tracce di effervescenza, ed essendo essi composti essenzialmente da un aggregato di granuli di un pirosseno, che non differisce per nulla da quello contenuto nei calcari precedentemente de- scritti , solo si osserva talvolta che il suo colore verde è più intenso, per modo che gli strati da esso costituiti spiccano nettamente sul fondo bianco o grigiastro della roccia. Questo pirosseno è spesso inquinato da clorite sotto forma di minutissime laminette, la quale si presenta anche lungo gli orli degli strati pirossenici sotto forma di lamine più grandi, fortemente pleocroiche e che sono frequentemente alterate in serpentino contenente magnetite granulare ; a queste lamine più intensamente colorate è dovuta appunto la tinta più scura propria degli orli degli strati pirossenici. In essi è pure presente Yanfibolo che può presentarsi come prodotto di uralitizzazione del pirosseno, oppure in fascette di fibre verdi riferibili all’attinoto. Interposta fra i granuli di pirosseno si ha pure scarsa calcite in plaghe epatiche, le quali non hanno nulla di comune con le masse saccaroidi che costituiscono i calcari. Progredendo verso le zone più modificate, oltre ad aversi un maggiore rilievo negli strati pirossenici, comincia a mostrarsi il granato sotto forma di lenti allungate parallela- mente alla direzione degli strati pirossenici nei quali sempre è contenuto ; questi strati sono pure molto ricchi in clorite, alla quale anzi, come nel caso precedente, è dovuta la tinta più intensa che si osserva intorno alle lenti granatifere. Associati alla clorite si hanno pure Yanfibolo e, sebbene molto scarsamente, la speziaite. Invece tendono a divenire più esili fino a scomparire gli strati biancastri intermedi. Nelle lenti il granato non si presenta mai in cristalli ben definiti, essendo sempre in masse informi; la sua tinta giallo-brunastra diviene più chiara nelle sezioni sottili e può essere o gialla 0 verdiccia; queste tinte non sono però uniformi, potendosi avere in una stessa lente MEMOKIE - CLASSE UI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, VOL. LXVI, N. 3. 29 plaghe gialle e plaghe verdiccie irregolarmente disposte ; alcune volte invece si nota che le plaghe diversamente colorate seguono delle linee che si possono considerare come i perimetri di individui cristallini aggregati; altre volte invece si osserva che, mentre le parti interne delle lenti sono gialle, quelle esterne sono verdiccie o viceversa. Il granato si presenta in queste lenti assai fratturato, essendo le fenditure più estese e più evidenti disposte normalmente alla direzione di allungamento delle lenti stesse. Considerato otticamente, si nota che il granato è in parte monorifrangente ed in parte birifrangente; però quantunque il differente comportamento ottico sia collegato alle variazioni di tinta, non è possibile di stabilire un rapporto costante fra il detto contegno ottico e le tinte stesse, poiché mentre in alcuni casi si nota che le parti gialle sono monorifrangenti e quelle verdiccie birifrangenti, in altri casi avviene il fatto inverso. In generale però si nota una tendenza alla comparsa di nuclei isotropi con orli più o meno birifrangenti. Questo granato è molto ricco in inclusioni le quali sono prevalentemente costituite da pirosseno identico a quello che forma gli strati incassanti e da clorite. Il primo di questi minerali apparisce diffuso in piccoli accentramenti ed è spesso accompagnato dalla clorite, la quale però si mostra pure frequentemente nelle fenditure che attraversano le masse di granato. Per quanto riguarda il pirosseno, si tratta certamente di un minerale che rimase incluso nel granato ; per la clorite credo che debba escludersi che possa rappresentare un prodotto di alterazione del granato, essendo sempre netto il distacco fra i due minerali; piut- tosto si può ammettere che la clorite rappresenti un prodotto di infiltrazione, il che sarebbe confermato non solo dal fatto di trovarsi frequentemente nelle fenditure, ma anche dall’es- sere associato al pirosseno incluso solo in quei punti in cui i piccoli accentramenti di que- st’ultimo minerale sono attraversati od anche solo toccati da fenditure contenenti clorite. Continuando a procedere verso le zone più metamorfizzate, si notano altre modificazioni degne di essere ricordate; oltre al fatto del progressivo e graduale aumento del granato, le cui lenti assumono la forma di arnioni aventi un diametro anche di 7 od 8 centimetri, il calcare cambia pure sensibilmente di aspetto, per modo che viene completamente a scompa- rire qualsiasi traccia del calcare primitivo, mancando anche la caratteristica struttura stra- tificata. Non per questo però la massa apparisce priva di calcite, chè anzi questa costituisce sempre uno dei componenti più abbondanti , presentando però dei caratteri del tutto diffe- renti da quelli visti prima. Essa assume nelle parti lontane dalle masse di granato, l’aspetto di una massa com- patta grigio-verdastra; trattandola con acido cloridrico oppure esaminandone le sezioni al microscopio, si vede che detta colorazione è dovuta esclusivamente alla presenza di una grandissima quantità di microscopici granuli ài pirosseno, identico per i suoi caratteri a quello prima studiato e che invece di essere localizzato in vene ed in strati è quivi diffuso in tutta la massa del calcare. In vicinanza invece del granato il calcare è costituito da un aggregato di grandi indi- vidui spatici di calcite incolori e che penetrano anche neH’interno delle lenti di granato, occu- pando le fenditure che anche quivi si netano nel granato ; anche in questi individui spatici di calcite si nota la presenza di pirosseno, ma questo, pur non differendo per quanto riguarda il suo colore dal precedente, ne differisce invece sensibilmente per le dimensioni dei cristalli, che appariscono molto maggiori. La mica alterata, già scarsa negli esemplari precedenti, manca in questi completamente, essendo sostituita da clorite, che in esili strati è diffusa nella roccia. Essa poi, in lamine più grandi ed intensamente pleocroiche sui toni del verde e del verde azzurrognolo, orla gli accentramenti di granato di un bordo che apparisce quasi nero. Gli accentramenti di granato mantengono ancora il loro tipo lenticolare ed essendo sempre disposti in serie, mantengono ancora parzialmente il tipo stratificato che si osserva ;^() LUIGI COl-OMBA — KICEliCnE SUI GIACIMENTI DI BKOSSO E DI TKAVEBSELLA negli esemplari descritti precedentemente; questo carattere si rende in alcuni casi più ma- nifesto ancora per il fatto che la clorito, che in grandi lamine scure orla il granato, corre da una lente all’altra sotto forma di osili strati. Il granato ha colori ed anomalie ottiche del tutto analoghe a quelli visti prima. Molto frequenti sono le fenditure e spesso i frammenti appariscono di molto spostati gli uni dagli altri, essendo gli interspazi occupati da calcite per modo che esso viene quasi ad assumere l’aspetto di liste incluse nella calcite spatica; il che prova che la fratturazione e lo sposta- mento dei frammenti di granato sono dovuti a fenomeni meccanici. Questo speciale modo di presentarsi dei frammenti di granato influisce pure notevolmente sui suoi caratteri ottici, poiché mentre nei casi precedenti, pur essendo le masse di granato fessurate, ognuna presentava neH’interno un nucleo unico isotropo solo attraversato da esili striscie birifrangenti in vicinanza delle maggiori fenditure, quivi invece ogni lista di granato si comporta indipendentemente dalle altre, presentando una esile striscia lineare isotropa nell’interno, continuata da due plaghe birifrangenti che giungono fino agli orli delle liste stesse ; ed anzi quando queste hanno uno spessore molto piccolo mancano completamente le striscie isotrope interne. L'orlo scuro che avvolge le masse di granato non è esclusivamente formato da clorité; ad essa si accompagnano pure la magnetite e la pirrotite, essendo però questa poco frequente. Nelle parti poi in cui il metamorfismo è ancora più accentuato il calcare di tipo com- patto visto negli esemplari precedenti tende a scomparire completamente, essendo sostituito da masse laminari spatiche di calcite le quali appariscono molto ricche in pirosseno, il quale, oltre a presentarsi in individui di dimensioni maggiori, ha pure una tinta più scura essendo più ricco di ferro, e poiché anche l’angolo di estinzione aumenta raggiungendo i 44°-45°, si può ammettere che la diopside tende ad essere sostituita di hedemhergite. Quivi il granato presenta pure modificazioni molto sensibili, poiché, invece di essere in ammassi lenticolari, senza forma determinata, apparisce in grandi individui con contorni bene delimitati ed anche non mancano piccoli cristallini disseminati nella massa della cal- cite spatica. Essi presentano una evidentissima struttura zonata e le plaghe interne differiscono da quelle esterne per il colore che è giallo limone in quelle e giallo rossiccio in queste; non sono più fessurati ed il nucleo interno isotropo ha dimensioni maggiori, essendo appena accen- nato od anche mancante l’orlo esterno birifrangente; qui pure si hanno relazioni fra il colore del granato ed il suo contegno ottico. Da queste forme molto ricche in granato si passa a quelle della porta del ferro, alle quali ho già accennato. 3°. — Schisti metamorfici. I. Anche negli schisti cristallini che confinano coi banchi calcarei più o meno profonda- mente metamorfizzati e mineralizzati, si hanno sensibili modificazioni, le quali non debbono soltanto considerarsi come dipendenti dai fenomeni generali di metamorfismo, ma pur anche dalle azioni mineralizzatrici. Traverso si è già occupato (1) di questi schisti cristallini; egli però si é limitato quasi (1) Ricerche geognostiche e microscopiche su alcune rocce dell’alto Canavese, “ Atti della Soc. Lig. di S. N. e Geogr. ,, 1894. MEMOUIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 31 esclusivamente alle zone di Brosso e di Drusacco, trascurando le forme più caratteristiche della regione di Traversella. Egli descrisse alcune forme da lui considerate come normali ed alcune altre che sareb- bero invece metamorfiche. Dalle sue osservazioni, che concordano con quelle fatte dagli altri autori che si occuparono degli schisti cristallini delle regioni alpine, risulta che le dette rocce presentano differenze assai grandi dal lato litologico, passando esse da veri micaschisti a mica bianca a micaschisti feldispatici, a gneiss minuti ed anche a veri gneiss ghiandolosi. Tutte queste rocce però sono da riferirsi ad una stessa formazione litologica. I passaggi da una roccia all’altra sono abbastanza netti e questo avviene specialmente nel caso degli gneiss ghiandolosi, i quali, come si nota a Drusacco, sono intercalati negli schisti cristallini. Nei veri micaschisti il colore è sempre chiaro, anche quando, scarseggiando la mica, essi tendono, come nella regione Rat, a vere quarziti micacee. Conviene pex’ò ricordare come in alcuni punti si abbiano dei veri banchi di quarzo' intercalati negli schisti cristallini, come appunto si os- serva nell’alto vallone del Bersella. Traverso segnalò pure la presenza negli schisti normali di grandi quantità di ferro ossidato e solforato e di numerosi altri minerali, i quali influiscono notevolmente sul colore complessivo delle rocce rendendolo più scuro ; questi minerali sono sopratutto rappresentati da pirosseno, da anfibolo secondario e da granato; talvolta il colore degli schisti cristallini diviene rossastro in seguito all’alterazione dei minerali di ferro in essi contenuti. Il quarzo poi si presenta anche in filoncelli e contiene in tal caso cristalli di tormalina. Dall’esame microscopico dei differenti tipi di schisti cristallini da lui considerati come normali. Traverso giunse alle seguenti conclusioni: Nei veri micaschisti, come sono appunto quelli delle regioni Rat e Cavallaria, si hanno essenzialmente moscovite bianca in grandi lamine e quarzo granulare; quest’ultimo, unito a scarso ortosio, forma pure delle esili venuzze; esso è talvolta del tutto preponderante, come nei tipi che nella regione Rat appunto assu- mono i caratteri di quarziti micacee. È pure abbondante un pirosseno riferibile, secondo Traverso, per il suo colore e per le sue estinzioni, alla diopside ; inoltre si ha pure anfibolo, riferibile ad orneblenda, rappresen- tante un prodotto uralitico; si hanno pure in quantità variabili magnetite, ematite, titanite, pirite limonatizzata e granato, il quale può in alcuni casi essere molto abbondante allo stato macroscopico o microscopico. La schistosità è in detti termini molto evidente. Dalla regione Piani presso Brosso e dalla regione Nara presso Drusacco, provengono alcuni micaschisti filladici, che furono da Traverso considerati come parzialmente metamorfici in causa della vicinanza del massiccio cristallino ; queste rocce hanno una struttura sca- gliosa, sono molto compatte e molto dure e contengono quarzo granulare, muscovite, clorite, biotite fortemente cloritizzata, scarso ortosio, raro plagioclasio, anfibolo, magnetite, granato, titanite e sillimanite. Spesso la biotite e la muscovite appariscono associate in liste alter- nanti in uno stesso cristallo, essendo avvolte da magnetite e da clorite; in un micaschisto analogo proveniente da Rueglio si osserva pure abbondante pirosseno. Nei micaschisti gneissici, come in quello della regione Parolet presso Brosso, la struttura è tipica; il colore è grigio verdastro e solo diviene rossastro per alterazione; al microscopio si osservano quarzo, ortosio e plagioclasio in grossi elementi, formanti lenti e straterelli cementati o modellati da muscovite sericitica; si hanno pure magnetite, pirite, limonite ed abbondante clorite. Nella roccia si osservano venature giallo-verdastre formate essenzialmente da titanite in cristalli microscopici semplici o geminati; ad essa si accompagnano magne- tite, quarzo, calcite, pirosseno, anfibolo e clorite ; il pirosseno è pure presente in grandi ele- menti nella massa della roccia, la quale si manifesta secondo Traverso intensamente meta- morfica. E in detta roccia che sono contenuti i banchi calcarei del giacimento di Brosso. Nella regione Nara presso Drusacco si hanno dei veri gneiss ghiandolosi i quali hanno 32 LUIUI COLOMBA RICEIiCHE SUI GIACIMENTI DI BHOSSO E DI TRAYERSELLA caratteri, come già si è detto, analoghi a quelli presentati da dette rocce nelle regione alpine. Si hanno in essi dei letti formati da lenti allungate di ortosio molto torbido in individui irregolari, oppure da associazioni a mosaico di ortosio e quarzo; inoltre si osservano musco- vite ed ematite; questi letti presentano intercalazioni formate da quarzo granulare, ortosio, muscovito, magnetite, scarsa biotite alterata quasi sempre in clorite; questo minerale poi è assai abbondante, indipendentemente dalla biotite, formando delle strisele irregolari. Fra gli schisti cristallini Traverso descrisse pure un granatoschisto di Rueglio nel quale si osserva una struttura lamellare, però assai compatta ; questa roccia di color grigio azzurrastro si mostra al microscopio essenzialmente costituita da abbondantissimo granato microcristallino, disseminato in una massa di quarzo granulare con muscovite; si hanno pure, come inclusioni nel granato, cristalli microscopici di rutilo e di zircone. Nei piani di schisto- sità si hanno grandi quantità di glaucofane; è pure abbondante il pirosseno associato a ferro ossidato (ematite?), titanite e limonite ed in piccola quantità si nota pure, associato al quarzo, l’ortosio. Passando ai tipi considerati da Traverso come forme di contatto, si hanno in essi alcune varietà differenti sia per il grado di metamorfismo subito, sia per il complesso dei loro carat- teri mineralogici. Gli esemplari descritti da Traverso come appartenenti a forme di contatto provengono dai dintorni di Brosso e più precisamente dalle regioni di Prarotondo, Verna e Prà di Vico. Da Prarotondo, presso Brosso, proviene un esemplare costituito da una roccia di color scuro, compatta e che solo presenta qualche accenno ad una struttura lamellare schistosa. Essa apparisce assai compatta e solo presenta leggeri accenni a zonature; al micro- scopio il carattere metamorfico apparisce molto evidente : si hanno lenti di quarzo granulare, deformato e frantumato con grandi inquinazioni di elementi pulverulenti ; esso è associato ad ortosio torbido, a rara magnetite ed a rara biotite cloritizzata; queste lenti sono com- prese in plaghe opache ricche in caolino ; si hanno anche altre plaghe di quarzo microgranu- lare con ilmenite, leucoxeno, limonite, spinello verde e granato abbondante in alcuni punti. Si hanno poi nella roccia intrusioni delle rocce cristalline sotto forma di minute apofisi ricche in anfibolo, biotite macrolamellare, magnetite, ortosio ed oligoclasio. Negli esemplari provenienti dalla regione Verna l’aspetto è più vario ancora per il fatto che le reciproche compenetrazioni delle rocce cristalline e di quelle schistose sono molto più intime, per cui riesce difficile negli esemplari stessi di distinguere nettamente i due tipi roc- ciosi, per quanto il distacco fra l’uno e l’altro sia abbastanza netto in certi casi. La roccia è molto compatta, ad elementi finissimi, assumendo quasi un carattere afanitico; al micro- scopio si osserva un tessuto microgranulare, talvolta zonato, di quarzo, ortosio e biotite con muscovite secondaria, ferro ossidato, granato e titanite; si ha pure magnetite in granuli con una aureola di biotite o di clorite. I minerali sono frantumati, bucherellati e gremiti di gra- nuli di quarzo, anfibolo e zircone; si osserva anche la presenza di zoizite e sillimannite. L’ortosio apparisce torbido per caolinizzazione ed è gremito di laminette di mica; la biotite è generalmente cloritizzata. Nelle infiltrazioni delle rocce cristalline si osservano ortosio, oligoclasio, biotite bruna e clorite accompagnata da magnetite. Molto simili ai precedenti sono gli esemplari provenienti dalla regione Prà di Vico. In tutti manca il pirosseno, considerato da Traverso come un componente proprio delle forme normali degli schisti cristallini. Anche Mùller ha dato alcuni brevi cenni sulle rocce schistose (1), considerando però solo alcuni tipi metamorfici e precisamente quelli del vallone del Bersella. Dalle sue osservazioni. (1) Op. cit. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 33 i cui risultati collimano assai con quelli di Traverso, si deduce che le dette rocce presen- tano generalmente una struttura granoblastica, avendosi plaghe macrogranulari e plaghe microgranulai’i: le prime alternano colle seconde. Quelle macrogranulari risultano da una associazione di quarzo granulare con ortosio perlitico ; quelle finamente granulari formano delle zonature intorno alle altre, essendo in esse disposti parallelamente i componenti rap- presentati da biotite e feldispato; nella biotite si hanno inclusioni di ossidi di ferro; il fel- dispato è costituito da ortosio e da un plagioclasio rappresentato da un oligoclasio basico ; si ha pure orneblenda verde- chiara, apatite, zircone, zoizite granulare, pirite, ematite, clorite e muscovite. Caratteristico di queste forme di contatto è il modo di presentarsi della biotite, la quale è disposta in serie di lamine orientate parallelamente ed apparisce concresciuta col feldispato. Nell’immediato contatto con le rocce massiccie si hanno rocce miste contenenti un feldi- spato plagioclasico riferibile ad andesina e biotite lamellare; dette rocce in alcuni punti assu- mono l’aspetto di veri hornfels contenenti ortosio con inclusioni di quarzo, biotite e plagio- clasio ; inoltre si ha pure la presenza di apatite, zircone, rutilo e spinello. In altri casi le dette rocce di immediato contatto assumono una struttura completamente granulare e risul- tano costituite da aggregati granulari di andesina basica e quarzo, con titanite, apatite, ema- tite, epidoto e prehnite; in questi casi le rocce si avvicinano assai al tipo aplitico. II. Se le osservazioni di Miiller non sono molto concludenti in causa sopratutto del loro carattere sommario, quelle invece di Traverso hanno una importanza più che discreta, perchè si riferiscono ad alcuni tipi assai caratteristici di rocce schistose. Però, come già ho detto, non è possibile di ammettere che i tipi descritti da Traverso come normali debbano real- mente considerarsi come tali; egli stesso del resto nella loro descrizione ammette che taluni di essi debbano considerarsi come parzialmente metamorfici. Non considerando il granatoschisto del ponte di Rueglio, il quale, anche per la presenza di abbondante glaucofane, deve indubbiamente riferirsi a quelle formazioni che, come ha fatto notare Novarese, abbondano negli schisti cristallini delle regioni alpine sotto forma di lenti e che pi’obabilmente rappresentano i prodotti di fenomeni di metamorfismo compiutisi su calcari preesistenti, risulta chiaramente che tutte le rocce considerate da Traverso come normali o come molto prossime al tipo normale degli schisti cristallini provengono da loca- lità troppo vicine al massiccio dioritico, perchè si possa ammettere che esso non abbia po- tuto esercitare in qualche modo la sua azione di contatto. Occorre pure di ricordare che a Traversella ed a Brosso i fenomeni di metamorfismo hanno assunto caratteri molto variabili, per cui anche gli eifetti manifestatisi in conseguenza nelle rocce circostanti, possono essere molto differenti, non potendosi quindi in modo gene- rale affermare che una data roccia presenti caratteri normali oppure caratteri più o meno metamorfici solo perchè contiene o no un dato minerale. Cosi, ad esempio, Traverso ammette che la presenza del pirosseno negli schisti cristal- lini indichi che essi sono normali; a questa conclusione è giunto perchè il pirosseno abbonda negli schisti cristallini della regione Cavallaria, da lui considerati come normali, mentre manca in altri casi nei quali i caratteri metamorfici sono evidenti. Ora basta tener conto della grandissima importanza che assume il pirosseno nelle for- mazioni metamorfiche dei giacimenti di Traversella, per poter in modo sicuro concludei’e che tale concetto è da considerarsi come insostenibile, per quanto non manchino tipi di rocce schistose che mancano di pirosseno, pur essendo metamorfiche, mentre se ne hanno realmente 34 LUIGI COLOMBA RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA altre che lo contengono in grande quantità, pur non avendo subito per nulla l’influenza di contatto del massiccio dioritico. Si può quindi ammettere che nella regione della Valchiusella la presenza o non del pi- rosseno monoclino non sia in generale sufficiente per determinare se una data roccia schi- stosa sia stata o non soggetta alle azioni di contatto dovute alla intrusione del massiccio stesso od ai fenomeni di mineralizzazione che ne conseguirono. Nelle regioni Riondello e Bertolino ho constatato però che gli schisti anche metamor- fici, ma che non presentano tracce di fenomeni di metamorfismo dipendenti dalle azioni mi- neralizzatrici, non contengono mai pirosseno monoclino, per cui la sua presenza è sempre da considerarsi come dipendente da questa seconda serie di fenomeni di metamorfismo. L’esistenza poi nelle formazioni schistose prossime al massiccio dioritico di rocce che si allontanano di poco dai tipi normali che si possono osservare anche nella Valchiusella, purché si resti ad una distanza sufficiente dal massiccio, dipende da cause differenti; in alcuni casi da una maggior distanza da esso ed in altri dalle diverse condizioni in cui si svolsero i fenomeni di metamorfismo e dalla diversa resistenza opposta ad essi da alcune rocce in conseguenza dei loro speciali caratteri strutturali e mineralogici. Ciò spiega perchè gli gneiss ghiandolosi di Drusacco, malgrado la loro vicinanza al massiccio, siano stati molto poco modificati. Questi schisti cristallini metamorfici costituiscono nella regione di Traversella una serie che gradualmente va dai termini più prossimi alle forme veramente normali a quelle più profondamente modificate. Questi passaggi graduali non si hanno soltantq in quegli schisti le cui modificazioni debbono esclusivamente riferirsi alle azioni di contatto manifestatesi in causa della intrusione del massiccio; si hanno anche in quelli in cui le più intense modifica- zioni dovettero dipendere anche dai fenomeni di mineralizzazione e di deposito che accom- pagnarono e seguirono la detta intrusione ed i cui tipi più caratteristici sono rappresentati da quegli schisti cristallini che si osservano nelle parti centrali della Galleria Riccardi e nelle parti più alte del giacimento messo allo scoperto dalle frane a cui già ho accennato. Però queste forme doppiamente metamorfiche debbono anche in parte considerarsi come dipendenti da fenomeni molto più complessi avvenuti nelle zone più interne e più profonde del giacimento e che determinarono in esse delle modificazioni molto più grandi ; ne risulta che, mentre nelle forme doppiamente metamorfiche provenienti dalle zone prossime agli hornfels ed alle masse metallifere esterne, nella massima parte dei casi i caratteri degli schisti cri- stallini si mantennero ancora sufficientemente determinabili, essendo rari i casi nei quali si ebbero modificazioni più radicali, invece in quelle forme che provengono dalle parti più pro- fonde del giacimento i detti caratteri sono generalmente scomparsi. Mi occuperò per ora solamente delle prime di queste forme, rinviando lo studio delle altre ad un capitolo posteriore. III. Considerati nei loro caratteri macroscopici questi schisti metamorfici presentano sensi- bili differenze; esse dipendono sopratutto dalle differenti quantità di biotite, per cui si possono avere esemplari in cui la schistosità è evidentissima, mentre in altri casi essa è appena rico- noscibile; considerandoli però in masse più grandi, risulta che in realtà queste differenze sono molto limitate, dipendendo dall’essere gli schisti stessi costituiti da una successione alternante di strati ricchi in mica e quindi intensamente colorati e di altri molto poveri in mica, nei quali la tinta tende al grigio chiaro ed al bianco. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 35 Coirallontanarsi dalle zone di contatto la mica diviene più chiara, essendo la biotite a poco a poco sostituita dalla muscovite fino a che quest’ultima diviene assolutamente preva- lente per non dire unica, essendo per tal modo evidente che anche nelle formazioni schistose la biotite rosso-bruna rappresenta un prodotto di contatto. Invece, quando alle azioni di con- tatto dovute alla intrusione del massiccio si accompagnano quelle mineralizzatrici, gli schisti si modificano assai nei loro caratteri esterni, presentandosi più o meno abbondantemente chiazzati in rosso. Queste chiazze rosse assai estese sono ancora dovute alla biotite che ha modificato an- cora i suoi caratteri ed alla presenza, nelle vicinanze dei suoi accentramenti, di inquinazioni di ossido di ferro ; ne risulta come conseguenza di queste inquinazioni che gli accentramenti di biotite e quindi le macchie rosse presentano una estensione maggiore, d’onde una appa- rente differenza di caratteri. Quando poi si tratta di termini che sono molto prossimi alle rocce hornfelsiche le macchie tendono a cambiare colore, diventando bruno-verdastre in conseguenza di una tras- formazione parziale o totale della biotite in clorite e talco ; in pari tempo si nota che la massa fondamentale degli interstrati poveri o privi di mica tende a cambiare di colore di- ventando verdiccia e questa tinta va aumentando di intensità coll’avvicinarsi agli liornfels. Quando essa è debole non si presenta uniformemente distribuita, formando invece delle chiazze nella massa degli strati; quando invece essa aumenta di intensità, allora apparisce uniformemente distribuita in essi. Questa tinta verde è dovuta alla comparsa del pirosseno monoclino, la cui presenza dipende indubbiamente dai fenomeni di metamorfismo che determinarono la formazione degli hornfels, avendosi anzi come ultimi termini delle forme estremamente prossime agli hornfels. La frequenza delle macchie rosse non è sempre in rapporto col grado più o meno spinto degli effetti derivanti da questa seconda fase di metamorfismo, ma piuttosto colla iniziale quantità di biotite, avendosi anche in queste forme schistose doppiamente metamorfiche, come nelle precedenti, degli esemplari più ricchi e di quelli meno ricchi in biotite. 11 che prova che in questa seconda fase di metamorfismo non si ebbe la comparsa di una nuova mica, ma semplicemente si ebbero delle modificazioni nella biotite preesistente, accompagnate da una sua superficiale alterazione e da inquinazioni di ossido di ferro. Nei frammenti di questi schisti doppiamente metamorfici rimasti per un certo tempo esposti all’azione degli agenti atmosferici, si osserva come una struttura cavei’nosa; essa dipende dal fatto che gli accentramenti di biotite rosso-bruna, esistenti nelle parti superficiali di detti frammenti, scompaiono, lasciando dei vani al loro posto. Se questo fatto non si osserva negli schisti semplicemente metamorfici, ciò deriva dalla maggiore resistenza che in essi presentano gli accentramenti micacei per la mancanza sia di qualsiasi traccia di alterazione, sia dell’ossido di ferro, il quale deve costituire come un elemento di minore resistenza, in causa della facilità con la quale può trasformarsi in limo- nite e venire in tal modo eliminato. AU’esame microscopico le analogie fra gli schisti cristallini semplicemente metamorfici e quelle forme che già ho descritto come incluse nelle dioriti superficiali, sono più evidenti ancoi’a; solo si nota che essi sono meno modificati, il che dipende evidentemente dal fatto che nel caso presente non si tratta più come nel precedente di esili intercalazioni schistose comprese nelle masse dioritiche. Caratteri analoghi si osservano anche negli schisti cristallini doppiamente metamorfici, sebbene in questi appariscano tracce più o meno profonde ' delle ulteriori azioni metamor- fiche a cui furono soggetti. 30 l.UIGl COLOMHA RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSEDLA In tutti si nota la caratteristica struttura a plaghe lenticolari micromere circondate da interstrati macromeri, osservandosi sempre fra le due zone quella diminuzione graduale di dimensioni e quella frantumazione progressiva nei componenti, che lasciano cosi ben vedere la esistenza di fenomeni di cataclasi. Anche in questi casi le plaghe micromere sono sem- plicemente una conseguenza del tipo ghiandoloso più o meno spiccato degli schisti cristal- lini nelle parti in cui sono molto ricchi in mica. Essa invero tende a scomparire col dimi- nuire della mica, e manca del tutto negli strati pirossenici o privi di mica. Qui pure il carattere cataclastico di dette plaghe micromere dipende dal fatto che, for- mando esse gli accentramenti di biotite, costituirono delle zone di minor resistenza di fronte sia ai fenomeni meccanici ed alle spinte a cui gli schisti furono sottoposti durante il loro metamorfismo, sia ai fenomeni chimici concomitanti, da cui dipesero le modificazioni chimiche avvenute nei loro componenti. Questi fatti risultano evidenti esaminando delle sezioni non troppo sottili; in esse infatti si nota che le plaghe micromere sono ancora occupate dalla biotite, che presenta quel carattere già osservato di apparire come in nuclei dai quali par- tono disordinatamente lamelle e frammenti di lamelle, che danno agli accentramenti un ca- rattei’e cataclastico molto spiccato. Nelle sezioni molto sottili invece la mica scomparisce quasi completamente, per cui può molto bene esaminarsi il modo di presentarsi della massa fondamentale delle plaghe micro- mere, nelle quali, come già altra volta ho fatto notare, appariscono quelle serie parallele di minutissime lamelle di biotite a cui accennò Mùller e che rappresentano gli ultimi residui degli accentramenti. Negli schisti cristallini meno fortemente metamorfici, alla biotite va pure associata la muscovite che si distingue molto facilmente nelle sezioni sottili per il suo colore verdolino o grigiastro; la biotite invece presenta negli schisti semplicemente metamorfici una tinta rosso-brunastra simile a quella da essa presentata nelle dioriti del massiccio. Invece negli schisti doppiamente metamorfici essa assume una caratteristica tinta rossa dovuta, più che ad una vera modificazione, all’essere le sue lamine inquinate da sostanze eterogenee; infatti osservandola in sezione sottile si vede come essa, pur presentando tinte molto intense, si mantenga trasparente e pleocroica sui toni del rosso e del giallo brunastro ; intorno ai suoi accentramenti ed anche associata alle sue lamelle, sotto forma di inquinazioni diffuse, si nota abbondante ematite polverulenta rossa ; essa deve considerarsi come derivante da infiltrazioni dovute molto probabilmente ad acque ricche in ferro, le quali, mentre per un lato avrebbero forse anche in parte modificata la composizione, chimica della biotite, avrebbero depositato intorno ai suoi accentramenti ed anche frammezzo alle sue lamelle l’eccesso di ferro allo stato di ematite. Ciò è anche provato dalla presenza nelle parti centrali degli accentramenti biotitici di nuclei costituiti da minerali metalliferi, i quali mancano invece negli accentra- menti analoghi degli schisti grigi. In questi schisti si nota pure la presenza di nuclei, ma essi sono costantemente rappre- sentati da spinello verde in cristalli arrotondati ed in granuli che formano come dei retico- lati e la cui abbondanza va crescendo coH’aumentare del grado di metamorfismo degli schisti esaminati; raramente poi si notano frammezzo ai granuli di spinello dei cristalli azzurrastri, leggermente pleocroici , dotati di un rilievo fortissimo e che presentano la forma di bipira- midi molto allungate aventi estinzioni rette; essi debbono riferirsi al corindone. Invece negli schisti doppiamente metamorfici questi nuclei centrali, pur essendo ancora in parte riferibili, nelle forme meno modificate, a spinello, non più verde ma brunastro, co- minciano a presentarsi costituiti da minerali metalliferi, i quali nelle forme più modificate finiscono per sostituire completamente lo spinello. I MEMORIE - CLASSE UI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, \OL. LXVI, N. 3. 37 I minerali metalliferi che formano i detti nuclei sono nella massima parte rappresen- tati da magnetite, meno frequentemente da ilmenite. In certe forme poi intensamente meta- morfiche e nelle quali non solo la massa degli interstrati non biotitici assume una tinta verde intensa per la grande abbondanza del pirosseno monoclino, ma pur anche gli accentramenti di biotite rosso-bruna vengono sostituiti da altri bruno-verdastri formati da clorito e da talco, i nuclei centrali sono formati da solfuri metallici e specialmente da pirrotite, associati però ancora a quantità variabili di magnetite. Analogamente a quanto si osserva negli accentramenti contenenti lo spinello, la ma- gnetite forma dei l'eticolati che si risolvono in aggregati di microscopicissimi cristalli; oltre che nei nuclei, essa apparisce anche con caratteri analoghi nell’interno delle lamine di bio- tite che trovansi nelle parti centrali degli accentramenti ed in modo speciale quando si hanno accrescimenti misti di clorite e di biotite. Quando i nuclei sono costituiti da ilmenite, essa apparisce sotto forma di masserelle in- formi nere circondate da involucri leucoxenici risultanti da aggregati di cristalli di titanite, talvolta nettamente riconoscibili per le loro caratteristiche forme a losanga; in alcuni casi i nuclei di ilmenite sono molto grandi, limitandosi allora la titanite leucoxenicea a formare un esile orlo; altre volte invece avviene il fatto inverso ed i nuclei risultano da aggregati di cristalli discretamente voluminosi di titanite aventi nel loro interno piccolissimi nuclei di ilmenite. Nelle forme più modificate, nelle quali i nuclei centrali sono essenzialmente formati da pirrotite, questa si presenta in masserelle informi; quando ad essa è associata la magnetite, questa forma generalmente un involucro intorno alla pirotite. Nelle sezioni sottilissime, in causa della quasi totale scomparsa della biotite dagli ac- centramenti, si possono molto facilmente riconoscere i componenti della massa fondamentale delle lenti micromere; esse sono essenzialmente formate da quarzo e da ortosio a cui si asso- ciano i minerali che formano i nuclei centrali degli accentramenti. II quarzo è sempre granulare ; l’ortosio è in masse allotriomorfe senza geminazioni che riempiono i vani fra i granuli di quarzo; esso apparisce alterato e torbido per caolinizzazione tanto più avanzata quanto più gli schisti cristallini sono modificati; negli schisti grigi si notano nelle masse allotriomorfe di ortosio, abbondanti cristalli ettaedrici microscopicissimi, isotropi e dotati di forte rilievo; credo debbansi riferire a spinello incoloro. Oltre a questi minerali ed ai residui delle lamine di biotite, si osservano nelle lenti micromere altre laminette molto esili disseminate specialmente in vicinanza dei nuclei cen- trali e che presentano tinte molto sbiadite,, con rilievo molto debole e che a luce polariz- zata presentano estinzioni di aggi’egati e colori assai confusi; sono da riferirsi a talco-, in esse si nota spesso la presenza di granuli di magnetite. Nelle parti molto schistose degli schisti cristallini si osserva che gli interstrati macro- meri sono prevalentemente formati da quarzo granulare, al quale è pure associata, sebbene non in grande quantità, la biotite con caratteri analoghi a quelli che presenta nelle lenti mi- cromere; molto frequentemente è unita con la clorite. Tanto nella biotite quanto nella clorite si hanno sempre inclusioni che possono essere di epidoto microgranulare o di magnetite. Si trova pure ortosio, il quale, a differenza di quanto si osserva nelle lenti micromere, apparisce qui in granuli od in cristalli a contorni indeterminati, semplici o geminati, secondo Karlsbad. Questo ortosio nei veri micaschisti non apparisce uniformemente distribuito, for- mando invece delle vene che vanno aumentando di dimensioni coll’avvicinarsi alle rocce dio- ritiche oppure ai numerosi filoni micropegmatitici che attraversano tanto la zona superficiale 88 LUIGI COLOMBA KICKKCHE SUI GIACIMENTI DI BKOSSO E DI TKAVEKSELLA del massiccio quanto la adiacente zona schistosa; analogamente a quanto ho concluso nella mia prima memoria, credo che anche in questo caso si tratti di un minerale di contatto; infatti, come si vedrà in seguito, queste plaghe aumentano assai d’estensione e di frequenza in certe forme interne molto più modificate. Nelle parti invece nelle quali gli schisti cristallini assumono i caratteri di gneiss mi- nuti l’ortosio è molto abbondante, formando una grande parte della massa fondamentale in grandi individui aggregati, che presentano evidentissima la struttura vermicolare dovuta al quarzo, il quale apparisce allora molto scarso come componente granulare. In questi gneiss minuti ed anche talvolta nei veri micaschisti si hanno dei cristalli di plagioclasio abbastanza ben definiti, che sono da riferirsi, per i loro angoli di estinzione determinati nei geminati secondo le leggi dell’albite e di Karlsbad, alla andesina. Il pirosseno monoclino apparisce negli schisti doppiamente metamorfici sempre negli in- terstrati macromeri e la sua frequenza va, come ho detto, aumentando coll’accentuarsi dei caratteri metamorfici. Esso è sempre in cristalli od in granuli, le cui dimensioni variano assai, formando, a seconda dei casi, delle specie di correnti lungo le parti mediane degli interstrati stessi, oppure comparendo sotto forma di accentramenti di cristalli spesso a con- tatto con le lamine di biotite che si hanno in essi. Sembra essere più abbondante nei veri micaschisti che non negli gneiss minuti, essendo però in quest’ultimo caso in cristalli più voluminosi. Ha sempre una tinta debolmente verde e dagli angoli di estinzione relativamente bassi, che difficilmente superano i 30°, deve con- siderarsi come formato da diopside. Spesso sono ad esso associate fascette di fibre di atifibolo attinolitico, dovuto, a quanto pare, ad un processo di paramorfosi; meno frequentemente si osservano grossi e tozzi cristalli di apatite e lamine di clorite. In ultimo come componenti accessori sporadici sono da ricordare lo zircone in granuli ed in minuti cristalli bipiramidati e la titanite in cristalli ben determinati, il cui colore va dal giallo chiaro al bruno giallastro; tanto l’uno quanto l’altra si trovano quasi esclusiva- mente negli interstrati macromeri, e mentre lo zircone si incontra qua e là indipendente- mente dal grado di modificazione degli schisti, invece la titanite e più ancora la apatite sono più abbondanti nelle forme già modificate. Questi schisti doppiamente metamorfici ed intensamente modificati confinano diretta- mente con le masse metallifere, senza che si abbiano nelle zone di immediato contatto forme speciali; solo si osserva allora una maggior frequenza nei minerali metalliferi, i quali, pur essendo ancora rappresentati prevalentemente da solfuri di ferro, appariscono, oltre che nei nuclei degli accentramenti di biotite, di talco e di clorite, anche disseminati negli strati ma- cromeri, formando dei reticolati metallici facilmente riconoscibili. Inoltre, nello stesso modo in cui nelle masse metallifere, in prossimità degli schisti cri- stallini, prevale la clorite più o meno estesamente alterata in talco, anche negli schisti cri- stallini la clorite tende ad aumentare, per modo che in alcuni punti appariscono delle masse essenzialmente formate da clorite, nelle quali oltre a raro quarzo sono visibili quantità assai rilevanti di minerali metalliferi costituiti da magnetite, pirite e pirrotite, associate a scarsi cristalli di scheelite, i quali, come già ho altre volte detto, sono del tutto indeterminabili, essendo le loro facce curve e profondamente striate. Lungo il diretto contatto degli schisti cristallini con le pirosseniti si osservano rara- mente pure alcune forme speciali, nelle quali i caratteri primitivi degli schisti cristallini scompariscono quasi completamente. In esse infatti si nota che la schistosità diviene del tutto irregolare e gli accentramenti di biotite, di clorite e di talco tendono a scomparire, mentre MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 39 invece detti minerali, analogamente a quanto avviene lungo le zone di diretto contatto con le masse metallifere, si mostrano ampiamente disseminati nella massa della roccia. Il pirosseno, con caratteri analoghi a quelli prima accennati, aumenta assai di quantità, formando con il quarzo granulare, un intreccio che costituisce la massa fondamentale delle roccie, unitamente a quantità sempre molto piccole di ortosio torbido. Anche il minerale metallifero, prevalentemente rappresentato da solfuri di ferro, au- menta, presentando, come nel caso precedente, una struttura a reticolato molto caratteristica. Sono pure presenti la apatite e la titanite. 4°. — Formazioni metamorfiche e metallifere profonde. I. — “ HoRNFELS „ ; FORME DI DIRETTO CONTATTO. Nelle parti più interne del giacimento e dove i fenomeni di metamorfismo o di mine- ralizzazione avvennero in prossimità molto maggiore ed anche in diretto contatto col mas- siccio dioritico, acquistando per conseguenza una energia molto più grande, si hanno alcune formazioni che sono dotate di caratteri molto speciali, pur dovendo essere considerate in parte come equivalenti di quelle che costituiscono sia gli hornfels, le masse metallifere ed i calcari metamorfici precedentemente descritti come appartenenti alle zone esterne del gia- cimento, sia gli schisti cristallini più intensamente metamorfici. Dico solo in parte, perchè, in realtà, anche in dette zone profonde si hanno ancora delle forme metamorfiche molto simili a quelle delle zone esterne; si può quindi ammettere in generale che in dette parti profonde, oltre alle stesse azioni che si manifestarono nelle parti più esterne, se ne siano manifestate altre le quali diedero luogo ad effetti molto diversi, determinando per conseguenza la comparsa di forme molto differenti per i loro caratteri strutturali, chimici e mineralogici. Alcune di queste forme profonde debbono ancora, al pari delle precedenti, considerarsi come dovute ad agenti mineralizzatori che circolarono fra le masse giacenti nell’aureola di contatto del massiccio dioritico e possono quindi comparire anche ad una certa distanza da esso ; altre invece sono vere forme di diretto contatto e si approssimano per conseguenza a talune di quelle che già vennero da me descritte come tali nella prima parte di queste mie ricerche ; altre infine debbono considerarsi come direttamente legate alle rocce del massiccio. A questo ultimo tipo, come già ho avuto occasione di dire, devono appartenere le sup- poste anfiboliti della parte centrale del Ribasso Mongenet e del suo avanzamento laterale; ad esse accennerò in modo particolare in un apposito capitolo. Fra le località più importanti per lo studio delle altre forme interne nei loro vari tipi a cui ho prima accennato, si hanno quelle attraversate da alcuni fra i già accennati fori di sondaggio scavati nelle principali gallerie del giacimento e quella, a cui pure ho già ac- cennato, appartenente alle zone più alte del giacimento, dove avvennero le grandi frane che misero a giorno l’interna struttura del giacimento nelle sue parti terminali. Considerando il percorso dei fori di sondaggio numeri III e IV (vedi la fig. 3“ a pag. 15) che furono scavati in fondo alla galleria Riccardi, come già ho indicato, si nota che in essi le masse metallifere non presentano più quel carattere che si può ammettere come costante nelle masse stesse quando appartengono alle parti esterne del giacimento : di avere cioè una ganga costituita da carbonati essenzialmente rappresentati da calcite e da dolomite. Fra i materiali attraversati dal foro di sondaggio n. Ili la detta ganga è solo più in piccola parto formata da carbonati, i quali inoltre differiscono notevolmente dai precedenti perchè sono molto ricchi in ferro; per la massima parte invece la ganga è costituita da 40 LUIGI COLOMBA — RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA masse di idrosilicati di magnesio o di ferro rappresentati da minerali diversi e specialmente da talco-clorite e da serpentino. Lo stesso fatto avviene per i materiali attraversati dal foro n. IV; in questo caso in- fatti si osserva che mentre la massa metallifera che si ha nella sua parte superiore, ha ancora una ganga formata essenzialmente di carbonati ricchi in ferro, invece la massa me- tallifera inferiore da esso attraversata, non solo ha una ganga formata da un complesso di minerali analoghi a quelli della massa metallifera del foro n. IH, ma pur anche in essa il minerale metallifero differisce per la sua natura chimica, essendo in grandissima parte rap- presentato da solfuri diversi e principalmente da pirite, calcopirite e pirrotite. Ora se si considera che i due fori sono scavati quasi allo stesso livello e distano di pochissimo l’uno dall’altro, per cui è necessario di ammettere, come già ho fatto vedere nelle pagine precedenti e nella sopracitata figura, che le masse metallifere e metamorfiche attraversate dall’uno e dall’altro siano le stesse, si deve conchiudere che in queste parti più profonde del giacimento le modificazioni nei caratteri chimici, strutturali e mineralogici di dette masse metallifere, per quanto riguarda la loro ganga ed i loro minerali metalliferi, possono essere molto sensibili anche su uno spazio molto piccolo. A conclusioni analoghe si giunge considerando gli ìiornfels e le rocce affini ; essi infatti mentre in parte sono ancora molto analoghi a quelli delle zone esterne, essendo in tali casi costituiti da pirosseniti e da masse granatifere, per altra parte invece se ne allontanano assai, essendo costituiti parzialmente in alcuni casi da masse di clorite ed in altri da vere anfiboliti micacee. Nell’altra località a cui ho prima accennato si nota che, dove le frane hanno messo allo scoperto il diretto contatto con il massiccio dioritico, si hanno delle pirosseniti che non dif- feriscono sensibilmente da quelle delle zone esterne; invece le masse metallifere, pur essendo ancora parzialmente dotate di ganga di carbonati, sono pure ricche in idrosilicati di ma- gnesio e di ferro al solito rappresentati da clorite e da talco; anche gli schisti cristallini presentano un metamorfismo molto avanzato, avendosi alcune di quelle forme nelle quali, oltre a grandissime quantità di pirosseno, si hanno accentramenti di clorite e talco come sostituenti i preesistenti accentramenti di biotite rosso-bruna. Anche le parti dei banchi di calcare che sono a contatto con le predette formazioni metamorfiche profonde presentano differenze nella loro composizione chimica e mineralogica in confronto di quelle modificazioni che ho già accennato essere proprie delle parti in cui sono a contatto con gli involucri esterni. Oltre a presentare una grande ricchezza in mi- nerali differenti, essi hanno variazioni molto grandi nella loro natura chimica, essendo in generale molto ricchi in ferro. Nelle anfiboliti si hanno tipi molto differenti. In alcuni casi debbono semplicemente con- siderarsi come termini estremi di una serie che partendo dalle pirosseniti ha come termini intermedi le pirosseniti anfiboliche a cui già ho accennato, ed in questi casi riesce facile di stabilire le relazioni che le collegano alle predette rocce. In altri casi invece esse presen- tano delle composizioni molto complesse, per cui diviene impossibile di poterle considerare come vere anfiboliti. Tale è il caso delle rocce anfiboliche associate alle pirosseniti nelle parti centrali del Ribasso Mongenet. A questa roccia ha già accennato Mùller, che la considerò come una vera anfibolite contenente plagioclasio, diopside, orneblenda intensamente pleocroica, epidoto, tita- niti, apatite, zircone e rara calcite. Le osservazioni che io ho compiuto su alcuni esemplari di detta roccia collimano suffi- cientemente con quelle forse troppo sommarie di Mùller. La massa fondamentale è formata da grossi cristalli profondamente alterati a contorni indecisi, torbidi, che contengono una MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 41 grande quantità di laminette di mica; essi debbono riferirsi in parte ad ortosio ed in parte a. plagioclasio; nei cristalli riferibili all’ortosio si possono ancora talvolta vedere accenni alla geminazione di Karlsbad; in quelli riferibili al plagioclasio si hanno talvolta accenni ad una poligeminazione, ed in un cristallo anzi ho potuto determinare delle estinzioni varianti da 12® a 15® lateralmente alle lamelle della geminazione dell’albite, per cui si può ammet- tere che si tratti di un andesina non troppo basica. In questa massa fondamentale si hanno grandi cristalli allungati di anfìbolo, i quali presentano una evidente struttura fibrosa, lasciando vedere nel loro interno dei nuclei bian- castri, mentre esternamente essi appariscono ben determinati per quanto riguarda il loro pleocroismo, che varia sui toni del giallo, del verde e del verde brunastro. Esaminando i nuclei biancastri si nota che essi sono costituiti da residui di un ^jiVosseno diopsidico avente estinzioni non superiori a 29° o 30®, associati a calcite microgranulare. La calcite forma anche delle venature nelle quali è associata ad epidoto, clorite e talco ; si hanno inoltre cristalli abbondanti e talvolta anche grossi di titanite e prismi molto al- lungati di apatite. La roccia apparisce poi tagliata da grandi venature nelle quali si hanno patine di calcite e di epidoto associati a pirite. Non molto dissimili dalla precedente sono le rocce anfiboliche incontrate sia dal foro di sondaggio n. Ili, sia dall’avanzamento laterale ultimamente aperto nel Ribasso Mongenet. Si tratta in questi casi di rocce molto scure dotate di un’apparente schistosità e che al microscopio lasciano vedere una massa fondamentale molto alterata, ma che devesi però considerare come inizialmente costituita da feldispato, la cui natura chimica è però assolu- mente indeterminabile. In questa massa si hanno numerosissimi cristalli di dimensioni abba- stanza grandi di anfìbolo attinolitico fortemente pleocroico sui toni del verde, del verde azzur- rognolo e del giallo verdastro; ad essi sono associati meno frequentemente cristalli più chiari di pirosseno diopsidico. Inoltre si hanno accentramenti diffusi costituiti da aggregati microlamellari di una biotite che per il suo colore e per il complesso dei suoi caratteri è perfettamente paragonabile a quella propria delle zone superficiali del massiccio dioritico; in questi accenti’amenti si ha pure titanite in granuli di tinta molto scura e clorite micro- lamellare; questa si trova pure in molti casi a costituire un orlo ai cristalli di anfibolo. Raramente si riscontrano poi cristalli di apatite e granuli di pirite. L’origine di queste rocce non è certo molto facile a spiegare; esse infattisi avvicinano assai ad altre che debbono indubbiamente considerarsi come vere forme di contatto diretto. Tale è ad esempio quella già descritta da Traverso (1); dalle sue ricerche si deduce che si tratta di una roccia molto compatta, di color verde bruno molto uniforme ; al microscopio si osserva in essa una massa fondamentale formata da quarzo microgranulare con scarso ortosio e plagioclasio alterati, nella quale, oltre a rari cristalli porfirei di di pirosseno e di anfibolo verde scuro alterato, si hanno abbondantissimi elementi microgranulari listati dello stesso anfibolo, associato con i soliti legami epigenici ad un pirosseno chiaro e pressoché incoloro. Inoltre si ha apatite, calcite con granato, rutilo, magnetite, zoizite, clorite, biotite e magnetite; la roccia apparisce profondamente alterata, specialmente nei grandi cristalli di pirosseno e di anfibolo porfiroide, a spese dei quali si sarebbero formati gli elementi micro- granulari ed il quarzo della massa fondamentale. Alcuni altri esemplari raccolti da me e sulla cui giacitura come forme di immediato contatto non vi può essere alcun dubbio, differiscono dalla precedente sopratutto per essere molto più ricche in pirosseno, essendo in esse l’anfibolo molto scarso, quando non costituisce gli orli dei cristalli di pirosseno. (1) Loc. cit. X 42 LUIGI COLOMBA RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA Ora, come lo stesso Traverso ha riconosciuto, dato anche lo stato di profonda altera- zione che queste rocce presentano molto frequentemente ed in modo particolare nella loro massa fondamentale, riesce molto difficile di stabilirne l’origine, ed io non credo che il solo fatto di essere associate a delle pirosseniti, le quali nelle loro vicinanze immediate possono anche sensibilmente arricchirsi in anfibolo, sia sufficiente per ammettere che le une e le altre abbiano la stessa origine. Come già ho detto, io credo più logico di ammettere che esse rappresentino essenzial- mente dei tipi metamorfici esomorfi del massiccio dioritico; quando si tratta di rocce di immediato contatto, questi tipi sarebbero costituiti da forme superficiali del massiccio inten- samente modificate; nel caso invece di quelle che si hanno nel Ribasso Mongenet e nel suo avanzamento laterale, poiché si tratta di rocce che si trovano ad una distanza discretamente grande dal massiccio, io credo che appartengano ad apofisi da esso derivanti ed intensa- mente modificate ed alterate. Si spiegherebbe anzi in tal modo perchè lungo il loro contatto i banchi calcarei, come appunto avviene nel Ribasso Mongenet e nel suo avanzamento late- rale, appariscano fortemente modificati con produzione di hornfels pirossenici che possono formare anche un vero involucro intorno ad esse, come appunto si può vedere nella prima delle due località sopracitate. Se questi tipi metamorfici direttamente appartenenti al massiccio dioritico si presentano generalmente con caratteri cosi incerti, la stessa cosa non si può dire per altri tipi che debbonsi ancora considerare come forme di diretto contatto ma nelle quali si hanno carat- teri litologici propri tanto del massiccio quanto delle rocce incassanti. In queste forme sebbene si abbiano prove di una serie di azioni mineralizzatrici molto intense e molto variate, sono facilmente determinabili i vari effetti dovuti alle dette azioni per il fatto che sono ancora molto sane. Si tratta in ogni caso di rocce finamente schistose; la schistosità però è più che altro apparente, per cui se pur debbono riferirsi agli schisti cristallini, costituiscono forme la cui struttura dipese da fenomeni molto intensi di laminazione. Hanno tinte che vanno dal grigio-verdastro al verde-bruno ed al bruno-rossastro; sono molto compatte, hanno una durezza molto grande e si rompono con delle fratture cornee e concoidi molto evidenti. Avvicinandosi alle zone di immediato contatto col massiccio dioritico, esse si presentano in parte alterate, osservandosi allora che la loro colorazione diviene più sbiadita con pro- duzione di patine bianco grigiastre le quali formano delle fascie continue intorno ad esse; in pari tempo esse divengono più friabili e più tenere. Al microscopio si vede che la struttura laminare-schistosa è dovuta alla presenza di una successione di letti costituiti da elementi di dimensioni non troppo piccole che presen- tano intercalate delle lenti molto allungate, nelle quali la struttura è molto più micromera; è facile di constatare una struttura cataclastica in queste lenti micromere e nelle zone ma- cromere che le circondano. Questi strati • macromeri si presentano differenti gli uni dagli altri, tanto nel loro spes- sore quanto nella loro natura mineralogica. Quelli più esili sono costituiti essenzialmente da clorite in lamine sane, verdi, sensibilmente pleocroiche, le quali contengono interposti cristalli pure sani di un pirosseno molto chiaro, il quale, come nei casi precedenti, devesi riferire alla diopside; a questo pirosseno si associa pure V epidoto in granuli molto piccoli e diffusi senza ordine fra le lamine di clorite e nel loro interno. Dove invece gli strati hanno uno spessore maggiore, la clorite va diminuendo e scomparisce anche completamente, avendosi allora un intreccio di elementi bianchi o grigi contenuti in una massa relativamente omogenea ed associati a granuli isolati od aggregati di un pirosseno analogo al precedente. ( MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 43 Esaminando la massa fondamentale si osserva come essa sia costituita da una sostanza grigia allotriomorfa riferibile ad ortosio ; talvolta si osservano in essa accenni appena distinti alla comparsa della geminazione di Karlsbad. Presenta estinzioni ondulate le quali formano talvolta delle zonature intorno ai cristalli bianchi o grigi in essa disseminati e che debbono considerarsi come dovuti ad un plagioclasio molto basico, assai vicino 2 AV anortite, per il fatto che le estinzioni simmetriche nei cristalli che presentano la geminazione dell’albite, si man- tengono sempre superiori ai 30°; inoltre quando è visibile la geminazione del periclino si nota che le sue lamelle sono quasi ad angolo retto su quelle dovute alla legge dell’albite. Spesso i cristalli di plagioclasio sono rotti e spostati dalla massa ortosica fondamen- tale; altre volte invece si osservano cristalli di plagioclasio i quali vanno gradatamente scom- parendo nella massa ortosica, essendo in tali casi nettamente determinabile il loro graduale diminuire di rilievo. Si nota allora che il graduale passaggio alle plaghe ortosiche è accom- pagnato da alcune modificazioni; mentre nelle parti interne i cristalli di plagioclasio sono leggermente torbidi in causa di una incipiente alterazione, questo fatto invece manca com- pletamente nelle plaghe passanti all’ortosio; parimenti si nota che le lamelle di geminazione vanno gradatamente scomparendo e che le estinzioni vanno pure diminuendo, avendosi una zona intermedia nelle quali esse appariscono ondulate. Si hanno pure dei cristalli di plagioclasio i quali pur essendo a contorni corrosi e rotti si mantengono nettamente differenziati dalle plaghe di ortosio, per quanto le dette plaghe siano infiltrate frammezzo alle loro parti. Il pirosseno è in cristalli di dimensioni non molto piccole, generalmente nitidi e che hanno tinte molto chiare, per cui in sezione sottile appariscono completamente incolori ; ad esso è pure unito in quantità meno grande un anfibolo attinoUtico verde, pleocroico, il quale in alcuni casi si presenta in cristalli indipendenti dal pirosseno, mentre in altri casi li com- penetra a guisa di infiltrazione. Sono pure presenti con discreta abbondanza cristalli a losanga molto scuri di titanite-, meno frequentemente compariscono il granato in granuli e cristalli rossicci, isotropi e la apatite in lunghi prismi incompleti bianchi. Nelle lenti micromere la massa fondamentale ed i componenti che vi sono associati non differiscono sensibilmente, salvo le dimensioni e lo stato di frantumazione visibile special- mente nei componenti idromorfi ; manca quasi completamente questo invece nelle plaghe ortosiche, le quali passano senza modificazioni determinabili dagli strati macromeri alle lenti micromere. In queste lenti micromere però, sebbene non frequentemente, si osservano accentramenti microlamellari di hiotite rosso-bruna più 0 meno sensibilmente alterata in aggregati di mi- nutissime lamelle di talco orlate di granuli di epidoto e di pirosseno. Il granato, che è pure presente in dette lenti micromere, è spesso alterato, dando come risultato delle miscele di granuli di epidoto e di minutissime lamine micacee. Le patine biancastre che si hanno lungo il confine con le rocce del massiccio, sono evi- dentemente da considerarsi come costituite da prodotti di alterazione tanto del feldispato ortosico della massa fondamentale, quanto di quello plagioclasico disseminato nel precedente. Si presentano esse sgtto forma di plaghe isotrope 0 dotate di leggere luminosità ondu- late; nelle parti centrali ed in quelle più vicine alle rocce del massiccio esse non presen- tano alcuna differenziazione; invece lateralmente, dove si avvicinano alle forme litologiche precedentemente descritte, si osserva in esse la presenza di una massa fondamentale profon- damente torbida ed alterata, nella quale sono disseminati granuli non meno torbidi ed alte- rati, ma che in alcuni casi lasciano ancora riconoscere con sufficiente evidenza la presenza di lamelle polisintetiche dovute alla legge dell’albite. Nella sua massa si distinguono sempre nettamente, perchè completamente sani, i granuli di pirosseno. l i 1-UlUI COLOMBA — KICEUCllE SUI tilACIMENTl DI lUiOSSO E 1)1 TRAVERSELLA Questa sostanza biancastra deve con tutta probabilità riferirsi ad un idrosilicato di allu- minio e per la sua durezza piuttosto alta credo debba considerarsi come appartenente al gruppo deWallofane; però, se i pochi saggi che ho potuto compiere mi hanno permesso di giungere a detta supposizione, non mi fu possibile di avere a mia disposizione, almeno per il momento, una quantità sufficiente di materiale puro per poterlo analizzare in modo più completo. Non sempre le plaghe allotriomorfe di ortosio formano esclusivamente la massa fonda- mentale di queste forme di contatto; anche dove esse sono più estese, si hanno qua e là piccole plaghe di calcite spatica collegate a delle venature della stessa sostanza e che sem- brano sostituire quelle di ortosio, poiché anche in esse si osservano disseminati i cristalli di plagioclasio e quelli di pirosseno. Queste plaghe di calcite aumentano in certi casi notevolmente di estensione, senza che si noti alcuna modificazione nel loro modo di presentarsi e nelle relazioni che le collegano ai cristalli di plagioclasio e di pirosseno ed agli altri componenti della roccia, che manten- gono gli stessi caratteri osservati nelle forme precedentemente descritte. Si hanno però delle variazioni molto importanti nella natura chimica del feldispato; invero mentre nelle parti in cui prevalgono assolutamente le plaghe calcitiche, essendo quelle ortosiche o mancanti o molto limitate, il feldispato plagioclasico presenta estinzioni che per- mettono di considerarlo come un vero oUgoclasio, invece coH’avvicinarsi alle parti in cui le plaghe ortosiche divengono prevalenti, esso tende a diventare meno acido e, passando per termini riferibili ad andesine prima acide e poi basiche, giunge alla vera anortite, propria delle forme nelle quali la calcite è pressoché mancante. Però anche in quelle forme nelle quali si ha prevalenza delle plaghe calcitiche le rocce mantengono sempre quella struttura finamente schistoso-laminare che, come ho prima accen- nato, dipende essenzialmente dalla presenza dei letti di clorite associata a biotite rosso-bruna ed a talco in aggregati microlamellari. Non é certamente facile di stabilire la vera posizione che nelle formazioni metamorfiche di Riondello deve essere assegnata a queste forme, perché se per alcuni loro caratteri hanno piuttosto l’aspetto di rocce appartenenti al massiccio, le quali, in seguito ad un intenso metamorfismo chimico e meccanico, abbiano subito notevoli variazioni nella loro struttura e nella loro composizione mineralogica, per altri caratteri invece si avvicinano agli schisti cristallini ed alle intercalazioni di calceschisti che in essi si osservano. Io credo che esse debbano piuttosto considerarsi come appartenenti a questo secondo gruppo di rocce e che le grandi analogie che per alcuni caratteri esse presentano con certe forme proprie del massiccio, dipendano dal fatto che si ebbero in esse dei veri fenomeni di intrusione dovuti ai minerali delle dioriti durante la consolidazione del massiccio. Si tratterebbe quindi di forme doppiamente metamorfiche. In una prima fase, mentre in conseguenza di intense azioni meccaniche esse assunsero la loro caratteristica struttura laminare, subirono pure notevoli modificazioni chimiche e mineralogiche con formazione non solo della biotite rosso-bruna, ma pur anche del plagioclasio; questo anzi, a seconda della posizione in cui si' trovava di fronte al massiccio, ebbe composizioni chimiche molto diffe- renti, aumentando la sua acidità coll’allontanarsi dal massiccio stesso. In seguito, nello stesso modo nel quale, come ho fatto vedere prima, nelle rocce del massiccio si ebbero delle intrusioni profonde di un magma ortosico che modificò in alcuni casi notevolmente la loro composizione litologica e determinò la comparsa delle grandi plaghe ortosiche proprie di alcune loro varietà, anche in questi schisti ed in questi calce- schisti metamorfici avvenne lo stesso fatto; anche in essi quindi si ebbe la sostituzione più 0 meno spinta delle plaghe allotriomorfe di ortosio a quelle di calcite dei calceschisti e la loro infiltrazione nei casi in cui si trattava di veri micaschisti. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOI,. LXVI, N. 3 . 45 L’unico fatto difficile a spiegarsi sarebbe la quasi completa scomparsa del quarzo nelle zone pi*ossime al massiccio; essa dipenderebbe sopratutto dal fatto che esso potè in gran parte concorrere alla produzione del plagioclasio, analogamente a quanto si osservò in altre forme di contatto diretto fra gli schisti cristallini e le rocce del massiccio. Come già ho detto, anche in queste parti profonde del giacimento di Riondello si hanno delle formazioni hornfelsiche molto simili a quelle delle sue parti esterne, costituite da pVos- seniti che possono essere anfiboliche o granatifere e da masse di granato ; tanto le une quanto le altre però presentano in questi casi delle colorazioni più intense dovute alla mag- giore loro ricchezza in ferro ; nelle pirosseniti anzi il pirosseno tende a passare alla he- dembergite. E pure molto frequente la speziaite, la quale, invece di trovarsi semplicemente dissemi- nata nella massa rocciosa oppure in piccole druse e geodi, come avviene nelle pirosseniti esterne, apparisce anche in grandi accentramenti nei quali sotto forma di aggregati di fibre avvolti a spirale è associata a grandi quantità di clorite microlamellare e di un altro anfibolo molto chiaro, le cui fibre sono intercalate fra quelle della speziaite. Questa grande frequenza della speziaite nelle parti profonde e quindi più metamorfiche e mineralizzate del giacimento di Riondello ha una certa importanza, poiché indica come anche in detto giacimento, analogamente a quanto si osserva nei giacimenti dell’Elba, si abbia tendenza alla produzione fra i minerali di contatto, di silicati ferrici molto poveri in silice; all’Elba questo tipo di minerale è rappresentato dalla ilvaite; a Traversella dalla speziaite. La clorite è abbondante anche indipendentemente dalla speziaite e forma nelle parti in- terne del giacimento di Riondello dei veri hornfels, i quali però sono rappresentati essenzial- mente da anfiboliti molto ricche in clorite e nelle quali quest’ultimo minerale, oltre ad essere in lamine ben nitide, apparisce pure come prodotto di alterazione dell’anfibolo stesso, i cui cristalli ne sono più o meno fortemente compenetrati. E poiché queste anfiboliti passano gradatamente alle pirosseniti, i legami esistenti fra le predette masse di clorite e queste ultime rocce risultano evidenti. Un carattere generale che distingue molto bene le formazioni hornfelsiche profonde da quelle esterne è la presenza in quelle di quantità più o meno grandi, ma sempre non tra- scurabili, di minerali metalliferi, rappresentati a seconda dei casi da pirite^ pirrotite o ma- gnetite; esso è indubbiamente in rapporto colla maggiore ricchezza in ferro che si ha in dette zone profonde. La presenza dell’uno piuttosto che dell’altro di detti minerali metalliferi non è arbi- traria; in generale si osserva che dove le rocce sono sane prevalgono i solfuri; invece dove esse sono più o meno profondamente alterate con produzione di serpentino o di talco è pre- valente la magnetite, pur non mancando gli altri; per cui si può ammettere che in questi casi la magnetite sia appunto dovuta ai processi di alterazione subiti dalle rocce. Non sempre i serpentini di Riondello debbono considerarsi come provenienti da altera- zione delle rocce precedentemente descritte ; sebbene non molto frequentemente, si hanno pure in questi giacimenti dei veri serpentini divinici che indicano la certa esistenza iniziale di masse oliviniche a Riondello; fatto questo che ha una certa importanza, perchè elimina una delle differenze che, fino a qualche tempo fa, era considerata come essenziale fra il detto giacimento e gli altri situati nelle altre parti del vallone del Bersella. Questi serpentini divinici però non sono mai frequenti a Riondello e neppure formano mai delle masse molto grandi, il che permette di escludere che le rocce oliviniche da cui provennero fossero molto estese. Anzi in generale si osserva che i detti serpentini hanno un tipo misto, risultando parzialmente formati da aggregati di lamelle di talco e di clorite 16 LUIGI COLOMIU RICERCIIK SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSEU.A serpentinizzata, spesso associate ad anfiholo pure serpentinizzato, frammezzo alle quali si hanno delle venature più o meno grandi, occupate parzialmente da olivina e parzialmente da magnetite e calcite. L’olivina si presenta in granuli ed in cristalli aggregati sempre incompletamente ser- pentinizzati, impiantati od ammucchiati sulle pareti delle venature unitamente a magnetite; invece nelle parti centrali delle venature si ha la calcite spatica, la quale in alcuni casi apparisce sotto forma d’infiltrazione fra i granuli ed i cristalli di olivina. Il colore di questi serpentini olivinici è sempre piuttosto chiaro. II. — Masse metallifere. Questi serpentini olivinici si possono considerare come il primo termine della serie delle formazioni metallifere profonde; in essi però il minerale metallifero, rappresentato da magnetite, è sempre poco abbondante, essendo esclusivamente limitato agli orli delle vena- ture oliviniche. Si hanno invece altre formazioni molto più importanti, le quali, pur essendo prevalen- temente costituite da idrosilicati ferro-magnesiaci, si debbono considerare come di vero tipo metallifero. Già accennando ai materiali attraversati dai fori di sondaggio scavati nelle parti più profonde delle gallerie Mongenet e Riccardi, ho indicato come in essi si abbiano delle masse metallifere nelle quali, non solo la ganga, ma pur anche i minerali metalliferi appa- riscono variati di composizione anche su uno spazio molto piccolo entro a formazioni che si possono considerare stratigraficamente come equivalenti. Invero, mentre per un lato la ganga può essere ancora costituita parzialmente da car- bonati oppure apparisce formata da silicati idrati ferro-magnesiaci, per altro lato nei minerali metalliferi la magnetite, che in alcuni casi è ancora il minei'ale prevalente, in altri invece tende ad essere sostituita da solfuri di ferro rappresentati essenzialmente da pirite e secon- dariamente da pirrotite associata frequentemente a calcopirite. Questi vari tipi metalliferi sono alle volte intimamente associati, mentre invece altre volte appariscono del tutto indipendenti. Esaminando i già accennati materiali dei fori di sondaggio o meglio ancora quelli pro- venienti dalle regioni messe allo scoperto dalle frane di cui già mi sono occupato, si può in modo molto chiaro osservare quali siano le relazioni che collegano in molti esemplari i tipi metalliferi a ganga di carbonati oppure di idrosilicati ferro-magnesiaci. Si può in questi casi stabilire che ambedue i tipi metalliferi si sono formati a spese dei calcari preesistenti. Quando gli idrosilicati ferro-magnesiaci prevalgono, solo Raramente si presentano sotto forma di masse compatte nelle quali il minerale metallifero, rappresentato da magnetite e da pirite, si presenta sotto forma di strati disseminati nella massa degli idrosilicati ; nella massima parte dei casi invece essi formano delle masse zonate che pene- trano irregolarmente nei calcari, come se fossero dovute ad infiltrazioni attraverso ad essi; i minerali metalliferi poi, rappresentati sempre da magnetite e da pirite, sono diffusi senza ordine alcuno in cristalli che tanto in un caso quanto nell’altro sono arrotondati e deformati. Dove invece gli idrosilicati vanno diminuendo si nota che torna a presentarsi un tipo di formazioni a strati alternanti che ricorda, almeno in parte, quello proprio delle masse metallifere delle zone esterne; in esso però manca la regolarità di stratificazione che era pro- pria delle dette masse metallifere esterne, osservandosi invece che gli strati ricchi di magne- tite appariscono distribuiti in modo del tutto irregolare nella massa calcarea, mantenendo quindi il carattere di infiltrazioni attraverso ad essa. Anche la disposizione dei minerali differisce assai dai casi precedentemente descritti; MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3 . 47 invero si nota in queste masse profonde a strati alternanti, che la magnetite occupa la parte mediana "degli strati stessi, avendosi lateralmente gli idrosilicati sotto forma di aggregati radiali di lamelle. Questi idrosilicati ferro-magnesiaci variano assai di natura ed in parte debbono sempli- cemente considerarsi come prodotti di alterazione di altri minerali pi’eesistenti. Negli strati alternanti irregolari essi sono quasi esclusivamente rappresentati da talco, il quale, dal complesso dei suoi caratteri, siano strutturali che ottici, ha tutto l’aspetto di un minerale originario ; solo raramente ad esso si associa la clorite. Lo stesso fatto si osserva in quei rari casi nei quali si hanno delle masse compatte in cui la magnetite presenta nettamente la disposizione in strati paralleli ; anche in essi la massa è formata quasi esclusivamente da talco microlamellare, senza che vi sia alcuna traccia di altri minerali preesistenti dai quali esso si sarebbe formato. Invece nelle masse zonate che, come ho detto, formano estese infiltrazioni nei calcari profondi, il talco, pur essendo ancora molto abbondante, devesi considerare come un prodotto secondario. Nella massima parte dei casi il minerale iniziale è costituito da clorite-, in generale si osserva in questi casi che nelle parti centrali delle masse zonate, la clorite è ancora nettamente visibile sotto forma di aggregati microlamellari, i quali esternamente si scoloriscono pas- sando gradatamente al talco, che presenta una struttura microlamellare ed un colore verdastro ; allontanandosi poi dai nuclei di clorite, questo talco cambia gradatamente di caratteri, assu- mendo delle tinte sempre più chiare ed una struttura sempre più compatta. Tale modo di presentarsi apparisce evidente nel frammento riprodotto nella fig. 9=^ della tavola. Meno frequentemente si hanno altri casi, più interessanti, nei quali il minerale preesi- stente è da considerarsi come costituito da cordierite. Considerate complessivamente nei loro caratteri esterni, queste masse zonate di talco provenienti da cordierite, la quale forma sempre ancora un nucleo interno, non presentano dilferenze notevoli da quelle a nucleo clo- ritoso; esaminate però al microscopio, si nota facilmente come si tratti di un processo di alterazione molto più complesso e molto più interessante, perchè esiste uno stadio di alte- razione intermedio caratterizzato dalla comparsa della pinite. Macroscopicamente esaminati, questi esemplari presentano un nucleo interno di tinta verde grigiastra e che è costituito dalla cordierite ancora sana; intorno a questo nucleo se ne ha generalmente un secondo di tinta più chiara, quasi bianco, nel quale si ha la pinite; in seguito si ha una successione di altri strati gradatamente più colorati verso il grigio brunastro e nei quali si trova il talco. Nell’esemplare riprodotto nella fig. 10^ della tavola è rappresentato il tipo di queste masse con nucleo di cordierite. Esaminati al microscopio, si osserva che le plaghe interne risultano da una massa fon- damentale costituita da calcite apatica, nella quale si hanno disseminati abbondantissimi granuli di cordierite perfettamente sani, sebbene appariscano spesso assai frantumati ; essi sono incolori, hanno un rilievo molto forte sulla massa calcitica e possono, se in sezioni non troppo sottili, avere colori abbastanza vivi di polarizzazione. Nelle plaghe circostanti dove si incomincia ad osservare l’alterazione della cordierite, si nota che il primo stadio di quest’alterazione è caratterizzato dalla comparsa di una tinta gialliccia e da un principio di intorbidamento dei granuli; in pari tempo questi tendono a fessurarsi ed assumono una tinta grigia con debole rilievo. Poscia l’intorbidamento aumenta ed i granuli passano alla pinite, che forma appunto le plaghe intermedie nelle quali rimane sempre ancora visibile la massa fondamentale di calcite; il passaggio dalla cordierite alla pinite è evidentissimo sugli orli delle plaghe cordieritiche, osservandosi ivi dei granuli in parte ancora sani, sebbene giallicci ed in parte completamente cambiati in pinite. 48 LUIGI COLOMBA — RICERCHE SUI GIACIMENTI DI BROSSO E DI TRAVERSELLA Procedendo verso le plaghe esterne, si vede che la pinite passa gradatamente al talco, in modo che ogni granulo di cordierite alterato in pinite si trasforma in un aggregato micro- lamellare di talco. La calcite continua ad essere presente senza variare sensibilmente di carattere; solo si osserva che comincia a comparire qua e là in venature ed in plaghe, pro- gressivamente sempre più frequenti ed estese, nelle quali mantiene il suo aspetto larga- mente spatico, dipendendo questo fatto più che altro daH’impoverimento in talco che si osserva in dette parti. Si hanno minerali metalliferi che accompagnano queste plaghe di calcite; essi sono rappresentati da magnetite, da pirite e da pirrotite, che sono disposte formando come degli orli intorno alle plaghe calcitiche, essendo quindi associate al talco. In tutti questi casi, tanto quando si tratta di nuclei cloritici come quando si tratta di nuclei cordieritici, è evidente che si tratta di un processo di alterazione al quale hanno concorso anche agenti provenienti dal di fuori delle masse originarie di cloi'ite e di cordie- rito, e precisamente quelli che determinarono il deposito dei minerali metalliferi presenti in dette masse di talco. Oltre a questi tipi di formazioni metallifere se ne hanno altre le quali presentano una maggiore analogia con quelle proprie delle zone esterne del giacimento: in esse però si notano delle differenze molto sensibili, specialmente per quanto riguarda i caratteri chimici delle masse di carbonati associate ai minerali metalliferi ed anche per quanto si riferisce ai minerali associati ad essi. In queste formazioni metallifere apparisce ancora pienamente il tipo a strati alternanti di magnetite e di carbonati; si hanno però dei termini_estremamente ricchi in magnetite e nei quali i carbonati sono ridotti ad essere in straterelli talmente sottili da essere talvolta appena percettibili, tanto più che spesso contengono associata molta clorite microlamellare. Negli esemplari in cui la magnetite non è troppo abbondante, si nota sempre la pre- senza del quarzo, che in gruppi raggiati di cristalli molto allungati occupa una parte degli strati dei carbonati interposti, cacciandosi con le estremità dei suoi cristalli nell 'interno degli strati di magnetite, che si presentano sempre molto compatti e continui. Spesso anzi negli strati interposti di carbonati si hanno delle geodi allungate che assu- mono l’aspetto di druse, disposte parallelamente agli strati stessi e neH’interno delle quali si ha quarzo associato a cristallini scalenoedrici di calcite ed a pirite con prevalente abito pentagonododecaedrico . Mancano completamente gli strati misti di magnetite e di carbonati ricchi in ferro, ma in compenso tutta la massa dei carbonati intercalati fra gli strati metalliferi è molto più ricca in ferro, avendosi quei carbonati misti che furono ultimamente studiati da Dei- grosso (1). A differenza di quanto si osserva nelle plaghe in cui gli strati di magnetite appari- scono collegati con le masse di idrosilicati ferro-magnesiaci, nelle quali il calcare è costi- tuito da masse spatiche a grandi elementi, nelle parti in cui mancano dette masse di idro- silicati, i carbonati si presentano grossolanamente granulari ma non mai epatici; essi assumono, in causa della loro .ricchezza in ferro, delle tinte giallo brunastre quando siano per un certo tempo lasciati esposti agli agenti atmosferici. Un fatto importante che si osserva in queste formazioni metallifere profonde, anche quando presentano delle analogie con quelle proprie delle parti esterne del giacimento, si è il grande aumento che presenta la pirite. Essa accompagna spesso la magnetite ed in certi casi, come nell’esemplare riprodotto nella fig. 8“ della tavola, si osserva come tenda an- (1) Loc. cit. MEMORIE - CLASSE 01 SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 49 ch’osso ad assumere, unitamente alla magnetite a cui è associata, la struttura stratificata; osservando però attentamente, si vede come in detti esemplari, la pirite abbia parzialmente sostituito i carbonati nei loro strati interposti. T III. — Calcari metamorfici. 