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24 aprile 2022

[L'INCIPIT DELLA DOMENICA] L'Isola di Arturo di Elsa Morante

 



Re e stella del cielo.


Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo ad informarmene) che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale! E che inoltre questo nome fu portato pure da un re dell'antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli.

Purtroppo, come venni poi a sapere che questo celebre Arturo re di Bretagna non era storia certa, soltanto leggenda; e dunque, lo lasciai da parte per altri re più storici (secondo me, le leggende erano cose puerili). Ma un altro motivo, tuttavia, bastava lo stesso a dare, per me, un valore araldico al nome Arturo: e cioè a destinarmi questo nome (pur ignorandone, credo, i simboli titolati), era stata, così seppi, mia madre. La quale, in se stessa, non era altro che una femminella analfabeta; ma più che una sovrana, per me.

Di lei, in realtà, io ho sempre saputo poco, quasi niente: giacché essa è morta, all'età di nemmeno diciotto anni, nel momento stesso che io, suo primogenito nascevo. E la sola immagine sua ch'io abbia mai conosciuta è stata un suo ritratto su cartolina. Figurina stinta, mediocre, e quasi larvale; ma adorazione fantastica di tutta la mia fanciullezza.

(Elsa Morante - L'Isola di Arturo - 1957) 

03 aprile 2022

[L'INCIPIT DELLA DOMENICA] Il buio oltre la siepe di Harper Lee






 "Anche gli avvocati sono stati bambini, immagino... (Charles Lamb)


Jem, mio fratello, aveva tredici anni all'epoca in cui si ruppe malamente il mio gomito sinistro. Quando guarì e gli passarono, i timori di dover smettere di giocare a palla ovale, Jem, non ci pensò quasi più. Il braccio sinistro gli era rimasto un po' più corto del destro; in piedi o camminando, il dorso della sinistra faceva un angolo retto con il corpo, e il pollice stava parallelo alla coscia, ma a Jem non importava un bel nulla: gli bastava poter continuare a giocare, poter passare o prendere il pallone al volo.

Poi, quando di anni ne furon trascorsi tanti di poterli ormai ricordare e raccontare, ogni tanto si discuteva di come erano andate le cose, quella volta. Secondo me tutto cominciò a causa degli Ewell, ma Jem, che ha quattro anni più di me, diceva che bisognava risalire molto più indietro, e precisamente all'estate in cui capitò da noi Dill e per primo ci diede l'idea di far uscire di casa Boo Radley.

Ma allora, ribattevo io, se si voleva proprio risalire alle origini, perché non dire che la colpa era di Andrew  Jackson? Se il generale Jackson non avesse incalzato gli indiani creek lungo il ruscello, Simon Finch non avrebbe risalito l'Alabama con la sua piroga, e dove saremmo noi a quest'ora? Eravamo troppo grandi, ormai, per risolvere la controversia a botte: consultammo nostro padre Atticus, e lui disse che avevamo ragione tutti e due.

(Harper Lee  -Il buio oltre la siepe - 1957)

26 ottobre 2021

[RECENSIONI] I LIBRI DEL MESE DI OTTOBRE

 

Le mie recensioni tornano quando vogliono. Subiscono la spinta della scrittura se sento la necessità  di voler dire qualcosa a proposito  dei libri letti. Oggi ve ne propongo tre.  Mi hanno lasciato addosso quella piacevole sensazione di essere stata arricchita e stimolata dalle parole e dalle sensazioni provate. Ve li consiglio.

Titolo: Postodibloggo - Autore: Franco Battaglia  - selfpublishing - prezzo cartaceo: 12,00 euro

24 luglio 2021

[SABATO DI POESIA] VENTO DI PRIMA ESTATE DI GIORGIO CAPRONI



A quest’ora il sangue
del giorno infiamma ancora
la gota del prato,
e se si sono spente
le risse e le sassaiole
chiassose, nel vento è vivo
un fiato di bocche accaldate
di bimbi, dopo sfrenate
rincorse.

(Giorgio Caproni, da Come un’allegoria, in Tutte le poesie, Garzanti  - 1983)

Note biografiche sull'autore

Giorgio Caproni nacque a Livorno il 7 gennaio 1912 e morì a  Roma il 22 gennaio 1990.  È considerato uno dei più grandi poeti italiani del Novecento. Carlo Bo, uno dei suoi primi critici, lo definì il “Poeta del sole, della luce e del mare”. L’arco della poesia di Giorgio Caproni si estende per quasi sessant’anni, dai primi anni Trenta alla fine degli anni Ottanta del Novecento. I temi portanti della sua poetica sono: la madre, rievocata e ricordata in molte poesie; Livorno, la città dell’infanzia che ha lasciato a dieci anni e Genova, considerata la città dell’anima; il viaggio, un viaggio allegorico alla scoperta della vita e della morte. (Latina città aperta).