5: i 1 Il distacco fra le masse metamorfiche e metallifere ed i calcari nelle parti più interne del giacimento, apparisce molto meno netto che non nelle esterne, specialmente per quanto riguarda le masse metallifere, le quali, senza modificazioni sensibili, si diffondono nei banchi calcarei anche per tratti abbastanza estesi, solo avendosi una progressiva diminuzione nella quantità di minerali metalliferi. Avviene quindi che, dove i minerali metalliferi si trovano in una ganga di carbonati, essi appariscono ancora abbondantemente diffusi nelle zone dei calcari che sono vicini alle masse metallifere, sotto forma o di granuli disseminati irregolar- mente, oppure sotto forma di strati ondulati, nei quali i minerali stessi, essenzialmente rap- presentati ancora da magnetite, si mostrano associati alla clorito ed al talco, come avviene pure spesso nelle masse metallifere a ganga prevalentemente di carbonati. A questo tipo di formazioni miste, che possono considerarsi tanto come masse metallifere povere quanto come calcari fortemente modificati, appartiene l’esemplare rappresentato nella fig. 7^ della tavola; esso risulta costituito da una massa di carbonati molto ricchi in ferro, di tinta gial- lognola, in cui si hanno strati contorti ed irregolari di magnetite alternanti con altri formati essenzialmente da clorite. Dove invece si hanno modificazioni molto sensibili si è nella composizione chimica e nei caratteri strutturali dei banchi calcarei, i quali sono ampiamente trasformati in carbo- nati più 0 meno ricchi in ferro, ma che tutti si allontanano notevolmente dalla calcite e dalla dolomite iniziali anche per i cambiamenti che si osservano nella loro struttura ; per cui si può ammettere che in queste parti interne dei banchi siano avvenute in tutta la loro massa quelle modificazioni che nelle loro parti esterne erano esclusivamente limitate agli esili strati intercalati con la magnetite nelle formazioni metallifere a tipo alternante. Nelle parti più interne la ricchezza in ferro è molto grande, per cui la composizione complessiva corrisponde a quella di una vera ankerite; dalle analisi di Deigrosso (1) risulta infatti che in dette parti si ha la seguente composizione centesimale : CaC03 = 53,14 ; MgCOg = 25,69 ; FeCOg^ 21,17 che corrisponde ai seguenti rapporti molecolari: CaCOg : MgCOg : FeCOg : : 3 : 1,5 : 1. Progredendo verso le zone meno interne dei banchi calcarei metamorfici, la quantità di ferro va diminuendo, pur mantenendosi sempre ancora discreta ; cosi da un’analisi ricavata dal precedente lavoro si nota che in queste parti il carbonato costituente la massa del banco corrisponde alla seguente composizione centesimale : CaCOs = 53,42 ;• MgC03 = 34,40 FeC 03 = 12,18 (1) Loc. cit. 50 LUIGI COLOMBA RICERCHE SUI GIACIMENTI DI GROSSO E DI TRAVERSELLA ottenuta da materiale proveniente dalle terminazioni romboedriche da esso presentate in una geode e che corrisponde ai seguenti rapporti molecolari : CaCOg : MgCOs : FeCOs : : 5 : 4 : 1. Anche i caratteri strutturali presentano in queste parti ricche in ferro delle modifica- zioni notevoli, osservandosi che la massa costituente i banchi non presenta più quella strut- tura saccaroide che si è visto essere pi’opria di essa, dove le modificazioni metamorfiche sono poco avanzate; essa si presenta invece grossolanamente granulare, ed anche ad una sem- plice osservazione con una lente di medio ingrandimento, si può facilmente constatare che essa risulta da un aggregato di romboedri, la cui tinta bianca nelle parti di fresco rotte passa gradatamente al gialliccio ed al bruno. Oltre alla magnetite si osserva in questi carbonati ferriferi molto frequentemente la pirite, la quale apparisce disseminata nella loro massa in cristalli anche voluminosi ; si osserva anzi che essa rimane ancora molto abbondante quando già la magnetite è comple- tamente scomparsa. Nelle zone in cui è associata alla magnetite granulare, la pirite presenta prevalente- mente la forma cubica, per quanto non siano assolutamente rari i cristalli aventi forme più complesse. Quando invece la magnetite scomparisce, l’abito della pirite tende a modificarsi, diventando molto più frequente il tipo pentagonododecaedrico. E pure presente il quarzo, il quale si presenta in aggregati di cristalli raggiati o dis- seminati nella massa dei carbonati, oppure sotto forma di incrostazioni nelle geodi e nelle druse che incominciano a comparire qua e là. In queste druse si osservano anche cristalli di pirite, patine di siderite in cristalli lenticolari, meno frequentemente calcite scalenoedrica e dolomite in romboedri piccoli, aggregati. Trattando questi carbonati con acido cloridrico, essi lasciano un residuo non molto abbondante e che apparisce essenzialmente costituito da pirite in minuti cristalli, da quarzo, da clorite microlamellare e da rutilo in cristalli geminati. Tal- volta ho notato in detto residuo la presenza di piccole scagliette metalliche bianche, con leggeri riflessi rosei superficiali e che ho potuto identificare come argento nativo. La presenza di questo argento è veramente degna di nota, quando si tenga conto del fatto che a Traversella mancano completamente i minerali argentiferi. Allontanandosi dalle zone più interne, mentre, come già ho detto, i carbonati tendono ad impoverirsi in ferro, la struttura delle masse va ancora gradatamente modificandosi, diven- tando molto più abbondanti e più grandi le geodi e le druse, nelle quali si osservano nume- rosi minerali, di cui taluni veramente degni di nota per le dimensioni dei loro cristalli. E appunto da queste parti dei banchi calcarei metamorfici che provengono i classici esemplari di Traversella, specialmente noti per i grandi romboedri di dolomite ferrifera (1) che in essi si osservano, e per i numerosi altri minerali che le accompagnano. In queste geodi e druse si osserva generalmente che le pareti sono costituite da un aggregato di piccoli romboedri schiacciati, a facce curve e dotati di struttura selliforme, bianchi o grigiastri quando sono sani e gialli o bruni quando sono alterati superficialmente. (1) Questi esemplari sono generalmente noti sotto il nome di dolomite di Traversella; ora dagli studi analitici compiuti su di essi risulta che, anche quando si tratta di romboedri perfettamente limpidi ed inco- lori, hanno sempre una discreta ricchezza in ferro, essendo il carbonato di ferro presente in essi in una quan- tità che supera spesso il 10 per cento, come apparisce da una delle analisi di Deigrosso. MEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 3. 51 Essi rappresentano semplicemente le terminazioni cristallizzate dei carbonati che costitui- scono le masse in cui sono contenute le geodi e le druse. A questi romboedri sono associati frequenti cristalli di q^uarzo, i quali si debbono con- siderare come contemporanei ad essi, perchè mentre per un lato sono impiantati nella massa dei carbonati, per altro lato portano aderenti dei piccoli romboedri identici a quelli costi- tuenti le incrostazioni. Sopra a queste incrostazioni sono impiantati generalmente i grossi romboedri di dolomite ferrifera, che sono, quando il minerale è sano, completamente incolori; quando invece essi sono superficialmente alterati, assumono tinte leggermente giallognole. A questi romboedri è in molti casi associata sotto forma di cristalli lamellari immersi nella loro massa, oppure impiantati sulla loro superficie, l’ematite, la quale può quindi consi- derarsi come contemporanea della dolomite ferrifera. È però da ricordare a questo propo- sito come, nel caso di romboedri molto voluminosi, i cristalli di ematite immersi nella loro massa, appariscano sempre solo nelle parti esterne dei romboedri stessi, per cui si può ammettere che la formazione della dolomite ferrifera abbia in parte preceduto quella del- l’ematite. Come ultimo minerale comparisce poi la calcite, che si presenta in quelle forme prisma- tiche considerate da Sella (1) come appartenenti all’ultima fase di formazione di questo mi- nerale, mentre invece nelle fasi precedenti esso assunse un tipo essenzialmente scalenoedrico. Disseminati poi fra questi vari minerali se ne hanno altri rappresentati sopratutto dalla pirite, dalla marcassite e dalla clorite, che si presentano qua e là in modo del tutto irregolare. Oltre a queste geodi e druse, il cui riempimento indica che nelle dette parti dei banchi calcarei primitivi dovettero avvenire, anche dopo il loro metamorfismo, fenomeni di depo- sito molto importanti e molto vari, si osservano ancora numerose venature di dimensioni spesso molto grandi, le quali corrono irregolarmente attraverso alle masse dei banchi cal- carei, giungendo anche in quelle parti centrali, nelle quali i fenomeni di metamorfismo si fecero poco o punto sentire. Queste grandi venature in parte debbono ancora considerarsi come dovute ai fenomeni di mineralizzazione compiutisi durante il deposito di minerali metal- liferi: in parte invece debbono riferirsi a fenomeni posteriori che costituiscono come una seconda fase metallifera che venne a sovrapporsi parzialmente alla prima e che potrebbe forse collegarsi alla comparsa di alcune fra le porfiriti i cui affioramenti sono così frequenti nella zona Brosso-Traversella. Le venature del primo tipo sono sopratutto occupate dalla siderite accompagnata da pirite e da quarzo : e poiché il quarzo forma delle incrostazioni che si appoggiano colle loro basi sulle pareti delle venature, mentre le estremità libere dei suoi cristalli penetrano nelle masse di siderite, si può ammettere che le dette venature fossero inizialmente delle fendi- ture che si trasformarono dapprima in druse e che furono in seguito completamente riem- pite dalla siderite; ed invero non è raro il caso che in dette venature ancora appariscano delle grandi druse o geodi, le cui pareti sono appunto rivestite da grandi romboedri schiac- ciati e spesso a facce curve di siderite. In queste venature la siderite presenta strutture molto differenti, essendo talvolta schiet- tamente granulare e talvolta in grandi masse spatiche; nel suo interno sono disseminati i cristalli di pirite, i quali solo raramente presentano abito cubico, essendo invece prevalenti quelli pentagonododecaedrici e quelli più complessi nei quali predomina la forma ir 321. (1) Loc. cit. LUIGI COLOMBA — RICERCHE SUI GIACIMENTI HI BROSSO E DI TBAVERSELLA Altre venature analoghe alle precedenti sono molto più ricche in quarzo, il quale forma degli intrecci molto complessi di cristalli nel loro interno ; anche in queste è abbondante la pirite in forme complesse con prevalenza della tt321. Tutte queste venature, pure prolungandosi notevolmente attraverso alle masse calcaree anche nelle parti meno intonsamente modificate, lasciano molto facilmente vedere come siano intimamente collegato ai fenomeni di metamorfismo avvenuti nelle parti interne delle zone attualmente occupate dai giacimenti; esse infatti aumentano di numero e di estensione col- Tavvicinarsi alle dette zone interne, fino a che vengono nelle parti più profonde a , confon- dersi con quelle ivi esistenti e che presentano un grado non inferiore di metamorfismo e di mineralizzazione. Vi sono delle venature però che non sempre si possono in modo così sicuro riferire ai fenomeni a cui ho prima accennato e nelle quali sono contenuti alcuni minerali metalliferi che pur non presentando in generale una importanza apprezzabile dal lato minerario, non sono per questo fatto privi di interesse. Sono essi rappresentati sopratutto dalla galena, dalla calcopirite, dalla tetraedrite, dalla blenda, arseniopirite e dalla pirrotite. Questi minerali, quando non appariscono sporadi- camente diffusi nei calcari metamorfici, sono contenuti in druse, geodi ed in venature sparse qua e là nelle formazioni metamorfiche. Ora queste venature, mentre in alcuni casi, analogamente a quanto si deve ammettere quando si tratta di geodi e druse, sono da considerarsi come direttamente collegate a quelle precedentemente descritte, dovendosi quindi ammettere per esse una origine comune, in altri casi invece ne sono completamente indipendenti e debbono allora riferirsi ai fenomeni di indole filoniana avvenuti in fasi metallogeniche posteriori, le quali appariscono molto svilup- pate in alcuni altri punti delle regioni metallifere di Brosso e Traversella e di cui mi occu- però a proposito dei giacimenti di Brosso. Dai risultati complessivi di queste mie osservazioni sui giacimenti inferiori di Traversella emerge chiaramente che, data la grande complessità dei fenomeni di metamorfismo e di depo- sito, anche le cause che li determinarono dovettero essere molto complesse ed anche dovet- tero agire con intensità molto differente col variare, tanto dei periodi e delle fasi in cui si manifestarono, quanto delle varie località in cui si svolsero. La verità del concetto fondamentale delle ipotesi di Novarese apparisce evidente ed inconfutabile, nel senso più esteso, cioè che, oltre ai fenomeni generali di metamorfismo dipen- denti direttamente e semplicemente dalla intrusione del massiccio dioritico, se ne siano compiuti altri che rivestirono il carattere di vere azioni mineralizzatrici di natura molta complessa e di intensità molto variata da punto a punto. Credo però utile di rimandare lo studio di queste cause alle considerazioni generali che farò quando avrò completato le mie ricerche sugli altri giacimenti della regione metallifera di Valchiusella. Istituto di Mineralogia della R. Università di Modena. MEMORIE-CLAS.se di scienze fisiche, MATEM. e NATDK., serie II, VOL. LXVI, N. 3. 53 SPIEGAZIOÌ^E DELLA TAVOLA Fig. 1“. Frammento di minerale metallifero con alternanza di strati continui di magnetite con zone me- diane di carbonati ferriferi e di strati di calcite e dolomite epatiche, irregolarmente distribuiti (parti esterne del giacimento) {grandezza naturale). „ 2*. Frammento di minerale metallifero con strati alternanti di magnetite regolarmente distribuiti (72 della grandezza naturale). „ S*. Sezione microscopica ottenuta dal frammento della fig. 1‘, indicante la disposizione della magne- tite negli strati alternanti {ingrand, otto diametri). „ 4“. Frammento di minerale metallifero ricco in magnetite distribuito in letti irregolari e discon- tinui (parti esterne del giacimento) {grandezza naturale). „ 5*. Frammento di minerale metallifero di uguale provenienza del precedente, nel quale i letti di magnetite sono meno ricchi, ma anche meno irregolari {grandezza naturale). „ 6*. Frammento di calcare metamorfico screziato con polisolfuro di ferro (parti esterne del giacimento) (Va della grandezza naturale). „ 7®. Frammento di calcare metamorfico molto ricco in ferro con strati ondulati di magnetite e di clorite (parti profonde del giacimento) (Vs della grandezza naturale). „ 8®. Frammento di minerale metallifero proveniente dalle parti interne del giacimento, molto ricco in strati regolari di magnetite, con abbondante pirite disseminata negli interstrati di calcite {grandezza naturale). „ 9*. Massa zonata con nucleo di clorite avvolta da strati di talco e da serpentino, proveniente dai calcari metalliferi interni {grandezza naturale). „ 10®. Massa analoga alla precedente, nella quale però il nucleo interno è di cordierite e gli strati suc- cessivi sono in parte di pinite ed in parte di talco {grandezza naturale). 'i^fté'y : \ , * \- ^ • . - >« 4^^ '. W**' ■>, 'i ^(1^ I . «wJK •’i^v-'.' il'-' '■'' •‘’ ► ■-. ‘'f • ■yyv, , ■ -' ■ "'»■ i'’ • 'i ,1 ' ^ - ' . '■ '■ , ■ ,' J ■ ■ .- , ' ~,Z -■ i-'r'. ; ‘V'itìa’ il-' T!’',.p;>U‘;J(;s 'i !'''' ^ ■>J|; ?f;' SL'Viiìf! V ..y^kiS ‘: •'\ 'tn iK ,>7. . . ..: . •■ '■■ -: ‘ X* COLOMBA L, - Giacimenti di Grosso e Traverselle ji’ll’ci cil. ^tlcL'cij, J'i’l’lc ^ciciii-c ?i ò\':iiio Serie II, Voi. LXVI Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Voi. LXVI. - N. 4. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Sulle equazioni: d^z dx^ dz ày + ') di') 0 > da? dy^ ’ e le applica quindi alla risoluzione di alcuni problemi d’integrazione per le equazioni stesse. In questo lavoro ci proponiamo di estendere ciò che E. E. Levi fece nella nota Me- moria “ Sull’ equazione del calore „ (**), cioè ci proponiamo di mosivdiTe che delle 2 equazioni : (I) d^z ÒE> + 2 y) dx dy ; f(rl) C è un certo campo, con C (p) imiichiamo la porzione di C al di sotto della caratteri- stica di ordinata p. Abbiamo chiamato (E — x,x\ — y), E^{1 — x,r\ — y) le rispettive “ Soluzioni fondamentali , delle (!'), (11'), soluzioni fondamentali che il Block indica indiffe- rentemente con E{1 — X, r\ — y). Prima di entrare nell’argomento, che ci siamo prefisso, riportiamo le pi’incipali proprietà delle soluzioni fondamentali. Solo di alcune di esse, principalmente interessanti per la nostra questione, diamo la dimostrazione; delle altre, per le quali il Block à dato dimostrazione 0 ne à tracciato la via, diamo solo l’enunciato. Speriamo di poter dare in un prossimo lavoro una breve e sistematica esposizione di tutte le proprietà. Alle soluzioni fondamentali sono dedicati i §§ 1, 2. Nel t; 3 abbiamo esposto alcuni lemmi allo scopo di facilitare la trattazione della questione. Nei §§ 4, 5 trattiamo la nostra questione imponendo certe restrizioni al campo C e alle funzioni cpi ,

etto a S, x, q, y sono finite e con- tinue in ogni punto (E, x, q, y) con : q =t= y. (*) Block, Nota III, pag. 21-26. Nel presente lavoro dicendo che ‘ una funzione è infinitesima di ordine non minore di m , (0 “ infinita di ordine non maggiore di m ,) intendiamo che “ il suo rapporto alV potenza dell’infinitesimo [o infinito) principale resta (nelle vicinanze del punto in cui la funzione è infinitesima (o infinita)) minore, in valore assoluto, di una costante positiva (**) Block, Nota I, pag. 10-15. ETTORE DEL VECCHIO — SULLE EQUAZIONI : ^ -f cpi [x, y) = 0, ECC. In base al comportamento della fi (t) e delle sue derivate stabiliamo certe disuguaglianze ^ H ^ H per le Ej e per le = ( — 1)” che ci serviranno nella trattazione della nostra questione. Siccome fi{t) è infinitesima all’oo , per; si à: |/’i(^)| M A(0 ® finita e continua, si à in esso: \fi{t)\cf_A 2 , con A^ costante; quindi, qualunque sia t, si à: \fi{t)\0, — Dall’ultima disuguaglianza ricaviamo Bl J 2 y| (d) per: q=i=y. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 4. 5 Dalle (a), (i) per le (c) e (d) rispettivamente, derivano le disuguaglianze : 1 ' òE" I < d’'£!, I . ÒE» B,jB3 _* _ 2n— r n+T n -2/1 1* 3 2n— I , «+1 (ri_y|-ìr+-y- per per E — a: Vn — 2/ E — a: >fi, di (—fi, il). 2n— 1 2w— 1 Chiamiamo B' la maggiore delle 2 costanti Bi * , B^Bi ed osservando che; ^ ^ ^ ; dalle 2 ultime disuguaglianze ricaviamo : 3) Variando (i, x, p, y) in un campo finito, si à: n=t=y , ÒE" ò"Ei òx" < B' 2n+l ) In — 2/1 * essendo B' una costante. Teorema I°. Sia lr,_A un segmento della retta: y = n — h, h>0. Al tendere di h allo zero, tenda con continuità ad un segmento It, della retta: y = r|, contenente nel suo interno il punto (S, n)- Chiamiamo Xi (h — h), X 2 (l — h) ascisse degli estremi sinistro e destro di . Nel campo descritto da 1ti-a, mentre h varia da un certo valore diverso dallo zero allo zero, gli estremi inclusi, sia definita un funzione v|/ (x, y), che nel campo stesso possa riguardarsi come la somma di 2 funzioni iPi (x, y), ipa (x, y) finite, continue e monotone in x , qualunque sia y (*). In tali ipotesi vale la relazione : lim Ei (l — x,r\—y)\^ (x, g) dx = irip (E, n) , h=0 J\-h essendo Ir^-h percorso dall’estremo di ascissa minima aU’eetremo di ascissa massima. Dimostrazione : Abbiamo : I=\Ei(l — x,r\ — y)\v(o>^, y) dx = »'^T | — h h~ì fi( — j ip (a;, n — h) dx . Poniamo in quest’ultimo integrale come nuova variabile d’integrazione : E — X t = I A5 A trasformazione compiuta si ottiene : /• I ( 1 ) / = dt fi (^) vp (E — h^t, Y\ — h) JìzMnzN 1 4* (*) »p {x, y) è una funzione continua a variazione limitata rispetto alla x. 6 ETTOKE DEI- VECCHIO — SUDI, E EqUAZIUNl : -^^3 — + 9l (^, y) = 0, ECC. Notiamo che siccome esiste fi (t) dt e d’altronde, per il comportamento di fi {t) al finito ed all’oo negativo, certo esiste | fi (^) dt — con c costante — ne consegue l’esistenza di I fi{t)dt. Ed è chiaro che per il citato comportamento esista \fi(t)\dt. Perciò, indicando con e una quantità >0 e piccola a piacere, si avrà : (^) \fi{t)dt Oi , sicché per le (2) si ànno A3’ le disuguaglianze: ( 6 ) r« , i C k fi {t) dt fi [i] dt ! * e ) r i a3 i |*V ^ P — ^01 invece di ./«I come abbiamo posto : f i A* I dt\f,(t)\ |q) (£ — ;(*<, p — 7i)| i a's e quindi seguire per quello lo stesso procedimento che per questo. Tanto per giustificare la precedente labo- riosa disamina. 8 ETTORE DEL VECCHIO Ed ancora, tenendo conto delle (2) SULLE EQUAZIONI : -^—3 «Pi {x, y) = 0, ECC. -a, ■+® (7") I «P (2. n) I l/'i(0 1 < € (A -1 4- , I ip (E, X])\ \fi (0 dt < 6 (^1 + ^ 2 ). Ci resta così da esaminare il 3° termine della (4). Osserviamo che per la uniforme con- tinuità si à : per A < /i 2 . I >P (2 — hU, n — h) — ip (E, Ti) |< , I fi U) I fft J—Oì qualunque sia t di ( — ai,ai). Quindi ne consegue : I 'a, \ l«p(^ — hit, n — h) — ip (g, ti)l< e. -a, Chiamiamo h! il minore dei 2 numeri Aj, Ag; per l’ultima disuguaglianza e perle disu- guaglianze (7), (7'), (7 "), dalla (4) ricaviamo : I '’4-oo A(0 j < e [5 (Al + Aj) + 1] —00 i ove € è piccola a piacere e Ai , A 2 sono costanti. Questa relazione ci dice che : lim 1 — lim /i=0 h=0 Ei — X, ì] — y) K\i {x, y)dx = Hi (E, q) ^ — h i •4-00 flit) dt — {i, n) come avevamo asserito. Teorema IP. Nelle ipotesi del Teorema 1°, essendo inoltre c una costante compresa tra Xi (n) 0 X 2 (h) : Xi(n)p dx . T)— h Teniamo presente la dimostrazione del Teorema T: Scegliamo la A in modo che le (3) sieno verificate qualunque sia E (variabile d’integra- zione) dell’intervallo (c, E). Ciò è possibile perchè, per ipotesi, abbiamo: Xi (u) di Jc +00 Ei\\idx — \v (E, n) fi {t) dt J^—h J— oc ’+oo ip c^a; — vp (E, rj) fi (^) dt )^ — h J— 00 L’ultimo valor assoluto a 2° membro, per la posizione fatta ora sulla h e per quanto abbiamo detto dalla (3) in poi nella dimostrazione del Teorema 1°, è «< e [5 (Ari + ^ 2 ) + 1]» qualunque sia la E dell’intervallo (c. E). Essendo allora \c — E | una costante ne consegue : h convenientemente piccola. Cosicché : dl\Ei\]fdx — c?E qj (E, q) fi (t) dt c Jc J -00 y à per derivata in r] : F2o{l—x,r]—y)=y\ — y\ {t) con : /"go (0 = 22 d\ e v'2 cos ( ) ; per: n y » derivata in r\\ — i^2o- La f2o (t) è una funzione avente al finito tutte le sue derivate; alVoo j)ositivo e all'oo ne- gativo fjo* (t) — n intero, o incluso — è rispettivamente infinitesima di ordine ^ n -f- (*) e di ordine non minore di n 2 , | ^ è rinfìnitesiino del 1 ° ordinej. Si à: /•+00 Ao (0 dt = TT. La (t) è una funzione avente al finito tutte le sue derivate; in t = -j- oo e in t = — oo £2 (t) è infinita di ordine minore od uguale ad e è infinitesima di ordine maggiore od uguale ad n ^ . Proprietà della E2 e delle sue derivate. Dal fatto che f2 (^) è finita e continua al finito insieme con tutte le sue derivate deriva subito che : 1 ) La E2 (E — X, u — y) e qualunque sua derivata rispetto a E, x, u, y sono finite e con- tinue in ogni punto (E, x, Q, y) con Q =t=y. Approfittando del comportamento della f2 e delle sue derivate studiamo — giacché ci servirà nella nostra questione — il Comportamento della E2 e delle sue derivate in E (0 in x) quando r| = y. Per il comportamento della /"i"' (^) (n = 0 , 1 , 2 , ...) in i = -f- 00 si à: lim -- = fi con Ci costante. <=+» (*) Nel presente lavoro dicendo semplicemente che “ una funzione è infinitesima {0 infinita) dell’orcHne m , intendiamo che “ il suo rapporto all' potenza dell’infinitesimo (0 infinito) principale ha un limite determi- nato fi #=0 Notiamo che per n — Q (ossia per Ao(b) vale certo il segno =. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 4. 11 Consideriamo un punto (E^, Xi, pi, con: r\i—yù allora, essendo: t = dalla precedente uguaglianza dei’iva l’altra : E — X 2 1 h-2/F Poiché si à : ricaviamo : lim In-yF. 111,2/,) (E — «F o — n = C, n 1-^ In-yF 5" I — X In — y\^ (9) ^1 > , ni = «/I , per n =1= ^ lim = Ci (Ei — x^f Se supponiamo che sia: r\^ = y-^^, tenendo conto del comportamento di fz'^{t) in t= — c», otteniamo nello stesso modo : (90 d” E ni = ^i, pern^y lim ^,r = <^2 Sia da ultimo: ii = Xi, r\i = y^. Per il comportamento della all’oo positivo e all’oo negativo, ad una costante corrisponde un’altra costante c, tale che si à : per {Z,x,r],y) tale che: cosicché : (9'0 per {l,x,x\,y) tale che: E — X In — yF E — X In — 2 /F >^0, >^o, E — a; 1 2 Un — !/FJ |£-irF~" ln-«/|H” ò>'E^ 1 da cui In — yP ^ ^0 ) lE — *'0 1 3 3 \l — xY " ^o, II" "In — .yp (« ^ 1 ). i Indicando con c' il maggiore dei 2 numeri c e ct\ , che entrano rispettivamente nella disuguaglianza precedente e nella (9'"), da queste due disuguaglianze ricaviamo : 3) per n^l, qualunque sia (E, x, p, y) purché: p=t=y, d" E 2 0 , lim i" 2 o P — y) pi {x, y) dx = Tup (E, p) A=0 '-n ± h essendo : d\ (E, p) finita e continua nel campo descritto da lT,±fc. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 4. 13 Dimostrazione. Si segua la Dimostrazione del Teorema 1° del § 1 sino alle (3) con le ovvie modifica- zioni e scrivendo h, h' , invece di: a, a, Uj, giacché ora abbiamo enti diversi da quelli r +00 - , r+Qo del § 1 ; ponendo inoltre in luogo di 1^ dtf^^ (<) e di \dtf 20 (<) rispettivamente 1 dt\ (i) | , dt I Ao (0 1 • Ora il penultimo integrale scritto esiste certamente per il comportamento di f^o (i) al finito ed all’oo positivo. Di poi, data la natura della Ao (i), possiamo scrivere la limitazione corrispondente alla (4), modificata ponendo come 4° termine a 2° membro invece del “ valor assoluto del- l’integrale „ 1’“ integrale del valor assoluto dell’integrando „, e così pure per l’ultimo ter- mine. Si à: I (2 — X, n — y) {x, !/) dx~\v (s, n) \Uo (0 dt \ ^ | | / 20 (0 1 k n ± /i)l + y^n±k J— 00 2 Ifl r-h + k(^,n)| rb. lAo + c/-0O dt\U, («)| k (2 - hh, ti ± - MI (s, n) I + - 6 , r ? + f-i -00 dt I Uo («) I I MI (H — hH, n ± /i) 1 + k (^. n) I Uo{t)\dt. J»I Ciò posto, del 2° membro il 4° ed il 5“ termine si esaminano rispettivamente come il 1° ed il 2“ termine del 2® membro della (4), gli altri termini come i termini omologhi del 2° membro della (4). E si arriva così all’annunciata conclusione che : ^+00 lim i^20 (H — a:, n — «/) MI {x, y)dx = y]f (i, n) Ao (0 dt , r +00 ossia, tenendo conto che: Ao (0 dt = n\ h > 0 , lim i^ 2 o (2 — x,r\ — y) mi ( x , y) dx = timi (^, n). h =0 I 7 Teorema II®. Si à : 1 dx -P 20 (^ — a;, n — y) di MI {x, y) = n [Jc J A C MI (H, n) di /t > 0 , lim 1 dx ft =0 nell’ipotesi che : MI (x, y) sia finita e continua nel campo descritto la 1t)±a. Dimostrazione. La dimostrazione di questo teorema si riconduce facilmente alla dimostrazione del pre- cedente Teorema 1° allo stesso modo che nel § 1 abbiamo ricondotto la dimostrazione del Teorema 11° a quella del Teorema J®. I 1 1 ETTORE DEL VECCHIO — SULLE EQUAZIONI : dz + » y > a sia: Xi (y) X 2 (y) ; y = b, y = a sia: Xi (y) < X 2 (y)- Se in questa limitazione vale il segno 0. P) f (x, y) è finita e continua in tutto C insieme con la sua derivata P rapporto ad y. Dalle proprietà a), P) deriva che esistono in V i 2 integrali: ip (E, q) = Ciri) F (E, x,x] — g)f {x, y) dx dy = lim A=0 F{l,x,r\—y)f{x,y)dxdy, /< > 0 ù»i(^,n) = j j 0{i\) F (g, x,x]—y)f (x, y) dx dy = lim A=0 _J J Cin+h) F{1, x,\\—y)f(x, y) dxdy. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 4. 15 Vogliamo mostrare che le 2 funzioni nii anno le derivate V in ri ed inoltre si à. Ò4> òn òn r r r = F{^,x,x] — g) 4* Ffdx J J ' J C'(n) c(Ti) J J Oh) F (E, X, »i — y) dx dy -\- Ffdx eh) c (n) e c (n) vanno percorsi lasciando C alla sinistra. Dimostrazione. Daremo la dimostrazione per la vp, poi ricondurremo ad essa la dimostrazione per la ipj. Ci riferiremo nella dimostrazione ad un campo limitato inferiormente da un tratto della: y = a; la dimostrazione è la stessa nel caso in cui Sj ed «2 anno uno stesso punto di ordinata minima con l’unica differenza che nella determinazione di J Ffdx viene a C(T)) mancare un certo integrale. Notiamo inoltre che nella di- mostrazione noi seguiremo la figura disegnata ed avvertiamo che, se il campo à forma differente, la dimo- strazione, pur restando essenzial- mente la stessa, deve leggermente modificarsi in qualche particolare; come, facilmente si comprende. Consideriamo il rapporto in- crementale : R = F{i,x,r\i-b — y)f{x, y)dxdy — j | F (B, x, r] — y) f(x, y) dxdy ^(•n-i-ò) C(iì) , per ò > 0. Nel primo integrale aggiungiamo b alla variabile d’integrazione, allora per l’integrale stesso il campo d’integrazione non è più C (q -j- b), bensì C (q) aumentato di quella parte Cò di piano, al di sotto della retta: «/ = q, compresa tra il contorno di (7(q) ed il contorno del campo che si ottiene da C(q-l-b) con la traslazione — b parallelamente all’asse^. Sicché: ( 1 ) E = C(TÌ) Esaminiamo : F(E, x,x\ — y){f{x,y^ò) — f{x, y)] dx dy^\- F{1, x,r\ — y) f{x, y + b) dxdy. J .} H \ Fil,x,x\ — y)Yf{x,y^b) — f{x,y)\dxdy. C'(iv 16 ETTORE DEL VECCHIO — SULLE EQUAZIONI : ^ ~ Per l’ipotesi P) si à: »+6ó 0 < 0 < 1 . Perciò (2) H K n — !/) [f (a?, y + ò) — f{x, > 0, piccola a piacere, esiste una òj > 0, tale che, per uniforme continuità : per ò ) 0 < 01 < 1 , cosicché la precedente uguaglianza può scriversi così : (4) 1 F{l,x,r\—y)f{x,y-^h)dxdy = — \xi (i/+ 0i b) [7^(5, x, p —y) f{x, dy. Chiamiamo A l’integrando di quest’ultimo integrale : (5) Xi' (y + 01 ^>) (H, x,y\—y)f {x, y -[- b)]^=^,(2,+ò)+9r = A. Poniamo inoltre: (6) Xi' {y) F[l, Xi {y), r[ — y]f [xi {y), y] == Ai . Per le ipotesi a), p), t) esiste : Ai(7y. Consideriamo allora (7) ùidy — ^\dy TI— e A--A,|f?(/-f- |A|rf^-f- AJc^y 01-6 ove a è una quantità piccola a piacere. 18 Ò^Z I5TT0UK DEL VECCHIO — SUU.E EQUAZIONI : -^^3 il + ) = I F(E, x,x\ — ij)f{x,y)dx. hW) Notiamo che quando (a;, y) varia in C", F (E, x,r\ — y), giacché si à : ^ è finita e continua, quindi: | F (E, a:, x] — (") l’" V (H, X, X] - y) f{x,y-\- b) dxdy = - da: /^’ (E, x,r\ — y)f (.r, y + b) dy = .71(0) .'“-b ''X^W dx F (^, a;, n — a -\- 02 b) f [a:, a -[- b (1 — Gg)] , ove è: 0 <; 02 0 , lim B = 6=0 F (E, a:, n — ^) dxdy | F (£, x,r\—y)f (a:, y) dx. C(ìi) c(ii) Nel nostro esame noi abbiamo supposto b > 0 . Se si pone: b<^ 0 , seguendo lo stesso procedimento, deve modificarsi la (1) ponendo dinanzi a 11 F{l,x,r\—y)f{x,y-\-ò) dxdy Oò il segno — invece del +. Il 1 “ termine a 2 ° membro della ( 1 ) dà ancora lo stesso limite per b = 0, mentre il 2- termine [f^’(E. n -.) f(., y + 6) à co^e limite per 5 = 0- C'b j*F(E, a:, r) — y)f{x,y)dx. Ciò si comprende facilmente. Quindi: c(ri) b <j)f{x, y)dx(ìti Ò(iì) 'Pi (^, n) = I I (^, X, n, y) f {x, y) dxdy C(y\) certo esistenti in f, sono in esso continue. Dimostrazione. Considereremo solo il caso della i|i (E, r|), il caso della ipi (E, u), che potrebbe trattarsi anch’esso direttamente con lo stesso procedimento, lo ricondurremo ad esso mediante un cambiamento di variabili. Per l’ipotesi a) : per \y — h | con X(2/) continua. Le funzioni : ^ r J ^ n, y) f {x, y) dy , J ^ ’ F(ti) certo determinate e finite in f, soìio in esso continue. 24 ETTORK DEL VECCHIO — SULLE EQUAZIONI : Òz ò«/ + (Pi (x, //) = 0, ECC. Dimostrazione. L(f dimostrazione può farsi seguendo punto per punto la dimostrazione del Lemma IL, apportando le ovvie modificazioni: sostituendo, nello spezzamento del campo d’integrazione, s a C Osservazione al Lemma III". Per una considerazione affatto analoga a quella svolta neW Osservazione al Lemma IL, si à: 1) lini F (E -f h, x,r\-\- k, y)f [x, y) dy = \ F (E, x, q, y) f [x, y) dy. ;,=o, t=o 2) lini F (E + h, x,\\, y) f (x, y) dy — 3) «(11) lini 1 /i=0 1 S(1l) lim 1 t=o »('ti) S(Tl) F{1, x,r\, y) f{x, y)dy. s{v,) «(■n) E analoghe relazioni valgono per F (H, X, q, y) f (x, y) dy. «(•n) Lemma IV°. Siano assegnate due funzioni: F (E, x, q, y) (H, q) e (x, y) che variano rispettivamente in 2 campi finiti f c C; f (x, y) per (x, y) di C. Le funzioni godano delle seguenti proprietà: a) F (E, X, q, y) è finita e continua in (x, y) ed à la derivata in 5 finita e continua nelle 4 variabili E, x, q, y. La continuità per la F e per la sua derivata vale qualunque sieno (E, q) di r e (x, y) di C, eccettuati forse gli eventuali punti (E, q) e (x, y) con: q = y, in cui però la F e la sua derivata sono infiniti di ordine non maggiore di n <1 1 , rispetto a ^ come infinito del 1° ordine. 3) f (x, y) è finita e continua in C. Vogliamo dimostrare che le funzioni di (E, q) : F (E, X, q, y) f{x, y) dxdy , J J 0(11 ) F{i, x,^,y) f{x, y) dxdy , J J Cin) certo determinate e finite in f, soìio hi f derivabili in E sotto il segno j j . Dimostrazione. Ci riferiremo a F {l.,x,r\,y) f{x, y) dxdy, per ^^F{l,x,x\, y)f{x, y)dxdy la dimostra- 0(T1) 0(ti) zione è affatto analoga. Approfittando del teorema degli “ Accrescimenti finiti „ si à (1) J .. 0(T)) {F)%+bf dxdy — {F)^f dxdy 0 ( 11 ) Oli)) ÒF òE A+9Ò f dxdy (J a sia: Xi (y) y = a, indichiamo con ]„ il segmento che unisce i 2 punti [xi (a), a] , [x 2 (a), a]. La porzione delle 2 curve Sj, S 2 al di sotto di una qualunque caratteristica che V attraversi, sia incontrata in un nu- mero finito di punti dalle : x = costante. Sia finita la porzione di G al di sotto di una caratteristica che V attraversi. Usiamo nel seguito le notazioni già usate nel Lemma 1°. Nel campo C sia definita una fun- zione > 0, tutte le derivate in x della E^ sono funzioni finite e continue di {x,y). Perciò, siccome cpi e sono in (7 finite e continue, data la natura del contorno di (7 (n — e), si può applicare a ò»£'i òP' alla X, ottenendo : j 0(11— e) qpi dxdy l’integrazione per parti rispetto C(n-e) q>i dxdy = òE\ òx «Pi dy òEx òx J Si(il— e)-i-*2(ii— e) 0(11— e) òi dxdìj = C(ii) Ei qpi dy -f «i(ii)+»a('n) C'I'n) K, Notiamo ora che cpi e sono finite e continue in (7 e che d’altronde la Ei e la godono rispettivamente le proprietà a), fi), cosicché Ei , qpi ed E^ , si trovano in tali condizioni che possono applicarsi il Lemma V° ai 2 integrali in Si (p) e in § 2 ( 11 ) e il Lemma 1V° all’integrale superficiale del 2° membro. Questi integrali cioè sono derivabili in l sotto il segno d’integrazione; ne consegue che la derivata in l del 1° membro è il 2° membro della (2) e quindi anche il 1° membro : ò j éS 1 òEi , , qpi dxdy ^ ^ Ei qpi dxdy — C(ìi) C{ì j ^ 1) ecn) ’ 30 ETTORE DEL VECCHIO — SULLE EQUAZIONI : ^ + «Pi (■». V) ~ t), ECC. Eguagliando i 2' membri di questa o della precedente eguaglianza si à : («) (Pi dx 4- si('n)+«a('n) I I "di' 'P* = — TT jj cpi (^, n) 1 [ jj di I j Ile òy' + I j P 'Pi c(ii) c(i;ì) Siccome cpi {x, y) è ovunque finita e continua certo si à : Ei di (pi dx -\- 1 ) dE [— iT \l 9i (2, n) dl}^ = — TTcpi {l, q). Ed essendo la Ei finita e continua quando è: abbiamo ancora 2) J di' di qpi dx = Ei (Pi dx. I Eidl e finita e continua Perciò q>i , E^ di e Ei di sono tali che possiamo applicare il Lemma V° ai 2 inte- grali in Si (q) ed in Sg (n) del 2° membro della (6) ed il Lemma IV° al 1° integrale super- ficiale del 2° membro stesso, ossia : dE ^^^Eidl cpi c^a; = j ^J^jEiC? 2 qpi , dE si('n)+«2('n) si('n)+*2('n) òcp, [4j ^ ^'^E,dl ÒCti) ./ J 0(7)) dxdi/. Per r\=^y si à : E^dl = E^, cosicché dalle due eguaglianze precedenti ricaviamo ancora : 3) 3) ( i P di cpi dx = 1 LJc d_ dE 4i('n)+«2(’n) Ei (Pi dx , E, ^ dxdy. C(7\) C(ri) Essendo p (a:, q, y) iPi dxdy indipendente da 2 si à : 4) d dE P (^) 1, y) i dxdy «Pi % + C’'(ni) O('n) d® E I -^ 3 ’ q>i dxdy = — Trqpi (E, q) -}- I iJi qpi dx + E^ ^ dxdy C{r\) C(t)) C(ti) (per quest’ultima uguaglianza si tenga presente la nota (*) alla pagina precedente), Ei cpi dx -f- C(T)) J J C(T|) Ei dxdy. Si tengano presenti le proprietà a) e p) di Ei e e si tenga presente inoltre che idx (giacche essendo: q > a, ordinata dei «a punti di L, l’integrando è una funzione continua di (E, a;, q) variando (E, q) in un intorno Esiste così il limite per € = 0 di tutti i termini del 2“ membro della (a), quindi esiste il limite del 1 “ membro ; di più : òe ^dxdxJ e quindi segue il nostro asserto. 0 (Tl) (*) Noi consideriamo solo punti interni a C, i/, 9i rfa; -|- 1 I J?i dx dy . MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOI,. LXVl, N. 4 . 33 del punto che si considera e x tra i 2 estremi di Z*, estremi inclusi). Possiamo allora con- chiudere che in ogni punto (E, n) di C sono continui || 7^1 qpi cZiPcZy e le sue derivate nominate. cin) Perciò riassumendo: NelV interno di C la funzione Jj*Èi (E — x, ti — y) qpi (x, y) dxdy è una soluzione della òz 0 ( 11 ) equazione: cpi (E, r|) = 0 , continua insieme con le derivate in E dei primi tre ordini e la derivata in ri del primo ordine. § 5 . J_ 2tt J c T?2 r\—y) qp2 {x, y) dxdy è soluzione deU’equazione : H ^ + qp2 (^, n) = 0 (II) nel caso in cui C sia un campo rettangolare con una coppia di lati paralleli all’asse x ed in cui q>2 (^) h) soddisfi alla condizione: a) qpo (E, ri) sia in C una funzione finita e continua insieme con le sue derivate P in E, P e 2 ^ in Ti. Dimostrazione. Essendo — x,r\ — y) una funzione finita e continua in ogni punto [x, y) ^ 2 ) delle Proprietà della E2 e delle sue derivate esiste || £"2 (E — x, r| — y) (p2Ìx,y) dxdy e si à : ( 1 ) £2 (2 — a;, ti — y) (P2 {x, y) dxdy = £2 92 dxdy. =J J £2 q>2 dxdy -|- c(i) il ^ 0(11) Per la natura della £2 e perchè, per ipotesi, qp2 {x, y) è continua in C in- sieme con la sua possiamo applicare a ciascuno dei 2 integrali a 2 ° membro il Lemma P. Chiamiamo Z„ e h le porzioni delle rette y = a, y — b del contorno di C percorse lasciando C alla sinistra ; applicando dunque il Lemma P si à : ->+ ( 2 ) ( 2 ') (■) òn J J 0 ( 11 ) £2 dxdy -j- I £2 ì/) = ECC. Siccome noi consideriamo un punto (H, u) interno a (7 i 2 integrali lineari a 2° membro delle (2), (2') sono derivabili in ti sotto il segno J per un noto teorema di Calcolo, poiché i limiti d’integrazione sono costanti e gli integrandi e le loro derivate in r| sono funzioni di (H, r|, x) finite e continue in ogni punto del campo che si ottiene per (5, u) che vari in un intorno, tutto interno a C, del punto (E, r|) fisso, che si considera e per x che vari tra le ascisse dei punti estremi di o Zj. Si à dunque: (3) •òn i ?2 (? — a;, ri — y) q >2 (aj, ij) dx = Ozl<2 ^ 7 Ei

2 {x, y) dxdy = £2 -P dx + ^ dy ' òEì j -^f,dx E, ^ dxdy. J Consideriamo ora le derivate in E dei primi tre ordini del nostro integrale: £2 (E — a;, TI — y) cp 2 {x, y) dxdy. Nelle 1), 2), 3) delle “ Proprietà della E 2 , del § 2 abbiamo messo in evidenza che: a) £2 (S — X, X] — y) è finita e continua in (E, x, q, y) qualunque sieno E, x, q, y. E se ÒE I B è: qH=v, tale è anche ed inoltre: 2 dxdy : c ( 6 ) _d_ òE E^il — x,r\ — i/)cp2 {x, y) dxdy J o qp2 dxdy. Perchè, oltre le a) e b), abbiamo che in un campo C(ti — e) 0 C(r| + e), e>0, ^ ~ò£^’ ^ ~ (0 ® funzione di {x, y) finita e continua ^ 1) delle “ Proprietà dìdxdy il procedimento seguito nel § 4 per \\—^^>idxdy C(r\) C{r\) C(Tl) -^(^2 dxdy, \\-^^>2dxdy il procedimento applicato nel § 4 0(11) C(Tl) a 11"^ 2«^ + *I+®2 Studiamo la derivata Per q =1= 2/ si à : d' dE' £2 T2 dx dy. V ( 8 ) ò^Ei _ ò^Ei dE' “ dq' £2 e tutte le sue derivate, per q=t=i/, sono finite e continue, quindi dall’equazione (8) ricaviamo : (9) n =1=^, d'£)2 d dE' dq Jc ÒE2 dq di -j- Pi {x, q, y) ove c è una costante. 3G ETTORE DEL VECCHIO — SULLE EQUAZIONI ; cpj {x, ìj) = 0, ECC. Per la 1) delle “ Proprietà della Ej del § 2 si à che la è finita e continua, se è: y=i=ti- òEo Come la così la d^ è una funzione finita e continua per: y=i=ri insieme Je ^ Esistono quindi gl’integrali : ori jc òn qp 2 dxdij e(ti-E) iì IJ . òy. le òn qp 2 dxdy , Cl’n-e) ([sC ò (1 òEj ò*i dE cp 2 dxdy — — Òyjc on (P 2 dxdy. C(t1 + E) C(t|+e) Di più, siccome, oltre qp 2 , è in (7 finita e continua — pensando alla natura dei contorni di C (r) — e) e di C (ri -|- ^) — appare che ai 2 integrali dei 2‘ membri è applica- bile l’integrazione per parti rispetto alla y. Sostituendo loro le espressioni che ne risulta nelle precedenti uguaglianze si ottiene : ( 10 ) _ J 0(7)- B) * J! ^ “'2' = J [f! ^ H + j [J! ^ 1 + drijc ò*i + u:- dn dE Òqpj dy dxdy. C(7\-S) (10') d fi ÒE. <7(t)+e) Òri Jc òn dE

2 dxdy. 0(i)+e) Per quanto abbiamo detto implicitamente nello studio della derivata 2» in l di 1^1 E 2 (P 2 dxdy si à che; 1) Esistono: lim £=0 0(1) -e) ( 9 ^ dxdy dV 0 ( 1 )) (^2 dxdy , limj j qp 2 =J ( 92 dxdy. 0(1)+E) 0 ( 1 )) ÒE Siccome

y; Ò^2 òq = — F 20 se è: r]2 dx lim e =0 dE, di dq qpj dx — lim e =0 2) f. F 20 di 1)-E -1)— E q >2 dx — lim — 8=0 ^T|+e f! F 20 di (^^dx = — TT (P 2 (H, q) di ; c^a: =: — TT (P 2 (2, q) di. Abbiamo posto il segno — nel 2° membro della 1» eguaglianza, giacche ^n-e, dovendo percorrersi lasciando (7 (q — e) alla sinistra, va percorso dall’estremo di ascissa massima all’estremo di ascissa minima ; /t)+e invece deve percorrersi dall’estremo di ascissa minima a quello di ascissa massima. i MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LEVI, N. 4. 39 .4T* ' Consideriamo il 4° integrale a 2° membro della (14): i: U.dE òy dx\ le stesse con- 'ti -e siderazioni varranno per il 4° integrale a 2^ membro della (14'): P il òs dx. j Chiamiamo b' le ascisse dei punti di Si e $2 (del contorno di C); si à: (15) ^^E 2 {l — x,r\—y) di ^ {x, y) dx = ^ E 2 [l — X, e) di {x, ri — e) dx. ^-e Notiamo che: Oi) La £"2 (2 — X, X] — y) è finita e continua in (E, x, r|, y), qualunque sieno l, x, q, y. Tale sarà anche p £2 (^ — h — y) di. Quindi, siccome è finita e continua in ogni punto {x, y) di C, l’integrando dell’in- tegrale a 2° membro della (15), quale funzione di (x, e), è finita e continua quando x varia in (a', b') e e varia dallo 0 ad un valore maggiore di 0. Perciò il limite per e = 0 dell’in- tegrale è eguale all’integrale dell’integrando in cui sia posto; e — 0, ossia: 3) lim e=0 £2 (^ — a:, q — ?/) di ^ (x, y) dx = E. di dx. e Analogamente : 3) lim e=0 E^dl àj dx = E, di ^>j dx. e Ir^ va percorso dall’estremo di ascissa massima a quello di ascissa minima. \ j Per la a^) ed essendo inoltre finita e continua in C si à : 4) lim E=0 J f^E,dl\^dxdy= [f^E^dl\^ixdy, 0(m— E) j J C'(T)) lim e=0 j: E, di dxdy = 0 ( 11 +e) J J 0(11) J: £0 di Siccome il 1° ed il 3° termine del 2“ membro della (14) ed i termini omologhi della (14') sono indipendenti dalla e, per le 1), 2), 3), 4) possiamo dire che esistono i limiti per e = 0 di tutti i tei-mini della (14) e della (14') eccettuati: 9 \{x,x\,y) <^ 2 dxdy, Pi(x,q,^) (^.idxdy. 0(1H-E) 40 ETTORE DEO VECCHIO — SULLE EQUAZIONI : ^ + 2 dx Eo di Òi/* dxdy -f- Pi(aJ,n,«/) (pìdxdy. ; i. Mostriamo che di ciascun termine del 2° membro esiste la derivata in l. Poiché q>2 (H, n) è finita e continua in C, si à : li) ò (ì ÒE

2 del 2° termine a 2" membro della (16) e la sua derivata in E: F^q qp2- Perciò, per un noto teorema di Calcolo, è lecito derivare il termine sotto il segno J: 2i) e per la stessa ragione : 2i) ÒE F20 di ò ÒE di (p.2dx = \ F20 q>2 dx; (ft^dx =\ F20 qp2 dx. X. Per lo stesso teorema si à ancora : 3 i) ÒE E. di dx ■= I J&2 dx ; òy 1 P E\ di òqji òy dx = \E2^ dx. £'2 (E — X, T] — y), e quindi ^^E2dl, é una funzione di (E, x, p, y) ovunque finita e continua; \2 siccome inoltre é una funzione di {x, y) finita e continua in C, certo si à : 4i) ÒE ff P £2 di ,1 .J C 0/ dxdy E, dxdy. J J c L’ultimo termine della (16) è indipendente dalla E, perciò: 5 i) ò ÒE Pi n, y)

n) dxdy e l’espressione della sua de- o rivata 1* in q, che si ottiene sommando i 2‘ membri delle (2) e (2') e le espressioni (5), (6), (7), (17) delle sue derivate: 2^ in q; 1*^, 2^, 3^ in E; come nel caso omologo del § 4, si prova, approfittando dei Lemmi 11° e 111°, che sono tutte funzioni continue nell’interno di C. Concludendo: Nell’interno di C rettangolare la funzione ^jj E2 (S — x, q — y) cpj (x, y) dxdy è una so- c luzione dell’equazione : ò^z dP “f" ^2 (^) n) — 0 continua insieme con le derivate in E dei primi 3 ordini e con le derivate in q dei primi 2 ordini. (*) Come per l’integrale Jj'£'i(E — x,r\ — ij)(pidxd!/ del § 4 notiamo che si dimostra che l’integrale Còl) \ E 2 i^-x,,-y)^,i:c,)dxd, è derivabile una terza volta, in E, sotto il segno Ci limitiamo a dire che spezzando C nei 2 campi C(q) e C(q) la dimostrazione procede analogamente che nel § 4, coll’avvertenza però che ciascuno dei 2 integrali dy ^(Pìdxdy, C(HI-E) àf ■qìidxdy devesi integrare per parti, rispetto C(ri-l-e) alla y, 2 volte successivamente. Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Voi. LXVI. - N. 5. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. I LIMITI DI UNA FUNZIONE IN UN PUNTO LIMITE DEL SUO CAMPO MEMORIA DI GUSTAVO SANNIA (a Cagliari). Approvata nell’adunanza del 25 Aprile 1915. INTRODUZIONE 1 . — In questa Memoria faremo uno studio approfondito dei limiti che una funzione reale, di una o più variabili reali, ammette in un punto a del primo derivato G' del gruppo di punti G in cui essa è definita. Nel § l tratteremo deWinsieme limite di una funzione di una variabile nel punto a, e nel § 3 di quegli insiemi limiti parziali che si ottengono quando si considerano separata- mente la sinistra e la destra di a. Tutto ciò estenderemo, nel § 4, alle funzioni di più va- riabili (*), delle quali considereremo anche i limiti iterati nel § 6. Infine nel § 5 faremo uno studio comparativo dei varii insiemi limiti (parziali e totale) in a, estendendo un interessante teorema di W. H. Young. In quanto al § 2, esso è un intermezzo contenente un nuovo breve studio sulla composizione dei gruppi derivati di un gruppo lineare di punti, studio utile per tutte quelle quistioni nelle quali occorre tener distinte la sinistra e la destra di ciascun punto. (L’estensione di esso ai gruppi non lineari trovasi nei n* 13 e 14 del § 4). 2. — Oltre ad approfondire lo studio dei limiti di una funzione generica, più di quanto sia stato fatto finora, ci proponiamo altri scopi. Anzitutto vogliamo mostrare come si possa sviluppare tutta la teoria dei limiti senza ricorrere al poshdato di Zermelo (**), che non da tutti è ammesso, e che tuttavia interviene spesso nelle ordinarie trattazioni di molte quistioni relative a funzioni definite in gruppi di punti generici. (*) Per maggior chiarezza e semplicità ci limiteremo a considerare funzioni di due variabili. (**) Zermelo (in “ Math. Ann. „, B. 59, 1904, p. 514) osservò che le dimostrazioni nelle quali si fa infinite volte la scelta arbitraria di un elemento non sono riducibili ai sillogismi ed alle altre forme di logica ordi- naria. Noto che ciò era stato osservato, molti anni prima, (in “ Math. Ann. B. 37, 1890, p. 210) da G. Peano: “ Mais comme on ne peut pas appliquer une infinité de fois une loi arhitraire avec laquelle à une classe “ on fait correspondre un individu de cette classe 2 GUSTAVO SANNIA — I MMITI DI UNA FUNZIONE IN UN PUNTO LIMITE DEL SUO CAMPO In secondo luogo vogliamo riprendere il concetto di insieme limite, concetto che oggi ò quasi del tutto abbandonato. Infatti attualmente per studiare il comportamento di una funzione (p. es. di una varia- bile) f(pc) neH’intoi no di un punto a di G' , si considerano i limiti di indeterminazione (rispet- tivamente inferiore e superiore) di f {x) in a (*), che noi indicheremo coi simboli (1) ,lim/’(a;), 'lim/’Ca;), x=a x=a e spesso, per semplicità, con ^1 e 'I (**). Quando sono uguali coincidono con Tordinario lini /‘(a;). x=a ,l è, per definizione (***), il limite per /i — 0 del limite inferiore di f{x) nell’intorno (a — /t, n 4- h) di a. La definizione di 7 è analoga (****)• 3. — Però il nome “ limiti di indeterminazione „ dato ai numeri ,l e 7 ed alcuni dei simboli usati per rappresentarli non sono certamente ispirati da questa definizione, ma da un’altra più antica. Precisamente i simboli (ò) mostrano che essi dovettero presentarsi ante- riormente come il minimo e il massimo di tutto un insieme di numeri, ciascuno dei quali fu considerato come un limite di f {x) in a. Ed in effetti fu così che si presentò la prima volta il numero ,l in un teorema di Abel {(Euvres, t. II, p. 99) ed il numero 7 in un teorema di Cauchy {(F/uvres, 2® serie, t. II, p. 12 1) sulle serie. Cauchy considerò pure l’insieme di tutti i limiti della funzione sen ~ ' nel punto x = 0. (*) Così detti da P. du Bois-Reymond (f'unetionentheorie, 1882, § 68). (**) Questi sono analoghi ai simboli (a) l,fa , V fa di G. Peano {Formulario Mathematico, ed. V, Torino, 1905, pp. 213 e 374). Abbiamo preferito di porre gli apici a sinistra, in alto e in basso, riservando la destra agli ordinarii apici o indici, che introdurremo quando dovremo considerare altri enti analoghi. Altri simboli in uso sono (5) min Lm fa e max Lm fa del Peano, (c). lim inf f{x) e liin sup f{x) x=a x=a del Pasch (“ Math. Ann. „, B. 30, 1887, p. 134), ed infine lim f(x) e lim f{x) x=a x=a di A. Pringsheim (“ Sitzsb. Akad. Miinchen ,, B. 28, 1898, p. 62). Questi ultimi sono oggi i più usati, però presentano qualche inconveniente nella composizione tipogra- fica: è solo per ciò che non li abbiamo adottati e li abbiamo sostituiti con i simboli (1). (***) Di U. Bini, Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabili reali, Pisa, 1878, p. 182. (****) Fra le proprietà note dei numeri e 'I rileviamo le seguenti : I. Se ^1 (,1) è finito, dato un numero 6 ì> 0, in ogni intorno di a esiste un punto (almeno) x di G, distinto da a, tale che risulti (2) 'l-e• 0, in ogni intorno di a esiste un punto (almeno) x di G, distinto da a, tale che risulti (2)' f{x) > N (f{x) < - N). II. Se ,1 e '1 sono finiti, dato un numero e > 0, esiste un intorno di a tale che per ogni punto x di esso e di G, distinto da a, risulti )-^ 0, in ogni intorno di a esiste un punto (almeno) x di G, distinto da a, tale che sia (3) l — €0, in ogni intorno di a esiste un punto (almeno) x di G, distinto da a, tale che sia (3)' f{x)>N, [f{x)<-N]. Diremo infine insieme limite di f {x) nel punto a, ed indicheremo con Lm ( ' '), l’insieme formato da siffatti limiti, finiti o non. (*) Loc. cit., p. 175; “ Abhand. Akad. Munchen ,, B. 12, 1875, Abt. 1, p. 124; “ Math. Ann. ,, B. 16, 1880, p. 120. (**) Il DU Bois-Reymond chiamò f(a), quando esiste, valore diretto di f{x) in a, e chiamò valori indiretti di f(x) in a tutti i numeri di A. Con l’aggiunta dei valori indiretti, f{x) diventa indeterminata (intendi : a più valori) nel punto a, ed i numeri ,1 e 'I sono i limiti della sua indeterminazione. È questa l’origine del nome dato a questi numeri. (***) Tali sono i limiti di indetei-minazione a sinistra di a e quelli a destra di a (n“ 11). (D “ Rivista di Matematica 1892, p. 77; “ The American Journal of Math. ,, 1894, p. 38. Cfr. anche una Memoria di R. Bettazzi nei “ Rend. del Circolo Mat. di Palermo „, t. VI, 1892, p. 173. (■'■■'■) Occorrendo, si può adoperare la notazione più completa Lm {f, G, a) del Peano [Formulario Matem., p. 231), che pone in evidenza il simbolo funzionale f, il gruppo G ove f è definita e il punto a di G'. ' 1 GUSTAVO SANNIA I LIMITI DI UNA FUNZIONE IN UN PONTO LIMITE DEL SUO CAMPO L’insieme limite Lm esiste. Poiché contiene i numeri / e 7, come risulta dalla proprietà I ricordata in una nota al n“ 2. L’insieme limite Lm è chiuso ed ha per estremi (inferiore e superiore) i numeri ^1 e '1. (Cfr. Bettazzi, loc. cit.). 6. — Contro l’assunzione dei numeri di Lm come limiti di f{x) in a si può obiettare che essi non rientrano nell’ordinario concetto di limite. Infatti (usando un linguaggio im- proprio, ma espressivo) si può dire che un numero l è un limite di f {x) in a nel senso di Peano se è tale che, avvicinandosi x ad a, (4) \f{x)-l\ finisce per diventare minore di qualunque numero e > 0 prefissato; mentre che l è limite di f {x) nel senso ordinario, se (4) finisce per diventare e restare minore di e. Ed è perciò che il Peano ha adottato il simbolo Lm, e non “ lim ,, per i suoi limiti, e che il Bettazzi (loc. cit.) ha preferito chiamarli confini di f{x) in a. Ma noi ora dimostreremo che i limiti di Peano godono di una proprietà caratteristica (e che perciò può essere assunta come altra definizione dei numeri stessi) in seguito alla quale meritano di essere considerati come limiti di f{x), almeno quanto i numeri dell’in- sieme A. Un numero X di A si è chiamato (n° 3) un limite di f{x) in a, in quanto che esso è il limite ordinario di f{x) considerata solo nei punti di un particolare sottogruppo, e pre- cisamente una successione, di G, avente come punto limite a. Ora, togliendo la restrizione che questo sottogruppo debba essere una successione, si ottengono i limiti del Peano. Si ha cioè il teorema : Ogni numero dell'insieme limite Lm di f (x) nel punto a, e nessun altro numero, gode della proprietà di essere il limite ordinario nel punto a della funzione f(x) considerata solo nei punti di un conveniente sottogruppo S di G avente a come punto limite. Anzitutto è chiaro che ogni numero che gode della proprietà enunciata appartiene a Lm ; poiché esso è il limite ordinario di f{x) considerata in S, quindi è anche un limite di Peano di f{x) considerata in S, e quindi anche in G. Dico che, viceversa, ogni numero l di Lm gode di detta proprietà. Supponiamo anzitutto che l sia finito e fissiamo ad arbitrio una successione di numeri positivi, decrescenti, tendenti a zero : (5) €1,62,63,... (6„ > 6„+i , lim 6„ = 0). n=oo Essendo a un punto limite di G, in ogni suo intorno cadrà qualche punto di (?; e ciò si verificherà pure necessariamente 0 in ogni intorno sinistro o in ogni intorno destro. Sup- ponendo che si verifichi in ogni intorno destro, consideriamo le due successioni di intervalli (6) ii = (a, a+l), »2 = (a, a + Ì3=(a, a + y), ..., (7) Ji = ^ + 1) . Ì2 = [« + y 1 « y) ) is = ^ + y) ) • • • » in ciascuna delle quali le ampiezze degli intervalli tendono a zero e gli estremi tendono ad a. Si ha inoltre : (8) in jn +in+l jn+2 + • • • MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 5. 5 Per definizione del numero l (n® 5), esiste in ii un punto almeno Xi di G, diverso da a, tale che risulti (9)i ^ — «1 < /"(aJi) < ^ + ei. il è, per la (8), somma di Ji, jg, ... : sia jV, (^i ^ 1) il primo di questi intervalli contenente qualche punto ed in esso prendiamo tutti questi punti ; otterremo così un sottogruppo di G in tutti i punti Xi del quale varrà la (9)i. Analogamente, esiste in «V,+i un punto almeno X 2 di G, diverso da a, tale che risulti (9) 2 Z — €2 < /•(xg) < Ì + 62. irj+\ è somma di jV,+i , >,+ 2 , ... : sia jV, ( 1^2 > + 1) il prinno di questi intervalli contenente qualche punto a ?2 ed in esso prendiamo tutti questi punti; otterremo un sottogruppo G 2 di G in tutti i punti del quale varrà la ( 9 ) 2 . Così proseguendo, otterremo, applicando successive leggi di scelta ben determinate, una successione G^, G 2 , ... di gruppi di punti (sottogruppi di G) i quali sono distinti e sono contenuti rispettivamente negli intervalli _;V, , ..., le cui ampiezze tendono a zero ed i cui estremi tendono ad a. Ne segue che la loro somma ( 10 ) S=G,-{-G2 + ... è un sottogruppo di G che ammette g come punto limite. Tutti i punti X di Gn soddisfanno la limitazione (9)„ Z — e„ < /■ (a;) < Z -}- e„ , la quale sarà soddisfatta pure dai punti di tutti i gruppi seguenti Gn+x{k= 1, 2, ...): questi infatti soddisfanno la I — I €n-f fe > e, poiché €n+h < e„, da questa segue la (9),^. Ne deduciamo che la (9)„ è soddisfatta da tutti i punti x del gruppo Sn = tr» -|- Gn+i -j- Gn+2 “H • • • il quale, si noti, contiene tutti i punti del gruppo S che giacciono in un intorno destro di a (e precisamente in ir„+\). Ora, poiché lim €n = 0, dato un numero e > 0, sarà, da un certo n in poi, En^e; n=co allora i punti di Sn, soddisfacendo alla (9)„, soddisfaranno anche alla Z — e < /■ (a;) < Z + ^ ; ciò prova che f (x), considerata nel gruppo S, ammette Z come limite ordinario nel punto a. Con leggere modifiche si tratta il caso in cui Z non é finito. Se p. es. é 1 = co , allora, prefissata, in luogo della (5), una successione di numeri positivi, crescenti e ten- denti a 4" si ripeterà il ragionamento precedente, adoperando, in luogo della (3), la prima delle (3)'. (ì liDSTAVO SANNIA — 1 LIMITI DI UNA FUNZIONE IN UN PUNTO LIMITE DEL SUO CAMPO 7. — Osserviamo che il nuovo insieme limite Lm non è che l’antico A ampliato, ossia: l’insieme Lm contiene ì’insieme A [quando questo esiste). Poiché per formare Lm dobbiamo con- siderare tutti i sottogruppi di G aventi a come punto limite c quindi anche lo successioni (se esistono) tendenti ad a, le quali conducono appunto ai numeri di A. Ciò accade se G è un gruppo chiuso, perchè allora A esiste. Infatti, se in ciascuno di quelli fra gli intervalli (7) che contengono punti di G prendiamo il primo punto di G (dalla destra) in esso contenuto (primo punto che esiste, poiché G è chiuso), otteniamo una suc- cessione di punti di G tendente ad a. I valori corrispondenti di f [x) formeranno una suc- cessione che 0 tende ad un limite determinato o (come è noto) ne contiene infinite altre tendenti a limiti determinati, e questi limiti appartengono a A, il quale dunque esiste. Se poi G è una successione, Lm e A coincidono, evidentemente. Infine : Lm e A coincidono qualunque sia G, se si atnmette il postulalo di Zermelo. Basta dimostrare che A esiste e contiene Lm. Infatti sia l un numero di Lm ed S quel sottogruppo di G ove f[x) ha per limite ordinario l, e che abbiamo costruito nella dimostrazione del n° 6. S è la somma degli infiniti sottogruppi Gi, G^, ... di G: prendendo in ciascuno di questi un punto ad arbitrio (il che è lecito, in virtù del postulato), si ottiene una successione di punti di G tendente ad a, nella quale f[x) ha per limite ordinario l; dunque l appartiene a A. § 2 . Sui gruppi derivati di un gruppo di punti (*). 8. — Sia G un gruppo lineare di punti e G' il suo primo derivato. Ogni punto a di G' è tale che in ogni suo intorno cadono punti di G diversi da a. Se a è al finito, potremo distinguere gli intorni sinistri [a — d, a) dagli intorni destri (a, a c?) di a, ed allora accadrà che 0 in ogni intorno sinistro o in ogni intorno destro cadranno punti di G distinti da a: diremo che a è punto limite di G per la (regione) sinistra nel primo caso e per la (regione) destra nel secondo. Naturalmente a può esser punto limite per la sinistra e per la destra. Se poi a non è finito, diremo che è punto limite di G per la sinistra o per la destra, se- condo che è (* = -[-00 o a = — oo. Diremo primo derivato di G per la sinistra (destra), ed indicheremo con G) (con Gd) l’insieme dei punti limiti di G per la sinistra (destra). Si ha : ( 11 ) G=G/ + Gd. Si vede facilmente che le nuove operazioni di derivazione sono distributive rispetto alla somma. Non lo sono rispetto al prodotto. Si può solo asserire che: il primo derivato per la sinistra (destra) del prodotto di due gruppi è contenuto nel prodotto dei derivati per la sinistra (destra) dei due gruppi. Operando analogamente su G' , si deducono i gruppi [G'): = g:\ [g): ^ g:\ che diremo secondo derivato per la sinistra e secondo derivato per la destra di G. E cosi via. (*) Per l’intelligenza del seguito è sufficiente conoscere quei soli risultati di questo § che riguardano il primo derivato. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 5. 7 Si hanno in tal modo tre successioni di gruppi : (12) (r', G", ... ; Gs\ Gs", ... ; G^, G,,", . . . , tali che : in ciascnna, ogni gruppo è contenuto nel precedente, e ciascun gruppo della prima è somma dei gruppi corrispondenti delle altre due. Tutte queste proprietà si dimostrano facilmente (*). 9. — Or noi vogliamo considerare altri gruppi e dimostrare alcune loro proprietà che ci saranno utili in seguito. Il gruppo G' può decomporsi, oltre che nel modo espresso dalla (12), in altro modo : 1° nel gruppo 6r/ Gì (prodotto di (7/ e Gì) formato da quei punti di G' che sono punti limiti di G per la sinistra e per la destra, e che diremo primo derivato ristretto di G-, 2“ nel gruppo G' — GJ Gì, complementare del primo, formato da quei punti di G' che sono punti limiti di G solo per la sinistra o solo per la destra. Analogamente si possono scom- porre G", G'", . . . Otterremo cosi una successione di gruppi derivati ristretti di G (rispettivamente: secondo, . . .) (13) Gì Gì , Gì' Gì' , . . . e la successione dei loro complementari nei corrispondenti gruppi derivati ordinarli (14) G' — Gì Gì, G" — Gì' Gì', ... Nella (13) ciascun grup>po è contenuto nel precedente. Ciò segue dalla analoga proprietà dei gruppi (12). IO. — Ciascun gruppo (14) è numerabile. Basta dimostrarlo pel primo gruppo. Esso è la somma dei gruppi G' — Gì, G' — Gì, costituiti da quei punti di G' che sono punti limiti di G per la destra soltanto o per la sinistra soltanto, rispettivamente. Or questi sono numerabili. Per es., ogni punto del primo gruppo è tale che è possibile costruire alla sua sinistra degli intorni privi di punti di G : sia I l’intorno limite superiore di questi intorni. Poiché gli intorni I (relativi ai vari punti del gruppo) evidentemente non si sovrappongono, sono numerabili ; perciò sono numerabili anche i punti del gruppo. (*) Cfr. C. Burali-Forti, “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, voi. 29, 1893-4, p. 382. L’A. chiana^ primo derivato a destra (a sinistra) di G quel gruppo che noi abbiamo chiamato primo derivato per la sinistra (per la destra). Abbiamo preferita la seconda denominazione perchè si lascia estendere al caso dei gruppi di punti non lineari (n“ 13). Del resto le due denominazioni non sono contraddittorie. La prima rileva che un punto di G,' (per esempio) è a destra di quei punti di G in virtù dei quali esso è punto limite, la seconda rileva lo stesso fatto esprimendo che un punto di G( è punto limite per quei punti di G che sono alla sua sinistra. Notiamo pure che TA. adopera per i gruppi (12) i simboli DG, DDG, ; D'G, D'D'G, ; D^G, DìD^G, Nel Formulario, tomo V (pp. 139-142), del Peano, il simbolo operativo D è sostituito con b, trattandosi di numeri finiti, e con V ove si considerino gli infiniti. 8 GUSTAVO SANNIA 1 LIMITI DI DNA FUNZIONE IN UN PUNTO LIMITE DEL SUO CAMPO Corollari (*). — I. Se uno dei gruppi derivati ristretti è numerabile, tali sono anche G*"*, G*"“‘\ , G' e G medesimo. Poiché essendo numerabili Gl”* Gl"*, per ipotesi, e G<"* — G*"* Gl”*, pel teorema precedente, sarà pure numerabile G‘"*, loro somma. Ed allora, come è noto, sono anche numerabili G‘"-‘*, ..., G', G. II. Se nessun punto di G appartiene a G,' (o a G 0, in ogni intorno di a, e quindi in particolare in E, esisterà un punto almeno x del gruppo G in cui risulti Consideriamo il gruppo S formato da tutti i punti x dì G contenuti in E © soddisfacenti la (22); questo gruppo, i cui punti giacciono tutti nella regione r relativa ad a, ammette ( 20 ) ( 21 ) b < Vi 0, esisterà in ogni intorno di a , e quindi in particolare in 7,., almeno un punto.» di G tale che in esso risulti (23) f{x) > N. Sia S il gruppo formato da tali punti di G giacenti in F. Evidentemente S ha per punto limite a per la regione r, quindi f{x), considerata in S, avrà un limite superiore di inde- terminazione che, per la (23), non potrà essere che Oi’ dunque f{x) considerata in 5, e quindi anche considerata in G, ammette -\- oo come un limite nel punto a per la regione r, cioè 7 — -|-oo giace in Lm^. E ciò è contrario all’ipotesi. Corollario. — Sono pure numerabili o di prima categoria, secondo che la funzione è di una 0 due variabili: il gruppo formato da quei punti di G' ove l’insieme limite Lm della fun- zione non coincide con gli insiemi limiti parziali Lmr; il gruppo formato da quei qmnti di G' ove almeno due insiemi limiti parziali non coincidono ; il gruppo formato da quei punti di G' ove gli insiemi limiti parziali relativi a due regioni prefissate r, r' non coincidono. Infatti il primo gruppo è la somma S Df di DJ e di tutti i suoi analoghi (che sono tanti quante sono le regioni r) ed i rimanenti sono suoi sottogruppi. (*) Per convincersene, basta osservare che il ragionamento precedente vale comunque sia piccolo Ir c che perciò di punti x ài G soddisfacenti la (22), ossia di punti di S, ne esistono che sono vicini ad a quanto si vuole. 1 1 UUSTAVO SANNIA — I LIMITI 1)1 UNA FUNZIONE IN UN l’UNTO LIMITE DEL SUO CAMPO 18. Osservazioni. — Per l’ultimo gnippo il teorema è stato dimostrato direttamente da W. H. Young (*) nell’ipotesi che la funzione sia definita in un continuo e che gl’insiemi limiti parziali siano intesi nel senso del du Bois-Reymond (n® 3). Il più ampio dei gruppi da noi considerati è DJ . In ciascun suo punto a vi è almeno una regione r tale che il corrispondente insieme limite parziale Lm^ della funzione non coincide con tutti i rimanenti e col totale Lm ; quindi si può dire che in « e per le varie regioni r vi è dissimmetria di tendenza ai limiti per la funzione. Invece nei punti rimanenti di G' vi è simmetria. E se si osserva che G' può essere un gruppo qualunque, mentre che 'LDJ è necessariamente numerabile o di prima categoria, si può asserire col Young che la sim- metria è tm fatto generale e la dissimmetria è un fatto aocidentale. L’interesse di questi risultati è evidente. Essi sembrano paradossali, perchè contrarii ad ogni nostra aspettativa (Cfr. la nota al n® 11 e la seconda nota al n® 16). Così, in particolare, per una funzione di una vai’iabile i limiti a sinistra e i limiti a destra di un punto di G' (o meglio del gruppo derivato ristretto GJ GJ) coincidono; quindi, in particolare, se esiste il limite a sinistra esiste anche il limite a destra e gli è uguale. Ne segue che se 6r è un gruppo chiuso e la funzione è continua a sinistra (destra) essa è pure continua a destra (sinistra). Tutto ciò in generale, cioè salvo che in un gruppo di punti numerabile. § 6 . Limiti iterati. 19. — Una funzione di due variabili f{xi,xj) definita in un gruppo G ammette in ciascun punto a (ai, aj) di G' un insieme Lm di limiti, fra i quali uno minimo ed uno massimo: (24) ,1= ^lim f{xi,x^), V = Tim f{x^,xj). Questi limiti si son detti anche doppii (n® 12) appunto perchè son limiti d’una funzione di due variabili. Ora noi vogliamo mostrare come si possa pervenire ad alcuni di questi numeri mediante ricerche ripetute di limiti semplici ossia di limiti di funzioni di una sola variabile. Però questo processo non è applicabile in ogni punto di (?', ma solo in alcuni di essi che chiameremo punti limiti iterati di G. 20. — Si cerchino i punti limiti dei sottogruppi G (., xj) di G formati di punti aventi a comune l’ordinata x^’. essi saranno anche punti limiti di G, quindi formeranno un sotto- gruppo Gj di G'. In GJ si cerchino i punti limiti di quei sottogruppi GJ {x^ , .) che sono formati da punti aventi a comune l’ascissa Xi : questi ultimi punti apparterranno al secondo derivato di (r e quindi (come è noto) anche a G', e formeranno un sottogruppo di G' (e di G") che indicheremo con G^J- Chiameremo G^J gruppo primo derivato iterato rispetto a Xi e a X 2 (in quest’ordine) di G e ciascun suo punto lo chiameremo un punto limite iterato rispetto a Xi e a X 2 di G. Dunque un punto a (ai, a 2 ) di G^J è tale che è punto limite di un sottogruppo GJ (ai, .) di punti di G' aventi a comune l’ascissa ai, e ciascuno dei quali (ai,aj 2 ) è, a sua volta, punto limite di un sottogruppo G{.,xJ) di punti di G aventi a comune l’ordinata X 2 . (*) “ Proceedings of thè London Mat. Soc. ,, (2), 8, 1909, p. 117. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL, LXVI, N. 5. 15 Analogamente si definiscono i punti limiti iterati rispetto « Xg e a x^, il cui gruppo in- dicheremo con G^i e chiameremo primo derivato iterato rispetto a X2 e a Xj di G, Non è escluso che un punto appartenga tanto a G12 che a G21'. Così se è il gruppo dei punti interni al triangolo che ha per vertici i punti 0 (0, 0), .4(1, 2), B{2, 1), ogni punto del triangolo appartiene tanto a G12 che a G21, eccetto: A che appartiene solo a G12' , B che appartiene solo a G21 ed 0 che non appartiene nè a G12 , nè a G21'. Anche un punto all’infinito può essere considerato come punto limite iterato. Così, se (r è il gruppo dei punti del piano di coordinate intere e positive (sicché una funzione definita in esso dà luogo ad una successione doppia), può dirsi che il punto (-j- 00, -f od) appartiene tanto a 6^12' che a G21. Appartiene, per esempio, a G^2 , perchè può considerarsi come punto limite del gruppo G^' (., -\- 00), formato dai punti ( 1 ,-f 00), (2, -f 00), (3, 4 - co), ... aventi a comune l’ordinata -j- c ciascuno dei quali {n, -)- <») è punto limite del sotto- gruppo G [n, .) di punti {n, 1) , {n, 2) , («, 3) , . . . di G aventi a comune l’ascissa n. 21. — D’ora innanzi (fino al n° 27) supporremo sempre che a(ai,a2) sia un punto di Gi 2 . Esso è punto limite del gruppo G^ (ai, .), ciascun punto del quale (ai,a:2) è punto limite del gruppo G (., 0:2). In quest’ultimo gruppo f{xi, X2) è funzione della sola variabile Xi, quindi, così considerata, ammette nel punto x^ = a^ un insieme di limiti (semplici) che indicheremo con Lmi {X'^. I numeri estremi ,li {X2), 'h (^2) questo insieme (che è chiuso) sono i limiti di indeterminazione di questa funzione di Xi nel punto Xi = ai'. (25) {X2) ■= yimf [xi , X2) , 'h («2) = 'lini f {xi , X2). 2Jj— Variando il punto (ai,a:2) in Gì (a^, .), varia X2, e quindi varia l’insieme Lmj (0:2) : se in ciascuno di questi insiemi scegliamo, con una legge arbitraria, un numero, nasce una funzione li{x2) della variabile X2 definita nel gruppo Gi{ai,.); e, poiché X2 = a2 è punto limite di tal gruppo, detta funzione ammette nel punto X2 = (I2 un insieme di limiti (sem- plici) (*). Variando in tutti i modi possibili la legge di scelta, otterremo tutto un insieme di tali insiemi di limiti semplici. Chiameremo insieme limite iterato rispetto ad Xi e ad X2 (in questo ordine) di f{xi,x^ nel punto a(ai,a2), ed indicheremo con Lmi2 la totalità dei numeri di tutti questi insiemi. (*) Poiché i valori di ò(^s) sono scelti tra quelli degli insiemi Lm,(a:j) e poiché questi, essendo insiemi limiti di funzioni, possono anche contenere i valori -|- 00 e — 00, ne segue ohe la funzione li(xù anche assumere i valori -j- 00 e — 00 nel suo campo G, {at , .). Per definire i limiti nel punto *2 = 02 di una fun- zione siffatta si procederà come nel caso di una funzione ordinaria (n° 5) con l’avvertenza di considerare -|- 00 e — 00 come numeri rispettivamente maggiore e minore di tutti i numeri reali. 10 GUSTAVO SANNIA I I, IMITI PI UNA FUNZIONE IN UN PUNTO LIMITE DEI, SUO CAMPO L’insieme Lni,3 esiste (indipendentemente dal postulato di Zermelo), perchè, essendo gli insiemi Liiii (r>-o) degli insiemi chiusi, è possibile fissare effettivamente alcune delle dette leggi di scelta. Per es. si può prendere in ciascun insieme Lm, {x^) il suo estrenlo inferiore ( 26 ) (ajg) = ,lim/'(a;i,a;j,): nasce così una funzione di X2 il cui insieme limite nel punto x^ = sarà una parte del- l’insieme Lm,2. È inoltre evidente che dei due estremi ( 27 ) ,lim ,/, (.Ta) , 'lini ,h {x^) di questo insieme, il primo è anche l’estremo inferiore di tutto l’insieme Lm^a- Analogamente: considerando '/j («2), in luogo di (a^a), si perviene allo stesso modo ad un altro insieme anch’esso parte di Lmja; dei suoi estremi ( 27 )' ,lim 7 i (a^a) , 'lim 'L ÌX2) ■Xo^a» il secondo è anche estremo superiore di tutto l’insieme Lmig. Indicheremo anche con /12, 'I12 gli estremi di Lniia, cioè porremo ( 28 ) /la — ylim (.Ta) = ,lim ,lim f[x^,X 2 ), X'i=a^ xi—ct^ I 'Zia = 'lim 7 i (.Ta) ' * 2="2 'lim 'lim f{xt , a?a), Xj='J, X,=«] 0 li chiameremo limiti di indeterminazione (rispettivamente inferiore e superiore) iterati rispetto a Jii e a Xg di f{xi,xf) nel punto a{ax.af). Quando fi2 = 'In, e solo allora, tutti i numeri dell’insieme Lmia coincidono. Quest’unico numero, finito 0 infinito, si dirà perciò il limite iterato rispetto a a^j e a 0:2 di f{x^ , X2) nel punto «(rti,«2)- In tal caso i quattro numeri rappresentati dai simboli ( 27 ) e ( 27 )' si ridu- cono a quest’unico numero. Dall’uguaglianza dei due numeri ( 27 ), segue che esiste il limite di yZi («2) nel punto X2 = a2, e dall’uguaglianza dei numeri ( 27 )' segue che esiste il limite di 'h{xf) nel punto ajg — «2? dunque il limite iterato rispetto a a^i e a a^g di f{xi,xf) in rt(oi,r/a) può rappresentarsi con uno dei simboli ( 29 ) lim fi (ajg) = lini ^lim f{xi , arg) , lim 'f (.Ta) = lim 'lim f (xi , X2) oppure con ( 29 )' lim fli (x-a) — lim /lim /"(a?!, X2) (*). X2—a^ Xo-=ao Xj=a| 22. — Ora noi vogliamo dimostrare che, come abbiamo preannunziato nel n° 19 , i limiti iterati rispetto a a?i e a ajg non sono che particolari limiti doppii, ossia che: L’insieme limite Lmjg iterato ris^ìetto a Xi e a Xg è contenuto nell’insieme limite Lm. (*) Scrivendo fi, e /lini, vogliamo intendere che è indifferente scrivere , 1 , 0 'ì,, come pure /ini 0 'lini. x,=a, 3 P)=ai *1=01 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. B. 17 Si tratta di dimostrare che ogni numero I12 di Lmi2 è un limite doppio di in a (ai, 02). Supponiamo anzitutto che sia finito e consideriamo un intorno qualunque / di a de- finito dalle limitazioni ( 30 ) ai — hi < hi, — h^ < x^ < h^. Per definizione (n" 21 ), il numero I12 è un limite nel punto X2 — U2 di una certa fun- zione li{x^ di X2 definita in Cri'(ai,.), quindi (n° 5 ): dato un numero 'e > 0 , nell’intorno (ag — ^2, a2 -|- ÌI2) di X2 = 02 esiste un punto X2 di Gì (oi, .) distinto da 02, tale che risulti ( 31 ) Zi2-^ < {^2') < ^12 + Y • Intanto li(x2) è a sua volta un limite nel punto Xi=-ai della funzione f{xi,X2) della sola Xi nel gruppo 6r(.,a?2 ), quindi: nelTintorno (oi — + di ai esiste un punto x/, distinto da Oi, tale che risulti ( 32 ) li {X2) — ^< ^2) < l] {^2) + ~ . Da ( 31 ) e ( 32 ) segue che ( 33 ) ^12 — e < f{xi, X2) < ^2 + € ; dunque, dato e > 0 , in ogni intorno / di a (ai, 02), definito dalle ( 30 ), esiste un punto (x/, Xz), distinto da 0(01,02), nel quale è soddisfatta la ( 33 ); quindi, per definizione, I12 è un limite doppio di f(xi,x^ in 0(01,02). Ora supponiamo che I12 non sia finito e, per esempio, che sia Zi2 = -|-oo. Consideriamo ancora l’intorno I di o, definito dalle ( 30 ). Poiché Z12 = ® un limite della funzione li (x^^ nel punto x.2 = a2, segue (n° 5 ) che: dato un numero -K’-j-e (ove iìT ed e sono numeri po- sitivi arbitrarii), nell’intorno (og — ÌI2, «2~h^*2) di 02 esiste un punto X2 di Gì (ai , .) distinto da Oi, tale che risulti ( 34 ) li(x 2 )>K+^. Ora li(x2) è un limite della funzione f(xi,X2) della sola Xi nel punto o:i = Oi, limite che può essere finito 0 uguale a -f- 00. Se è finito, nell’intorno (oi — hi, Oi -f- hi) di Oi esiste un punto Xi, distinto da Oi, tale che risulti ( 35 ) li (X2) — 6 < /■ (Xi, X2) < ^1 (X2') + €. Da ( 34 ) e ( 35 ) segue che nel punto (xi,x^) dell’intorno prefissato / di o, e distinto da o, si ha ( 36 ) f (xi , 3?2 ) > K. Essendo K un numero prefissato, ad arbitrio, ciò esprime che li2= oo è un limite della funzione f(xi,X2) nel punto 0(01,02). Se invece li (X2') = -j- 00, nell’intorno (cti — hi, ai hi) esisterà un punto x/, distinto da Oi, tale che in esso risulti soddisfatta la ( 36 ); se ne deduce perciò ancora che /i2=:^-|-oo è un limite di f(xi,X2) nel punto 0(01,02). H| 18 GUSTAVO SANNIA — I LIMITI DI UNA FUNZIONE IN UN PUNTO LIMITE DEL SUO CAMPO 23. — Segue dal teorema precedente, che gli estremi di Lnix 2 sono compresi fra quelli di Lm: (37) ossia : (37)' ^lim ^lim /"^'lim 'lim /"< 'lim f (*). *i=ai, *;=ai aro=Oj Zi=a| **=<>» ®i=“i ®i=“i. *»=<>« Se ne deduce che se = 'I = 1 , è anche = = l (non viceversa), cioè: se nel punto a (aj , a2) di G12' esiste il limite doppio di f (xx , X2), esiste anche il limite iterato rispetto a Xi e a X2 e gli è uguale. 24. — Fra i limiti doppii di f{xi,X2), cioè fra i numeri di Lm, i più importanti per le applicazioni sono gli estremi ,l q 'l\ e fra i limiti iterati rispetto a e a a?2, cioè fra i numeri di Lmi2, i più importanti sono gli estremi ,li2 e '/12. Il numero ,l i^l) si può ottenere direttamente, cioè mediante la sua definizione (n® 12) ; ma si può anche ottenere per via indiretta, calcolando invece ;^i2(^^i2)> e ciò quando si sappia essere ,l = /12 ('/ = '^12), il che è possibile per la (36). In tal modo si ha il vantaggio di calcolare ,l ('/), che è un limite di una funzione di due variabili, mediante calcoli ripetuti di limiti di funzioni di una sola variabile. Ora noi vogliamo rilevare appunto dei casi notevoli nei quali è ,l = ,li2 0 '1 = 'I12 0 è nel contempo ,l = ,li2 e '1 = 'l^ (**). Un primo caso risulta immediatamente dalla (37) : a) Se è ^li2 — — 00 ('I12 = -|- 00), si ha ^1 = ^li2 ('1 — 'I12). 25. — Per ottenere casi di maggior rilievo, premettiamo alcune definizioni. Supponiamo che in tutto un intorno I2 = («2 — ^21 «2 ^2) di X2 — 02 i numeri ^l^ (3*2), estremi inferiori degli insiemi Lnii (3:2) (n° 21), siano finiti e limitati, sicché esista un nu- mero k > 0 tale che risulti ' (38) I ^li {X 2 ) I < A' in I 2 . Poiché ^l («a) è limite inferiore di indeterminazione nel punto aji = ai della funzione f(xi,X2) della sola a^i definita in (? (., aja), segue (per la proprietà II di una nota al n° 9) che: dato e > 0, esiste qualche intorno di a;i = ai, tale che per tutti i punti Xi di G(.,X2) interni ad esso risulti (39) — Sia [oj — hi (3:2), ai -|- h^ (3:2)] l’intorno limite superiore di tali intorni, ove hi (3:2) è una funzione di X2 definita nei punti di Cri' (ai,.) contenuti in I2. Supponiamo che ivi essa am- metta un limite inferiore hi diverso da zero. Potremo allora asserire che la (39) ha luogo per tutti gli 3:1 deH’intorno fisso li = (ai — Ai , ai -|- Ai) di Xi = ai, qualunque sia il punto 372 di Gl {ai, .) e di I2. Diremo in tal caso che la funzione f{xi,X2) della sola Xi è uniforme- mente limitata inferiormente nelPintorno I2 di X2 = a2. (*) Per brevità abbiamo scritto f in luogo di f(xi, Xi). (**) Questi casi sono estensioni di altri già rilevati da A. Pringsheim (“ Math. Annalen ,, B. 53, 1900, p. 294) e relativi al caso particolare di una funzione definita nel gruppo dei punti aventi coordinate intere e positive {successione doppia). .1 19 I MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 5. Analogamente: in Ì2 sia \'l]_{x2)\< k e inoltre, dato e > 0, esista un intorno 6sso di Xi = ai nel quale sia ( 39 ) ' f{xi,x^i)<'li{jCi)Y^', allora diremo che la funzione f{xi,x^ di Xi è uniformemente limitata superiormente nell’ in- torno I2 di X2 = a^. Se i due fatti si verificano contemporaneamente, diremo che la funzione f{xi,xf) di aji è uniformemente limitata in I2. Allora, dato e, esiste un intorno fisso di Xi = ai tale che per ogni Xi di esso e per ogni X2 di I2 risulti (40) ,li {X2) — ^ 0, per ogni Xi di un intorno li di Xi = ai e per ogni X2 di I2, si ha (41) )i {X2) — y < f{Xl,X 2 ). Poiché )i2 = ylim )i (ajg), esiste un intorno If di X2 = «2 tale che in esso risulti Xi=a, (42) ,li 2 -^ < ,hM Da (41) e (42) segue che si ha (43) ,li 2 ^ f [xi, X2) per ogni Xi di e per ogni X2 del minore dei due intorni I2, If di X2 = a2, e quindi per ogni punto (xi,X2) di un certo intorno J del punto a(ai,a2). D’altra parte (per la 1* proprietà ricordata in nota al n° 2) si ha che in J esiste un punto (xi , X2) tale che sia (44) f{xi,X 2 )<))r-^‘ Dalla (44) e dalla (43) applicata a tale punto, segue che è /12 < + quindi ,li2‘^,l, poiché e è arbitrario; ma, per la (37), non può essere ,li2 < , 1 , quindi é )i2 = 26 . — Supponiamo che esista il limite iterato (unico) rispetto a a:i e a 0:2 di f{x 2 ,X 2 ) nel punto a(ai,«2) e che sia -f-00 0 — 00. In simboli (n°21): lim fli {X2) = ± 00. *1=02 {*) Ne segue che, se è Jt = (xi) in Ig, cioè se la funzione fix^, x^ di Xi tende ad un limite unico per ogni x^ di Jj, essa tende uniformemente a tal limite in l^. Dunque il concetto di uniforme limitatezza e generalizzazione del noto concetto di uniforme tendenza al limite. 20 GUSTAVO SANNIA — I I.IMITI 1)1 UNA FUNZIONE IN UN PUNTO UMITE DEE SUO CAMPO Aftinchè ciò si verifichi occorre e basta che sia lini {Xi) = f- 00 0 liin '/j (ajg) = — oo. Xj= 0 , esiste qualche intorno I2 di X2 = ai tale che per tutti i punti di esso risulti ,k {^2) > 0 'k (* 2 ) < — K. Ne segue, poiché ,k{^2) ^ 'k{^2) sono i limiti di indeterminazione della funzione f{xi,X2) della sola Xi nel punto «1, che esisterà qualche intorno di Xi = ai tale che per ogni aji in- terno ad esso risulti ( 45 ) f{xi,X2) > K 0 f{xi,X2) < — K. Sia [«1 — hi (x^, ai -f- (a)2)l l’intorno limite superiore di tali intorni, ove hi{X'^ è fun- zione di «2 in I2. Supponiamo che ivi essa ammetta un limite inferiore hi diverso da zero. Allora potremo asserire che la ( 45 ) ha luogo per ogni di I2 e per ogni Xi dell’intorno fisso Ii = [ai — Gl + ^1) di Xi = ai. Diremo in tal caso che la funzione f{xi,X'^ di x^ è uniformemente illimitata neH’intorno I2 di X2 = «2 (*)• Poiché, dato AT > 0 , la ( 45 ) ha luogo in tutti i punti {xi,X2) di un intorno di a(«i,a2), definito dagli intorni li e I2 di ai e a2, vuol dire che la funzione /"(xx, 0:2) ammette il limite doppio (unico) 00 0 — 00 nel punto a (ai , «2)- Dunque : c) Se la funzione f (xi, X2) di Xx è uniformemente illimitata in un intorno I2 di X2 = ag, si ha J, = J,i 2 — 'li 2 = 'I = zhcc ^ cioè la funzione f(xi, X2) ammette il limite iterato rispetto a Xx e a Xg e il limite doppio in a (ai, a2) ed entrambi uguali a +00, Da a), h), c) segue che : d) Si ha nel contempo yl = ;lx2 ^ ^1 — ^li2- 1 * se f(xx,X2) è uniformemente limitata 0 illimitata in un intorno I2 di X2 = a2 ; 2 ° oppure se f (xx , X2) è uniformemente limitata inferior- mente (superiormente) ed è '1x2 = -f- (/^i2 = — <^)- 27 . — Se la funzione f{xi, xf) di Xi é uniformemente limitata in un intorno I2 di X2 = «2 e la funzione f(xi,X2) di Xi e X2 ammette il limite iterato (unico) rispetto a a^x e a in a(ai,a2), questa funzione ammette anche il limite doppio (unico) in a(ax,«2); inoltre questi due limiti sono finiti ed uguali. Ciò segue dal teorema b) e dal fatto che è /x2 = ^^i2> per resistenza di un unico limite iterato. Viceversa: se esiste il limite doppio (unico) finito l di f(xi,X2) in à(ax,a2), nel qual caso esiste anche il limite iterato (unico) rispetto a rsi e a 0:2 e gli é uguale (n° 23 ), allora la funzione f(xi,xf) di Xi é uniformemente limitata in un intorno di x2 — a2. (*) Se in particolare è (xt) ='ò {x2) = ± 00 in /j, cioè se la funzione f(xi, xì) di x^ ammette il limite (unico) zb °° nel punto Xì=at, per ogni x^ di Jj, allora si vede subito che l’ipotesi che f(xi,x^ di *1 sia uniformemente illimitata in I2 equivale all’altra che f{x\, x^ di Xj tenda uniformemente a + in /2. Dunque il concetto di uniforme illimitatezza è generalizzazione del noto concetto di tendenza uniforme a + 00. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 5. 21 Infatti, poiché esiste il doppio limite finito l di f(xi, Xz) in a (ai, Oz), si ha che; dato e> 0, esiste un intorno di a(ai,az), definito da due intorni li e Iz di Xi = ai e xz = az rispetti- vamente, in tutti i punti (xi,Xz) del quale si ha (46) Poiché l é anche il limite iterato (unico) rispetto a cci e a Xz di f(xi,Xz) in a(ai, 02 )i si ha (n“ 21) l = lim (xz) = lim 'li (« 2 ). X2 — flf xj=aj Ne segue che /i (xz) e 'li (xz) sono funzioni di Xz finite e limitate in un intorno Iz di Xz — az. Sia Iz' il più piccolo dei due intorni Iz e Iz . Per ogni Xz di Iz', ,li(x^ e 'li(x^ sono i limiti di indeterminazione della funzione f(xi,X'^ della sola Xi nel punto Xi = ai', or poiché la f(xi,X'^ soddisfa la (46), ne segue che sarà necessariamente e quindi a fortiori, per la ( 46 ), 'h (xz) — e < f (xi, Xz) < 'h (xz) + e per ogni Xi di A e per ogni Xz di Iz". Ciò prova (n® 24 ) che la funzione f(xi,Xz) di Xi è uniformemente limitata nell’intorno A" di 0:2 = «2- Dai due risultati precedenti deduciamo che: e) Affinchè esista il limite doppio (unico) finito, di f(xi,X2) in a(ai,a2) è necessario e* sufficiente che la funzione f (x^ , X2) di x^ sia uniformemente limitata in un intorno di X2 = a2 e che esista il limite iterato (unico) 1 rispetto a ~x.i e a Xz di f(xi,X2) in a(aj, a2). Detto limite doppio sarà anch'esso uguale ad 1 . 28 . — Dal teorema c) del n° 25 si deduce che se la funzione f(xi, Xz) é uniformemente illimitata in un intorno A ùi Xz = az, esiste il limite doppio unico di f(xi,xf) in a(ai,az) ed é ± 00. Questo risultato si può invertire. Supponiamo p. es. che esista il limite doppio e sia • ( 47 ) lim f(xi,xz) = -\r^- Allora (n° 23 ) esiste anche il limite iterato rispetto a XiQ s^XzB gli é uguale, sicché (n° 21 ) ( 48 ) lim )i (xz) = lim 'li (xz) = -|- 00. ^ Per la ( 47 ), si ha che: dato un numero K > 0 , esiste un intorno di a(ai,az), definito da due intorni li e A ùi Xi = ai e 0:2 = 02 rispettivamente, in tutti i punti (xi, Xz) del quale si ha ( 49 ) f(xi, Xz) > K. GUSTAVO SANNIA 1 UMITI 1)1 UNA FUNZIONE IN UN PUNTO LIMITE UEL SUO CAMPO 22 Possiamo anche dire che, qualunque sia a*2 di la (49) è soddisfatta per ogni Xi del- Pintorno fisso ij di Xi = a^. Tutto ciò esprime, per definizione (n® 21), che la funziono f{xi,x.^) di Xi è uniforme- mente illimitata in I2. Dunque: f) Affinchè la funzione f (xi , X2) ammetta nel punto a (a^ , a2) il limite doppio (unico) ± 00 è necessario e sufficiente che la funzione f(xi,X2) della sola Xj sia uniformemente illimitata in un intorno Ij di X2 = a2 . 29. — Fin qui abbiamo supposto che «(ai,a2) sia un punto di Gi2- Tutto si può ri- petere in un punto dell’altro analogo sottogruppo di G' (n® 20), solo che si scambino le veci delle due variabili x^ ed x^. Si definisce cosi l’insieme limite Lm2i rispetto a x^ e a Xi ài f{xi,x^ nel punto a(ai,a2) i cui estremi /21 = ^lim ^2 (a^i) = /lim /firn f {xi , X2) Xy—Ci\ '/21 = 'lim 'I2 {xf) = 'lim Mim f [xi , X2) si diranno i limiti di indeterminazione iterati rispetto a X2 e a Xy ài f{xi,xf) in a{ai,af). Quando coincidono, f{xi,xf) ammette il limite iterato rispetto a 0:2 e a a:i in a, che si indicherà con lim /Z2 (a?i) = lim /ìimf{xi, X2). L’insieme Lm2i è contenuto in Lm (n® 22). Per i numeri , 1 , /21. ^^21» valgono teoremi analoghi a quelli dimostrati nei n* 23, ..., 28. 30 . — Infine in un punto a{ai,af) comune a G ^2 e a (?2i' esisteranno ambedue gli insiemi limiti iterati Lmi2 e Lm2i, entrambi contenuti in Lm. Essi potranno essere distinti o coincidenti, in tutto 0 in parte. Citeremo, per finire, un caso notevole in cui essi coincidono, riducendosi ad un sol nu- mero finito : Se esiste il limite iterato rispetto a e a X2 di f (x^, Xg) in a (ai, a2) e la funzione f(xi, X2) di Xi è uniformemente limitata in un intorno di X2 = a2, allora esiste anche il limite iterato rispetto a X2 e a Xi ed è uguale al primo, ed inoltre la funzione f (xi , X2) di X2 è uniforme- mente limitata in un intorno di Xi = ai. E viceversa. Ciò segue dal teorema e) e dal suo analogo. Questo teorema dà quindi condizioni sufficienti per poter scrivere lim /lim f{xi , X2) = lim /lim / (a:! , X2) ossia per poter invertire i due passaggi al limite nel calcolo del limite iterato (unico e finito) di f{xi,xf) in a(ai,«2)- R. Università di Cagliari, 2 aprile 1915. Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie 11, Voi. LXVl - N. 6. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. OSSERVAZIONI ANATOMO- ISTOLOGICHE SULLA RUNCINA CALARl TANA n. sp. MEMORIA DEL Dott. GIUSEPPE GOLOSI Approvata nell’ adunanza del 25 Aprile 1915. Il mollusco che forma Targomento di questo lavoro è stato per la prima volta trovato dal prof. Giglio-Tos (il quale me Tindicò come oggetto di studio), e da lui riconosciuto come una Rumina Forbes {Fella Quatrefages), simile a quelle trovate altrove, sulle coste del- lAtlantico e del Mediterraneo. In seguito allo studio anatomico, ho potuto accertarmi che si tratta di una nuova specie, la quale, per ricordare il luogo ove fu trovata, porterà il nome di Rumina calaritana. Adotto per il genere il nome di Rumina, anziché di Fella, perchè quest’ultimo nome è stato usato in precedenza da Beck nel 1837 per un altro genere di Molluschi. Le Runcine si trovano abbondantissime sulla spiaggia maz'ina presso Cagliari. Quelle che mi sono occorse le ho catturate lungo il canale prossimo alla Stazione biologica. Esse trascorrono quasi tutto l’anno strisciando sui sassi a pochissima profondità e specialmente intorno e sopra le Ascidie semplici che a questi sono attaccate: Molgule, Cintine, Phallusie. Raramente se ne trovano come altrove sulle alghe, o nuotanti alla superficie delle acque. Durante alcuni periodi di tempo mi è però riuscito impossibile trovarle ove che sia. Essendomi accorto nel fare alcune serie di sezioni del mollusco adulto che sovente ciò che cadeva sotto i nostri occhi non corrispondeva esattamente a quanto era stato descritto dagli ultimi e più attenti osservatori, come Vayssièke (1), Pelseneee, Mazzarelli, credetti opportuno rivolgere le mie ricerche sulla interna struttura della Runcina specialmente curando l’apparato riproduttore e il digerente, che, mentre offrono la maggiore variabilità da genere a genere e da specie a specie, sono maggiormente importanti per la conoscenza biologica e sistematica dei molluschi. Il primo a trovare una specie del genere Rumina — che per molto tempo rimase l’unica specie — fu il Quatrefages (2), il quale descrisse sotto il nome di Fella coronala un piccolo opistobranchio da lui trovato in abbondanza tra i Fucus e le Coralline delle piccole lagune di Bréhat. Forbes (3) poi, nel 1853, pur conoscendo l’opera del Quatrefages, non riconobbe come Pelta, a cagione della incompleta descrizione di questo autore, il piccolo mollusco che II •2 GIUSEPPE COITOSI — OSSEEVAZIONI ANATOMO-ISTOEGGICHE SUUA RUNCINA CALAKITANA N. SP. sposso trovava tra lo conferve al limito doH’alta marea, o lo denominò Runcina Hùncocki. Gli fu restituito in seguito il nome specifico impostogli dal primo scopritore; ma, per la ragione che ho detta, indicherò il genere con la denominazione di Fokbes. Del genere non m’indugio qui a far la storia, ne accennerò soltanto quando occorra. L’area geografica occupata dal genere Runcina è assai estesa. Già fin dal 1883 il Vayssière (4) indicava diversi punti delle coste dell’Inghilterra (Torquay, Belmond-bay presso Weymouth, Clyde district, ecc.), le coste francesi della Manica (l’isola Bréhat, Con- carneau, ecc.), il Mediterraneo (Golfo di Marsiglia). 11 Mazzarelli ne indicava in seguito una nuova specie, la Runcina capreensis Mazz. nel golfo di Napoli ; oggi agli altri luoghi si deve ancora aggiungere il golfo di Cagliari con la Runcina calaritana. Sulle coste deH’Oceano la Runcina vivrebbe nelle cavità delle rocce che rimangono piene d’acqua pur durante la bassa marea; anche il Jeffrey (5) parla di cavità coperte dalle acque solo in periodo di alta marea e rivestite di varie specie di conferve [Ceramium strictum, C. rubrum, C. Deslangchampii). Il Vayssière ha trovato che a Marsiglia le Runcine vivono sulle Cystoseire [Ci/stoseira barbata, C. amentacea) d’onde non discendono se non quando il cattivo tempo le obbliga a porsi al sicuro. Io, come ho già detto, le trovo sui sassi, rag- gruppate intorno alle Ascidie semplici che vi sono abbondantissime. Il materiale procuratomi è stato fissato con liquido di Bouin — che mi ha dato ottimi risultati — e tagliato in serie di 5-10-15 g. Le sezioni sono state colorate principalmente con l’emallume, taluna col picrocarminio. Molto vantaggiosa ho trovato anche la colorazione tripla di Pierre Masson con safranina e verde- luce. Ho curato poco la dissezione: me ne sono servito soltanto per isolare organi o parti di organo assai resistenti come il complesso ejaculatore, lo stomaco, le placche stomacali ; sti- mandola assolutamente inadatta per lo studio del fegato, dell’intestino, della ghiandola erma- frodita, dei canali e delle ghiandole a quest’ultima annessi, che sono di estrema delicatezza, tanto che avevano impedito al Vayssière — come egli stesso confessa — un’accurata disa- mina di essi. Grazie alla gentilezza del Vayssière, che inviò al prof. Giglio-Tos esemplari di Runcina l’accolte a Marsiglia, ho potuto fare preparati e osservazioni di confronto tra la Runcina di Marsiglia e quella di Cagliari che mi furono molto preziose nello stabilirne le differenze che le distinguono. Forma generale e tegumenti. La Runcina calaritana è di piccole dimensioni (2-4 mm.); ha forma allungata di limaccia; è priva di rinofori. Il piede è piatto, il dorso convesso ; le due estremità, anteriore e poste- riore, si presentano acuminate. Il corpo può raccorciarsi tanto, da diventare quasi emisfe- rico; ma, quando l’animale procede strisciando o quando galleggia, la sua lunghezza diventa due 0 tre volte maggiore, raggiungendo la misura data; allora il mantello lascia posterior- mente scoperto l’apice del piede e si giunge a vedere anche sul fianco destro, presso l’estre- mità posteriore, uri po’ della branchia. Tra il piede e il mantello vi è un solco profondo, che gira tutt’ intorno al corpo del mollusco, costituendo il solco palleo-pedale. Quivi si aprono tutti i canali di sbocco aH’esterno del mollusco, cioè: anteriormente a sinistra la bocca, anteriormente a destra l’organo ejacu- latore, sul fianco destro, procedendo dall’avanti all’indietro, prima la ghiandola ermafrodita, poi il rene, posteriormente l’ano, e un po’ a sinistra di questo la cosi detta ghiandola anale. Sopra e a destra dell’ano è inserita la branchia. Sempre a destra, nel solco palleo-pedale. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVl, N. 6. 3 '^1 f fra lo sbocco della ghiandola sessuale e l’organo ejaculatore, è scavato il solco seminale. NeH’estremità anteriore si vedono due occhi laterali. Il colore del mollusco è vario a seconda degli individui, e va dal giallo bruno al bruno intenso quasi nero. Vi sono però anche delle zone chiare, che occupano una posizione assai costante. Sia il mantello che il piede sono colorati nella parte mediana in bruno, ma i mar- gini di entrambi si presentano di un colore giallo pallido o bianco. Tale bordo si fa più stretto nelle due punte estreme del piede e nell’estremità anteriore del mantello ; nell’ estremo posteriore del mantello, invece, il bordo si allarga, formando una zona chiara a semicerchio. Anche ai due lati dell’apice anteriore del mantello e dell’estremità posteriore del piede vi sono due piccole sporgenze del margine chiaro verso l’interno, in forma di triangoli. Ad un attento esame il colore bruno dei tegumenti appare, negli stadi giovanili del mollusco, mo- dificato da sfumature violacee. In- fatti, mentre — come vedremo — l’epitelio esterno è ricco di cellule pigmentarie provviste di granuli bruni, l’ipoderma è sparso di un gran numero di minutissimi gra- nuli intensamente rosso -violacei. Tale pigmento è particolarmente visibile nello stadio che precede la formazione pigmentaria dell’epidermide, e dà la colorazione rosso-violacea caratteristica alle larve. A poco a poco, però, i granuli in discorso s’ingrossano e diventano bruni. Il solco palleo-pedale è abbastanza chiaro perchè poco pigmentato. Un epitelio assai resistente, brevemente e fittamente cigliato, riveste il corpo della Run- cina. Le cellule che lo compongono formano, come in tutti gli altri molluschi, un solo strato, che nettamente si distingue dal sottostante, e sono di tre specie: di sostegno (stutzzellen), mucose, pigmentarie. Le cellule di sostegno sono numerosissime, assai sottili, allungate a bastoncello, rag- gruppate fra di loro e interposte fra le altre cellule epiteliali di differente natura. Il loro nucleo supera in lunghezza la metà della cellula e possiede un fitto reticolo cromatinico. Le cellule pigmentarie sono ingrossate a globo nell’estremità che guarda l’esterno, affi- nate dal lato opposto. Qui è contenuto il nucleo piuttosto piccolo, un po’ allungato o conico, appuntito verso la base della cellula, circondato dalla maggior parte del citoplasma ; verso la parte esterna la cavità cellulare è riempita da un grosso corpo vacuolare, sferico, apicato verso l’esterno, colorato alla periferia in giallo o giallo-bruno e contenente dei grossi granuli bruni quasi neri, in numero variabile, che impartiscono il colore al mollusco. Tutto questo insieme globoso era stato dal Vayssière ritenuto un granulo di chitina (4). Le cellule del muco superano in grandezza le altre. Sono globose in tutta la loro esten- sione, di aspetto jalino, provviste di nucleo piccolo o mediocre, quasi emisferico, con la parte curva rivolta verso la base della cellula, e ricacciato nella parte inferiore di questa. Sono diffuse nell’epitelio del mantello e del piede, ma particolarmente localizzate lungo due strisele Fig. 1. — Vai’ie specie di cellule epiteliali. m. — cellula mucosa. p. — „ pigmentaria. s. — n di sostegno. f. — „ mucosa dei grandi fasci anteriori. 4 GIUSEPPE GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOGICIIE SULLA KUNCINA CALARITANA N. SP. noi solco palleo-pedalo: l’una nella parte superiore del parapodio, l’altra sulla ripiegatura del mantello. Decorrono, queste due bende mucose, intorno al corpo dell’animale, parallela- mente, restringendosi molto o interrompendosi agli estremi orale e aborale, raggiungendo il maggiore sviluppo nella parte media del corpo. Fanno quasi assenza nell’area occupata da queste bende mucose le cellule pigmentarie e le cellule di sostegno ; le quali ultime però Fig. 2. — Bende mucose e solco palleo-pedale. mt. — mantello. р. — parapodio. с. h. — cellule mucose delle bende mucose. c. m. — „ mucose comuni a tutto l’epitelio, s. — » di sostegno. prendono il sopravvento nella zona di separazione fra queste due regioni mucipare, là dove avviene il congiungimento del mantello col piede, costituendone quasi per intero l’epitelio e mostrandosi esse stesse provviste di alcuni granuli pigmentari bruni. Queste zone mucipare furono da me per la prima volta messe in evidenza, servendomi della safranina, che le colora in giallo rossastro, insieme con gli altri labrociti dell’interno. Si possono del resto colorare metacromaticamente per mezzo di altre sostanze idonee. Apparato digerente. L’apparato digerente della Runcina è foggiato sullo schema generale per i gasteropodi: lo descriverò perciò brevemente, dilungandomi solo alquanto su alcune particolarità degne di nota, non osservate o male osservate prima delle mie ricerche. Esso non è di grande lunghezza; anzi si può dire che percorre quasi in linea retta longitudinalmente il corpo del mollusco, aprendosi neH’estremo anteriore con la bocca, nel- l’estremo posteriore con l’ano. Lo divido in sei parti differenti fra di loro anatomicamente e morfologicamente, ed esaminerò ciascuna di esse con i suoi annessi. 1“ Tromba boccale e ghiandole circumboccali. 2“ Bulbo boccale o faringe con le ghiandole salivari. 3° Intestino anteriore od esofago. 4° Intestino primo mediano o stomaco, con la ghiandola gastrica. 5° Intestino secondo mediano o duodeno, con la ghiandola epatica. 6° Intestino terminale o retto. MEMORIE - CLASSE U1 SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 5 Come si vede, tra lo stomaco e il retto ho preso in considerazione una porzione dell’in- testino: il duodeno; così da me chiamato perchè l’iceve i prodotti della ghiandola epatica. È di breve decorso, ma di aspetto caratteristico. Anche la ghiandola gastrica è stata — mi sembra — osservata da me per la prima volta, tra i gasteropodi. Tromba boccale. La fenditura palleo-pedale, che circonda tutto il corpo della Runcina, nell’estremità an- teriore si affonda maggiormente, formando una specie di solco, che si dilata verso l’interno. Tale solco, nella parte mediana dorsale, presenta un diverticolo, che costituisce un secondo solco perpendicolare al primo. Si viene così ad avere una specie di tromba a T rovesciato di origine evi- dentemente ectodermica, la quale si affonda più o meno nel corpo del mollusco e si biforca. Delle due branche che vengono a costituirsi, l’una si appro- fondisce e costituisce il canale prevestibolare, ap- partenente all’organo ejaculatore, e si porta a destra, l’altra, brevissima e quasi nulla, rappre- senta la vera bocca e immette subito nella faringe. Dunque nella tromba boccale sboccano e l’apparato digerente, e l’ejaculatore. L’epitelio della tromba è costituito da cellule, cilindriche, brevemente cigliate, allungate, con nucleo relativamente grande, lungo circa i due terzi dell’intera cellula, con protoplasma granu- loso denso. La regione ipodermica, in cui s’immerge la tromba, è fortemente muscolosa ed atta ad allun- gare e a contrarre l’organo, in modo da far venire a livello 0 quasi del contorno esterno del corpo sia l’apertura della faringe, sia il canale prevestibolare dell’organo ejaculatore. Nella regione della tromba boccale sboccano numerose ghiandole cutanee non diverse da quelle che si riscontrano su tutto il derma e che, come ghiandole circumboccali, potrebbero adempire nel- l’economia qualche ufficio inerente alla ingestione degli alimenti. Ma degne della maggiore attenzione sono dei fasci di cellule ghiandolari specifiche di questa parte dell’organismo: due superiori confusi tra di loro, un terzo molto più voluminoso, ventrale, me- diano. Questi tre fasci percorrono tutto il tratto anteriore fino allo stomaco e al cingolo nervoso sul quale si adagiano, attraversando in tal modo la regione ipodermica anteriore e riempiendo tutti gli spazi della parte anteriore della cavità generale primaria che rimangono tra la prostata, il bulbo boccale, l’esofago e le pareti del Fig. 3. — Schema dell’apparato digerente. b. 9 - 9 - e. s. d. — bulbo boccale. — ghiandole salivari. — ghiandola gastrica. — esofago. — stomaco. — duodeno. e. — ghiandola epatica. — intestino terminale. b aiUSEIM’E GOLOSI — OSSEKV AZIONI ANATOMO-ISTOLOOICHE SELLA KUNCINA CALAKITANA N. SF. corpo. Le collulo che le costituiscono (tig. 1, f) sono allungatissimo, ingrossate neH’estremità opposta a quella di sbocco. In tale estremità ingrossata si trova il nucleo grande, roton- deggiante, ricco di cromatina. L’estremità di sbocco è appuntita e schiacciata fra le cellule opiteliari circostanti. Il citoplasma contiene un gran numero di minuti granuli colorati assai intonsamente e molto vacuoli. Con i coloranti metacromatici questi fasci ghiandolari si mettono assai bene in evidenza: cosi con la safranina rimangono colorati in giallo-rossastro, mentre il rimanente dei tessuti si presenta rosso-porpora. Faringe. La faringe appare in fondo alla tromba boccale come una fenditura e nelle sezioni con- serva per tutto il suo tratto iniziale questa apparenza. Si presenta infatti come un canale con sezione molto allungata nel senso dorso ventrale, con lume bipartito inferiormente in due piccole docce divaricate, e terminato superiormente da un angolo acuto. Ai due lati di questo primo tratto della faringe si trovano le cosi dette mascelle; perciò daremo ad esso il nome di regione mascellare della faringe. Ma, a mano a mano che si procede verso l’interno del mollusco, il canale si allarga e il piccolo setto, che separava dapprima le due docce, diventa più saliente; indi si arrotonda, aumentando rapidamente di volume, protendendo ampiamente nel lume faringeo, che si trova in questa regione ridotto a un canale di sezione falcata con la concavità rivolta in basso ; termina infine bruscamente ad emisfero convesso verso l’alto, costituendo il supporto radulare 0 lingua del mollusco. Il lume faringeo allora, dopo essere aumentato di capacità dietro la lingua ed aver contornato quest’organo, si restringe rapidamente, muta struttura e si continua con l’esofago. Indicherò questa seconda regione col nome di regione radulare della faringe. L’insieme di tutti gli organi su indicati e delle masse muscolari che li circondano va sotto il nome comprensivo di bulbo boccale. Esso è nella Runcina relativamente voluminoso, presenta una colorazione generale giallastra; è piriforme, con la parte apicale rivolta in avanti e in diretto rapporto con la tromba, e la parte globosa rivolta posteriormente. Dalla parte postero-superiore di esso — come aveva già con precisione notato il Vayssièee — prende origine l’eso- fago (4). Il complesso bulbare costituisce la prima parte di- gerente e presenta una grande consistenza grazie alla muscolatura di cui è provvisto. Decorrendo in dire- zione antero-posteriore, col suo lato destro si addossa alla prostata, si adagia su quel fascio ghiandolare an- teriore, che abbiamo visto decorrere nella parte ven- trale anteriore del corpo e sboccare nella tromba boc- cale; poggia posteriormente sul cingolo esofageo. Nella porzione mascellare della faringe le cellule dell’epitelio sono di due forme. Le une stipate, bacil- lari, con nucleo allungato, che occupa buona parte del lume cellulare; il citoplasma che rimane fra il nucleo e la parete libera della cellula è fornito di un gran numero di piccoli granuli di pigmento nero o bruno, che impartisce a questa parte un colore particolare oscuro. Le altre cellule, meno numerose, sono assai strette per tutta la lunghezza ed ingrossate solo alla base; hanno nucleo basale, rotondeggiante, piccolo e citoplasmo chiaro. Fig. 4. — Cellule mascellari. a. della Runcitia coronata. b. della Runcina calaritana. d. — denti delle mascelle. c. — cuticola. gr. — granulazioni pigmentarie. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 7 Lungo il solco dorsale della faringe si vede dall’uno e dall’altro lato una serie longi- tudinale costituita da una, due, quattro cellule epiteliari ingrossate, con protoplasma jalino, struttura ghiandolare, prive o quasi di granuli di pigmento. Le cellule che sormontano imme- diatamente l’apice del solco e che si trovano fra le due sene su indicate, sono della stessa natura, ma relativamente assai piccole. Più corte delle cellule dei lati del canale faringeo, sfornite di pigmento, munite di ciglia, si presentano le cellule che rivestono la doppia doccia ventrale. Tutto il rimanente epitelio di questa regione è sprovvisto di ciglia, ma rivestito da una cuticola stratificata, costituita al solito da una sostanza appartenente al gruppo delle con- chilioline. Questa cuticola è sottile in prossimità dell’apice superiore del lume del canale, molto spessa invece nella parte mediana delle due pareti laterali, dove è per un’ area va- riabile, in entrambi i lati, sormontata da piccoli denti jalini di natura forse conchiliolinare — e non chitinosa come ammettono vari autori — di forma acutamente conica, curvi. Le due superfici laterali che risultano ricoperte da denti costituiscono le mascelle. Nella Bìincina coronata di Marsiglia le mascelle — a quanto mi è sembrato — sono più piccole che nella Runcina calaritana. Inoltre, i denti di cui esse sono armate, sono più grandi, più radi, diritti, arrotondati, colorati pallidamente in bruno. Le cellule epiteliari mascellari sono prive di pigmento, e la doppia benda ghiandolare apicale occupa una ben maggiore estensione. La prima porzione della faringe è atta, mercè le robuste mascelle, alla prima tritura- zione degli alimenti ; è perciò anche munita di una potente muscolatura. Guardando una sezione trasversale, si vede che l’insieme dei muscoli riempie un’area circolare o quasi: la sezione del canale faringeo occupa in essa una posizione diametrale dorso-ventrale ed è di poco inferiore al diametro del cerchio. Per tal modo, ai due lati del canale faringeo si trovano due grandi masse muscolari, che stabiliscono delle relazioni fra i vari punti della stessa banda e le cui fibre sono disposte specialmente nel senso della maggiore larghezza del lume faringeo. Esse costituiscono i muscoli laterali delle mascelle. Il canale faringeo e i muscoli laterali delle mascelle sono tutt’intorno avvolti da un muscolo, che chiamo muscolo anulare faringeo, il quale tocca le due linee apicali, superiore e infe- riore, del lume faringeo, e serve per i movimenti costrittori delle mascelle. La porzione radulare della faringe è, come ho già detto, caratterizzata dal cambiamento di forma del lume faringeo, per lo sporgere di quel mammellone muscoloso rivolto poste- riormente e in alto e munito di denti speciali, che si chiama lingua. L’epitelio di questa regione è generalmente cubico; gli elementi che lo compongono sono piccoli, con nucleo centrale relativamente grosso: minori dimensioni hanno quelli della lingua, maggiori quelli delle vere pareti del canale; per la loro forma più allungata e per il citoplasma più chiaro, si riconoscono subito le cellule disposte sulla linea di simmetria del mammellone linguale. Nella Runcina di Marsiglia l’epitelio della regione radulare della faringe, eccetto quello appartenente alla lingua, possiede cellule di due sorta: le une bacillari, di sostegno, con nucleo esile allungato, le altre di natura ghiandolare, grosse, ovali, con piccolo nucleo basi- lare e citoplasma ripieno di granuli più o meno abbondanti secondo l’attività secretoria. Nella sua parte posteriore la lingua possiede una specie di foro, che si dirige inferior- mente: è la tasca della radula, rivestita delle cellule speciali che producono quest’ ultima. Per quanto riguarda la radula, riepilogo la descrizione che ne dà il Vayssière per la Runcina coronata, giacche ad uno sguardo abbastanza sommario mi è sembrato che questo organo fosse simile nelle due specie, e non mi indugiai in un attento esame. Essa è costi- tuita da una ventina di serie di denti formate ciascuna di tre di questi : uno mediano e due laterali. Il mediano è bilobo, con l’estremità dei lobi ricurvi verso il fondo della faringe. 8 GIUSEPPE GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOGICHE SULLA RUNCINA CALARITANA N. SP. 1 denti laterali sono nettamente triangolari e presentano aneli’ essi l’apice libero rivolto posteriormente (4). La regione radulare della faringe è la seconda regione trituratrice del sistema digerente della Runcina ed è fornita di potenti muscoli. La lingua poggia sopra una base muscolare, di cui la massa centrale è per gran parte costituita da un muscolo, che chiamo muscolo trasverso glosso-faringeo. Questo è costituito da grosse fibre provviste di nucleo centrale rotondeg- giante; e si prolunga dall’uno e dall’altro lato oltre la base della lingua, abbracciando per un tratto la faringe e talvolta formando un vero anello intorno ad essa. In tal caso nella parte che sovrasta il lume faringeo, quello cioè opposto al luogo d’inserzione della lingua, le fibre muscolari, che continuano il glosso- faringeo, posseggono un grande nucleo allungato. Nella porzione anteriore della lingua vi sono nu- merose fibre con direzione dorso-ventrale, che costi- tuiscono i due muscoli, a cui do il nome di piccoli tensoi’i linguali. Nella parte ventrale sotto il muscolo glosso- faringeo, a destra e a sinistra di esso, poco prima di giungere alla tasca della radula, si trova l’origine di due grandi fasci di muscoli. Li chiamo grandi ten- sori linguali. Le fibre che li compongono sono le più grandi fibre muscolari di tutto l’organismo; presen- tano un sarcoplasma jalino e un nucleo grosso, rotondeggiante, contenuto nella parte infe- riore più ingrossata della cellula. 11 rimanente delle fibre si assottiglia man mano che i due fasci risalgono, convergendo, senza però fondersi, lungo la tasca della radula, fino all’orifizio di questa. Nel mammellone linguale troviamo inoltre numerose fibre muscolari longitudinali, tras- versali, dorso-ventrali. Sono strette, con nucleo bacillare; s’intrecciano variamente e sono atte a restringere, allargare, accorciare, allungare lievemente la lingua. Il muscolo trasverso glosso-faringeo restringe ed allarga tutta questa regione della fa- ringe, accrescendone o riducendone il lume. I muscoli tensori provvedono agli ampi movi- menti di accorciamento e di allungamento della lingua. Lungo le pareti della faringe vi sono fibre longitudinali e fibre oblique, sì da costituire una tonaca. Nella parte ultima del lume faringeo, a destra e a sinistra dell’imboccatura dell’esofago, si aprono le due ghiandole salivari. Queste sono nastriformi, lunghe più dell’esofago e de- scrivono tortuosamente una linea dall’avanti all’ indietro nello spazio compreso tra il bulbo boccale e lo stomaco. Sono rappresentate da un tubo con lume esiguo, le cui pareti vengono costituite da poche cellule abbastanza grosse, con forma di parallelopipedi, con grosso nucleo e citoplasma provvisto di numerosi granuli. l. — lume della faringe. r. — radula. gl. f. — muscolo glosso-faringeo. gn. t. — muscoli grandi tensori (la linea tratteggiata indica il loro decorso). l. — lingua. Esofago. La faringe si continua con l’esofago, il quale ha origine dal lato postero-dorsale di quella, di fronte alla tasca radulare. Dopo aver percorso breve tratto verso l’alto, l’esofago si piega ad angolo retto e segue il suo tragitto in direzione antero-posteriore fino allo stomaco, pas- i MEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 9 sando tra i gangli del cingolo nervoso, toccando i gi'andi fasci ghiandolari anteriori e, a sinistra, la ghiandola gastrica, di cui presto parlerò. È un canale con sezione grossolanamente circolare, abbastanza ampio, con pareti folta- mente e lungamente cigliate. Le pareti sono costituite da un epitelio prismatico di elementi molto allungati, pieni di citoplasma finemente granuloso, provvisti di nucleo ovale spostato verso la base. Nella prima porzione dell’esofago, quella in senso dorso-ventrale, fra le cellule descritte ve ne sono altre grandi globose, con nucleo rotondeggiante, piene per la maggior parte della loro capacità di un vacuolo chiaro: hanno funzione secretoria. Una esigua tonaca muscolare di fibre sottili avvolge l’esofago. I > L- i i ì,( ':-'ì n Vi J ' ì ^ t i f ¥ stomaco. Lo stomaco si presenta nel suo insieme come un corpo rotondeggiante, sospeso nella parte anteriore della cavità generale primaria; guarda superiormente la ghiandola erma- froditica e il fegato, inferiormente poggia sul piede; alla sua destra si trova la prostata, an- teriormente le estremità posteriori dei grandi fasci ghiandolari anteriori, a sinistra sovente l’ultima porzione della prostata e il receptaculum seminis. Anteriormente riceve l’esofago, da cui è separato mediante un apparecchio valvolare, e lo sbocco della ghiandola gastrica, con la quale comunica liberamente; la sua parte posteriore si continua con l’intestino duodenale. Possiede una tonaca muscolare avvolgente, la quale, essendo assai spessa posteriormente e sottile nella parte anteriore, limita una cavità grossolanamente a forma di pera. Si pre- senta costituito da quattro spicchi, assai meglio riconoscibili dalla parte interna che dalla esterna. Tali spicchi, infatti, sono dalla parte interna provvisti ciascuno di una robusta placca trituratrice; tra l’uno e l’altro esiste un piccolo setto. Nelle sezioni longitudinali si scorge nettissima la divisione della tonaca stomacale in due zone di assai diverso spessore. Il terzo anteriore è costituito da un epitelio interno di cellule cubiche, piccole, con nucleo relativamente grosso, centrale; da poche fibre muscolari lunghe, spesse, longitudinali per la maggior parte; e da un epitelio esterno, di cui compaiono qua e là i nuclei bacillari, il quale si continua poi, avvolgendo gli altri organi dell’apparato e rappresentando il peritoneo. Procedendo verso la parte posteriore, a un certo punto la tonaca muscolare aumenta rapidamente di volume e gli ultimi due terzi di essa costituiscono un robusto bulbo di fibre muscolari, disposte a cingolo, rivestito dai due epiteli. Le fibre sono quasi tutte circolari e nelle sezioni si vedono lunghe circa un quarto di tutto l’anello muscolare, in modo da for- mare, in corrispondenza dei quattro spicchi, quattro grossi fasci connessi fra di loro: le estremità appun- tite delle fibre si trovano perciò lungo gli spigoli lon- gitudinali del lume stomacale, tra spicchio e spicchio. Nella Runcina di Marsiglia tali fibre sono grosse più del doppio che nella nostra Run- cina calar itana. Ai quattro punti diametralmente opposti del lume, rappresentati dalle quattro regioni mediane degli spicchi, l’epitelio si ripiega e si espande a fungo, in modo che ne risulti una zona di prospicienza in forma di lamina che è la base della placca. Su queste quattro zone, Fig. 6. — Stomaco - Sez. trasv. -schematica. l. — lume gastrico. p. — placche trituratrici. b. — base delle placche. t. m. — tonaca muscolare. p. l. — pliche. H 10 GIUSEPPE GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOGICHE SULLA RUNCINA CALARITANA N. SP. , e Fig. 7. — Stomaco — Sez. schematica. latero - laterale infatti, poggiano le placche tritmatrici, le quali sono più grosse anteriormente, più affinate nella porzione che guarda il duodeno, hanno sezione di triangolo quasi rettangolo e sono connesse con le loro basi mediante le ipotenuse, rivolgendo al centro della cavità gli spigoli ad angolo retto, dentati. Le duo superfici laterali di ciascuna placca, che presentano per tutta la loro estensione delle rilevatezze a forma di denti, sono molto vicine a quelle cor- rispondenti delle placche contigue, in modo che i denti deir una possano ingranarsi con i denti dell’altra. Così, in definitiva, il vero lume dello stomaco si vede nelle sezioni trasversali ridotto a quattro fessure in croce con le estremità bifide e divaricate tangenzialmente. L’epitelio basale delle placche trituratrici è costituito nell’apice anteriore da cellule allungate, stipate, con nucleo allungato, basilare, assai colo- rabile, con citoplasma pieno di minute granulazioni jaline; per tutto il rimanente dell’epitelio basale le cellule sono cubiche con grosso nucleo sferico. Il rimanente epitelio che tappezza la cavità gastrica è di aspetto pavimentoso, senza nessuna speciale caratteristica. Soltanto ai quattro spigoli della cavità esso forma una salienza, che ho già menzionata, in cui le cellule sono disposte a ven- taglio, salienza che contribuisce a dare l’aspetto bifido alle fessure del lume gastrico. Queste cel- lule sono anatomicamente diverse dalle altre: al- lungate, strette alla base, allargate all’apice, incu- neate sopra una breve area, con piccolo nucleo centi’ale e citoplasma jalino, spesso fornito di nu- merosi granuli o vacuoli jalini. Tale struttura è simile a quella di tutte le cellule duodenali, che a queste faranno seguito. Infatti posteriormente queste quattro sporgenze di differente struttura aumentano di superficie e, riunendosi Luna con l’altra, vengono a costituire un canale, che è appunto il duodeno. Ma, prima di passare a questo, dico qualche parola sull’apparato valvolare dello stomaco e sulla ghiandola gastrica. L’apparato valvolare, che ha sede tra l’esofago e lo stomaco e che per analogia chiamo cardias, ha la funzione di impedire, durante la masticazione stomacale, il facile riflusso degli alimenti ingeriti dallo stomaco all’esofago. E costituito da due lamine fogliacee, probabil- mente della stessa sostanza che forma le placche trituratrici — sostanza designata come cornea, ma che io esito a mettere nel gruppo delle cheratine — . Queste lamine sono talvolta integre, talvolta per l’usura bifide, trifide, multifide e volgono l’estremo libero verso il centro della cavità gastrica. Le cellule su cui poggiano sono simili a quelle anteriori della zona che produce le placche. Anteriormente a sinistra dell’esofago sbocca nello stomaco la ghiandola, che chiamo gastrica, e che nessuno finora ha menzionato. Essa è provvista di una cavità piuttosto ampia e assai sinuosa per le ripiegature dell’epitelio che la riveste. L’epitelio è costituito da cellule con membrane poco visibili, grandi, difformi, allungate ; talune più grosse con nucleo di mag- giori dimensioni, assai colorabile, provvisto di nucleolo; altre con nucleo piccolo, più chiaro. — esofago. — ghiandola gastrica. — valvole gastriche. — base delle valvole gastriche. — lume gastrico. — placche trituratrici. h. pi. — base della placca. t. m. — tonaca muscolare. d. — duodeno. e. 9- 9- V. g. h. V. l. g. pi. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE li, VOL. LXVI, N. 6. 11 rotondeggiante, anch’esso nucleolato. Il citoplasma è granuloso. Il breve canale di sbocco della ghiandola è costituito dagli stessi elementi che ne formano le pareti e risulta di un piccolo restringimento di essa. Uno strato di fibre muscolari l’avvolge, costituendone la tonaca esterna. Nella Runcina di Marsiglia la ghiandola gastrica è costituita da numerose cellule sti- pate, allungate, un po’ ingrossate all’estremo libero, con nucleo piccolo allungato situato nella metà inferiore della cellula. Si presenta globosa, massiccia, con cavità piccola. La ghiandola gastrica talvolta non è attiva, talvolta si trova in periodi di grande fun- zionalità, e allora il liquido secreto tende le sue pareti e la cavità risulta rotondeggiante e priva di pliche. La tonaca muscolare probabilmente provoca, contraendosi, l’efflusso del succo gastrico. Funzione dello stomaco è quello di triturare per la terza volta e definitivamente i cibi, riducendoli in minimi frammenti sotto l’azione delle placche, mentre il secreto della ghian- dola gastrica compie la digestione chimica. Le placche non si muovono allargandosi o restrin- gendosi in senso radiale egualmente per tutta la loro lunghezza, ma il loro movimento è simile a quello delle dita di una mano che alternativamente si riuniscano e si allontanino all’unisono. Il fulcro, intorno al quale le placche si muovono, è virtuale e situato posterior- mente in continuazione del loro asse. Intestino duodenale. Abbiamo visto come, nella parte posteriore dello stomaco, i setti tra placca e placca presentino una speciale struttura, e come in seguito essi si riuniscano in un canale. Così il duodeno viene ad essere rappresentato da un canale piuttosto ampio, abbastanza irregolare, le cui pareti sono tappezzate da un epitelio cilindrico con cellule grandi, assai sviluppate in altezza, un po’ irregolari, piene di un citoplasma jalino che contiene spesso numerosi granuli o vacuoli jalini, e provvisto di nucleo piccolo quasi sferico situato di pre- ferenza a metà della cellula. Il rivestimento peritoneale, addossato allo strato epiteliare interno, limita il duodeno nella cavità generale primaria. L’intestino duodenale decorre dall’ avanti all’ indietro per breve tratto. Indi si allarga, si svasa e allora subito si divide in due branche. L’una, in basso a sinistra, breve, che con- tinua ad allargarsi e costituisce lo sbocco del fegato; l’altra, piegata verso l’alto e a destra, che rappresenta l’inizio dell’intestino terminale. Nella porzione svasata le cellule duodenali si accorciano, facendosi cubiche; nel luogo che rappresenta lo sbocco del fegato, però, acquistano quasi le dimensioni primitive. Fegato. Il fegato — 0 per meglio dire quella ghiandola intestinale che si è convenuto di chiamar fegato — non è nella nostra Runcina, come il Mazzarelli (6) dice di aver dimostrato per la sua Runcina capreensis, duplice, bensì unico; e sbocca nell’intestino non per mezzo di due orifizi, uno per sacco epatico, come lo stesso autore crede, nè per orifizi multipli come asse- risce il Pelseneer (7), bensì per mezzo di un solo grande sbocco. Esso è costituito da una grande massa, di gran lunga superiore in volume a tutti gli altri organi, di colore rosso-bruno, solcata esternamente da scissure e da rughe, che corri- spondono ad altrettanti setti e pliche dalla parte interna. Si estende nella parte media del corpo e presenta, quando il grande sviluppo dell’ovario non la deformi, un aspetto grosso- 12 GIUSEPPE GOLOSI — OSSEKVA/.IONl ANATOMO-ISTOLOUICUE SULLA UUNCINA CALAKITANA N. SP. Fig. 8. — Sbocco del fegato. sb. — sbocco del fegato. i. — intestino terminale. l. e. — lobuli epatici. pi. i. — pliche deU’intestino terminale. d. — duodeno. c. e. — camera epatica. In tutti gli individui si ripete presso a poco questa conformazione, con maggiori o mi- nori deformazioni. Il fegato guarda inferiormente e a destra la parete del corpo e la ghiandola ermafro- dita, con la quale contrae stretti rapporti di contiguità, inferiormente la parete del corpo, lo stomaco, la prostata, le ghiandole annesse ai canali ermafroditici, a sinistra la parete del corpo, anteriormente lo stomaco e i grandi fasci ghiandolari anteriori, posteriormente le ghiandole su ricordate e il rene. Il suo contorno è dapprima abbastanza nettamente delineato ; perde in seguito questo carattere per le compressioni degli altri organi. Il sacco epatico è rivestito da uno strato di cellule secretrici grosse, con citoplasma ricco dei prodotti di elaborazione, con nucleo intensamente colorabile, la cui grandezza è assai variabile nello stesso individuo. Nei vari individui poi è caratteristica la grande incostanza di volume delle cellule epatiche degli uni rispetto a quelle degli altri. lanamente assomigliabile a quello di un corebro. Internamente il fegato è sacciforme, diviso in lobi e in lobuli, tutti comunicanti fra di loro direttamente o mediatamente. In un individuo abbastanza giovano, prima che il fegato fosse deformato dalla ghiandola ermafrodita, esso presentava cinque lobi principali superiori destri, quattro lobi superiori sinistri un po’ più piccoli, un lobo centrale superiore posteriore, un lobo centrale inferiore posteriore, una camera centrale superiore, una camera centrale inferiore. Tutti i lobi, eccetto r inferiore posteriore, sboccavano nella camera centrale superiore, alla quale stavano attorno; l’inferiore posteriore nella camera centrale inferiore. Le due camere comunicavano ampia- mente fra di loro; l’inferiore sboccava nell’intestino. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVl, N. 6. 13 Le cellule appartenenti ai setti, alle ripiegature verso l'interno delle pareti del fegato, e che quindi sporgono ampiamente nella cavità della ghiandola, in modo che nelle sezioni le varie pliche appaiono come grappoli, sono fortemente secretrici. Hanno forma di pera, il loro protoplasma è ricco di granuli grossetti, rotondeggianti, assai colorabili con i coloranti acidi ; il nucleo è mediocre, basilare, ovale. Le cellule periferiche, rispetto a tutta la massa epatica, sono più piccole, difformi, con nucleo vario, con citoplasma abbastanza ricco di granuli colorabili solo con i coloranti basici, e sovente vacuoloso. Presso il punto di sbocco nel duodeno, le cellule epatiche perdono a poco a poco i loi’o caratteri, e si passa da queste a quelle proprie del duodeno. Il fegato è circondato da una epatopleura, corrispondente a quella, che in altri molluschi il Barfurth aveva chiamato tunica serosa e tunica muscolaris, e che non è altro che la con- tinuazione del rivestimento peritoneale. Questa epatopleura è formata da uno strato di cel- lule schiacciate, con nucleo piatto, senza altro carattere rilevante. Intestino terminale. Quasi nel centro del corpo, a destra dello sbocco epatico, prende origine nel modo che abbiamo visto l’ intestino terminale. Questo, in lunghezza, è maggiore delle parti precedenti messe insieme, e decorre un po’ tortuosamente fino all’ano. Si dirige dapprima in alto verso destra, attraversando la massa epatica fra lobo e lobo. Quivi le sue pareti presentano delle ripiegature longitudinali, che formano talora dei veri corpi a se, prolungati in avanti e all’in- dietro. Tali corpi funzionano probabilmente da valvole, obbligando il cibo a sostare in quella dilatazione del duodeno, che precede lo sbocco epatico, e vietandone, quando è già passato, il rigurgito. Le cellule che costituiscono queste valvole sono corte, fittissime, compresse fra di loro, con nucleo quasi rotondo, brevemente cigliate. In seguito l’intestino percorre un buon tratto in direzione antero-posteriore, in vicinanza delle pareti del corpo, indi si avvicina all’ultima porzione della camera ermafroditica, tocca il primo canale ermafroditico, scende nella parte ventrale tra il fegato a sinistra e il rene a destra e sbocca all’estremo posteriore del corpo nel solco palleo-pedale, tra la ghiandola anale, che sbocca alla sua sinistra, e la branchia, che si impianta sopra e a destra di lui. L’intestino terminale, eccetto che al suo inizio dove è alquanto irregolare, si presenta come un tubo con sezione circolare; è rivestito di un epitelio abbastanza lungamente cigliato, costituito da cellule cilindriche con nucleo ovale situato nella metà più interna della cellula, senza altri caratteri salienti. Os8erva»ioni. Notevole nel sistema digerente della Runcina è dunque la presenza di un diverticolo stomacale a sacco, che io ho per la prima volta dimostrato. Un altro fatto importante chiarito nel presente lavoro è quello della imparità del fegato e del suo sbocco. Ho così posto fine alla questione sulla duplicità o molteplicità del dotto epatico, già dibattuta tra Pelseneer e Mazzakelli, e ho dimostrato come nel genere Run- cina rispetto al fegato e al suo canale di sbocco, ci troviamo nello stadio più avanzato di fusione delle parti simmetriche, che questo mollusco presenta analogamente agli Scafopodi (Siphonodentalium) e ad altri Glasteropodi {Ancylus ftiiviatilis, Theeoson, Aplisiella Gravieri, ecc.). 14 GIUSEPPE GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOOICHE SULLA RUNCINA CALARITANA N. SP. Apparato genitale. L’apparato genitale è nella Kuncina, come in tutti i molluschi, assai complesso. Lo divido, per facilitarne la descrizione, in due parti principali. 1“ Ghiandola ermafroditica ed organi annessi, con sbocco nella parte posteriore del fianco destro dell’animale. 2° Apparato eiaculatore ed annessi, con sbocco nell’estremo antei'iore del corpo a destra della bocca. Tra gli uni e gli altri vi è il solco seminale, che serve a connetterli. Camera ermafroditica ed organi annessi. Questo complesso di organi limita una parte della cavità generale secondaria del corpo. La ghiandola ermafroditica percorre buona parte del lato destro del mollusco; il rima- nente degli organi è allogato nella parte posteriore di esso con tendenza verso sinistra. Distinguerò varie regioni: a) ghiandola ermafroditica e camera ermafroditica; h) primo canale ermafroditico ; c) vescicola seminale; d) secondo canale ermafroditico e vescicola intermedia; e) camera preuterina e dotto uterino; f) ghiandola dell’albume ; g) utero; il) terzo condotto ermafroditico con le ghiandole del guscio e del muco. Ghiandola ermafroditica e camera ermafroditica. La ghiandola ermafroditica è rappresentata da un’estesa superficie germinativa, la quale limita una vasta camera a forma di sacco. La camera ermafroditica non si divide in lobi, come nel maggior numero dei casi, ma si presenta sempre con la forma di una cavità unica, la quale percorre con direzione antere posteriore circa la metà centrale della parte destra della cavità celomica, essendo limitata a destra dalle pareti del corpo, posteriormente dalle pareti pericardiche e renali e dalle parti ghiandolari annesse alla ghiandola stessa, a sinistra dal fegato, il quale l’abbraccia ancora superiormente e inferiormente, insinuandosi fra gli interstizi degli elementi di essa, che si sono differenziati nel senso femminile, costituendo i lobuli ovarici, di cui parlerò ; inferiormente oltre che dal fegato anche dalle ghiandole annesse all’apparato sessuale e dai canali ermafroditici. Tocca con la sua ultima porzione un tratto dell’intestino terminale. Il sacco ermafroditico decorre con lume ampio rotondeggiante, privo di sinuosità lungo tutto il suo tragitto approssimativamente in linea retta, restringendosi posteriormente per continuarsi col primo condotto ermafroditico. La ghiandola ermafroditica è rivestita da una gonopleura esile, la quale continuerà ad avvolgere gli organi annessi, e di cui nelle sezioni appaiono i nuclei piatti in forma di bastoncelli. Internamente vi è un epitelio, che mostra elementi di tre specie : cellule parietali, cellule basali, cellule sessuali. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 15 Esaminando un individuo maturo, si vede che le pareti del sacco sono tappezzate di cellule piatte, con nucleo anch’esso schiacciato, senz’altro carattere appariscente (cellule pa- rietali 0 Wandugszellen) ; di cellule più voluminose, rotondeggianti, con nucleo grosso, molto cromatinico (cellule basali, prespermatogoni e spermatogoni) ; e di vari gruppi {Sperma gennen) di spermi maturi o in via di maturazione, intorno a cellule basali, che adempiono una fun- zione citoforica. Fig. 9. — Schema della ghiandola ermafroditica e degli organi annessi. (Tutti gli organi semplificati sono disposti sopra un piano trasversale). gh. e. — ghiandola ermafroditica V. i. — vescicola intermedia. c. 1“ — primo canale ermafroditico. c. pru. — camera preuterina. V. s. — vescicola seminale. gl. a. — ghiandola deH’albume. c. 2' — secondo canale ermafroditico. u. — utero. c. 3“ — terzo canale ermafroditico ghiandolare. Soltanto nella regione di contatto col rene e in qualche altra area indeterminata l’epi- telio non mostra alcuna facoltà germinativa e lo strato di cellule indifferenti che rimane a formare le pareti del sacco presenta un colore giallo ocraceo, dovuto a una certa quantità di granuli pigmentari di mediocri dimensioni contenuti nelle cellule parietali. Sempre negli individui maturi vediamo delle masse voluminose, formanti degli acini, costituite dalle cellule femminili e dagli elementi che ad esse si accompagnano e addossate dalla parte esterna più o meno confusamente al sacco ermafroditico. 16 GIUSEPPE GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOGICHE SULLA HUNCINA CALARITANA N. SP. Il Mazzarelli (8, 9) aveva già notato questa speciale conformazione della ghiandola ermafrodita, e aveva rilevato che essa presenta una camera centrale, nella quale sboccano più acini che contengono solo uova, mettendo in tal modo la ghiandola ermafroditica della Runcina in quella categoria di ghiandole follicolari di cui gli acini parte contengono solo elementi femminili, parte solo elementi maschili e che sono proprie dei tectibranchi diauli. Io non credo che nel caso della Runcina ci troviamo dinanzi a una vei’a ghiandola follico- lare; anzi è mia opinione che, sebbene la sua conformazione possa tradirne la natura, ci tro- viamo presenti al tipo proprio dei tectibranchi monauli, solo un po’ modificato; dinanzi a quel tipo, cioè, in cui gli acini contengono al medesimo tempo uova e spermatozoi. L’acino però nel nostro caso è unico. Ecco come in realtà si è raggiunta la su accennata disposizione ad acini. All’inizio dell’attività sessuale della ghiandola ermafroditica, insieme ai primi gruppi di spei-mii in via di maturazione, si vede qua e là qualche cellula che comincia a differenziarsi nel senso femminile e che sporge, come le maschili, nella cavità della ghiandola. Ma con l’accrescersi e l’aumentare di volume e il differenziarsi intorno ad essa di cellule basali nel senso di cellule nutritive {Nàhrzellen), tale cellula femminile non seguita a sporgere nella cavità ghiandolare, bensì protunde verso l’esterno^ costringendo l’epitelio da cui ha origine e la gonopleura che a questo si addossa ad una evaginazione. Così l’epitelio germinativo si incava a coppa intorno all’uovo prima, e chiude poi su di esso le labbra, in modo da cir- condarlo completamente. In tal maniera la ghiandola acquista un aspetto aciniforme, e la sua cavità rimane sgombra di uova e non soffre diminuzione di capacità. L’epitelio che av- volge l’oogonio non perde però le sue facoltà germinative. Esso infatti, oltre alle cellule indifferenziate, ne contiene nella cavità dell’acino altre che possono evolvere, dando luogo ad altre uova o a cellule basali di nutrimento, che rimangon costrette negli interstizi fra uovo ed uovo: non evolvono però mai — probabilmente per ragioni di chimismo — nel senso maschile. Dunque la conformazione ad acini della ghiandola ermafroditica della Runcina non è fondamentale, ma secondaria. Arrivate allo stadio di maturità, le uova si fanno luogo fra le cellule vicine e sovra- stanti, e cadono nella camera ermafroditica, da cui prenderanno via per l’esterno. Ma di ciò diremo appresso. Diamo intanto un cenno sulla morfologia degli elementi di cui abbiamo finora parlato. Gli elementi femminili sono rappresentati da grosse cellule completamente piene, nel loro stadio giovanile, di un plasma finemente granuloso ed hanno grosso nucleo e nucleolo spesso provvisto di granulo nucleolare. A mano a mano che si evolvono il loro volume aumenta straodinariamente per l’accumularsi nel loro interno di numerosissimi granuli ab- bastanza grossi di deutoplasma egualmente distribuito in tutta la cellula; solo attorno al nucleo centrale permane ben distinto un alone di plasma granuloso. Intorno alle uova esistono — come ho già detto — numerose altre cellule con cui quelle hanno comune l’origine. Sono le cellule basali, le quali adempiono rispetto alle uova la funzione di cellule nutritive: hanno dimensioni abbastanza voluminose, forma assai varia, di solito a pera appoggiata lateralmente e libera con la estremità ingrossata, spesso però determinata dalle compressioni laterali. Con l’ingrossarsi delle uova contraggono aderenza con queste, si appiattiscono, perdono in volume. Hanno plasma granuloso e grosso nucleo che risente della forma della cellula e si presenta come una massecola compatta fortemente colorabile. Delle cellule maschili e di quelle che le accompagnano abbiamo già visto qualcosa. Voglio ancora dirne qualche parola pur non essendo mio divisamento entrare nei dettagli della maturazione, la quale nelle sue linee generali si svolge secondo lo schema tipico. MEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 17 Le cellule basali appaiono come cellule epiteliali di dimensioni relativamente notevoli, di forma l'otondeggiante, sporgenti nella camera ermafroditi ca. Il loro nucleo è grosso, ancli’esso di forma rotondeggiante, assai ricco di cromatina la quale presenta numerose condensazioni granulari specialmente alla periferia. Contrariamente a ciò che spesso si os- serva nei molluschi, l’ho visto vivere a lungo con i caratteri primitivi anche dopo l’ allon- tanamento degli spermatozoi dalla cellula; però più tardi si disfa, mai però prima della cellula che lo contiene. - Addosso alle cellule basali a cui molto somigliano e con cui stanno in relazione si dis- pongono i prespermatogoni, protundendo nel lume della ghiandola, e subiscono quindi varie divisioni. In tal modo si vengono a poco a poco a costituire dei voluminosi ciuffi {Siìermo- (jennen) di spermatogoni con aspetto di grappoli o di spighe, i cui elementi hanno forma di pera con la parte ingrossata, contenente il nucleo, rivolta all’esterno e la parte protopla- smatica, affusolata verso lo stelo, il quale è costituito da numerosi filamenti protoplasmatici connessi alle cellule basali, da cui la spiga sembra avere origine. Queste in tal modo adem- piono l’ufficio di cellule di sostegno o, meglio, di cellule spermatefore, .analogamente alle cellule del Sertoli nei mammiferi e a quelli del Verson negli insetti. Gli spermatogoni ven- gono alla loro volta a dividersi, dando luogo a spermatociti di primo ordine di analoga struttura e analogamente disposti. Ma negli spermatociti di secon d’ordine e negli spermatidi, che successivamente ne derivano, il nucleo appare sotto forma di un corpo compatto, rotondo, fortemente colorabile, e addossato ad esso per larga superficie si nota un vacuolo jalino, dovuto forse — come alcuni autori nella spermatogenesi di altri molluschi ammettono ■ — al succo nucleare espulso. Presto gli spermatiti si evolvono in spermatozoi; il nucleo si al- lunga in bastoncello, e si forma il filamento assile, intorno al quale si dispone il protoplasma ricco di granuli mitocondriali, formando un invoglio, che s’ingrossa a clava nell’estremo posterioi’e dello spermio, per assottigliarsi rapidamente e finire in punta. Fino a questo momento gli spermii rimangono affondati nel citoplasma, che formava l’asse della spiga, e in quello della rispettiva cellula basale, che intanto, per dissoluzione della membrana, ha evaso. Presto però si distaccano dalle pareti ghiandolari e cadono nella camera. Quivi su- biscono altre modificazioni di forma: la coda si allunga ancora per lo sviluppo del filamento assile, la guaina protoplasmatica si assottiglia sempre più; e ciascuno spermio risulta in definitiva di un lungo filamento insensibilmente ingrossato ad un capo, intensamente colo- rabile. Terminata la loro evoluzione, gli spermi prendono a ciuffi la via del primo condotto erniafroditico per andarsi ad allogare nella vescicola seminale. Nelle due serie di Runcina coronata di Marsiglia da me eseguite, fanno difetto le gi’a- nulazioni pigmentarie delle cellule epiteliali del sacco erniafroditico nelle regioni da me menzionate. Inoltre, in quella specie, gli spermi sono più numerosi intorno alle cellule ba- sali, vi rimangono — sembra — più a lungo attaccati, e — fatto di somma importanza — sono più lunghi del doppio che nella nostra Runcina. Ciò può costituire uno dei più forti argomenti in favore della specificità di quest’ultima. Primo canale ermafroditico. Arrivato il sacco ermafroditico in prossimità del punto di contatto con l’intestino, le sue pareti cominciano a perdere le loro qualità germinative e l’epitelio di rivestimento si riduce ad uno strato di cellule parietali, contenenti spesso granuli di quel pigmento ocraceo di cui abbiamo fatto più su menzione, senz’altra caratteristica. Il lume del sacco indi si re- stringe per formare il primo canale ermafroditico. Ilo notato che in alcuni individui si riduce a un canale di dimensioni mediocri, in altri invece il suo diametro rimane appena diminuito. 18 GIUSKPPK GOLOSI — OSSURVAZIONl ANATOMO-ISTOLOGICHK SULLA KUNGINA CALARITANA N. SP. Potremo però in ogni caso veder subito il passaggio dalla camera al canale, osservando l’epitelio di rivestimento. Gli elementi epiteliali infatti, dapprima sprovvisti di ciglia, con l’inizio del primo canale ermafroditico, se ne mostrano forniti e gli elementi stessi, da schiac- ciati, aumentano a mano a mano di dimensione, guadagnando in altezza e si presentano un po’ convessi verso l’esterno. Le ciglia irraggiano da essi a brevi ciuffetti; i loro nuclei sono rotondeggianti con contorno assai netto, forniti di uno o due nucleoli. Talvolta non solo le cellule fanno sporgenza con la loro convessità sulla superficie del condotto, ma vediamo nelle sezioni, che una più alta sporge fra due altre, si da formai’e delle prospicienze papil- liformi. In qualche individuo tutto questo primo condotto si presenta cosi ondulato e nelle sezioni si vedono le cellule parietali far montagna a tre a tre. ’y/,. <*. Fig. 10. — Organi annessi alla ghiandola ermafroditica — Sez. Trasv. V. s. — vescicola seminale. c. pru. — camera preuterina. u. — pareti dell’utero. v. i. — vescicola intermedia. c. 2" — secondo canale ermafroditico. gl. a. — ghiandola deH’albume. c. 3'" — insaccature e dilatazioni del terzo canale ermafroditico. Nella Runcina di Marsiglia non esiste un vero primo canale ermafroditico. In essa il sacco ermafroditico si strozza alquanto posteriormente e immette subito nella vescicola se- minale. Vescicola seminale. Il primo canale ermafroditico ha breve percorso e presto si amplifica per costituire la vescicola seminale. Quivi l’epitelio diviene nuovamente pavimentoso e i nuclei sono piatti entro le cellule schiacciate, cigliate. La vescicola seminale viene a trovarsi nella parte posteriore destra della cavità del corpo. A sinistra e anteriormente tocca il fegato, a destra tocca l’intestino e aderisce alla parete renale, inferiormente è in contatto con l’utero e con la parte iniziale del terzo con- dotto ermafroditico in cui l’utero sbocca, anteriormente si continua col primo condotto er- mafroditico, rimanendo libera nella cavità genei’ale primaria del corpo per due aree; Luna posteriore, l’altra laterale sinistra. Nella cavità della vescicola teste descritta si trova un gran numero di spermatozoi ma- turi, i quali formano nel loro insieme una massa con certo ordine disposta a gomitolo lasso. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUU., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6 . 19 Poteva sembrar dubbio, se si trattasse qui proprio di una vescicola seminale o non piuttosto di un receptaculum seminis; ma l’avere osservato più volte delle vere correnti di spermatozoi lungo il loro decorso dalla camera ermafroditica fino alla vescicola di cui ora mi occupo, dove si adagiavano con la disposizione indicata, non mi ha lasciato alcun dubbio in proposito. Mentre nella Rimeina calaritana la vescicola seminale è ovata, in quella di Marsiglia mi sembra che si allunghi presentando un lume più angusto: ma le mie osservazioni su questa specie sono limitate a due sole serie di sezioni. Secondo canale ermafroditico. Il secondo canale ermafroditico è così tortuoso ed esiguo e le sue pareti sono così poco differenziate, che è difficile scorgerlo e seguirlo: l’ho potuto nondimeno osservare con esat- tezza lungo tutto il suo decorso. La vescicola seminale, che ha percorso una via dall’alto in basso, volge nella sua ultima porzione un poco all’indietro e a sinistra, restringendosi in un canalicolo, il quale alla sua origine descrive un ai'co di 180°, in modo da procedere per breve tratto verso la parte an- teriore del corpo. Indi si volge ad angolo retto verso il basso, per gettarsi nella vescicola intermedia, di cui parlerò presto. Mentre, durante il suo tragitto verso la parte anteriore, il canale in discorso passava sotto lo sbocco della ghiandola dell’albume nella camera pre- uterina, nella sua ultima porzione rivolta in senso trasversale gli passa sopra. Le cellule che rivestono il secondo canale ermafroditico sono cubiche, con ciglia lunghe più del raggio del lume, con citoplasma chiaro e nucleo rotondeggiante ; senza altro parti- colare carattere. Ad esse si addossano dalla parte esterna numerosi elementi connettivi di varia forma, che tengono in sito il canale, legandolo alla vescicola seminale, alla ghiandola dell’albume, alla vescicola intermedia, ai sacchi ghiandolari del terzo condotto ermafroditico. Il lume è piccolo, circolare; e l’ho visto pieno di spermatozoi provenienti dalla vescicola seminale. Esso deve essere suscettibile di grande dilatazione per dar passaggio alle uova: ma un tal momento non è stato da me osservato. Vescicola intermedia. La vescicola intermedia è una vescichetta di piccole dimensioni, di forma irregolare allungata, diretta dalla parte inferiore sinistra alla superiore destra, e allogata nella parte ventrale posteriore dell’animale, tra l’utero a destra, la ghiandola dell’albume a sinistra e sopra, il terzo condotto ermafroditico posteriormente. La sua superficie interna è anfrattuosa e irregolare, cigliata, provvista di cellule simili a quelle del canale che la precede, ma piuttosto irregolari; è, come quello, circondato da cellule connettive, che la tengono in sito, legandola agli organi limitrofi. L’ho trovata sempre vuota: certamente deve venire attraversata dagli spermatozoi e dalle uova lungo il loro viaggio per l’esterno, ma non so quale possa essere la sua funzione. Riceve il secondo canale ermafroditico inferiormente sulla banda rivolta verso l’alto e sbocca, restringendosi nella sua parte superiore destra e formando un canale della medesima sua natura, nella camera preuterina, insieme con la ghiandola dell’albume, che le è sovra- stante. I due canali anzi, quello della vescicola intermedia e quello della ghiandola dell’al- 20 OIUSEPl’E GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOI.OGICIIE XULLA KUNCINA CALAKITANA N. SI’. Iniino, fonnano, appena prima del loro sbocco, un unico canale di cui la parete superiore ])ertinonte alla ghiandola dciralbuine è più lungamente cigliata della parete inferiore, seb- bene gli elementi che le costituiscono siano già omogenei. Fig. 11. — Vescicola intermedia. Camera preuterina. La camera preuterina si trova strettamente addossata al lato sinistro della vescicola seminale, e sovrasta l’utero. Le sue pareti sono rivestite di ciglia abbastanza pronunziate e formate di cellule simili a quelle delle due parti che la pi-ecedono. Presenta la parte su- periore emisferica, mentre la inferiore è costituita dallo sbocco della vescicola intermedia e della ghiandola deH’albume per la sua parte sinistra e dalla apertura anteriore del dotto uterino per la sua parte destra. Dotto uterino. Il dotto uterino è brevissimo, con forma di imbuto, e mette in relazione l’utero con la camera preuterina, volgendo a questa la sua parte svasata, a quello la tubulare. La struttura delle cellule di rivestimento è qui analoga a quella delle parti precedenti. Osservo solo che le loro ciglia sono più lunghe e più folte, dirette verso l’utero. All’esterno dell’epitelio tappezzante si addossano numerose cellule connettive. Ghiandola deU’albume. Prima di passare, oltre ritorno al punto in cui abbiamo visto la ghiandola dell’albume sboccare nella camera preuterina, e dico qualche parola su questo voluminoso organo. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 21 La ghiandola deH’albunie è irregolare e si presenta come un grosso ventricolo allun- gato, contorto, difforme, con numerose insaccature a lobi schiacciati lungo il suo percorso. Di questi ne menziono tre principali: uno anteriore, uno posteriore sinistro e uno — il più grande — posteriore destro. Cominciando dallo sbocco, che avviene nella parte posteriore ventrale destra del corpo del mollusco, la ghiandola si dirige a sinistra, dando quivi luogo al primo dei lobi cui ho accennato ; si dirige quindi posteriormente, e nella parte posteriore sinistra del corpo forma il secondo lobo. Dalla parte iniziale di questo si distacca verso l’alto un braccio, che si al- larga nella parte centrale superiore ad otre, d’onde scende in forma di scarpa con la punta rivolta a destra il terzo grande lobo. Questa è in generale la forma della ghiandola dell’albume e la si può vedere nella figura che ne do, dove è rappresentata come vista dall’alto; essa però non è identica in tutti gli individui e però non mi sono soverchiamente indugiato a descriverla. Per quanto riguarda la sua situazione, aggiungo che una porzione di essa si appoggia anteriormente contro il fegato, posteriormente si adagia sulle pa- reti posteriori del corpo © con l’estremità del lobo posteriore destro tocca la vescicola seminale, il secondo condotto ermafroditico, la vescicola intermedia, la camera preuterina. Ha frequenti ed estesi contatti col canale ermafroditico, al quale aderisce mediante cellule connettive. Il lume ghiandolare è molto ampio e il suo raggio medio è lungo da una a tre volte l’altezza delle cellule che lo limitano. Queste sono di due sorta. Le une grandi, nelle sezioni si presentano come rettangoli di cui un lato — l’altezza della cellula — è doppio o triplo della base, tozze, cigliate nel margine libero che si presenta un po’ convesso, piene di granuli incolori o assai poco colorabili, con nucleo basilare assai grosso, sferico, ricco di cromatina. Le altre si trovano fra queste prime; hanno la stessa altezza, ma una base assai più piccola e nucleo rotondeggiante o affinato in prossimità dell’estremo libero. Tali elementi, mentre sono più scarsi in quasi tutta la ghiandola, prendono il sopravvento sulle cellule ghiandolari in prossimità dello sbocco, fino a costituire, nell’ultima porzione canaliforme tutto l’epitelio, cambiando alquanto di forma e riducendosi simili a quelli della vescicola intermedia. I granuli (o vacuoli) contenuti nelle cellule del primo tipo sono il prodotto dell’attività funzionale della ghiandola dell’albume, la quale peraltro non sembra nella nostra Runcina molto attiva. Non ho mai infatti riscontrato dentro il lume dell’organo nessuna sostanza che facesse supporre una fuoruscita del secreto. Nella Runcina di Marsiglia oltre alla forma generale della ghiandola, che alquanto dif- ferisce da quella su descritta, poiché la disposizione dei lobi è diversa, questi inoltre pre- sentano anfrattuosità, sia nella loro superficie interna, che sulla esterna, si mostrano digitati piuttosto che rotondeggianti, e il diametro del loro lume non supera mai l’altezza delle cellule che ne formano le pareti, anzi si riduce talvolta a minime proporzioni. Si notano ancora delle vere differenze strutturali e funzionali nelle cellule. Queste sono più lungamente cigliate che nella nostra Runcina, rigurgitanti di grossi granuli jalini e posseggono un nucleo basi- lare rotondeggiante, con un diametro circa la metà o meno di quello delle loro corrispon- denti nella Runcina di Cagliari. Nel lume ghiandolare, dove il diametro lo permette, si vede, nelle sezioni, del materiale con aspetto di liquido coagulato. GIUSEPPE COLOSI — OSSEUVAZIONl ANA lOMO-ISTOLUOICIlE SULEA KUNCINA CALAKITANA N. SI'. Utero. L’utero è una cavità a foima di fiasco, con collo corto g largo, privo di fondo, che si trova nella parte posteriore destra del mollusco, inclinato con direzione dall’alto a sinistra, in basso a destra. Si continua inferiormente col terzo condotto ermafroditico, superiormente col dotto uterino, il quale, dopo breve percorso, protunde a becco dentro il collo dell’utero. Esternamente questo becco possiede un epi- telio simile a quello interno, foltamente e abbastanza lungamente cigliato. La superficie laterale dell’utero è co- stituita da un epitelio cilindrico, le cui cel- lule superiormente appiattite vanno rapi- damente acquistando in lunghezza a mano a mano che si scende verso il fondo del- r utero, tanto da divenire sette od otto volte più lunghe. In questo epitelio si di- stinguono nettamente due zone ad anello. L’una superiore stretta forma il collo del- l’utero; l’altra è inferiore larga, ghiando- lare. Le cellule della prima zona sono provviste di citoplasma jalino, di nucleo appena allungato secondo l’asse maggiore della cellula, e di lunghissime e foltissime ciglia, che, essendo rivolte nella direzione dell’uscita, arrivano fin quasi alla base dell’utero. La zona inferiore si stende per quasi i due terzi dell’altezza dell’organo. La Fig. 13. — Utero. . + j i- i 4 .- u i maggior parte degli elementi che la com- c. pru. — camera preuterina. . . . . . , • ^ ^ dotto uterino pongono si presentano nettamente ghian- u. — utero. dolari. Sono bacillari stipati abbastanza lungamente cigliati, con citoplasma granu- loso e intensamente colorabile, nuclei basilari rotondeggianti. I granuli che sono il prodotto dell’attività cellulare fuoriescono sotto forma fluida: però, mentre essi sono colorati in rosso dalla safranina, il liquido secreto assume un’intensa colorazione gialla. Fra gli elementi ghian- dolari ve ne sono altri esili, con nucleo ovale, apicale, che funzionano da cellule di sostegno. Terzo condotto ermafroditico. Il terzo condotto ermafroditico è l’ultima porzione dell’apparato annesso alla ghiandola sessuale ed è di gran lunga superiore alle altre in lunghezza. Lo sbocco dell’utero ne segna l’inizio ; seguita indi il suo viaggio lungo una linea tortuosa fino all’esterno. È costituito da un tubo più o meno schiacciato, con lume spesso ramificato, che or si restringe, ora si dilata, presentando qua e là ora delle brevi insaccature, ora degli ampi diverticoli a fondo cieco. Tocca anteriormente il rene a destra, l’intestino duodenale e il fegato a sinistra, rima- nendo libero per una piccola area centrale nella cavità generate primaria del corpo, da cui è limitato sempre per mezzo della gonopleura : ciò con la sua porzione anteriore, che è l’ul- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, VOL. LXVI, N. 6. 23 tima del canale. Superiormente, posteriormente, coi lati, con la parte inferiore, tocca le pareti del corpo. Circonda per gran parte la ghiandola dell’albume, frammischiando i suoi lobi con quelli di questa, a cui aderisce mediante cellule connettive. Ho detto che il suo decorso è tortuoso, esso inoltre varia alquanto da individuo ad in- dividuo: eccone pertanto la descrizione sommaria. Il primo segmento — quello che riceve lo sbocco dell’utero — percorre, espandendosi in lobi, un breve tratto con direzione antero-posteriore. Indi volge in alto in avanti e verso sinistra, fino ad appoggiarsi alla parete sinistra del corpo; quivi forma un sacco lobato e fa angolo acuto, volgendosi all’indietro in alto sempre a sinistra. Arrivato in prossimità della parete posteriore del corpo, dà luogo a nuove insaccature, fa nuovamente angolo e si piega ad arco di cerchio con la concavità a destra e in basso fino ad arrivare sulla linea di sim- metria del corpo. Quivi forma una quarta grande borsa, fa angolo retto e si spinge ante- riormente a sinistra in alto. Giunto in questa regione, si allarga ampiamente a sacco. Questo sacco scende un poco perpendicolarmente in basso e quivi con la sua parte posteriore si re- stringe di nuovo e prosegue lateralmente verso destra. Durante questo tragitto dà luogo ad una 0 due dilatazioni a lobo. Infine, giunto alla parete destra del corpo, la taglia obliqua- mente verso la parte anteriore, sboccando all’esterno nel solco palleo-pedale un poco al di sopra della linea d’inserzione del mantello sul piede. Indi si continua col solco seminale. Il terzo condotto ermafroditico, oltre alla funzione di por- tare dagli organi più interni all’esterno gli spermatozoi e le uova, ha pur quella di munire queste ultime di guscio e di un sottile invoglio mucoso, un abbozzo di nidamento, utile, più che ad altro, a farle aderire al substrato su cui vengon deposte. Quindi oltre a trovare che il canale è cigliato lungo tutto il suo percorso, lo troveremo anche, per la maggior parte della sua superficie, ghiandoloso. Il primo segmento — quello ove ha sbocco l’utero — è provvisto quasi esclusivamente di cellule ghiandolari, compatte, prismatiche, con nucleo basale rotondeggiante e protoplasma ricco di granuli fortemente colorabili, che formano spesso delle masse compatte addossate alla membrana libera della cellula. Tra questi elementi se ne trovano altri sottili, con nucleo spo- stato verso l’apice. Le ciglia, di cui come ho già detto tutto il canale è rivestito, sono più lunghe in prossimità dell’utero. Procedendo innanzi, le cellule ghiandolari si fanno più grandi, più basse; tra loro si fanno più numerosi quegli altri elementi che ho sopra menzionato, stretti, allungati, con nucleo a bastoncello situato a metà circa dell’altezza. Le cellule ghiandolari talvolta sono in grande attività secretrice, e allora si vedono piene di granuli intensamente colorabili ; talvolta i granuli sono scomparsi, e al loro posto si trovano delle massecole sferiche jaline, con aspetto liquido coagulato, che gonfiano la cellula; tal’altra volta ancora un citoplasma omogeneo appena granuloso riempie il lume cellulare. Anche qui è da osservare che, mentre i prodotti di elaborazione ghiandolare si colorano in rosso con la safranina, quando sono ancora nell’ interno della cellula, il liquido che fuoriesce assume una colorazione gialla. In questa regione del terzo canale ermafroditico, che conserva i medesimi caratteri fin quasi allo sbocco, si vedono lungo le pareti delle areole prive di cellule ghiandolari : un semplice epitelio pavimentoso brevemente cigliato le tappezza. Quando le varie insaccula- zioni lo permettano, delle vere strisele longitudinali di tale struttura percorrono la lunghezza del canale. Fig. 14. — Regione terminale del terzo condotto ermafro- ditico — Sez. trasv. d. sp. — doccia spermatica. 24 GIUSEPPE GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOGICHE SULLA HUNCINA CALARITANA N. SP. Quando arriviamo airultimo tratto — quello che precede lo sbocco — , la struttura delle pareti risulta modificata. 11 canale è piuttosto regolare, rotondeggiante, e il suo lume ha ■ forma di rosetta con 6-8 lobi principali. Il lobo superiore è un po’ più profondo degli altri, I separato da questi per mezzo di setti più lunghi, spesso bifido, rivestito da uno strato di cellule I cilindriche di varia altezza; ma, quelle che corrispondono al lembo estremo del lobo del I lume, sono rispettivamente più coj'te di quelle degli altri lobi. Il loro citoplasma è jalino, i ■ nuclei ovoidi, le ciglia più brevi che nel restante del lume. Costituisce la doccia spermatica, M mai osservata prima di me nel genere Runcina. ■ L’epitelio che riveste gli altri lobi è rappresentato da un epitelio di cellule cilindriche, H di varia altezza, a seconda che si trovano in corrispondenza della estremità dei lobi del fl lume, 0 che costituiscono i setti fra lobo e lobo. Tali setti, anzi, oltre ad essere formati da H elementi più lunghi dell’epitelio semplice, sono anche costituiti da cellule, che si sono stac- ■ cate dalla base comune e sollevate a cuneo tra le vicine. Al sommo di queste strie di rialzo, I si vedono nelle sezioni trasversali una o due cellule con l’estremo libero ingrossato a clava, ■ pieno di contenuto granuloso, con nucleo relativamente grosso, allungato e fortemente ero- « matinico, abbastanza lungamente cigliate. Il Intorno a quest’ultima porzione del terzo canale ermafroditico esiste una esigua tonaca II muscolare, nella quale si addossano varie cellule connettive. H Analoga è nei suoi tratti essenziali la struttura del terzo canale ermafroditico nella n Runcina di Marsiglia. H Solco seminale. Il solco seminale è una piccola infossatura generalmente bifida, più o meno bene isolata H dall’esterno per mezzo di ripiegature dell’epitelio circostante. I Percorre tutto il fianco destro del mollusco, dallo sbocco del canale ermafroditico fino j all’apertura della tromba boccale, nella quale immette. Corre dentro il solco palleo-pedale, lungo una linea longitudinale un po’ supe- riore alla linea di commissura fi’a il man- tello ed il piede, in mezzo alla fascia mu- ■ ; cosa superiore destra, tra gli elementi della quale si nota subito per l’infossamento e per il differenziamento istologico. Esso in- fatti è rivestito da un epitelio di elementi piccoli cubici un po’ irregolari, con nucleo centrale occupante la maggior parte del lume cellulare, anch’esso un po’ irregolai-- mente rotondo, con citoplasma chiaro nella parte basilare, granuloso nella parte distale, con ciglia più lunghe di quelle del rimanente epitelio tegumentale. ' Il solco seminale nella Runcina era stato negato dal Mazzarelli (9). Apparato ejaculatore. Nella tromba boccale, di cui ho già parlato, immettono dunque due fori. L’uno, supe- riore sinistro, appartiene all’apparato digerente, di cui l'appresenta l’apertura orale; l’altro, a destra, si continua in un canale che invela sempre assai nettamente la sua natura tegu- mentale quasi indifferenziata, e che si approfondisce sotto forma di canale tortuoso e irre- golare con diverticoli laterali a diti di guanto. Questo canale si allarga in fine a sacco. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 25 A adagiandosi sulla parte anteriore dell’organo ejaculatore, col quale comunica mediante un foro centrale. È rivestito di cellule più corte di quelle della precedente regione trombale, cigliate, con nucleo rotondeggiante. L’apparato ejaculatore è facilmente isolabile, di grande volume, situato lungo il fianco destro deU’animale, addossato alla parete del corpo. E lungo circa la metà, o più ancora, dell’intero mollusco, di color giallo ocra, di consistenza cartilaginosa, che contrasta con la estrema delicatezza degli altri organi interni, così che, dilacerando il mollusco, salta fuori integro e separato dal rimanente. Consta di un corpo cilindrico, cavo, alquanto curvo, che si assottiglia nella sua ultima parte, diventando tubiforme e sottile, ripiegandosi su se stesso nel punto di assottiglia- mento e dirigendosi così verso la parte anteriore del corpo. Il complesso che costituisce l’apparato ejaculatore, lo divido in tre porzioni : 1^^ vestibolo 0 camera ejaculatrice, 2“ prostata, 3^ receptaculum seminis. Le tre parti sono nettamente separate l’tina dall’altra e per la loro natura istologica, e per determinate complica- zioni morfologiche, che funzionano da setti parziali, permet- tendo in tal modo il vicendevole accesso dall’ una all’altra. Come le descrizioni già fatte del complesso ejaculatore della Runcina sono incomplete ed erronee, credo opportuno di dovermene occupare con qualche accuratezza. Vestibolo o camera ejaculatrice. .in //'' I La prima porzione dell’apparato ejaculatore ha forma di cono, con apice arrotondato e forato, base aneli’ essa attra- versata da un foro, che dà adito alla parte ghiandolare o prostata. Tale base è costituita appunto dal setto di separa- zione tra Luna e l’altra parte. Il foro apicale, invece, mette in comunicazione la camera ejaculatrice con la tromba boc- cale, per mezzo di quel canale che ho più sopra menzionato e che chiamo canale prevestibolare. Le pareti laterali della camera ejaculatrice o vestibolo — con questi nomi io la indico — sono tappezzate da un epitelio prismatico, cigliato, a cui succede una tonaca musco- lare avvolgente, costituita da poche fibre, la maggior parte delle quali disposte in senso longitudinale. L’epitelio è costituito da cellule tanto lunghe che larghe, eccetto che verso la metà del cono, dove gradatamente acqui- stano molto in lunghezza per nuovamente accorciarsi alla base. Da ciascuna cellula vien fuori un ciuffetto di ciglia assai lunghe, le quali rimangono avvicinate per un tratto. Il segmento di ciglio compreso in questo tratto ha un aspetto di bastoncello e presenta l’estremità op- posta a quella d’inserzione ingrossata e fortemente colorabile. Dopo tale ingrossamento le ciglia s’inoltrano nella cavità, libere l’una dall’altra. Probabilmente il segmento assai cromatico, cui abbiamo accennato, che comincia al punto di inserzione nella cellula e termina con l’ingrossamento, deve essere interpretato come quella r-s Fig. 16. — Apparato ejaculatore. — canale prevestibolare. — vestibolo 0 camera eja- culatrice. — prostata. — receptaculum seminis. c. prv. V. pr. r. s. Li 26 GIUSKVPK GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOGICHE SULLA KUNCINA CALARITANA N. SH. parte del ciglio che rEberth chiamò articolo basilare, e che sarebbe nel nostro caso moltis- simo sviluppato. Lo strato epiteliale descritto si continua nel setto tra la camera ejaculatrice e la pro- stata; le cellule però diventano schiacciate nel senso dell’altezza e cosi anche i loro nuclei. A questo strato di epitelio semplice è addossato, dalla parte che guarda la ghiandola pro- statica, uno strato di cellule ghiandolari proprie della seconda parte dell’apparato ejaculatore. Prostata. Questa seconda parte dell’apparato ejaculatoi’e è di gran lunga maggiore delle altre. Essa ha la forma di un tubo con pareti assai spesse e lume piuttosto stretto. Le pareti sono costituite internamente da uno strato epiteliale, di cui molti elementi hanno funzione ghiandolare; esternamente da una tonaca muscolai’e avvolgente. Vi sono fibre che percorrono l’organo nella direzione della sua lunghezza, continuandosi con quelle del vestibolo e con quelle della terza porzione dell’apparato ; ve ne sono di quelle che costituiscono un anello. Il primo strato di queste, il più interno, ha nuclei esilissimi, che appaiono come bastoncelli assai intensamente colorati; tutti gli altri strati, più esterni, hanno nucleo più grosso, più lungo, meno colorato. In virtù di questo apparato muscolare la prostata sembra atta a restringersi, ad allar- garsi, a centrarsi in lunghezza. La cavità è tappezzata di cellule di varia struttura e di varie dimensioni. Nella parte più anteriore si trovano delle cellule più allungate, cilindriche, stipate, con nucleo abbastanza voluminoso situato presso la base della cellula. Tra queste cellule ve ne sono intercalate numerose altre sottili, cilindriche, con nucleo alquanto allungato e spostato verso il mai'gine libero: sono da considerarsi quali cellule di sostegno. Proseguendo si vede che le cellule secretrici diventano più grandi, il loro nucleo più grosso, sono più attive nella funzione secretrice. Le cellule di sostegno, d’altra parte, dimi- nuiscono di numero e si trovano a formare quasi uno strato più esterno insinuandosi a cuneo tra le cellule ghiandolari; il loro nucleo è piccolo rotondeggiante od ovoide. Osservando dunque una sezione trasversa, ove siano colorati i nuclei, si vedono di questi due serie concentriche: una perifei’ica, costituita dai grossi nuclei delle cellule ghian- dolari, una più interna di nuclei più piccoli e meno intensamente colorabili, quelli delle cellule di sostegno. Le pareti cellulari che danno nel canale sono munite di numerose ciglia, abbastanza lunghe, e tutta la cavità ne rimano tappezzata. I granuli, di cui le cellule secretrici resultano piene, cominciano a formarsi in prossi- mità del nucleo, cioè nella parte basilare della cellula, entro sferule di protoplasma jalino, il quale seguita sempre a circondare il granulo come un alone più o meno ampio. I granuli sono di una gi’ossezza poco variabile, considerevole; a mano a mano procedono verso l’e- sterno ed aumenta contemporaneamente la loro affinità per i coloranti. Non si trovano mai isolati, ma in numerosi gruppi, i quali si ammassano nell’interno della cellula, appoggiandosi alla parete libera di questa, finche la lacerano; irrompono allora nel lume della ghiandola, facendosi posto fra le ciglia, ma rimanendo sempre in prossimità delle pareti. Presentano allora l’aspetto di more, in cui l’alone protoplasmatico jalino fuoruscito dalla cellula madre insieme coi granuli fa da sostanza cementante. Siccome molti di questi ammassi muriformi assai colorabili si trovano l’uno accanto all’altro, le ciglia onde le pareti della ghiandola sono tappezzate, rimangon costrette negli spazi fra l’uno e l’altro, e molti se ne rompono e se ne aggrovigliano. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 27 Le cellule secretiici della parte iniziale della ghiandola sono meno attive; i loro granuli, giallastri, incolori o assai blandamente colorabili, presentano un aspetto più ordinato. Quelle invece dell’ultima porzione della prostata sono in grande attività e secernono granuli più piccoli e numerosi, i quali, forse, il Vayssière (4) credeva uscissero dalla terza porzione dell’apparato ejaculatore, che egli però non considerava come receptaculum seminis. Or noi ci troviamo, con la prostata della Runcina, dinnanzi al caso non molto frequente in cui i prodotti di secrezione vengono messi fuori dalle cellule secretrici sotto una forma che pare effettivamente quella di granuli. Bisogna dunque pensare che questi vengano a mano a mano disciolti da qualche liquido idoneo, o dall’alome protoplasmatico che li cir- conda, 0 che si autodigeriscano, in modo da venire utilizzati sotto la forma fluida di liquido prostatico. Certo è che di tali granuli, anche nei periodi di maggiore attività della prostata, non si trova traccia, nè nel vestibolo, nè entro il receptaculum seminis. La prostata ha una grande tendenza a sdoppiarsi. Al suo inizio, subito dopo il vestibolo talvolta si biforca; tal’altra volta si ha uno sdoppiamento parziale o appena accennato. In ogni caso, però, una sola delle due branche si continua col receptaculum seminis-, l’altra, se vi è, decorre parallelamente alla prima e termina a fondo cieco. Receptaculum seminis. La terza porzione dell’apparato ejaculatore è costituita dal serbatoio del seme. Questo organo caratteristico, nella Runcina, per la sua posizione, si presenta sotto forma di un tubulo a fondo cieco. Il tubulo è più stretto presso il suo punto di inserzione nella ghiandola prostatica, ed è quivi ritorto su se stesso in modo che l’ultima porzione dell’apparato ejaculatore è rivolta in senso postero-anteriore. La porzione più stretta, di cui ho fatto testé parola, e che può chiamarsi collo del receptaculum seminis, protende a muso di tinca entro l’estremo po- steriore del lume della prostata. La protun- denza è però formata dalle cellule proprie di tale ghiandola. L’epitelio del receptaculum seminis e del suo collo è tabulare e provvisto di corte ciglia. La tonaca muscolare che già rivestiva la pro- stata si continua in questa terza porzione del- l’apparato ejaculatore, inspessendosi un poco. La cavità del receptaculum seminis è piena nella maggior parte degli individui adulti di un gran numero di spermatozoi, con aspetto di lunghi filamenti ravvolti con certo ordine in larga spirale. Nella Runcina di Marsiglia il receptaculum seminis differisce alquanto da quello della nostra Runcina. In una sezione trasversale vediamo che la cavità di quest’organo è intei’- namente rivestita da un epitelio cilindrico cigliato, le cui cellule, contenenti granuli di pigmento, non presentano sempre la stessa altezza, ma vicendevolmente crescono e dimi- nuiscono di altezza in modo che il tubo venga a presentare un lume a rosetta generalmente con sei lobi. Il Vayssière osserva che, nella dissezione, la parte posteriore dell’organo ejaculatore è di un giallo pallido picchiettato di nero ; e che sovente il nero predomina e allora con un debole ingrandimento tutta questa regione appare uniformemente della stessa tinta. Le Fig. 17. — Receptaculum seminis — Sez. trasv. a — della Runcina coronata, h — della Runcina calaritana. 28 GIUSEPPE GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOGICIIE SULLA KUNCINA CALARITANA N. SP. cellule epiteliali inlktti contengono numerosi granuli di pigmento bruno-nero, che mancano nella nostra Ivuncina. Io ho por la prima volta riconosciuto il receptaciduni seminis nella Kuncina. Infatti il Vayssièue, ad esempio, dava all’organo in discorso un’interpretazione assai vaga; poiché circa al suo significato questo soltanto egli dice: “ On trouve à l’intórieur de cette région “ un canal assez étroit, destine à porter daiis la cavitò de la région suivante les produits “ sécrétés par ses parois „ (I). Hanno forse tali pareti un aspetto che giustifichi questa opinione? Non risulta. Il meccanismo della fecondazione. Il meccanismo della fecondazione non appare perfettamente chiaro a me, come già non apparve chiaro ai ricercatori che mi hanno preceduto. Nondimeno, date le più precise co- gnizioni sulla morfologia di questi molluschi, credo di potere esprimere una più ferma opi- nione in proposito. Distinguo anzitutto sei momenti : 1° discesa degli spermatozoi, 2° accoppiamento, 3" ejaculazione, 4° discesa delle uova nell’utero, 5° fecondazione, 6° espulsione delle uova fecondate. L’espulsione delle uova e quella degli spermatozoi non avviene in ugual maniera. Questi, maturati e caduti nella camera ermafroditica, vanno nella vescicola seminale e vi soggiornano più 0 meno a lungo, quelli si avviano verso l’esterno. Seguiamo la sorte degli spermatozoi. Un individuo, appoggiandosi con la tromba orale allo sbocco del terzo canale ermofroditico di un altro individuo, che abbia già la vescicola seminale piena, ne riceve gli spermatozoi e li conserva nel proprio receptaculum seminis, nutrendoli col liquido prostatico. Ora, quando un uovo maturo si distacca dalle pareti germinative, per mezzo di speciali riflessi avviene un’ejaculazione parziale. Gli spermatozoi ejaculati percorrono il solco seminale dall’avanti all’indietro, penetrano e s’inoltrano nel terzo canale ermafroditico entro la doccia sperma- tica, giungono fino all’utero. Quivi sono obbligati a fermarsi da quel folto ciuffo di lunghe ciglia rivolte verso il fondo dell’utero e impiantate alla sua sommità, che abbiamo a suo tempo visto. Nell’utero gli spermatozoi incontrano, o, più spesso, attendono l’uovo, che in- tanto avrà percorso i due primi canali ermafroditici, attraversando la vescicola seminale e munendosi nella camera preuterina di poco albume. Avvenuta nell’utero la fecondazione, le uova procedono nel terzo canale ermafroditico, dove rivestite di guscio e munite da uno strato di muco, vengono emesse all’esterno. Nella Runcina quindi avverrebbe un atto copulatorio senza introduzione di pene, e l’ac- coppiamento fra due individui consisterebbe nell’appressarsi dell’uno con la sua estremità anteriore al fianco destro dell’altro, là dove hanno sbocco i prodotti sessuali. Che proprio ciò avvenga, io però non ho potuto finora verificare ; ma nessun altro ha mai visto accoppiamento di altra natura. La mancanza di un pene è una prova in mio favore. La prostata oltre alla sua comune funzione forse ha pur quella di agire chemiotattica- mente, provocando l’emissione di spermatozoi presso altri individui; poiché l’ho osservata in attività secretrice anche prima che il ricettacolo fosse pieno di seme. Si potrebbe pensare anche che gli spermatozoi facessero il cammino inverso, che, cioè. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 29 percorsi i canali ermafroditici, seguissero il solco seminale con direzione postero-anteriore e che, penetrati nell’organo che io ho interpretato come ricettacolo seminale — e che sa- rebbe allora una semplice vescicola seminale — , venissero poi ejaculati nelTorifizio genitale di un altro individuo mediante un vero atto copulatorio. In tal caso il receptaculum seminis corrisponderebbe a quell’altra cavità piena di spermatozoi, che si osserva subito dopo la camera ermafroditica. Questo modo di vedere si accorderebbe senza dubbio assai meglio con ciò che è stato da vari autori osservato e affermato per molti opistobranchi monauli, e con ciò che, sebbene non parli di solco seminale, nè pensasse all’esistenza di una vescicola contenente spermatozoi annessa all’organo da lui creduto copulatore, pensava il Vayssière della Runcina. Tale opinione però, da chi ha in mente la disposizione di tutto l’apparato sessuale del nostro mollusco, deve essere subito scartata. Abbiamo visto come vi sia un organo speciale da me interpretato come utero. Ora solo in questo può avvenire la fecondazione: non prima perchè gli spermatozoi non lo possono oltrepassare a cagione delle ciglia più volte menzionate; non dopo perchè la ghiandola del guscio lo renderebbe ad essi impermeabile. Ora nè la sosta degli spermatozoi ohe son saliti, nè la sosta delle uova che son discese, può nell’utero essere di lunga durata, giacché nelle mie numerose osservazioni non ve li ho mai trovati; quindi una vera e propria copula, se vi fosse, dovrebbe aver luogo entro limiti di tempo così ristretti, quali difficilmente possono realizzarsi. Dovrebbe infatti aver luogo poco prima della discesa dell’uovo nell’utero, con tale antecedenza però che gli spermatozoi abbiano il tempo di arrivarvi e di dovere incon- trare l’uovo appena giunto o di doverlo attendere, perchè una lunga sosta di questo nel- l’utero lo renderebbe impermeabile. E più facile che ad ogni uovo che cade nella camera ermafroditica speciali riflessi pro- vochino una ejaculazione parziale del seme contenuto nel ricettacolo e che gli spermatozoi sia per i movimenti propri, sia per quelli delle ciglia speciali su cui camminano, procedano rapidamente verso l’utero e attendano quivi l’uovo, che percorre intanto i due primi canali ermafroditici e si fornisce di poco albume. Per ciò che riguarda gli spermatozoi contenuti nella vescicola che segue la ghiandola ermafroditica, abbiamo visto a suo luogo che non si tratta di spermatozoi di altro individuo, che quivi attendano la discesa delle uova. Deposizione delle uova. Uno dei primi fatti osservati durante il soggiorno della nostra Runcina negli acquari del laboratorio, è stata la deposizione delle uova. Queste sono rosse, di circa 1 mm. di dia- metro, provviste di esile guscio. Sono deposte isolatamente, immerse in un piccolo invoglio mucoso. La Runcina di Marsiglia invece, come dice il Vayssière, depone un nastro nidamentario cilindrico, un po’ appiattito sulla sua faccia d’aderenza, sinuoso, di 15-20 mm. di lunghezza su 3 mm. circa di larghezza. Questo nastro è costituito da una sostanza gliarosa, assai jalina, nella quale sono inglobate da 20 a 30 uova di 1-1,4 mm. di diametro (1). Osservazioni. Come abbiamo visto, i prodotti sessuali della Runcina, per essere espulsi, devono per- correre entrambi un’unica via, che va dalla ghiandola ermafroditica all’esterno. Non potrebbe 30 GIUSEPl’K GOLOSI — OSSEIiVAZlONl ANA TOMO-lSTOLOOICllE SULLA KUNGINA CALAliliANA N. Sl>. perciò appartenere che al primo dei tre tipi che il Lang nel suo Trattato (10) stabilisce per le ghiandole ennafroditichc dei gasteropodi. Infatti : “ die Zwitterdriise hat einen einzigen “ ungetheilten Ausfiihrungsgang, wolcher durch eine einzige Geschlechtsòffnung nach aus “ mundet Però il Lang continua la definizione di questo tipo con le parole: “ Aus dieser “ Oeffnung treten die befruchteten Eier direct nach aussen: wahrend die Sperinatozoen von “ dieser Oeffnung in einer winperden in der Mantelhohle verlaufenden Sanienfurche zu dem “ in geringerer oder gròsserer Entfernung vor der Geschlechtsòffnung weit vorn in der Nahe “ des rechten Tentakels befìndlichen Penis befòrdert werden Ed ecco che la nostra Runcina per la sua organizzazione sessuale si distacca nettamente anche da questo primo tipo di molluschi. Mai infatti — per quanto io sappia — si è parlato di un ricettacolo seminale situato in una regione diversa e affatto indipendente da quella occupata dagli altri annessi della ghiandola ermafroditica, dipendente invece dall’organo ejaculatore, nè si è parlato mai di un solco seminale che venga percorso dagli spermatozoi in senso antero-posteriore. Notevole è anche la mancanza di un pene e di una ghiandola nidamentaria individuata con sbocco limitrofo a quello della ghiandola dell’albume. Fondandomi su tutto questo complesso di caratteri, sono convinto che si debba creare un tipo a parte di apparati sessuali, tipo che occuperebbe il secondo posto dopo quello sta- bilito dal Lang come primo. Esso potrebbe essere cosi definito: II Tipo. — La ghiandola ermafroditica ha un solo canale escretore indiviso. Gli sper- matozoi lo percorrono direttamente fino all’esterno, dove vengono raccolti nel receptaculum seminis di un altro individuo. Le uova a metà del loro tragitto verso l’esterno, in un utero, incontrano altri spermatozoi, provenienti dal receptaculum seminis dello stesso individuo, i quali, emessi da un organo ejaculatore situato nell’estremità anteriore del corpo a destra, percorrono un solco seminale dall’avanti all’indietro e son condotti all’ingresso del canale ermafroditico donde procedono fino all’utero. Soltanto il genere Runcina presenta finora organi sessuali di questo tipo. Apparato escretore. L’apparato adibito alla depurazione del liquido circolante è nella Runcina adulta costi- tuito da due reni. L’uno, fondandosi sugli studi del Mazzaeelli (11), è un rene di terziaria formazione; l’altro ha tutta l’apparenza di un rene secondario. Considererò separatamente l’uno e l’altro di questi sacchi renali a cominciare dal primo che chiamerò semplicemente Rene, perchè ad esso solo forse è riservata la funzione escre- toria dei prodotti del ricambio, passando quindi al secondo che indicherò col nome, già usato per altri molluschi, di Ghiandola anale. Rene. Il rene della Runcina, come è stato notato fin dai primi osservatori (Vayssière, ecc.), è situato nella parte destra della cavità del corpo e sbocca con un nefrostoma poco appa- riscente a destra dell’ano. Come in tutti gli altri opistobranchi, corrisponde al rene sinistro dei gasteropodi forniti di due reni definitivi. Sull’origine del rene dei Tectibranchi in generale e della Runcina in particolare, ha studiato il Mazzaeelli, e non essendomi di tale argomento finora occupato, rimando alle memorie di questo autore. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 6. 31 II rene è nella Runcina rappresentato da una vasta camera occupante uno spazio con- siderevole nel terzo posteriore della cavità generale primaria. Si appoggia sulla parete destra del corpo, ed estendendosi maggiormente nella parte dorsale della cavità del corpo, si adagia sulla massa delle ghiandole e dei canali annessi alla ghiandola ermafroditica, e sulla por- zione anale dell’intestino, e presenta una vasta zona di contiguità col fegato. Posteriormente a destra si appoggia sulle pareti del "pericardio, col quale comunica mediante un condotto renopericardico. Il rene, come aveva già osservato il Mazzarelli (12), non presenta nella Runcina quelle pliche che caratterizzano il rene di tutti gli altri tectibranchi e che dividono la cavità renale in numerose concamerazioni, spesso divise e suddivise : ma ha un aspetto sacciforme, talvolta con qualche sepimento accennato appena. Le cellule renali sono di una sola forma e costituiscono un epitelio cubico privo di ciglia. I nefrociti sono alquanto ineguali fra di loro per grandezza e presentano un. nucleo quasi centrale, rotondeggiante, nettamente reticolato, con uno o due nucleoli. La parte della cellula più prossima alla cavità contiene spesso un vacuolo escretorio e qualche concremento. Non ho su questi provato la reazione del Kowalenski, perchè, dopo le giuste critiche del Cuénot, non se ne sarebbe potuta trarre alcuna conclusione. Allo strato di cellule epiteliali succede uno strato di cellule pleurali, che avvolge com- pletamente il rene. Il rene sbocca all’esterno, nella cavità paileale, a destra dell’ano, e non possiede un vero condotto- renale, ma un semplice poro. La cavità renale si affonda nell’ipoderma, fino a toccare l’epitelio esterno e in un punto si fa luogo fra le cellule di questo. Il condotto che mette in relazione il rene con la cavità pericardica è bi’eve, si affonda ad imbuto nelle pareti pericardiche e sbocca presso l’angolo superiore del pericardio. L’epi- telio che Io riveste consta di piccoli elementi cubici ed è munito di lunghissime ciglia rivolte verso la cavità renale, che indicano un continuo effluire del liquido trasudato dal cuore. Ghiandola anale. Nella cavità palleale, a sinistra dell’ano e in prossimità di e.sso, sbocca, per un breve canalicolo, un piccolo sacco a fondo cieco, affondato nell’ipoderma, che ritengo analogo ai sacchi descritti da Bourne (13) e da Koehler (14) rispetti- vamente nel Pleurobranclms e nel Gaslropteron. Tali sacchi furono interpretati, il primo già da tempo dal De Lacaze- Duthiers (15) come un orifizio mettente in comunicazione l’apparecchio vascolare con l’esterno, il secondo, sotto il nome di punto nero, dal Vayssière (16) come poro renale; furono riscontrati in seguito dal Mazzarelli (17) con piccole varia- zioni di grandezza e di forma in Oscanius tuhercolatus, Oscanius memhranaceus, Pleurobranchea Meckeli, Pleurobranchus ocellatus, Pleurobranchus aurantiacus , Pleurobranchus plumulu, ecc. , e corrispondono ad altri sacchi di aspetto e natura simile, riscon- trati dal Fischer nei Prosobranchi e nei Nudibranchi (18). Questo sacco per il quale, in attesa di un nome più proprio, uso quello di ghiandola anale, non ha una vera cavità propria. Esso è costituito nella Runcina da grosse cellule piriformi disposte, nelle sezioni, a ventaglio intorno al poro escretore, il quale si prolunga verso l’interno in un brevissimo canalicolo. II citoplasma di dette cellule è parietale, più abbondante nella porzione più appuntita della cellula, — quella rivolta verso il poro escre- Fig. 18. — Ghiandola anale. p. — poro escretore. 32 GIUSEPPE GOLOSI — OSSEKVAZIONl ANATOMO-lSTOl-OGICHE SULLA KUNCINA CALAKITANA N, SP. toro — , dov^e si trova il nucleo piccolo ellittico. La parte centrale degli elementi è occupata da un grande vacuolo chiaro. La struttura della ghiandola anale della Kuncina è — conformemente a quanto ha scritto il Mazzarelli (11) — quella di un rene secondario, che si sarebbe conservato allo stato adulto. Quale sia la sua funzione neireconomia : se quella escretoria o, come in uno dei reni di taluni altri molluschi {Trochus, ecc.), quella fagocitarla (19), è difficile dire. Certo è, che appare come organo in grande attività funzionale, ma a definire questa funzione si aspetta rultima parola. Posizione sistematica. Per quanto riguarda la posizione sistematica della Runcina e la sua derivazione filo- genetica, molto si è opinato e discusso. Adler ed Hancock l’avevano posta presso il genere Limapontia, di cui ricorda grosso- lanamente l’aspetto; J. E. Gray ne l’allontanò per farne una famiglia a se, quella delle Runcinidae, prossima alle Bullidae (20). Il suo esempio segui G. Jeffreys (5), mentre poco prima Woodward (22) l’aveva avvicinata, con più ragione, ai Pleurobranchidi, includendola però addirittura in questa famiglia. Jhering (23) più tardi conserva la famiglia delle Run- cinidae, ponendola fra quella delle Siphonariidae e quella delle Pleurobranchidae , esitando quasi tuttavia ad allontanarla dalle Limapontiadae. Vayssière nel 1883 (4) dà il nome di Peltidae alla famiglia e, condividendo l’opinione di Gray e Jeffreys, la pone tra i Pleuro- hranchidi e i Bullidei veri. Il Fischer (24) seguita a farne una famiglia a sè, ma evidente- mente l’allontana dalle Bullidae, stringendone i legami, con i Pleurobranchi, poiché colloca i Runcinidi fra i Pleurobranchidi e gli Umbrellidi. Recentemente il Vayssière (25) li allon- tana similmente dalle Bullidae, mettendole a rappresentare la prima famiglia della sezione Notaspidea; subito dopo mette le Pleurobranchidae. L’allontanamento dei Runcinidi dai Bullidi credo giustissimo, perchè portato dall’evi- denza dei fatti, sebbene ancora nel 1894 il Pelseneer (7), chiamando in suo favore la strut- tura dell’apparato digerente e del riproduttore, fosse portato a considerarle come Bulle molto differenziate. Uno scienziato che, invece, ha cercato di stabilire dei rapporti più intimi tra i Runci- nidi e i Pleurobranchidi, è stato il Mazzarelli (6), il quale li considerava però come larve di tectibranchi assai vicini ai pleurobranchi, diventate sessualmente mature. Porta il Maz- zarelli a coonestare la sua interpretazione i seguenti fatti : che le Runcine “ hanno con- “ servato soprattutto il rene, il fegato, il cuore in uno stato pressoché larvale, non hanno “ completato lo sviluppo del loro apparato riproduttore, che non è ancora quello dei Pleuro- “ branchi, ma — e qui l’autore combatte particolarmente le opinioni del Pelseneer — non “ è quello di una Bulla, mentre si sono differenziati con la perdita della loro conchiglia e “ della loro cavità cocleare, col loro sistema nervoso, col loro apparato digerente (placche “ stomacali) e con l’estremo grado della loro detorsione L’opinione del Mazzarelli mi sembra che non possa resistere alle critiche. Anzitutto non si vede perchè siano larvali il fegato, il rene, il cuore e non sia completato lo sviluppo dell’apparato riproduttore, poi non è evidente la ragione per cui questo apparato riprodut- tore dovrebbe proprio evolversi o nel senso di quello delle Bulle o nel senso di quello dei Pleurobranchidi. Il fegato, come l’ho descritto nel presente lavoro, è ben diverso dai due sacelli epatici larvali simmetrici ; il rene ha tutto l’aspetto di un rene impari, definitivo, di terziaria for- ? MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. I,XVI, N. 6. 38 mazione, analogo a quello di tutti gli altri opistobranchi (11), la cui semplicità, dovuta alla mancanza di pliche, può essere non importa se primitiva o involutiva; il cuore è pur quello di un monotocardio. L’evoluzione dei Runcinidi, insomma, può ben essere avvenuta distinta e separata tanto da quella dei Bullidi che da quella dei Pleurobranchidi. D’altra parte sono costretto a dichiarare che l’avvicinamento dei Runcinidi ai Bullidi non ha, secondo il mio modo di vedere, alcun valore logico e non è fondato che sopra una falsa convergenza di caratteri. Ciò infatti che salta subito agli occhi, è la presenza di grandi placche trituratrici nello stomaco tanto dei Runcinidi come dei Bullidi, Ma il numero di esse è di tre o sei placche maggiori e di sei placche minori in questi, di quattro grandi placche uguali in quelli. Consideriamo, per semplificare, le tre placche maggiori delle Bulle e le quattro delle Runcine. Si sa come in questioni di simmetria è ben difficile in natura che si passi dal tre al quattro e viceversa, a meno che non si tratti di saldamento o di scissione rispettivamente di due delle quattro e di una delle tre unità. Ma allora le nuove parti for- matesi difficilmente saranno uguali a quelle che non hanno subito alcuna trasformazione. Si potrebbe avere atrofia e successiva scomparsa di una delle unità primitive, o apparizione di una nuova unità; ma in questi casi la simmetria rimarrà turbata. In ogni modo, qua- lunque di questi processi sarebbe da dimostrarsi nel nostro caso e tale dimostrazione non è agevole, poiché è certo che, mentre nella Runcina abbiamo a che fare con una simmetria tetragonale, quella delle Bullidae è nettamente esagonale. Per ora non possiamo stabilire, certamente, come punto di contatto tra le due famiglie, il fatto che il numero delle parti simmetricheed analoghe di un loro organo differisce nell’una e nell’altra di una unità. Per quanto poi riguarda la struttura dell’apparato riproduttore e le inferzioni che se ne potevano trarre, mi basti fare osservare che tanto inesatte erano le conoscenze che coloro i quali mi hanno preceduto nello studio delle Runcine ne possedevano, da non poter per- mettere che questi ne traessero a loro profitto alcuna conclusione. Ho infatti esposto, come l’apparato riproduttore delle Runcine si distacchi tanto da quello degli altri gasteropodi, quanto è sufficiente per farne un tipo a sé. Ora, avendo delucidato alcuni punti circa l’apparato riproduttore e l’apparato digerente — sui quali si fonda principalmente la divisione in famiglie, in generi e in ispecie degli opistobranchi — , mi sia lecito di esprimere la mia opinione intorno alla posizione sistema- tica e filogenetica dei molluschi in discorso. Non v’è alcun dubbio che essi appartengano al grande ordine degli Opistobranchi e al sottordine dei Tectibranchi. Ma se poniamo mente alla morfologia dei vari organi ed agli apparati che essi formano, aH’insieme di tali apparati e al piano generale di costruzione del mollusco, mentre prima si poteva, già infrangendo qualcuno dei caratteri generali imposti dagli autori ai Notaspidei o Pleurobranchidei, ascrivere a questa, sezione, ora non si può più ragionevolmente mettere la famiglia dei Runcinidi nè in Cejohalaspidea {Bullidea), nè in Anaspidea {Aplysidea), nè in Notaspidea {Pleurobranchtdea). Ma per le Runcinidae è neces- sario creare la sezione Runcinidea, che forse sarà bene porre fra gli Aplisidei e i Pleuro- branchidei. Ancora : per quanto riguarda la filogenesi della famiglia e della sezione ora da me creata, presentano, è vero, i Runcinidi caratteri che potrebbero sembrare di non evoluzione o di involuzione, ma nulla ci induce a riportare i loro organi ai loro corrispondenti nelle altre sezioni, e a credere che si tratti di una derivazione da qualche altra sezione, perchè man- cano le vere e strette analogie che possano ciò giustificare. Non mi ripugna perciò l’idea già espressa da v. Jhering (26), che i Runcinidi siano tectibranchi arcaici ; ed io sono convinto che tali molluschi siano gli odierni rappresentanti di un ramo assai antico di gasteropodi, uno dei primi a staccarsi da quel tronco di tecti- branchi arcaici, che diedero più tardi origine agli altri rami viventi e ricchi di famiglie e M, 1 31 GIUSEPPE GOLOSI — OSSERVAZIONI ANATOMO-ISTOLOGICHE vSULLA RUNCINA CALARITANA N. SP. di generi, e che esso abbia seguitato, solo o emettendo a volta a volta rami non sopravis- suti, nella via dell’evoluzione, modificandosi variamente — poco o molto, non sappiamo — attraverso le varie epoche per cui si è perpetuato. Conclusioni generali. Concludendo, in questo lavoro ho potuto mettere in evidenza : 1® resistenza di una nuova specie di Runcina ; 2° l’esistenza nel genere Runcina di una valvola gastrica; 3® resistenza nel genere Runcina di una ghiandola gastrica; 4° l’esistenza nel genere Runcina di un fegato impari con sbocco impari; 5° l’esistenza nel genere Runcina di un rene secondario; 6® resistenza nel genere Runcina di un nuovo tipo di apparato sessuale; 7® la necessità di creare nel sottordine dei Tectibranchi la sezione liuncinidea. Dall’Istituto di Zoologia della R. Università di Cagliari, diretto dal Prof. Ermanno Giglio-Tos — 30 giugno 1914. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM- E NATDR., SERIE II, VOI-. LXVI, N. 6. 35 BIBLIOORAKIA (1) Vayssièrb, Note sur un nouveau cas de condensaliun embnjogénique ohservé chez le “ Pelta coronata in “ Zool. Anz. XXIII, 1900. (2) Qdatrbfages, Mémoire sur les Gastéropodes phlébetUéres, in “ Ann. des Se. Nat. S*’ serie, t. I, 1884. (3) PoRBES e Hanley, a Mstonj of British Mollusca and their schells, t. Ili, 1853. (4) Vayssière a., Recherches anatomiques sur les qenres Pelta et Tylodina, in “ Ann. Se. Nat. Zool. „, XV, 1883. (5) Jeffreys G., a British Conchologtj, voi. V, 1869. (6) Mazzarelh G., Note sulla Morfologia dei Gasteropodi tectibranchi, in “ Biol. Centi-. XX, 1900. (7) Pelseneer P., Recherches sur divers Opistobranches, in “ Mém. cour. et mém. d. sav. étrang. Acad. R. de la Belg. „ t. XXXXI, 1894. (8) Mazzarelli G., Ricerche sulle Peltidae del Golfo di Napoli, in “ Mem. d. R. Acead. Se. Napoli ,, voi. VI, 1893. (9) Mazzarelli G., Note sulla morfologia dei Gasteropodi Tectibranchi, in “ Biol. Centr. „, (18), XIX, 1899. 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INTORNO AL PROCESSO DELL’ATRESIA FOLLICOLARE DELL’OVAIA NEI IVI AMMIKERI MEMORIA DEL Dott. LORENZO LOREDAN, Assistente (con una tavola) Approvata neW adunanza del 9 Maggio 1915. Il processo dell’ atresia follicolare dell’ovaia intravveduto da Pfluger, His, Waldeyer, Grohe, e confermato da Slawiansky come un fatto normale, che colpisce tutti i follicoli che non arrivano a maturazione, comprende due ordini di fenomeni : regressivi e progressivi. I primi consistono nella degenerazione e scomparsa dell’uovo e dell’epitelio costituente lo strato granuloso del follicolo ooforo, e nel riassorbimento del liquor folliculi. I secondi conducono alla riparazione della lacuna lasciata dalla caduta di questi elementi. La degenerazione dell’uovo e dello strato granuloso richiamò sopratutto l’attenzione dei primi osservatori (PflUger, Waldeyer, Van Beneden, Flemming, Paladino. Schottlànder, Schulin, Janosik, Henneguy, ecc.). Gli elementi possono cadere dopo d’aver subite diverse forme de- generative: Degenerazione granulosa e grassa, atrofia semplice, cromatolisi del nucleo, dege- nerazione ialina; l’uovo inoltre può andare incontro ad una frammentazione, che alle volte interessa solamente il vitello, dopo che la vescicola germinativa è caduta in cromatolisi, ed alle volte anche la stessa vescicola germinativa, nel qual caso la segmentazione viene con- siderata come un principio dì partenogenesi. I fenomeni progressivi prendono il punto di partenza sopratutto dagli elementi della teca del follicolo. La teca nei follicoli normali che hanno raggiunto un certo grado di sviluppo è composta di uno strato esterno fibroso (tunica esterna) e di uno interno cellulare (tunica interna). Questo secondo strato è tapezzato internamente da una membrana (membrana propria, in- terna, 0 di Slawiansky), ritenuta da molti autori priva di struttura (membrana basale, vitrea), da alcuni di natura endoteliale, da altri fibrillare: però la sua presenza non sembra costante. I fenomeni progressivi consistono in un’ipertrofia della teca, nella comparsa di una stria d’aspetto ialino al posto della membrana basale dei follicoli normali, e nella formazione all’in- terno della stria ialina di un tessuto reticolare formato da cellule stellate e fusate, i cui pro- lungamenti si anastomizzano fra di loro. Ni 2 l.OKENZO LOREDAN — INTORNO AL PROCESSO DELL’aTRESIA FOLLICOLARE DELL’OVAIA, ECC. Questi fenomeni furono considerati dapprima come un semplice processo cicatriziale. Ma dopo che fu riconosciuta l’identità delle grandi cellule della tunica interna cariche di gianulazioni grassose, colle cellule dello stroma ovarico che costituiscono la cosi detta ghian- dola interstiziale, e dopo che Bonin e Simon dimostrarono che lo cellule interstiziali derivano dalle cellule della tunica interna dei follicoli durante il processo di atresia, fatto questo già intravveduto da Kolliker, si diede maggiore importanza all’ipertrofia della teca, pel suo diretto rapporto collo sviluppo degli elementi interstiziali. Invece la formazione del tessuto reticolare ha una parte poco importante nel processo dell’atresia follicolare perchè è incostante e destinata in breve a cedere il posto agli ele- menti interstiziali provenienti dalla tunica interna. Mi sembra però che lo studio della sua origine possa avere un interesse d’indole più generale, perchè questo tessuto, simile per tutto ad un tessuto connettivo reticolare, è fatto derivare da molti autori dalle cellule dello strato granuloso. Ora è ammesso quasi generalmente che queste cellule derivino dall’epitelio germinativo e perciò sieno d’origine epiteliale. Si avrebbe quindi un processo di metaplasia di elementi epiteliali in elementi connettivi. Però le opinioni circa l’origine di questo tessuto reticolare sono molto varie, come pure molto discussa è l’origine e la natura di quella mem- brana ialina che quasi costantemente si trova all’interno della teca nei follicoli atresici. Ammettendo come vorrebbe Sobotta che i fenomeni dell’atresia follicolare non si svolgano nello stesso modo neppure nei mammiferi della stessa specie, la diversità di opinioni riguardo l’origine del tessuto reticolare e della stria ialina potrebbe dipendere dall’essere stati stu- diati in differenti animali. Dalla comune forma obliterativa del processo, fu distinta una forma cistica, nella quale la cavità follicolare si fa ampia, ripiena di liquido, e la teca, che raggiunge uno scarso sviluppo, può rimanere tapezzata dallo strato basale delle cellule del- l’epitelio follicolare (Rabl, Seitz, Sobotta, Cohn, Benthin, ecc.). Però lasciando da parte la forma cistica più frequente nell’ovaio muliebre, ma in un certo rapporto con alcuni processi morbosi, più rara nell’ovaio di altri mammiferi, forse perchè è più facile poter prendere in esame l’organo in condizioni normali, si può osservare per la vera forma atresica, la obli- terativa, che mentre da un canto opinioni diverse spesso si basano sopra osservazioni sul- l’ovaio di uno stesso animale, d’altro canto a mano a mano che si aggiungono nuove ricerche le differenze più sostanziali tendono a scomparire. Per esempio una delle più notevoli diffe- renze osservate nei follicoli atresici consiste in ciò, che nella tunica interna si ha a volte un rigoglioso sviluppo di cellule interstiziali, e a volte queste mancano totalmente. Ora la presenza di cellule interstiziali nella tunica interna dei follicoli atresici della donna negata da Fraenkel e da qualche autore che lo pi’ecedette, fu in seguito dimosti’ata da Wallart, Seitz, Pinto, Basso, Fellner, Pardi ed altri sia in gravidanza, che durante alcuni stati morbosi, od anche, quantunque con scarso sviluppo, in condizioni normali. In questi ultimi tempi fu osservato che alcune cellule dello strato granuloso possono resistere durante il processo di atresia alle forme degenerative che ho enumerato più sopra, e permanere, più o meno a lungo, nell’ interno dei follicoli atresici, dopo d’aver subito un certo grado d’ipertrofia. Coloro che ammettono che le cellule del corpo luteo derivino in parte dagli elementi dello strato granuloso, ed in parte dalle cellule della tunica interna, vedono in questo fatto la prova di una corrispondenza fra le due formazioni del corpo luteo e del follicolo in atresia. Nel presente lavoro mi son proposto lo studio delle modificazioni, ancora poco note, subite dalle cellule dello strato granuloso durante la loro lunga permanenza nell’interno dei follicoli atresici. Avendo poi potuto notare nel corso delle mie osservazioni che fra i resti dell’epitelio follicolare e la stria ialina, ed in parte anche il tessuto reticolare, esiste un rapporto assai MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVl, N. 7 . 3 intimo, elio si ripete costantemente nelle ovaie degli animali che ho presi in esame, ho con- temporaneamente rivolto la mia attenzione airorigine ed alla natura della stria ialina, e del tessuto reticolare che durante il processo dell’atresia invade la cavità del follicolo. * * * NeH’interno della cavità dei follicoli ovarici colpiti d’atresia e fra le maglie del tessuto reticolare che può riempire completamente od in parte questa cavità, furono osservati da molti autori speciali elementi, generalmente di forma rotonda, di volume variabile, ma spesso assai grande, il cui protoplasma areolare contiene numerose gocciole adipose. Slawiansky, Schottlànder, Beigel, Henneguy le ritengono cellule migranti, che eserciterebbero un’azione fagocitaria verso l’epitelio in degenerazione ; Henneguy (in parte), Rabl, Vander Stricht cellule dello strato granuloso più o meno alterate, Matchinschy macrofagi derivati dallo strato granuloso, Granfini cellule interstiziali della tunica interna cadute nella cavità del follicolo. Tali elementi furono osservati pure all’interno della zona pellucida dell’uovo (Pflùger, Lindgren, Wagener, Schulin, Mingazzini, Henneguy, Janosik, Vander Stricht, Seitz, Clivio): la maggior parte di questi autori pensa che le cellule nell’interno della zona pellucida ab- biano un ufficio fagocitario verso la sostanza dell’uovo in degenerazione. Una sola figura del Rabl mostra il passaggio dalle comuni cellule dello strato granuloso alle grosse cellule che si possono osservare all’interno della teca dei follicoli atresici. Questo autore ritiene che si tratti di una forma regressiva di alcuni elementi dello strato granuloso che si gonfiano per imbibizione di liquido follicolare. Egli scrive poi che sul destino delle cellule così alterate non può dare nessuna ulteriore spiegazione. Riguardo al destino dei resti dello strato granuloso Seitz pensa che questi col progre- dire dell’atresia del follicolo si possano aggiungere alle cellule ipertrofiche della teca rima- nendone però separati per mezzo di una membrana ialina più o meno larga e che infine vadano perduti. Mulon nella sola ovaia di cavia avrebbe osservato che lo strato più esterno della gra- nulosa si trasformerebbe in una membrana collagena, mentre alcune cellule pigmentifere, da lui riscontrate nel centro del follicolo allorché l’ovisacco è trasformato in falso corpo luteo, sarebbero elementi dello strato granuloso, che hanno resistito più a lungo e funzio- nato come cellule accumulatrici di grasso. Anche Cohn e Benthin poterono osservare grandi cellule pigmentate cariche di grasso nell’interno dei follicoli atresici ; pensano essi pure trattarsi di resti dello strato granuloso e dei follicoli che li contengono fanno un tipo di atresia a parte. Popoff vede nella lunga permanenza di cellule dello strato granuloso nell’ interno dei follicoli atresici una corrispondenza fra le due formazioni del corpo luteo vero e falso. Molto interessanti sono le osservazioni del Meyer sopra ovaie di donna gravida. Egli dice di aver osservato che in gravidanza nei follicoli atresici l’epitelio granuloso persiste in misura più o meno grande, ed è limitato verso la teca da una stria di fibrille di aspetto ialino che manda dei prolungamenti verso l’interno. Osserva che ciò può dar origine a false interpretazioni perchè il tessuto formato dai resti dello strato granuloso, i cui elementi egli chiama senz’altro cellule luteiniche, sembra confondersi colla teca. In singoli casi vide il follicolo completamente riempito da un ammasso di cellule luteiniche fra le quali alle volte si spingono dei vasi sanguigni. Gli sembra indubbio trattarsi di follicoli atresici per la loro piccolezza e per la presenza della stria ialina: per il Meyer la vascolarizzazione prova in modo incontrastato la capacità funzionale di queste formazioni. 4 LOKENZO LOKEDAN — INTOKNO AL PROCESSO DELL’aTRESIA FOLLICOLARE DELL’OVAIA, ECC. Molti autori fanno menzione della presenza all’interno della teca, durante le ultime fasi regressive dello strato granuloso e dell’uovo, di un tessuto, eguale al tessuto connettivo reticolare, formato da cellule fusate e stellate i cui prolungamenti si anastomizzano fra di loro. Slawiansky e Paladino ritengono che si tratti di un tessuto cicatriziale che trae origine da cellule migranti penetrate nella cavità del follicolo. A queste secondo Schottlànder, Mingazzini, Janosik e Cohn si aggiungerebbero piccole cellule connettive della teca. Beigel è d’opinione che il tessuto reticolare derivi dalla sola proliferazione del connet- tivo della teca, Beulin dalla membrana propria, che ritiene di natura endoteliale. Van Beneden, Bouin, Limon, Sainmont, Cesa Bianchi non accennano alla formazione del tessuto reticolare ; l’ipertrofia della teca, procedendo di pari passo colla distruzione dello strato granuloso, andrebbe restringendo sempre più la cavità fino ad obliterarla. Secondo Van der Stricht e Benthin l’atresia della cavità follicolare può avvenire in due modi: alle volte la teca si ispessisce senza oltrepassare la membrana basale pure ispessita, altre volte il connettivo della teca invade l’epitelio follicolare e la cavità. Schulin, Henneguy, Rabl, Matchinsky, Mulon e Delestre dànno una parte più o meno importante nell’origine del tessuto reticolare alle cellule dello strato granuloso. Schulin osservò che l’atresia della cavità follicolare avviene per il formarsi di un tessuto fibrillare con cellule stellate: questi elementi, che alla fine del processo dànno luogo ad un tessuto connettivo di riempimento, gli sembrano prendere origine dalle cellule dello strato granuloso e dalla stria ialina, ch’egli fa derivare dall’endotelio della membrana basale. Henneguy è d’opinione che l’obliterazione della cavità follicolare avvenga per la forma- zione di un tessuto derivante dalle cellule dello strato granuloso ed in parte dai leucociti penetrati nella cavità. Nell’ovaio della donna e di molti altri mammiferi Rabl, come Schottlànder, ritiene che l’atresia della cavità follicolare sia dovuta alla proliferazione delle piccole cellule connettive della teca. Come prova porta la sua osservazione che la stria ialina è spesso attraversata radialmente da fibrille che dimostrerebbero il passaggio attraverso di essa degli elementi connettivi. Però nell’ovaio del gatto e della cavia crede che lo strato gx'anuloso prima di scomparire completamente si trasformi in un reticolo simile al tessuto connettivo reticolare. Matchinsky avrebbe osservato nelle ovaie del cane, del gatto, della cavia, del ratto e del coniglio che mentre le cellule dello strato granuloso, trasformatesi in un reticolo pia- smatico, diminuiscono progressivamente di numero, appaiono grandi cellule rotonde mono- nucleate, ch’egli ritiene macrofagi, derivati da una trasformazione delle cellule dello strato granuloso. Infine poi, le cellule rimaste dello strato granuloso ed i macrofagi si trasforme- rebbero in cellule fusiformi. Mulon osservò nell’ovaio della cavia che durante il processo dell’atresia aU’interno della teca si trova una membrana collagena, la quale forma una parete continua che costituirebbe un ostacolo a che alcun tessuto o cellula estrinseca possa passare nella cavità follicolare. Crede perciò dover ammettere che le lamelle connettive che appaiono temporaneamente dentro il falso corpo luteo si sviluppino a spese dello strato granuloso. Delestre osservò nell’ovaia della vacca che, mentre gli altri strati della granulosa scom- paiono, lo strato basale persiste, le sue cellule diventano fusiformi e prendono i caratteri delle cellule connettive. Pensa, quantunque non l’abbia potuto osservare, che queste cellule possano essere il punto di partenza degli elementi connettivi giovani che vanno a riempire la cavità del follicolo. Pure molto varie sono le opinioni riguardanti l’origine della stria ialina che si trova quasi costantemente subito all’interno della teca dei follicoli atresici. Slawiansky, Van Be- MEMOIilE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SEKIE II, VOL. LXVI, N. 7 . 5 neden, Schuiin, Bouin, Limon la considerano come il prodotto d’un’ipertrofia della membrana propria dei follicoli normali, Schottlander come il prodotto d’una degenerazione delle parti più centrali del connettivo della teca, Rabl e Zalla come il prodotto d’una secrezione, Seitz di una degenerazione delle cellule interstiziali della tunica interna. Mulon riferisce di aver osservato nei follicoli atresici dell’ovaia della cavia che le cellule più esterne dello strato granuloso elaborano una sostanza collagena e che infine tutto il corpo cellulare si trasforma in questa sostanza. Si costituisce in tal modo una membrana all’ in- terno della teca che non può essere che la stria in parola. La maggior parte degli autori considera la stria ialina formata di una sostanza omo- genea ialina, da cui il nome di stria o membrana ialina. Cesa Bianchi, studiando la disposizione del connettivo della ghiandola interstiziale del- l’ovaia, osservò che la membrana propria dei follicoli normali è fibrillare, non già endoteliale come vorrebbero Slawiansky, Beulin, Schuiin, o anista come credono i più. Nei follicoli atre- sici nota al posto della membrana propria una membrana più spessa, formata da fibrille che sembrano rigonfie, e la fa derivare dalla membrana propria dei follicoli normali. Certamente questa membrana dei follicoli atresici corrisponde alla stria ialina degli altri autori, che per Cesa Bianchi adunque avrebbe struttura fibrillare ed origine dalla membrana propria. =K * >(: Io ho preso in esame le ovaie del topo bianco, della cavia, del coniglio e del gatto. Come fissatori usai il liquido di Zenker, il liquido di Flemming, il sublimato, la miscela di Bouin (formolo-picro-acetica). Le ovaie di topo e di cavia venivano fissate in foto, general- mente quella di un lato in liquido di Flemming, l’altra con uno degli altri fissatori indicati. Le ovaie di coniglio e di gatta venivano tagliate per metà nel senso della lunghezza, ed anche per queste veniva data gran parte alla fissazione con liquido osmico. Questo materiale incluso in paraffina fu sezionato tutto in serie, cosi che nelle osser- vazioni potei seguire nella loro totalità quei follicoli che presentano qualche particolare in- teressante. Le sezioni vennero sottoposte a svariate colorazioni. Le più comunemente usate furono le seguenti : metodo Mann, ematossilina ferrica di Heidenhain ed ematossilina comune seguite da una colorazione piasmatica coll’eosina o col liquido di Van Gieson o di Hansen. Le se- zioni delle ovaie fissate in liquido di Flemming, colorate colla saffranina, vennero in parte chiuse in glicerina, perchè i granuli che riducono l’osmio in un mezzo resinoso (balsamo del Canadà o vernice Damar) in breve si dissolvono, come osservò per primo Bouin. Ho avuto sotto la mia osservazione un centinaio di ovaie, parte di animali gravidi, ed in maggior numero non gravidi di diversa età. ♦ * * In molti follicoli atresici dell’ovaio del topo bianco, del coniglio e della cavia osservai all’interno della teca grandi cellule rotonde, col nucleo spesso eccentrico (Fig. 1, 2, 3, 4, 5). Il loro protoplasma, più o meno areolare, contiene un numero variabile di granulazioni gras- sose, cui l’acido osmico dà una colorazione nera. In alcune cellule questi granuli sono piccoli e poco numerosi, in altre sono cosi grossi e vicini fra di loro, che, in sezioni fissate in liquido ()■ LORENZO LOREDAN — INTORNO AL PROCESSO DELl’aTRESIA KOLLICOLAKE DEu/oVAIA, ECO. • di Floniniing e cliiusc in glicerina, tutto il corpo cellulare appare come un ammasso nero. Iji sezioni trattate con un fissatore privo di acido osmico, colorate coll’ematossilina ed eosina e chiuse in balsamo del Canada, le gocciole adipose in parte si disciolgono ed in parte non si colorano: in questi preparati molte delle cellule in parola hanno un aspetto molto pallido, tanto che spesso sono visibili solamente per la presenza del nucleo e della membrana cel- lulare, airinterno della quale si trova una sottile e rara rete di protoplasma. Questi elementi in qualche follicolo son presenti in scarso numero; alle volte invece sono cosi numerosi, specie nell’ovaia del topo bianco, da riempire quasi tutta la cavità. In alcuni follicoli atresici dell’ovaia di cavia e di topo bianco contenenti ancora più ordini di cellule dello strato granuloso, notai spesso nella cavità follicolare, accanto alle grosse cellule a protoplasma areolare, altre più piccole ma di vario volume, che hanno ge- neralmente il nucleo centrale ed il protoplasma più denso e sono prive o quasi di granula- zioni grassose. Nell’ovaia di cavia alcuni elementi fra i più centrali dello strato granuloso in via di de- generazione presentano un aspetto identico alle più piccole cellule libere nella cavità (Fig. 1). NeU’ovaio di topo bianco notai qualche grossa cellula libera nella cavità follicolare anche durante le prime fasi degenerative dello strato granuloso; e quando la degenerazione dell’uovo e dell’epitelio follicolare è in un periodo più avanzato potei osservare qualche grossa cellula rotonda, eguale alle grandi cellule libere nella cavità, anche nell’interno dello strato granuloso fra gli altri elementi più o meno alterati (Fig. 2). Un particolare degno di nota è una bella cariocinesi che vidi in una di queste grandi cellule (Fig. 3). È l’unico caso che ho potuto osservare di divisione indiretta, però è frequen- tissimo il trovare due nuclei in uno stesso elemento. Di tutti i follicoli che ho esaminato tre soli, nell’ovaio del topo bianco, presentano al- cune grandi cellule all’interno della zona pellucida. Si vedono riunite fra di loro mentre i resti ovulari restano ricacciati da un lato (Fig. 4). Questa disposizione, la larga interruzione della membrana uvulare, ed i pochi casi osservati, mi fanno pensare che il fatto sia pura- mente casuale; però non posso escludere ciò che vogliono i più che le cellule penetrate all’interno della membrana pellucida abbiano un ufficio fagocitano verso la sostanza dell’uovo. Mi sembra pertanto che non vi possa essere alcun dubbio sull’origine di questi elementi dall’epitelio dello strato granuloso; è perciò da escludersi che le grosse cellule che si tro- vano all’interno della teca dei follicoli atresici sieno elementi immigrati dalFesteimo nella cavità del follicolo. Un’ulteriore conferma della maggiore vitalità di alcuni elementi dello strato granuloso può essere data dalla presenza di cariocinesi in alcune cellule allorché una parte è già in preda ai fenomeni degenerativi ; anzi il Rabl a questo proposito potè osservare che il numero delle mitosi nelle cellule normali dello strato granuloso, mentre una parte degli elementi di questo strato è in degenerazione, è piuttosto aumentato che diminuito. Nella cavia e nel coniglio in uno stadio avanzato d’atresia si possono trovare parecchie grandi cellule cariche di goccioline di grasso anche fra le maglie del tessuto reticolal e che riempie in parte la cavità del follicolo (Fig. 5). Pure nell’ovaia del gatto si verifica una permanenza più o meno lunga di cellule dello strato granuloso nell’interno dei follicoli atresici. Nella figura 6, che riproduce uno di questi follicoli, si osserva una serie di elementi cellulari fra le maglie del tessuto reticolare, disposti a forma di zona, non continua, vicina alla parete interna della teca del follicolo, però separata da questa da uno strato di con- nettivo fibrillare. Senza dubbio questa zona è composta di cellule dello strato granuloso, come ebbe a constatare già il Rabl nello stesso animale, ed io me ne sono persuaso seguendo una serie MEMOKIE - CLASSE 1)1 SCIENZE FISlCilE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 7. 7 di follicoli in uno stadio d’atresia meno avanzato nei quali si può osservare la graduale scomparsa dell’epitelio follicolare finche rimane il solo strato basale. A differenza del Rabl però non vidi mai che queste cellule vadano a formare diretta- mente parte del tessuto reticolare; esse si limitano ad occuparne le maglie come una specie di nido. Lo strato di tessuto connettivo che divide le cellule epiteliali rimaste dalla parete in- terna della teca, verso l’esterno si continua col tessuto connettivo che divide i gruppi di cellule interstiziali della tunica interna, verso l’interno manda fra le cellule dello strato basale dell’epitelio follicolare ancora presenti, delle trabecole che si prolungano verso il centro del follicolo, facendo tutt’uno col tessuto reticolare che sta all’interno. In altri follicoli non appare traccia di cellule dello strato granuloso, ma al loro posto si trova la stria ialina, essa pure è separata dalla parete interna della teca mediante uno strato di tessuto connettivo, ed alle volte è attraversata radialmente da qualche sepimento fibi’illare. Un fatto analogo osservai in numerosi follicoli atresici delle ovaie di coniglio e di cavia, colla differenza che al posto delle comuni cellule dello strato granuloso si trovano grandi cellule più 0 meno alterate, formanti una zona spesso interrotta in un punto dove l’uovo, accostato alla parete del follicolo, è circondato da uno strato di tessuto connettivo. Solo qualcuno degli elementi che costituiscono questa zona conserva ancora la membrana cellulare ed il nucleo (Fig. 7), ed allora assomiglia alle grandi cellule che ho dimostrato de- rivare dallo strato granuloso. La maggior parte invece sono ridotti in una massa più o meno omogenea che giace fra dei setti fibrillari che uniscono uno strato pure fibrillare rivestente la parete interna della tunica interna col tessuto reticolare che riempie la cavità del follicolo. In alcuni follicoli non si trova traccia di elementi cellulari distinti, ma la disposizione dei setti fibrillari, che racchiudono una sostanza amorfa, sta a testimoniare la loro prece- dente presenza. In uno stadio più avanzato del processo atresico, i setti in parte possono scomparire ed il prodotto di degenerazione delle cellule che stavano racchiuse fra questi setti forma un tutto, più 0 meno unito, a forma di stria circolare, che si colora intensamente coi colori acidi di anilina. In alcuni follicoli atresici delle ovale del topo bianco, così in condizioni gravidiche, come in condizioni normali, osservai che dal sottile strato connettivo che limita all’interno la teca ipertrofica, o dal tessuto connettivo che divide in gruppi le cellule interstiziali della tunica interna, partono dei setti che si insinuano fra le grandi cellule, derivate dallo strato granu- loso, che si trovano addossate alla parete della teca (Fig. 10, 11). Nei follicoli in cui queste cellule sono libere nella cavità, o accollate in gran numero alla parete della teca per mezzo di trabecole connettive, non mi fu mai dato di osservare la stria ialina. In altri follicoli certamente in stadio d’atresia più avanzato ebbi a notare quanto ripro- duco nella figura 9. AH’interno della teca sta un ordine di piccole cellule fusate che formano uno strato continuo. Qualche prolungamento riunisce questo strato con un altro analogo che si trova più centralmente. Le cellule in questione formano come una rete a larghe maglie nel cui interno si trova la stria ialina, la quale oltre che in corrispondenza dei prolungamenti con- nettivi è interrotta in qualche altro punto, e nelle discontinuità si possono osservare grandi cellule cariche di granulazioni grassose. Questa disposizione mi pare corrisponda a quanto ho fatto notare nelle ovaie di cavia, di coniglio e di gatto, per cui io credo che negli animali che ho pi’esi in esame non esista 8 LORENZO LOREDAN — INTORNO AL PROCESSO DELL’aTRESIA FOLLICOLARE OELL’oVAIA, ECC. nessuna sostanziale differenza circa la formazione della stria ialina e del tessuto reticolare che si osserva spesso nella parte centi'ale dei follicoli atresici. Il tessuto reticolare, nel topo, ha scarso sviluppo, essendo rappresentato solo da quei prolungamenti connettivi che si spingono fra le cellule sopravissute dello strato granuloso: può raggiungere uno sviluppo molto più grande nel coniglio, nella cavia e nel gatto, però proviene anche in questi animali dal connettivo della teca e sembra costituire lo stroma di sostegno delle cellule dello strato granuloso che hanno resistito più a lungo ai processi de- generativi. Perciò le cellule dello strato granuloso non prendono una parte attiva alla for- mazione del tessuto reticolare, ma solo rimangono comprese fra le sue maglie. Va dunque scartata l’ipotesi della metaplasia delle cellule dell’epitelio follicolare in elementi connettivi. Invece col progredire del processo di atresia anche le cellule dello strato granuloso che hanno resistito più a lungo finiscono col degenerare, ed il prodotto di questa degenerazione è rappresentato dalla stria ialina, che, appena formata, è costituita da una sostanza amorfa sostenuta dall’impalcatura fibrillare che circondava le cellule che le hanno dato origine. Quest’impalcatura corrisponde a quelle fibrille che Rabl dice di aver osservato attra- versare la stria ialina; le quali dipendono bensì da un’invasione del connettivo della teca verso il centro del follicolo, ma tale invasione avviene prima che la stria ialina si formi, non già dopo la sua formazione come vuole questo autore. Così i prolungamenti della stria ialina che Schulin e Zalla dicono di aver osservato prender parte alla formazione del tessuto reticolare interno rappresentano, secondo me, la continuità dei setti intercellulari che dividevano gli elementi di origine della stria ialina col reticolo connettivo centrale. L’opinione poi di Limon che l’aspetto pieghettato della stria ialina sia dovuto unica- mente al restringersi della parete interna della teca, mi sembra contrastare col fatto se- guente, che ho potuto notare più volte specie nell’ovaio del coniglio. La stria ialina in numerosi follicoli, anche a teca non molto ispessita, presenta delle sinuosità così profonde e frequenti che, se fosse distesa, avrebbe uno sviluppo molto più ampio della parete interna della teca di un follicolo anche presso a maturità. Io credo per- tanto che la pieghettatura sia in parte una pura apparenza dovuta alla forma e disposizione degli elementi che dànno origine alla stria ialina; infatti le curve della superficie ricordano la forma rotonda delle grosse cellule derivate dallo strato granuloso, le sinuosità si trovano al posto dei setti fibrillari che dividevano queste grandi cellule. Solo più tardi quando la cavità si restringe di molto si può osservare una vera pieghettatura. È però molto più gros- solana e irregolare di quella disegnata in qualche figura del Limon, che corrisponde a quanto ai osserva in uno stadio d’atresia più precoce. Quanto son venuto esponendo sull’origine della stria ialina concorda in parte coll’opi- nione di Mulon che fece le sue ricerche sull’ovaio della cavia. Contro l’ipotesi di Slawiansky, Schulin, Bouin, Limon, Cesa Bianchi che la stria ialina si produca per ipertrofia della membrana propria dei follicoli normali sta anche il fatto che questa membrana non è più manifesta al cominciare dei fenomeni degenerativi del follicolo, come notò anche Van Beneden, mentre d’altro canto io ho sempre osservato che la stria ialina non è reperibile che in un periodo molto tardivo della regressione del follicolo. Mi sembra che la stria ialina non possa essere un prodotto di secrezione delle cellule della tunica interna, come vorrebbero Rabl e Zalla, perchè molto spesso si trova separata da queste cellule mediante uno strato di tessuto connettivo fibrillare più o meno denso che esiste anche prima che la stria ialina si formi. Contro l’opinione poi di Schottlànder e di Seitz che la stria ialina rappresenti un pro- dotto di degenerazione dello strato più centrale delle cellule della tunica interna, sta il fatto MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDB., SERIE II, VOL. LXVI, N. 7. 9 che le cellule interstiziali dei follicoli sono elementi giovani, in uno stadio evolutivo, e non presentano forme degenerative (Sainmont e Regaud e Dubreuil) che quando il follicolo ha perduta la sua individualità ed è andato a far parte dello stroma ovarico. Credo pertanto che la somiglianza delle grandi cellule derivate dallo strato granuloso, specie pel loro contenuto grassoso, colle cellule interstiziali abbia indotto in errore questi due Autori. Nel gatto, nella cavia e nel coniglio, tanto in ovaie normali che gravidiche, nei folli- coli che hanno già formata la stria ialina si trova solo raramente qualche grossa cellula dello strato granuloso, più o meno alterata, fra le maglie del tessuto connettivo che occupa il posto della cavità follicolare; non mi fu più dato di osservare traccia di questi elementi allorché la tunica interna ipertrofica ha invaso quasi completamente lo spazio che le sta all’interno. La stria ialina, specie nell’ovaia di coniglio, resiste più a lungo ; infine però è destinata a scomparire. In alcuni follicoli, a tunica interna molto voluminosa, la parte ialina della stria appare molto ridotta rispetto all’impalcatura fibrillare, tanto che in alcuni casi, sempre però ad atresia molto avanzata, rimane solo l’impalcatura che forma una massa più o meno compatta al centro del follicolo; invece in altri follicoli la sostanza- ialina resiste più a lungo del tes- suto fibrillare. Mi pare che questa diversa maniera di ridursi della stria ialina possa dar ragione della diversità d’opinioni riguardo la sua natura (fibrillare e ialina). In alcuni follicoli atresici dell’ovaia del topo bianco a cavità molto ridotta si osserva sia nel breve spazio della cavità, sia accollata alla teca, mediante trabecole di tessuto con- nettivo, qualche cellula che risalta pel colorito giallo del suo protoplasma. Si tratta di ele- menti a forma rotonda od ovalare, col nucleo spesso eccentrico ed il protoplasma areolare, che nei preparati trattati coll’acido osmico è nascosto da sferule nere che ne riempiono le maglie. Tranne la pigmentazione del protoplasma, questi elementi hanno gli stessi caratteri delle grosso cellule derivate dallo strato granuloso che in sezioni colorate coll’ ematossilina ed eosina si mostrano molto pallide. Presentano inoltre una grande somiglianza con quelle cellule pigmentifere descritte da Rabl fra lo stroma ovarico e da questo A. considerate come una forma regressiva degli elementi del corpo luteo. In ovaie gravidiche di topo bianco si osserva un numero maggiore di follicoli atresici contenenti cellule dello strato granuloso ipertrofiche ; inoltre è molto più frequente che in ovaie non gravidiche trovare queste cellule unite alla parete interna della teca da trabecole con- nettive (Fig. 10). In questo caso perdono in parte la forma rotonda per divenire poliedriche e formano un accumulo di aspetto epitelioide, spesso limitato verso l’interno da uno strato sottile di piccole cellule connettive. Nei follicoli che hanno ancora un’ampia cavità si vede distintamente la parete interna della teca alla quale sta addossato il tessuto di aspetto epitelioide. In altri follicoli invece questo tessuto non fa sporgenza nella cavità molto ridotta, ma è circondato tutto attorno dalla teca, per cui sembra far parte di questa. Se si osserva attentamente però si può sempre vedere la parete interna della teca per la differenza fra gli elementi della tunica propria e gli elementi del tessuto derivato dallo strato granuloso. La parete interna della teca presenta la forma di una cifra 8 di cui una parte costituisce la ridotta cavità del fol- licolo, l’altra è riempita dal residuo delio strato granuloso. Questa disposizione dipende cer- tamente dalla pressione esercitata dal crescere rapido dei corpi lutei vicini che fa avvicinare le pareti opposte della teca. Come ho fatto notare più sopra in questi follicoli manca costantemente qualsiasi traccia di stria ialina. Ol 10 I-OKENZO LOKKDAN — INTOKNO Al, PROCESSO 1)E1 ,i/aTRESIA FOLLICOLARE DELL’oVAIA, ECC. Pure in ovaie gravidiche di topo bianco, alcuni follicoli richiamarono in particolar modo la mia attenzione per l’aspetto speciale delle cellule giacenti aU’interno della teca (Fig. 12 e 13), che differiscono dalle grandi cellule derivate dallo strato granuloso di cui ho parlato fin qui, per la forma del nucleo che è più grande, pallido e vescicoloso, e per la struttura del protoplasma che si colora molto intensamente coll’eosina, ed anziché areolare a larghe maglie, è piuttosto granuloso con scarsi vacuoli. Ciò si vede specialmente nelle sezioni colorate col metodo di Mann o coll’ematossilina ferrica; nelle prime le granulazioni sono di un colore rosso intenso, nelle seconde bruno oscuro. In preparati trattati coll’acido osmico il protoplasma appare disseminato di scarse sfe- rule grassose di grandezza variabile, ma generalmente assai piccole, che di preferenza si trovano attorno al nucleo. Queste cellule hanno tutti i caratteri delle cellule del corpo luteo vei’o, ed allorché il follicolo che le contiene é in vicinanza di un corpo luteo, così che é possibile avere sotto 11 campo microscopico le due formazioni, si può agevolmente constatare la perfetta identità morfologica fra le cellule del follicolo e le cellule del corpo luteo adiacente. Credo perciò giusto chiamare anche le prime cellule luteiniche senza che a questa de- nominazione si possa fare l’appunto mosso da Finto a Wallart per il nome di luteiniche dato da quest’ultimo alle cellule interstiziali ipertrofiche durante la gravidanza che, per qualche carattere, indubbiamente differiscono dai veri elementi luteinici. Nei follicoli che contengono cellule luteiniche manca costantemente la stria ialina, e dalla teca partono sottili trabecole connettive che s’insinuano fra le cellule luteiniche ; la cavità, generalmente molto ridotta, alle volte racchiude qualche cellula pigmentifera, e so- vente al posto della cavità si trova un nucleo di tessuto connettivo. In complesso l’aspetto di questi follicoli é analogo a quello dei corpi lutei in principio di gravidanza quando attorno alle cellule del corpo luteo si trova uno strato di cellule in- terstiziali che derivano dalla teca del follicolo scoppiato (Wallart, Finto, Cohn). Vi é però questa differenza, che mentre nel corpo luteo lo strato di cellule interstiziali é sottile rispetto all’ammasso luteinico, nei follicoli atresici il nucleo luteinico é costituito di poche cellule, ed il rivestimento della teca ha il maggior sviluppo. Il Meyer riconosce che i follicoli da lui osservati con un contenuto di grandi cellule derivate dallo strato granuloso sono veri corpi atresici dal loro piccolo volume e dalla pre- senza della stria ialina. Come feci osservare più sopra, nei follicoli delle ovaie di topo bianco con un contenuto luteinico manca costantemente qualunque traccia di stria ialina. Il loro volume generalmente inferiore a quello dei follicoli maturi non mi sembra un carattere differenziale assoluto perché i follicoli a maturità non sempre raggiungono lo stesso volume; ciò però che troncò definitivamente i miei dubbi circa la possibilità che fossero veri corpi lutei arrestati nel loro sviluppo si é l’ aver potuto osservare l’uovo in degenera- zione nella piccola cavità di uno di essi, ed in alcuni altri un resto ovulare, cioè la zona pellucida. Facendo ora un confronto fra i follicoli con un accumulo di grandi cellule derivate dallo strato granuloso, a protoplasma areolare a larghe maglie, coi follicoli con un accumulo di cellule luteiniche, non può sfuggire la grande somiglianza nella disposizione degli elementi cellulari che stanno all’interno della teca, per il comportamento molto simile dello stroma di sostegno, le cui trabecole si insinuano fra cellula e cellula e per la perfetta corrispon- denza della loro situazione sia rispetto alla teca che rispetto alla cavità. Infatti nei follicoli con cellule luteiniche la cavità, o il nodo di tessuto connettivo che ne ha occluso l’ultimo residuo, si trovano sempre nelle parti più esterne del tessuto lutei- nico, vicino 0 a contatto della pai’ete interna della teca. MEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. £ NATUK., SEUIE II, VOL. LXVl, N. 7. 11 Nei follicoli contenenti un tessuto di cellule derivate dallo strato granuloso a proto- plasma areolare a larghe maglie, la cavità più ampia ha pure una posizione eccentrica, dovuta al fatto che il tessuto che si trova all’ interno della teca non ne riveste tutta la parete interna. I singoli elementi, se in parte differiscono, presentano pur tuttavia una certa somi- glianza nella forma; inoltre in qualche follicolo atresico di ovaie gravidiche ho potuto no- tare qualche grande cellula rotonda libera nella cavità, che si avvicina molto alle cellule luteiniche anche per la struttura del protoplasma. La costante coincidenza poi della mancanza della stria ialina colla presenza di un tes- suto di grandi cellule aU’interno della teca dei follicoli atresici, sieno vere cellule luteiniclie, 0 quelle grandi cellule che si trovano anche in follicoli di ovaie non gravidiche, insieme ai caratteri comuni su esposti fra il tessuto luteinico nell’ interno dei follicoli atresici ed il tessuto omologo formato da elementi che differiscono dai luteinici, avvalorano l’ipotesi che, come le grandi cellule a protoplasma areolare e la stria ialina, cosi anche le cellule lutei- niche dei follicoli atresici abbiano un’origine comune dagli elementi dello strato granuloso. 10 credo pertanto che le cellule col protoplasma areolare, a larghe maglie, pieno di gra- nuli grassosi, cellule che si trovano anche in condizioni non gravidiche, lappresentino una trasformazione degli elementi dello strato granuloso che, non avendo subito lo stimolo della gravidanza, si trovano in uno stato involutivo e finiscono col degenerare nella stria ialina, ed in parte in elementi carichi di grasso e di pigmento. La diversità nella grandezza di queste cellule e nella maggiore o minore abbondanza di granulazioni grassose, starebbe a contrassegnare le diverse tappe della loro involuzione. In alcuni follicoli di ovaie gravidiche invece, le cellule dell’epitelio follicolare che hanno sopravissuto ai fenomeni degenerativi dell’atresia del follicolo, sotto lo stimolo delle condi- zioni gravidiche, entrano in attività funzionale trasformandosi in vere cellule luteiniche. Le cellule luteiniche rappresenterebbero perciò la completa evoluzione dei resti dell’epi- telio granuloso dei follicoli atresici, le cellule pure derivate dallo strato granuloso ma diffe- renti dalle luteiniche pei caratteri del nucleo, del protoplasma e delle sue granulazioni, una forma abortiva della formazione luteinica dei follicoli atresici (*). Non posso dh'e con precisione fin dove le mie osservazioni sulle ovaie di topo bianco coincidano con quelle di Seitz e Meyer sulle ovaie di donna per la descrizione sommaria che 1 detti AA. dànno degli elementi derivati dall’epitelio follicolare che si trovano all’interno della teca dei follicoli atresici. II solo Meyer dà delle figure, che però, essendo alquanto schematiche, non permettono di riconoscere tutte le caratteristiche degli elementi ; d’altra parte, non avendo avute a mia disposizione ovaie di donna gravida, non mi son potuto fare il concetto che gli autori citati non dànno preciso. Ad aumentare l’incertezza circa il loro reperto sta anche il più largo significato dato all’appellativo di luteinico; chiamano infatti luteiniche anche le cellule interstiziali ipertrofiche durante la gravidanza che, come osservano Finto ed altri, presentano una notevole differenza dalle cellule del corpo luteo vero. 11 Meyer poi osservò la contemporanea presenza della stria ialina e delle cellule che chiama luteiniche all’interno di essa. Come ho esposto più sopra io osservai invece che nelle ovaie gravidiche di topo bianco, nei follicoli che contengono un cumulo di cellule luteiniche manca (*) Sto ora studiando il comportamento di questa formazione luteinica dei follicoli atresici in una serie d’ovaie di topo bianco, a diverse età di gravidanza, ed in una nota di prossima pubblicazione esporrò i risul- tati delle mie osservazioni. 12 LORENZO LOREDAN — INTORNO AL PROCESSO UELL’aTRESIA FOLLICOLARE DELL’OVAIA, ECC. Ogni traccia di stria ialina, e che nell’ovaio gravidico o no di coniglio e di cavia le grandi cellule derivate dallo strato granuloso degenerano nella stria ialina e se in parte possono coesistere aU’interno di questa fra le maglie del tessuto connettivo, sono più o meno alte- rate, poco numerose, e non acquistano mai tutti i caratteri di vere cellule luteiniche. Ciò mi fa pensare che il reperto del Meyer corrisponda a quanto potei osservare nel- l’ovaio di coniglio e di cavia anche fuori di gravidanza, ammettendo però che la stria ialina nella donna abbia la stessa origine che nel topo bianco, nel coniglio, nella cavia e nel gatto. Questo pertanto mi sembra molto probabile, specie osservando le figure 12 e 32 del liabl, che riproducono due follicoli atresici dell’ovaio muliebre; queste figure, per quel che riguarda la forma, la disposizione della stria ialina, od i suoi rapporti col connettivo circostante, cor- rispondono a quanto ho potuto osservare in molti follicoli atresici dei mammiferi che ho presi in esame. * * * In conclusione io credo di poter affermare che alcune cellule dello strato granuloso per- mangono a lungo, dopo la caduta della maggior parte degli elementi di questo strato nel- l’interno dei follicoli atresici. In alcuni animali queste cellule più resistenti dell’epitelio follicolare subiscono una note- vole ipertrofia, si caricano di gocciole adipose e presentano dei fenomeni riproduttivi dimo- strati dalla presenza, per quanto rara, di cariocinesi e dalla frequente duplicità del nucleo. Col progredire del processo atresico i resti dello strato granuloso o finiscono col dege- nerare 0 vanno incontro ad una nuova fase evolutiva dando origine ad un vero tessuto luteinico. Allorché degenerano, abbiano o no subito prima un’ipertrofia, per la maggior parte, tanto in ovaie normali quanto in ovaie gravidiche, perdono la forma cellulare, lasciando al loro posto una sostanza omogenea, che costituisce la stria ialina dei follicoli atresici. Un’altra forma involutiva che osservai solamente in poche cellule dell’ovaia di topo bianco è la trasformazione in elementi carichi di grasso e di pigmento. L’ulteriore evoluzione delle cellule dello strato granuloso che permangono a lungo nel- l’interno dei follicoli atresici, l’osservai solamente nel topo bianco durante la gravidanza e consiste nella trasformazione in cellule luteiniche non presentanti alcuna differenza dalle cel- lule del corpo luteo vero. Il tessuto reticolare, che durante il processo dell’atresia invade la parte centrale dei follicoli, trae origine dal connettivo della teca e forma lo stroma di sostegno alle cellule rimaste dello strato granuloso. Dall’Istituto Anatomico della R. Università di Torino, diretto dal Prof. R. Fusahi. Aprile 1915. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 7. 13 BIBLIOGRAFIA Basso, Modificazioni istologiche delle ovaie in gravidanza con speciale riguardo alla teca interna dei fol- licoli atresici. Raccolta di scritti ostetrico-ginecologici in onore del Prof. L. Mangiagalli. Pavia, 1906. Bbigel, Zur Naturgeschichte des Corpus luteum, “ Arch. f. Gynak. „, Bd. 13. Benthin, Veher Follikelatresie in Sdugentrierovarien, in “ Id. ,, Bd. 94. Beolin, Citato da Rabl. Bouin, Atrésie des follicules de De Graaf et formation de faux corps jaunes, “ Bibliographie anatomique ,, Tomo VII, 1899. 