La rubrica del sabato va in vacanza. Riprenderò a settembre ma volevo lasciarvi con un pensiero rivolto all'estate e all'età più bella.

29 settembre 2020

RECENSIONE: TERESA DEGLI ORACOLI DI ARIANNA CECCONI

 

SINOSSI:

"Questa è una storia di cose invisibili, di profezie e oracoli casalinghi, della libertà e del caso, della difficoltà di scegliere, di amare, di crescere e di morire."

"Alcuni ricordi si nascondono dentro o sopra le cose. Restano lì anche per anni e anni, zitti, appoggiati su quella tazzina, nella coperta di lana a quadri azzurri e blu. Aspettano. Le cose si impregnano delle persone, e toccandole il ricordo si sveglia."


Ci sono libri che ti scelgono, che ti aspettano, sanno che prima o poi tu arriverai. Ci sono libri da aprire con una carezza, di cui sfiorare le righe con leggerezza e desiderio. 

Ci sono libri di cui sapevi già, erano poggiati sul cuore, tra le corde di un ricordo. Ci sono libri necessari, risalgono la corrente mentre tu sei seduta all'ombra di una giornata piena di sole. 

L'incontro con Arianna Cecconi e la sua Teresa degli oracoli è arrivato in un pomeriggio di fine estate. In biblioteca. La copertina arancio e una vecchia signora su di una sedia a dondolo, il gatto sullo schienale, tante farfalle e una coperta azzurra lunghissima. Doveva raccontarmi una storia.

Una famiglia composta da donne, perché famiglia finisce con la A: è femmina. Raccolta al capezzale della nonna che ha smesso di parlare 10 anni prima. Ma dal suo letto, non ha mai perso di vista figlie, cugine e nipoti. I loro segreti e i suoi. Occhi chiusi e cuore aperto. Ad uno ad uno, come un oracolo, i silenzi tenuti a bada per anni, vengono fuori. E i quattro oracoli voleranno via come farfalle lucenti, liberandole dalle paure, dal senso di colpa, dal passato, dall'incapacità di abbandonarsi al futuro. 

E tra un vibrante  "déjà vu" che mi trasporta in un'altra casa e tra altre donne in Cile, di cui lessi vita, opere, magie e amori più di vent'anni fa grazie ad Isabel Allende,  e le distese della Pianura Padana a me più familiari, mi lascio sedurre dall'opera prima di una scrittrice di cui sentiremo molto parlare in futuro. Io lo spero.



Editore: Feltrinelli
Collana: I narratori
Anno edizione: 2020
Pagine: 208 
Prezzo cartaceo: 16 euro














Note bibliografiche:
Arianna Cecconi è antropologa vive e lavora tra Marsiglia e Milano dove insegna Antropologia  delle religioni  all'Università  Milano Bicocca. Accanto al percorso universitario, svolge attività di formazione in contesti non accademici, lavora con radio, compagnie di teatro, scuole e centri socio-sanitari. Ha scritto numerosi saggi e articoli di antropologia. Teresa degli oracoli è il suo primo romanzo.

16 settembre 2020

I LIBRI A CUI CAMBIEREI IL FINALE



Non ditemi che non ci avete mai pensato.
Ho letto migliaia di libri nella mia vita e spero di leggerne ancora altrettanti. E mi è capitato, soprattutto per quelli che ho particolarmente amato e che, mi hanno lasciato con il magone in gola, di desiderare un altro finale.

Non sono una scrittrice ma mi sono immaginata tante volte di prendere la penna in mano, stilografica e perché no anche d'oca per cancellare quel che leggevo in favore di quel che avrei voluto leggere.
Così mi è capitato di desiderare che COLAZIONE DA TIFFANY, finisse come il film, con i due innamorati che si baciano, alla fine del cortile buio con in braccio Gatto. E non in un bar fumoso, con "Fred bello" che racconta la sua delusione dopo la partenza di Holly.