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Ocul. 3, obbiet- tivo 7* Koritska. ,4. — Dall’ovaia di topo bianco. Rappresenta un uovo in degenerazione in cui è scomparsa la ve- scicola germinativa ed il vitello si è frammentato. All’interno e all’esterno della zona pel- lucida (P), si vedono alcune grandi cellule derivanti dallo strato granuloso. Ocul. 3, ob- bietivo 7* Koritska. „ 5. — Dall’ovaia di cavia. Sezione d’un follicolo atresico contenente degli elementi derivati dallo strato granuloso nella cavità follicolare e fra le maglie del tessuto reticolare che sta all’in- terno della teca. Ocul. 3, obbiettivo 7* Koritska. ,6. — Dall’ovaia di gatto. Sezione d’un follicolo atresico. Ocul. 3, obbiettivo 6 Koritska. , 7. — Dall’ovaia di coniglio. Sezione d’un follicolo atresico. Ocul. 3, obbiettivo 8* Koritska. , 8. — Dall’ovaia di cavia. Sezione d’un follicolo atresico. Ocul. 3, obbiettivo 7* Koritska. „ 9. — Dall’ovaia di topo bianco. Sezione d’un follicolo atresico. Ocul. 3, obbiettivo 7* Koritska. „ 10. — Dall’ovaia di topo bianco. Sezione d’un follicolo atresico. Ocul. 3, obbiettivo 7* Koritska. „ 11. — Frammento d’un’altra sezione dello stesso follicolo rappresentato nella figura 10. Ocul. 3, obbiettivo 8* Koritska. , 12 e 13. — Dall’ovaia di topo bianco gravido. Sezioni di due follicoli atresici prese fra le sezioni di questi due follicoli che presentano un diametro maggiore. Ocul. 3, obbiett. S* Koritska. • T -,7 >'- r', >^> .. * . ■>. T ’ ' ■ ■ /•■ ^ I '• 'Xt,)'..{Vf ,''* .'(i'V .■ if-f' . r • ;, ’.v vfi • ‘ • ■?! 'i'. ■■¥ ^ . . ■ ■< ' ■'-■ ■ .V. w V. :.v< <“ '1^ • '’rv ; X^.- '- • . > A t . ( - "‘J ■ . • ■ ■* -s^ • Xr * *■•--- • » % » ■ ' .\.' ,>* ■■ ■' : •■ ./!i.->. t ■-■.■. "ic » 1 ' ! i.r^ >f> j--i,i#.rt*< 1 >fn»»<.*vfn « ■ . A "" * '■’' ; .'k r' ' ■ * ' '* '• • ’ . ' .A-* . i • • '' . ‘'-V.V’'v . . ■■ ' < •*» • • . u i ' 1 , - , ' , 1 4 fM r.'t, ■ ■'■> ■ ■') : (tn • • *■ . 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C>fiai.xt’ h'iifA ti( Ootiiio , (?f. .^c. jl\ uiat. e iial. - e)eru' Oo/no LXV ! qfi x^^ n r ■ Wcf.1‘2 ^ A %®G,r <^Q ,0 &L®®©°s 030^ r ^ < 3 > ^ ^■^sS ©(?, • '■ <3 ^ V ® Il IqQp, e©V 0 J 0,00^'fi 3 r , ’ p ^^ a >- . N 'sV' 4'M&t 5^,4;/s L>2L®S>WL-^ 4L,/ Li °® f 4 e „ w,ro &■ ^ © J ' Vf /. IO S > d ^ ^ rò '^. ^ ®LoS£e.?b'®ra 4> A y f J - ^ ^ '^■ 2 > ^ QO <3 'L|9 6& J/sl QX®®®"' Rh '^ f ^ r \ Ó . .•V ^ / VVjr . /.? fi 0 * <3 >/ v ®^'''' f ^ ■■'••■ ■, 0 <ìi ,9 te !0 /o> I--.. ^»0v ■3 3 ■ © X, o- .f 3^0 ' '‘(©® Q.',^ -,a®A^^1 , AG rjj <è . .... . 'T Xì ®,, )é , ;T ' e ■ qQ , ■ '■^O ^© ' /{^ ’l /p®l ®0S.' :c^, ' (Ol'S.O#® " ■ -■:' 'fÌ4. '©'53 Q ’ ' :|e®«ks LrlL» L>e. teS ::......^ xi'.„ie ’■■"• ■ S >-; te 'A 3 0 V \. ; ó « 0 5§ Lit . ^ì(^itliibofùl , 7’ornio . Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Voi. LXVI. - N. 8. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. SULLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE e sulla Patogenesi della trasformazione fibroadenoidea nella milza MEMORIA DEL SOCIO PIO p o A (con una tavola) Approvata nell’adunanza del 14 Novembre 1915 (1). Dal tempo in cui Bizzozero ha recato la dimostrazione della preesistenza nel sangue circolante dei mammiferi di quelle forme da lui denominate piastrine, e da altri vedute prima e diversamente denominate a norma della supposta funzione che ad esse attribuivano (ema- toblasti di Hayem), il quesito che più di sovente fu tentato di risolvere era appunto quello della struttura, del vero significato e della sorgente di produzione delle piastrine del sangue. Quanto più oscuro era il problema e tanto più si moltiplicavano le ipotesi dei vari osserva- tori. Oggidì sono quasi scomparsi i partigiani della teoria di derivazione delle piastrine dai globuli bianchi. Solo L. Martelli di recente (v. “ Pathologica N. 151, 16 febbraio 1915) scrivendo sulla genesi ed importanza delle piastrine venne, fra le altre, anche alla conclu- sione che esse derivino dal disfacimento dei corpuscoli bianchi, oltreché dall’involuzione del- l’intero eritrocito. Che le piastrine derivino piuttosto da distruzione di globuli rossi è opinione di molti anche ai nostri giorni. Ad essa è pervenuto anche il Ferrata dopo una critica di- samina delle varie opinioni emesse dagli autori (v. A. Ferrata, Morfologia del sangue nor- male 0 patologico, Società Editrice Lombarda, 1912, pag. 216 e 217). Parecchi autori sostennero che le piastrine siano elementi autonomi, e fra questi sono principalmente il Deetjen {Untersuchungen iiber die Blutplàtchen, * Virch. Arch, 164, 1901) e Burcher {Blutplàtchen und Blutgerinnung, Pflùger’s Arch. Bd. 102, 1904). Il primo am- metteva che le piastrine fossero vere cellule fornite di nucleo capaci di movimenti ameboidi, il che non è proprio di eritrociti privi di nucleo. Il Burcher, dichiarando insostenibile la de- rivazione delle piastrine dagli eritrociti e dai leucociti, le riconosce sempre prive di emoglo- bina, e fornite di corpuscoli interni di probabile natura nucleare. Secondo il Burcher le pia- strine sarebbero veri elementi autonomi cui sarebbe designata una parte importante nella coagulazione del sangue. Già il Morawitz (“ Deutsch. Arch. f. Klin. Medizin „, voi. 79, 1900) trovò che le piastrine forniscono la trombokinasi, la quale, col trombogeno preesistente nel sangue, dà, in presenza di sali calcari, la precipitazione della fibrina. (1) Questa Memoria riassume due Note presentate per gli Atti nel mese di Giugno 1915. 3 Pio POÀ — SULLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECC. Bizzozero aveva ritenuto le piastrine come elementi autonomi, ma ne ha ignorato le fonti di produzione. FoÀ {Sur les plaquettes du sang, “ Arch. italiennes de Biologie „ voi. 33, 1900), e Sacerdotti (“ Anat. Anzeiger 1908 e Sulle piastrine del sangue nei mammiferi, “ Arch. per le Scienze mediche „, voi. 17, 1893), hanno dimostrato che la produzione delle piastrine dagli eritrociti come fu ammessa da Maximow non poteva difendersi sia di fronte al diverso modo di colorarsi, sia di fronte alla diversa reazione chimica che i corpicciuoli descritti dal precedente autore come piastrine presentavano in confronto alle piastrine vere del sangue circolante. Anche Rosus e Biebergil {“ Zeitschr. f. Kl. Med. voi. 55, 1904) studiando il sangue colle colorazioni vitali arrivarono alla conclusione che le piastrine fossero elementi autonomi e capaci di movimenti ameboidi. Tchistowitsch (“ Folia Hematologica voi. VI) suppose, e Ottolenghi (“ Atti dell’Accad. fisiocritici di Siena „, 1904) ha confermato, che le piastrine possano considerarsi apportatrici di sostanze difensive verso le malattie d’infezione, e Sacerdotti {Le piastrine dei mammiferi e il siero antipiastrinico, “ Arch. d. S. mediche voi. 32, N. 18, 1908) ha provocato la for- mazione di un siero antipiastrinico specifico, il che se non basta a dimostrare la indipen- denza genetica delle piastrine del sangue da altri elementi, contribuisce a respingere le idee della loro derivazione dai globuli rossi. Di fronte a tanta disparità d’opinioni, un accordo si è potuto fare tra i diversi autori, quello, cioè, che le piastrine sono in realtà preesistenti nel sangue circolante normale dei mammiferi. A causa di una specie di stanchezza e scetticismo intorno alla genesi delle pia- strine, date le continue contraddizioni ad ogni nuova pubblicazione, si comprende la quasi inavvertenza fra gli autori, sopratutto italiani, con cui nei primi anni si è presentata la nuova concezione di Wright sulla produzione delle piastrine da parte dei megacariociti delle mi- dolla delle ossa (“ Boston med. a. sur. Journal „, voi. 154., 1906, e “ Virchow’s Archiv voi. 186, cui fece seguito altra pubblicazione sullo stesso argomento e dello stesso autore: The Histogenesis of thè Blood Ptatelets of thè Massachusettes General Hospital, Boston, 1910). Il fatto si spiega non solo per la suaccennata successione di molte ipotesi, di cui nes- suna aveva potuto essere universalmente accolta e delle quali la più sopravvivente era quella della genesi delle piastrine dai gl. r. del sangue (vedi Ferrata, Morfologia del sangue, 1912 e più di recente: Foti, “ Arch. di fisiologia voi. XI, fase. VI, 1913), ma anche per le molte incer- tezze sulla natura e sulla funzione di quelli elementi che, scoperti da G. Bizzozero nella midolla delle ossa dei mammiferi e da lui denominati cellule giganti a nucleo centrale in gemmazione (“ Morgagni Napoli, 1869), furono poi detti megacariociti da Howel (“ Journ. of Morphologie Boston, voi. IV, 1890) e cellule gigantesche della midolla delle ossa dagli autori tedeschi. Molte ipotesi furono fatte sulla natura e sul significato di quegli elementi ai quali fin dai suoi primi studi Bizzozero negava la capacità di contrarsi, non avendola mai potuto riscontrare col mezzo del tavolino riscaldante, pure ritenendo la loro probabile deri- vazione dai leucociti. Il Golgi nel 1872, descrivendo la midolla delle ossa nei vajuolosi, emise l’ipotesi che i megacariociti producessero globuli bianchi del sangue, ipotesi che più tardi Arnold ha riprodotto. Foà e Salvioli li ritennero indirettamente in rapporto colla produzione degli eritrociti (ipotesi più tardi abbandonata dagli autori). Howel (1. c.) aveva descritto nei megacariociti la produzione di frange e la emissione di sostanza omogenea destinata a en- trare nel circolo sanguigno, che suppose in rapporto coll’ematopoesi, come più tardi sosten- nero Van der Stricht (1892), Trambusti e Banti. Aschoff, Arnold, Foà e Demel dimostrarono l’attività fagocitarla dei megacariociti in certi casi patologici e da Aschoff, Lubarsch, Foà, Langemann e Sapegno fu dimostrata la possibilità del trasporto embolico dei megacariociti e sopratutto della loro massa nucleare nei capillari del polmone e di altri organi in determi- nate circostanze patologiche e forse anche, ma in misura molto limitata, nello stato normale SIEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 8. 3 (vedi in Sapegno, Trasporto embolico dei Megacariociti: “ Arch. p. le S. med. voi. XXXII, N. 7, 1908, la bibliografia dell ’argo mento ; vedi anche U. Maccabruni, I Megacariociti, “ Internat. Monat. f. Anat. u. Psycholog. „, 1910, H. 12). Frattanto comparvero sull’argomento diverse pubblicazioni intese a dare una più intima conoscenza sulla struttura dei megacariociti. Ilaidenhain ne ha dimostrato la struttura assai complessa. Egli ne distinse più tipi o varietà secondo il grado diverso di differenziazione del citoplasma, che in alcuni si presenta in tre diverse zone concentriche. Un ammasso chiaro intorno al nucleo, una zona periferica oscura più intensamente colorabile, e una zona peri- cellulare composta di una sostanza omogenea e trasparente. Queste tre zone costituiscono l’esoplasma, mentre esiste un endoplasma che può anch’esso presentare delle differenziazioni. Arnold mise in evidenza delle zolle variamente distribuite e dei megacariociti con proto- plasma ciliato (vedi “ Virchow’s Archiv Bd. 110, 1895), e già dissi dell’importanza che alla parte pericellulare attribuirono Howel e molti altri, rispetto ad una funzione secretiva. Pregevoli contributi alla fine struttura degli elementi in questione furono portati in Italia da Verson (“ Bollettino della Società Medico- Chirurgica di Pavia 1906) e da Maccabruni (loco citato). Più tardi nel 1907 Schridde descrisse i megacariociti come elementi il cui grosso nucleo è nettamente limitato da una zona formata di minute granulazioni azzurrofili, alquanto più grosse di quelle dei leucociti neutrofili, ma da questi nettamente distinte per il color rossigno torbido (schmutzigroth) che assumono trattando gli elementi col metodo dell’Azzurro- Eosina-Acetone (v. “ Zeitschrift f. Aerztliche Fortbildung Jena, 1907 e negli “ Anatomische Hefte H. 99, Bd. 33, 1905). All’esterno della parte granulosa del protoplasma, si osserva, non costantemente però, una zona omogenea priva di granuli. La distinzione fra le due zone granulosa ed omogenea nei megacariociti era già stata descritta e raffigurata da me: Vedi Beitrdge zur Studium des Knochenmarck (“ Verhandlungen des deutschen Pathologischen Gesellschaft Erste Tagung, 1899). Già abbiamo accennato alla funzione fagocitaria dei megacariociti, e persisto nella mia vecchia idea che tale funzione si eserciti a scopo di distruggere leucociti divenuti incapaci di compiere le loro funzioni fisiologiche quali si osservano in abbondanza nella midolla delle ossa di quegli animali nei quali sia stata provocata una iperleucocitosi col mezzo di certe sostanze introdotte nel sangue (aleurone, veleni bacterici, ecc.; FoÀ e'DEMEL, Sulla iper- leucocitosi, “ Atti dell’Acc. di Scienze Torino, 1899). Importanti in merito alla funzione degli elementi in questione sono le osservazioni iniziate da Arnold nel 1895 (1. c.) e con- tinuate da Saxer (“ Anat. Hefter „ Bd. VI, 1896) e da Askanazy (“ Beitr. zur Knocken- pathologie Festschrift f. Jaffe „, Braunschweig, 1901), e sopratutto da Verson (1. c., 1906), e più tardi da Schridde (“ Anat. Hefte „, 1907), sulla facoltà dei megacariociti di compiere propri e ben determinati movimenti. Già Maccabruni aveva osservato (1. c.) alcuni casi di megacariociti attraversanti le pareti vasali, sopratutto nella milza del gatto neonato, il che ebbi di recente occasione di confermare io pure parecchie volte. Queste osservazioni potrebbero concorrere a interpretare il fenomeno suindicato del trasporto embolico di interi megacariociti in vari organi, come il polmone, il fegato, la milza, e quello osservato da alcuni autori come reperti accidentali, e recentemente da Naegeli (“ Centralbl. f. Allg. Path. Bd. XXV, N. 10, 31 Mai 1914) e da Oelhafen (“ FoliaHemat. „, Bd. XVIII, H. 3, Mai 1914) come reperti molto frequenti della piesenza nel sangue circolante di megacariociti, sopratutto nelle mielosi croniche, nella policitemia e nell’avvelenamento da Pb. Ritornando ora dopo questa digressione storica sulla struttura e sulla funzione dei me- gacariociti alla pubblicazione di Wright, ricordiamo avere egli adoperato di preferenza il gatto come animale di osservazione e impiegando il metodo Leishmann da lui modificato per la colorazione, ed esaminando sezioni di organi ematopoetici fissati in alcool metilico, perviene alla conclusione che le piastrine sono particelle separate per strozzamento dal protoplasma dei 4 PIO FOÀ — SDLLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECO. megacariociti. Il citoplasma dei niegacariociti emette dei prolungamenti a guisa di pseudo- podi che penetrano nei vasi sanguigni. Nel citoplasma dei megacariociti l’autore distingue due parti: una centrale fatta di granuli azzurrofili molto addensati e una periferica ialina; la prima identica alla parte cromomera delle piastrine, e l’altra simile alla parte ialomera delle medesime. Dai pseudopodi si differenziano e si staccano delle piccole masse, granulari al centro e ialine alla periferia, che sarebbero a considerarsi vere e proprie piastrine (Per ben comprendere questa parte non servono le microfotografie annesse al lavoro pubblicato sull’Archivio di Virchow, ma piuttosto e molto chiaramente le tavole cromolitografate annesse al lavoro The Histo- genesis of thè Blood Platelefs, “ J. H. Wright. Journal of Morphology voi. 21, H. 2, July 1910). L’autore, a conforto della sua tesi, ricorda che le piastrine si trovano solo nei mammiferi, i quali possiedono i megacariociti e non negli uccelli, nei rettili, negli anfibi che ne sono privi. Le piastrine appariscono nel sangue embrionale solo successivamente alla comparsa dei me- gacariociti. Pur troppo la riproduzione esatta di figure come quelle pubblicate da Wright su preparati ottenuti col suo metodo, non è cosa facile, perchè molto spesso il metodo fallisce, e ciò fu osservato in vari laboratori, ma per fortuna si possono ottenere ugualmente buoni resultati col metodo dell’Azur II — Eosina proposto da Schridde. I resultati di Wright ebbero una conferma quasi completa in America da Bunting Ch., da H. Brown e da Hai. Downey. E sopratutto adoperando il metodo Schridde che Ogata nel laboratorio di Aschoff ha ese- guito il lavoro pubblicato poi negli “ Ziegler’s Beitrage „ (Bd. LII, 1912). In esso l’Autore descrive gli stessi fatti osservati da Wright, ossia pseudopodi irradiati dai megacariociti e diretti nel lume dei vasi sanguigni, in cui si differenziano sempre più fino a distaccarsi da essi di piccole formazioni che hanno al centro una massa granulosa e alla periferia un alume omogeneo, ossia in corpicciuoli identici alle piastrine. Già nel mio lavoro sui sieri citotossici (Eoa, “ Accad. Reale delle Scienze di Torino „ e “ Arch. d. S. mediche », 1906) avevo dimo- strato coi preparati colorati colla miscela di pironina, verde di metile, che il protoplasma di alcuni megacariociti presentava un aspetto che ricordava un poco i corpi di Nissl nelle cel- lule nervose, e dipendente dalla formazione di accumuli o zolle di protoplasma finemente granulose sulla superficie del megacariocito. Lo Schridde (1. c.) raffigura egli pure dei cumuli 0 zolle di protoplasma nei megacariociti e denomina il fatto: Felderung (campeggiamento). Ora siamo in grado di interpretare questo fenomeno come una formazione che precede la produzione delle piastrine. Ogata confermò le sue osservazioni anche nei megacariociti che si trovano nel fegato embrionale e nella midolla delle ossa di conigli infettati collo stafilo- cocco p. aureo e rileva il fatto del simultaneo aumento delle piastrine e dei megacariociti negli animali salassati, e nei casi di leucemia midollare, in cui esiste una iperpiastrinosi del sangue e insieme un aumento dei megacariociti nella midolla delle ossa. A quest’ultimo riguardo sono interessanti le osservazioni fatte di recente da Naegeli, 1. c., il quale mette in relazione il numero dei megacariociti nel sangue circolante coi processi iperplastici del tessuto mieloide, e dimostra nel citoplasma dei megacariociti granulazioni azzurrofili assolu- tamente analoghe a quelle delle piastrine, onde egli tende ad ammettere la teoria di Wright, per la quale però fa voti che si l’accolgano altre prove. Oelhafen, 1. c., afferma di non avere mai trovato pseudopodi nei megacariociti circo- lanti nel sangue in casi di mielosi croniche o in altri casi, e rileva che le granulazioni azzur- rofili dei megacarióciti sono più fine di quelle delle piastrine, le quali sono più grossolane e più azzurrofili. Non credo che ciò possa bastare ad infirmare la teoria di Wright, anche perchè fra le granulazioni del megacariocito e quelle delle piastrine vi possono essere e vi sono effettivamente delle differenze che dipendono dal grado di sviluppo del processo di formazione delle piastrine dei megacariociti, come si dirà più avanti. Di recente Boti (“ Arch. d. fisiolog. », voi. XI, fase. VI, 1913) credette di rafforzare la dottrina della derivazione delle piastrine del sangue dai globuli rossi mediante ricerche su MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 8. conigli avvelenati colla pirodina. Secondo l’A., dopo una diminuzione di piastrine che segue immediatamente alla iniezione endovenosa di pirodina, apparisce dopo mezz’ora un forte aumento numerico di piastrine che si fanno gigantesche. 11 numero degli eritrociti scomparsi dopo l’iniezione sarebbe corrispondente all’aumento delle piastrine neoformate. Cesaris-Demel, nell’" Archivio d. Scienze mediche „ (voi. XXXVIII N. 14, 1914), ha sottoposto a controllo le esperienze di Foti, adoperando per le sue espe- rienze conigli, gatti e cavie. Ma è particolarmente dai gatti giovani, in cui la piastrinosi sia stata aumentata colle inie- zioni di pirodina nel sangue, che nei preparati di midolla delle ossa fatti per istriscio riuscì all’autore di raffigurare le più chiare e convincenti imagini di produzione di piastrine dai me- gacariociti, aderendo così senza riserve alla dottrina di Wright. Io credo che la più convincente delle figure dall’autore riprodotte sia quella segnata N. 5 nella tavola XV (1. c.). Lo stesso autore ha di recente confermato le conclusioni precedenti anche esaminando i megacariociti contenuti nelle milze del riccio (“ Atti della Società Toscana di Scienze naturali Processi verbali, voi. XXIV, N. 2, nota preventiva). Il reperto di megacariociti nella polpa splenica è abbastanza frequente in diversi animali, e già Wright ha ammesso che da quelli come nella midolla delle ossa abbiano origine in parte le piastrine che si ti’ovano nella polpa sple- nica. La frequenza del reperto di cumuli di piastrine nelle lacune della milza, a differenza di quel che avviene in altri organi di deposito degli elementi del sangue (ghiand. linf., fegato, midolla delle ossa), poteva fare supporre anche la produzione di piastrine nella milza stessa (v. FoÀ, Contributo alla conoscenza degli elementi costitutivi d. polpa splenica, “ Archivio p. le Scienze mediche „, 1906), ma ulteiùori indagini mi costringono a ritenere che la possibile produzione di piastrine nella milza sia solo legata alla presenza in essa di megacariociti, mentre d’ordinario i cumuli di piastrine che si isolano non in tutte, ma in molte polpe spleniche preparate per striscio, rappresentano in realtà dei depositi, forse col fine della consecutiva distruzione degli elementi depositati. A volte infatti, si trovano piastrine meno bene conservate, incluse in un elemento che le ha fagocitate. Avanti di chiudere questa rassegna delle più recenti pubblicazioni sull’argomento, amo ricordare una mia Conferenza letta all’Associazione Sanitaria Milanese (vedi FoÀ, Sul con- cetto moderno della trombosi. Milano, 23 marzo 1912), nella quale, dopo di avere esposte le conclusioni di Wright e di Ogata, aggiunsi un cenno sommario di mie proprie esperienze appena iniziate, dalle quali traevo conclusioni che mi accostavano a quelle di Wright, seb- bene ancora sentissi il bisogno di confermarle con più larghe indagini. Per cause indipendenti dalla mia volontà, ho dovuto sospendere per molto tempo sia le ricerche, sia la pubblicazione dei risultati ottenuti, i quali ora cerco di riassumere il più brevemente che mi è possibile. Lo scopo fondamentale delle mie ricerche fu quello di esaminare, oltre che negli animali giovani normali, i megacariociti di animali che in vario modo avevo trattato al fine di pro- vocare in essi una vivace produzione di elementi incolori dal sangue, la quale suole accom- pagnarsi quasi sempre con una iperpiastrinosi. Le stesse cause che provocano la iperleuco- citosi, la iperpiastrinosi e la grande moltiplicazione degli elementi incolori della midolla, conducono anche ad aumento numerico di megacariociti, onde era sperabile di poterli cogliere nella loro maggiore attività. Vari sono stati i mezzi da me adoperati per ottenei’e il suddetto risultato. Il salasso ripetuto, talune infezioni bacteriche, l’azione di sieri mielotossici, la provocazione di uno stato di grande iperleucocitosi e iperpiastrinosi per mezzo dello stringimento della vena porta nel coniglio (vedi FoÀ e Salvigli, Ricerche anatomiche e sperimentali sulla patologia del fegato. “ Archivio per le Scienze mediche voi. Ili, N. 17, 1878), l’azione della pirodina, della sapo- nina e del toluolo sul sangue e sugli organi ematopoetici. (' PIO FOÀ — SULLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECO. Nel corso di ciascun esperimento ho raccolto vari preparati del sangue onde seguire grado grado l’aumento dei leucociti e delle piastrine, e a questo proposito vorrei fare al- cuni rilievi. Metodi di preparazione. — In genere, ho colorito i vetrini coprioggetti su cui facevo lo striscio, col May-Giemsa, oppure, dopo passaggio del vetrino attraverso la fiamma, col- l’ematossilina ed cosina, che è sempre uno dei migliori mezzi per porre in evidenza la pre- senza eventuale di normoblasti e 1’esistenza della policromassia. Ma ogni volta che io volevo accertare in modo molto evidente la presenza e la quantità delle piastrine, ho preferito pas- sare il vetrino coprioggetti tre volte alla fiamma oppure alla stufa a 120° e poi colorarlo col Giemsa, o coll’Azzurro-Eosina (Schridde) diluito (2 goccie della soluzione colorata in 20 cc. di acqua distillata) per alcune ore. Questi preparati presentano nella massima evidenza le piastrine, mentre sono meno adatti per gli altri elementi del sangue, eccetto che per le mastzellen, che appariscono pure molto bene colorate. Ho trovato che si può ottenere un buon preparato di mastzellen e anche di piastrine, versando due goccie della predetta solu- zione colorata in 20 goccie di acetone. La materia colorante si diffonde meno rapidamente nell’acetone che nell’acqua distillata, ma agitandola con una bacchetta di vetro si ha presto una soluzione omogenea. Questa si versa sul vetrino copraoggetti su cui si è fatto lo striscio 0 che si è passato 3 volte alla fiamma, tenendo in alto la faccia su cui è fatto lo striscio, e si attende che l’acetone sia svaporato quasi interamente, il che avviene in pochi minuti. Allora si lava il preparato, lo si asciuga in carta bibula e lo si monta in balsamo, o nella soluzione di colofonia in trementina consigliata da Wright. Come dissi, si ha con questo me- todo rapidamente un preparato discreto del sangue che si vuole sollecitamente esaminare, e sopratutto si colorano bene le cellule a granuli basofili e le piastrine meglio che col May- Giemsa. Se il vetrino non fu riscaldato, non si colorano le cellule a granuli basofili (mastzellen). Altro preparato estemporaneo, e che si può anche meglio conservare a lungo di quelli precedentemente descritti, si ottiene passando il vetrino copraoggetti collo striscio tre volte attraverso la fiamma, indi colorandolo per 2-3' colla soluzione di eosina 0,5 °/o, e lavatolo vi si passa sopra una goccia di liquido di Loeffler, che si lava rapidamente con un getto d’acqua; si asciuga su carta bibula e si monta sul portaoggetti. Con questo metodo si mettono rapidamente in evidenza i leucociti pseudoeosinofili, mentre appariscono meno bene gli altri elementi. Finalmente in casi opportuni giova l’esame del sangue fresco colle soluzioni di rosso neutro al fine di rilevare l’intensità di rigenera- zione negli eritrociti dalla presenza della sostanza granulo-filamentosa. Io ho in uso di preparare diversi vetrini copraoggetti su cui fu fatto lo striscio col sangue dello stesso animale in esperimento, con ciascuno dei metodi sopraindicati, per avere colla maggior evidenza quel risultato che è più proprio di ciascuno di essi. Per ottenere dei buoni preparati, sopratutto dalla midolla delle ossa e dalla milza, è necessario di uccidere espressamente, al momento opportuno l’animale in esperimento, al fine di collocare i pezzetti di organi nel liquido fis- sativo, ancora caldi. La midolla delle ossa di animali morti spontaneamente anche solo da poche ore si distingue subito per alterazione sopratutto dei megacariociti, da una midolla fissata allo stato fresco e presa dall’animale appena ucciso. I liquidi fissatori adoperati furono: alcool metilico, formol-alcool, formol sublimato, liquido di Orth e liquido di Foà (sublimato 2, liquido di Miiller 100), Le mie preferenze sono per quest’ultimo, ma si hanno buoni preparati anche col liquido di Orth, e coll’alcool metilico ; meno costantemente si hanno preparati del tutto soddisfacenti col formolo, e ciò in parte dipende forse dal tempo in cui vi son lasciati i pezzi, però questi hanno il vantaggio di consentire una buona colorazione dei granuli dei leucociti, nei tagli rispettivi. Come liquido colorante adoperai la soluzione di Schridde, o quella di Giemsa, oppure una goccia di Schridde e una goccia di Giemsa in 20 goccie di H^O distillata, per 14-25 ore, indi lavavo il pre- MEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM, E NATDK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 8. 7 parato, e di nuovo lo coloravo colla detta soluzione ripreparata di recente, per altre 6-7 ore. Il preparato veniva tosto lavato e poi rischiarato con una soluzione tenue di acido acetico, rilavato, asciugato con carta bibula, indi trattato con acetone, acetone-xilolo e balsamo, o colofonia in trementina, previo rischiaramento con olio essenziale di trementina dopo il pas- saggio e l’evaporazione dell’acetone. Anche i tagli possono essere colorati rapidamente, a scopo di diagnosi estemporanea, colla diluzione della miscela colorante in acetone, atten- dendo a lavarla che l’acetone sia svaporato, e montando il preparato al solito modo. Spesso si ottiene cosi di farsi subito un concetto esatto della struttura che si ha sott’occhi, e talvolta riesce anche di potere conservare abbastanza a lungo il preparato, ma per la migliore analisi degli elementi del tessuto, è preferibile il metodo di colorazione lenta colle diluzioni (2 goccio per 20 di acqua distillata) delle predette soluzioni coloranti. Se il preparato fatto coll’acetone si è venuto presto scolorando, lo si può ancora ripren- dere colla più lenta azione della diluzione acquosa. Purtroppo anche i preparati bene fissati e colorati lentamente colle diluzioni acquose dopo qualche mese si scolorano, e la ripresa della colorazione è possibile, ma con effetto non così chiaro come la prima volta. Se il caso interessa molto, è prudente pertanto conservare il blocco paraffinato del pezzo per poterne di quando in quando rinnovare qualche taglio, oppure conservare i tagli dei pezzi impa- raffinati fissati su portaoggetti, da colorarsi man mano lo si desideri. Quando si abbiano a raccogliere dati di molte esperienze fatte a distanza di tempo, anche a solo scopo di dimo- strazione, questa è una misura prudente da consigliarsi. Esami di animali normali. — I conigli molto giovani del peso di 4 a 500 grammi presentano spesso all’osservazione della midolla delle ossa due particolari degni di nota ; cioè: un numero piuttosto alto di megacariociti, e un’attività discreta dei medesimi. In taluni soggetti si vede in preparati di midolla fissati nei liquidi di Foà, di Orth, o in formolo, che i numerosi megacariociti si presentano quasi tutti con una densa quantità di granuli azzur- rofili intorno al nucleo e colla emissione di frangie composte di propaggini sottili omogenee alla periferia dell’elemento. Accade spesso che nulla più di questi particolari si vedano negli elementi in discorso, e dimostrerebbero la giovinezza dell’elemento in attività (secretiva? — Howel) ma col protoplasma non ancora differenziato in zolle e in corpicciuoli. Io debbo osser- vare che il numero dei megacariociti non è costante nei singoli casi che pure paiono nor- mali, e che talora sono scarsi e tal’altra molto numerosi. Gli animali di cui fu px’eparata la midolla delle ossa freschissima possono sembrare nor- mali e anche i rispettivi preparati di sangue nulla accennano ad alterazioni ematopoetiche; tuttavia, sia per l’ampiezza dei vasi sanguigni, sia per il numero dei megacariociti e per l’attività in genere leuco od eritropoetica, si hanno delle variazioni individuali di cui non è facile valutare la causa. In taluni piccoli coniglietti normali i megacariociti presentano non più l’ammasso denso di minute granulazioni azzurrofili, ma di corpicciuoli numerosi intorno al nucleo e alla periferia dell’elemento, o impigliati nelle frangie, i quali corrisponderebbero alle piastrine, così come si vedono nei preparati di sangue colorati nello stesso modo. Però non si può arrivare a questa interpretazione in modo sicuro colla osservazione diretta e iso- lata del preparato. Il coniglio, infatti, non è l’animale che meglio si presti alla dimostra- zione certa e diretta della produzione delle piastrine dei megacariociti. Il reperto suddetto acquista in taluni casi molta importanza, e l’interpretazione meglio giustificata si avrebbe però solo quando, in seguito ad osservazioni fatte su altre specie di animali più adatti, si com- prendesse di potere interpretare come piastrine i corpicciuoli che si producono nel proto- plasma dei megacariociti, benché col metodo adoperato non restino distintamente isolate la parte granulosa e la parte omogenea. 8 PIO POÀ — SDLT;A PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECO. Il fenomeno della emissione di pseudopodi descritto da Wright e del loro contatto im- mediato colle sottili pareti dei capillari non è punto frequente nella midolla dei giovani conigli normali, onde questa si presta poco bene per una dimostrazione sicura del fenomeno. Chi ha esaminato moltissimi preparati, può bensì concludere per un’attività piastrinogena maggiore o minore dei megacariociti, ma sempre col sospetto che l’interpretazione del feno- meno sia in parte dovuta a idee preconcette. Anche per questo, e avendo molto a lungo lavorato solo sul coniglio, la decisione mia in favore della produzione di piastrine dei mega- cariociti era rimasta in sospeso. A poco o nulla mi hanno servito in proposito i preparati per strisciamento, nei quali solo accidentalmente si poteva penetrare l’attività intima dei megacariociti. Ma ogni dubbio è scomparso quando ho concentrato le mie osservazioni sulla midolla dei giovani gatti. Che il gatto sia l’animale che meglio si presta allo studio della genesi delle piastrine fu posto in evidenza da Wright e confermato dagli autori successivi (vedi Demel, 1. c.). Io ebbi occasione di esaminare una dozzina di giovani gatti, da me ritenuti normali, e oltre ad ottenere dalla midolla dei femori, dallo sterno e dalle coste dei preparati ricchi di megacario- citi, ho osservato che a differenza di altri animali, nella stessa midolla delle ossa, ma par- ticolarmente in quella delle coste, si trovano spesso molti accumuli di piastrine colla struttura caratteristica e ben definita della parte granulosa azzurrofila e della parte ialina ; accumuli che vidi anche particolarmente nelle milze dei cani, delle cavie e dei conigli (FoÀ, Contributo alla conoscenza degli elementi costitutivi della polpa splenica, “ Arch. p, le Scienze mediche „, 1906), ma che nella midolla accennavano piuttosto ad una neoproduzione che ad un semplice depo- sito, visti i particolari di struttura che si manifestavano nei rispettivi megacariociti. La mi- dolla del gatto si presta assai bene a fare preparati dimostrativi per strisciamento su vetrini, mentre i tagli della midolla fissata nei vari liquidi, pure offrendo preparati dimostrativi, non riproducono l’intima struttura dei megacariociti colla stessa evidenza che è offerta dai preparati per istriscio. Una lunga serie di preparati per istriscio fu da me fatta su giovani gatti da me ritenuti normali, ed ebbi esemplari di giganteschi megacariociti con o senza propaggini (pseudopodi), in cui spiccavano colla massima evidenza le due parti di cui consta il proto- plasma dell’elemento, cioè la parte granulosa azzurrofila l'icchissima addensata intorno al nucleo e per quasi tutta la superficie dell’elemento, e la parte omogenea leggermente baso- fila che si presenta sottile alla periferia e talvolta a frangio e a festoni. Anche a questo grado di attività dei megacariociti spicca evidente l’identità delle rispettive granulazioni azzurrofili con quelle che si osservano spiccatamente nelle piastrine grandi che si accumulano nella stessa midolla, e di cui ho fatto cenno più sopra. Ma è sorprendente come si possa anche in uno stesso preparato incontrare talvolta megacariociti che presentano già degli accenni col raccogliersi in piccoli blocchi di granuli azzurrofili, e altri in cui tutta la super- ficie dell’elemento è raccolta in blocchetti o piccole zolle, di elementi granulosi col relativo sostrato omogeneo (felderung, campeggiamento), ai quali non resta che di sciogliersi dall’ele- niento per costituire corpuscoli indipendenti identici alle piastrine del sangue. In altri esem- plari si osserva che il megacariocito è costituito in massima parte daH’ammasso denso granuloso, ma che alla periferia si formano gradatamente dei cumuli di granuli, e poi degli ammassi di piastrine (vedi Tavola U, fig. I, II, III). Conviene evitare l’errore di affermare senz’altro quali prodotti dai megacariociti i cumuli di piastrine che si trovano isolati nel preparato, e che si potrebbe ritenere siensi in parte appiccicati alla periferia dell’elemento. Solo un esame accurato di molti esemplari riesce a mettere in evidenza che i cumuli di piastrine alla periferia si formano gradatamente da cumuli o zolle di granuli azzurrofili for- matisi nel protoplasma del megacariocito. Cesaris-Demel ha raffigurato bene questo parti- colare nella fig. V, Tavola 25, del suo lavoro (1. c.) più ancora che nelle altre sue figure. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 8. 9 E io posso confermarlo colla osservazione di molti simili preparati. La fig. Ili della Tavola annessa al presente lavoro è tratta da un mio preparato di midollo delle ossa estratto da un giovane gattino poppante che credetti normale, ma poi seppi che la gatta che lo nutriva era morta poco prima di enterite, e lo stesso gattino da me esaminato era piuttosto magro, onde perfettamente normale non doveva essere. Invece, le figure I, II furono tratte da gio- vani gatti già autonomi e di apparenza veramente normale. Nella prima vi ha un accenno, ma nella seconda è spiccatamente visibile la massa delle granulazioni azzurrofili che occupa quasi tutto l’elemento, e 1’addensarsi delle granulazioni in piccoli campi circoscritti, da cui sporgeranno al fine corpuscoli differenziati composti di una parte granulosa centrale e della parte ialina periferica. Nella figura III (a) si vedono, accanto al megacariocito, accumuli di piastrine che erano frequenti nel preparato e la cui struttura è evidentemente identica a quella dei corpuscoli differenziati ancora compresi nel protoplasma del megacariocita. È tolto il dubbio che le piastrine alla periferia di quest’ultimo vi siano solo appiccicate, perchè si può seguirne la formazione grado a grado nel protoplasma stesso. Piuttosto, i cumuli sud- detti possono essi derivare dalla produzione di megacariòciti pressoché interamente tras- formati in piccoli densi accumuli di granuli nel protoplasma omogeneo. Ritornando un po’ addietro, è certo che uno dei reperti più caratteristici e più istruttivi, il quale per verità non si ha la fortuna di vedere tanto di frequente, è quello suaccennato dalla fig. II, riprodotto fedelmente da un preparato per istrisciamento, di midolla normale di un giovine gattino. È un gigantesco megacariocito, il cui protoplasma è interamente diviso in piccole zolle di granuli azzurrofili, già distinte l’una dall’altra, cui non manca che la scomposizione o la separazione autonoma di ciascuna di esse per costituire un ammasso di corpicciuoli affatto simili alle piastrine. Dirò più oltre della midolla delle ossa di gatti trattati colla pirodina ; ora proseguo ad accennare solo alla prima serie di esperienze fatte, e precisamente al salasso ripetuto in conigli giovani e adulti. Esperimenti vari. — Io mi affretto a dire che non ho trovato, almeno per il coniglio, che col salasso ripetuto si ottengano risultati molto evidenti, il che fu osservato anche da Demel (1. c.). E vero che negli animali salassati aumentano le piastrine nel sangue, ma io non ho potuto rilevai'e con assoluta certezza che la quantità dei megacariòciti fosse sensi- bilmente aumentata nelle rispettive midolle. Le differenze individuali sono notevoli, partico- larmente negli animali giovani. In questi, non trattati in alcun modo, si può trovare una gi’ande abbondanza di megacariòciti, tanto che se tale reperto si avesse dopo avere eseguito alcuni salassi, si sarebbe tentati di attribuirlo all’effetto dell’anemia artificiale con conse- guente rigenerazione di elementi midollari; ciò rende alquanto incerta, come dissi, l’interpre- tazione del reperto. Quanto alla relazione esistente fra la iperpiastrinosi del sangue e la quantità dei megacariòciti, essa non è sempre dimostrabile, e ciò non già perchè non vi sia un rapporto fra la produzione delle piastrine e l’attività dei megacariòciti, ma perchè non sempre la coincidenza è perfetta. Vi sono casi in cui i megacariòciti, in numero discreto, ma non forse abbondante, si trovano in istato di attività latente, come vorrei definire, cioè vi si trova bensì un ricco mantello protoplasmatico di finissimi addensati granuli azzurrofili, e una evidente zona omo- genea leggermente basofila, talvolta a festoni alla periferia del protoplasma, ma non si distingue ancora nessuna distinta formazione di cumuli di granuli, o di corpicciuoli analoghi alle piastrine nel seno dell’elemento (Tav. 1, fig. IV). Eppure nel sangue vi può essere una discreta quantità di piastrine che furono prodotte dall’attività precedente dei megacariòciti, e che si conservano nel sangue circolante. Qi lo l>U) FOÀ — SULLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECO. Sono pertanto dello stesso parere manifestato da Sacerdotti {Le piastrine nei mammi- feri e il siero antipiastrinico, “Ardi. p. le Scienze med. voi. XXXII, N. 18, 1908, pag. 14) che il numero delle piastrine non sia in rapporto costante con quello dei megacariociti ; però da ciò sono lungi dal trarre la conclusione che le piastrine siano indipendenti dai megaca- riociti : solo ritengo che il rapporto fra i due elementi debba piuttosto esser dimostrato per via diretta, pure rilevando che moltiplicando le osservazioni, effettivamente si trova spesso una coincidenza fra l’iperpiastrinosi del sangue e la ricca quantità di megacariociti. Ho abbandonato presto l’uso del salasso e preferii la produzione sperimentale di iperleucocitosi mediante infezioni con coltura di stafilococchi virulenti iniettata nel coniglio in piccola quan- tità per via venosa. Ho eseguito giornalmente l’esame del sangue dell’animale operato, ed ebbi cura di ucciderlo quando iniziava il deperimento, e di non lasciarlo morire spontanea- mente, affine di potere fissare pezzi di midolla delle ossa e le milze ancora fresche e calde, prima che la morte o l’infezione stessa agli ultimi momenti avessero alterato pi-ofondamente la struttura dei megacariociti, i quali,, come è noto, sono molto sensibili alle intossicazioni (Trambussi, 1. c.) e alle variazioni che si producono nello stato cadaverico. Come è noto da molte esperienze fatte da altri autori, e dalle mie stesse {Contribuzione allo studio delle midolla delle ossa, “Atti dell’Accad. d. Scienze di Torino 1898, e Demel, 1. c.), le iniezioni sottocutanee di colture di stafil. p. aureo, possono, a piccole dosi, determinare una iper- leucitosi nella midolla delle ossa, e lasciando a riposo l’animale, che poi viene sacrificato, si possono ricavare dalla midolla numerosi esemplari di megacariociti carichi di elementi leucocitari fagocitati. Invece, iniettando tre o quattro volte da 0,5 c.c. a 1 c. c. di coltura di 24-48 ore di stafil. p. aureo virulento nella vena auricolare del coniglio, si ottiene uno stato congestizio emorragico fortissimo da parte della midolla con mielocinesi, ossia con trasporto nel circolo di elementi mi- dollari e di megacariociti o dei rispettivi nuclei nei capillari del polmone (vedi Sapegno, 1. c.). Ripetendo ora questa esperienza cogli identici risultati rispetto al fagocitismo e al trasporto embolico nei capillari del polmone, ebbi sopratutto di mira la constatazione delle iperleucocitosi e della iperpiastrinosi del sangue, e la preparazione della midolla delle ossa e delle milze, coi nuovi metodi, onde esaminare il protoplasma dei megacariociti. In realtà, nelle numerose espe- rienze da me eseguite con stafilococchi passati più volte nel coniglio, e molto virulenti per lo stesso, ho confermato resistenza di forti iperleucocitosi nel sangue durante il corso dell’esperimento, e preparando sopratutto il sangue nel corso di vari giorni, per strisciamento sui vetrini, riscal- damento alla fiamma o alla stufa a 120°, e colorandoli colla diluzione della soluzione di Giemsa o di quella dell’Azzurro-Eosina (una goccia dell’ una e dell’altra in 20 goccie di acqua distillata per alcune ore), vi osservai costantemente la presenza di una grande quan- tità di piastrine simultanea alla iperleucocitosi. L’esame dei tagli della midolla ha dato risultati diversi secondo la dose e secondo la durata dell’esperimento. A piccole e scarse dosi, si ottenne talvolta di vedere nei tagli di midolla delle ossa una straordinaria quantità di megacariociti in armonia colla grande iperleucocitosi. In casi più intensi di infezione, la midolla delle ossa offriva uno spiccato carattere congestizio emorragico, onde dei veri laghi di sangue stravasato erano nel parenchima midollare. Gli elementi presenti nel taglio micro- scopico erano quelli che vi erano rimasti, mentre molti altri ne erano stati trasportati in circolo, ma i megacariociti rimasti dimostravano in alcuni casi una grande attività funzio- nale. Nel loro protoplasma, infatti, si scorgeva l’accumulo, o la presenza di corpicciuoli che ricordavano le piastrine del sangue, rare volte si poteva scorgere la differenziazione che Ogata ha descritto e raffigurato in casi simili, di grandi corpuscoli con una parte granulosa e una parte omogenea alla periferia del protoplasma dei megacariociti, benché casi cosi tipici ed eleganti come quelli raffigurati da Ogata (I. c.) sieno stati per me assolutamente eccezionali. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 8. 11 Nei conigli morti in pochi giorni per iniezioni endovenose di colture virulenti di stafi- lococco p. aureo, completavano il reperto cadaverico una fortissima congestione del fegato con qualche focolaio emorragico, una enorme congestione della milza, in cui il sangue sem- brava sostituire tutta la polpa, mentre spiccavano come isole i follicoli malpighiani, nei cui centri germinali erano abbondanti i corpi tingibili dovuti, come è noto, alla carioressi nei lin- fociti. Finalmente, nel polmone di questi conigli era frequente e in certi casi molto esteso il fenomeno del trasporto embolico di nuclei di megacariociti nei capillari, il che spiega come, a malgrado della rilevante piastrinosi, si trovassero nei casi acutissimi relativa- mente scarsi i megacariociti, ma quei pochi fossero in attiva produzione di corpicciuoli piastriniformi. Nella midolla delle ossa di conigli morti per infezione lenta, spiccava, come si è detto, l’aumento numerico talora grande dei megacariociti, e la loro intensa attività fagocitaria. Un’altra serie di esperienze concerne ricerche fatte con sieri mielotossici per il coniglio. In un mio lavoro precedente (1. c.) ho rilevato la non stretta specificità d’azione eserci- tata da sieri citotossici preparata con diversi organi, ma ho trovata costante l’azione sul coniglio esercitata da sieri ottenuti colla successiva introduzione di estratti di midolla delle ossa di conigli nella cavità peritoneale delle cavie. Nei conigli trattati col siero mielo- tossico ho trovato predominanti effetti di eritrolisi e di leucolisi, con consecutiva iperleu- cocitosi talora abbondantissima e reazione intensa da parte della midolla delle ossa colla produzione vivissima di eritroblasti, mieloblasti e mielociti, accompagnata anche da nume- rosi megacariociti, i quali presentano spesso gli accumuli isolati di granuli azzurrofili o la formazione di zolle (felderung) di cui si è detto più addietro. In base alla conoscenza di questi fatti, e poiché oggi possediamo mezzi di colorazione più adatti a differenziare le singole parti del protoplasma, ho voluto ripetere le antiche esperienze allo scopo pre- ciso di rilevare la eventuale attività dei megacariociti e la maggiore o minore abbon- danza delle piastrine del sangue, il che nel lavoro precedente era stato da me trascurato. Ripassando molti preparati di sangue eseguiti su conigli a cui era stata fatta l’iniezione endovenosa di siero mielotossico preso dalla cavia, lentamente preparata con introduzione nella cavità addominale ogni 8-10 giorni dell’emulsione di midolla dei l o 2 femori presi ad un coniglio robusto e sano, ho riconfermato che al 4®, 5® o 6° giorno dopo l’inezione del siero si trova spesso un’abbondante piastrinemia insieme colla iperleucocitosi. Ordinariamente il siero era iniettato ogni giorno nelle vene auricolari alla dose di 2 c. c. e al terzo giorno era esaurita la quantità ricavata da una cavia, onde si lasciava il coniglio in riposo, esa- minando quotidianamente il sangue. Dopo due o tre giorni dalla ultima iniezione era sor- prendente il mutamento completo del tipo microscopico del sangue. Numerosi megalociti, spiccata anisocitosi, estesa policromassia, numerosissimi gli eritrociti con abbondante sostanza granulo filamentosa colorata col rosso neutro, abbondanti i leucociti e le piastrine (queste ultime messe sopratutto in evidenza scaldando il vetrino 3 volte alla fiamma e colorandole colla diluzione della soluzione Giemsa 2 : 20 gocce di H®0 distillata). Gli eritrociti possono scendere in pochi giorni da 6.200.000 a 3.350.000 e i leucociti possono crescere di 15.000, di cui il 25 ®/o polinucleati, e il 75®/o mononucleati e linfociti. Avuto un massimo di trasfor- mazione del sangue, nel senso sopra descritto, il coniglio veniva sacrificato con un colpo alla nuca, e la midolla, la milza, il fegato, il polmone venivano tosto a pezzetti raccolti in liquido fissativo (FoÀ, Orth, Alcool Metilico, Formolsublimato). I tagli venivano colorati col- l’ematossilina eosina, coll’Azzurro-Eosina di Schridde, colla soluzione Giemsa. Sarebbe troppo lungo il riferire su tutti i casi da me raccolti, onde mi limiterò ad alcuni che mi parvero più tipici. 12 PIO FOÀ — SULLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECO. 1. - Coniglio del peso di 1400 gr. - 7 marzo 1912. — 1*^ iniezione endoauricolare di 2 c. c. di siero di cavia lentamente preparato con nove iniezioni nel cavo addominale, una ogni 8-10 giorni, di emulsione di midolla di un femore di un coniglio sano ucciso espressamente. La cavia fu uccisa espressamente per salasso il 6 marzo e si ricavarono 5 c. c. di siero. 8 marzo 1912. — 2* iniezione auricolare di 3 c. c. del siero di cavia come sopra. 10 marzo 1912. — Si uccide un coniglio nel cui sangue erasi osservata iperleucocitosi e abbondante piastrinosi. La midolla delle ossa era di colore rosso oscuro assai ricca di sangue. Anche la milza era piuttosto grossa e molto congesta. All’esame dei tagli della midolla delle ossa colorati coll’azzurro-eosina fu rilevata una enorme ectasia della rete vascolare ingorgata di sangue. — Nel parenchima abbondavano i mieloeiti, e un po’ meno i leucociti polimorfi; abbondavano pure gli eritroblasti, e i megacariociti in numero ristretto, accostati alle sottili pareti dei vasi dilatati, erano tondeggianti, senza pseudopodi, ricchi di granuli finissimi az- zurrofili densi intorno al nucleo e spesso muniti di una frangia alla periferia. Altri presentavano distin- tamente cumuli 0 corpicciuoli di sostanza che si colorava molto in azzurro e in cui non si distinguevano chiaramente i gi’anuli azzurrofili. Questi cumuli o corpicciuoli erano talora addensati alla periferia del- l’elemento e potrebbero rappresentare una produzione di piastrine secondo l’ipotesi di Wright, coloran- dosi essi come si colorano le piastrine nei preparati di sangue per strisciamento (V. Figura VI). La milza era enormemente ricca di sangue, cosicché sembravano scomparsi gli elementi della polpa. Fra questi erano diversi leucociti polimorfi, e piccoli normoblasti rari in via di distruzione; tutto il resto della polpa era un grande cumulo di gl. rossi. 1‘ iniezione auricolare di 1,5 c. c. siero leucotossico di cavia. Oa 1 cC ^ yi n n n n n Qa 9 ^ n n ^ n ri n n 4 *" 2 ^ n n ^ n n n a 11 13 maggio il coniglio pesava 1450 gr. e fu ucciso dopo avere fatto preparati di sangue in cui fu rilevata una grande iperleucocitosi (24.000 1.) e piastrinosi, e tutte le metamorfosi degli eritrociti dimostranti la loro attiva rigenerazione. Nella midolla dei femori fu trovata molto ricca la leucopoesi: i mieloeiti erano in parte forniti di granuli eosinofili e in parte basofili. Abbondante pure la eritropoesi. Numerosi i megacariociti, il cui protoplasma presenta spesso intorno al nucleo una serie di corpicciuoli rotondi disposti alla periferia, colorati in azzun’o, come appariscono nel sangue su vetri ripassati alla fiamma le relative piastrine. La milza ricca di sangue e di leucociti con qualche raro eritroblasto a nucleo piccolo e picnotico. IL - Coniglio di 1500 gr. - 7 maggio 1912. — 8 „ , - 9 , , - 10 , , - III. - Coniglio di 1550 gr. - 3 luglio 1914. — 1* iniezione auricolare di 2 c. c. siero leucotossico di cavia. n n 2 , 1.5 „ n jy n n A A Il giorno 6 e il 7 successivo si osserva nel sangue circolante una rilevante quantità di piastrine e una viva iperleucocitosi, oltre alla presenza di molti eritrociti grandi che si colorano in violaceo col- l’azzurro-eosina, e che sono ricchi di granuli colorabili col rosso neutro, e di qualche normoblasto. Il giorno 8 si sacrifica l’animale. La midolla delle ossa è molto congesta, facilmente lacerabile; mostra nei vetrini per strisciamento molti eritroblasti e molti mieloeiti a vario grado di maturazione. La milza è larga, grossa, polposa, ingorgata completamente di sangue, cosicché nei tagli spiccano i follicoli mal- pighiani apparentemente intatti, tra le amplissime lacune venose piene di globuli rossi. Nei tagli della midolla delle ossa si scorge un reperto analogo agli altri due precedenti. Conge- stione, molto ricca leuco- ed eritropoesi, discretamente abbondanti i megacariociti ricchi di granuli az- zurrofili e con frangia alla periferia, presenza in molti di essi di cumuli di cor]ncciuoli alla periferia dell’elemento, tinti in azzurro, come appariscono le piastrine nel sangue circolante. Questi risultati io li ebbi sino dal 1912, e per cause indipendenti da me non li ho potuti riprodurre che nel 1914 e ’15. I primi sono quelli di cui ho fatto cenno nella mia sopraci- tata conferenza sulla Trombosi (FoÀ, 1. c.), e sebbene mi sembrassero tali da confortare MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE li, VOD. DXVI, N. 8. 13 l’idea della derivazione delle piastrine dai megacariociti, pure non potevo ammettere che la dimostrazione del fatto fosse decisiva e sicura. Dopo avere esaminato la midolla del gio- vine gatto, sentii meno incerta l’ interpretazione da me data dei suddescritti reperti nel coniglio, il quale si presta meno bene allo scopo che si vuole raggiungere. Nei preparati per istriscio è raro conservare intero un megacariocito, e ancora più, poterne differenziare la struttura del protoplasma. Nei preparati fissati in qualunque modo, ma particolarmente nei liquidi preferibili di Foà e di Orth, la differenziazione delle singole parti del megaca- riocito è visibile, ma non così brillantemente come nei buoni preparati per istrisciamento della midolla dei gatti, la quale anche nei tagli dei pezzi fissati riesce meno brillante- mente evidente che negli strisci. Fra i reperti avuti coi sieri leucotossici voglio annoverarne ancora uno, che tenni in disparte perchè non ebbi occasione di riottenerlo altre volte. Si tratta di un coniglio di 1500 gr. che il 27 novembre 1914 ricevette nella vena auricolare 1 c. c. siero cavia leuco- tossico (La cavia ebbe il 18 ottobre una prima iniezione addominale di midolla di coniglio normale; il 27 ottobre ne ebbe una seconda; poi il 29 novembre ebbe la terza). Il coniglio ricevette una seconda iniezione auricolare di 2 c.c. del siero suddetto ed 11 29 ne ebbe una terza di 2 c.c. Poi fu tenuto a riposo sino all’ 11 dicembre e quindi 12 giorni, dopo di che fu sagrificato. Il reperto del sangue su vetrini per istriscio all’ultimo giorno fu il seguente: Abbon- dante iperleucocitosi (20.000 1.), abbondante piastrinosi. Pochi megalociti, scarsità di eritrociti con granuli colorabili col rosso neutro o col cresyl brillante; nessun normoblasto, scarsi esemplari di policromassia, la grande massa era composta di eritrociti normali. Confrontando questo reperto con altro dello stesso animale, nei giorni precedenti, a cominciare da quello in cui fu fatta l’ultima iniezione di siero, si scorge che il sangue ha superato le fasi della eritrolisi e del suo ringiovanimento, per ritornare verso il dodicesimo giorno allo stato nor- male rispetto agli eritrociti, perdurando tuttavia l’iperleucocitosi e la piastrinosi. La milza, grossa e polposa, ha dimostrato nei preparati per strisciamento e nei tagli una grandissima quantità di leucociti polimorfi sparsi tra gli elementi splenici. Non si trovarono però forme mielocitoidi e neppure normoblasti; invece, si ebbe il reperto insolito di una sorprendente quantità di accumuli di piastrine entro i seni venosi, cosicché questi ne sembravano par- zialmente trombizzati. La midolla delle ossa era abbondante, di colore rosso scuro, facilmente lacerabile. In essa spiccava un’attivissima leuco ed eritropoesi; il parenchima era denso di elementi delle due serie. I vasi erano mediocremente distesi da sangue, ma ciò che costi- tuiva la caratteristica di questo midollo era la veramente straordinaria quantità di mega- cariociti, moltissimi dei quali presentavano alla periferia dell’elemento i corpicciuoli tinti in azzurro o in azzurro violaceo, che già descrissi più sopra, e che accennerebbero a piastrine in via di formazione. Il grande cumulo di piastrine nella milza, nella quale però mancavano i megacariociti, e quindi non si poteva sospettare che fossero dovuti a produzione in situ; la notevole piastrinosi del sangue, la grande ricchezza di megacariociti attivi nella midolla delle ossa, costituivano una triade di fatti in relazione reciproca, quale di raro ho riscon- trato nel corso dei miei moltissimi esperimenti. Nel caso suddescritto non si verificò la fagocitosi da parte dei megacariociti, nè il trasporto embolico dei nuclei rispettivi nei capil- lari del polmone. Un’altra lunga serie di esperimenti riguardano l’azione della pirodina sugli organi emato- poetici e sul sangue. Una delle più recenti pubblicazioni sull’argomento è quella del Fori (1. c.), cui tenne dietro la pubblicazione di Cesaris-Demel (1. c.). Il Foti agiva sui conigli iniettando entro le vene una soluzione 1 °/o di pirodina e seguendo coi conteggi il comportamento numerico degli eritrociti e delle piastrine. Osser- vata una diminuzione rapida di queste tosto dopo eseguita l’iniezione endovenosa, rilevava M no POX — SUU-A l’ROnUZlONK detj.k piastrine dee sangue, eco. in seguito, dopo solo mezz’ora dalla seguita iniezione, un forte aumento numerico delle pia- strine, cbe si fanno in pari tempo gigantesche. Ciò si accompagna a diminuzione degli eri- trociti, onde il Foti conclude che le piastrine derivano dalla distruzione dei globuli rossi. Il Cesaris-Demel ha controllato le esperienze di Foti sul coniglio e le ha continuate di pre- ferenza sul giovine gatto, dalla cui midolla delle ossa preparata per strisciamento su vetri coprioggetti ottenne preparati molto dimostrativi al fine di rilevare la relazione fra piastrina e l’attività dei megacariociti, e ciò dopo avere notato che contro l’ipotesi di Foti sta il fatto della mancanza di qualunque forma di passaggio dai globuli rossi alle piastrine, dall’autore rilevato mediante osservazione dei sangue coll’ultramicroscopio. Secondo il Cesaris-Demel i megacariociti dei gatti avvelenati di pirodina aumentano di numero, e vi aumenta la diffe- renziazione centrale e periferica delle piccole masse o zolle in cui si viene raccogliendo la parte granulare azzurrofila del protoplasma cellulare. Parecchi megacariociti offrono prolun- gamenti 0 pseudopodi con differenziamento di zolle granulari a contorno ialino simili a piastrine. Inoltre si osservano nel midollo cumuli di piastrine addossate al megacariocito da cui sarebbero originate, oppure che erano liberi fra gli altri elementi, e infine dei nuclei megacariocitari liberi del rispettivo protoplasma. Scopo delle mie ricerche fu quello di controllare i risultati suddescritti, anche perchè mi ha sorpreso la rapidità con cui secondo Foti e anche secondo Demel ha luogo la ripro- duzione nel sangue delle piastrine, che erano scomparse subito dopo l’iniezione endovenosa della soluzione di pirodina, nonché il loro ritorno con forme addirittura gigantesche. Ho potuto eseguire poche ricerche sui gatti, onde le mie conclusioni in proposito sarebbero imperfette. Io ricavai, dalle poche esperienze fatte con iniezioni sottocutanee di pirodina, l’impressione che può in certi casi sembrare più attiv'a la funzione dei megacariociti, ma stante le molte differenze individuali da me riscontrate in giovani gatti che ritenevo nor- mali, non mi sentirei di concludere in modo preciso che la pirodina abbia attivata la fun- zione piastrinogena dei megacariociti nella midolla delle ossa dei gatti, sebbene io, per altre esperienze successive, ritenga che ciò sia effettivamente possibile. Infatti, un responso meno incerto ho ottenuto dalle numerosissime esperienze fatte su giovani conigli (400-500 grammi). Questi furono operati o con iniezioni sottocutanee di 2, 3, 5 c. c. di una soluzione di piro- dina airi °/o, oppure colla iniezione endovenosa di 5 c. c. di quella soluzione. Gli animali operati venivano spesso sacrificati al 2° o al 3° giorno dall’operazione, oppure si lasciavano a riposo, dopo l’ultima iniezione, 3, 5 e persino 12-14 giorni. L’azione delle iniezioni sottocutanee di pirodina si svolge abbastanza presto anche sul sangue, benché non così rapidamente come colle iniezioni endovenose, e cresce d’intensità man mano si moltiplicano le iniezioni. Ciò che particolarmente risulta nei preparati di sangue dopo 2-3 iniezioni, è la presenza di una spiccata iperleucocitosi ; la scomparsa quasi totale delle piastrine; la presenza di parecchi piccoli normoblasti a nucleo picnotico, e infine l’al- terazione dei globuli rossi. Questi perdono emoglobina, assumono spesso la forma a pera con fuoruscita del nucleoide, oppure, veduti di fronte, si osserva in essi la presenza del nucleoide bene colorato in violetto col Giemsa, o in rosso coll’eosina, circondato da un leg- gero alone sfumato azzurrognolo, oppure incolore. A volte la trasformazione dei globuli rossi è tale che quasi tutti ne sono colpiti e in alcuni preparati meglio riusciti si vedono accu- muli di superstiti globuli rossi ancora intatti, tra i quali, entro spazi sierosi, piuttosto larghi, stanno numerosi globuli rossi ridotti al nucleoide col rispettivo aloncino. Possono questi cor- puscoli essere stati scambiati per piastrine? Il rapporto fra questi e la diminuzione dei globuli rossi intatti avrebbe impressionato come un rapporto esistente fra l’eritrolisi e la produzione delle piastrine? Non avendo visto i preparati di altri autori (Foti), io non posso dare di ciò una risposta sicura, onde io mi limito a rilevare che nei miei preparati in cui esisteva spiccatamente l’alterazione suddescritta degli eritrociti, le piastrine non si vedevano MEMORIE - CLASSE 01 SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE 11, VOL. LXVl, N. 8. 15 anche dopo 36 ore dalla prima iniezione di pirodina. Nell’animale, ucciso espressamente, al terzo giorno dopo che aveva ricevuto sotto cute fra le scapole due iniezioni di 3 c. c. di solu- zione di pirodina all’l °/o, si è riscontrato che il siero abbondante nel pericardio e nella pleura era trasparente e tinto intensamente di emoglobina disciolta; anche le urine erano sanguinolenti; la milza era turgida e nerastra, la midolla delle ossa era rosso grigia. Al microscopio la milza si presentò così turgida di sangue che non solo riempiva tutto il sistema venoso, ma anche penetrava nei follicoli malpighiani, che offrivano parecchi saggi di carioressi e di fagocitosi di linfociti, e che erano le sole isole di tessuto rimaste in mezzo a un lago di sangue. Nei preparati per strisciamento, oltre a molto sangue alterato, si vedono copiosi leucociti polimorfi e qualche raro piccolo normoblasto. La midolla delle ossa si presentava discretamente ricca di sangue, con megacariociti in numero apparentemente normale, ma già entrati in attività piastrinogena, nel senso che alla periferia del loro pro- toplasma si scorgevano numerosi corpicciuoli tinti di azzurro violaceo, simili nel modo di colorarsi e nel volume alle piastrine del sangue. Di tali corpicciuoli alcuni rari erano anche nei limitrofi vasi sanguigni. In un altro caso si tratta di un coniglietto di 500 gr. cui furono iniettate in tre giorni di seguito sotto cute fra le scapole 3 5 -f~ 5 c. c. della soluzione di pirodina all’l °/o. Al quarto giorno l’animale morì spontaneamente e dopo sole due ore fu sezionato. La milza era larga, oscurissima, reni di colore rosso oscuro, emoglobinuria, nulla alle capsule surrenali. Fegato anemico, midolla dei femori compatta e rossa. I preparati di sangue fatti fino ad alcune ore prima della morte non dimostrarono l’esistenza di pia- strine, bensì di piccoli normoblasti a nucleo picnotico e di eritrociti con evidente nucleoide. Al microscopio la milza presentava una grande povertà di elementi della polpa sostituiti dall’addensamento di globuli rossi, in parte alterati, raggrinzati, e i follicoli malpighiani offrivano diradati i linfociti nelle maglie del reticolo, ove si trovano delle figure di carioressi. Sui vetrini, fra gli elementi della polpa si vide qualche piccolo normoblasto picnotico. Singolare fu il reperto della midolla delle ossa, quasi totalmente priva di megacariociti. Se ne trovavano alcuni rari e in via di sviluppo, dalla forma piccola, rotonda, con un grosso nucleo molto tingibile (proraegacariociti) ed altre poche forme in cui l’ammasso nucleare cominciava ad essere grosso e lobulato, ma veri megacariociti adulti colle distinguibili parti del rispettivo protoplasma non si vedevano. Discreta appena la leucopoesi, e fatta di piccoli normoblasti a nucleo picnotico la parte eritropoetica. In questo caso appare notevole la mancanza delle piastrine e dei megacariociti, i quali forse non presentarono segni di atti- vità rigeneratrice, essendo il piccolo coniglietto soccombente a una dose troppo forte di veleno. Poiché ho parlato di nucleoide visibile e tingibile e di assenza delle piastrine, ricordo a questo punto una mia pubblicazione, nella quale in base alla diversa tingibilità sua ritenni doversi nettamente distinguere il nucleoide del gl. rosso della piastrina, il che fu anche dimostrato da Sacerdotti per il diverso contegno delle due forme di fronte alle soluzioni acetiche (Vedi FoÀ, Les plaquettes du sang, “ Archives de biologie voi. 33, 1900; C. Sacer- DOTTi, Anatomische Hefte, 1900, “ Arch. d. Se. med. 1901). Altro caso da me esaminato fu quello di un coniglio che ebbe in tre giorni di seguito per iniezione sottocutanea fra la scapola 2 3 -[- 3 c. c. della soluzione di pirodina all’l %, e fu sacrificato 12 giorni dopo l’ultima iniezione. Il tipo del sangue è diverso da quelli sacri- ficati nei primi giorni dell’iniezione, perchè esso è completamente riparato. Non vi hanno più forme degenerative, non vi hanno più normoblasti: vi sono, invece, molte forme giovani di eritrociti e quindi policromatici, e con resti di sostanza granulo-filamentare visibili col rosso neutro, o col cresyl. Le piastrine si vedevano in cumuli non molto abbondanti; per- siste una iperleucocitosi, ma è prevalentemente linfocitaria. Nella milza il sangue che nelle forme acute si presenta come un forte ingorgo, in questo caso presenta varie cellule globulifere e pigmentifere nei seni venosi, in cui ha luogo un principio di riassorbimento 16 PIO FOÀ — SULLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECO. del sangue accumulato. Nei follicoli si osserva una sovrattività formativa degli elementi connettivi perivasali, ma di ciò sarà detto più tardi. La midolla delle ossa conteneva molti megacariociti, con abbondante cumulo di granuli azzurrofili, e frangia alla periferia. In diversi megacariociti erano visibili i corpicciuoli alla periferia, più volte descritti in relazione all’attività piastrinogena dell’elemento. Un altro esperimento fu fatto su coniglio di 2000 gr., che ebbe il 27 febbraio una prima iniezione endovenosa di 5 c. c. di pirodina all’l °/o, e il 1° marzo consecutivo una seconda iniezione, pure endovenosa, di 3 c. c. della predetta soluzione, e finalmente il 5 dello stesso mese ebbe una terza iniezione endovenosa di 5 c. c. di pirodina all’l %. L’animale fu ucciso sette giorni dopo l’ultima iniezione. Anche in questo, il sangue, dopo avere traversato le solite fasi di distruzione dei glo- buli rossi, di liberazione dei rispettivi nucleoidi, di scomparsa delle piastrine e di iperleu- cocitosi, conservò quest’ultima a tipo prevalentemente linfocitario, e riprodusse una discreta piastrinosi. La milza, larga, oscura, asciutta, mostrava al microscopio una ricca quantità di cellule pigmentifere nei seni venosi in cui erano anche molti linfociti; e globuli rossi e qualche macrofago con detriti cellulari, e qualche raro megacariocita di cui qualcuno aveva fagocitato qualche raro leucocito. I cordoni della polpa erano grossi, larghi, ricchi di linfo- citi e di cellule spleniche, i corpuscoli malpighiani grossi iperlatastici. La midolla delle ossa lunghe era abbondante e l’icca di sangue; gli elementi leucocitari ed eritrocitari erano in proporzione normale; discretamente abbondanti i megacariociti, che dimostravano un denso cumulo di granuli eritrofili, ma scarsa produzione di cumuli isolati, o di corpicciuoli simili a piastrine. Un altro coniglio di 760 gr. ricevette per iniezione endovenosa, per due giorni di seguito, 5 + 5 c. c. di pirodina all’l % © venne ucciso 24 ore dopo l’ultima iniezione. La milza era molto oscura, la midolla delle ossa molto congesta, e al microscopio offriva il solito tipo dell’ingorgo fittissimo di sangue in tutte le lacune venose. Il sangue presentava già, dopo 24 ore dalla prima iniezione, molti globuli rossi piriformi con sporgenza del nucleoide, e con perdita di emoglobina, alternato a qualche forma giovine. Iperleucocitosi fatta prevalentemente di mononucleati, qualche piccolo normoblasto col nucleo picnotico, dubbie e rare piastrine. La midolla delle ossa negli strisci offriva una discreta quantità di elementi mielocitari, di cui qualcuno a carattere mieloblastico e altri promielocitico; discretamente abbondante l’ematopoesi, ma ciò che nei tagli spiccava in modo veramente straordinario, così da costi- tuire un tipo particolare di midollo attivo, era la presenza di molti megacariociti, e tutti ricchi di corpicciuoli azzurro-violacei alla periferia del loro protoplasma, simili alle piastrine del sangue (Fig. V a, b). Questo reperto non coincideva con una grande abbondanza di pia- strine nel sangue; forse l’attività dei megacariociti si sarebbe compiuta coll’arricchimento di piastrine nel sangue, se il coniglio fosse stato ucciso un poco più tardi. Finalmente riferisco di un altro esperimento fatto sovra un coniglio di 800 gr., che ebbe il 10 febbraio una iniezione di 5 c. c. di pirodina all’l ®/o sotto la cute e fu ucciso il giorno 18, in cui era diminuito di 150 gr. di peso. La milza, piccola, presentava molti leucociti polimorfi e qualche forma mielocitaria. Nella midolla delle ossa si ebbe a notare la presenza di una grande quantità di megaca- riociti, i quali erano per lo più caratterizzati da un denso cumulo di granuli azzurrofili intorno al nucleo, e da una periferia riccamente frangiata. Ciò che caratterizza il caso attuale però, era sopratutto la presenza di alcuni megacariociti che ad un punto della periferia emettevano 5-6 corpicciuoli simili a quelli descritti precedentemente, e uno di quelli aveva i corpicciuoli abbondanti impigliati nella ricca frangia periferica (V. Fig. V c, d). Se rivolgiamo la mente al complesso di queste osservazioni fatte per mezzo della piro- dina, noi dobbiamo ammettere che questa tende a distruggere le piastrine circolanti nel MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 8. 17 sangue, come distrugge molti eritrociti, di cui libera il nucleoide, e provoca iperleucocitosi con abbondanza di forme mononucleari e di “ mastzellen „ nei casi ad andamento più lento. Dopo 8-12 giorni di riposo, in seguito alle iniezioni di pirodina, si osserva generalmente il ripristino della qualità del sangue, di cui i globuli alterati scompaiono, abbondano le forme giovani e scompaiono anche i piccoli normoblasti, mentre ritornano più o meno abbondanti le piastrine. La milza, ultra ingorgata di sangue nelle forme acute, lo va più tardi riassor- bendo colla produzione di molte cellule globulifere e pigmentifere, e offre una iperplasia dei follicoli malpighiani. La midolla delle ossa presenta una innegabile grande attività di nume- rosi megacariociti, nei quali si nota la produzione di corpicciuoli che si colorano come le piastrine, sebbene nei preparati fatti sui pezzi fissati non si riesca a distinguere in essi la parte granulosa e la ialina. In conclusione: la pirodina, distruggendo le piastrine circolanti nel sangue, ne provoca la riproduzione, esagerando il numero e l’attività dei megacariociti nella midolla delle ossa. Il coniglio, come già ho ripetuto, non è Tanimale più adatto per avere i preparati più dimostrativi sulla natura dei corpicciuoli formati dall’attività dei megacariociti, ma che in questi si producano corpicciuoli che colla diluzione della soluzione di Giemsa o di Schridde si colorano come le piastrine nei preparati di sangue per istriscio, è cosa che mi apparve più volte dimostrata. Di altre esperienze da me fatte colla saponina e col toluolo darò solo un cenno, aven- dole trovate finora meno adatte per la questione particolare della funzione dei mega- cariociti. La saponina altera profondamente la midolla delle ossa, e provoca un trasporto di elementi midollari e di megacariociti nelle lacune venose della milza, in cui talora si ritro- vano abbondantemente, ma non integri. Il toluolo genera sopratutto la leucopoesi, ma dalle poche esperienze fatte non potei trarre conclusioni sicure sulla piastrinogenesi. Ed ora passo a descrivere la riproduzione di mie vecchie esperienze, pubblicate con G. Sai- violi nel 1878, sulla legatura incompleta della vena porta nel coniglio (1. c.) (e FoÀ e Demel, Leucocitosi e midolla delle ossa, “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino 1899). L’operazione, con un po’ di esercizio, si eseguisce abbastanza facilmente. Fatto un taglio tras- versale un po’ obliquo partente dall’appendice ensiforme nella regione ipocondriaca destra; dissecati i muscoli trasversalmente, e penetrati nella cavità peritoneale, si estrae la regione pilorica dello stomaco col duodeno, si solleva e si distende questo, così che apparisca facil- mente il tronco della v. porta. Allora si isola questa con un ago uncinato, alla cruna del quale si fece passare un filo di seta, e si allaccia questo sopra uno specillo disteso lungo il tronco, al disopra dello sbocco nella v. porta della v. splenica, cosicché il laccio com- prende la vena porta e lo specillo insieme nel suo terzo inferiore. Si estrae con attenzione lo specillo, si ripongono i visceri nella cavità peritoneale, si praticano le suture delle pareti addominali e poi della pelle a punti staccati. Avendo la massima cura dell’asepsi, e operando a buone temperature, così da evitare il pericolo di raffreddamento, si ottiene presto la guarigione della ferita e l’animale operato percorre d’ordinario un ciclo presso a poco costante in cui si segue una particolare variazione del sangue. Infatti, a cominciare dal quarto giorno dall’operazione si osserva una crescente iperleucocitosi che va da 16, 25, 35.000 leucociti, per la massima parte pseudoeosinofili polimorfi, e accompagnati da una abbondante piastrinosi, mentre i globuli rossi subiscono una discreta diminuzione. I preparati non dimo- strano variazioni notevoli, nè policromasia, nè normoblasti, nè poichilocitosi, nè globuli con abbondante sostanza granulo filamentosa. Per eliminare il dubbio che l’iperleucocitosi fosse una pura conseguenza dell’operazione, 1’ ho eseguita in tutti i suoi atti, meno lo stringimento della vena porta, ma non ho ottenuto in questo caso la leucitosi progressivamente crescente come nei casi precedenti. 18 PIO FOÀ — SULLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECO. Avendo io espresso nei lavori precedenti il dubbio che la iperleucocitosi fosse legata alle alterazioni che si verificano nella milza per alterazione di circolo, ho ripetuta l’operazione su robusti conigli smilzati e già guariti da tempo dalla splenectomia, e ho ottenuto ugual- mente l’iperleucocitosi in discorso, onde mi è rimasta oscura la patogenesi del fenomeno, se pure non è dipendente da variazioni nel sistema digerente non anatomicamente dimostra- bili. Qualche volta i conigli grossi operati morivano di marasmo in 13-15 giorni; altre volte, dopo percorsa la fase deH’iperleucocitosi ed essere diminuiti di peso, ritornavano allo stato normale e riprendevano il loro peso originario. Gli animali operati furono sacrificati in tempi diversi dalla eseguita operazione e cioè da 24-48 ore fino a 10-12 giorni, dopo di avere rilevato, con numerosi preparati quotidiani di sangue, la iperleucocitosi, che dopo un culmine al 6°-8° giorno cominciava a decrescere, la relativa iperpiastrinosi e la diminuzione di peso dell’animale, che arrivava a 350-600 gr. alla fine delle esperienze in nove a dieci giorni. I preparati microscopici per strisciamento della polpa splenica mostrano una grande quantità di leucociti polimorfi e di cellule basofili che erano anche abbondanti nel sangue, 0 qualche saggio di cellule mielocitoidi, particolarmente a granuli basofili. Erano milze per- tanto che avevan il duplice carattere di deposito di vecchi leucociti, i quali andavano in esse impiccolendo e distruggendosi, e quello di milza mieloide per la sola parte leucopoetica, mentre furono sempre assenti le forme eritroblastiche; di solito si trovavano nella milza diversi cumuli di piastrine più o meno bene conservate. Mi riservo più oltre di descrivere le particolarità riscontrate nei tagli della milza fissati nei vari liquidi e passo a descrivere l’aspetto che presentava ordinariamente la midolla delle ossa, quando era presa ad animali uccisi fra il settimo e il decimo giorno dalla operazione. Al reperto ematologico caratterizzato dalla grande iperleucocitosi (30.000 leucociti) e dalla abbondanza di piastrine corrispondeva nella midolla delle ossa una grande prevalenza, spesso assoluta, della parte leucopoetica (fig. Vili); una notevole abbondanza di megacariociti; qualche esemplare di fagocitismo dei leucociti polimorfi da parte di questi ultimi ; un manifesto mo- vimento produttivo da parte dei megacariociti di corpicciuoli, a cui varie volte ho accennato rappresentandoli simili alle piastrine del sangue. Il circolo sanguigno era discretamente for- nito di sangue; la parte eritropoetica non era molto abbondante. Nei preparati di midolla delle ossa per strisciamento si osservava l’esuberante quantità suddetta di cellule mielocitiche, delle quali molte presentano granuli in parte eosinofili e in parte basofili, come segno di passaggio dei mieloblasti, che non si trovano molto abbondanti, ai mielociti attraverso la forma dei promielociti. Tutti i reperti suddescritti furono costanti nei conigli, operati già da vari giorni di stringimento della porta, e aventi in corso una abbon- dante iperleucocitosi. Il tipo della midolla che direi, per comodità, portale, è molto diverso da quello, tipico anch’esso, dovuto all’azione del siero mielotossico. In questo è straordinaria la gi'ande ripienezza dei vasi sanguigni, l’abbondante produzione leuco ed eritropoetica, e l’attività megacariocitaria (v. Tav., fig. VI). Altro tipo presentano i conigli infetti da stafilococco viru- lento, nei quali è visibile il grande dilagamento del sangue congiunto ad emorragie parenchi- matose, mentre i megacariociti spesso in funzione fagocitaria sono piuttosto rari, e alcuni in molta attività piastrinogena. Molti sono i grossi nuclei liberi. Abbondanti sono i leucociti, e quasi immancabile l’embolismo dei capillari polmonari da parte dei nuclei liberi di megacariociti. In tutti tre i tipi di midolla suddesoritti si rileva la coincidenza della abbondanza e della attività megacariocitaria coll’abbondanza delle piastrine nel sangue. In molti casi di legature incomplete della v. porta nel coniglio, quando l’animale veniva ucciso dopo soli 3-5 giorni dall’operazione, si riscontrava una stasi sanguigna nelle lacune venose della milza, e una invasione di sangue anche alla periferia dei follicoli malpighiani, in cui talora si accumulavano in blocco degli eritrociti in mezzo alle cellule linfocitarie del follicolo stesso. Di raro, se la legatura della v. porta era troppo stretta, si aveva un grande k MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, VOL. LXVI, N. 8. 19 turgore di milza per l’ingorgo del sangue, ma l’animale soccombeva dopo 1-2 giorni. A quattro o cinque giorni dopo l’operazione il reperto ordinario era una grande quantità di eritrociti misti a scarsi elementi splenici, e una rarefazione dei glomeruli malpighiani, come se si fossero impoveriti di linfociti. Quando, invece, come ordinariamente, si sacrificava il coniglio dopo 8-10-12 giorni dall’operazione, allora il reperto più frequente era quello di una milza larga, consistente, a polpa discretamente abbondante, asciutta, e a capsula piuttosto ispessita. La polpa, come fu detto più addietro, era ricca di leucociti polimorfi e di leucociti basofili; i cordoni della polpa erano piuttosto densi, non molto ricchi di elementi e limitavano lacune non molto larghe, ricche di sangue, e talora con cellule globulifere, e con leucociti. Era il reperto di una ricostituzione della polpa dopo la lunga stasi sanguigna. I follicoli malpighiani, non più grossi del normale, presentavano intorno all’arteria centrale e lungo tutte le più fine dirama- zioni una grande ricchezza di sostanza collagena e di fibre ispessite che si tingevano vivamente col V. Grieson. A volte il tessuto reticolato appariva denso e fortemente colorato, restringente le maglie in cui erano i linfociti; inoltre qua e là nei follicoli, sopratutto alla loro periferia, elementi connettivi del reticolo rappresentati dal nucleo e da un liceo protoplasma, che si tingeva in rosso col v. Gieson come le fibre collagene che derivavano dall’attività funzionale di quegli elementi. In altri casi gli stessi reperti si v-edevano intorno alle arterie peniciliari, la cui guaina esterna era ricca di sostanza collagena tinta vivamente in rosso col v. Gieson, e tutto il reticolo intorno era fatto di fibre dense ugualmente colorate e limitanti l’ampiezza delle maglie in cui stavano gli elementi cellulari (v, Tav., fig.VII). Senza avere mai raggiunto in nessun caso il più alto grado di sclerosi, si poteva interpretare il reperto come un inizio di fibroadenia acutamente provocato daH’esperimento. Anche la capsula e le trabecole erano dense e ricchissime di sostanza tinta vivamente col v. Gieson. Poiché ho adoperato spesso per i miei esperimenti conigli assai robusti da 2500-3000 grammi di peso, ho anche fatto attenzione alle milze dei conigli d’ ugual peso allo stato normale, ottenute o per apposito smilzamento dell’animale, o dopo che esso aveva servito ad altre esperienze non interessanti la milza, e in tutti i casi ho potuto rilevare che non si presentava mai il reperto che dirò per brevità fibroadenico ottenuto collo stringimento della v. porta. Questo sorgeva man mano che il sangue dapprima ristagnante si riassorbiva, o quando si ristabiliva una circolazione più spe- dita della polpa splenica. Quasi fosse una proliferazione ex vacuo o dipendesse da irritazione portata da sostanze derivanti dalla distruzione di elementi splenici provocata dalla stasi, si aveva l’ispessimento delle capsule e delle trabecole, talvolta anche un addensamento dei cordoni della polpa, e l’attività ipercollagena del tessuto periaiterioso e degli elementi del reticolo. In certi esperimenti, in cui gli animali sopravvissero parecchi giorni e ripresero il loro peso normale, mi è mancato il reperto fibroadenico nella milza, e io ho anche supposto che dopo una iperattività formativa di tessuto collageno, possa questo col tempo di nuovo riassorbirsi, e tutto ritoi-nare allo stato normale ; però, una prova sicura a conforto di questo concetto non sono riuscito fin’ora ad ottenerla. Sarebbe con questa ipotesi che tenderei a spiegare il fatto della mancanza dei fatti fibroadenici nella milza di conigli uccisi dopo 14 giorni dalla operazione, ma potrebbe la lunga sopravvivenza essere stata determinata anche dalla poca strettura della v. porta. Nel corso dei miei numerosi esperimenti ebbi la sorpresa di ottenere altre volte in cir- costanze diverse un analogo reperto fibroadenoideo che ho descritto più sopra. Uno di questi ottenni di vedere nella milza di un coniglio di 2000 gr., il quale aveva ricevuto sottocute 3 -f- 3 -(- 3 c. c. di una soluzione di pirodina all’l °/o nel corso di tre giorni e fu sacrificato solo dopo 14 giorni dall’ultima iniezione. Il coniglio era aumentato di 400 gr. di peso, il sangue era ritornato dalla sua composizione normale, e la milza era larga, consistente, a polpa asciutta. L’esame dei tagli della milza al microscopio ha dimostrato in alcuni follicoli 20 rio FOÀ — SULLA PKODUZIONE DELLE l'IASTRINE DEL SANGUE, ECO. che la sezione deH’arteriola centrale era circondata da cumuli di cellule avventiziali a nucleo ovale, il cui protoplasma era abbondante e si tingeva vivamente in rosso col v. Gieson. Era una sopraproduzione di tessuto collageno da parte degli elementi avventiziali, erano anche vivamente tinti in rosso vivo tutte le diramazioni minori dell’arteria nel follicolo. Alla periferia di questo, sopratutto, si vedevano cellule del reticolo che erano fornite di un protoplasma abbondante, tinto in rosso vivo dal v. Gieson, come lo erano diverse fibre del reticolo stesso. Ancora il fenomeno non aveva raggiunto un grado tale da condurre alla restrizione delle maglie e all’atrofia dei rispettivi elementi linfatici, ma il tutto dava impres- sione di una sovrattività formativa di elementi connettivi, e di un inizio lontano di sclerosi prodottosi in pochi giorni, e da causa non permanente, quindi parziale e probabilmente non durevole. Il reperto suindicato non fu frequente nei miei operati ; infatti, ebbi conigli ope- rati di iniezioni varie di pirodina sottocute o nelle vene, nella cui milza, anche dopo vari giorni di riposo, non ho veduto che un’altra volta ripetersi il fenomeno suddescritto intorno ai follicoli. Le milze dei conigli operati di recente, ossia da 3-4 giorni, sono ingorgate di sangue così che solo i follicoli sembrano da soli rappresentare in mezzo all’accumulo dei gl. rossi l’antico tessuto splenico. Invece, man mano che decorre il tempo dall’ultima iniezione, si ha pur sempre una discreta quantità di sangue nelle lacune venose, ma havvi una ripro- duzione del parenchima splenico e i follicoli che erano un po’ rai’efatti si fanno più densi di linfociti. È in questo periodo di rigenerazione di parenchima dopo l’enorme ingorgo e quindi dopo la distruzione di molti elementi splenici che si trova talvolta l’esagerata for- mazione di tessuto collageno intorno alle arterie dei follicoli, e da parte delle cellule del reticolo, onde ispessiscono anche le relative fibre per una estensione non grande. Ciò può anche verificarsi intorno alle arterie penicillari della polpa, costituendo, così, piccole isole in cui le fibre del reticolo ingrossato si tingono vivamente col v. Gieson e accanto alle quali stanno i nuclei delle rispettive cellule tinte coll’ematossilina. Un simile reperto, benché poco accentuato, ma pure evidente nella periferia di alcuni follicoli intorno a diramazione arteriosa, e qui e là nella polpa intorno alle diramazioni penicillari, ho osservato nella milza di un coniglio che dopo avere ricevuto tre iniezioni di siero mielotossico di 2 c. c. ciascuna endovenosa, fu lasciato a sé per 12 giorni. La milza era notevole per altri particolari, e anche per un’attività collagena esagerata delle cellule del reticolo intorno ad alcune arterie e nelle prossimità di quelle, con esito di ispessimento del reticolo. E altrettanto ho veduto in coniglio trattato con siero emolitico per iniezione endove- nosa tre giorni di seguito alle dosi di 1 -j- 2 f- 3 c. c. e poi lasciato a sé per 13 giorni a riposo. La milza presentava ancora le lacune venose larghe con discreta quantità di gl. rossi e qualche cellula globulifera come resto di quello stato di ingorgo di sangue che predomina nei primi giorni della intossicazione, e nei follicoli alla periferia, intorno alle arterie, si notava una leggera sclerosi, e la presenza di molta sostanza collagena rosso vivo col v. Gieson intorno alle arterie e nelle cellule del reticolo, benché tutto fosse in grado meno intenso di ciò che fu trovato nella milza descritta nei casi precedenti. Ultimamente ho eseguito alcune esperienze su giovani conigli mediante iniezione sotto- cutanea di toluolo. Ad un coniglio di 1300 gr. furono iniettati, in 4 giorni di seguito, sot- tocute fra la scapola: 1,5 — 1,5 — 2,00 — 3,00 c. c. di toluolo e rilevata la formazione di una discreta leucocitosi (11 — 14.000 leucociti), accompagnata da una leggera iperpiastrinosi e una progressiva diminuzione di peso fino a 1000 gr.; dopo sei giorni dall’inizio dell’espe- rienza, fu ucciso l’animale col proposito di esaminarne gli organi prima che avesse dovuto soccombere spontaneamente. Altrettanto fu fatto con un coniglio di 1400 gr., ucciso in 7® gior- nata quando il peso era disceso a 950 grammi. In entrambi il reperto macroscopico più spic- cato fu quello di una milza assai piccola, a capsula rugosa e polpa scarsa, poco consistente. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 8. 21 Nel fegato, nei polmoni e nei reni furono trovati reperti poco importanti. La midolla delle ossa era sopratutto caratterizzata da una abbondante quantità di mielociti e di pro- mielociti, con discreto numero di megacariociti, alcuni dei quali presentavano alla periferia un certo numero di corpicciuoli come quelli retrodescritti e messi in relazione colle piastrine del sangue, le quali pure in questi casi erano aumentate. La milza, che, come dissi più sopra, era assai piccola, presentava un reperto molto im- portante ; cioè un’aumentata quantità di sostanza collagena colorabile vivamente col v, Gieson intorno alle pareti delle arterie centrali e di tutte, anche le più minute, diramazioni. Inoltre un incipiente ispessimento delle fibre del reticolo e un aumento di sostanza collagena pro- dotta dalle cellule del medesimo. Era dunque in grado non molto avanzato, ma evidente lo stesso processo fibroadenico incipiente descritto più sopra. Ultimamente un coniglio del peso di 1900 gr. ebbe 1,5 -j- 2 -|- 3 + 5 c. c. di toluolo sottocute per quattro giorni di seguito. Fu ucciso espressamente il 6° giorno, e si è trovato la midolla delle ossa gelatinosa; la milza ancora larga e polposa, il fegato congesto. La milza agli strisci presentava numerose evidenti cellule mielocitidoidi a granuli prevalentemente basofili; non vi erano normoblasti, diverse globulifere, alcune plasmacellule tipiche. 1 cordoni della polpa ricchi di elementi, i seni venosi discretamente ricchi di sangue. I follicoli, ricchi di linfociti, presentavano un inizio di aumento di sostanza collagena intorno ai vasi e lungo le fibre del l’eticolo. L’accenno alla pi’oduzione fibroadenoide fu in questo caso meno accentuato che nei casi precedenti. La midolla delle ossa era scarsa di megacariociti che si coloravano male, e il paren- chima era avviato ad una grave trasformazione gelatinosa. In esso prevalevano i leucociti, di cui parecchi avevano i caratteri di promielociti. Nel fegato, oltre la congestione, non si rilevò nulla di anormale. Queste esperienze in parte collimano con quelle pubblicate di re- cente da G. Bianchi (Vedi: L’azione sul sangue e sugli organi ematopoetici del benzolo e dei suoi omologhi ecc., “ Arch. d. Se. mediche voi. XXXLX, fase. I, 1915). Sono ancora per me troppo scarse per ricavarne una conclusione sicura circa gli effetti del toluolo sulla genesi delle piastrine in rapporto coi megacariociti, ma sono importanti per l’azione dimostrata dal toluolo sui follicoli malpighiani della milza e sulla incipiente manifestazione fibroadenica del loro reticolo. Riassumendo: dopo 10-12 giorni dallo stringimento della v. porta, che suole nei primi giorni produrre una stasi nella milza; dopo trascorsi vari giorni dall’ultima iniezione di pirodina, che suol essa pure produrre un ingorgo di sangue in tutte le lacune della milza e nella periferia dei follicoli in cui penetrano gl. rossi, per poi ripresentare coll’assorbimento del sangue i cordoni della polpa pressoché normali, e dopo vari giorni trascorsi dall’ultima iniezione di siero mielotossico o di siero emolitico o per l’avvelenamento da toluolo, si trova una esagerata attività nelle cellule peri-avventiziali delle arterie, e in quelle del reticolo, onde avviene la produzione di sostanza collagena che assume una tinta rosso vivo col V. Gieson, e le fibre del reticolo aumentano esse pure di spessore per un tratto più o meno esteso, ma sempre in rapporto colle diramazioni arteriose. Questo fatto ricorda la fibroadenia come si osserva in molti stati patologici della milza e quale fu sopratutto posta in rilievo dal Banti in alcune forme di splenomyalia nell’uorao. Certo che nella produzione acuta dei fatti suddescritti non si arriva mai a quei gradi avanzati di febroadenia che si osservano nelle milze umane, nè si è certi, che sopravvivendo l’animale molto tempo all’operazione, resterebbe la sovraproduzione surricevuta di sostanza collagena, o se questa non possa scomparire ritornando il reticolo e le pareti arteriose al loro stato normale. Tuttavia, i fatti enunciati dimostrano che un ingorgo sanguigno temporaneo, con successivo riassorbi- mento del sangue, una distruzione di elementi splenici e una rarefazione di elementi nei follicoli linfatici, con successiva restituzione della polpa e dei follicoli, può accoppiarsi ad una 22 PIO FOÀ — SULLA PRODUZIONE DELLE PIASTRINE DEL SANGUE, ECO. sovra attività collagena degli elementi peri-arteriosi e di quelli del reticolo. È lecita l’ipotesi che se la causa che produce il fenomeno fosse intensa e duratura, essa potrebbe condurre a una più o meno completa sclerosi del reticolo nei follicoli, o intorno alle arteriole della polpa, COSI da ricordare le alterazioni più gravi che si verificano nella patologia umana, i quali riceverebbero tuttavia solo parzialmente, dai fatti suddescritti, qualche luce sulla rispettiva patogenesi, senza che si possa avere con quelli la pretesa della esatta riprodu- zione sperimentale del quadro presentato dai casi che si verificano nell’uomo. Negli esperi- menti succitati l’ispessimento del connettivo periarterioso e del reticolo insorge in modo acuto e accompagna fenomeni di rigenerazione di follicoli e di pDlpa, quindi esso potrebbe essere un fenomeno progressivo e temporaneo di sovrattività degli elementi connettivi. Recentemente, Gamna ha pubblicato sullo “ Sperimentale „ (Fase. I, gennaio-febbraio 1915) un Contributo sperimentale allo studio della milza nell’emolisi da siero eco., nel quale fra altri risultati descrive un ispessimento dei cordoni della polpa, in cui col v, Gieson si distingue un aspetto fibrillare e fra cui stanno cellule connettive e i rispettivi nuclei. Si tratta di sclei’osi iniziale diffusa dalla polpa splenica. I follicoli malpighiani erano bene conservati e in essi si vedeva il centro germinativo. Il Bonome, a sua volta, in un lavoro pubblicato a Venezia (Officine arti grafiche, 1913) e intitolato : Sulla produzione sperimentale di spieno e mielopatia emolitiche mediante antisieri spe- cifici ecc., espone i risultati avuti nel cane con iniezioni di siero emolitico e afferma di avere osservato una modificazione nella struttura della polpa, e in grado più lieve in quella dei follicoli, consistente in una fibroadenia per la quale l’autore opina che essa abbia l'assomi- glianza colle fibroadenie descritte da Banti nell’uomo, in quelle splenomegalie che possono terminare coll’associarsi a una cirrosi finale del fegato. II processo morboso riprodotto dal Bonome nel cane è identico rispetto al tessuto reti- colato a quello avuto da Gamna nei conigli, ma sembrami concludere opportunamente que- st’ultimo, che esso non è identico ai fatti descritti dal Banti, i quali, com’è noto, s’iniziano sempre e più intensamente nei follicoli malpighiani. In realtà, nei casi dei due citati autori, si tratta di sclerosi diffusa e omogenea dei cordoni della polpa splenica, che solo tardiva- mente si propaga al tessuto dei follicoli nei casi più avanzati, procedendo in essi la sclerosi dalla periferia al centro. La sclerosi diffusa dalla polpa può considerarsi come un esito delle alterazioni parenchimatose acute prodotte nella milza dall’azione del siero emolitico. I casi da me suddescritti si differenziano da quelli dei due autori succitati, che in essi si tratta ordinariamente non di sclerosi dei cordoni della polpa, ma di una sovrattività produttiva di elementi peri-vascolari e del reticolo, onde deriva un ispessimento peri-avventiziale nella fibra del reticolo stesso, sia nel follicolo, sia intorno ai vasi terminali della polpa. I fatti complessi che si verificano nell’uomo come manifestazioni di un quadro clinico tutto particolare, non consentono, come già dissi, la sovrapposizione ad essi di parziali reperti sperimentali, i quali tutt’al più possono valere a dilucidare il meccanismo, ossia l’istogenesi di una parte del reperto anatomo-patologico. A noi non consta se la splenome- galia descritta da Banti, la quale rappresenta già di per se un fatto compiuto, non sia, al suo estremo inizio, preceduta da una fase in cui il reperto anatomico fondamentale sia quello di uno stagnamento o di un ingorgo di sangue con successiva scomparsa graduale dello stesso, cui terrebbero dietro i fatti riferibili alla fibroadenia nei follicoli e nella polpa. Non so neppure se vi sieno elementi per negare un fatto simile, il quale, ove potesse essere confermato, avvicinerebbe un po’ di più la lesione come apparisce nell’uomo, a quella che parzialmente si riproduce cogli esperimenti suddescritti. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 8. 23 SPIEGAZIO™ DELLA TAVOLA I. — Megacariocito del midollo costale di un giovane gattino. S’incomincia a vedervi alcuni accu- muli in mezzo alla densa quantità di granuli azzurrofili distinti dal margine omogeneo periferico leggei’mente basofilo. IL — Megacariociti di giovane gattino da poco spoppato, in cui lo strato dei granuli azzurrofili è già raccolto in tante zolle o cumuli (felderung) (reperto molto raro). III. — Megacariocito di giovane gatto macilento, ancora lattante da madre affetta da enterite. Vi si scorge in due punti della periferia la formazione dei cumuli o delle zolle che trapassano gra- datamente alla differenziazione loro in piastrine del sangue. In a) un cumulo di piastrine che po- trebbe essersi prodotto nella stessa midolla dall’attività dei rispettivi megacariociti, ma potrebbe anche derivare dal sangue circolante che nella midolla delle coste dei gatti deposita spesso cumuli di piastrine, come in altri animali si vedono piuttosto nella milza. IV. — Un megacariocito giovane, attivo, in cui è molto palese la differenziazione del protoplasma omogeneo periferico, dal denso strato di granuli azzurrofili non per anco raccolti in zolle, e non ancora manifestante attività piastrinogena (reperto frequente). V. — Vari saggi di megacariociti trovati nella midolla delle ossa di conigli avvelenati colla piro- dina. In a), h) megacariociti in midolla di coniglio ucciso dopo 24 ore dalla iniezione endove- nosa di 5 cc. di pirodina all’l^/o- Id corpicciuoli impigliati in frangio alla parte periferica dell’elemento (reperto molto raro). VI. — Sezione di midolla delle ossa di coniglio in cui venne iniettato nelle vene siero mielotossico. Enorme dilatazione della rete sanguigna. — Discreta quantità di megacariociti attivi. VII. — Sezione di midolla delle ossa di un coniglio dopo 10 giorni di legatura incompleta della vena porta. Il parenchima è sopratutto segnalato dalle vivissime leucopoesi. I vasi sono ristretti; i megacariociti discretamente abbondanti con corpicciuoli differenziati alla periferia. Vili. — Fibroadenia in un follicolo Malpighiano (ò) della milza dopo 10 giorni dallo stringimento della vena porta. In a) fibroadenia intorno ad un’arteria penicillare. FOÀ.1?-Aziono (Iella pirodina '^ìr''niJÌ%''ii*^'t » s,^^ |P >^ /Ì^.C^ ìiemorte d R. Acrad. d. Scienze di lòrino Cl scFiskhe e mt Ser.B. voi 66 Lil. TiuJiinardi c Furarf/avia Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie li, Voi. LXVI. - N. 9. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. SULL’EQUILIBRIO DI COPPIE DI LIQUIDI PARZIALMENTE MISCIBILI MEMORIA DI ADOLFO CAMPETTI (con una tavola) Approrata upU’ adunanza del IH Giugno 1915. 1. — In due lavori, eseguiti in collaborazione col Dr. C. Del Grosso (^), furono deter- minate le curve di solubilità reciproca per numerose coppie di sostanze, sottoposte a verifica sperimentale le leggi del diametro rettilineo e degli stati corrispondenti e studiata per alcune di queste coppie la composizione della fase gassosa in equilibrio colla fase liquida al di sotto della temperatura critica di miscibilità completa. Nella prima parte della presente Memoria vengono studiate alcune altre coppie di so- stanze per quanto riguarda la loro reciproca solubilità e le leggi ad essa relative; nella seconda parte sono esaminate alcune miscele e soluzioni ad disopra della temperatura critica di uno dei due componenti. Ad evitare equivoci indicheremo qui con G la temperatura cri- tica (nel senso usuale dell’espressione) di una data sostanza, mentre chiameremo tempera- tura critica di miscibilità o temperatura di miscibilità completa (ed useremo il simbolo t„,) quella temperatura al disopra della quale èsse due sostanze sono miscibili in tutte le pro- porzioni. . 2. Studio delle coppie solfo-metaxilolo e fosforo-metaxilolo. — Per queste espe- rienze lo zolfo adoperato, indicato come solfo puro di Kahlbaum, venne cristallizzato due volte dal solfuro di carbonio di recente distillato, quindi ridotto in polvere e disseccato nella stufa: il fosforo, designato come puro, venne pure ricavato da soluzione nel solfuro di car- bonio. 11 metaxilolo di Kahlbaum venne due volte distillato, e dette come temperatura defi- nitiva di ebollizione 139°, 9 alla pressione normale. Le esperienze vennero eseguite col solito metodo, in tubi di vetro a pareti robuste, chiusi alla fiamma, dopo averne tolto l’aria, e quindi riscaldati in apposita stufa a doppia parete e circolazione di gas caldo; la tempera- tura era determinata mediante una coppia termoelettrica. Nella tabella I è indicata con c la concentrazione centesimale di solfo, riferita al peso totale della miscela e con t la corri- spondente temperatura di miscibilità. Nelle esperienze corrispondenti ai dati contrassegnati (1) “ Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, Serie II, Volumi LXI e LXIV. S| ADOLFO CAMI’EITI — SULL KQUII.lliKlO DI COPPIE DI LIQUIDI PARZIALMENTE MISCIBILI con astepisuo lo solfo si separava, ralfreddaudo la miscela al disotto della temperatura di miscibilità, allo stato solido; questi dati sono dunque relativi alla solubilità dello solfo solido: come appare anche dalla tig. 1, in cui è tracciata in base ai dati della tabella la curva di miscibilità, la curva di solubilità dello solfo solido non corrisponde al prolungamento di quella di solubilità dello solfo liquido. Nelle esperienze a temperatura piii elevata conviene fare attenzione di non oltrepas- sare di molto, anche per breve tempo, la temperatura di miscibilità completa, giacché già a 220“ lo solfo reagisce lentamente col metaxilolo, dando origine, fra gli altri prodotti, ad idrogeno solforato: tuttavia, se si ha cura di non oltrepassare i 200°, l’azione chimica è assolutamente trascurabile. Nelle esperienze relative alla solubilità reciproca di fosforo e metaxilolo, il fosforo veniva tagliato in piccoli pezzi sott’acqua, lavato rapidamente due volte in etere, rapidamente asciugato per spontanea evaporazione e quindi introdotto nel tubo, nel quale già si trovava il metaxilolo; in tali condizioni l’ossidazione del fosforo era praticamente evitata; il tubo veniva poi subito affilato alla fiamma e chiuso, dopo aver tolto l’aria. In tutte le esperienze, come del resto anche nelle precedenti l’elative allo solfo, si aveva cura di porre nel tubo pesi tali delle due sostanze, che, alla temperatura di miscibilità, venisse quasi completamente occupato il volume totale: i dati relativi alla coppia fosforo- metaxilolo sono raccolti nella tabella II e graficamente rappresentati nella fig. II. I. Solfo-metaxilolo c t 96,00 96,5 93,23 128,1 91,30 139,9 88,09 163,2 85,62 173,8 80,27 188,5 74,87 192,8 73,13 194,6 66,03 194.1 59.24 190,7 52,21 180,0 44,57 163,6 35,05 141,8 24,59 113,3 (*) 19,81 103,0 (*) 15,06 93,7 IL Fosforo ■metaxilolo C t 97,90 125,0 , 96,52 207,6 94,66 224,0 92,92 262,6 91,35 274,7 89,17 289,3 87,52 298,3 58,31 300,1 54,21 290,3 ‘ 45,20 262,0 36,76 230,9 27,70 195,8 19,09 153,4 13,26 116,8 9,15 82,5 Riguardo alle esperienze col fosforo conviene fare le seguenti osservazioni: poiché il fosforo fonde a 44°, 2, non si può per esso (in relazione ai due stati allotropici, fosforo bianco e fosforo rosso) parlare di temperatura di trasformazione: sta però, come dato pra- tico, il fatto che al disopra di 250° la trasformazione avviene con sensibile rapidità: questo anche in presenza di metaxilolo. Tuttavia questo non impedisce di eseguire esperienze anche a temperature più elevate, data la quasi completa insolubilità del fosforo rosso nel meta- xilolo: in questi casi però, per stabilire la concentrazione, non erano sufficienti le pesate anteriori all’esperienza, ma si doveva, al termine di questa, aprire il tubo, togliere lo xilolo, fondere il fosforo, separare il fosforo rosso dal bianco e pesare quindi il fosforo rosso residuo (che risulta sempre in quantità molto piccola), per dedurre cosi la definitiva concentrazione. MKMOItlE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOI,. I.XVI, N. 9 . 3 Tuttavia per le temperature superiori a 300° la trasformazione era troppo rapida, cosi che anche questo procedimento non conduceva a risultati sicuri, causa l’intorbidamento del liquido per fatto del fosforo rosso in sospensione. Per questa ragione, mentre per la coppia solfo-metaxilolo fu possibile raggiungere direttamente la temperatura critica di miscibilità, questo non si potè ottenere per la coppia attuale: tuttavia, data la forma regolare dei due rami della curva di solubilità reciproca (vedi fig. II), dato anche che, come vedremo nel paragrafo seguente, la legge del diametro rettilineo è, per la parte tracciata, valida con grandissima approssimazione, si può, senza tema di commettere errore notevole, prolungare il diametro rettilineo e la curva di solubilità i-eciproca e ottenere cosi, con una extrapola- zione poco avanzata, la temperatura critica di miscibilità e la relativa concentrazione cri- tica, difficili a determinare direttamente. Nella fig. II la porzione della curva di miscibilità determinata direttamente è segnata in tratto continuo, il rimanente a tratti. 3. Legge del diametro rettilineo. — Indicando con Ci e C 2 le concentrazioni del primo componente nelle due miscele a una stessa temperatura e costruite le curve di solubilità si pone — A -j- Bt e si ricavano i valori dei coefficienti A e B mediante le ordinate ottenute dalla curva corrispondentemente a due diverse temperature : questi valori di sono nelle tabelle seguenti racchiusi entro parentesi. Noti i due coefficienti A e B si pos- sono calcolare i valori di per altre temperature e confrontare con quelli ricavati sperimentalmente; se la legge del diametro rettilineo fosse esattamente verificata, i valori di della quarta e quinta colonna dovrebbero essere identici. Solfo e metaxilolo. ci 4“ C 2 Cì 4“ C2 t C\ 2 2 osservato calcolato 100° 18,2 95,8 57,00 57,97 t — 120° s f — ) C2 = 93,9 110° 23,2 95,0 59,10 59,26 120° 27,2 93,9 (60,55) (60,55) 130° 30,7 92,8 61,75 61,84 ^ — ( C2 = 86,8 140° 34,2 91,3 62,75 63,13 150° 37,8 89,8 63,80 64,42 A = 45,07 160° 42,4 88,3 65,35 65,71 B = 0,129 170° 47,2 86,8 (67,00) (67,00) 180° 52,5 84,3 68,25 68,29 190° 58,5 78,9 68,70 69,58 Risulterebbe quindi ^,„= 194°,8 e c„, = 69,7 secondo la curva, mentre dall’equazione ^'-^^ — A-\-Bt si ricava c„, = 70 , 2 : in media quindi c,„ = 70 , 0 . Per la coppia fosforo-metaxilolo si ebbero i risultati seguenti: 1 ADOLFO OAMPKITI — SUDI,’ EQUILIBRIO DI COPPIE DI LIQUIDI PAK/IALMENTE MISCIBILI Fosforo-mefaxilolo. Ci -f- fj Ci - 1~ Cj t C\ fa 2 2 osaei-vato calcolato no® 12,4 98,1 55,25 54,59 f — 1 q()o ^ — 15,10 ^ — = 97,88 130° 15,1 97,9 (56,50) (56,50) 150° 18,4 97,6 58,00 58,38 170° 22,2 97,3 59,75 59,98 190° 26,4 96,8 61,60 62,17 = 93,20 210° 30,9 96,6 63,75 64,07 230° 36,3 95,0 65,65 65,96 250° 41,3 94,9 68,10 67,86 A ^ 44,16 260° 44,5 93,2 (68,85) (68,85) 5^ 0,0948 270° 47,2 92,1 69,65 69,65 280° 50,3 90,7 70,50 70,70 300° 58,3 87,7 72,70 72,60 La temperatura critica ottenuta per extrapolazione coiTisponderebbe dunque circa a ^,„ = 321° con la concentrazione di circa 74,2 secondo la curva, mentre dalla relazione = A B t risulterebbe 74,59: onde in media c„i=74,4. Come risulta dalle tabelle precedenti o meglio ancora dalle curve relative (fig. I e II), la legge del diametro rettilineo appare in questi due casi verificata, essendo le divergenze comprese entro i limiti degli errori sperimentali. 4. Legge degli stati corrispondenti. — Secondo questa legge, come è stato mostrato in uno dei precedenti lavori (1. c.), se si indicano con la concentrazione critica e con la concentrazione della prima sostanza componente per ogni miscela, l’espressione C\ 1 00 Cm 100 — C\ ' Cm dovrebbe assumere lo stesso valore per tutte le coppie studiate, qualora però per calcolare Ci ci si riferisca non alla stessa temperatura, ma alla stessa temperatura ridotta, si confron- tino cioè miscele che siano a temperature tali da stare in uno stesso rapporto colla tem- peratura t„i di miscibilità completa. Nella tabella a pag. 5 sono calcolati i valori di K per varie temperature per le due coppie ora studiate e posti a ralfronto con quelli già ottenuti nei precedenti lavori, prima citati, per le coppie acqua-nitrobenzolo, acqua-ortonitrotoluolo, acqua-difenilamina : ^ rappre- senta la temperatura a cui deve essere considerata la miscela affinchè la temperatura ridotta sia quella sopra segnata. Appare dunque evidente che, se da una parte, confrontando fra loro solo i dati relativi alle due coppie solfo-metaxilolo, fosforo-metaxilolo, la legge degli stati corrispondenti sem- brerebbe con discreta approssimazione verificata, d’altra parte però i valori di K già otte- nuti per le altre tre coppie, se pure in discreto accordo fra loro, differiscono notevolmente, anche per le temperature ridotte meno elevate, da quelli relativi alle due coppie studiate MEMORIE - ORASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOI,. LXVl, N. 9. t-H I co o Ol t-H lO 05 co rH • co 00 03 (M 1-H i“H 03 co co xo CO OC 00 CO 0 01 o" "*A (M co t-H 03 00 !>•" co 05 o oi CI 03 Temp. ridotta 0,95 0,39 0,41 0,13 0,15 l>- 1—Ì o* 47,7 54,4 11,8 1 14,9 15,5 - 171,41 291,3 218,6 235,3 276,1 05 ^H 05 r- XO^ t-H 03^ r—H Oi o c o 0 o" c6 ■4S 00 lO 00 o iD 03 05 co 05 " lO xO t-H t-H ^H o. a I> I>- 03 o 05 I>- o" CO Ci lO t>- 00 o d 00 1-H co 03 03 03 o o ^H CO a> ZC, CO co co_^ Oi o o o 0 0 " c> ce co 03 0 co rs 00 lO co" co co • rH u xo co 03 03 03 CI a 1— 1 1-H CO CO 03 o" io" ctT CD 05 05 t-H co lO 05 co 03 03 03 o s ADOLFO CAMFKTTl — SULL’eQDIUBKIO DI COl’l'lE DI LIQUIDI PAKZIALMENTE MISCIBILI () nel presente lavoro. Al contrario dunque della legge del diametro rettilineo, che sembra essere di validità generale, la legge degli stati corrispondenti non può certo condurre a risultati sicuri e attendibili. 5. — Prima di lasciare la questione delle curve di miscibilità reciproca accenno anche ai tentativi fatti per determinare i dati critici per le coppie fosforo- etere, solfo-eptano, solfo- etere: nel primo caso a temperatura un po’ elevata il fosforo reagisce coll’etere, dando ori- gine, fra gli altri prodotti, a idrogeno fosforato solido, il che impedisce naturalmente di proseguire le esperienze: nel secondo caso e per ragione analoga si poterono ottenere solo alcuni punti dei due rami della curva di miscibilità, senza poter quindi raggiungere e nem- meno avvicinarsi alla temperatura di miscibilità critica; credo utile tuttavia di riportare nella tabella seguente i pochi resultati ottenuti, che ci forniscono cosi la solubilità dello solfo in optano e dell’eptano nello solfo sino a 190° circa: nella tabella c indica la concen- trazione dello solfo, riferita, come al solito, al peso totale. t 101,1 126,1 174,1 189,2 182,0 176,5 151,5 107,2 c 5,22 7,83 13,09 15,08 96,90 97,11 98,06 99,40 Nel terzo caso (della coppia cioè solfo-etere) la solubilità reciproca è assai piccola, nè si può parlare di temperatura critica di miscibilità: tuttavia la curva di solubilità dello solfo nell’etere presenta particolare interesse, perchè essa solubilità presenta un massimo a una temperatura intorno a 180° (vedi fig. IH), cioè un po’ al disotto della temperatura cri- tica dell’etere, dopo di che la solubilità va assai rapidamente diminuendo, in modo che, rag- giunta la temperatura critica della soluzione, quasi tutto lo solfo è separato. I dati speri- mentali sono riferiti nella tabella che segue, ove c e t hanno il solito significato. t 54,7 71,0 79,9 91,0 109,3 135,8 152,0 175,9 190,1 194,2 196,4 198,7 c 0,64 1,06 1,46 1,93 2,40 2,86 3,08 3,18 3,18 3,03 2,45 1,40 Si ottenne il ramo discendente oltre il massimo nella curva di solubilità (fig. Ili), nel modo che può venir chiarito con un esempio : dato il tubo nel quale la concentrazione dello solfo era 2,40, si ebbe completa soluzione a 109°, 3: continuando allora a innalzare la tem- peratura, a 196°, 4 cominciò a separarsi dello solfo, pur restando alla soluzione allo stato liquido: in maniera analoga si procedette per altri tubi. Per valutare con precisione la con- centrazione si tenne conto del peso dell’etere allo stato di vapore nella porzione di tubo non occupata dal liquido. Per quanto riguarda l’innalzamento di temperatura critica prodotto nell’etere per la presenza dello solfo disciolto, è chiaro che conviene prima conoscere con precisione la tem- peratura critica dell’etere puro adoperato. Dalle numerose esperienze dirette a determinare la temperatura critica dell’etere, scegliendo alcune delle più attendibili, si hanno i valori 195°,5 (Ramsay), 197°,0 (Battelli), 194°, 4 e 193°,8 (Young), che darebbero come media 195°, 2: MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. DXVI, N. 9 . 7 ma, poiché anche piccole impurità possono notevolmente influire sui dati critici, era oppor- tuno ripetere l’esperienza. L’etere puro da me adoperato (distillato due volte sul sodio) dette in duo diversi tubi come temperature critiche 196°, 1 e 196“, 3 e quindi come media 196“, 2, in accordo sufficiente col valor medio per le esperienze sopra richiamate: ponendo nel tubo insieme all’etere solfo in eccesso, la massima temperatura critica raggiunta fu di 202°, 2; a questa temperatura la solubilità dello solfo in etere è certo piccolissima, come appare dalla curva della tìg. III. 6. — Il comportamento delle soluzioni di solfo in etere a temperatura superiore a quella critica dell’etere puro costituisce un caso particolare delle due questioni generali, e cioè: a) Temperatura crìtica delle miscele di due sostanze; b) Solubilità di una sostanza in un'altra al disopra della temperatura critica della soluzione ; questioni che sono del resto strettamente collegate. Riferendoci alla prima, supponiamo dunque di avere stabilito anzitutto la temperatura critica di un liquido puro e di eseguire quindi determinazioni delle temperature critiche delle soluzioni ottenute sciogliendo in esso una sostanza solida o mescolandolo con altro liquido (il che non è cosa essenzialmente distinta). Si osserva allora che la temperatura critica della soluzione o miscela è diversa da quella del liquido puro e si tratta quindi di esaminare quale sia e se si possa calcolare a priori la corrispondente variazione. A questo proposito ricordiamo che già sino dal 1880 Strauss (^), studiando dapprima le miscele di alcool etilico ed etere, trovò verificata con grande approssimazione per la tem- peratura critica la regola di miscuglio, secondo la quale, se a' e a” sono i per cento delle due sostanze componenti la miscela, t\ e t''k le corrispondenti temperature critiche, la tem- peratura critica th del liquido risultante si potrebbe calcolare dalla relazione: ( 1 ) a'tK'+a"tK" a' + a" la quale, potendo essere scritta; t _ « f ' I / " ^ ~ a' -f f/t diventa, riferendosi a un peso totale di 100 e supponendo di indicare, come facemmo pre- cedentemente, con Cx la concentrazione di uno dei componenti riferita al peso totale: ± ^1 i ^ I 100 C\ , // ~ ibo~ I 100, la quale mostra chiaramente che, nell’ipotesi fatta della validità della (1), sarebbe h fun- zione lineare di Ci. Anche secondo le esperienze di Ramsay (^) per le miscele di etere e benzolo, secondo alcune delle esperienze di Galitzine (^) per miscele di etere ed acetone, e così pure se- condo ScHMiDT (^) che esaminò miscele in gran numero di alcool, etere, benzolo, ecc., la regola sopracitata appare in prima approssimazione verificata; invece Ansdell (^) trovò per (1) Strauss, “ Beibliitter 6 e 7. (2) Ramsay, “ Proc. R. Soe. ,, 1880. (3) CrALiTziNu, “ Wied. Ann. ,, 1890. (4) ScHMiDT, “ Beibliitter 1892. (5) Ansdeli,, “ Proc. R. Soc. 1882. 8 ADOLFO CAMPErri — SULL’EQUILIBRIO DI COPPIE DI LIQUIDI PARZIALMENTE MISCIBILI mescolanze di HCl e CO 2 valori più alti (secondo la formula) di quelli osservati, e notevoli divergenze furono pure riscontrate in altre esperienze di Galitzine (1. c.) e in altre di Levi- Bianchini (‘) per soluzioni in acqua. Allo stato attuale della questione si può dire che la formula (1) proposta da Strauss dà talora valori assai prossimi agli osservati, molto spesso però valori più elevati e qualche volta anche valori inferiori a quelli sperimentali: per determinate combinazioni si otten- gono tuttavia dalla formula suddetta valori in maggior accordo coll’esperienza, qualora ci si riferisca non alle concentrazioni percentuali, ma alle concentrazioni molecolari. Nel presento lavoro furono studiate le miscele isopentano-fenolo, isopentano-anilina, esano normale-fenolo, esano normale-anilina, alcune delle quali erano già state esaminate in una Memoria precedente per la determinazione della temperatura di miscibilità completa. Si dovè prima determinare la temperatura critica dell’isopentano e dell’esano adoperati (forniti da Kahlbaum e distillati due volte). Per il primo si ottenne G=186°,6, in buon accordo colle determinazioni di Altschul (^) che ebbe h = 187°,1 e di Young (^) che ottenne ^,^=187®,8, mentre le più antiche determinazioni di Paulewski (*) e Schmidt (®), secondo le quali la temperatura critica sarebbe 194°, 8 e 193°, 0, si riferiscono probabilmente ad un liquido non sufficientemente puro. Per l’esano ottenni G= 240°,2, valore un po’ superiore a quello dato da Young (®), che è 234°, 8: tuttavia anche dopo ripetute distillazioni frazionate non si ottenne un valore diverso dal precedente, forse perchè non fu possibile separare com- pletamente l’esano normale dai suoi isomeri. Per applicare la regola di Strauss ho usato come valori della temperatura critica del fenolo e dell’anilina quelli trovati rispettivamente (e sono gli unici dati in pi'oposito) da Radice (^) per il fenolo e cioè 419°,2, e da Guye e Mallet (®) per l’anilina e cioè 425°,7. Certamente sarebbe stato preferibile determinare direttamente questi dati critici (per quanto il fenolo e l’anilina di Kahlbaum da me adoperati fossero per ripetute distillazioni frazio- nate ed essiccamento portati in condizioni di quasi assoluta purezza), ma nell’apparecchio di riscaldamento usato non era possibile ottenere e mantenere costanti temperature molto al disopra di 300°: appunto per questa ragione anche nella determinazione della temperatura critica delle miscele non si oltrepassò mai di molto quella temperatura. La determinazione sperimentale della temperatura critica si fece collo stesso metodo seguito pei liquidi puri, tenendo per buone solo quelle esperienze nelle quali poco prima di raggiungere il punto critico il tubo era quasi completamente occupato dal liquido. Nelle tabelle che seguono la prima colonna contiene la concentrazione relativa Cj del primo com- ponente la miscela, la seconda la temperatura critica osservata, la terza la temperatura critica calcolata in base alla (1), riferendosi ai pesi percentuali, la quarta (G) la tempera- tura critica calcolata in base alla stessa formula (1) avendo riguardo alle concentrazioni molecolari. (1) Levi Bianchini, “ Rendiconti Lincei ,, 1904. (2) Altschul, “ Zeit. Phys. Chemie ,, 1893. (3) Young, ‘‘ Beibliltter ,, 1900. (4) Paulewski, “ Berichte Ch. Ges. ,, 1883. (5) Schmidt, “ Liebig’s Annalen ,, 1891. (6) Young, “ Phil. Mag. ,, 1900. (7) Radice, “ Archives de Geneve ,, 1902. (8) Guye e Mallet, “ C. R. 1904. 1 MEMOKIK - CLASSE UI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, VOL. LXVI, N. 9. 9 Soluzioni di fenolo in isopentano Soluzioni di anilina in isopentano ih tk (tk) tk tk (tk) ^-*1 osservato calcolato calcolato osservato calcolato calcolato 0 186,6 0 186,6 10,95 202,4 212,1 206,6 16,63 217,6 226,4 218,7 28,34 235,0 252,5 242,1 20,45 226,1 235,5 226,3 30,58 237,9 257,6 245,5 28,43 241,3 254,6 242,8 40,34 261,8 280,4 265,7 39,79 260,9 281,7 267,6 67,06 310,7 342,6 328,3 49,85 283,5 305,8 290,7 100,00 419,2 — — 51,55 287,3 309,9 294,6 56,72 300,4 332,2 306,4 100,00 425,7 — — Soluzioni di fenolo iìi esano nomade Soluzioni di anilina in esano normale Ci tk tk (tk) Ci tk tk (tk) osservato calcolalo calcolato osservato calcolato calcolato 0 240,2 0 240,2 11,8 253,5 261,3 259,7 14,41 261,7 266,9 265,2 20,92 264,5 277,6 275,1 25,29 276,2 287,1 284,6 23,16 268,0 281,7 278,8 42,62 307,0 319,2 315,8 39,33 295,5 310,6 306,8 47,35 318,3 328,0 324,5 48,05 315,1 326,2 322,3 100,00 425,7 — — 100,00 419,2 — Appare intanto da queste tabelle come i valori calcolati siano in tutti i casi notevol- mente superiori agli osservati, per quanto la divergenza risulti minore, quando nella for- mula (1) si suppone di riferirsi alla concentrazione molecolare; si può anche supporre, è vero, che i dati critici per il fenolo e l’anilina siano affetti da un qualche errore, il che non è improbabile quando si ponga mente alle differenze, anche di qualche grado, nelle varie determinazioni della temperatura critica di sostanze come l’etere, l’isopentano ecc., per le quali tuttavia le determinazioni riescono più facili e sicure, a causa della temperatura più bassa: tuttavia è molto probabile che ci troviamo in uno di quei casi in cui effettivamente la regola di Strauss non è applicabile, probabilmente perchè la sostanza disciolta figura nella soluzione con peso molecolare diverso da quello risultante dalla ordinaria formula chimica. È però notevole che, se si rappresentano graficamente i valori delle temperature critiche osservate corrispondentemente alle varie concentrazioni, secondo i dati delle tabelle prece- denti, come è stato fatto nelle figure IV, V, VI e VII, si ottengono delle linee che, spe- cialmente in principio, poco si differenziano da linee rette: in tutti questi casi adunque l’innalzamento di temperatura critica è proporzionale alla concentrazione. 7. — Resta ora da esaminare l’altra questione, quella cioè della solubilità al disopra della temperatura critica. A questo proposito si hanno numerose esperienze per il caso delle sostanze solide disciolte, ma il caso non è diverso per un liquido, quando lo spazio disponibile è inferiore a quello che esso occupa allo stato di vapore saturo alla stessa temperatura. 10 ADOl.FO CAMI’KTTI — SUU,’KQU11,IBR10 DI COI'PIK DI UQUIDI l'AUZIADMENTK MISCIBIM Per quanto riguarda la solubilità delle sostanze solido al disopra della temperatura critica della soluzione e quindi del solvente ricorderemo soltanto le esperienze di Hannay e Hogart (^) relative alla solubilità dello solfo nel solfuro di carbonio, di sali aiogenici metallici in alcool ecc. ; essi trovarono intanto, come è noto, die per l’aggiunta del soluto, la temperatura critica risulta aumentata ; però, una volta raggiunta ed anche superata questa temperatura, la sostanza solida non precipita : si tratta dunque, secondo gli autori citati, di casi di solubilità di un solido in un solvente a temperatura superiore alla critica. (Notiamo subito che il comportamento dello solfo disciolto in etere è invece assai diverso, come risulta dalle esperienze riferite nel § 5, poiché in vicinanza della temperatura critica della solu- zione la maggior parte dello solfo, prima disciolto, si separa). A risultati analoghi giunsero ViLLARD (^) e Altschul (^), il quale esegui esperienze con soluzioni di ioduro potassico in alcool. Egli però suppone che al disopra della temperatura critica non si tratti di una soluzione vera e propria, ma ritiene che la sostanza solida al disopra della temperatura critica della soluzione si separi dal solvente, restando però in esso in sospensione allo stato di grande divisione. Posteriormente Bertrand e Lecarme {^) e Raveau (^) esaminando soluzioni colorate e cioè di alizarina in alcool e di bicromato potassico in acqua, videro mantenersi la colora- zione in tutto il tubo, anche al disopra della temperatura critica; vale a dire non si potè notare alcuna separazione macroscopica delle sostanze disciolte. Nei casi da me esaminati di soluzioni di fenolo e anilina in isopentano ed esano nor- male non si ebbe separazione di fenolo o di anilina al disopra della temperatura critica della soluzione: d’altra parte se il fenolo o l’anilina fossero separati, ma in sospensione come piccole particelle o goccioline minute, queste dovrebbero, se di dimensioni non troppo ridotte, lentamente precipitai’e e raccogliersi al fondo del tubo, altrimenti (se cioè di dimensioni molto piccole) dar luogo ai noti fenomeni di opalescenza che sono appunto caratteristici della separazione di nuclei liquidi o solidi in una atmosfera gassosa. Ora di precipitazione non si ebbe traccia; quanto all’opalescenza essa sempre si verifica in vicinanza del punto critico, ma riscaldando il tubo a qualche grado soltanto sopra il detto punto tale opale- scenza spariva completamente : si può dunque concludere che, almeno sino alle concentrazioni esaminate l’anilina ed il fenolo sono solubili nell’isopentano e nell’esano (e verisimilmente in tutte le proporzioni) anche al disopra della temperatura critica delle soluzioni corrispondenti. 8. — Veramente però, affinchè la precedente conclusione relativa alla solubilità del fenolo e dell’anilina sia scevra da ogni obiezione, è necessario conoscere la densità del vapore saturo di fenolo e di anilina alle temperature corrispondenti: si potrà con sicurezza parlare di solubilità delle dette sostanze nei due solventi in questione al di là del punto critico, qualora la sostanza disciolta dovesse occupare a quella temperatura nello stato di vapor saturo un volume superiore a quello interno del tubo contenente la miscela. La densità del vapor saturo di fenolo e di anilina fu determinata servendosi di tubi di volume noto (mediante taratura con mercurio dopo l’esperienza) e circa di 10 cm®, nei quali si introduceva un peso opportuno della sostanza; quindi si estraeva l’aria e si chiudeva alla fiamma. Questi tubi erano Tiscaldati nella solita stufa e si teneva conto della temperatura a cui il liquido spariva completamente e di quella a cui in qualche punto della parete interna cominciava a deporsi, per lento raffreddamento, un velo di liquido condensato, riu- fi) Hannay e Hogart, “ Proc. R. Soc. of London ,, 1880. (2) ViLLARD, “ C. R. ,, 1895. (3) Altschul, “ Beiblàtter ,, 1898. f4) Bertrand e Lecarme, “ C. R. „. 1905. (5) Raveau, “ C. R. ,, 1905. MKMOKIK - CliASSK DI SCIKNZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SEIUE li, VOD. LXVI, N. 9. 11 scendo in ogni caso a stabilire fra le due temperature una differenza non superiore ad uno 0, per le temperature più elevate, a due gradi. Tenuto conto della temperatura media, noto il peso della sostanza e il volume del tubo per quella temperatura, si otteneva subito il peso p di un centimetro cubo di vapor saturo in quelle condizioni. Questo metodo, die sarebbe poco esatto per basse temperature, quando cioè le densità del vapor saturo sono piccole, dette invece per temperature elevate risultati ottimi e concordanti, come appare del resto anche dal regolare andamento delle curve Vili e IX, nelle quali le ordinate rappresentano i pesi di un cm® di vapor saturo, espressi in decimi di milligrammo. I dati mediante i quali le dette curve sono state costruite, sono i seguenti: Fenolo Anilina t P in grammi 170,1 0,00172 233.5 0,00763 263,0 0,01248 291,0 0,02130 • t P in grammi 204,7 0,00369 246,7 0,00696 268,1 0,01103 291,8 0,01740 Tenuto conto di questi dati, prendiamo a considerare le esperienze nelle quali è stata determinata la temperatura critica delle soluzioni di fenolo e anilina, valendoci delle due tabelle che seguono, nelle quali nella prima colonna è indicato il volume v interno del tubo adoperato per la determinazione della temperatura critica delle soluzioni, nella seconda la temperatura critica corrispondente, nella terza il peso p in grammi del fenolo o dell’anilina rispettivamente presenti nel tubo, nella quarta il peso pure in grammi di vapor saturo che occuperebbe quel volume a quella temperatura: i pesi di un centimetro cubo di vapor saturo di fenolo o anilina sono stati ricavati dai dati precedenti per interpolazione e per le temperature più elevate con una facile e lecita extrapolazione. Limitandoci soltanto ad alcune fra le esperienze eseguite, si ebbe dunque: Soluzioni di fenolo in isopentano Soluzioni di anilina in isopjentano V t p Pi V t p Pi . 2,233 202,4 0,0709 0,0085 2,518 217,6 0,0964 0,0105 2,316 235,0 0,2281 0,0180 2,710 241,3 0,2177 0,0168 1,695 261,8 0,2554 0,0217 2,725 283,5 0,4492 0,0406 2,304 310,7 0,6909 0,0736 2,768 300,4 0,5166 0,0565 Soluzioni di fenolo in esano Soluzioni di anilina in esano V t P Pi V t P Pi 2,618 253,5 0,0748 0,0278 2,715 261,7 0,0915 0,0255 2,724 264,5 0,1392 0,0322 2,615 276,2 0.1656 0,0336 2,753 296,6 0,2886 0,0666 2,670 .307,0 0,3189 0,0635 2,681 315,1 0,3525 0,0920 2,692 - 318,3 0,3513 0,0815 12 ADOLFO OAMl’ETri — SUUi KQUIUBltlO DI COITIE DI UQUIDI PAliZULMENTE MISCIBILI 111 tutti i casi dunque alla temperatiu-a critica della soluzione dovrebbero separarsi quantità notevoli di fenolo o di anilina, se esse sostanze non fossero solubili nell’isopentano e nell’esano in quello stato che essi assumono al disopra del punto critico. Hiassumendo dunque; a) Sono state determinate le curve di solubilità reciproca per due nuove coppie e cioè solfo-metaxilolo, fosforo-metaxilolo, trovate le temperature critiche di miscibilità e le corrispondeuti concentrazioni critiche e verificata la legge del diametro rettilineo. b) È stata completamente determinata la curva di solubilità dello solfo neH’etero e studiato il comportamento delle soluzioni ottenute relativamente alla temperatura critica e alla solubililità dello solfo al disopra di questa temperatura. c) Si è determinato l’innalzamento di temperatura critica dell’isopentano e dell’esano normale per fatto del fenolo e dell’anilina disciolti, riconoscendo essere tale innalzamento con grande approssimazione proporzionale alla concentrazione, senza che tuttavia la pro- prietà additiva o regola di miscuglio sia esattamente verificata. d) Si è riconoscinta la reciproca miscibilità dell’anilina o fenolo coll’isopentano ed esano normale anche al disopra della temperatura critica della soluzione: il carattere dei fenomeni sembra indicare trattarsi di vera e propria solubilità e non di sospensione. Torino, Istituto Fisico della K. Università, Maggio 1915. i.'l- c^'cu’uxi’ c'ii Ooìluo.CV. . [i.y mal. o iiat. - i^twic bomc LX\ 'X Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie 11, Voi. LXVI. - N. IO. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturaìi. PRIMO ELENCO DI FUNGHI DI VAL SAN MARTINO 0 VALLE DELLA GERMANASCA Contributo alla Flora micologica delle Valli Valdesi del Piemonte. MEMORIA DI BENIAMINO PEYRONEL Approvata nell’ adunanza del 21 Marzo 1915. PRE FAZIONE Le Valli Valdesi sono rappresentate da quella parte delle Alpi Cozie ch’è bagnata dal Pellice, dal Chisone e dai loro affluenti: cosi chiamate perchè sono abitate da quel popolo valdese così interessante sotto vari punti di vista, e particolarmente dal punto di vista sto- rico — per le quasi continue, eroiche lotte ch’ebbe a sostenere nei secoli scorsi per la sua libertà di pensiero e di religione — ■ nonché anche da quello antropologico, rappresentando esso come una propagine etnica di quella regione della Francia, ove il popolo parla l’armoniosa lingua d’oc. Ma se le Valli Valdesi hanno da lunga pezza attratto l’attenzione degli storici e dei teologi, esse rappresentano ancora una regione in gran parte vergine per la scienza ; e mentre altre parti delle Alpi Piemontesi, come la Valle d’Aosta e la Valsesia, sono state oggetto di studi numerosissimi, la flora e la fauna di queste valli sono ben lungi dall’essere state studiate a fondo. La flora micologica delle Valli Valdesi, specialmente, non ci è nota che in minima parte. Il solo autore, per quanto mi risulta, che siasi occupato in modo particolare di essa, è il Fayod (1), il quale nel 1892 pubblicò un elenco di funghi ivi raccolti negli anni 1885-87. Tale elenco comprende poco meno di 360 specie, appartenenti, però, nella loro quasi totalità, agli Imenomiceti e ai Gasteromiceti, poche alle Uredinee e alle Ustilaginee, pochis- sime agli Ascomiceti, Ficomiceti e Mixomiceti, nessuna ai Deuteromiceti. Questi funghi furono dal Fayod raccolti in massima parte nei dintorni di Torre Pellice, in Val Pellice, pochi in Val Chisone a San Germano e a Pramollo. Poche Uredinee ed Ustilaginee, raccolte dal Dott. E. Rostan e facenti parte dell’erbario del Cesati, furono illustrate dal Ferraris nei suoi contributi alla flora micologica piemontese. ■» (1) V. Fayod, Censimento dei Funghi osservati nelle Valli Valdesi del Piemonte durante i mesi di agosto- ottobre del 1885-87. Torino, 1892. U| hKNlAMlNO PEYKONEL — PUlMO EI.ENCO DI FUNGHI DI VAI, SAN MARTINO, ECO. Non è di esse indicata in modo preciso la località ove furono raccolte, ma sono solo con- trassegnate dalle espressioni generiche: “ Nei dintorni di Pinerolo “ Nel Vallese “ Nelle Alpi Valdesi „ e simili. Siccome, però, 1’ attività del Dott. Kostan, come medico e come botanico, si esplicò sopratutto in Val San Martino, è probabile che il materiale fungine sopra indicato sia stato, almeno in buona parte, da lui ivi raccolto. In ogni modo esso rappresenta ben poca cosa rispetto alla flora micologica, certamente ricchissima, della regione, =t= st= * I funghi elencati in questo lavoro furono da me raccolti a vari intervalli negli anni 1911-12-13-14 in Val San Martino o Valle della Germanasca, bagnata dal torrente omonimo, affluente del Chisone (1). Le mie escursioni micologiche non si svolsero però in tutta la vallata, ma solo in una piccola parte di essa, e ciò per le ragioni qui brevemente esposte. La fiora micologica di numerose regioni alpine è stata studiata; tuttavia dai molti lavori relativi noi non possiamo ancora trarre che ben poche e malsicure conclusioni d’indole gene- rale sulla biologia della micoflora alpina; e ciò, a mio parere, perchè nessuna regione è stata studiata a fondo. Eppure sarebbe assai interessante il determinare il modo di variare della fiora stessa a seconda dei vari fattori mesologici; come e quanto vari, ad esempio, col variare della fiora fanerogamica che le fa da matrice, col variare dell’altezza, degli agenti climaterici, ecc. Mosso da queste considerazioni e nella speranza di potere per l’appunto, in un avve- nire più o meno lontano, risolvere alcuni problemi del genere di quelli sovraesposti, limitai le mie ricerche ad una regione assai ristretta: esse si svolsero in massima parte nel mio montuoso Riclaretto, un comunello d’ un migliaio di abitanti, e specialmente nella parte superiore di esso, dai mille metri in su. Tuttavia alcune escursioni furono fatte anche nelle regioni più elevate dei comuni di Faetto e di Frali, sempre nella vallata della Germanasca. Se il mio campo di esplorazione fu assai circoscritto, ebbi somma cura, d’altra parte, di precisare quanto più possibile tutto quanto poteva interessare la biologia di ogni singola specie, notando per ognuna di esse le matrici su cui furono raccolte, le località, l’altezza sul livello del mare, l’epoca della raccolta, ecc. * * Naturalmente, nonostante il procedimento di ricerche sopraindicato, occorreranno, per giungei’e a conclusioni generali di qualche importanza, ulteriori indagini prima che la flora micologica della regione si possa considerare come quasi completamente nota. Le 365 specie da me studiate non rappresentano ancora, certamente, che una minima parte della flora stessa. Qui solo si può notare quanto già osservò il prof. Traverso (2), che cioè sembrano predominare nelle regioni montuose le forme perfette sulle imperfette, mentre in pianura suole verificarsi il contrario. Le mie ricerche, poi, furono rivolte sopratutto, ma non esclusivamente, ai micromiceti; però nella estate e nell’autunno scorsi già ho potuto raccogliere altro ricco materiale, spe- cialmente di Imenomiceti, che spero di poter studiare quanto prima. (1) Parte di questi funghi, specialmente Ifoiniceti, furono ottenuti da culture nelle mie ricerche sui germi atmosferici degli Eumiceti (Vedi B. Pkvkonel, 1 (fermi atmosferici dei Funghi con micelio. Padova, 1913). (2) G. B. Thaveksi), Manipolo di funghi della Vcdle Pellina. Aosta, 1912, pag. 7. MEMOIllE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. K NATUK., SERIE li, VOL. LXVI, N. IO. 3 Nello studio del materiale accolto ebbi occasione di riscontrare numerose specie nuove per la scienza {Melanomma purpumscens, Spororinia montana, Plaeosphaeria fibrincola, Apo- sphaeria protea, Aposphaeria purpurascens, Ct/tosporella polymorpìia, Cytodiplospora Saccardiana, Diplodina Urticae, Syndiplodia Coryli, Bhabdospora Altheae, Riclaretia Urticae, Tortila resini- cola, Clasterosporium Traversianum, Ovulariopsis Tulasneorum), una forma nuova {Asperyillun glaucus f. oligocephala) e tre generi nuovi {Syndiplodia, Riclaretia, Cephalosporiopsis). Pa- recchie specie 0 varietà sono, per quanto mi risulta, nuove per l’Italia {Exobasidium Vac- cinii-uliginosi, Valsa oxystonia, Thyridaria Broussonetiae, var. minor, Gnomonia sperino gonoides, Rosellinia rosaruni, Lachnum bicolor for. alpina, Lachnum calyculaeforme, Peronospora Ur- ticae, Dendrophoma didyma, Haplosporella conglobata, Diplodia Tiliae, Stagonospora hortensis, Dinemasporium purpurascens, Sterigmatocystis nidulans, Sterigm. sulphurea) ; in altre potei fare osservazioni talora interessanti, come su Exobasidium Rhododendri, Exob. Vaccinii, Calo- sphaeria alpina, Calospìi. taediosa, Chorostate Mamiania, Melanomma cinereum, Erysiphe Poly- goni, Sphaerotheca fuliginea, Sphaeroih. Humtdi, Myxotrichum aeruginosum, Cytospora Vitis, Di- plodinà Malvae, Diplodia Coryli, Diplodia rosarum, Dichomera Cytisi, Micropera Sorbi, Tortila abbreviata, Cladosporium herbartim, Ciad. Schribnerianum, Fusicladium depressum, Dendryphitim rhopaloides, Oidium erysiphoides, Penicilliurn glaucmn, Sterigmatocystis phaeocephala, ecc. ecc. Nella disposizione sistematica delle 365 specie elencate in questo lavoro, ho seguito lo schema proposto dai Maestri miei Profif. Saccardo e Traverso per la Flora Italica cryptogama (1). * * * Il materiale fungine illustrato nel presente lavoro, fu da me studiato dal febbraio al luglio dello scorso anno, trovandomi io ospite del R. Istituto Botanico di Padova presso il mio illustre ed amato Maestro Prof. Saccardo, il quale non solo mise a mia completa dispo- sizione la sua ricchissima biblioteca e il suo prezioso erbario micologico, ma sempre mi fu largo di incoraggiamenti e di consigli. Grazie alla benevolenza sua potei quasi sempre deter- minare con la massima certezza le specie studiate, confrontandole spesso con esemplari ori- ginali 0 determinati da micologi di grande valore. A Lui, dunque, ed al valoroso suo ex-as- sistente Prof. G. B. Traverso, ora Vice-Direttore della R. Stazione di Patologia Vegetale, che pure sempre mi prestò valido aiuto nel mio lavoro, sento il gradito dovere di esprimere la mia più profonda riconoscenza. Devo ancora vivamente ringraziare il Prof. 0. Mattirolo, Direttore del R. Istituto Botanico di Torino, il quale gentilmente volle presentare il mio lavoro alla R. Accademia delle Scienze di Torino. Roma, dalla R. Stazione di Patologia Vegetale, 1® marzo 1915. (1) P. A. Saccaiiuo e G. B. Traverso, Sulla disposizione e nomenclatura dei gruppi micologici da seguirsi nella '‘Flora italica crgptogama „ (“ Annal. Mycol. ,, voi. V, 1907, pag. 315). 1 HENIAMINO TRYliONEI. — l'KIMO ELENCO DI EUNUllI DI VAL SAN MARTINO, ECC. ELENCO SISTEMATICO DELLE SPECIE Divisio Eumycetae Eichler. Series Teleomycetae Sacc. Classis Bassicliomycolae (De By.) Sacc. et Trav. SuBCLASsis Etibasidiae (Schrót.) Sacc. et Trav. Orbo Hymeiiiales (Fr.) White. Fam. Agaricaceae Fr. Sectio Leucosporae Fr. 1. Amanita mascaria Limi. — Sacc. Syll. V, p. 13; Cooke, 111., tab. 1. Boschi di Lai'ix decidua, in varie località di Riclaretto : Bóc d’ l’Aio (1400 m.), Sapé (1375 m.), Tirièro (1400 m.), Sarét (1450 m.) Figliolo (1500 ni.) - Sett.-Ott. 1913. 2. Cantharellus ciharius Fr. — Sacc. Syll. V, p. 482; Cooke, 111., tab. 1130-1131. Boschi di Larix decidua a Riclaretto, presso La Tirièro (1400 m.) - Agosto 1911. 3. Lentinus squaniosus (Schaeff.) Karst. — Sacc. Syll. V, p. 581, sub. L. lepideus-, Cooke, 111., tab. 1140 {id.). Su ceppi di Larix decidua in varie loc. di Riclaretto: Eibergia (1400 m.), Vèn- tremol (1650 m.) - Ag.-Sett. 1911, 1913. 4. Lenzites flaccida (Bull.) Fr. — Sacc. Syll. V, p. 638; Gillet, Champ. Fr. Hymén., tab. 250. Su ceppi e su tronchi abbattuti di Quercus Bobur in varie località di Riclaretto : Roccio Salso (950 m.), Marucchin presso Lu Triissan (1050 m.j, Sagnassùn (1100 in.). 5. Lepiota procera Scop. — Sacc. Syll. V, p. 27; Cooke, 111., tab. 21. Nei campi, a Riclaretto, ovunque, fino a 1400 m. - Sett.-Ott. 1911-12-13. 6. Panus stipticus (Bull.) Fr. — Sacc. Syll. V, p. 622; Cooke, 111., tab. 1144 A. Su tronchi e rami marcescenti di Quercus Robur, Alnus glutinosa, Cytisus Labiir- num, ecc., in varie località di Riclaretto: Grullo (950 m.), Triissan (1000 m.), Albaréo (1100 m.), Tirièro (1400 m.) - Est.-Aut. 1911, Genn. 1913. 7. Pleurotus ostreatiis Jacq. — Sacc. Syll. V, p. 355; Cooke, 111., tab. 195. Su ceppi di Juglans regia, presso Lu Sagnassùn (1100 m.. Riclaretto) - Febbraio 1913, 1914. 8. Schizophyllam alneimi (L.) Schrot. — Sacc. Syll. V, p. 655, sub S. commune-, Cooke, 111. tab. 114 [id.]. Su tronchi e rami caduti di Corylus Avellana, Betula alba, Cytisus Laburnum, Sorbus Aucuparia, ecc., in parecchie località di Riclaretto: Triissan (1000 m.). Là Roccia (1250 m.), Ciùlièra (1300 m.), Eibergia (1400 m.). MEMOKIE - CliASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SEKIE II, VOL. LXVI, N. IO. Sectio Melanosporae Gill. et Britz. 9. Agaricus campestev L. — Sacc. Syll. V, p. 997; Cooke, IH., tab. 526-28. Su un mucchio di letame suino, a La Tirièro, e nei pascoli aperti, al Sapc (Ricla- retto) a 1400 m. circa - Agosto-Sett. 1913. 10. Hypiioloma fasciciilare Hudson. — Sacc. Syll. V, p. 1029; Rolland, Atlas Champ., tab. 75, fig. 163. Su radici di Castagno (Eicialie, 950 m.), di Juglans regia (Peyrunéu, 980 m.), di Popiilus tremula (Marucchin 1075 m.) e di Larix decidua (Eibergia, 1450 m.) in varie località di Riclaretto - Est.-Aut. 1911-12-13. 11. Stropharia aeruginosa Curt. — Sacc. Syll. V, p. 1013; Gill. Champ. Fr. Hymén., tab. 398. Sopra una trave di Larix decidua, in una stalla a La Tirièro (Riclaretto, 1400 m.) - Aut. 1912. Fam. Polyporaceae Fr. Sectio Leucosporae Sacc. (1). 12. Daedalea quercina (L.) Pers. — Sacc. Syll. VI, p. 370 ; Gillet, Champ. Fr. Hymén., tab. 475 (var.). Sopra un ceppo di Quercus Robur al Sagnassìin (Riclaretto, 1100 m.) - Genn. 1913. 13. Fomes falvus (Fr.) Gillet. — Sacc. Syll. VI, p. 182; Delacroix, Maladies plant. cult., p. 50, fig. 3. Su tronchi di Prunus domestica e di Prunus Avium a Riclaretto (Ciulièra, Girpas, 1350 m. circa) - Est. 1911. 14. P'oìnes igniavius (L.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 180; Gill. Champ. Fr. Hymén., tab. 468. Su tronchi vivi di Salix alba (Triissan, Marcii, Cumbogar'in) e di Salix Cuprea (Rucciùn) a Riclaretto, 1000-1100 m. - Febbr. 1913. 15. Polyporus adustiis (Willd.). — Sacc. Syll. VI, p. 125; Gill. Champ. Fr. Hymén., tab. 577 (var.). Su ceppo di Fagus silvatica: Cró Lughéo, sopra Lu Triissan (Riclaretto, 1100 m.) - Marzo 1914. 16. Polyporus hetulinus Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 139; Bull. Champ. Fr., tab. 312 (Bo- letus) ; Gill. Champ. Fr. Hymén., tab. 462. Su tronchi di Betula alba sopra L’Agiigliètto (1100 m.. Riclaretto). Oss.: Esemplari dal pileo candido, presentante spiccato mimetismo colla corteccia della Betulla. 17. Polyporus hispidus (Bull.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 129; Gill. Champ. Fr., tab. 461. Su tronchi vivi di Ulmus canipester (La Vènto sopra Lu Triissan, 1050 m.) e di Pirus Malus (Triissan, Barnéu, Cró Lughéo, Cuinbo Eiciiro, 1000-1050 m.) a Ricla- retto - Aut. 1911. (1) Questa sezione meriterebbe una accurata revisione, poiché molte specie in essa comprese hanno le spore nettamente ocracee e quindi dovrebbero costituire generi distinti ed essere trasportate nella sezione “ ochrosporae ,. G BENIAMINO l’EYKONEB — l’KIMO EBENCO DI FUNGHI 1)1 VAI, SAN MARTINO, ECO. 18. Poi l/por ((S officinalis (Vili.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 139; Bull. Chanip. Fr., fcab. 296, sub Boletus Laricis. Su tronco vivo di vecchio Larix decidua: La Miano (2000 m., liiclaretto) - Est. 1911. 19. Poli/porns Schireinitzii Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 76; Fries, llymén., tab. 179, fig. 3. Sul tronco o sulle radici di Larix decidua (La Miano, 2000 in. circa) e sul terreno in una foresta di Larici (sopra La Tirièro, 1420 m.) a Riclaretto - Est. -Aut. 1911, 1913. 20. Polyporus suij)hureas (Bull.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 104; Gill. Champ. Fr., tab. 470. Su ceppo di castagno: Grullo (950 m., Riclaretto) - Aut. 1911. 21. Poli/stictus hirsutiis (Wulf.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 257, sub Poli/porus; Beri. Fungi Morie., tab. 8, fig. 1-5. Su tronchi abbattuti e su rami morti di Prunus Avium, Populus tremula, Cytisus Laburnum, Corylus Avellana in varie località di Riclaretto : Peyrunéu (950 m.), Triissan (1050 m.). La Cèto (1000 m.) - Est. -Aut. 1914. 22. Polystictus versicolor (L.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 253; Gramberg, Filze Heim., II, tab. 28. Su ceppi e tronchi abbattuti di vari alberi a Riclaretto : Fraxinus excelsior, Ca- stanea saliva, Juglans regia (nei pressi di Lu Triissan, 1000 m. circa), Acer Pseudo- platanus (Sagnassùn, 1125 m.). - Genn. 1913. 23. Polystictiis zonatus Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 260; confr. cum spec. Bresadolae in Mycotheca Saccardiana. Su tronco vivo di Betula alba (Mulièro, 800 m.) e su ceppo della stcs.sa specie (Là Roccia, 1200 m.) a Riclaretto - Genn. 1913. 24. Porla ferruginosa (Schrad.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 327. Nell’interno d’una cavità, scavata da uccelli, in un tronco morto di Quercus Robur : Là Roccia (1200 m., Riclaretto) - Genn. 1913. 25. Porta levigata Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 326. Su tronco morto, decorticato di Betida alba sopra L’Agiigliétto (1100 m., Riclai’etto). 26. Porla 3Iedulla~panls (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 295; Flora Danica, fase. 34, tab. 2028, fig. 1. Su rami caduti, corticati di Salix Capraea: La Taglià (1200 m. circa. Riclaretto) - Sett. 1911-12-13. 27. Porla niolhisca (Pers.) Fr. — Sac. Syll. VI, p. 293; Cooke, Austral. Fungi, tab. 8, fig. 58; FI. Dan., tab. 1299 {s>\xh Boletus). Su rami marcescenti di Corylus Avellana : La Taglià (1200 m. circa, Riclaretto) - Sett. 1911. Sectio Ochrosporae Sacc. 28. Boletus hadius Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 7; Rolland, Atlas champ., tab. 80, fig. 179; Gramberg, Filze Heim., tab. 10. Boschi di Larix decidua presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Sett.-Ott. 1913. 29. Boletus hovlnus Linn. — Sacc. Syll. VI, p. 6; Rolland, Atlas champ., tab. 79, fig. 178; Gramb., Filze Heim., tab. 11. Boschi di Larix decidua, presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Aut. 1913. 30. Boletus edulis Bull. — Sacc. Syll. VI, p. 29; Gramb., Filze der Heim., li, tab. 4. Boschi di Castanea saliva (Eicialie, 950 m.) e di Larix decidua (Bòc dTAlo, Tirièro, 1400 m. circa) a Riclaretto - Sett.-Ott. 1913. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOI- LXVI, N. IO. 7 31. Boletiis scaher Fx*. — Sacc. Syll. VI, p. 41; Gramberg, Filze dei' Heimat, tab. 5. Boschi di Betula alba (Gi-angiun 1200 m., Cumbo Eiciiro, 1050 m.), di Corylus Avel- lana (Culièro, 1200 m., Eibergia 1400 m.) e di Sorbus Aucuparia (Eibergia 1450 m.) a Riclaretto - Aut. 1912, 1913. 31**®. — var. aurantiacus Bull. — Sacc. Syll. VI, p. 41; Bull. tab. 489, fig. 2; Rolland, Atlas champ., tab. 87, fig. 193. Boschetti di Populus tremula a Riclaretto (Cumbo Eiciiro, 1050 m., Parcani, 1300 m.) - Aut. 1912, 1913. 32. Boletus subtomentosus Limi. — Sacc. Syll. VI, p. 14; Gramb., Filze der Heimat, tab. 9. Boschi di Larix decidua e di Fagus silvatica (Bòc dTAlo, La Tirièi'o, 1400 m. circa) a Riclaretto - Aut. 1913. 33. Merulius lacrimans (.Jacq.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 419; Gramberg, Filze der Heimat, II, tab. 1. Sulla malta arenacea della volta d’una cantina umida, a La Tirièro (1400 m.. Ri- claretto) - Sett. 1913. Fam. Hydnaceae Pers. Sectio Leucosporae Sacc. 34. Hydnuìu repandimi Linn. — Sacc. Syll. VI, p. 435; Gramberg, Filze II, tab. 29. Bosco di Corylus Avellana e di Salix Capraea a La Taglia (1150 m., Aut. 1913. der Heimat, Riclaretto) - Fam. Telephoraceae Pei-s. Sectio Leucosporae Sacc. 35. Coì-ticiwm aurantiaemri Bres. — Sacc. Syll. XI, p. 126 ; cum spec. Bresadolae in Allescher et Schnabel, Fungi bavarici, n. 129 conf. Su l’ami e ti’onchi morti di Alnus viridis a Riclaretto: Ventrernol (1700 m.). La Miano (2000 m.), estate 1911; assieme a Chorostate Mamiania a Las Eibergia (1400 m., Riclaretto) - Sett. 1913. 36. Corticiani coeruleuni (Schrad.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 614; Gill. Chamb. Fr., tab. 498. Su i-ami caduti, decorticati di Fraxinus excelsior in sito umido presso il Rioclaretto (a 900 m.). Agosto 1911; e su legno marcescente di Acer Pseudojdatanus a. La Y àuto (1075 m.. Riclaretto) - Febbr. 1914. 37. Corticium cornedens (Nees) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 628. Su rami caduti di Corylus Avellana a Là Roccia (1200 m., Riclai'etto) - Genn. 1913. 38. Corticiìiììi incarnatiiìn (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 625. Su rami semidecorticati di Cytisus Laburnum a Riclaretto: Trussan (1000 m.). Là Roccia (1200 m.), Febbr. 1913; La Vòuto (1075 m.) - Marzo 1914. 39. Corticium nigrescens (Schrad.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 628; cum spec. Bresadolae in Mycotheca saccardiana confei’tum. Su rami caduti di Castanea saliva a Grullo (950 m., Riclaretto) - Febbr. 1913. 40. Corticium roseum Pers. — Sacc. Syll. VI, p. 611. Su corteccia di Pirus Malus, Triissan (1000 m.. Riclaretto) - Febbr. 1913. S! BENIAMINO BEYKONEE — BKIMO EBENCO DI FUNGHI DI VAB SAN MARTINO, ECC. H. Esaltasi (li UHI Wiododeudri Crainer. — Sacc. Syll. VI, p. 6(i4 ; Cavara in Malpighia, 1899, Microcec. fior, del Rhod. ferrug., p. 124, tab. V. Su foglie, fiori, estremità vegetative di Ithododendron ferrnginnim in molte località a Riclaretto: Tirièro (1400 m.), Melze sécc (1700), La Miano (2000 m.), Cnlnmbièro (2150 m.), ecc. - Est.-Ant. 1911-12-13. Oss.: Benché molti autori ritengano che Exobasidium Bhododendri sia da identificarsi con E. Vaccina, tale identità non è ancora provata in modo decisivo: occorrerebbero aH’uopo degli esperimenti di infezione artificiale. — Nei miei esemplari le basidio- spore misuravano 10-12 = 3-4 e gli sporidioli derivanti dalla germinazione di quelle, 7-12 = 2-2 1 / 2 . 42. Exohasidiuni VaceAnii (Fuck.) Woron. — Sacc. Syll. VI, p. 664. Sulle foglie e sui rami più teneri di Vaccinium Vitis-idaea in varie località di Riclaretto: Eibergia (1400 m.). Grò d’Bussìu (1750 m.), Bric d’Muerefreit (2000 m.) - Est. 1911. Oss.: Basidiospore 10-12 = 3-3,5, sporidioli 7-8 = 1-1,5. 43. Exobasidiuììi Vacchiii-ulighiosi Boudier. — Sacc. Syll. XXI, p. 420; Briosi e Cavara, Funghi parass., n. 261. Sulle foglie e sui ramoscelli più teneri di Vaccinium uliginosuni a Fiurun nell’Alpe del Lausun (2200 m. circa, Faetto) - Agosto e Sett. 1911. Oss.: Spore continue, 18-25 = 7-10. Questa specie sarebbe nuova, sotto questo nome, per l’Italia; ma essa è senza dubbio già stata raccolta e confusa con E. Vaccinii. 44. llypochuus Sambuci (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 656. Su legno decorticato di Sambucus nigra: Barnéu (1000 m., Riclaretto) - Febbr. 1913. 45. Stereum Acerinum Pers. — Sacc. Syll. VI, p. 587. Brinkmann, Westfal. Pilze, n. 4. Sulla corteccia d’un ceppo di Juglans regia a La Rei (1000 circa. Riclaretto) - Genn. 1913. 46. Stereum Coryli Pei’s. — Sacc. Syll. IX, p. 224; cum spec. Bresadolae in Mycotheca Saccardiana conf. Su ceppo di Corylus Avellana presso Lu Trùssan (1000 m.. Riclaretto) - Febbr. 1913. 47. Stereum hirsutuni (Will.) Pers. — Sacc. Syll. VI, p. 563; Gillet, Champ. Fr., tab. 496. Su ceppi di Quercus Robur (Trùssan, 1000 m.. La Goto, id.. Serre, 1100 m.), su rami di Fraxinus excelsior (Trùssan), di Castanea satioa (La Lanterne presso Gli Ulivie, 1100 m.) e di Betula alba (Là Roccia, 1200 m.) a Riclaretto - Est.-Aut. 1911, Gen- naio-Febbr. 1913. Sectio Ochrosporae Sacc. 48. Hymetiochaete ferruginea (Bull.) Bres. — Sacc. Syll. VI, p. 565, sub Stereum; Brinkmann, Westfal. Pilze, n. 42. Su ceppo di Quercus Robur (Sagnassùn, 1100 m.) e su vecchio tronco di Castanea saliva (Ruréo presso Lu Marcii, 1000) a Riclaretto - Inverno 1913 e 1914. 49. Itff menochaete tabacina (Sow.). Lev. — Sacc. Syll. VI, p.590; Brink.Westf. Pilze, n.40. Su fusti morti di Rhododendron ferrughmim; Gumbal d’gli Eiciaruntón (1750 m., Riclaretto) - Febbr. e Agosto 1913. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. IO. 9 Ordo Grasterales (Willd.) Sacc. et Trav. Fam. Lycoperdaceae Erhb. 50. Hovista niyrescens Pers. — Sacc. Syll. VII, p. 99; Hollòs, Gaster. Hung., p. 124, tab. 22; Petri, Gasterales, p. 61. Nei pascoli aperti presso La Tirièro (1400 m., Riclaretto) - Estate 1911. 51. Hovlsta pluTYibea Pers. — Sacc. Syll. VII, p. 96 ; Hollòs, Gaster. Hung., p. 122, tab. 22; Petri, Gasterales, p. 62. Nei pascoli aperti presso L’Erbèriàsso (1370 m.. Riclaretto) - Estate 1911; e nei prati montani a Las Eibergia (1400 m.. Riclaretto) - Aut. 1913. 52. Tvìfcoperdon atropurpureuniYìiì. — Sacc. Syll. VII, p. 125; Petri, Gasterales, p. 46; Hollòs, Gaster. Hung., pp. 96-99, tab. X XVIII sub L. umbrinum (prò parte). In un prato accanto ad un boschetto di Quercus Robur, al Maruccliin presso Lu Triissan (1050 m.. Riclaretto) - Aut. 1911. 53. Lycoj^erdon f/emmatum Batsch. — Sacc. Syll. VII, p. 106; Petri, Gasterales, p. 38; Hollòs, Gaster. Hung., p. 102, tab. 19. Pascoli alpini aperti: La Figliolo (1500 m.. Riclaretto) - Aut. 1911. 54. Lycoperdon piriforme Schaf. — Sacc. Syll. VII, p. 117; Hollòs, Gaster. Hung., p. Ili, tab. XX; Petri, Gasterales, p. 36. Prati di montagna poco fertili: Las Eibergia (1400 m.. Riclaretto) - Est. 1911. 55. Lycopet'don polymorphum Vitt. — Sacc. Syll. VII, p. 110; Hollòs, Gaster. Hung., p. 105; tab. XXI, XXII, sub L. furfuraceunv, Petri, Gasterales, p. 47. Pascoli alpini a La Cialm (1650 m.. Riclaretto) - Estate 1911. Fam. Sclerodermataceae. 56. Scleroderma vulyare Hornem. — Sacc. Syll. VII, p. 134; Petri, Gasterales, p. 94; Hollòs, Gaster. Hung., p. 153, tab. XXIII, sub Sci. aurantium. Prati poco fertili, con muschi, a Las Eibergia (1400 m.. Ridar.) - Aut. 1911. Fam. Nidulariaceae. 57. Craeihulum vulyare Tul. — Sacc. Syll. VII, p. 43; Hollòs, Gast. Hung., tab. XXXVHI, fig. 23; Grarnberg, Filze der Heimat, p. 42. Su un asse marcescente di Larix decidua: Triissan (1000 m.. Ridar.) - Febbr. 1913. Ordo Phalloidales (Fr.) Sacc. et Trav. Fam. Phallaceae. 58. Matinus caninus (Huds.) Fr. — Sacc. Syll. VII, p. 42; Hollòs, Gaster. Hung., tab. I, fig. 3-11. In un bosco ombroso di Corylus Avellana e di Salix Capraea: La Taglia (1175 m., Riclaretto) - Settembre 1911. 10 BENIAMINO BEYKONEL — PltlMO ELENCO U1 FUNGHI 1)1 VAL SAN MARTINO, ECO. SuBCL. Protobasidiae (Bref.) Sacc. et Trav. Ordo Tremelloidales (Agardh) Sacc. et Trav. Fam. Dacryomycetaceae Bref. Sectio Phragmosporae. Sacc. 59. IJacì' ijoìuyces deliquescens (Bull.) Dub. — Sacc. Syll. VI, p. 798; Bull. Champ. Fr., tab. 455. Su legno marcescente di Larix decidua (Triissan, 1000 m., Culumbièro, 2100 in.), Febbr. 1913; e di Corijlus Avellana (Là Roccia, 1200 m.). Gemi. 1913 (Envers dà Serre, 1 100 m.) - Marzo 1914. Fam. Tremellaceae (Agardh) Sacc. et Trav. Sectio Leucosporae Sacc. CO. Tremclla sarcoides (Dick.) Fr. — Sacc, Syll. Vili, p. 792; Tul. Carp. Ili, p. 190, tab. XVII, fig. 1-6 {Corynes Sarcoidis stat. con.). Su grosso ramo marcescente di Alnus viridis: La Miano (2000 m., Ridar.) - Est. 1911. Fam. Auriculariaceae Bref. Sectio Leucosporae Sacc. 61. Aurlcularia mesenterica (Dicks.) Fr. — Sacc. Syll. VI, p. 762, Myc. Ven., n. 34. Su ceppo di Fraxinus excehior a La Buergio (1000 m.. Riclaretto) - Febbr. 1913. Orbo IJredinales (Brogn.) Dietel. Fam. Pucciniaceae Schrot. Sectio Amerosporae Sacc. 62. Vromyces Acetosae Schroter. — Sacc. Syll. VII, p. 537; Trotter, Uredinales, p. 72. Su foglie vive di Riimex Acetosa: Tirièro (1400 m., Riclaretto) - Agosto 1911 e 1913 — St. uredosp. e teleutosp. 63. Vromyces Alchemillae (Pers.) Fuckel. — Sacc. Syll. Vili, p. 553; Trotter, Ured., p. 63. Su foglie vive di Alchemylla vulyaris: Gran Cumbo (1900 m., Pramollo), Luglio 1911, stato uredosp.; Tirièro (1400 m., Riclaretto) - Luglio 1913, st. uredosp. e teleutosp. 64. Vromyces appeìidiculatus (Pers.) Lynk. — Sacc. Syll. VII, p. 535 ; Trotter, Ured., p. 43. Su foglie vive di Phaseolus vulyaris: Triissan (1000 m., Riclaretto) - Aut. 1911. 65. Vromyces Cacaliae (DC.) Unger. — Sac. Syll. VII, p. 560 ; Trotter, Ured., p. 26. Su foglie di Adenostyles albida (ipof.) assieme a. Sphaerotheca Hunudi va.r. fuliginea: Grò dà Lup (Alpe del Lausun, 2000 m.) - Sett. 1911 — St. uredosp. e teleutosp. 66. Vromyces Fabae (Pers.) De Bary. — Sacc. Syll. VII, p. 531 ; Trotter, Ured., p. 45. Sulle foglie di Vida Faha: Serre (1100 m.. Riclaretto), Aut. 1911, St. teleutosp.; sulle foglie e sui cauli di Vida sp.: Triissan (1000 m.. Riclaretto) - Febbr. 1913 — St. uredosp. e teleutosp. JIEMOKIE - CLASSE 1)1 SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VUL. LXVI, N. IO. 11 67. JJroìnyces Gevanii (DO.) Ott. et Wartm. — Sace. Syll. VII, p. 535 ; Trotter, Ured., p. 38. Su foglie vive di Geranium nodosum: La Taglia (1175 m., Riclaretto) - Sett. 1911, Luglio 1913 — St. uredosp. e teleutosp. 68. TJro'ìnyces Laburni (DO.) Fuck. — Sacc. Syll. VII, p. 550, sub. U. Genistae-tinct. (p. p.); Trotter, Ured., p. 59. Su foglie di Cytisus Lahurnum: Eibergia, La Miiro (1400 m. circa. Riclaretto) - Agosto 1911 — St. uredosp. e teleutosp. 69. TJrornyces Polyyoni (Pers.) Fuckel. — Sacc. Syll. VII, p. 753; Trotter, Ured., p. 71. Su foglie di Poligonum Dumetorum assieme a Puccinia Pohjgoni: Triissan (1000 m., Riclaretto) - Agosto 1911 — St. teleutosp. 70. TJrornyces Trifolii-repentis (Cast.) Liro. • — Sacc. Syll. VII, p. 534 (cum U. Trifola)-, Trotter, Ured., p. 57 (i(^.); Sydow, Mon. Ured. II, p. 131. — U. Trifola auct. p. p. Su foglie e cauli di Trifolium repens: Tirièro (1400 m.. Ridar.) - Agosto 1913 — St. teleutosp. 71. TJroniyces Veratri (D.C.) Schrot. — Sacc. Syll. VII, p. 543; Trotter, Ured., p. 80; Briosi e Cav. Funghi par., n. 405. Su foglie languide di Veratrum Ldbelianum a Faetto : Lausun (2000 m.), Eric d’ Fiurun (2200 m.) - Settembre 1911 — - St. teleutosp. Sectio Didymosporae Sacc. 72. Gymnosporangium Amelanchieris E. Fisch. in Zeitschr. f. Bot., 1, 1909, pp. 683-714. — Gl. juniperinum auct. p. p. Stato ecidiosp. [Roestelia cornuta (Gmel.) Fr. for. Amelancìaeris) su foglie di Ame- lanchier vulgaris: Rucciun (1050 m.. Riclaretto) - Ottobre 1911. 73. Gymnosporangium clavariiforme (Jacq.) DO. — Sacc. Syll. VII, p. 737 ; Trotter, Ured., p. 329. Stato ecidiosp. {Roestelia lacerata (Sow.) Mer.) su foglie di Sorbus Aria a Riclaretto: Cumbo Eiciiro (1050 m.), Eibergia (1400 m.), Sarrét (1400 m.) - Agosto 1911. 74. Gymnosporangium juniperinum (Linn.) Fr. — Sacc. Syll. VII, p. 738; Trotter, Ured., p. 333. Stato ecidiosp. {Roestelia cornuta (Gmel.) Tul.) su foglie dì Sorbus Aticuparia: Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Estate 1911. 75. Puccinia Acetosae (Schum.) Koern. — Sacc. Syll. VII, p. 638; Trotter, Ured., p. 251. Su foglie di Rumex Acetosa var. arifolùis: Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Agosto 1913. — St. uredosp. e teleutosp. 76. Puccinia alpina Fuck. — Sacc. Syll. VII, p. 693; Trotter, Ured., p. 211. Su foglie vive e languide di Viola bifora, assieme a Marsonia Violae: La Miano (2000 m. circa. Riclaretto) - Settembre 1911. — St. teleutosp. 77. Puccinia Pistortae (Strauss) DC. — Sacc. Syll. VII, p. 638; Trotter, Ured., p. 244. Su foglie di Polygonuin Bistorta: Ciaplet presso il Rioclaretto (1100 m.) - Sett. 1911; su foglie (lembo e picciuolo) e cauli della stessa pianta, abbondantissima in varie località di Riclaretto: Eibergia, Tirièro, Sarrét, ecc. (1400 m. circa) - Luglio 1913. — St. uredosp. e teleutosp. 78. Puccinia Caltliae Link. — Sacc. Syll. VII, p. 602; Trotter, Ured., p. 235. Su foglie di Caltha palustris: Pissail presso la Tirièro (1350 m.) - Autunno 1911. — St. uredosp. e teleutosp. 12 BENIAMINO l’EYKONEI, l’KIMO ELENCO DI KUNOUI DI VAI- SAN MAItTlNO, ECC. 71). Puccinia Centaureae DC. — Sacc. Syll. VII, p. 633; Trotter, Ured., p. 98. Su foglie di Centaurea unifiora a Culumbièro (2100 m., liiclaretto) e di C. nervosa presso il lago del Lausun (2000 m., Faetto) - Sett. 1911. — • St. uredosp. e teleutosp. 80. Puccinia Cerasi (Béreng.) Cast. — Sacc. Syll. VII, p. 640; Trotter, Ured., p. 218. Su foglie di Pruniis Jvìu/n: Triìssan (1000 ni., liiclaretto) - Ottobre 1911. — St. teleutosp. 81. Puccinia Cirsii Lasch. — Sacc. Syll. VII, p. 633; Trotter, Ured., p. 109. Su foglie di Cirsium spinosissimwn, presso l’Alpe del Lausun (2000 ni.) - Agosto 1911, e presso il Colle deU’Infernet (2200 in.) - Settembre 1911. — St. teleutosp. 82. Puccinia Cruciferarum Iludolphi. — Sacc. Syll. VII, p. 724; Trotter, Ured., p. 227. Sulle foglie e sui cauli di Cardamme resedifolia : Cró dà Lup (1900 m., Faetto) - Settembre 1911. — St. teleutosp. 83. Puccinia Hypoclìoeridis Oud. — Sacc. Syll. VII, p. 633; Trotter, Ured., p. 121. Su foglie di Hijpochoeris unifora, presso il Lausun (2000 m., Faetto) - Sett. 1911. — St. uredosp. e teleutosp. 84. Puccinia maculosa (Str.) Kòrn. - — Sacc. Syll. VII, p. 606; Trotter, Ured., p. 129. Su foglie di Prenanthes purpurea, a La Miiro (1400 m., Riclaretto) - Agosto 1911. — St. uredosp. e teleutosp. 85. Puccinia malvacearutn Montagne. — Sacc. Syll. VII, p. 686; Trotter, Ured., p. 215. Su foglie di Malva siloestris: Triìssan (1000 m., Riclaretto) - Ottobre 1912. — St. teleutosp. 86. Puccinia Menthae Pers. — Sacc. Syll. VII, p. 617; Trotter, Ured., p. 159. Su foglie di Mentila viridis, var. coltivata : La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Estate 1911. — St. teleutosp. 87. Puccinia Polyyoni Alb. et Schw. — Sacc. Syll. VII, p. 636, p. p.; Trotter, Ured., p. 250; Fischer, Ured., p. 303. Su foglie di Polygonum Dumetorum, assieme a Uromyces Polyyoni: Triìssan (1000 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. — St. uredosp. e teleutosp. 88. Puccinia Porri (Sow.) Wint. — Sacc. Syll. VII, p. 605; Trotter, Ured., p. 259. Su foglie di Allium Porrum: Triìssan (1000 m.. Riclaretto) - Autunno 1911. — St. uredosp. e teleutosp. 89. Puccinia Saxifrayae Schlechtendal. — Sacc. Syll. VII, p. 678; Trotter, Ured., p. 225. Sulle foglie e sui cauli di Saxifraga stellaris: Cró dà Lup (1900 m., Faetto) - Set- tembre 1911. — St. teleutosp. 90. Puccinia Scorodoniae Link. — Sacc. Syll. VII, p. 689; Trotter, Ured., pp. 165, 166 (= Puccinia annularis p. p.). Su foglie di Teucrium Scorodonia, a Malruccias (1100 m.) presso il Rioclaretto - Settembre 1911. — St. teleutosp. 91. Puccinia Soldanellae (DC.) Fuck. — Sacc. Syll. VII, p. 618; Trotter, Ured., p. 173. Su foglie languide di Soldanella alpina (anfigena): Eibergia (1400 m.. Riclaretto) - Settembre 1911. — St. teleutosp. 92. Puccinia Tarataci (Rebent.) Plowright. — Sacc. Syll. IX, p. 305; Trotter, Ured., p. 140. Su foglie di Taraxacum officinale: Eibergia (1400 m.. Riclaretto) - Agosto 1913. — St. uredosp. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. IO. 13 Sectio Phragmosporae Sacc. 93. Phratjmidiu'm Rosae-alpinae (DC.) Wint. — Sacc. Syll. VII, p. 747, sub Ph. fu- siforme-, Trotter, Ured., p. 345. Sulle foglie, sui picciuoli e sui frutti di Rosa alpina var. pyrenaica, a Las Eibergia (1400 m., Riclaretto) - Estate 1911. — St. ecidiosp., uredosp. e teleutosp. 94. Phragmidimn lliihi-idaei (Pers.) Karst. — Sacc. Syll. VII, p. 748; Trotter, Ured., p. 353. Su foglie di Ruhus idaeus: Triissan (1000 m., Riclaretto) - Agosto 1911. — St. uredosp. e teleutosp. 95. Phragmidimn violacemn (Scbultz) Wint. — Sacc. Syll. VII, p. 744; Trotter, Ured., p. 351. Sulle foglie di Rubus fruticosus: Cumbo Eiciiro (1050 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. — St. uredosp. e teleutosp. Fam. Cronarti aceae Diet. Sectio Amerosporae Sacc. 96. Cronartium asclepùideum (Willd.) Fr. — Sacc. Syll. VII, p. 597; Trotter, Ured., p. 362. Su foglie vive e languide di Cynanchum Vincetoxicum, anche associato a Cercospora Bellynchii: Gaiét (1100 m.. Riclaretto) - Settembre 1911. -- St. uredosp. e teleutosp. Sectio Phragmosporae Sacc. 97. Chrysoniyxa Rhododendri (DC.) De Bary. — Sac. Syll. VII, p. 760; Trotter, Ured., p. 359. Su foglie di Rhododendron ferrugineum : Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Agosto 1911, Culumbièro (2100 m.. Riclaretto) - Settembre 1911. — St. uredosp. Fam. Coleosporiaceae Diet. Sectio Phragmosporae Sacc. 98. Coleosporium Euphrasiae (Schum.) Wint. — - Sacc. Syll. VII, p. 754; Trotter, Ured., p. 375. Su foglie di Euphrasia officinalis (Gayet, 1100 m.) e di E. offìcinalis var. strida (Tirièro, 1400 m.) a Riclaretto - Settembre 1911. — St. uredosp. 99. Coleosporinm Tussilaginis (Pers.) Lev. — Sacc. Syll. XXI, p. 720; Trotter, Ured., p. 373. Su foglie di Tussilago Farfara presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Sett. 1911. — St. uredosp. Fam. Melampsoraceae Schiòt. Sectio Amerosporae Sacc. 100. Melampsora Allii-Salicis albae Kleb. — Sacc. Syll. XVII, p. 266; Trotter, Ured., p. 409. Su foglie languide di Salix alba presso Lu Sagnassùn (1100 m.. Riclaretto) - Set- tembre 1911. — St. uredosp. 11 l’.ENIAMINO rEYKONEI, — PRIMO EEENCO 1)1 FUNGHI DI VAL SAN MARTINO, ECC. 101. Melampsora alpina Juel. — Sacc. Syll. XIV, p. 289; Trotter, Ured., p. 415. Su foglie di Salix herhacea al M. Rous (2600 m.) - Sett. 1911. — St. uredosp. 102. Melampsora Eaoìiymi-Caprearum Klebahn. — Sacc. Syll. XVII, p. 463; Trotter, Ured., p. 415. Su foglie di Salix Cuprea presso La Tirièro e a Las Eibergia (1400 m. circa, Ri- claretto) - Agosto 1911. — St. uredosp. 103. Melampsora Euphorbiae-dalcis Otth. — Sacc. Syll. XIV, p. 288; XXI, p. 604; Trotter, Ured., p. 396. Su foglie di Eupkorbia dulcis a Las Eibergia (1400 ni.) - Agosto 1911 e 1913; La Tirièro, La Mino (1400 m.) - Agosto 1913. — St. uredosp. e teleutosp. 104. Melampsora Laricis-populina Klebahn. — Trotter, Ured., p. 401; Sacc. Syll. VII, p. 590, sub M. populina. Su foglie di Populus nigra: Guèrg dTUlo presso il Rioclaretto (1050 m. circa) - Ottobre 1911. — St. uredosp. 105. Melampsora Laricis-tremiilae Klebahn. — Trotter, Ured., p. 403; Sacc. Syll. VII, p. 589, sub. M. tremulae. Su foglie di Populna tremula: Vayél (1170 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. — St. uredosp. 106. Melampsora reticiilatae Blytt. — Sacc. Syll. XIV, p. 289; Trotter, Ured., p. 416. Su foglie di Salix reticulata, al M. Rous (2600 m.) ■ Settembre 1911. 107. 3Ielampsora Ribesii- Salicum (Kleb.) Bubàck. — Trotter, Ured., p. 192; Sacc. Syll. XVII, p. 463, sub M. Ribesii- Auritae. Su foglie di Salix Lapponum al Colle dellTnfernet (Fuetto, 2240 m.) - Sett. 1911. 108. ALelampsoridiam betulinum (Pers.) Klebahn. — Sacc. Syll. XXI, p. 605; Trotter, Ured., p. 421. Su foglie di Betula alba presso La Thùèro (1400 m.. Riclaretto) - Agosto 1913. Sectio Dictyosporae Sacc. 109. Pacciniastrum Pirolae (Gmel.) Trottei*. — Trotter, Ured., p. 383; Sacc. Syll. VII, p. 766, sub Thecospora. Su foglie languide di Pyrola minor nei boschi di Larice sopra La Tirièro (1400 m. circa, Riclaretto) - Agosto 1911. — St. uredosp. Uredospore, 28-35 e 14-17. 110. Pacciniastrum Vacciniorum (DC.) Diet. — Trotter, Ured., p. 384; Sacc. Syll. VII, p. 765, sub Thecospora. Sulle foglie di Vaccinium Myrlilhis (Eibergia, 1400 m.) e di V. uliginosum (Tirièro, 1400 m., Riclaretto; Meinie, 2300 m.. Fuetto) - Agosto-Settembre 1911. Oredinales imperfectae. 111. Aecidiit,m Petasitidis Sydow. — Sacc. Syll. XVI, p. 340; Trotter, Ured., p. 431. Su foglie di Petasites alba presso La Tirièro e a Las Eibergia (1400 m. circa. Ri- claretto) - Luglio 1913. (72, 74). Roestelia cornuta Fr. — Vedi Gymnosporangium Amelanchieris e G. juniperinum. (73). Roestelia lacerata (Sow.) Mer. — Vedi G. clavariiforine. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. IO. 15 SuBCL. Hemibasidiae Schrot. Ordo U stilaginales (Tul.) Sacc. et Trav, Fam. Ustilaginaceae. Sectio Amerosporae Sacc. 112. Atithracoidea Caricis (Pers.) Bref. — Sacc. Syll. XIV, p. 420; = Ustilago Caricis (Pers.) Fuck. — Sacc. Syll. VII, p. 464. Sugli ovari di Car ex ferruginea, salendo al Triic (2300 m., Riclaretto) - Agosto 1913. 113. Tjstilago Parlatorei Fisch. — Sacc. Syll. VII, p. 474. Su cauli e foglie di Itumex alpimis, che deforma: Eibergia (1400 m., Riclaretto) - Agosto 1913. Chassis A.scomycelao (Fr.) Sacc. et Trav. SuBCL. Euascae (Schrot) Sacc. et Trav. Ordo Pyrexiiales (Fr.) Sacc. et Trav. Fam. Xylariaceae Tul. Sectio Phaeosporae Sacc. 114. Hypoxyloìi cohaerens (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. I, p. 361; Trav. Pyrenom., p. 49. Sulla corteccia d’un ceppo di Fagus silvatica presso L’Alharéo (1100 m., Riclaretto) - Febbraio 1913. Oss.: Forma molto effusa. 115. Hypoxylon fuscuni (Pers.) Fr. — Sacc. Fungi it., n. 569, Syll. I, p. 361; Trav. Pyrenom., p. 44. Su rami e tronco caduti di Corglus Avellana: Eibergia (1400 m., Riclaretto) - Au- tunno 1911, Luglio 1913; Eiivers dà Serre (1100 m.. Riclaretto) - Marzo 1914; e di Alnus viridis: Gardetto (1900 m.. Riclaretto) - Febbraio 1913. 116. TJstulina maxima (Weber) Wettst. — Trav. Pyrenom. p. 36; Sacc. Syll. I, p. 351, sub U. vulgaris Tul. Su ceppi di Fagus silvatica : Sarrét (1400 m. circa) - Estate 1911 ; Albaréo (1100 m.) - Febbraio 1913; e di Juglans regia: Grò Lughéo sopra Lu Triissan (1100 m.) - Gen- naio 1913. Tutte località di Riclaretto. Fam. Valsaceae Tul. Sectio Allantosporae Sacc. 117. Calosphaeria alpina Sacc. — Sacc. Syll. XIV, p. 480; Beri. Icon. fung. III, p. 19, tab. 25; Trav. Pyrenom., p. 160. Su rami semidecorticati di Cgtisus Laburnum a Riclaretto: La Miiro presso Lu Sarrét (1400 m.) - Estate 1911; Envers dà Serre (1100 m.) - Marzo 1913. Oss.: Le dimensioni degli sporidi sono alquanto maggiori di quelle date, e cioè 7-9 = 1,5-2, anche negli esemplari della Myc. ital. di D. Saccardo, che ho esaminati. Gli ascili sono nei miei esemplari 30-36 = 6-8; le parafisi 70-75 = 2-2,5. 118. Calosphaeria pulchella (Pers.) Sdir. — Trav. Pyrenom., p. 158; C. Princeps Tul. — Sacc. Syll. I, p. 95; Beri. Icon. fung. Ili, p. 16, tab. 21, fig. 1. IO BENIAMINO PEYKONEE — l’KlMO ELENCO DI B'DNGIII DI VAL SAN MARTINO, ECC. Sulla corteccia d’un tronco abbattuto di Prunus Avinm : La Casso sopra Lu Triissan (1050 lu., Riclaretto) - Gennaio 1913. 119. Caìosphaefia taediosa Sacc. — Sacc. SylI. I, p. 98; Beri. Icon. fung. Ili, p. 15, tav. 20; Trav. Pyrenom., p. 161. Su rami morti di Betula alba, assieme a Coniothecium behdinum: Eibergia (1400 m., Riclaretto) - Luglio 1913. Oss.: La Betula alba costituisce una matrice nuova per questa specie, che fu però riscontrata su Almis glutinosa e A. viridis. I miei esemplari corrispondono in tutto alle diagnosi degli autori sopracitati. 120. Diatvìjpe disciformls (Hoffm.) Fr. — Sacc. Syll. I, p. 191 ; Beri. Icon. Ili, p. 96, tab. 99; Trav. Pyrenom., p. 68. Su rami caduti di Fagus silvatica (Agiigliètto, 1100 m., Gennaio 1913), Corglns Avellana (Là Roccia, 1200 m., Gennaio 1913), Alnus glutinosa (Triissan, 1000 m.. Aprile 1911); assieme a D. Stigma su rami di Fagus silvatica (Albaréo, 1100 m.. Febbraio 1913) a Riclaretto. 121. Diatrype stigma (Hoffm.) Fr. — Sacc. Syll. I, p. 193; Beri. Icon. Ili, p. 100, tab. 124; Trav. Pyrenom., p. 66. Su rami caduti di Betula alba (Là Roccia, 1200 m., Gennaio 1913), di Corylus Avel- lana (Albaréo, 1100 m.. Roccia, 1200 m., Gennaio-Febbraio 1913) e di Fagus silvatica (Albaréo, Febbraio 1913, assieme a D. disciforniis) a Riclaretto. 122. T>iatrypella verruciformis (Ehrh.) Nits. — Sacc. Syll. I, p. 200; Beri. Icon. Ili, p. 117, tab. 152; Trav. Pyrenom., p. 75. Su rami caduti di Alnus viridis a VéntremoI (1600 m., Riclaretto) - Agosto 1911. 123. Fhitypa ludibunda Sacc. — Sacc. Syll. I, p. 167; Beri. Icon. Ili, p. 50, tab. 61; Trav. Pyrenom., p. 128. Su rami caduti di Lonicera alpigena presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Aprile 1911. 124. Eutypella acericola (De Not.) Beri. — Sacc. Syll. I, p. 199, sub Diatrype; Beri. Icon. Ili, p. 66, tab. 81, fìg. 1; Trav. Pyrenom., p. 117. Su rami caduti di Acer Pseudoplatamis a Las Eibergia (1400 m., Ricl.) - Luglio 1913. 125. Peroneutypa heteracantha (Sacc.) Beri. Icon. Ili, p. 81, tab. 99; Trav. Pyrenom., p. 124; Sacc. Syll. I, p. 177, sub Eutypa. Su rami morti, corticati di Cytisus Laburnum a Las Eibergia (1400 m. Riclaretto) - Estate 1911. 126. Valsa anibiens (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. I, p. 131; Trav. Pyrenom., p. 102. Su rami caduti di Pirus Aria a La Miiro (1400 m.) - Estate 1911; di Corylus Avel- lana a L’Albaréo (1100 m.); di Quercus Robur presso Lu Triissan (1000 m.) - Feb- braio 1913, e di Acer Pseudoplatanus a La Vouto sopra Lu Triissan (1075 m.) - Marzo 1914. Tutte località di Riclaretto. Oss.: Sempre associata allo stato picnidico {Cytospora ambiens); sul Quercus anche assieme a Pestalozzia truncata. 127. Valsa ceratophora Tul. — Sacc. Syll. I, p. 108; Trav. Pyrenom., p. 84. Su rami caduti di Corylus Avellana a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Estate 1911. 128. Valsa nivea (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. 1, p. 137; Trav. Pyrenom., p. 104; cum spec. Mycoth. ital. D. Saccardoi, n. 68, conf. Su rami caduti di Populus Tremula ai Parcàni presso Lu Sapé (1300 m.) - Estate 1911. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. IO. 17 129. V'alsa oxystonia Rehm. — Sacc. Syll. I, p. 118. Su rami caduti di Alnus viridis a La Gardètto (2000 m.. Riclaretto) - Febb. 1913. Oss.: Questa specie è nuova per l’Italia, per quanto mi risulta; ho potuto confron- tare i miei esemplari con quelli originali di Rehm, Ascom., n. 280, nell’Herb. Myc. di F. A. Saccardo. 130. Valsa salicina (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. I, p. 131; Trav. Pyrenom., p. 101. Su l’ami caduti di Salix Caprea, assieme allo st. piciiidico {Cytospora fugax)'. Serre (1100 m.. Riclaretto) - Autunno 1911; e di Salix {alba"^), a, Diplodia salicina: Triissan (1000 m., Riclaretto) - Febbraio 1913. Sectio Hyalosporae Sacc. 131. Maniiania Coryli (Batsch) Ces. et De Not. — Trav. Pyrenom., p. 168; Sacc. Syll. I, p. 419, sub Gnomoniella. Su foglie vive di Corylus Avellana: Marucchin presso Lu Triissan (1050 m.. Ridar.) - Settembre 1911; Eibergia (1400 m.) - Settembre 1911, Agosto 1913. Sectio Phaeosporae Sacc. 132. Lopadostonia yastrinum (Fr.) Trav. Pyrenom., p. 169; Sacc. Syll. I, p. 303, sub Anìhostoma. Su ramoscello caduto di Fagtis silvatica: Sagnassun (1100 m.. Ridar.) - Genn. 1913. Sectio Hyalodidymae Sacc. 133. Chorostate Maniiania (De Not.) Trav. Pyrenom., p. 201; Sacc. Syll. I, p. 609, sub Diaporthe. Su rami caduti di Alnus viridis in varie località di Riclaretto: Eibergia presso La Tirièro (1400 m.) - Aprile 1911, Settembre 1913; Véntremol (1700 m.) - Estate 1911; La Gardètto (2000 m.), Grò dà Lup (1900 m., Faetto) - Febbraio 1913. Su rami caduti di Betula alba a Las Eibergia - Estate 1911. Oss.: Questa bella specie, che, stando alla Syll. ed a Traverso, Pyrenom., sembra essere stata raccolta una sola volta, immatura, sul Moncenisio, è comunissima in Val Germanasca, specialmente sull’ALn/s viridis. Nei miei esemplari, ben maturi, gli ascili misurano 75 = 9-10; gli sporidi sono biloculari e misurano 16-18 = 4-4,5. 134. Hercospora Tiliae (Pers.) Tul. — Sacc. Syll. I, p. 605; Trav. Pyrenom., p. 189. Su ramoscelli morti, corticati, di Tilia vulgaris assieme ad Exosporium Tiliae: La Cèto presso Lu Triissan (1000 m., Riclaretto) - Marzo 1914. Sectio Phaeophragmiae Sacc. 135. Melogruìrmia spiniferuin (Walbr.) De Not. — Sacc, Syll. II, p. 145; Beri. Icon. I, p. 50, tab. 37, fig. 3; Trav. Pyrenom., p. 297. Su rami caduti e sulla corteccia d’un ceppo di Fagus silvatica presso l’Albaréo (1100 m.. Riclaretto) - Febbraio 1913. 18 BENIAMINO l'EYKONEL — PRIMO EEENCO DI FUNOHl DI VAI, SAN MARTINO, ECO. 1:16. Th f/ridaria lìroussonetiae (Sacc.) Trav. Pyrenoni., p. 301; var. minor Sacc. Syll. II, p. 140. Su ramoscelli caduti di Con/lus Avellana, assieme a Coniothyrium incrustans, suo st. micropicnidico: Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Ridar.) - Luglio 1913. Oss. : Questa varietà è nuova per l’Italia, per cui è noto invece il tipo. Sectio Scolecosporae Sacc. 137. Slllia fervHffinosa (Pers.) Karst. — Sacc. Syll. II, p. 361; Beri. Icon. II, p. 156, tal). 174; Trav. Pyrenoni., p. 324. Su rami caduti di Corylus Avellana a Kiclaretto: Là Roccia (1200 m.) - Gemi. 1913; Eibergia (1400 m.) - Luglio 1913. Fam. Ceratostomataceae Wint. Sectio Hyalodidymae Sacc. (274). Gnomonia Juglandis (DC.) Trav. Pyrenom., p. 343; Sacc. Syll. I, p. 568 (sub G. leptostyla). 138. Gnomonia spermogonoides Rehm. — Sacc. Syll. IX, p. 673; conf. cum spec. orig. in Mycotli. Saccardiana (Rehm. Ascom., 944). Su sarmenti marcescenti di Bubus fruticosus: Triissan (1000 m., Riclaretto) - Feb- braio 1913. Oss. : Specie nuova per l’Italia. Sectio Hyalophragmiae Sacc. 139. Ceratosphaeria crinUjera (Cooke). — Sacc. Syll. II, p. 227; Beri. Icon. I, p. 91, tab. 84, fig. 2; Trav. Pyrenom., p. 347. Su legno marcio di Fraxinus excelsior: Sagnassùn (1100 m.. Riclaretto) - Genn. 1913. Oss.: Ascili 75-85 = 12-14; sporidi 15-18 = 4,5-5,5. Fam. Sphaeriaceae (Fr.) Sacc. Sectio Phaeosporae Sacc. 140. Coniocìiaeta malacotricha (Auerw.) Trav. var. ambigua (Sacc.) Trav. Pyrenom., p. 473 ; Sacc. Syll. I, p. 27 (sub Rosellinia). Su rami caduti di Samhucus racemosa a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 in.. Riclaretto) - Luglio 1913. 141. Rosellinia mammiformis (PPers.) Ces. et De Not. — Sacc. Syll. I, p. 258; Trav. Pyrenom., p. 460. Su ramo marcescente di Priinus Avium, assieme a Bebentischia Massalongi a La Miiro, presso Lu Sarét (1400 m.. Riclaretto) - Estate 1911; e su rami caduti, semidecorti- cati di Corylus Avellana a Là Roccia (1200 m.. Riclaretto) - Gennaio 1913. 142. Rosellinia mastoidea Sacc. Syll. I, p. 258; Trav. Pyrenom., p. 459; Sacc. Fungi it., n. 589 (sub B. mammiformis). Su rami caduti, decorticati, di Acer Pseudoplatamis a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Luglio 1913, MEMORIE - CI, ASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, VOI,. I.XYI, N. 10 . 19 143. Rosellinia pulveracea (Ehrh.) Fuck. — Sacc. Syll. I, p. 265, Fungi it. n. 591; Trav. Pyrenom., p. 464. Su corteccia di Fagus silmtica a Grò Lughéo, sopra Lu Triissan (1100 m.. Ridar.) - Febbraio 1913. 144. Kosellinia rimincola Rehm. — Sacc. Syll. I, p. 265; Trav. Pyrenom., p. 464. Su ramoscelli semidecorticati di Corylus Avellana a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Riclaretto) - Luglio 1913. 145. Rosellinia rosarum Niessl. — Sacc. Syll. I, p. 266. Su legno semidecorticato di Rosa canina presso Lu Triissan (1000 m.. Riclaretto) - Autunno 1911. Oss.: I miei esemplari corrispondono perfettamente alla diagnosi. Specie nuova per l’Italia. Sectio Hyalodidymae Sacc. 146. Apiospora chondrospora (Ces.) Sacc. et D. Sacc. — Sacc. Syll. XVIII, p. 658; Trav. Pyrenom., p. 660. Su ramoscelli morti di Tilia vulgaris a La Goto presso Lu Triissan (1000 m.. Ri- claretto), Lu Sèrre (1100 m., Riclaretto) - Marzo 1914. 147. Apiospora sepincoliformis (De Not.) Trav. — Trav. Pyrenom., p. 661; Sacc. Syll. I, p. 551, sub Didymella, Syll. XIV, p. 534, sub Ap. rhodophila. Su rami morti di Rosa alpina var. pyrenaica a Las Eibergia (1400 m., Riclaretto) - Settembre 1911. • 148. Coleroa Alche millae (Glrev.) Wint. — Sacc. Syll. I, p. 593, sub Venturia ; Trav. Pyrenom., p. 697. Su foglie vive di Alchemilla vulgaris a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Riclaretto) - Settembre 1911. 149. Gibhera Vaccinii (Sow.) Fr. — Sac. Syll. I, p. 600; Trav. Pyrenom., p. 495. Su cauli e ramuli di Vaccinium Vitis-idaea: Eric d’Muerefreit (2000 m., Faetto) - Settembre 1911. 150. Sphaerella Aronici (Volk.) Sacc. et Trav. — Sacc. Syll. XXII, p. 134; Trav. Py- renom., p. 604. Su foglie vive e languide di Doronicum grandiflorum, assieme allo stato picnidico {Phyllosticta Aronici) e allo stato conidico [Fusicladium Aronici) al M. Rous a 2700 m. circa. Oss.: Lo stato picnidico e conidico soli erano maturi; i periteci ascofori erano ancora affatto immaturi. 151. Stigìnatea Robertiani Fr. — Sacc. Syll. I, p. 541 ; Trav. Pyrenom., p. 499. Su foglie vive di Geranium Rohertianum a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Riclaretto) - Ottobre 1911. Sectio Phaeodidymae Sacc. 152. Didgmosphaeria socialis Sacc. — Sacc. Syll. I, p. 713, Fungi ital., n. 133. Su rami caduti di Robinia Pseudoacacia presso Lu Peyrunéu (975 m.. Riclaretto) - Aprile 1911. 20 HKNIAMINO l’EYKONKI, — l’IìlMO ELENCO DI KUNGHI DI VAL SAN MARTINO, ECO. - 153. Ottilia eorijHna Karst. — Sacc. Syll. I, p. 738. Su rami caduti di Corylus Avellana a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Hiclaretto) - Luglio 1913. Seotio Hyalophragmiae Sacc. 154. Sphaerulina intevmixta (Bk. et Br.) Sacc. — Sacc. Syll. Il, p. 187, Fungi it., n. 347; Beri. Icon. I, p. 124, tab. 131, fig. 1. Su rami morti di Rosa alpina var. pyrenaica a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Hiclaretto), Estate 1912; e di Rosa {canina'^) assieme a Coryneum niicro- stictum presso Lu Triissan (1000 m.) - Febbraio 1913. Sectio Phaeophragmiae Sacc, 155. Chaetosphaeria phaeostroma Fuck. — Sacc. Syll. Il, p, 93; Beri. Icon., p. 27, tab. 17, tìg. 5. Sulla corteccia e sul legno d’un ceppo di Acer Pseudoplatanus a La Rouréo presso Lu Marcu (1000 m.. Riclaretto) - Febbraio 1913. 156. Leptosphaeria acuta (Mong.) Karst. — Sacc. Syll. II, p. 41, Fungi it., n. 485; Beri. Icon. I, p. 81, tab. 82, fig. 1. Su cauli morti di Urtica dioica presso L’Albaréo (1100 m.. Ridar.), Aprile 1911, e a La Tirièro (1400 m.. Riclaretto), associata a Phoma acuta - Luglio 1913, 157. Leptosphaeria vagahunda Sacc. — Sacc. Syll. II, p. 31; Beri. Icon., p. 58, tab. 45, fig. 1. Su rami caduti di Corylus Avellana presso Lu Triissan (1050 m.. Ridar.), Aprile 191 k, e a Las Eibergia (1400 m.. Riclaretto) - Luglio 1913. 158. Alelanomma ciuereum (Karst.) Sacc. — Sacc. Syll. II, p. 108; Beri. Icon. I, p. 33, tab. 21, fig. 3. Su ramo corticato di Salix Cuprea a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. Oss.: Nei miei esemplari, non molto maturi, tutto il fungo seceime un pigmento rosso-purpureo che macchia la corteccia ; gli ascili e le parafisi sono pure diluitamente rosei, ed anche le spore presentano spesso dei riflessi rossigni. Lo stesso fatto, in minori proporzioni, riscontrai pure negli esemplari originali, che ho potuto esaminare nella Mycoth. Saccardiana. Nei miei esemplari gli ascili misurano 90-130 = 10-12, gli sporidi 18-25 = 6-9. 159. Alelanomma Pulvis-pyrius (Pers.) Fuck. — Sacc. Syll. II, p. 98; Beri. Icon. I, p. 31, tab. 20, fig. 3. Sul legno e sulla corteccia di rami e tronchi morti di Alnus viridis a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Ridaretto), Agosto 1911, La Gardètto (2000 m., Ricl.) e Lu Grò dà Lup (1900 m.. Fuetto), Febbraio ’913; e di Fagus silvatica a La Casso presso Lu Triissan (1000 m.. Riclaretto) - Gennaio 1913. 160. Melanomfna purpurascens Peyronel, sp. n. — Peritheciis sparsis vel laxe gre- gariis, maculas atropurpureas in tigno iiiducentibus, vix basi insculptis, sphaeroideis vel plerumque leniter depressis, ostiolo appianato praeditis, iu vetustate aliquan- tulum collabescentibus et apice incavatis, primum obscure purpureis, dein purpureo- atris, opacis vel apice tantum nitentibus, minute rugulosis, 250-350 p diam., excipulo MEMORIE - CLASSE 01 SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VUL. 1,XV1, N. 10 . 21 / 4 crassiusculo, carbonaceo, contextu intense atro-purpureo, nucleo puipurascenti ; ascis cylindraceis vel cylindraceo-clavatis, apice rotundatis et lumine contractis, breve pedicellatis, octosporis, 85-95 — 7-8, immaturis plasmate purpureo farctis, paraphysi- bus filiformibus, simplicibus, ascos subaequantibus obvallatis; spori- diis monostichis vel rai'o prope asci apicem subdisticis, foi'ma lu- dibunda, subcylindraceis, obtuse fusoideis vel varie obovatis, tri- septatis, rarissime quadriseptatis vel etiam uniseptatis, ad septa constrictis, interdum loculo se- condo septo longitudinali praedito, fusco-melleis, plasmate purpura- scenti farctis ideoque diluta ru- bedine plus minusve tinctis, 10-14 = 4-6 (plq. 12 = 5). Hah.: In ramo dejecto, semide- corticato Fraxini excelsioris : Ri- claretto (loco dicto Serre, 1100 m. alt.) in Vallibus Valdensibus Pe- demontii, It. bor., 4 Mar. 1914. Obs.: A M. rìiodomelo et M. san- guinario, maculas rubescentes in substrato etiam inducentibus, dif- fert sporidiis minoribus et pig- mento purpureo quo totus fun- gillus imbutus est. 5 Fig. 1. — Melanomma purpurascens: 1, aspetto naturale del fungo; 2, peritecio; 3, periteci in sezione; 4, asco im- maturo; 5, asco maturo con gli sporidi; 6, sporidi; 7, sporidi maturi con un solo setto. 161. Rebentischia M(issalongi^a.ca. — Sacc. Syll. II, p. 12; Beri. Icon. I, p. 29, tab. 17, fig. 4. Su ramo caduto di Prunus Avitmi assieme a Rosellinia mammifonnis a La Milro presso Lu Sarrét (1400 m., Riclaretto) - Agosto 1911. Spofori^nia irìtermedia Auersw. — Sacc. Syll. II, p. 126; Beri. Icon. I, p. 42, tab. 29, fig. 2. Su fimo caprino a Culumbièro (2100 m.. Ridar.) - Febbraio 1913. 162. 163. Spororniia montana Peyr. sp. n. — Peritheciis sparsis vel paucis bine inde gregariis, 250-350 p diam., globosis, atris, laevibus, nitidis, ostiolo non vel vix papillato praeditis, basi tantum insculptis; ascis aparaphysatis, longe pedicellatis, parte spori- fera late clavata vel ellipsoidea, 40-60 = 18-24, pe- dicello filiformi 40-60 = 2-3; sporidiis umbrino-fu- ligineis, fasciculato-confertis vel irregulariter tristichis, cylindraceo-fusoideis, rectis vel curvulis, tetrameris, 25-30 = 6-7, loculis duobus interioribus rotundato-cuboideis vel rhomboidalibus, 6-7 p diam., duobus extremis conoideis, 7-10 p longis, omnibus facillime secedentibus. Fig. 2. — Sporormia monlanu-, 1, aspetto naturale del fungo; 2, periteci in se- zione; 3, aschi cogli sporidi; 4, sporidi. KKNIAMINO l’EYKONKI* — PRIMO ERENCO DI EUNGHI 1)1 VAL SAN MARTINO, ECO. Hab.: In ligno marcescenti Pruni Avimn: Hiclaretto (loco dicto La Miiro, 1400 ni. alt.) in Vallibns Yaldensibus l^edemontii, Ital. bor., Aug. 1911. Obs.: Pnlchra species, Spororiniae Brassicae Britten affinis ; differt matrice aliena, peritheciis snperficialibus, ascis sporidiisque crassioribus, locnlis facillinie secedentibus. A Sp. ulmicula, otiam lignicola, praecipue ob ascos et sporidia minora- differt. Sectio Phaeodictyae Sacc. Sacc. Syll. II, p. 308; Beri. Icon. II, 164. Ouctirbitavia Laburni (Pers.) De Not. p. 88, tab. 122. Su rami e tronchi caduti di Cytisus Laburnum: Triissan (1000 m., Bici.), Febbr.- Marzo 1913 , 1914 ; Ciulièra (1300 m.. Riclaretto) ; Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Aprile 1911, Settembre 1913. 165. Cucurbitaria protracta (Nees?) Fuck. — Sacc. Syll. I, p. 319 ; Beri. Icon. II, p. 81. Su rami caduti di Acer Pseudoplatanus a Las Eibergia (1400 m., Ricl.) - Luglio 1913. 166. Pleomassaria prolusa (Fr.) Beri, et Bres. — Sacc. Syll. II, p. 11, sub Massaria; Beri. Icon., II, p. 2, tab. 2, fìg. 2; cum spec. L. Bresadolae in Herb. Mycol. Saccard. conf. Su rami morti di Cytisus La- burnum a La Vóuto sopra Lu Triissan (1100 m.. Riclaretto) - Marzo 1914. 167. Pleosphaeria fibrincola Pey- ronel sp. n. — Hyphis mycelicis per Ugni fibras decurrentibus, umbrinis, septatis, saepe in articulos sporulas Diplodiae curiose imitantes, 7-9 — 4-5 scissis nec non toruloides, 3-9 crassis; peritheciis minutissi- rnis, 90-120 p, diam., gregariis, inter fibras nidulantibus et se- globosis, nigris; Fig. 3. — - Pleosphaeria fibr incoia: 1, aspetto naturale del fungo; 2, periteci; 3, frammento dell’excipulo di un peritecio; 4, a, frammenti di micelio, b, micelio diplodioideo nell’in- terno d’una fibra legnosa. miimraersis, excipulo membranaceo, tenui, atro, pseudocellulis 5-7 p latis constituto, setulis atris, continuis, acutis, 60-80 =: 4-4,5 hispido; ascis parcis, aparapbysatis, clavato-obovatis vel late fusoideis, tunica apice valde incrassata, deorsus in pedicellum brevissimum attenuatis, 30-45 = 14-18 (p. spor.), octosporis vel etiarn non raro esasporis; spori- diis confertis, laete viridi-olivaceis, ellipsoideis, transverse 5-, raro 3-4-, longitudina- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. LXVI, N. IO. 23 liter 1-, l’aro 2- irregulariter et incomplete septatis, ad septa din non vel vix, demum autem distincte constrictis, 12-18 = 6,5-9,5, plerumque 14-16 = 7-8,5. Hai).: In ligno decorticato Betidae albae: Riclaretto (loco Là Roccia dicto, 1200 in. alt.) in Vallibus Valdensibus Pedemontanis, ,Jan. 1913. Obs.: Plneosphaeriae oagae (Rehm.) Beri, valde, ut videtur, affinis; a qua tamen peritheciis haud pilosis, sed eximie setulosis, sphaeroideis, etc., facile distinguitur. 168. Pleospora herbaruni (Pers.) Rabb. — Sacc. Syll. II, p. 247 ; Beri. Icon. II, p. 19, tab. 28. Su cauli morti di Delphinium elatum sul M. Rous (2600 m.), Sett. 1911; su cauli morti di Cirsium palustris, assieme a Phorna herbarum e Aiternaria, tennis, presso Lu Triissan (1000 rn.. Riclaretto), Febbr. 1913; da germi atmosferici coltivati in Agar nutrizio: Gaviot (2000 m.. Riclaretto) - 11 Agosto 1913. 169. Teichospora ohducens (Fr.) Fuck. — Sacc. Syll. II, p. 295 ; Beri. Icon. II, p. 56, tab. 82. Su rami caduti semidecorticati e decorticati di Fraxinus excelsior, assieme allo stato picnidico: Triissan (1000 m.. Riclaretto), Ottobre 1911; Serre (1100 m., Ricla- retto) - Marzo 1914. Sectio Scolecosporae Sacc. 170. Ophiobolus erytJìrosporns (Riess.) Wint. — Beri. Icon. II, p. 134, tab. 162; = 0. Urticae Sacc. Syll. II, p. 338. Su cauli morti di Urtica dioica a La Tirièro (1400 m., Ridar.) - Luglio 1913. Oss.: I periteci maturi sono molto collapsi, patelliformi ; il nucleo è leggerm. roseo. Fam. Perisporiaceae Fr. Sectio Hyalosporae Sacc. 171. Eiirotiuni herbat'iot'um (Wigg.) Link. — Sacc. Syll. I, p. 26. Assieme alla forma conidica (cfr. Aspergillus glaucus) in una cultura di Ifomiceti ottenuta da germi aerei prelevati in una stalla al Triissan (1000 m., Riclaretto) - Marzo 1914. Sectio Phragmosporae Sacc. (294). Apiosporiufri Hhododendri (Kze.) Fuck. — Sacc. Syll. I, p. 32. Trovato soltanto lo stato conidico (cfr. Tortila Rhododendri). Fam. Erysiphaceae Lev. Sectio Amerosporae Sacc. 172. Erysiphe Cicli or acearum DO. — Sacc. Syll. I, p. 16, sub E. Linkii ; Salmon, Erysiph., p. 193. Su foglie e cauli di Galium Aparine: Triissan (1000 m.), Ottobre 1912, assieme allo at. conidico (cfr. Oidium erysiphoides). 173. Erysiphe G-aleopsidis DO. — Sacc. Syll. I, p. 16; Salmon, Erys., p. 204. Su foglie di Galeopsis Tetrahit, associata allo stato conidico {Oidium erysiphoides) a Riclaretto: Ciulièra (1300 m.), Tirièro (1400 m.) - Settembre 1911. 24 BENIAMINO PEYliONEB — PRIMO ELENCO DI FUNGHI DI VAL SAN MARTINO, ECC. 174. Mfffsiphe I*ol i/i/oni DO. — Sacc. Syll. 1, p. 18, sub. communis •, Salmon, Erys., p. 174. Su foglio e cauli di molte piante erbacee a Riclaretto: Vrtica dioica, Ciulièra (1800 m.), Sett. 1911; Tiiièro (1400 m), Sett. 1911, Febbr. 1914; Tìudictruin {aqui- le (ji fai in in?), Ciulièra, Sett. 1911; Hypericum quadrangulum. La Miaiio (1900 in.), Set- tembre 1911. Sempre associata allo stato conidico (Oidium erysiphoides). Oss.: ì^eW’Hypericum quadrangulum riscontrai degli sporidi alquanto maggiori di quelli dati dal Salmon, cioè 20-28 = 12-14; ascili 57-70 = 35-40. 175. JlicrospJiaera Alni (Wallr.) Salm. — Salmon, Erys., p. 129; Sacc. Syll., I, p. 13, sub il/. Friesii. Su foglie di Alnus viridis, associata allo stato conidico {Oidium erysiphoides) : La Vóuto sopra Lu Triissan (1050 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. (329). AHcì'osphaera? alphitoides Griff et Maubl. in Bull. Soc. Myc. Fr. 1912, p. 103. Trovato solo lo stato conidico (cfr. Oidium quercinum). 176. Micro spila era Grossulariae (Wallr.) Lev. — Sacc. Syll. I, p. 14, sub il/. VanBrun- tiana; Salmon, Erys., p. 157. Su foglie di Ribes Grossxdaria selvatica, assieme a Oidium erysiphoides, stato coni- dico: Cumbo Eiciiro presso Lu Triissan (1050 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. 177. Phyllactinia sa jf alta (Reb.) Sacc. — Sacc. Syll. I, p. 5; Salmon, Erysiph., p. 224, sub Ph. corylea. Sulle foglie vive di molte piante legnose a Riclaretto, associata allo stato conidico (vedi Ovidariopsis Tulasneorum) : Fagus silvatica, Eibergia, La Muro presso La Tirièro (1400 m. circa), Sett. -Ottobre 1911 ; Corylus Avellana, Marucchin presso Lu Triissan (1050 m.), Eibergia (1400 m.), Sett. 1911; Fraxinus excelsior, Grangiun presso il Rio- claretto (1200 m.), Sett. 1911; Amelanchier vulgaris: Rucciun (1050 m.) - Ott. 1911. 178. Sphaerotheca falUjinea (Schlech.) Pollacci. — Sacc. Syll. I, p. 4, sub Sph. detonsa\ Salmon, Erysip., p. 49, sub 8ph. Huxnuli var. fuliginea ; Poli. Erys., p. 8. Comune quanto la sp. prec. su parecchie piante erbacee, a Riclaretto, Agosto-Set- tembre 1911: Geraniam silvaticum, Taraxacum officinale, Eibergia (1400 m.) ; ed a Faetto, Sett. 1911: Adenostyles albida, Grò dà Lup (1900 m.), Doronicum grandiflorum var. hirsidum, Lausun (2000 m.). Oss.: Pel Geranium silvaticum è indicata dal Salmon la Sph. Humuli; la Sph. fidi- ginea è però data per altre specie di Geranium. 179. Sphaerotheca Humuli {DO.) Burr. — Sacc. Syll. I, p. 4, sub Sph. Castagìiei; Salmon, Erys., p. 45. Su foglie e cauli di molte piante erbacee a Riclaretto, Settembre 1911: Humulus Lupulus, Sagnassìin (1100 m.), Lausièra presso Lu Serre (1150 m.); Alchemilla vul- garis, Tirièro, Eibergia (1400 m.); Delphinium elatum, M. Rous (1600 m., Faetto). Oss.: Nessun Delphinium è indicato dal Salmon fra le matrici della Sph. Humuli. 180. Vncinula Aceris (DC.) Sacc. — Sacc. Syll. I, p. 8 ; Salmon, Erys., p. 90. Su foglie di Acer Pseudoplatanus, assieme allo stato conidico (cfr. Oidium Aceris) ai Grangiun presso il Rioclaretto (1200 m. circa) - Sett. 1911. 181. Vncinula Salicis (DC.) Winter. — Sacc. Syll. I, p. 7; Salmon, Erys., p. 81. Sulle foglie di Salix Cuprea: Rucciun (1050 m.. Riclaretto), Ottobre 1911; di Populus nigra: Guèrg dTUlo presso il Rioclaretto (1100 m.), Ott. 1911 ; e di Populus tremula: Marucchin presso Lu Triissan (1050 m.) - Ottobre 1911. MEMORIE - GRASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE II, VOI,. RXVI, N, IO. 25 Fam. Dothideaceae Nke. Sectio Hyalosporae Sacc. 182. Mazzantia Napelli (Ces.) Sacc. — Sacc. Syll. II, p. 592. Su cauli morti di Aconitum Napellus a La Tirièro di Kiclaretto (1400 m.) - Aprile 1911. 183. Phyllachora yraminis (Pers.) Fuck. — Sacc. Syll. II, p. 602. Su graminacea indeterminata, a La Viàsso presso Lu Triissan (1050 m., Riclaretto) - Febbraio 1913. Sectio Hyalodydimae Sacc. 184. Dothidea Sambuci (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. II, p. 639. Su frutti e rami caduti di Satnbucus nigra: Serre (1100 m., Riclaretto) - Aprile 1911, Febbraio 1914. Fam. Hypocreaceae De Not. Sectio Hyalosporae Sacc. (267). Polystif/ma rubrum (Pers.) DO. — Sacc. Syll. II, p. 458. Trovato soltanto lo stato picnidico (cfr, Polijstigmina rubra). Sectio Hyalodidymae Sacc. 185. Hypoerea rufa (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. II, p. 520. Su legno marcescente di Alnus viridis a La Miano (2000 m., Ridar.) - Agosto 1911. 186. Necti-ia cinnabarina (Tode) Fr. — Sacc. Syll. II, p. 479. Su rami morti di Sambucus racemosa assieme allo stato conidico (cfr. Tubercularia viilgaris) a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Aprile 1911. 187. Nectria episphaeria (Tode) Fr. — Sacc. Syll. II, p. 497. Parassitica sopra Diatrgpella verruciformis su rami caduti di Alnus viridis a Vèn- tremol (1600 m., Riclaretto) - Agosto 1911. Sectio Scolecosporae Sacc. 188. Claviceps purpurea (Fr.) Tul. — Sacc. Syll. II, p. 564. Allo stato scleroziale [Sclerotium Glavus DO.) su spighe di Secale Cereale nei campi a L(% Funtana presso Lu Sapé (1400 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. Ordo Hysteriales (Corda) Sacc. et Trav. Fam. Hysteriaceae Cola. Sectio Hyalodidymae Sacc. 189. Glonium lineare (Fr.) De Not. — ■ Sacc. Syll. II, p. 732; Rehm, Discomyc., p. 10. Su ceppi di Corylus Avellana a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Ricla- retto) - Agosto 1911. Y| 20 BENIAMINO PEYKONEL — PRIMO ELENCO "ì)! FUNGHI 1)1 VAL SAN MARTINO, ECC. Sectio Phaeophragmìae Sacc. 190. Ili/sterium indicare Pers. — Sacc. Syll. II, p. 743; Rehm, Discom., p. 13. Sulla corteccia interna di rami caduti di Betula alba: Là Roccia (1200 m., Ricla- retto) - (Gennaio 1913. Sectio Scolecosporae Sacc. 191. Clithris quercina (Pers.) Rehm. — Sacc. Syll. II, p. 803, sub Colpoma quercinum; Rehm, Discom., p. 102. Su giovani rami morti di Quercus Rohur: Marucchin presso Lu Triissan (1050 m.. Riclaretto) - Aprile 1911, Marzo 1914. 192. Hypoderma virgaltorum DC. — Sacc. Syll. II, p. 786; Rehm, Discom., p. 32. Su sarmenti morti di Rubus friiticosus: Triissan (1000 m., Ridar.) - Febbr. 1913. 193. Lophium niytilinelluni Fries. — Sacc. Syll. II, p. 799; Rehm, Discom., p. 27. Su ramoscelli caduti di Larix decidua a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Luglio 1913. Ordo 13iscales (Fr.) Sacc. et Trav. Fam. Pezizaceae Fr. Sectio Hyalosporae Sacc. 194. Dasyscypha ÌVillUoìnniii Kart. — Sacc. Syll. Vili, p. 437, sub D. cahjcina; Rehm, Discom., p. 832. Su rami caduti di Larix decidua a Riclaretto: Tirièro (1400 m.), Figliolo (1500 m.), Culumbièro (2100 m.) - Febbraio 1913. 195. Lacìinuni hicolor (Bull.) Karst. — Sacc. Syll. Vili, p. 439, sub Lasyscypha; Rehm, Discom., p. 870. Su rami caduti di Corylus Avellana a rArgèntiòro presso il Rioclaretto (1000 m.) - Aprile 1911. 195***. — forma alpina Rehm. — Rehm, Discom., p. 871. Su tronchi e rami caduti di Alnus viridis a La Miano (2000 m., Riclaretto) - Agosto 1911. Oss.: Questa varietà, per quanto mi risulta, è nuova per l’Italia; fu trovata da Rehm nel Tirolo. 196. Lachnuni calyculaeforme (Schum.) Rehm. — Sacc. Syll. Vili, p. 454, sub Dasy- scypha; Rehm, Discom., p. 897; Conf. cum spec. Rehmii, Ascomon., 207. Su rami caduti, semidecorticati di Corylus Avellana a Las Eibergia presso La Ti- rièro (1400 m.. Riclaretto) - Luglio 1913. Oss.: Specie nuova per l’Italia, per quanto mi risulta. 197. Mollisia cinerea (Batsch) Karst. — Sacc. Syll. Vili, p. 336; Rehm, Discom., p. 514. Su rami caduti di Corylus Avellana a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Luglio 1913. 198. Phialea cyathoidea (Bull.) Gill. — Sacc. Syll. Vili, p. 251; Rehm, Discom., p. 723. Su cauli morti di Galeopsis Tetrahit a La Tirièi'o (1400 m., Ridar.) - Luglio 1913. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUU., SERIE II, VOI,. LXVI, N. IO. 27 Fam. Dermataceae Fr. Sectio Hyalosporae Sacc. 199. Coenamjlum itopahieuni (Pers.) Rehrn. — Sacc. Syll. VITI, p. 565 ; Hehm, Discorri., p. 220. Su ramo abbattuto di Populus tremula: Vaici sopra Lu Serre (1170 ni., Ridar.) - Marzo 1914. 200. Tfjmpanis laricina (Fuck.) Sacc. — Sacc. Syll, Vili, p. 583; Rehm, Discom,, p. 272, sub T. pinastri. Su rami caduti di Larix decidua a Culumbièro (2100 m., Ridar.) - Febbr. 1913. Fam. Phacidiaceae Fr. Sectio Scolecosporae Sacc. 201. Rìujtisnia acerinutn (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. Vili, p. 753; Rehm, Discom., p. 82. Su foglie di Acer Pseudoplatanus : Sagnassùn (1100 m., Riclaretto) - Sett. 1911. Oss.: Trovato maturo soltanto lo stato picnidico (cfr. Melasmia acerina)] la frutti- ficazione ascofora era ancora immatura. 202. Rhitisma salicinum (Pers.) Fr. — Sacc. Syll. Vili, p. 753; Rehm, Discom., p. 84. Su foglie vive di Salix Capraea, assieme allo stato picnidico (cfr. Melasmia sali- cina) a La Taglià (1170 m.); di Salix Lapponum al Colle dellTnfernet (2200 m., Faetto) e di Salix reticulata al M. Rous (2700 m.) - Settembre 1911. Oss.: Fruttificazione sempre immatura. Fam. Calyciaceae Fr. Sectio Phaeosporae Sacc. 203. Enibolus Clavus Sacc, et Speg. — Sacc. Fungi it. n. 1320, Syll. Vili, p. 832. Su rami caduti di Alnus viridis a Riclaretto: Ciulièra (1300 m.), Tirièvo (1400 m.). Aprile 1911; Ventremol (1700 m.), La Miano (2000 m.) - Settembre 1911. Ordo G-ymnoascales (Baran.) Sacc. et Trav. Fam. Gymnoascaceae Baran. 204. Gi/mnoascus liiteiis (Zuk.). Sacc. — Sacc. Syll. XI, p. 437. Assieme allo stato conidico (cfr. Penicillium luteum) in culture di Ifomiceti ottenute da germi aerei prelevati in un bosco di Alnus viridis al Bric di Pian (1700 m.. Ricla- retto) - Settembre 1913. 205. 3Iydcotrichuni aeì'uyinosum. Montagne — Sacc. Syll. IV, p. 319. Assieme allo stato conidico (cfr. Dicynia ambigua) in culture di Ifomiceti ottenute da germi atmosferici prelevati in una stalla di vacche a Lu Triissan (1000 m. Ricl.) e coltivati su liquido di Raulin agarizzato - Marzo 1914. Oss.: Gli esemplari dei “ Fungi europaei „ di Rabenhorst e della “ Mycotheca ita- lica „ di D. Saccardo, contrassegnati col nome di Myxotrichum ochraceum B. et Br., appartengono invece al M. aeruginosum-, il M. ochraceum molto probabilmente non esiste come specie a sè. — Mentre di alcune specie del genere Gymnoascus si conosce lo stato conidico, questo non era mai stato fin qui trovato, per quanto mi risulta, per ■28 UENIAMINO l’EYKONEI, — PRIMO ELENCO 1)1 KUNUlll 1)1 VAL SAN MARTINO, ECO. alcun Mijxotrichum. K noto che anche il genero Ascotricha ha per stato inctagenctico specie appartenenti al genere Dicyma ; dal che risalta evidente come tra Mijxotrichum e Ascotricha debba esistere una parentela assai più stretta che fin qui non si pensasse (1). Fam. Exoascaceae Sadeb. 206. Exoasens ahiUorqtius (Tul.) Sadeb. — Sacc. Syll. Vili, p. 817. Sugli amenti femminili di Alnus glutinosa presso Lu Triissan (1000 m., Ridar.) - Ottobre 1911. Oss.: Sono presenti le sporule di gemmazione. 207. Exoascns Prmvi Fnck. — Sacc. Syll., Vili, p. 817. Su frutti deformati di Prunus domestica: Triissan (1000 m.. Ridar.) - Luglio 1912. SuBCL. Protoascae (Schrot.) Sacc. et Trav. Ordo Saccharomycales (Rees) Sacc. et Trav. Fam. Saccharomycetaceae Rees. 208. Snccharomtfces eìlìpsoideus Rees. — Sacc. Syll. Vili, p. 917. Nel mosto di vino, ai Clos (700 m. circa, Ridaretto) - Settembre 1913. 209. Saccharoìtiyces Mycoderma Rees. — Sacc. Syll. Vili, p. 917. Nel fiore di vino, a La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Agosto 1913. Classis I*liycoiTiycetae De By. Ordo Zygomycales (Cohn) Sacc. et Trav. Fam. Mucoraceae (Nees) Sacc. et Trav. 210. Moì'tievella alpina Peyronel. — Feyr., I germi atmosf. dei funghi con micelio, p. 17. Da germi atmosferici coltivati in camere di Petri su agar nutrizio: M. Cournour (2868 m., Prali) - Luglio 1913. 211. Mortierella Isdbellina Oud. — Oud. et Koning, FI. Myc. obtenue par la cult, sur gel. etc., in Ardi. Neerl. Se. exactes et nat. 1902, p. 276, tab. II, f. 1-6; Sacc. Syll. XVII, p. 506. Da germi atmosferici: Tirièro (1400 m.), Agosto 1913; boschi di Alnus viridis a l’Envers dà Bric dì Pian (1700 m.) - Settembre 1913, Ridaretto. 212. Mortierella Traver stana Peyronel. — Peyr., Germi atm., p. 17. Da germi atmosferici: M. Cournour (2868 m.) - Luglio 1913. 213. Alucor Alucedo L. — Sacc. Syll. Vili, p. 191; Fischer, Phycom., p. 186. Da germi atmosferici coltivati: Tirièro (1400 m.), Boschi di Larici a La Figliolo (1500 m.), Riclaretto - Agosto 1913. 214. Mneov raceniosus Fres. — Sacc. Syll. VII, p. 192; Fischer, Phycom., p. 192. Su cauli marcescenti di Huguenina tanacetifolia assieme a Botrytis cinerea e Clado- sporium herbarum a Las Eibergia, presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto), Settembre 1911; da germi atmosferici coltivati in agar nutrizio: Tirièro (1400 m.) - Luglio, Settembre 1913. (1) Vedi B. Peyronel, Osservazioni critiche e sperimentali su alcune specie del genere “ Dicgma „ Soni, e sui loro stati ascofori, in “ Annal. Mycol. ,, ott. 1914. ì MEMOKIE - CLASSE 1)1 SCIENZE FISICHE, IMATEIM. E NATUK., SEKIE 11, VUL. 1;XV1, N. IO. 20 215. lihizopus alpiìiiis Peyronel — Peyr., Germi atm., p. 17. Da germi aerei dei boschi di Alnus viridis, coltivati su agar nutritizio : Eric di Pian (1700 m.. Riclaretto) - Settembre 1911. Ordo < omycales (Cohn) Sacc. et Trav. Fam. Peronosporaceae De By. 216. Pevoììospora effusa (Grev.) Rabh. — Sacc. Syll. VII, p. 256; Beri. Icori. Phycomyc., p. 32, tab. 47. Su foglie di Chenopodimn albunv, Triissan (1000 m., Riclaretto) - Agosto 1911. 217. Veronospora parasltica (Pers.) Tul. — Sacc. Syll. VII, p. 248; Beri. Icon. Phy- comyc., p. 40, tab. 67. Su foglie di Capsella Bursa-pastoris: Tirièro (1400 m., Ridar.) - Settembre 1911. 218. Peronospora Trifolioeum De By. — Sacc. Syll. VII, p. 252; Beri. Icon. Phycom., p. 27, tab. 36. Su foglie di Trifolium pratense, Agosto 1911, e di Trifolium repens, Agosto 1913, presso La Tirièro (1400 m., Riclaretto). 219. Peronospora Urticae (Lib.) De By. — Sacc. Syll. VII, p. 257; Beri. Icon. Phycom., p. 39, tab. 63. Su foglie di Urtica dioica a La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Settembre 1911. Oss.: Questa specie, per quanto mi risulta, è nuova per l’Italia. 220. PhfftopTithora infestans (Mont.) De Bary. — Sacc. Syll. VII, p. 237 ; Beri. Icon. Phycom., p. 11, tab. 8. Su foglie di Solanum tuberosum presso Lu Triissan (1050 m.. Ridar.) - Agosto 1911. 221. Plasmopara pusilla (De By) Schrot. — Sacc. Syll. VII, p. 241; Beri. Icon. Phycom., p. 14, tab. 11. Su foglie di Geranimn silvaticum nei prati a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Riclaretto) - Agosto 1911. 222. Plasmopara viticola (Berk. et Curt.) Beri, et De Toni. — Sacc. Syll. VII, p. 239; Beri. Icon. Phycom., p. 17, tab. 17, 18. Su foglie languide di Vitis vinifera, assieme ad Oidimn Tuckeri: Rucciun (1075 m.. Riclaretto) - Ottobre 1911. Fam. Cystopodaceae Schrot. 223. Cijstopus candidus (Pers.) Lèv. — Sacc. Syll. VII, p. 234; Beri. Icon. Phycom., p. 6, tab. 1, 2. Su foglie, cauli, fiori e frutti di Capsella Bursa-pastoris presso Lu Serre (1100 m., Ridaretto) - Agosto 1911. Series DeutBfomycetae Sacc. Ordo Sphaeropsidales (Lev.) Lindau. Fam. Sphaerioidaceae. Sacc. Sectio Allantosporae Trav. 224. Cytospora amhiens Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 268. Su rami caduti di Firus Aria a La Miiro presso Lu Sarret (1400 ra.), Estate 1911, di Cori/lus Avellana a L’Albaréo (1100 m.), di Quercus Robtir presso Lu Triissan liENIAMINO l’EYKONEl, — l’KIMO EJ,ENCO 1)1 FUNGHI DI VAL SAN MAKTINO, ECC. (1000 m.), Febbraio 1913; e di Acer Pseudoplatanus a La Vouto sopra Lu Triissan (1075 m.), Marzo 1914. Tutte località di Kiclaretto. Oss.: Sempre associata allo stato ascoforo (cfr. Valsa ambiens). 225. Cytospora curphosperma Fr. — Sacc. Syll. Ili, p. 274. Su ramuli morti di Tilia mlgaris presso Lu Triissan (1000 m., itici.) - Febbr. 1914. 226. Cytospora Fuchelii Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 263. Su ramo caduto di Corylus Avellana sopra Lu Triissan (1050 m., Ricl.) - Febbr. 1913. 227. Cytospora fayax Fr. — Sacc. Syll. Ili, p. 263. Su rami caduti di Salix Capraea, associata allo stato ascoforo (cfr. Valsa salicina) : Serre (1100 m.. Riclaretto) - Autunno 1911. Oss.: Sporule 4-5= 0,5-0, 8; sporofori filiformi, 12-20 p. 228. Cytospora Vitis Mont. — Sacc. Syll. Ili, p. 256. Su sarmenti di Vitis vinifera nelle vigne sopra i Chiotti inferiori (700 m. circa, Faetto) - Ottobre 1911. Oss.: Gli sporofori, almeno quando il fungo è fresco, non sono semplici, ma bensì ramificati e coi rami spesso verticillati. Sectio Hyalosporae Sacc. 229. Aposphaeria fusc/idnla Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 173. Su rami secchi, semidecorticati di Sambucus racemosa, assieme a Coniochaela am- bigua: Eibergia presso La Tirièro (1400 in.. Riclaretto) - Luglio 1913. 230. Aposphaeria protea Peyronel sp. n. — Hyphis mycelicis per fibras ligni decur- rentibus, fuligineis, crebre septatis, saepissime articulatis, articulis diplodioideis vel toruloideis, 4-10 p crassis: pycnidiis gregariis, atris, superficialibus, valde polymorphis, typice, ut videtur, oblongo-conoideis, sed non laro utriculatis, 250-300 = 150-200, interdum sphaeroideo-papillatis vel globosis, 250-300 p diam.; excipulo tenuissimo. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. IO. 31 membranaceo-gelatinoso, contextu laxe nec semper distincte pseudoparenchymatico, e pseudocellulis 4-8 p latis constifcuto, sub microscopio olivaceo-atro, hygroscopico, in sicco opacO; ruguloso-collapso, udo conflato et nitenti, ostiolo magno, elastico, usque 80 et ultra p diam. hyanti globulumque sporularum albido-gelatinosum expellenti; sporulis minutissimis, oblongis, manubriformibus, idest utrinque leniter rotundato- incrassatulis, hyalinis, 2,5-3 = 0,5-1; sporophoris nunc subsimplicibus, 10-15 p longis, plerumque vero ramosis et tunc 15-30 p longis, ramulis irregulariter subpinnatis, sursum attenuatis, 10-15 = 0,8-1. Hab.: In Ugno marcescenti Quercus Roboris: Riclaretto (loco dicto Là Roccia, 1200 m. alt.) in Vallibus Valdensibus Pedemontii, Ital. bor. - Jan. 1913. Obs.: Species ob excipulum tenuissimum, membranaceo-gelatinosum, sporophora distincta, sporulas pusillas, etc. perdistincta. 4 Fig. 5. — Aposphneria protea: 1. frammenti di micelio; 2, frammento dell’excipulo di un picnidio; 3, sporule; 4, a, b, c, sporofori con sporule. Fig. 6. — Aposphaeria pnrpurascens: 1, aspetto naturale del fungo; 2, picnidi in sezione ; 3, sporofori con sporule; 4, sporule; 5, mi- celio nell’interno di una fibra legnosa; 6, frammento dell’excipulo d’un picnidio. 231. Aposphaeria purparascens Peyronel, sp. n. — Mycelio per fibras Ugni decorrente maculasque atro-purpureas vel sanguineas inducente ; hyphis crebro-septatis, nonnum- quam plus minusve articulatis, 3-5 p, interdum usque 7-8 p crassis, purpureo-umbrinis et pigmentum purpureum lignum inquinans secernentibus ; pycnidiis pusillis, nudo oculo vix conspicuis, 100-150 p diam., sparsis vel laxe gregariis, diu in Ugno fere omnino immersis, dein semiemergentibus, vel subsuperficialibus, sphaeroideis vel sphaeroideo-applanatis, quandoque collabescentibus, apice poro distincto, atro-cincto pertusis, non vel vix papillatis, purpureo-atris, opacis vel demum vix nitentibus, contextu membranaceo, reticolato, e pseudocellulis distinctis, 10 p usque attingentibus 32 BENIAMINO PEYRONEB — PRIMO ELENCO DI PONGHI DI VAL SAN MARTINO, ECC. coiistituto, purpiirascenti ; sporulis oblongis, utriiique subtruncato-rotundatis, biguttu- latis, 8-4 = 1, byalinis; sporophoris filiformibus, brevibus, simplicibus, 7-10 p longis. Hab.: In ligno decorticato Aceris Pseudoplatani: lliclaretto (loco dicto La Vóuto, 1050 ni. alt.) in Vallibus Valdensibus Pedemontanis - Martio 1914. Obs.: A speciebus in Acero viventibus niaculis purpuraceis, pycnidiis immersis ve) .seiniimmersis facile distinguenda. Aposphaeriae criientae, in Betula, affinis videtur, sed differì pycnidiis immersis, sporulis numquam spliaeroideis, basidiis praesentibus, etc. Ab A. rubefacienti, Salicum, sporulis minoribus praecipue distinguitur. 232. Cicliuiobolns Cesata De Bary. — Sacc. Syll. Ili, p. 216. Su foglie vive di Trifolium pratense al Sèrre (1100 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. Oss.: Parassitico su Oidiuni erysiphoides. .Molto bene sviluppato il Cicinnobolus ; manca la Erysiphe Polyyoni, stato ascoforo dell’ Oidium. 233. OjjtosjJorella 2 ^olymori>ha Peyronel, sp. n. — Hyphis mycelicis per corticem de- currentibus, umbrinis, septatis, 3-6 p boso-conoideis, atris, rugulosis, non vel leniter papillatis, nunc solitariis, 250-300 p diam., nunc 2-5 caespitoso- aggregatis, plerumque autem con- fluentibus et stroma genuinum, sub- globoso-applanatum, ob pycnidiorum ostiola plus minusve distincta ver- ruculosum, rugulosum, intus plurilo- culare efformantibus ; excipulo cras- sissimo , pseudo - parenchymatico , extus fuligineo-atro, fere carbonaceo, e pseudocellulis arctissime contextis, oblongis 7-10 = 4-6, intus hyalino, e pseudocellulis polygoniis, 6-10 p latis constituto; nucleo candidissimo; spo- rulis globosis vel globoso ellipsoideis, vacuolo centrali grandiusculo, di- stincto donatis, 2,5 p diam. vel 3-3,5 = 2,5-3, byalinis; sporophoris simplicibus, rarissime subramosis, byalinis, 10-20 = 1,5-2. Hab.: In caulibus emortuis, cor- ticatis Rhododendri ferruginei : Ri- claretto (loco dicto La Gardètto, 2000 m. alt.) in Vallibus Valdensibus Pedemonti, Ital. bor. - Februario 1913. Obs.: Species a Cytosporella Rhododendri Ferr. omnino distincta. 234. Dendrophoma didyma Fautrey et Roum. — Sacc, Syll. XI, p. 498. Su ramoscelli morti di Quercus Robur assieme ad altri fungilli: Maruccbin sopra Lu Triissan (1050 m., Riclaretto) - Febbr. 1913, Marzo 1914. Oss.: Specie nuova per l’Italia. 235. Dothiorella sorbina Karst. — Sacc. Syll. Ili, p. 237. Su giovane fusto morto di Sorbus Aiicuparia a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Riclaretto) - Estate 1911. crassis; pycnidiis erumpentibus, globosis vel glo- Fig. 7. — Cytosporella polymorpha: 1, aspetto naturale del fungo; 2, sezione nella scorza di Rhododendron ferrugineum con picnidi; 3, sezione di uno stroma; 4, frammento dell’excipulo d’un picnidio; 5, sporule; 6, sporofori con sporule. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDK., SERIE li, VOL. LXVI, N. IO. 33 Oss.: Confrontata con esemplari raccolti da Carestia nella Valsesia e studiati da Saccardo, in -Herb. Myc. Saccard. 236. Phoma acuta Fuck. — Sacc. Syll. Ili, p. 133. Su cauli morti di TJrtica dioica, assieme a Torula herburum ed altri Ifomiceti, a La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Luglio 1913. 237. Phoma herhanim West. — Sacc. Syll. Ili, p. 183. Su cauli morti di Chenopodium Bornus-Henricus e Cirsium Personata a La Tirièro (1400 m.. Riclaretto), Luglio 1913; da germi atmosferici coltivati in agar nutrizio, Tirièro - Agosto, Settembre 1913. 238. Phyllosticta Angélicae Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 46. Su foglie languide di Peucedaniim Ostruthium assieme a Fusicladiiim depressum: Tirièro, Eibergia (1400 m., Riclaretto) - Ottobre 1911. 239. Phyllosticta Aronici (Fuck.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 45. Su foglie vive e languide di Doronicum grandiflorum al M. Rous (2700 m. circa) - Settembre 1911. 240. Vermicularia JLiliacearuni West. — Sacc. Syll. Ili, p. 233. Su foglie languide di Allium Porrmn assieme a Purcinia Porri: Triissan (1000 m., Riclaretto) - Ottobre 1911. Sectio Phaeosporae Sacc. 241. Coniothyriìim Hederae (Desm.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 307. Su sarmenti di Hedera Helix a La Rouréo presso Lu Marcu (1000 m., Riclaretto) - Febbraio 1913. 242. Coìiiothyrium incrustans Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 313. Su ramoscello di Corylus Avellana assieme allo stato ascoforo (cfr. Thyridaria in- crustans f. minor) a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m., Ricl.) - Luglio 1913. 243. Coniothyrium olivaccìtm Bon. — Sacc. Syll. Ili, p. 305. Su rami caduti semidecorticati di Sambucus racemosa a Las Eibergia presso La Ti- rièro (1400 m.. Riclaretto) - Luglio 1913. 244. liaplosporella conglobata (Sacc.) Allescher. — Sacc. Syll. Ili, p. 299, sub Sphae- ropsis ] Allesch., Sphaeropsid. Il, p. 70. Su rami caduti di Betula alba a Là Roccia (1201» m.. Ridar.) - Gennaio 1913. Oss.: Specie nuova per l’Italia, per quanto mi risulta. Sporule 10-15'= 5-8. Sectio Hyalodidymae Sacc. 245. Cytodiplospora Saccavdiana Peyronel, sp. n. — Hyphis mycelicis per corticem sub epidermide decurrentibus, crebro-septatis, interdum articulatis, fuligineis, 4-9 p crassis; pycnidiis 4-8 in stromatibus valsoideis confertis, mutua compressione angulosis, 150-250 p diam., ostiolo brevi praeditis, contextu atro, subcarbonaceo, e cellulis pseudoparenchymaticis, polygonis, 6-10 p latis constituto; stromatibus ^/ 2 -l mm. latis, epidermide primum tectis, dein pustulatim erumpentibus, demum fere nudatis laci- niisque epidermicis cinctis; sporulis cylindraceis, rectis, hyalinis, utrinque rotundatis, medio uniseptatis, non constrictis, 14-18 = 2,5-3,5; sporoplioris, ob pycnidiorum vetu- statem, non visis. 34 BKNIAMINO PEYKONlil- — PRIMO ELENCO 1)1 KUNGHI 1)1 VAL SAN MARTINO, ECC. (loco (lieto Las Eibergia Pedemotitanis - Febr. 1913. Uab.: In ramis dejeetis Aceris Pseudoplatani : Riclaretto pi’ope pagmn La Tirièro, 1400 in. alt.) in Vallibns VaMensibus Obs.: A Cytodiplospora Aceris Oud., quam vidi (in Sydow, Mycotlieca ger- manica, n. 520, leg. P. Vogel), sporulis cylindraceis nec fusiformibus imprimis differt. 240. Diplodiìia Malvae Togn. — Sacc. Syll. XIV, p. 949. Su cauli morti di Althaea officinalis: Triissan (1000 m., Ricl.) - Febbr. 1913. Oss.: Due specie di Diplodina sono indicate nella Sylloye per le Malvacee, la 74. Malvae Togn., trovata in Toscana su Malva Moschuta, e la 74. Althaeae Hollòs, trovata in Ungheria su Althaea officinalis-, questa avrebbe le sporule ellissoidali, la prima ellissoidali, poi ci- lindracee: date le grandi somiglianze, anche della matrice, e le dimensioni pressoché identiche, è assai probabile che si tratti della stessa specie. Io ri- ferisco ad ogni modo i miei esemplari alla 74. Malvae, sia perchè è la più an- tica, sia perchè essi corrispondono meglio alla diagnosi relativa. Nei miei esemplari i picnidi sono distintamente papillati; le sporule mature sono cilindracee, ottuse e misurano 8-12 = 2, 5-3, 5. 247. Diplodhìa TJrtieae Peyronel, sp. n. — Pycnidiis dense gregariis, atris, epidermide velatis transque eam velut nigri punctuli apparentibus, sphaeroideo-applanatis vel Fig. 8. — Cìjtodiplospora Saccardiana: 1, aspetto na- turale del fungo; 2, id. alquanto ingrandito; Bise- zione di uno stroma; 4, frammento dell’excipulo d’un picnidio; 5, sporule; 6, frammento di micelio. Fig. 9. — Diplodina Urtieae: 1, aspetto naturale del fungo; 2, sporule; 3, picnidi in sezione; 4, frammento dell’excipulo d’un picnidio. disciformibus, demum collabescentibus et patelliformibus 200-450 p diam., poro maiu- sculo, usque ad 50 p lato, pertusis, non vel vix papillatis; excipulo membranaceo, MEMOKIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. IO. 35 tenui, laxe pseudoparenchymatico, e cellulis grandiusciilis, 10-15 p latis, circa porum paulo minoribus et vix obscurioribus constituto; sporulis oblongo-cylindraceis, utrinque rotundatis, uniseptatis, ad septum leniter constrictis, loculo altero saepe aliquantulum majore, haud raro irregularibus, 12-15 =3,5-4, raro 15-17 = 4,5, hyalinis, sporoplioris brevissimis suffultis. Hab.: In caulibus emortuis Urticae dioicae, Ridaretiae Urticae consociata; Ricla- retto (pago La Tirièro, 1400 m. alt.) in Vallibus Valdensibus Pedemontanis„ Ital. bor. - Luglio 1914. Sectio Phaeodidymae Sacc. 248. Botryodiplodia JPraxini (Fr.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 378. Su rami caduti di Fraxinus exeelsior presso Lu Triissan (1050 m.. Ridar.) - Ott. 1911. 249. Biplodia Coryli Fuck. — Sacc. Syll. Ili, p. 353. Su rami caduti di Gorylus Avellana sopra Lu Triissan (1000 m.. Ridar.) - Febbr. 1913. Oss.: Le sporule sono variabilissime per forma e per dimensioni: da subgloboso- ellittiche ad oblungo-cilindracee, spesso obovate, per lo più non o appena ristrette al setto, 14-22 = 9-12; gli sporofori sono ialini, lunghi fino a 10 p. 250. mplodia Hederae Fuck. — Sacc. Syll. Ili, p. 344. Su sarmenti di Hedera Helix a La Ruréo presso Lu Marcu(1000 m., Ricl.) - Febbr. 1913. 251. Biplodia Jaglandis Fr. — Sacc. Syll. Ili, p. 352. Su ramo morto di Juglans regia presso Lu Triissan (1000 m.. Ridar.) • Febbr. 1913. 252. Biplodia r osar uni Fr. — Sacc. Syll. Ili, p. 338. Su rami caduti di Uosa canina-. Sagnassùn (1100 m.. Ridar.) - Genn. 1913. Oss.; Anche in questa specie le sporule presentano la massima variabilità di forma e di dimensioni. Negli esemplari dell’ Erbario Micologico del Prof. Saccardo, da me esaminati, ho osservato che le sporule meno mature sono molto allungate, non ristrette al setto ; maturando esse si accorciano, si fanno più tozze e strette al setto. Nei miei esemplari, molto maturi, tutte le sporule sono più o meno ristrette al setto e variano nelle dimensioni da 14-25 = 9-14. 253. Biplodia rudis Desm. et Kickx. — Sacc. Syll. Ili, p. 119. Su rami morti di Gytisus Lahurnum : Triissan (1000 m.. Ridar.) - Febbr. 1913. 254. Biplodia salicina Lev. — Sacc. Syll. Ili, p. 286. Su ramo di Salix [alba'^) assieme a Valsa salicina presso Lu Trùssan (1000 m.. Riclaretto) - Febbr. 1913. 255. Biplodia Tiliae Fuck. — Sacc, Syll. Ili, p. 330; Allesch., Sphaerops. II, p. 167. Su ramuli morti di Tilia oulgaris presso Lu Trùssan (1000 m.. Ridar.) - Febbr, 1914. Oss.: Questa specie sembra nuova per Pltalia. 256. Biplodia viticola Desm. — Sacc. Syll. Ili, p. 332. Su sarmenti di Vitis vinifera nelle vigne presso i Chiotti inferiori (700 m. circa, Faetto) - Ottobre 1911. 257. Syndiplodia Peyronel, gen. n. — (Etym. obv et Diplodia, h. e. Diplodia pycnidiis congestis). Pycnidia botryoso-congesta, erumpentia, atra, pertusa. Sporulae ellipsoi- deae, ovoideae vel oblongae, transverse 1-septatae, umbrinae vel fuligineae, non ultra 15 M longae. — Est Microdiplodia composita seu Botryodiplodia sporulis minoribus, Haplosporella sporulis didymis. 3(5 HKNIAMINO rEYKONKl, PKIMO ELENCO DI EUNOllI 1)1 VAL SAN MAKTINO, ECC. Syudiplodia Cort/li Peyronel, sp. n. — ■ l^cnidiis caespitoso-aggregatis, subglobosis vel mutua pressione angulatis, per rimas epidermidis circulares vel elliptico-elongatas, ^/a-2 mm. diam., interdum usque ad 3 mm. extensas erumpentibus, in unaquaquo rima 3-8, raro usque ad 12, collectis, nigris, rugulosis, vix papillatis, demum poro grandiusculo pertusis, VrVs diam.; excipulo subcarbonaceo, indistincte-celluloso; sporulis minutis, polymorphis, late ellipsoideis, subovatis vel oblongo-cylindraceis, ad Fi^. 10. — Sì/ndiplodia Coryli: 1, Aspetto naturale del fungo; 2, frammento di scorza con ces[)itoli di picnidi, alquanto ingr. ; 3, sezione trasversa d’un ramo di Corylus Avellana con cespitoli di picnidi; 4, sezione d’un cespitolo di picnidi; 5, sporule. septum non vel, raro, leniter constrictis, 6-10 = 4-5,5 (plerumque 7-8 = 4-5), umbrino- fuligineis, episporio crassiusculo indutis. Hab.: In ramis dejectis Coryli Avellanae, cum aliis fungillis: Riclaretto (loco dicto Las Eibergia, 1400 m. alt.) in Vallibus Valdensibus Pedemonti! - Julio 1913. Obs.: A Microdiplodia microsporella (Sacc.) Allesch., quacum minute comparavi, sporulis minoribus, crassioribus, pycnidiis caespitosis valde differt. Sectio Hyalophragmiae Sacc. 258. Stagonospora hortensis Sacc. et Malbr. — Sacc. Syll. Ili, p. 446; Allesch.. Spliae- rops. I, p. 980. Su baccelli secchi di Phaseolus oulgaris: Triissan (1000 m.. Ridar.) - Ottobre 1911. Oss.: Questa specie, raccolta per la prima volta sui cauli di Phaseolus a Rouen in Francia, è nuova per l’Italia. Le sporule sono per lo più unisettate, qualche volta 2- e raramente 3-settate; esse sono di dimensioni alquanto maggiori di quelle date da Sacc. e Malhr. , anche negli esemplari originali, che ho potuto osservare, e cioè: 20-28 = 6-7. Sectio Dictyosporae Sacc. 259. Dlchomera Cgtisi (Beri, et Bres.) Peyronel = Camarosporium Cytisi Beri, et Bres., Micromyc. Trident., p. 74, tah. VI, fig. 8 (1889) ; Sacc. Syll. X, p. 339 ; = Dicho- mera Laburni Cooke et Massee, Grev. XVllI, p. 54; Sacc. Syll. X, p. 348. Su rami caduti di Cytisus Laburnum a Riclaretto: Eibergia (1400 m.), Aut. 1912, Trùssan (1000 m.) - Febbraio 1913. MEMOKIK - CliASSE UI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SEUIE li, VOI,. l.XVl, N. IO. ‘M Oss.: Il Camarosporium Cytisi di Berlese e Bresadola essendo caratterizzato da picnidi “ botroideo-aggregati „ va ascritto al genere Diclwmera; esso è poi manife- stamente identico alla D. Laburni di Cooke e Massee, che però è posteriore. — Nei miei esemplari le spore sono dapprima trisettate, poi per lo più 4-5-, più di rado 6-7- settate trasversalmente, con 2-4, o quasi tutti i loculi muniti d’un setto longi- tudinale talora obliquo; esse misurano 18-24 = 7-10. Sectio Scolecosporae Sacc. 260. 3Iicropera Dvupacearum Lev. — Sacc. Syll. Ili, p. 605. Su ramo caduto di Prunus Avium: Trùssan (1000 m., Riclaretto) - Ottobre 1911. 261. Micropera Sorbi (Fr.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 605; Allesch., Sphaerops. I, p. 962. Su rami morti di Sorbus Aucuparia a Riclaretto: Trùssan (1000 m.), Ott. 1913; Eibergia presso La Tirièro (1400 m.) - Luglio 1912, Febbraio 1913. Oss.: Il Cnjptosporium Aucupariae Allesch. non è che la Micropera Sorbi in uno stato di sviluppo più avanzato, e cioè coi picnidi aperti, come ho potuto constatare esaminando gli esemplari. — Specie nuova per l’Italia. 262. Rhabdospora Altliaeae Peyronel, sp. n. — Pycnidiis dense gregariis, velatis, globosis vel sphaeroideo-applanatis, brunneis, 120-180 q diam pseudoparenchymatico haud bene distincto, ostiolo appianato, late nigro-cincto praeditis ideoque per epidermidem velut punctuli nigri transparentibus; sporulis cylindraceis, crassiusculis, rectis vel vix curvulis, utrinque obtusiusculis, distincte trisep- tatis, ad septa non constrictis, dilute fuscidulis, 18-22 = 2,5-3. Rab.: In caulibus emortuis AUhaeae officinalis, Diplodinae Malvae consociata: Riclaretto (loco dicto Lu Trùssan, 1000 m. alt.) in Vallibus Val- densibus Pedemontanis, Ital. bor. - Febr. 1913. Obs.: A ceteris speciebus in Malvaceis viven- tibus sporulis fuscidulis, triseptatis facile distin- guenda. 263. Septoria Chelidonii Desm. — Sacc. Syll. Ili, p. 251. epidermide , contextu / Su foglie vive e languide di Chelidoninm majus: Trùssan (1000 m.. Riclaretto) - Sett. 1911. Oss.: Sporule 25-35 = 1,5-2. 264. Septoria Lychnidis Desm. — Sacc. Syll. Ili, p. 517. Fig. 11. — Rhabdospora AUhaeae: 1, aspetto naturale del fungo; 2, picnidio . 3, sporule. Su foglie vive di Lychnis Flos-Jovis a La Miano (1900 m.. Ridar.) - Sett. 1911. Oss.: Sporule 36-70 = 2,5-3, 3-5 settate. 265. Septoria JPetroselini Desm. — Sacc. Syll. Ili, p. 530 ; var. Apii Br. et Cav. — Br. et Cav., Funghi parass., n. 144; Sacc. Syll. XIV, p. 972. Su foglie vive e languide di Apium graveolens: Trùssan (1000 m., Ricl.) - Sett. 1911. Oss.: Sporule 28-35 = 2-2,5. 38 HKNIAMINO l’EYKONEl, l’KIMU ELENCO DI EUNOHI DI VAL SAN MARTINO, ECO. Sejttoria yinceto.rici (Scluib.) Auersw. — Sacc. Syll. HI, p. 542. Su foglio languide di Cynanchmn Vincetoxiciim sotto Là Ciulièra (1275 ni., Ridar.) - Settembre 1911. Oss.: Sporule 30-50 = 1-2, poco distintamente 2-6 settate. Fam. Nectrioidaceae Diet. Sectio Scolescosporae Sacc. 267. Pofi/stù/tnina rubra (Desm.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 622; Fungi ital., n. 1496. Su foglie vive di Prunus spinosa presso Lu Triissan (1050 m.. Ridar.) - Sett. 1911. Fam. Leptostromataceae Sacc. Sectio Hyalosporae Sacc. 268. Leptothyriuìu alnenm (Lev.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 627. Su foglie vive e languide di Alnus glutinosa presso Lu Barnéu (1050 m., Ridar.) - Ottobre 1911. 269. Melffsmia acerlna Lev. — Sacc. Syll. Ili, p. 637. Su foglie di Acer Pseudoplatanus assieme alla forma ascofora immatura (cfr. Ithy- tisma acermum): Sagnassìin (1100 m., Riclaretto) - Settembre 1911. 270. ATelasuiia salicina Lev. — Sacc. Syll. XXII, p. 1056. Su foglie di Salix Cuprea assieme alla forma ascofora immatura (cfr. Rhytisma salicinunì) a La Taglia (1170 m., Riclaretto) - Settembre 1911. Sectio Pragitiosporae Sacc. 271. Discosia Artocreas (Tode) Fr. — Sacc. Syll. III, p. 653. Su foglie cadute di Fagus silvatica a La Muro presso Lu Sarrét (1400 m., Ridar.) - Settembre 1911. Fam. Excipulaceae Sacc. Sectio Hyalosporae Sacc. 272. Dinemasporiutu hispidulmn (Scbrad.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 685; Fungi ital., n. 1494. Su rami caduti di Robinia Pseudoacacia presso Lu Feyruneu (975 m., Rid.) - Apr. 1911. 273. Dluemusporium purpnrascens Ridi. — Sacc. Syll. XVlll, p. 441. Su legno marcescente di Corylus Avellana a Las Eibergia (1400 m.. Ridar.), Luglio 1913; su rami caduti, decorticati di Tilia vulgaris a La Vóuto sopra Lu Triissan (1100 m.. Ridar.) - Marzo 1914. Oss.: Bella specie, nuova per l’Italia. Orbo Melanconiales (Oda.) Sacc. et Trav. Fam. Melanconiaceae Oda. Sectio Hyalodidymae Sacc. 274. Marsonia Juylandis (DC.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 768. Su foglie languide dìJuglans regia presso Lu Triissan (1000 m., Ridar.) - Seti. 1911. 275. Marsonia Ylolae (Pass.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 770. Su foglie languide di Viola hifìora assieme a Puccinia alpina a La Miano (2000 m.. Riclaretto) - Settembre 1911. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NAT0R,, SERIE II, VOL. LXVI, N. 10 . 39 ' Sectio Phaeophragmiae Sacc. 276. Coryneiim 'niic/rostictuni B. et Br. — Sacc. Syll. Ili, p. 775. Su rami semidpcorticati di Sorbus Anciiparia a Las Eibergia presso La Tiiièro (1400 m., Ridar.), Luglio 1913; su rami morti di Eosa (canina?) assieme a Sphaeru- lina intennixta presso Lu Triissan (1000 m., Ridar.) - Febbraio 1913. 277. Vestalozxia truncata Lev. — Sacc. Syll. Ili, p. 794. Sulla corteccia di giovane piantina morta di Quercus Eohur assieme a Valsa am- biens: Triissan (1000 m.. Ridar.), Febbraio 1913; da germi atmosferici coltivati in agar nutrizio a Ridar.: Tirièro (1400 m.), boschi di Larice a La Figliolo (1500 m.), - Agosto 1913. Sectio Scolecosporae Sacc. 278. Ct/lindrosporiuni, nilerospermum (Speg.) Sacc. — Sacc. Syll. Ili, p. 738. Su foglie vive e languide di fiarifraga rotundifolia a La Miano (2000 m., Ridar.) - Settembre 1911. Oss.: Sporule 7-14 = 0,5-0,8. Ordo Hyphales. Fam. Tuberculariaceae Ehrb. SuBFAM. Tuberculariaceae mucedineae Sacc. Sectio Hyalosporae Sacc. S 279. Kiclaretifi Peyronel, gen. n. (Etym. Riclaretto, locus nativus meus). — Sporodocbia superfìcialia, effusa, indefinita, crustaceo-tremelloidea, bypostromate pseudoparencby- raatico praedita; conidiophora con- ferta, basidiformia, brevia, sim- plicia, in conidiorum catenulas attenuata; conidia acrogena, ba- cillaria, catenulata. Obs.: Genus Cylindrio inter Mu- cedineas affinis, a quo tamen per- spicue dififert bypostromate prae- senti et conidiophoris brevissimis, simplicibus, basidiformibus, hy- menium effusum quasi constituen- tibus. Riclaretia JJrticae Peyronel, sp. n. — Sporodochiis in cortice indefi- nite effusis, siccis vix conspicuis et membranam tenuissimam melleo- ochraceam efformantibus , udis autem ob conidiorum stratum subgelatinosis, roseo-melleis vel roseo - ochraceis ; bypostromate dense pseudoparencbymatico, cel- lulis 1,5-3, 5 p latis; conidiophoris erectis, simplicibus, dense constipatis, bymenium Corticiorum quodammodo simulantibus, brevissimis, ampullaeformibus, vel longioribus, Fig. 12 . — Riclaretia Urticae: 1, aspetto naturale del fungo ; 2, frammento d’uno sporodochio, fortemente ingrandito; 3, 4, conidiofori, fortemente ingranditi; 5, conidi. 40 BENIAMINO PEYKONEI, — PRIMO ELENCO DI FUNGHI DI VAL SAN MARTINO, ECC. subclavatis, 5-7 usque ad 15 = 5,5-4, sursum in catenulas conidiorum attenuatis; conidiis cylindricis, bacillaribus, utrinque truncatulis, catenulas longas constituentibus, 6-8 = 0,5, hyalinis, coacervatis nudo oculo roseo-melleis, sub inicioscopio dilute flavidis. Hab.: In caulibus enioituis Urticae dioicae, Nectriellae sp. (N. uìnhelliferarurn?) in- terdum consociata. Obs.: Species cum Cylindrocolla Urticae nequaquam comparanda. 280. TuherciUaHa viilgaris Tode. — Sacc. Syll. IV, p. 638 ; Lindau, Hyphom. II, p. 421 ; Ferraris, Hypbales, p. 24. Su !-ami caduti di Sambucus racemosa, assieme allo stato ascoforo (cfr. Nectria cin- nabarina) a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto), Agosto 1911; id. Luglio 1913; su rami caduti di Cytisus Labm-num a Là Ciulièra (1300 m.. Ricla- retto), Febbraio; e La Tirièro (1400 m.) - Ottobre 1913. Sectio Hyalophragmiae Sacc. 281. l'asariam sarcochroufìi (Desm.) Sacc. — Sacc. Syll. IV, p. 694; Lindau, Hyphom. II. p. 523; Ferraris, Hyphal., p. 78. Su caule strappato, marcescente di Huyuenìna tanacetifolia a Las Eibergia presso La Tirièro (1400 m.. Riclaretto) - Agosto 1911. SuBFAM. Tuberculariaceae dematieae Sacc. Sectio Phaeosporae Sacc. 282. Epicoccutn ìiigrum Link. — ^ Sacc. Syll. IV, p. 736; Lindau, Hyphom. II, p. 598; Ferraris, Hyphal., p. 109. Su baccelli secchi di Phaseolus vulgaris: Triissan (1000 m.. Ridar.) - Ottobre 1911. 283. Epicoccuni purjjurascens Ehrb. — Sacc. Syll. IV, p. 736; Lindau, Hyphom. II, p. 595; Ferraris, Hyphal., p. 109. Su cauli morti di Prenanthes purpurea assieme ad altri micromiceti a La Miiro presso Lu Sarrét (1400 m.. Ridar.); su baccelli morti di 7^/ Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie 11, Voi. LXVl - N. 11. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. G. B. ROMANO DI oastelli:n"0-taì^^aro E LA SUA OPERA BOTANICA (i8iO-i877) (Note per servire alla Storia dei botanici monregatesi) MEMORIA DEL SOCIO ORESTE MATTIROLO (con un ritratto) Approvata nell’adunanza del 13 Giugno 1915. Vixere fortes ante Agamemnona multi; sed omnes inìacrimabiles. Urguentur ignotique longa nocte, carent quia vate sacro. Horat., Carm. IV, 9. CAPITOLO I. Giovanni Battista Romano. (Biografia - Collezioni). E cosa naturale che, quelli i quali si occupano di cose scientifiche, sentano il bisogno di stringere amicizia fra loro, di riunirsi in Società, in Accademie, nell’intento di coordinare i loro sforzi, di ragionare intorno ai fenomeni che li appassionano, onde allargare il campo delle idee e procedere più spediti alla conquista del vero. Ma se l’uomo che si occupa di scienza pura, non può (tranne che in rarissimi casi) vivere completamente isolato, così non è dello scienziato collezionista, il quale può lavorare invece per l’intima soddisfazione che concede, a lui solo, la collezione che egli va faticosamente mettendo insieme. Non è punto raro il caso di tali, che fingono anzi l’isolamento più completo, in quanto cercano, colla più meticolosa cura, di nascondere anche l’inevitabile commercio che essi de- vono necessariamente mantenere cogli altri collezionisti; e che, in questo modo attivamente lavorando tutta la vita, riescono a conchiudere grandi cose, che si rivelano poi quando essi scompaiono dalla scena del mondo. Di questi uomini singolari chiusi in se stessi, capaci di trarre inconcepibile energia dalla abitudine continuata allo isolamento ; di questi strani esseri, che il volgo battezza col nomignolo di originali, è stato Giovanni Battista Romano che ha lasciato, morendo, una fra le più cospicue collezioni di Erbario, della esistenza della quale, ben pochi, lui vivente, avevano potuto avere notizia. ORESTE MATTlliOI.O — 0. lì. ROMANO DI CASTEU-INO-TANARO E DA SUA ORERÀ HOTANICA Il SUO nome apparve a noi legato alla imponente mole della sua collezione, senza che nessuno dei botanici piemontesi, e nessuno di quelli italiani (che pure gli erano stati coetanei), ne avesse avuto conoscenza! Tanto è che, venuta questa collezione, nel modo che diremo, in possesso dell’Orto botanico dell’Università di Torino, ho dovuto penare non poco per raccogliere i dati biografici che riguardano G. B. Romano, Egli è così che 38 anni dopo la sua morte, tutto di un tratto, per l’opera compiuta, per la sua attività scientifica, G. B. Romano si rivelò botanico eminente, degno di prendere un posto onorevole nella storia della nostra Scienza. Devo perciò ringraziare le circostanze e la generosità di un egregio patrizio piemon- tese (1) che mi hanno concesso oggi l’alto onore di trarre il nome di G. B. Romano dall’oblio immeritato; che hanno conservato alla scienza i tesori da lui accumulati in cinquanta anni di assiduo lavoro. Lietissimo di poter concorrere alla doverosa rivelazione di questo valoroso scienziato, tenterò, nelle pagine che seguono, di lumeggiarne la vita, di dare un’idea dell’opera cospicua scientifica di lui, nell’attesa che altri studi i tesori della sua importante collezione, in gran parte destinata ad illustrare la fiora di una interessantissima regione del Piemonte, quale è quella dei dintorni di Ceva e di Mondavi. Devo al gentile interessamento del signor Camillo Ferrua di Mombasiglio (Ceva), se ho potuto trovare informatori -preziosi, e se ebbi l’onore di entrare in simpatica relazione col chiarissimo Colonnello Cav. Ferdinando Borsarelli, Sindaco di Vicoforte, cugino di G. B. Ro- mano, e se per mezzo di questi due uomini egregi, ottenni lettere e documenti dal signor Fran- colino, Sindaco di Castellino-2'anaro, paese natio del Romano; e dai signori: Dottore Promis di Ceva, signor Gastaldi, signor Garassino e dal signor Ludovico Borsarelli di Vicoforte, erede di G. B. Romano. A tutti questi signori, al cortese e gentile collega Comm. Reycend; ma in modo speciale al Colonnello Borsarelli, mi è gradito dovere esprimere vivissimi e cordiali ringraziamenti. G. B. Romano nacque a Castellino- Tanaro (Cuneo) il giorno 3 giugno 1810, da Carlo notaio (m. nel 1839) e da Vittoria Peirone di Dogliani, e si spense a Ceva il giorno 5 giugno 1877. La sua vita modesta, dedicata al lavoro e alla scienza da lui prediletta, si svolse tran- quilla, per la massima parte nel paese natio. Ai primi studi, G. B. Romano fu indirizzato (siccome era uso dei tempi) da un Sacer- dote, certo Don Picco, che teneva scuola privata a Briaglia Santa Croce presso Mondov) ; e da lui pure ebbe i primi ammaestramenti di istruzione classica. Giovanissimo, potè immatricolarsi come studente di medicina all’Università di Torino, dove, sotto la guida dell’illustre Senatore G. G. Moris, che professava allora Botanica, il Romano si volse con singolare ardore agli studi delle scienze fisiche e naturali, alle quali si dedicò interamente, quando, abbandonato lo studio della medicina, si ritirava alla natia Castellino per attendervi aH’andamento del podere di Piantorre, che il padre suo aveva acquistato dai Marchesi Vivalda di Castellino. In breve volgere di anni, sotto la guida del Romano, divenne il tenimento di Piantorre un podere modello, perocché ivi le attitudini naturali del Romano di agricoltore e di speri- mentatore rifulsero in chiaro modo, procacciando a lui considerazione e fama di agricoltore oculato e sagace. (1) Il Conte E. Nicolis di Robilant, vedi pag. 8. MKMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 11 . 3 Sino all’anno 1858 rimase G. B. Romano a Castellino, facendo frequenti visite a Torino, dove lo chiamava la sua ardente passione per la scienza (e dove non volle mai dismettere l’alloggio); mantenendosi ivi in rapporto col movimento scientifico che aveva il suo centro naturale nell’Istituto botanico universitario del Valentino. Nel giugno 1858, quando la produzione del seme bachi si dimostrò profondamente scossa dalla infezione pebrinica, il Romano, accompagnato da un suo cugino, certo Avagnina, e dal Geometra Giovanni De Giovannini pure di Castellino, si recò a Firenze e visitò le prin- cipali terre della Toscana allo scopo di rintracciare seme bachi di ottima qualità da intro- durre in Piemonte, nell’intento di smerciarlo poi nei principali mercati della provincia di Cuneo. Tale viaggio, per lo stesso scopo, rifece poi per una serie di anni con esiti finanziari ottimi, fino a che da Castellino recatosi a Cera, vi prese stabile dimora, nel palazzo che fu già dei Colombo. Quivi si spense dopo lunghe e penosissime sofferenze causategli da feroce malattia nervosa. Tale, nei tratti principali, si svolse la modesta vita dell’uomo che morendo si rivelò filantropo illuminato e generoso. Per alleviare il peso delle imposte ai suoi compaesani, per aprire strade, per dotare Ospedali ed Asili in Cera e in Castellino, il Romano dispose di buona parte del suo cospicuo patrimonio, così che il suo nome è ricordato con riconoscente e memore gratitudine dai Castellinesi, che nell’anno 1891 vollero apporre una lapide marmorea sulla facciata della Casa comunale in onore dell’uomo benefico e colto (1). Di statura mediocre, di corporatura regolare, di carnagione rosea, di pelo color biondo rossiccio, con fronte spaziosa ed occhi cernii e vivaci ci fu descritto da chi lo conobbe, e tale ce lo presenta il ritratto che il pittore monregalese Vinai compose coll’aiuto di una fotografia eseguita al letto di morte. Di carattere, G. B. Romano fu gioviale ed arguto, talvolta pungente nei motti; simpatico, equanime e franco, buon conoscitore delle persone. Fumatore straordinario, oltremodo parco nel vitto e nelle spese inerenti alla sua persona ce lo descrivono i coetanei, tutti concordi nel rilevare la originalità strana della sua vita di solitario, tutti unanimi nel riconoscere e nello elogiare le sue eccezionali qualità di uomo d’ingegno svegliatissimo e pronto. Onesto sino allo scrupolo; alieno sempre da ogni rumore sul suo nome; accettò una sola volta una carica pubblica, entrando a far parte del primo Consiglio direttivo del Comizio Agrario di Mondovì, col Conte Di Sambuy e con Felice Garelli. Se la carriera vitale di G. B. Romano (quale ci risultò dalle relazioni concordi di amici, conoscenti e coetanei suoi) non presenta in se stessa alcun elemento importante, altrettanto non è dell’opera e dell’attività sua nel campo delle scienze e specialmente in quello della botanica. Essa merita di essere conosciuta, analizzata minutamente, come faremo, fondando i nostri apprezzamenti sui dati che ci furono rivelati dallo studio dell’importantissimo suo Erbario e dai documenti che ne risultarono, tutti onorevolissimi per lui e per l’opera sua. Che il Romano mantenesse assiduo commercio col mondo botanico torinese; che egli, nelle frequenti gite e dimore in Torino, avesse per scopo principale quello di tenersi al corrente del movimento scientifico, di frequentare la Scuola e l’Orto botanico, è dimostrato luminosamente dall’esame delle sue collezioni. « (1) La lapide, la cui epigrafe fu dettata dal Prof. Odoardo Ingegnatti di Mondavi, dice : A G. B. ROMANO VALOROSO CULTORE DELLE SCIENZE NATURALI Castellino-Tanaro OVE EGLI NACQUE NELl’aNNO 1810 E A CUI fe’ larga parte DEL SUO COSPICUO CENSO DEL BENEFIZIO MEMORE l’aNNO 1891 QUATTORDICESIMO DALLA SUA MORTE QUESTO RICORDO PONEVA, 4 ORESTE MATTIROLO — G. B. ROMANO DI CASTELUNO-TANARO E LA SDA OPERA BOTANICA Che la fama di G. B. Romano acquistatasi negli studi fosse già assai chiara fino dal- l’anno 1889, lo prova la notizia favoritaci dal Colonnello F. Borsarelu, il quale, a sua volta, Tebbo dal padre suo, che a lui fosse in quel turno di tempo fatta proposta di far parte del seguito (1) che doveva accompagnare S. A. il Principe di Savoia nel viaggio progettato attorno al Globo; al quale scopo, per ordine del Re Carlo Alberto, stavasi allora apprestando la fregata Regina. Ma questa nave poi, guasta da una tempesta nei paraggi del Capo Horn, dovette riparare a Rio Janeiro e quindi far ritorno a Genova senza essere uscita dall’Oceano Atlantico, riportando in patria S. A. il Principe Eugenio di Savoia Carignano, che ne aveva il comando (2). L’offerta onorevolissima fatta al Romano non ebbe seguito (forse per opposizione del padre che nell’anno stesso 1839, si ammalava e moriva) e il Principe, come è noto, fu invece accompagnato dal botanico genovese Giovanni Casaretto (n. a Genova nel 1812, m. a Chiavari nel 1879), il quale, rimasto poi per parecchio tempo nel Brasile, vi compose la notevole collezione di piante che oggi si conserva nel Museo botanico dell’Orto torinese (3). Un’altra volta sembra che il Romano abbia avuto miglior fortuna, guidando un Principe di Casa Savoia in una breve escursione sui monti di Garessio. Di questa escursione si conservarono notizie troppo vaghe dai miei cortesi informatori, così che non mi fu possibile identificare di quale Principe si dovesse trattare. Essendo il fatto successo circa il 1847, secondo le indicazioni del Colonnello Borsarelli, si può ragio- nevolmente ritenere si dovesse trattare di Vittorio Emanuele II, allora Principe ereditario di Piemonte. Nè qui ometterò di ricordare i nomi di due benemeriti cebani, che furono in differenti periodi di tempo attivissimi compagni del Romano nelle escursioni botaniche, e che vissero con lui (malgrado egli amasse così intensamente la solitudine!) in continuata e perfetta armonia e nella comunione più stretta di ideali. Due uomini valenti e modestissimi, che lasciarono ottima fama fra gli antichi loro allievi del Collegio di Ceva; dei quali mi onoro rievocare e segnalare qui le benemerenze floristiche, testimoniate dai cartellini deW’Erbario Romano, essendo le collezioni loro andate perdute. Questi furono, in ordine di date, Nicolao Bergallo (4), che fu compagno del Romano nel periodo della prima giovinezza. (1) L’offerta di accompagnare il Principe fu fatta prima di ogni altro al De Notaris, allora assistente presso il R. Orto botanico di Torino, corrispondente di 6. B. Romano (e con lui in relazione di scambi, come ci risultò dall’esame dell’Erbario Romano e di quello di Torino) : ma in suo luogo partì il Casaretto, altro corrispondente del Romano (vedi Delponte G. B. e Lessona M., Giuseppe De Notaris, Commemorazione, “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino voi. XII, 1877, pag. 6). (2) Fra i materiali botanici raccolti da questa spedizione si conserva ancora oggi nei locali del R. Orto botanico un tronco colossale di Palma, diviso in quattro segmenti, della complessiva lunghezza di m. 9,10. Questo tronco, ora in condizioni assai tristi, appartiene ad una Palma del Genere Copernicia Mart. Intorno a questa notevole spedizione, vedi E. H. Giglioli, Viaggio intorno al Mondo della R. Pirocorvetta “ Magenta Milano, 1875, pagg. 1, 2. (3) Di Giovanni Casaretto vedi “ Nuovo Giornale botanico italiano 1879, pag. 320, “^Malpighia ,, 1894, pag. 96; ivi si accenna al dono da lui fatto della sua Biblioteca e del suo Erbario all’Orto botanico di Genova. Il Casaretto lasciò gli scritti seguenti : Novarum Stirpium Brasiliensium Decades, I a X, Genova, 1842-45; Alcune delle più rare e notabili piante del Monte di Portof.no, Chiavari, 1868. C. Casaretto viaggiò nel Brasile ed in Crimea. La raccolta delle piante Brasiliane, come si è accennato, si 'conserva al Museo di Torino (vedi Saccardo, La botanica in Italia, voi. I). (4) Carlo Giuseppe Nicolao Bergallo, n. nell’anno 1788 in Ceva, vi morì nell’anno 1830. Diplomatosi Farmacista nella Università di Torino il 23 dicembre 1814, nel 1819 (23 gennaio) veniva dal Magistero del Protomedicato nominato alla carica di bducia, di 'Passatore delle parcelle dei medicinali in 'forino. Valoroso soldato negli eserciti di Napoleone dal 1808 al 1814, peregrinò con essi in Francia e Spagna sino a Gibil- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATDR., SERIE II, VOL. I,XV1, N. 11 . 5 e Vittorio Figone (1), che fu amicissimo e compagno del Romano negli anni suoi maturi e principalmente negli anni 1862-66, nei quali l’attività botanica del Romano che aveva avuto un periodo di sosta nel ventennio 1840-1860, riprese in lutto il suo vigore. L’ Erbario di G. B. Romano comprende N. 120 pacchi di piante Fanerogame e N. 33 di Crittogame, prevalentemente rappresentate da Muschi ed Epatiche e così un complesso di N. 153 pacchi, ed un totale calcolato di N. 20.000 esemplari circa. Il materiale da cui è formato l’Erbario proviene da raccolte proprie e da collezioni acquistate. Le piante raccolte da G. B. Romano sono per la massima parte di Cera e din- torni {Castellino-Tanaro, Lesegno, Nucetto, Priero, Sale, Monasteroìo, Monlaldo, Mondov't, ecc.), dei paesi dell’alta valle del Tanaro {Ormea, Garessio, Nava, ecc.) e delle regioni delle Valli AeW Ellero e del Belho. Moltissimi esemplari pi’ovengono da Firenze e dalla Toscana-, numero.si pure sono quelli raccolti nei dintorni di Torino, al Moncenisio, ecc. La maggior parte è de- terrà — ovunque trovando il tempo di occuparsi dello studio delle piante di cui doveva aver ordinato una specie di catalogo, perchè di esso ragiona in una sua lettera del 18 maggio 1815. — In questa e in altre lettere (interessantissimi documenti dell’epoca napoleonica, messi a mia disposizione dalla cortesia del pro- nipote Avv. Bbroalco di Ceva per il gentile tramite del sig. Colonnello Borsarelli), il Bergallo accenna alle sue escursioni botaniche e ad un catalogo delle Piante dei dintorni di Ceva che egli coìitinuava a redigere. A questo proposito così si esprime il Bergallo nella interessante lettera del 18 gennaio 1815: “ ... con- “ fesso la verità che non havvi paese nè territorio così abbondante in sostanze vegetali, come il suolo cebense “ e i suoi territorii circonvicini, e vedendo che sino a quest’ora non vi fu alcuno che siasi messo ad “ intraprendere questo lavoro, stimai degna e convenevole cosa il conoscere quelle, che ad ogni passo mi “ è occorso incontrare, mediante la lettura degli antichi e moderni Autori. Come Plinio, Dioscoride, Mattioli, “ Willdenow, Linneo, Aliioni, De Candolle, ecc. (dei quali ne sono provveduto) e di più colla frequente “ ispezione fatta in diverse stagioni dell’anno (Perchè, come disse Dioscoride, chi solo vede, quando nascono, “ non le può conoscere quando sono cresciute ; e per il contrario chi solo le vede quando sono cresciute, non le può conoscere quando nascono), ne’ monti, nelle selve, ne’ prati, nelle valli, ecc., insomma non avvi regione del territorio che non sia stato da me, se non del tutto almeno in parte indagata oltre alcune “ altre erbolazioni fatte la state scorsa nei luoghi marittimi della Liguria ed altre Provincie del Piemonte. “ Quindi vedendo che il numero di queste piante andava sempre più aumentando mi deliberai di comporre “ un elenco quale mi serve di divertimento quando sono fuori da altre occupazioni nel quale li vado notando “ solamente quelle da me incontrate e raccolte e vieppiù per levare ogni confusione che vi potesse accadere “ per la diversità dei nomi di varii autori li ho messo a ciascheduno oltre il nome del sistema Linneano, di “ cui mi servo, i suoi principali sinonimi da me venuti in cognizione. Quindi ci descrissi a ciascheduna i nomi delle regioni dei suoi luoghi natali, tanto in generale, quanto in particolare del suolo cebense, come “ anche dei suoi territorii circonvicini, se sono bienni, annue, perenni.. .. „. Questo taccuino, che ancora pochi, anni or sono esisteva in casa del Bergallo (secondo le testimonianze dell’Avv. Bergallo), sfortunatamente non fu più rinvenuto ! Sposatosi nel 1817, al suo ritorno in patria, morì improvvisamente a soli quarantadue anni, lasciando quattro figli in tenera età. Bergallo, che fu compagno di escursioni nella gioventù del Romano, oltre che di Botanica si occupò delle scienze naturali in genere, di fisica e di chimica. (1) Vittorio Figone, n. in Ceva il 12 marzo 1808, vi morì il 29 ottobre 1890. A 20 anni diplomato in Chimica e Farmacia, a Torino iniziò l’eserciziò della Professione, nella quale fu ritenuto maestro, tanto da essere dal Governo nominato Ispettore delie Farmacie. Prima del 1860 si recava a Nizza e nella Savoia per tale suo ufficio. Appassionatissimo della botanica, erborizzò con passione, percorrendo specialmente le Alpi vicine, componendo raccolte delle quali fu largo agli amici ed ai corrispondenti. Il Prof. Sismonda, del Museo geologieo mineralogico di Torino, precettore dei principi Umberto e Amedeo, le volle seco in una gita scien- tifica coi Principi. Molti fossili egli scavò e donò ai Musei di Torino e Roma. 11 Figone, uomo semplice, modesto, schivo degli onori, che giunse a ricusare persino le onorificenze offertegli, insegnò per molti anni la Fisica e le Scienze naturali nella Scuola Tecnica e nel Ginnasio di Ceva. L’erbario suo pare sia andato perduto, o almeno, per quante ricerche io abbia fatto al riguardo, coll’aiuto cortese del Sig. Camillo Ferrua che del Figone fu amoroso allievo, non fu possibile rintracciare. 6 ORESTE MATTIKOEO — 0. B. ROMANO DI CASTEDLINO-TANAKO E LA SUA OPERA BOTANICA torininata, porta indicazione di località o di sinonimia; ma non sono pochi anche gli esemplari che il Romano raccolse nell’Orto di Torino o non precisò, nè nella località, nè nella prove- nienza. Le piante da lui raccolte sono sempre bene preparate ed in copiosi esemplari. Le specie di Ceca e dei dintorni (delle quali sta occupandosi il Dott. Prof. Feudinanuo Vignolo- Ll’tati) differiscono, perchè sono conservate in carta avente colore bleu, ciò che le fa facil- mente distinguere dalle altre chiuse invece in carta di color bianco o grigiastro, analoga a quella che un tempo usavasi neH’Erbario dell’Orto di Torino. Le piante di Ceca sono com- prese in 20 pacchi, contenenti circa 3000 buoni e ricchi esemplari di 1300 specie circa. Moltissimo materiale j)orta la indicazione: Kx Morto botanico taurinense — Ex Morto Va- lentini. I nomi di liiuoLi, di Balbis, di Giusta, di Bicrtero, di Capelli, di Lisa, di Moris, di De Notaris accompagnano infiniti esemplari, la massima parte dei quali sfortunatamente è priva di indicazioni di località, siccome proveniente da piante evidentemente coltivate nell’Orto di Torino e quindi ivi cresciute senza dichiarazione di provenienza. Tra le specie italiane segnaliamo moltissime di Sardegna (Lisa-Moris), della Valle di Aosta (Lisa), di Genova (Casaretto), di Spezia (Casaretto), ecc., ecc. Le date che vanno dal 1808 al 1827; i confronti fatti sulle scritture delle etichette, in specie di quelle degli esemplari raccolti dal 1814 al 1827; alcune annotazioni segnate sopra i pacchi [Herb. Capelli) (1) dimostrano che questi materiali furono messi insieme da Carlo Capelli negli anni nei quali questo egregio scienziato tenne la direzione dell’Orto di Torino, e si valse dell’opera di Francesco Piottaz e di Pietro Giusta, la scrittura dei quali (che diremo meglio cacìiigrafia), si può indubbiamente riconoscere in una grande quantità di etichette facenti parte dell’Erbario Romano. Piante dell’Erbario Romano provenienti da molte regioni àeW Austria portano la firma del nobile Maurizio Rainer de Haarbach (vedi Saccardo, La botanica in Italia, voi. I, pag. 135), di Brignoli di Brunhoff (2), di Samuele Brunner (3), di Giorgio Jan (4), ecc., le quali forse si trovavano nell’Erbario Capelli. Indubbiamente si debbono all’azione diretta di G. B. Romano quelle piante a lui venute per via di scambi, o altrimenti da lui acquistate, le quali sono segnate dal Conte Corderò di Vonzo, dal Casaretto di Genova, dal Cav. Della Rocchetta (Ab Equit. Della Rocchetta), uniti al Romano da relazioni amichevoli. E infatti al Corderò di Vonzo (V. pag. 21) lo legava la comunanza delle regioni dove si svolsero le loro erborizzazioni (regione monregalese). Al Casaretto forse la relazione stabilitasi fra loro, quando il Casaretto fu chiamato a prendere il posto offerto al Romano sulla fregata Regina (V. pag. 4). Al Cav. Della Rocchetta (5) la comunanza del metodo di vita solitaria e forse anche degli ideali ! I cartellini delle piante raccolte dal Romano si riconoscono con facilità, essendo essi tutti indistintamente scritti sopra carta fine da lettera di colore bleu, e portando essi una (1) Uno dei pacchi della raccolta Romano porta questa scritta: Magazzino dell’ Erbario Capelli. (2) Brignoli ih Briinhoff Giovanni, n. a Gradisca il 27 ottobre 1774, m. a Modena il 15 aprile 1857 (Saccaroo, loc. cit., pag. 38), fu Prefetto dell’Orto di Modena. iS (3) Brunner Samuele, n a Berna nel 1790, m. ivi il 17 maggio 1844 (vedi Saccardo, loc. cit., pag. 39). (4) Giorgio Jan, n. a Vienna net 1791, m. a Milano l’8 maggio 1866, Professore e direttore dell’Orto j botanico a Parma e quindi Direttore del Museo civico di Milano (Saccardo, loc. cit., pag. 91). (5) Netl’Erbario Romano non poche sono le specie che portano la firma del Cav. Parrucca della Rocchetta, -| il notissimo e geniale mattoide raccoglitore, divenuto leggendario in Piemonte, di cui gli antichi Torinesi si ,1 ricordano come di una delle macchiette tipiche, la cui memoria e legata a quella dei Portici di Via Po, quali erano quelli prima del 1870. 11 Rocchetta, simpatico tipo di originale, si era occupato di tutto un po’, rac- cogliendo in special modo fossili e piante (V. A. Viriqlio, Torino e i Torinesi, Minuzie e Memorie, Torino, Lattes, 1893). A MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, VOI,. LXVl, N. 11. 7 abbondanza talora esagerata di dati sinonimici, accuratamente redatti, la quale attesta la scrupolosa diligenza e il fervore di G. B. Romano, che non risparmiò fatica per etichettare le sue piante (1). Ma dove si ammira l’opera di questo botanico e la si contempla con gaudio, nella cer- tezza che essa sia oggi conservata alla scienza, si è nella collezione dei Muschi, composta di pacchi meravigliosi. E qui mi compiaccio di rivelare ai botanici un interessantissimo fatto venuto fuori dallo studio della collezione briologica del Romano, il nucleo della quale si rivelò costituito dal- l’Erbario briologico di Domenico Lisa, del quale era perduta ogni traccia. Quando si pensi che il Lisa era in relazione di intima amicizia con Giuseppe De Notaris, e che i muschi da lui raccolti (compresi quelli di Sardegna).^ furono tutti determinati dal De Notaris, si può valutare l’importanza della raccolta Romano e dei .27 pacchi che la compongono, la cui base fondamentale è costituita da exsiccata di De Notaris e dove si contengono materiali di Liguria., di Toscana e di Piemonte, in special modo di Sardegna, ecc. Qua e colà trovansi ancora, come osservò il Prof. Terracciano (il quale si valse delle collezioni di G. B. Romano per completare gli studi briologici sulla Flora Sarda), specie nuove del De Notaris indicate con nomi che non figuravano neW Epilogo. Fra gli esemplari, notansi specie di valentissimi botanici, quali Luigi Tarabra, Felice Bertola, Bertero, Bertoloni, Capelli, G. F. Re, Duby, Bon.tean, Bellardi, Biroli, Perret, SoLEiROL, Brucb, Del Ponte, ecc., ecc. Le determinazioni sono fatte con accuratezza, che dimostra nel Romano passione, coltura e conoscenza della briologia. Egli descrisse anche qualche specie nuova, per es., Faèronia ; ma esse rimasero inedite nell’Erbario, nel quale l’abbondanza dei materiali potrà permettei-e ulteriori osservazioni che certamente riesciranno utilissime specialmente per la conoscenza della briologia piemontese. I materiali dei tre pacchi destinati alla considtazìone sono accompagnati dalle corrispon- denti tavole dell’edizione colorata della Deutschlands Flora di Jakob Sturm e dagli esemplari delle classiche collezioni seguenti : A. De Brébisson, Mousses de Normandie (1826-29). A. Blandow, Musei essiccati, New-Strelitz (1804-1810). SÉRiNGE, Mousses de la Suisse (1809). Bon-iean I. L., Mousses de la Suisse (pubblicati sull’inizio del secolo XIX). Funck H., Krgptogamische Gewdchse, 1806-1838, e finalmente dai tipi di De Notaris. Come si vede, una meraviglia! che fornirà preziosi elementi di paragone ai futuri briologi. Le Epatiche, le Alghe, i Funghi ed i Licheni sono scarsamente rappresentati nell’ Er- bario Romano. (1) La data più remota d’erborizzazione del G. B. Romano e del 1835. Su un cartellino, scritto di suo pugno, accompagnante un esemplare di Scìeranthus annuus, si legge: 1835 legi diiin eram Taurini ned loco omnino oblitus sum. 'l’rovansi poi del 1838 due Alnus (glutinosa ed incana) ed un Pogudus alba : i cartellini portano scritto : Vili. 1838. Piantorre. Del 1844 si hanno poche piante raccolte a Castellino, Piantorre, Lesegno, Mallare, ecc. Pochissime piante raccolte nel 1855 a Piantorre. Poi più nulla compare fino al 1862 nel quale anno si iniziò la sua massima attività erborizzatrice, che si esplicò nel quinquennio 1862-66 : poi cominciò fortemente a decrescere, per cessare totalmente col 1875. Le date più recenti sono il giugno 1875, nel quale mese salì per Pultima volta il Galero e fece una gita da Calizzano al Monte dei dovetti. s OKKSl'E MATTI UOI.O — G. H. KOMANU DI CASTELMNO-TANAKO E l,A SUA OPEKA BOTANICA Di detorminati non abbiamo che i materiali che il Romano trovò nell’Erbario Lisa, studiati dal De Notahis (Alghe mediterranee). 1 Funghi sono per la massima parte raccolti dal Romano nel tenimento di Pianlorre a Castetlino-Tanaro, ma non sono determinati. Essi potrebbero fornire un buon materiale a chi si accingesse allo studio micologico delle regioni bagnate dal Tanaro. Da quanto abbiamo sommariamente esposto, chiunque può farsi un’idea del valore scientifico dell’Erbario Romano, venuto ad accrescere le collezioni del Museo di Torino. Al Conte E. di Robilant che ha voluto generosamente cedere, per un prezzo quasi irrisorio (1) all’Orto di Torino, la collezione Romano, venuta in sua proprietà coll’acquisto della tenuta di Pinntorre dagli eredi di G. B. Romano, vada la riconoscenza dei botanici italiani, ai quali è stato così assicurato lo studio floristico di una regione piemontese, tra le più interessanti, che si riannoda a quella delle Alpi marittime oggi esaurientemente stu- diata per merito dell’eminente botanico svizzero Émile Burnat. CAPITOLO 11. Cenni sui principali botanici monregalesi. Che la regione monregalese, floristicamente così attraente, varia, interessante, sia stata prediletta dai botanici, non è cosa che possa stupire, quando si pensi alla influenza che l’ambiente esercita come stimolo dell’orientamento delle facoltà intellettuali. La vegetazione infatti di questa regione, che si svolge dal piano alle vette eccelse, sotto l’impero di un complesso di condizioni geografiche ed edafiche le più disparate; che fruisce di eccezionali influenze climatiche, per le quali riesce svariatissima, si impone alla ammira- zione di chiunque senta il fascino della natura. Non stupisce quindi che essa abbia appas- sionato coloro i quali ne sentono in particolar modo il linguaggio. Queste sono le ragioni per cui la statistica annovera più botanici nel monregalese, che in altre parti del Piemonte, per cui essi furono quasi tutti dei fioristi, ricercatori cioè delle forme varie; descrittori, non analizzatori della costruzione intima di queste forme. Per la massima parte i botanici monregalesi furono dei peripatetici o erborizzatori', bo- tanici aborrenti dalla clausura del Laboratorio e delle Biblioteche, usi cioè a far della scienza, nel cospetto della libera natura, dei vasti e verdi panorami della loro bella regione, a muo- versi sotto la sferza del sole. Senza volerci di proposito occupare dei tempi remoti (nè far menzione di nomi sulla fede dei riferimenti troppo vaghi degli eruditi); iniziando le nostre considerazioni da quel (1) Credo mio dovere ricordare qui come l’acquisto dell'Erbario di G. B. Romano venne effettuato con un piccolo residuo del fondo risultante dal lascito del compianto Dott. Fkuele Bruno, già aiuto nel R. Orto botanico di Torino (1870-1883) ; il quale generosamente, oltre ad una somma in denaro, legava al Museo di Torino anche l’Erbario di sua proprietà, notevole per contenere esemplari di : Biroli, di Savi, di Bertero, Bon-iean, Huguenin, Barca, e l’intera collezione del Botanico piemontese Aluis, vissuto lungo tempo in America (Stati Uniti), Gatti Col lascito Bruno si acquistarono inoltre : It Erbario dell’Abate Carestia ; Parte dell’Erbario del Colonnello Micheletti; Una collezione di Muschi e di Epatiche AeWEquador raccolti dal compianto Missionario Alligni. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOI,. LXVI, N. 11 . 9 periodo nel quale le .scienze, la letteratura, le arti, liberate dagli antichi dogmi, dallo for- mule scolastiche; conquistata la coscienza del valore antico, riafferrato il patrimonio classico, rinacquero e rifiorirono (segnando quel periodo di rinascenza nel quale la Botanica sorse a dignità di scienza indipendente dalla medicina e dalla agricoltura); troviamo tutta una schiera di monregalesi degni di essere ricordati nella storia della nostra scienza. E notisi che io qui intendo far menzione soltanto di coloro che si occuparono della Botanica come scopo e non come mezzo; che ad essa precipuamente, e non alla medicina diedero l’opera loro (1). Cosi ricorderemo, che già dopo l’8 dicembre del 1560, anno radioso per la storia di Mondavi, nel quale Emanuele Filiberto concesse ai monregalesi il fasto di una Università degli studi, compaiono i nomi di eletti ingegni che dedicarono le loro cure allo studio floristico della regione. Il Duca di Savoia seguendo, come è noto, i consigli del celeberrimo Giovanni Argen- TERio, detto dai contemporanei il gran medico (2), che Francia, Germania e Fiandra allora si contendevano, chiamò (prima di riavere Torino dai Francesi) a leggere in Mondavi scien- ziati di fama, fra i quali, nei sei anni durante i quali lo Studio generale fiorì a Mondavi (1560-1566), si ricordano i seguenti, che vi professarono l’insegnamento della Botanica allora detto dei semplici: Michele Seba.stiano (3), eletto il 4 ottobre 1561, morto il 20 giugno 1563; Benedetto Beruvio francese (4), 20 giugno 1563; (1) Nelle opere di Malacarne e di Bonino ricorrono alciini nomi di medici di Montevico (Mondov), Mon- davi, MondoHìj, Monsregalis) quali, ad es. : 1210-1250, Maestro Henrico (Malacarne, pagg. 5 a 13) ; 1257, Maestro Bongiovanni (ib„ pag. 83); 1258-1270, Maestro Rueeino (ib.) ; 1260, Maestro Guglielmo di Montaldo (ib.); 1350, Maestro Pietro Vismilino (pag. 37) ; 1380, Pagano da Mondov) ; ma per nessuno di questi si fa cenno che avessero speciali cognizioni botaniche. (2) V. Bonino, voi. 1, pagg. 222 e 239. G. Argenterio, n. 1513 a Chieri, morì a Torino il 13 maggio 1572 — e fu tumulato nella Cattedrale di S. Giovanni — V. ivi la Bibliografia relativa a questo celebre caposcuola. V. pure Malacarne (op. cit., pagg. 169, 186, 256, 265). (3) V. ivi, voi. 1, pag. 301. T. Vallauui, nella Storia delle Università degli Studi in Piemonte, voi. I, pag. 171, riferisce il Decreto di Emanuel Filiberto datato da Rivoli, 4 ottobre 1561, che ordina al Sebastiano nostro simplicista che vada a stantiare in esso Mondov) acciò che gli scolari più facilmente possano bavere la cognitione de simplici, stabilendogli per suo ordinario trattenimento cento scudi di camera ogni anno, ecc., ecc. (4) V. ivi, voi. 1, pag. 30. Vallauri (loc. cit., pag. 195) riferisce il Decreto 20 giugno 1563 emanato da E.manuel Filiberto da Torino nel quale il Duca: essendo passato a miglior vita il nostro semplicista (Michele Sebastiano) crea e deputa il molto diletto fidel nostro messer Bernuyo alias Toraine de Tours en Toraine a sem- plicista nostro e lo destina allo studio di Mondov). A pag. 207, dove è riferito il Ruolo dei Professori del- l’Università di Mondovì, è scritto Benedetto Bernuvio e riferito lo stipendio di cento scudi di fiorini otto. Anche i Professori Giovanni Bragagnolo ed Enrico Bettazzi, nell’opera ora in corso di pubblicazione (Torino nella Storia del Piemonte e d'Italia, voi. II, pag. 59, 1915), fra i nomi dei celebri scienziati chiamati da Emanuel Filiberto ad insegnare nell’Università di Mondovì, ricordano il nome di Bernuyo da Tours, Pro- fessore di B'itanica. Questi evidentemente si deve confondere col sopraccennato Beruvio Benedetto francese, citato dal Bonino per la stessa carica, nell’identico momento. Il Grassi (Dissertazione sopra l'Università degli Studi e .''.opra la topografìa di Mondov), pag. 41, Mon- dovì, 1804), riferendo il testo del Decreto di E. Filiberto, indica il semplicista francese con nomi dilì'erenti. A pag. 40 lo chiama Benedetto Beruvio francese; a pag. 41 Benedetto Bernuyo alias Toraine de Tours en Toraine. Finalmente nella stessa pagina il nome è cambiato (forse per errore di tipografia) in Beruvio. Dal Grassi si apprende che questo semplicista cessò dal suo impiego nei primi mesi del 1566, ma non si sa se morisse in Mondov) o rientrasse in Francia. Bonardi (Lo Studio generale a Mondov), Bocca, Torino, 1875, pag. 113), trattando della Lettura dei Semplici, non fa che riferire quanto scrissero già il Grassi ed il Vallauri. I semplicisti di S. M., ai quali era affidato non lo insegnamento della Botanica, ma il còmpito della ostensione e della cognitione dei semplici, sotto Emanuel Filiberto pare non fossero considerati come Professori Ej 10 OliESTE MATTIliUI.O — (ì. 15. IIOVIANO DI CARTEM.INO-TANARO E LA SUA OPERA BOTANICA Kapaluto Pietkino (1), farmacista “ appoticario „ torinese di chiaro nome, eletto alla carica con Diploma dell’ Il maggio 1566 e sempre col titolo di semplicista di S. A. Senonchè a questo breve periodo di restaurazione e di pace, successe in Piemonte nuovo e più intenso fragore d’armi. Le guerre, che per cagioni di reggenze e di successioni accesero l’Europa, sfibrarono il povero nostro paese e non lasciarono nè agio, nè tempo ai monregalesi (sempre ardenti di bellicosi istinti) di curarsi delle bellezze floristiche e quindi di crescere fra loro dei bota- nici, alla fioritura dei quali si addice pace e tranquillità di ambiente. Ed è così che si giunge a quell’altro relativo periodo di pace, di riforme e di restaura- zioni che, dopo il Trattato di Utrecht, caratterizza l’ultima parte del luminoso regno di Vit- torio Amedeo II. Questi, dopo avere ricostituita l’Università degli studi di Torino (1719, 24 marzo) e provveduto alla conservazione delle foreste, dedicò le sue cure alla istituzione di un giardino botanico, onde anche in Piemonte vi fosse la possibilità di studio delle piante officinali, di quelle industriali e agricole. Si fu circa il 1729 (in un anno che non ho potuto precisare ancora), che per opera di questo saggio e valoroso principe sorse il primo embrione di quello che pochi anni più tardi, dopo le Costituzioni del 1729, doveva diventare il R. Orto botanico di Torino, affidato alle cure di Bartolomeo Caccia. Ricordo queste date, perocché in questo turno di tempo Pietro Cornaglia, nativo di Montalto di Mondovì, venne chiamato a compagno e quindi a successore di quel Sante An- DREOLi (2) veneto, che Vittorio Amedeo II aveva chiamato ad iniziare la coltura dei semplici nell’Orto del Valentino (fino allora Orto agricolo), dandogli il titolo di Herbarius Regius. Pietro Cornaglia nacque il 18 dicembre 1700 a Montaldo di Mondovì (3) e mori in Torino circa il 1780. Nell’anno 1730 era già impiegato all’Orto del Valentino, dove rimase durante i susseguentisi periodi delle Direzioni di Bartolomeo Caccia, di Vitaliano Donati e di Carlo Alligni (1730-1775). L’opera di Cornaglia, che il 7 marzo 1751 veniva assunto alla carica di Erbolaio, è lodata dall’ Alligni nella Prefazione alla Flora Pedemontana (4), e il suo nome appare e infatti tale titolo non viene loro dato nei Diplomi. Anche gli stipendi annui appaion notevolmente minori di quelli in media assegnati ai Professori. Skuastiano ebbe 100 scudi di camera ogni anno (vedi Vai.lauri, toni. I, pag. 171, nota 6); duecento settantaquattro lire ebbe il Bernuyo (vedi ib., pag. 195). Solamente 50 scudi aveva il Repaluto a Torino nel 1572! (vedi Vallauri, loc. cit., “ Rotolo degli stipendi dello Studio di Torino cominciando dal 1“ ottobre 1572 a tutto settembre 1573 ,, pag. 48, voi. 11), e finalmente a soli scudi 33 ^/2 sommava lo stipendio del semplicista indicato nel Rotolo del 1627 col nome: il figlio del fu medico Castagneri ! (vedi Vallauri, tom. Il, pag. 112). (1) V. Bonino, voi. I; vedi pure Casalis, tom. 12. (2) V. 0. Mattirolo, La Flora segusina dopo gli shidi di G. F. Re, “ Meni. Acc. delle Scienze di Torino Serie II, voi. LVIII, pag. 18. (3) Per la cortesia del molto Reverendo Sac. Luigi Garavagno di Mondovì, posso qui trascrivere l’atto di nascita di Pietro Cornaglia che si trova nel Registro della Parrocchia di Montaldo di Mondovì : Die deci- manona decembris baptizavi infantem filius Cesaris Hierongmi de CornaglHs et Elisahet lug. natum sub die decima octava ejusdem, cui impositum est nomen Petrus... (4) Trascriviamo qui le parole delTALLioNi, ritenendo che migliore biografia non possa scriversi (vedi loc. cit., pag. iv). “ Breviter modo attingam Botanici horti culturae Praepositos, quorum laboribus et industriae non paruni “ adiumenti acceptum referre debeo ad opus perficiendum et Floram hanc ( xarandam. Petrus igitur Cornalia “ ad operae istius exercitium dudum electus per annos quadraginta assidua vigilantia, inultaque solertia eo ' officio laudabiliter est perfunctus “ Tournefortii Methodum satis intelligebat, atque in nomiuibus decernendis, afitandisque sagacitate MEMORIE - CRASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE li, VOL. RXVI, N. 11 . 11 onorevolmente ricordato nel testo (1), a proposito di numero dieci rare specie da lui scoperte. Se di Pietro Cornaglia e dell’opera sua poche memorie ci rimangono, l’abbondanza di lodi colle quali il suo nome è ricordato da Alligni, Dana, Balbls, Bellardi, attesta i meriti reali che egli ebbe nella rammentata sua opera di ricognizione delle specie vegetali più rare del Piemonte. Al Cornaglia successero i due fratelli Pietro e Ignazio Molineri, pure essi di Montaldo Mondovì, cugini germani del Cornaglia. Pietro Molineri, nato il 15 febbraio del 1736 (2), morì il 1800, e fu Custode dell’Orto botanico di Torino (3). Ardente esploratore di tutta quanta la nativa regione monregalese, della Liguria, delle Alpi del Monterosa, delle Valli d’Aosta, di Ceresole, di Susa; conoscitore del Piemonte e “ quadam pollebat. Non solum colendis plantìs vacabat, sed quotannis fero iter per alpcs carpens vel nuvas “ in hortum inferre plantas, vel cas, que perierant, renovare sata^ebat. Vitalianum Donati, Celeber. in “ R. Athenaeo Botanices Professorem Praedecessorem meum comitatus est in aspero itinere, quo per Montoni “ Cenisium et Maurianensis Provineiae parteui, ac Tarantasiam altissimum S. Bernardi montem adierunt, “ redeuntes inde per Augustae Pretoriae vallem. Hujus quidem itineris nullam inter Donati Chartas men- “ tionem, aut factas ab eo observationes ad rem nostram facientes reperi, sed a Petro Coknalia postea non- “ nulla edoctus sum, quae mihi profutura in adversaria eonjeci (1) 11 nome del Cornaglia è ricordato' dalPALLiOMi a proposito delle specie seguenti : Dall’esame delle località citate daH'ALi.ioNi, risultò che Pietro Cornaglia erborizzò sopratutto nelle Valli dell'Agro Monregalese, nella Liguria, in Val d’Aosta, al Cenisio, nelle Alpi in genere e nella collina di Torino. Oltre a Pietro, fu giardiniere all’Orto botanico di Torino anche un di lui nipote a nome Paolo, assunto in servizio il 3 giugno 1758, che il Revelli (Il viaggio in oriente di Vitaliano Donati 1759-(i2, nel “ Cnsmos , di G. Cora, voi. XII, 1894, 96) e G. G. Bonino (Biografia Medica Piemontese, Torino, 1825, voi. II, pag. 157), ricordano a proposito del celebre viaggio di V. Donati. Questo Cornaglia è menzionato nei docu- menti riferiti col nome di giovane del Giardino botanico, e di giardiniere dell’Orto botanico. Paolo Cornaglia, che doveva con Cristiano Matteo Weiirlin, pittore e disegnatore, e col Dottore G. Ronco, di Varallo, prender parte alla spedizione del Donati, il 14 di giugno 1759 giunse a Venezia in pessime condizioni di salute per prendere imbarco ; ma fu dovuto lasciare a Venezia, dove morì il 26 agosto dello stesso anno. Ricordo questo Paolo Cornaglia, perocché per inavvertenza è stato scainbiato dal Delponte con Francesco Peyroleri. A lui erroneamente il Delponte attribuì la carica ed i meriti eccezionali del famoso disegnatore della Ico- nographia Tanrinensis. Vedi Guida allo studio delle piatite dell’Orto botanico di Torino, Torino, 1874, pag. viii e pagg. -x.x e xxi. Un altro Cornaglia (Carlo), parente di Pietro, fu pure Giardiniere aH’Orto durante il 1° decennio del 1800 (Archivio di Stato). (2) Questa data, risultata daU’esame dei libri Parrocchiali di Montaldo-Mondovi, la dobbiamo alla cortesia del Molto Reverendo Sacerdote Luigi Garavagno di Mondovì. (3) Che Pietro Molineri fosse Custode del R. Orto botanico, risulta da una nota al Galium glaucum che si legge a pag. 28 della Flora Tanrinensis di J. B. Balris (Taurini, 1806). Ivi è scritto : Ex collibus Tauri- nensibus in Hortum botanicum illatum est ab eximio olim rerum naturalium indagatore, hortique Custode Petro Pietro Molineri entrò nel 1758 (a 22 anni) a far parte del personale dell’Orto di Torino come (j'ars'o/ie, collo assegno di lire 25 mensili; il 21 marzo 1769, a sollievo dell’ Erbolaio Cornaglia (vedi Archivio distato, Registro dei Congressi, tom. II, pag. 373), fu nominato aiutante erbolaio con lire 28 mensili: e promosso erbolaio pochi anni dopo (Archivio di Stato, c. s.) con Decreto 22 gennaio 1781. Salvia verticillata, voi. I, pag. 14. Verbascum orientale, voi. I, pag. 106. Convolvulus Cneorum, voi. I, pag. 107. Atropa Belladonna, voi. I, pag. 124. Artemisia arborescens, voi. I, pag. 168. Gnaphalium margaritaceum, voi. I, pag. 172. Chrgsantìiemum italicum, voi. 1, pag. 191. Coronilla juncea, voi. I, pag. 334. Astragalus depressus, voi. I, pag. 343. Potentina juncea, voi. II, pag. 55. Molineri. 12 ORESTK MATTIKOI.O — 0. 15. KOMANO DI CAS’l'EDMNO-TANAKO E LA SUA Ol’EKA BOTANICA della Savoia, Pietro Molineui è ricordato con alletto da Carlo Alcioni, dal Dana, dal Halris. V^ilente entomologista, fu utile allo Alligni anche per questo riguardo. 11 suo nome figura 20 volte nella Flora, come quello di scopritore di specie rare del Piemonte. Ma se utile è stata giudicata l’opera di Pietro, utilissima e importantissima per la scienza deve ritenersi quella del suo fratello minore Ignazio, che fu vera gloria della fieri- stica piemontese. Nato il giorno 17 maggio dell’anno 1741 a Montaldo di Mondavi {1) da G. Battista e da Anna Maria Nasi, mori in Torino il 2 di dicembre 1818 (2). L’opera di erborizzatore esplicata da Ignazio Molineri lia del sorprendente! Quando si pensi che essa durò tutta una lunga vita, si capisce come Alligni e Balbis quasi ad ogni pagina dei loro lavori si sieno creduti nel dovere di immortalarne il nome, a lui dedicando una serie di frasi e di epiteti laudatori che, mentre commuovono, illuminano l’opera da lui compiuta. Basti accennare che nella Flora Pedemontana il nome di Ignazio ricorre a pro- posito in ben 126 specie di piante rare (3). Studiando nella Plora e nell’Erbario del 11. Orto di Torino, nei libri dei nostri sommi, il materiale raccolto da Ignazio Molineri, ho constatato come egli abbia dovuto percorrere palmo a palmo si può dire tutto il Piemonte, dal piano alle vette più eccelse, e vi abbia saputo ovunque frugare senza riguardi nè a fatiche, nè a pericoli, infiammato da quella tale passione che distingue i raccoglitori di razza, che fa loro sfidare tutte le difficoltà, le quali ai tempi di Molineri erano ben altre di quelle che incontriamo oggi! — Verso la fine del secolo XVIII infatti, ben differenti da quelle odierne erano le condizioni di viabilità e di sicurezza in Piemonte. Allora si doveva viaggiare proprio coi piedi e in mezzo a difficoltà d’ogni genere. Nelle Alpi poi le comunicazioni fra paese e paese erano appena praticabili all’uomo; mancavano i rifugi, abbondavano ancora le fiere nelle fitte boscaglie e nelle inter- minabili maestose foreste che coprivano i fianchi dei monti e li tutelavano. Le spedizioni botaniche di quei tempi, si potevano paragonare agli odierni viaggi di scoperta! Chi legge le narrazioni, i diarii di Molineri, di Bellardi, rimane compreso dalla più fervente ammirazione verso quei forti, i quali, sorretti dall’unico ideale della scienza, sape- vano baldamente vincere tutte le difficoltà che si apponevano ai loro studi (4). Pietro Cornaglia e i due Molineri (5) dal 1733 al 1818, per qùasi un secolo, non solo si preoccuparono dell’andamento materiale dell’Orto botanico di Torino, ma seppero, sotto la guida di scienziati quali furono Caccia, Donati, Allioni, Bellardi, Dana, Balbis, raccogliere tutto Pimmenso materiale che ha reso possibile all’ALLioNi di attuare il piano della sua insuperata F/ora Pedemontana e a Bellardi e a Balbis di scrivere le loro celebratissime opere. Senza questi modesti, ma pazienti, sagaci monregalesi, tetragoni alle fatiche del corpo, oculatissimi raccoglitori, che rovistarono in ogni angolo il Piemonte, fintando come bracchi intelligenti le ricche prede, la Botanica piemontese, malgrado l’ingegno dei suoi maestri, non sarebbe forse mai assurta al fastigio di cui splendette nel periodo che possiamo chiamare allioniano — da Albioni a Balbis — quando come per incanto si continuò tutta una fiori- tura di insigni descrittori. (1) Vedi Registri Parrocchiali di Montaldo (Mondo vi). (2) Vedi Registro Parrocchiale della Parrocchia della B. V. delle Grazie (Torino, Crocetta). (3) Di queste 75 si contano nel 1“ volume, 33 nel 2“ e 18 neW Auctariian. (4) li Botanico G. F. Re- La vita, le opere, le onoranze, Torino, 1909, pag. 111. Commemorazione fatta dal Prof. 0. Mattirolo. (5) È doveroso ricordare qui anche i nomi e l’opera di Francesco Peyroleri pittore e di Francesco P lOTTAZ. MEMORIE - Cl-ASSE 1)1 SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE li, VOI,. I, XVI, N. 11. K} Innumerevoli sono le specie rare scoperte in Piemonte e nella Liguria da Molineki; anche la Soxìfraga floriilenta, sul cui rinvenimento si favoleggiò più tardi, fu una scoperta sua (1). Ignazio Molineri non rimase soltanto un semplice ed oculato raccoglitore di piante; ma si elevò da se stesso e per merito di una volontà ferrea al grado di profondo conosci- tore del regno vegetale, di uomo colto, educato e gentile. Ammaestrato dall’ALLioNi stesso studiò il francese, il latino, i rudimenti del greco, la storia naturale, la geografia, la geometria e Pastronomia, onde ebbe poi a coprire cariche importanti, quali le seguenti: Vice- Custode del lì. Orto botanico (22 gennaio 1781); 1° Custode del R. Orto botanico e Dimostratore di Botanica all’Università (3 ottobre 1812); Dimostratore di Botanica alla Scuola di Veterinaria (Decreti del Generale Joukdan) e Direttore dell'Orto nell’anno 1802 (2). Coi più affettuosi appellativi, ad ogni momento, Molineri è ricordato nelle opere di Balbis, che dispone per lui di una sorprendente varietà di epiteti. — Cosi: Oculatissimus noster Molineri, eximius, praeclarus, aeternum laudandus, laudatus, indefessus hotanic.es Professor Scholae veterinariae, meritissimus vir, solertissimus, strenuus noster, ecc. Di lui cosi parlò il Balbis dopo una escursione al Cenisio, nella quale ebbe a compagno Molineri (V. Miscellanea botanica, 1804-06, p. 3): Hic tamen nolim sua laude fraudatum oculatissimum rirum Ignatium Molineri, mihi in hoc itinere socium, comitemque, cui et tanta, locoriim peritia, tanta stirpium determinato loco crescentium notitia, ac tantiis in senili licei aetate ardor, ac aestus, ut maximam ipsi fructus ex diuturno, ac laborioso hoc itinere percepii partem tribuendum volens, lubensque confiteor. Notisi che simile linguaggio era tenuto da una celebrità scientifica universalmente rico- nosciuta; da tale che fu amico intimo dei sommi e che fruì dei più eccelsi onori scientifici attribuiti ai botanici dei suoi tempi ; da tale per il quale. De Candolle, suo amico affe- zionato, scrisse le seguenti parole: son coeur, son caractère mora!, sont ime partie nécessaire de (1) Intorno al primo ritrovamento di questa notevolissima fra le specie italiane delle Alpi, molte c strane cose si scrissero, fino a che il Cesati esaminando l’Erbario Biuoli, non vi rinveniva l’eseniplare rac- colta da Ignazio Moi,ine:ri, che era stato esaminato dal Bkllardi. L’esemplare porta la scritta seguente : Il Chiarissimo Bellardi la crede un Genere nuovo, perchè possedè eseiuplari che hanno tre stili, (piesta io l’ho colta nelle Alpi più frede maritime vicino la Madonna detta di Fenestre nelle ruppi, fiorisce raramente. Credo che sia la Saxifraya mutata Lin. ma non di Hallero. . , Per chi si volesse interessare della questione, intorno alla quale molti scrissero, ricorderò, oltre alle Memorie di Moretti, le seguenti : Ardoino Honorb, Flore analytique du Département des Alpes maritimes, Menton, 1867, pag. 148 ; P. DE Saint Robert, Note sur une nouvelle località oh fleuril la “ Saxifraya Florulenta Mor. “ Bull. Soc. hot. de France tom. XI, Paris, 1864, pag. 336; V. Cesati, Illustrazione della “ Saxifraya florulenta Mor. “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Napoli ,, voi. IV, 1869. Vedi ciò che è scritto dopo la spiegazione delle 6gure, pagg. 14 e 15; E. Burnat, Le Saxifraya florulenta Moretti „, espèce francaise, Bull. Soc. hot. de France ,, tom. XXX, 1883, pag. 259. (2) Queste cariche il Molineri ottenne nel periodo della dominazione francese : 1° Decreto 4 gennaio, anno IX Repubblicano (25 novembre 1809). Firmato Ciiiakle ; 2® Decreto 3 ottobre 1812; 3® 18 sett. 1813; 4® Direttore dell’Orto fu nominato per Decreto del Generale Jourdan, che era allora Conservatore di Stato e Amministratore generale. Vu V Arrété du 21 primaire dernier, portant réorganisation de l’Athénée de Turin, sur la proposition du Conseil de l’Instruction puhlioint imprimé. “ Turin, Palais National, 19 Primaire, Ann. X Rép. " Signé: .Jourdan „. La scelta del Piottaz (1) fu davvero assai felice, perocché egli dedicatosi tutto allo studio della Botanica, seppe brillantemente seguire le orme dei suoi predecessori e riescire utilis- (1) Giovanni Francesco Piottas (Piotta/., Piotta, Piota secondo alcuni), ex Barnabita, così sovente ricordato con somma lode nei lavori di Baluis e di Bellarui, nacque a Camgliù (') e morì nel 1821 a Torino. Questo che Balbis dice Praeclarus vir, prima di dedicare completamente la sua opera alla Botanica, fu Professore di Grammatica nel Ginnasio di Aosta ed è in quel periodo di tempo, prima del 1801, che si iniziò nello studio della Flora Valdostana. J. F. Piota, scrive Balbis {Morti Academici Taurinensis stirpium miniis cognitarum aut forte novarum icones et descriptiones, Taurini, 1810, pag. 13), Cabali icenais, praeclarus vir, quum olirn in Augustano Ggmnasio Professor granunaticant doceret, immensa, quihus alpes illae ahundant, stirpium copiam ac varietate illectus, subsecivis ìioris botanicae studium summa cura exeoluit, quasdam novas, nec antea cognitas stirpes detexit, nobis misit, quas horto inseruimus. Mine merito literarum tum praefectis, idoneus habitus est, qui egregio viro Ignatio adjutor ac socius adjungeretur. Mie cum ob singularem animi ingenuitatem, ob morum inte- gritatem, tum etiam ob eam, qua ad Botanices studium et Morti cultum animum intendit, ddigentiam adeo nobis probatur, ut eius operam perutilem Horto botanico admodum fare confidamus. Francesco Piottaz, venuto a Torino come impiegato all’Orto nel 1801, vi rimase sino alla morte avvenuta nel 1821. Il Decreto di cui abbiamo dato copia è firmato dal Generale Jourdan. Socio della Società di Agricoltura di Torino, Assistente all’Orto botanico dell’Accademia dell’Università Imperiale (1812). Dimostratore di Botanica, scrisse alcune memorie nei Calendarii Georgici della Società Agraria. Nel Calendario del 1813 : Sur la culture de la Vesce de Cassubie, pag. 43. Nel Calendario del 1814: De l’inconvenient de l’écorcement des arbres en géne'ral, pag. 51. Egli fu anche Direttore dell’Orto della Società Agricola. Custode dell’Orto fu nominato con Decreto 13 gennaio 1820. Piottaz, come Balbis e Moli.nkri, si dimostrò fervente sostenitore del Governo francese in Piemonte, tanto che per queste sue opinioni ebbe col suo amico, botanico e storico Tillier (De Tillier) di Aosta, a subire la prigionia durata dal maggio 1799 al giugno 1800 (^). Les citoyens ex Barnabites Tillier et Piotta, scrive Bellardi {Mémoire sur la récivification d’une jutite fon- gère dessechée, pag. 33 delle “ Mémoires de l’Académie des Sciences voi. XII, 1801, 62)... dès l'entrée des autrichiens en Piémont, furent mis en prison par leurs compatriotes, où ils demeurèrent enfermés jusqu'à la rentrée des frangais. Lodi di Piottaz e menzioni onorevoli del suo nome si ritrovano in tutte le opere di Balbis, di Bellardi. Vedi anche Saccardo, la Botanica in Italia, pag. 205, voi. 1“. Balbis fece parte per brevissimo tempo del Governo repubblicano, poi riprese la sua carica di Medico dell’Armata sino al 1801, epoca nella quale volse tutta la sua attività alla botanica, essendo stato allora nominato Professore di Botanica e di Materia Medica e Direttore dell’Orto. Si capisce quindi che Molineri e Piottaz, i quali facevano capo al Balbis, dovessero anche essi seguire l’altalena degli eventi, allora muta- bilissimi, che nel 1814 tolsero anche la Cattedra al Balbis! Cattedra che non riebbe più che a Lione nell’anno 1819. Nacque il Balbis a Moretta (Saluzzo), il 17 novembre 1765, e morì a Torino il 13 febbraio 1831. (*) (*) Per errore ho scritto Cigliano nella mia Memoria. Vedi 0. Mattirolo, La Flora Segusina dopo gli studi di G. F. Re, pag. 21. “ Mem. Acc. delle Scienze di Torino ,, serie II, voi. LVIII. (^) Occorre qui ricordare che con Decreto firmato a Parigi il 16 Germinale dell’anno Vili Repubblicano da Bonaparte e controsegnato dal Ministro della Guerra Carnot (oggi conservato nel R. Orto botanico), J. B. Balbis fu nominato Médecin ordinaire de V Armée d’ Italie e poco dopo nel 1797 le sue assidue cure e le sue sollecitudini negli Ospedali, lo fecero innalzare al grado di fungente le veci di Medico in Capo dell’Armata d’Italia (vedi Colla, Elogio storico di G. B. Balbis, Torino, 1822, pag. 5). U) ORESTE MATTlliOI.O — G. B. ROMANO 1)1 CASTEl,UNO-TANA RO E LA SUA OPERA BOTANICA aimo nella carica che ebbe poi nel 1812 di Assistente ed Economo deH’Accademia alla Uni- versità Imperiale. Allievo e quindi successore di Fiotta/ nella carica di Custode del R. Orto botanico di Torino (Decreto 1“ luglio 1821) fu un altro monregaleso, il quale, se non assurse alla fama dei Molineri, ne segui con molta lode le tradizioni; estese regioni percorrendo e di moltis- simo materiale arriccliendo le collezioni deH’Erbario generale durante il lungo periodo di tempo del suo servizio attivo. Pietro Giusta nacque a Montaìdo di Mondavi il giorno 28 luglio 177C (1). Entrato in servizio dell’Orto il 13 novembre 1798, mori in Torino il 15 luglio del 1857. Il suo nome figura per una quantità di specie illustrate da Balbis, ma specialmente da Capelli, da Moris, da Re, ecc.; una grande quantità di exsiccatae sue (facilmente riconoscibili per la cachigrafica scrittura del cartellino che le accompagna) si trovano pure nell’erbario di G. B. Romano, qua e colà intercalate. Non poche specie raccolte dal Giusta, già acquistate dagli eredi suoi da Michele Defilippi custode del R. Orto botanico, si conservano oggi nell’Erbario dell’Avvo- cato ed illustre botanico Francesco Negri di Casale (2). Pietro Giusta, “ perspicax et laho- riosiis Florae Pedeniontanae adornator come lo disse il Capelli, seguendo l’esempio dei suoi conterranei, i due Molineri, percorse la massima parte del Piemonte e della Liguria, investi- gando in modo speciale la zona alpina elevata “ itinera quae ad alpes nostras editissiinas ani- mose suscepit „. Uomo simpatico, gioviale di carattere, fu il compagno ricercatissimo di quanti nella prima metà del secolo XIX si occuparono di botanica in Piemonte. La sua attività, che deve essere stata assai notevole, appare a chiunque si valga dell’Erbario generale del Museo di Torino, tanta copia ivi si conserva di materiali da lui raccolti. Il Bonino, nella Biografia di Carlo Allioni, trattando dei suoi cooperatori (v. voi. II, p. 440), dopo di aver fatta menzione del Cornagua e dei due Molineri e quindi di Fiotta/ e di Pietro Giu.sta, dei quali or ora ci siamo occupati, dopo di aver sommariamente accennato alPopera loro e ragionato intorno ai viaggi e alle esplorazioni compiute, li saluta col nome di martiri della Botanica. Questo appellativo meglio di qualsiasi altro, a parer mio, vale a dimostrare con quanti e quali sacrifizii, con quanto ardore di passione abbiano questi indimen- ticabili fioristi assolto il compito loro ; cosicché richiamando il loro nome dall’oblio, per dare a questi uomini valorosi e modesti il merito che loro si conviene, crediamo aver fatto opera doverosa e giusta. Nel secolo XVIII anche un altro botanico monregalese, di chiarissima fama, illustrava la patria sua in Roma. Vogliamo qui alludere a Giorgio Bonelli, nato in Vico (oggi Vico- forte) il 5 luglio 1724, che studiò Medicina nell'Ateneo torinese, dove, sotto la guida di Bar- tolomeo Caccia e in intimissima amicizia con Carlo Alligni, si innamorò della Botanica. Recatosi a Roma circa il 1755 (v. Corrispondenza sua con Carlo Alligni, conservata negli Archivi della R. Accademia delle Scienze di Torino), vi divenne illustre medico pratico e Professore di Medicina alla Sapienza, pure non tralasciando mai di occuparsi indefessamente di Botanica. (1) L’anno di nascita di P. Giusta è stato ritenuto dal Buiinat il 1764 (vedi Buhnat, Les BotaniMes: qui ont contrihné..., pag. 13, loc. cit.), però dai registri parrocchiali è risultato essere quello sopra segnato. 11 Giusta visse 81 e non 93 anni. La data errata del 1764 fu pure riferita dal Saccardo, La Botanica in Italia, voi. I, pag. 83. ( 2 ) Le piante del Giusta che si trovano ora nell’Plrbario del Negri non costituiscono, a vero dire, una raccolta a so, un Pirbario, come lascierelibc credere la frase usata dal Burnat a questo riguardo, la quale dice (loc. cit., ]>ag. 13) : l’Herbier Giu.sta, f/«i renferme les plaiites des Alpes maritimes, acquis d’abord par M. Defii.11'1*! jardinier en Chef actuel dii Valentin et actuelleiuent de M. Negri a Casale (Negri in litt.). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK., SERIE II, VOL. LXVI, N. 11 . 17 Egli fu l’ideatore di quella magistrale opera die va sotto il nome di Hortus Ronianus, di cui scrisse il primo volume; mentre gli altri sette furono opera di Nicola Martelli, come le illustrazioni che accompagnano il testo si devono a Liberato Sabbati. Il Bonelli, che fino al termine della sua vita mantenne le più cordiali, intime, fraterne relazioni con Carlo Alligni, morì a Roma carico di onori, di gloria e di fortuna nei primi anni del secolo XIX. La sua corrispondenza con Allioni, che meriterebbe di esser fatta conoscere, è una interessante cronaca dei tempi, ricca di giudizii e di notizie sugli uomini e sulle cose del- l’epoca in cui egli visse. Ignazio Molineri e Pietro Cornaglia vi sono ricordati con onore e con memore e riconoscente affetto. Quasi tutti gli Autori (fatta eccezione del Bonino), i quali hanno trattato di Giorgio Bonelli, lo hanno detto nativo di Mondavi, la qual cosa non è. Il Colonnello Borsarelli, sindaco di Vicoforte, ha avuto la gentilezza di comunicarmi un estratto di Atto di nascita (debitamente legalizzato), il quale testimonia essere il predetto Giorgio Bonelli (come scrisse il Bonino, voi. II, pag. 238, loc. cit.), nato a Vico presso Mon- davi (ora Vicoforte), ed ivi precisamente, come dice il Bonino, il 5 luglio 1724. Forse la inesattezza che riguarda il luogo preciso di nascita del Bonelli devesi allo stesso Bonelli il quale nella sua Morti Romani brevis Historia, così ne specifica l’Autore: “ a Geòrgia Bonelli monregalense in subalpinis „ (1). CAPITOLO III. I botanici monregalesi cresciuti alla Scuola di G. F. Re. L’opera botanica di G. B. Romano, iniziatasi, come abbiamo veduto, nella prima metà del XIX secolo, e le relazioni che egli (non ostante le tendenze di solitario) mantenne con quanti si occuparono di floristica monregalese, mi induce a dire qualche parola intorno al manipolo di chiari ed eletti ingegni, sorto allora come per un incanto, a dimostrare l’efficacia esercitata da un insegnante insigne, nobilmente infiammato d’amore per la scienza^ conscio della importanza della sua missione educatrice. Nell’anno 1816 (che segna la restaurazione del R. Collegio di Mondovì), ad occupare la Cattedra di Filosofia, comprendente allora anche la Storia naturale, venne, dall’Eccellentis- (1) Intorno alla vita e alle opere di Giorgio Bonelli, vedi : Du Pktit-Thouars, Biograph. Univers., VI, pag. 439; G. G. Bonino, Biografia medica Piemontese, voi. II, pag. 238 ; Casalis, Dizionario geografico, ecc., Torino, 1842, voi. X, pag. 784; Saccardo, La Botanica in Italia, Venezia, 1895, pag. 34; PiROTTA e Chiovenda, Flora Romana, Roma 1901, fase. Il, pag. 242 (vedi ivi bibliografia completa); Il Genere Bonellia che Saccardo, Pirotta e Chiovenda dicono dedicato dal Bertero a Giorgio Bonelli, fu invece dal Bertero stesso creato per ricordare F. A. Bonelli, Professore di Zoologia nell’Università di Torino. Vedi Colla, Hortus Ripulensis, 1824, pag. 21, quae recte novgm Berterianum Genus constituit sapien- tissimo Zoologiae Professori et nostro amicissimo Franco Andrene Bonelli dicatum. Questo Genere Bonellia e stato poi riconosciuto sinonimo del Genere Jacquinia che Linneo aveva stabilito nell’anno 1759. • Esso appartiene alla famiglia delle Sapotaceae. 18 ORESTE MATTIROLO — G. B. ROMANO DI CASTELI-INO-TANARO E lA SUA OPERA BOTANICA simo Magistrato della llifonna degli studi sedente in Torino, destinato il medico Giovanni Francesco Kk, che fu il primo laico nella serie dei Professori monregalesi (1). 11 Re, che era insegnante nel senso buono ed utile della parola, che non aspirava alla fama di scienziato, ma a quella più durevole e piìi utile di paziente, tenace e sagacissimo volgarizzatore della scienza, seppe, nei tre anni che rimase a Mondavi (1816-17-18), infondere nei suoi allievi la più viva simpatia, non soltanto limitata alla sua persona, ma estesa alla scienza da lui professata col più intenso ardore di passione. Egli seppe creare attorno a sè una piccola falange di discepoli valorosi, che istruì con l’affetto di un padre e che lo circondarono del più riverente amore. E cosi che al Collegio di Mondov'i Tommaso Vallauri, Vittorio Promis, Giuseppe Baruffi, Giuseppe Corderò di Vonzo divennero, per la influenza del Re, per esclusivo merito suo, cooperatori valentissimi del maestro, esploratori oculati della vegetazione monregalese. Tommaso Vallauri, che doveva abbandonare l’arringo botanico per quello letterario, non dimenticò mai l’efficacia deH’insegnamento ricevuto; il suo nome, quantunque non legato a traccio durature del suo interesse per la scientia amahilis, va meritatamente oggi ricordato fra quelli dei discepoli più attivi del valoroso maestro. L’illustre latinista nella sua auto- biografia ricorda con le più affettuose parole le lezioni di G. F. Re. Sotto la guida del maestro si addentrò talmente nello studio della vegetazione monregalese, da divenire uno dei più valenti cooperatori suoi. Vittorio Promis, nativo di Roburent, di svegliato e pronto ingegno, morto sul fiore dell’età e delle speranze, fu, tra gli allievi di G. F. Re, forse il più promettente. Tanta fu la fama in cui crebbe, che era già stato dal Governo designato ad insegnare Botanica nella Università di Sassari, quando morte lo tolse immaturamente il 15 luglio 1824. Di lui è menzione con espressioni fervide di lode in quasi tutti i lavori di G. F. Re, nel cui Erbario il nome del Promis ricorre ad ogni momento per una quantità di piante della regione monregalese. Il Baruffi ed il Corderò di Vonzo con commoventi espressioni di affetto piansero ama- ramente la perdita di questo loro compagno di studi e di escursioni, col quale avevano intrapresa la compilazione di una Flora Pedemontana, rimasta incompiuta nel manoscritto. Anche di Vittorio Promis non è rimasta traccia in lavori stampati; ma le sue beneme- renze scientifiche, attestate da una quantità di specie rare della regione monregalese, da lui primo scoperte, meritano che il suo nome sia richiamato dall’oblio ingiusto, e che un raggio della fama e della gloria del maestro ne illumini la memoria! Di Giuseppe Baruffi, colto e geniale scrittore, anima aperta ad ogni manifestazione della scienza e dell’arte, tutti ricordano il nome e la fama, affidata ad una notevole quantità di opere e di imprese sempre utili e geniali. (1) G. F. Re fu nominato Professore di Botanica e di Materia medica veterinaria nel Collegio di Veteri- naria fondato alla Veneria (Decreto 20 novembre 1818, vedi Archivio di Stato). Per ciò che ha rapporto alla vita, alle opere e all’Erbario di G. F. Re, vedi : M. Lessona, Naturalisti italiani, Roma, Sommaruga, 1884. G. F. Re, pag. 1 a 29 (Prefazione della 2“- ediz. della Flora Segusina di G. F. Re), Torino, 1881 ; M. Lessona e 0. Mattirolo, Maurizio Eeviglio. Cenni biografici letti alla R. Accad. di Medicina di Torino nella Seduta del 30 gennaio 1891. — “ Giornale della R. Accad. di Med. di Torino „ anno 1891, numeri 1 e 2 ; 0. Mattirolo, Sulla opportunità di conservare il nome di Rea (Bertero) in luogo di quello di Dendro- seris (Don), “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, voi. XLVl, gennaio 1907 ; 0. Mattirolo, La Flora Segusina dopo gli studi di G. F. Re (Flora Segusiensis 1805. Flora Segusina Re Caso 1882). Saggio storico, bibliografico, botanico, “ Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, serie II, tom. LVIIl, 1907 (aprile); Baruaia, Cassano, Couvkrt, Gola, Negri, Mattirolo, Il botanico G. Francesco Re. La vita, le Opere, le Onoranze, Torino, Tipografia della “ Gazzetta del Popolo 1909, 1 voi. di pag. 127. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATIJK., SERIE li, VOL, LXYI, N. 11 . 19 Di Giuseppe Baruffi, a cui si convenivano, come lasciò scritto Anoelo De Gubernatis (1), “ tutti gli appellativi coi quali i torinesi solevano indicarne il nome popolarissimo; di intrepido “ Baruffi, di infaticabile, di dotto, di buono, di amabile; che ha saputo meritarli tutti, associando “ in una lunga ed onorata vita il coraggio alle ogjere, la bontà al sapere accennerò soltanto ai meriti botanici, per quanto si riferiscono allo studio della regione monregalese, della quale fu uno dei più strenui illustratori. Nato nel 1801 in Mondavi, morto il 12 marzo 1875 a Torino, Giuseppe Baruffi (2) fu allievo di G. F. Re nel Collegio di Mondavi, e da lui trasse l’amore per la Botanica. “ Tu sai che io devo „, scrisse egli ad un amico, “ al Medico Ee le mie poche cognizioni elementari della Scienza delle Erbe. Ti ricordi V entusiasmo che le sue lezioni di Botanica destarono in noi tutti? Erano forse le prime idee del regno vegetale che penetravano nella nostra patria. “ Ti ricordi che i nostri barbassori mondoviti biasimavano fortemente questo mio amore alla Botanica e me lo ascrissero quasi a delitto? Poverini! Queste parole, alle quali potrei farne seguire molte altre, svolte in pensieri gentili e soavi, che si leggono qua e là nelle Passeggiate nei dintorni di Torino, mentre rivelano la efficacia del metodo di insegnamento di G. F. Re, dimostrano l’attrazione singolare che il dotto professore sapeva esercitare sulle menti giovanili dei suoi allievi. “ Quelle erborizzazioni sulle Alpi, formavano quasi il solo pensiero dei miei giorni, il sogno delle mie notti... (3); queste rimembranze mi cadono dalla penna coll'inchiostro e non ho il coraggio di cancellarle! „, scriveva il Baruffi, ricordando infinite volte il suo simpatico Professore, e gli amici diletti che unitamente a lui in quel turno di tempo si erano infiammati della Scienza dei fiori. I ricordi di Vittorio Promis, di Giuseppe Corderò di Vonzo, gli accenni a Pietro Giusta, sgorgati dalla sua facile penna come onde di lirismo affettuoso e commovente, ci dicono tutto l’amore che la sua anima buona sentiva per i diletti compagni delle escursioni, unitamente ai quali, percorrendo il Piemonte, aveva messo le basi per quella Flora Pedemontana il cui (1) Angelo De Gubernatis, nella “ Rivista Europea ,, anno IV, voi. IV, fase. I, Firenze, 1873, pag. 111. (2) Don Giuseppe Baruffi, nato nel 1801 e cresciuto col secolo, scrisse Casimiuo Danna {Alla tomba del Professore Don Giuseppe Baruffi, Serto dell’ amicizia, Torino, tip. Favaie, 1876) : del Secolo presentì e divinò le tendenze, respirò l’alito innovatore, del Secolo tenne piede alla celerità, spiò i movimenti scientifici ; cooperò nei Congressi, e coi sodalizii dei dotti agli incrementi delle utili cognizioni, propugnatore delle più agevolate comu- nicazioni, affrettò il riavvicinamento dei popoli, camminando sempre sulla via del dovere e dell’onore. (3) “ La botanica non consisteva pel Baruffi (vedi nota alla pagina 139 del citato Serto dell’amicizia, pag. 139), in un erbario, in una collezione de’ vegetali disseccati. Non era per lui un'arida nomenclatura, ma una scienza, colla quale interpretava il linguaggio de’ vegetali, non il linguaggio allegorico di cui si dilettano gli innamorati o veri o finti ; ma quello che la natura rivolge all’uomo, in maniera poetica c sublime ))er mezzo delle sue meravigliose bellezze. “ Coloro che hanno letto le sue Passeggiate e Peregrinazioni mi concederanno che questa parte della Storia naturale era da lui prediletta, e sarebbe stata quella, in cui poteva primeggiare, ove fosse stata l’unica da lui coltivata. ‘ Egli non pretermetteva mai, scorrendo gli Orti botanici delle straniere nazioni, di comparare fra loro le flore dei diversi paesi, di osservare il metodo, o naturale o artificiale, il sistema di Linneo, il metodo di JussiEU secondo i quali erano classificate. Tu, lo odi ragionare della Botanica in Valle dei Salici (Torino), sulla Vetta di Superga, sui monti di Valdieri, con quella facilità che ti trasporta a conoscere le Flore della Sardegna e di Pest. Le parole colle quali ricorda le onorate fatiche del Moris e quelle del suo degnissimo successore, del valente Professore Delponte, ti invogliano a seguirli nei loro amenissimi studi (Passeggiata X), come ti muovono a pianto e l’apostrofe al suo indivisibile Matteo Bonafous (Passeggiata XII) e la lettera di quella signora di Rodi che lo prega di cogliere i fiori nascenti sulla tomba di suo figlio (Passeggiata I). In Baruffi che piange là in Upsala sulla tomba del gran Linneo ; in Baruffi che in Altona spicca due foglie dal Tiglio ombreggiante il monumento di Kt.opstock, chi non gode a vedere riunite insieme la religione e la scienza, le due più valide educatrici del genere umano? „. 20 OKKSTE MATTIUOI-0 — (i. H. KOMANO DI CASTEI,MNO TANARO E 1,A SUA OPERA HOTANICA manoscritto, con un ampio Catalogo di nomi piemontesi di pianto, consegnato a Luigi Colla, fu da lui usufruito per \’ Herharimn Pedemontanum (1). Nè al solo tentativo di una Flora Pedemontana, nè alle accennate numerose divagazioni botaniche, accompagnate da elenchi di piante, qua e là comparse nelle Passeggiate, si riduce il contributo che l’Abato Baruffi portò alla botanica; imperocché di lui ci rimase una Flora Monregalensis manoscritta, che porta la data del 1819, 7 ottobre, compilata negli anni gio- vanili sotto la guida del maestro. La Flora Monregalensis, testimonio non solo della attività del Baruffi, ma della sua speciale competenza in materia, giunta nelle mie mani per gentile e generoso dono del Se- natore Barone Antonio Manno, che l’ebbe dal suo cognato, amicissimo del Baruffi, il Conte (jiusEPPE Corderò di Vonzo, è quella che Casimiro Danna ricorda nel Serto dell’ami- cizia (2). Essa porta il titolo seguente: “ Alphabetica Enumeratio jdantarum in circuitu Monregalensi, nec non in circumslantihus montibus sponte nascentium e comprende il nome e le località di ben 550 specie di piante. Perchè il Baruffi non abbia pubblicato questa sua Flora non ci è dato conoscere. Cer- tamente se questo suo lavoro quando fu scritto fosse stato fatto di pubblica ragione, avrebbe ottenuto un successo indiscutibile, in ispecie per le osservazioni accurate di località in essa contenute, le quali oggi, dopo quasi cento anni, rivestono ancora notevole importanza. La Flora del Baruffi è seguita da un prezioso elenco di nomi vernacoli accuratamente raccolti. Sono 553 nomi dialettali, i quali, colle indicazioni delle specie economiche, medi- camentose e velenose della regione monregalese, costituiscono un contributo floristico inte- ressantissimo, il quale, ancora oggi, meriterebbe di essere fatto conoscere agli studiosi nella sua integrità. Il prezioso volumetto manoscritto, venuto fortunatamente nelle mie mani nel modo accennato, fu da me consegnato alla biblioteca del R. Orto botanico di Torino, dove oggi religiosamente si conserva in sacro deposito, nell’attesa di una propizia occasione la quale ci permetta la pubblicazione di un cimelio che la soverchia modestia dell’autore, forse dub- bioso delle sue forze giovanili, volle tenere gelosamente nascosto. Così sarà concesso ai monre- galesi di valutare anche nel campo botanico, come essa lo merita, l’opera di Giuseppe Baruffi, la cui memoria è giustamente rimasta sacra sulle sponde dell’Ellero. Di un altro allievo di G. F. Re, intimo e coetaneo del Baruffi, sono lieto in questa occasione di poter offrire alcuni cenni biografici, e di segnalarne le benemerenze scientifiche (3). Giuseppe Francesco Corderò di Vonzo, di nobile famiglia monregalese, figlio del Conte (1) Infatti neW Index nominum vernaculorum, prezio-sissimo elenco dei nomi vernacoli delle specie pie- montesi che precede le 97 tavole àeW Herbarium Pedemontanum (tutte diligentemente disegnate e litografate dalla figlia, esimia donna Teofila Colla, intelligentissima collaboratrice del padre), ad ogni momento ricor- rono le citazioni dei nomi di Baruffi e di Coudf.ro di Vonzo per le piante della Regione Monregalese. Nel voi. VII di detto Herharium, e precisamente nelle Addenda et Corrigenda, i nomi di Romano, solertissimus Botanìces cultor, di Avogadro, di Baruffi, di Vonzo, figurano qua e là onorevolmente ricordati, in base ai mss. loro, consegnati al Colla. (2) Così lo ricorda il Danna : Io tengo il catalogo delle Erbe che il Baruffi 'presentò all’amatissimo suo Maestro (Prof. G. F. Re) nel 1822 e 23, nel quale ciascuna qnanta nominò anche colla voce del dialetto e del luogo dove, egli l’ebbe trovata. Questo scritto il Danna donava al Conte di Vonzo e da questi passò nelle mani del Senatore Manno. (3) Dobbiamo alla cortesia del cognato del Conte Corderò la maggior parte delle notizie da noi raccolte e però rendiamo i dovuti ringraziamenti airill. Barone Senatore Antonio Manno, per la sua cortese coope- MEMORIE - CRASSE 1)1 SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOI,. I.XVI, N. 11. 21 Antonino o della Contessa Giuseppina Boetti di S. Sebastiano, nacque, primo di quattordici figli, in Torino, il 3 febbraio 1798 e vi morì il 5 maggio 1884, senza lasciar prole. Studiò in Mondovì; si laureò in Leggi a Torino, percorrendo poscia la carriera giudiziaria, dalla quale si ritrasse per eccessivi scrupoli e per le sue titubanze nel profferire giudizii. I primi ammaestramenti nella botanica li ebbe nel 1816 dal padre del Prof. Casimiro Danna il quale, come scrisse il Conte Corderò (1), “ col suo gran libro del Mattioli fu il primo ad iniziarlo al ctdto della Botanica; era forse quello l’unico libro che in quel temj)o si potesse con- sultare in Mondovì intorno alle piante. Egli ce lo apriva e di tanto in tanto recava a me, ed io al Baruffi, gli eseniqìlari viventi delle più belle piante delle nostre Alpi, ed in questo modo ci invaghì alle escursioni botaniche Qualche anno più tardi, sotto la guida di G. F. Re, egli, col Baruffi, col Promis e col Vallauri, si accese nello studio delle piante e percorse erborizzando tutta la regione monre- galese, componendo un erbario pregevole che il suo nipote Conte Carlo Corderò di Vonzo generosamente donava al R. Orto botanico (2). Il Conte Corderò di Vonzo, si occupò attivamente di Botanica nel periodo che va dal 1816 al 1825, nel quale col Promis e col Baruffi aveva messo mano ad ima Flora Pedemontana e ad un completo catalogo di nomi volgari delle piante crescenti nei dintorni di Mondovì. Queste due opere, rimaste mss., furono più tardi consegnate a Luigi Colla che le inserì nella compilazione del suo Herbarium Pedemontanum, come risulta anche da un accenno fat- tone dal Colla (3). La vita del Conto Corderò di Vonzo fu tutta dedita allo studio, all’agricoltura (4) e al culto dell’arte, di cui fu benemerito per gli aiuti pecuniari da lui concessi alla fabbrica del celebre Santuario di Nostra Signora di Vicoforte (5). Molte piante raccolte dal Corderò di Vonzo si conservano nell’Erbario di G. B. Romano, col quale si mantenne in corrispondenza. A lui deve I’Ingegnatti la comunicazione della mas- sima parte delle piante elencate nel suo Catalogo (6). Il nome del Conte Corderò di Vonzo, purtroppo non legato ad opere stampate, è ricor- dato dagli amici e da tutti i monregalesi suoi contemporanei, che si occuparono di cose di razione. La famiglia Corukko ebbe i feudi di liohiirent, Montezemolo, Vonzo, S. Quintino, ecc. Essa vanta molti personaggi che si segnalarono nelle milizie, nella carriera ecclesiastica, nelle lettere, negli alti impieghi di Corte, ecc. (vedi Casalis, Dizionario Geografico Storico, voi. X, 1842, pag. 758 e seg.). (1) Vedi Alla tomba del Prof. D. Giuseppe Baruffi, Serto dell’Amicizia, Torino, 1876. Alla pag. 117, cap. XXVI, Il fiore della Botanica, lettera di G. Corderò di Vonzo. (2) If Erbario del Conte Corderò di Vonzo, conservato in 6 cassette di legno, contiene circa 1200 esem- plari di piante raccolte nella regione monregalese e nel R. Orto di Torino, fu generosamente ceduto all’Orto di Torino onde vi sia conservato, ed apprezzato dagli studiosi. Ci è gradito dovere, in questa occasione, di poter ringraziare nel nome dei botanici italiani il generoso donatore. (3) Del Conte Corderò il Colla ricorda il nome nel suo Index nominum vernaculormn per un certo numero di piante (vedi nota a pag. 20). (4) Nel mese di giugno del 1849 il Conte Corderò di Vonzo, fu, per le sue benemerenze agricole, nomi- nato Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino. (5) Al Conte Corderò, per questa sua efBcace azione in pi'o della Fabbrica del celebre Santuario, fu decre- tata una medaglia d’oro coll’effigie della Madonna e con la seguente leggenda nel diritto : Josepho Corderò Corniti Vontii optime prò merito. (6) Alla composizione di questo lavoro [Catalogo delle principali specie vegetali che crescono spontanee nel Circondario di Mondovì, Mondotn-Breo, tip. Fracchia, 1877), scrive l’A. nella Prefazione, mi condussero hi mancanza tuttora lamentata di una fiora locale, gli autorevoli eccitamenti di alcuni colleghi ed amici e sopra- tutto gli insegnamenti che io mi applaudo di avere attinti dal Sig. Conte Corderò Giuseppe di Vonzo, quanto egregio cultore delle naturali discipline, altrettanto amatore di questi luoghi. OlvKSTK MATTI KOI.O — U. H. KOMANO 1)1 CASTKLUNO-TANAKO K l.A SUA OPEKA BOTANICA scienza, con parole di stima, di riverenza e di affetto, prove dell’alto suo valore, di una integerrima onestà di carattere e di una lodevolissima liberalità scientifica. Fra i corrispondenti monregalesi di G. F. Re, va pure ricordato il Conte ('hikba, della nobile famiglia dei Vasco di Mondo»), Colonnello di fanteria, che il Re nella sua prima Memoria sopra un nuovo succedaneo della Corteccia del Perii (Torino, 1820), ricorda con parole di lode, come egregio cultore di Botanica. Nell’Erbario di G. F. Re (ritornato oggi finalmente al Museo dell’Orto torinese) sono ricordati, inoltre, i nomi dei suoi allievi (1) Castellano Giuseppe, Giordano, Bianchetti, per alcune piante avute della regione monregalese. Per terminare la rivista dei botanici monregalesi occorrerà ricordare ancora il Cafahxjo delle principali specie vegetali che crescono spontanee nel circondario di Mondo»), compilato da A. Ingegnatti, Dottore in medicina e chirurgia. Professore nel R. Liceo e neH’Istituto tecnico di Mondovì. Il Catalogo, pubblicato nel 1877, fu steso per ottemperare, come scrisse l’A. nel proemio del suo lavoro, ad una circolare ministeriale, la quale ordinava che ogni insegnante di Liceo dovesse a suo turno, rendere di pubblica ragione un qualche scritto intorno ad un argomento speciale riferentesi alla scienza professata dall’insegnante. Così, per questo scopo, il Dott. Ingegnatti compose il suo Catalogo, elencando per ordine alfabetico i nomi di circa 1300 specie appartenenti al regno vegetale, senza distinzione alcuna fra le Crittogame (100 circa) e le Fanerogame; senza descrizioni, senza osservazioni, colla indica- zione sola delle località. In questo lavoro di pura e troppo affrettata compilazione la critica scientifica trova non pochi argomenti per esprimere dubbi e riserve, attesoché in esso si trovano annove- rate per la regione monregalese delle specie, alcune delle quali non mai state raccolte in Italia ed altre che nessuno (malgrado le più diligenti indagini nelle località indicate dall’Antore) è riuscito più a ritrovare (2). Basti ricordare che il signor E. Burnat (3), l’emi- nente botanico svizzero, al quale la scienza deve la nota monografia delle Alpi marittime, e che per lungo periodo di anni vi erborizzò e vi erborizza tuttora con ogni dovizia di mezzi, dopo aver istituite ricerche metodiche per rintracciare alcune delle specie citate daU’lNGEGNATTi, COSÌ si esprime; Ij Anteur ne possédant pas la collection des plantes nientionnées et obserrées par lui, les preuves font défaut à l’appiii de ce tracail qui en rédamerait sur bien des points. (1) Per quanto si riferisce agli allievi di G. P. Re vedi 0. Mattuìolo, Le opere di G. F. Re, Cenni bio- grafici e bibliografia, nel volume edito in onore del Re, Torino, 1909, pag. 68. (2) Fra le specie di cui Ingegnatti ha indicato la presenza sul territorio monregalese, e che nessuno ha ])iii potuto ritrovare nella località da lui indicata, ricorderemo : Damasonium stellatum, Dal., finora osservato nelle grandi Isole nostre e a Malta; Eupìiorbia epithijmoides, L., della Dalmazia, dell’Albania e di Spagna; Helianthemum umbellatum, DC., della Spagna (vedi Burnat, Fior, des Ali), maritim., voi. 1, pag. 153); Lobelin urens, L., della Spagna, del Portogallo, della Francia boreale. Ne le seguenti specie italiane elencate dalFlNGEGNATTi furono mai ritrovate in Piemonte. Liparis Loiselii, Rich. Malaxis paludosa, Sw. Oxi/cocciis pnlustris, Pers. Riimex maritimus, L. Scorpiiirus vermiculatus, L. Stratiotes uloides, L. Thymbra spicata, L. Tyriinnus leucographiis, Cass. Velezia rigida, L., ecc. Falcaria Rivini, Hort. (3) E. Burnat, Botanistes qui onl contrihuc à faire eonnaitre la Flore des Alpes maritimes. Bihliographie et collectioiis botaniques, “ Bulletin Soc. bot. de Franco tom. XXX. Session extraord. à Antibes, mai 1883. pag. 15. MEMOKIK - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXVI, N. 11 . 23 Per conto nostro, avendo preso parte alle ricerche istituite dal Burnat, che si valse dell’opera sagace del signor Cav. E. Ferrari, Conservatore del R. Orto botanico di Torino (anni 1994-98-99), non possiamo che sottoscrivere a quanto egli scrisse, ritenendo che certe asserzioni addirittura stupefacienti deUTNGEONATTi, si debbano indubbiamente a errori di determinazioni. CAPITOLO IV. Conclusione. Le notizie qui esposte sui botanici monregalesi, completano la visione di quanto è stato operato dai nostri predecessori nel lavoro di esplorazione delle regioni italiane facienti parte delle Alpi marittime. Questo territorio fortunato, solcato da valli ubertose, irto di punte, alcune delle quali si elevano al disopra di 3000 m., esposto, per la sua posizione topografica, sia alla influenza del mare, sia a quella delle gelide brezze alpine e quindi a condizioni edafiche e climatiche le più varie, è naturale che per la ricchezza eccezionale di forme abbia dovuto in tutti i tempi attirare l’attenzione dei botanici. Emilio Burnat, tenendo calcolo delle collezioni già messe insieme, compulsando le opere già pubblicate, raccogliendo con costanza e pazienza ammirevoli, direttamente sui luoghi, ogni sorta di notizie, rovistando con dovizia di mezzi in ogni angolo della regione, ha voluto, prima di procedere allo studio botanico, fissare in una specie di quadro sintetico quanto avevano operato gli Autori che lo avevano preceduto. Riassumendo, vagliando quanto era stato fatto, ne venne fuori, nel 1883, quel mirabile studio: Sur les botanistes qui ont contribué à [aire connaUre la Flore des Aliìes maritimes, nel quale è raccolta non la bibliografia soltanto, ma si trovano elencate succinte notizie bio- grafiche che riguardano N. 97 Autori occupatisi delle varie regioni comprese nell’àmbito delle Alpi marittime (1), e fra di essi cinque soli (2) (Pietro e Ignazio Molineri, Pietro Giusta, tutti di Montaldo Mondovì, Giovanni Francesco Re e A. Ingegnatti) sono ricordati come esploratori della regione monregalese. Giova avvertire però subito che al signor Burnat, l’esistenza di G. B. Romano e delle sue collezioni era passata inosservata. Il curioso solitario di Castellino-Tanaro, anche dopo la morte, doveva tenere gelosamente nascosti i suoi tesori; e se le circostanze imprevedute delle quali abbiamo fatto cenno non fossero sorte, forse ancora per lungo tempo la luce sulle fonti degli studi sulla Flora moli- li) Il territorio delle Alpi marittime, s&conAo Burnat, sarebbe compreso dai limiti seguenti; ad Ovest, ì\ Colle della Maddalena o di Barche, che separa le Alpi Marittime dalle Cozie; aH’i2s<, il Colle di S. Bernardo che confina cogli Apennini liguri ; a Nord, il Corso della Stura, Cuneo, Mondovì e Ceva ; al Sud, il littorale da Albenga alla rada di Agay presso Fréjus. Per quanto ha riguardo ai limiti di questo territorio misurante 8.897 Chil.^ vedansi i lavori seguenti di E. Burnat : 1. Les Boses des Alpes maritimes, par E. Burnat et A. Gremli, pagg. 8, 13. 2. Botanistes qui ont contribué' à faire connaUre la Flore des Alpes maritimes. Bihliographie et Collections botaniques, E. Burnat, “ Bulletin Soc. hot. Frane. ,, toni. XXX, 1883, pag. 1. 3. Flore des Alpes maritimes, par E. Burnat, voi. I, Genève, 1892, pag. vi, vii. (2) Parrebbe quasi inutile il ricordare che questo numero è stato calcolato facendo astrazione dai nomi di Aluoni, di Bellardi, di Balbis, i quali si occuparono solo incidentalmente dello studio della regione mon- regalese, in quanto ebbero ad illustrare specialmente materiali ivi raccolti da Pietro e Ignazio Molineri. 24 ORESTE MATTIKOLO — G. B. ROMANO 1)1 CASTELMNO-TANARO E LA SUA OPERA BOTANICA regalese sarebbero rimaste ignorato; e documenti e nomi di Autori meritevolissimi sarebbero forse scesi nell’oblio immeritato. Questo nostro studio, ai cinque nomi di botanici monregalesi permette di aggiungerne altri sedici. Inoltre, dalla somma dei materiali contenuti nell’Erbario Romano il nostro Vignolo-Lutati ha potuto già mettere insieme il Catalogo delle qnante della Valle del Tanaro, che ci darà la desiderata conoscenza floristica di quella regione che sta fra le colline del Monferrato propriamente detto, V Appennino piemontese, e le Alpi marittime, regione che porta il nome di Langhe. La Flora monregalensis del Baruffi (che speriamo di veder fatta di pubblica ragione) ci illuminerà sulla Flora di Mondooì, a cui Fingentissimo materiale briologico del Romano potrà fornire l’elenco dei Muschi monregalesi. Quando poi si consideri che le recenti indagini del Professore Gola (1) ci illuminano sulle regioni limitrofe àGÌV Appennino da una parte, e della Valle di Maira daH’altra, si intuisce quale possa essere il valore delle collezioni di G. B. Romano, come complemento per la conoscenza della Flora di tutta la vasta regione delle Alpi occidentali. Noi vogliamo sperare che, dopo l’attuale eroico e tragico periodo, che darà all’Italia la coscienza del suo valore non solo, ma quella della sua potenzialità intellettuale, il desiderio di essere padroni in casa nostra sarà esaudito, e che allora potrà più facilmente sorgere il botanico italiano, il quale si accinga alla compilazione dello specchio floristico di tutta la regione delle Alpi occidentali, la cui visione sintetica, dopo Alligni, non è più stata tentata. Materiali e studi preliminari per tale lavoro non mancano, e fra' essi cospicuo posto avranno quelli raccolti da G. B. Romano. (1) G. Gola, La t^ef/ptasione. tìell' Appnnino Piemontese, “ Annali di Botanica ,, voi. X, 1913, Roma. V° Si stampi: Paolo Boselli, Presidente. Corrado Segre Segretario della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. i « V il