Così come avrei voluto che Sirius Black  e Albus Silente, in HARRY POTTER E L'ORDINE DELLA FENICE, capitolo migliore della saga, fossero riusciti a salvarsi o che la Rowling avesse trovato un altro escamotage per evitare che le figure più incisive di tutti i romanzi dovessero dirci addio.

Invece avrei voluto chiudere la bocca a Briony in ESPIAZIONE. Una ragazzina invidiosa e stupida che condanna a morte la felicità della sorella. L'avrei spedita in collegio buttando poi la chiave della sua stanza nell'oceano. Altro che farla diventare una grande scrittrice.

E poi, c'è il libro dei libri a cui avrei cambiato il finale per regalare ai due protagonisti la felicità che gli spettava e non quel silenzioso rancore e quella rabbia che li avrebbe accompagnati per tutta la vita. Un amore così passionale e burrascoso,  avrebbe meritato una piccola casa nella brughiera e tanti bambini. E invece, i miei innamorati preferiti, non ebbero nulla di tutto ciò. Parlo di Heathcliff e Catherine Earnshaw. Ovvero di CIME TEMPESTOSE.

Ho sempre sognato i lieto fine. Purtroppo mi è capitato di amare di più proprio i  romanzi in cui mancava. E forse sarà stato quello il motivo per il quale mi sono piaciuti così tanto. Chissà. Del resto non ho mai negato di avere un'anima romantica. Fin troppo.

Ci sarebbero anche le serie televisive e i cartoni animati, ma magari ne parliamo un'altra volta.

E voi? Avete amato dei libri i cui finali vi hanno lasciato con l'amaro in bocca? Non devono essere per forza romanzi d'amore eh, va bene tutto, anche un finale incomprensibile o  inaspettato!


Forza che aspetto i vostri!




04 settembre 2020

I LIBRI CHE NON COLSI





Difficile affrontare un argomento che "gira" attorno alle letture  qui da me  che non sia stato già sviscerato in passato. Ne ho parlato in così tanti modi, stimolando la curiosità di voi amici che mi leggete, sia con quiz a tema che  riflessioni. 
Come  QUI  ad esempio, o QUI e anche QUI.


Vi ho portato sulla "riga" di quelli iniziati e mai finiti, di quelli terminati con gran noia, di quelli comprati e mai letti. Abbiamo discusso di libri paragonandoli ad uomini, di quelli a cui non rinunceremmo mai qualunque cosa capitasse. Di libri che ci hanno cambiato la vita. Di quelli che restano sul nostro comodino per tutta la vita, perché sono i nostri preferiti e ci piace averli accanto a noi anche di notte.

Ma perché torno sull'argomento? Essendo io una blogger con la fissa delle letture credo  di avere  trascurato abbastanza, negli ultimi mesi,  la mia missione principale, uno dei DOGMA del mio blog. Parlarvene. Da settembre ricomincerò con le segnalazioni e con le recensioni. Non avranno scadenza fissa ma arriveranno quando avranno voglia ahahah che sia chiaro😜

Oggi però vorrei soffermarmi sui libri mai letti. Dai capolavori della letteratura mondiale a quelli "figli di nessuno" diventati un vero e proprio caso editoriale tramite passaparola. Devo riconoscere che mi faccio poco condizionare dalle tendenze e dalle classifiche. Leggo un libro, se conosco bene l'autore e so che incontra il mio gusto. Oppure, se l'autore mi è sconosciuto, apro a caso  volume e scorro qualche pagina. Mi basta pochissimo per capire se fa per me. Mi soffermo su di una frase o un paragrafo che mi colpisce e se mi piace è fatta, il libro è mio.
Una volta un mio commentatore mi disse che lui rimaneva colpito anche dalla copertina, che lo induceva all'acquisto in mancanza di altri stimoli. Vero è che le copertine dei romanzi vengono studiate a lungo dagli editor e dai pubblicisti proprio perché hanno l'obiettivo di catturare immediatamente l'attenzione degli eventuali compratori. Per non parlare di dove e come vengono collocati all'interno delle librerie.
Insomma comprare un libro non è poi così difficile, anche se non abbiamo la minima idea di quel che stiamo acquistando e ci affidiamo alla nostra buona stella. E quante cantonate PRENDIAMO 😎

Ma quali sono i libri celebri o meno che non ci hanno mai convinto all'acquisto?
Ho fatto un breve inventario e vi propongo alcuni dei miei:

1) IL SIGNORE DEGLI ANELLI di John Ronald Tolkien. 
Ne lessi qualche capitolo a casa di mia sorella (tra l'altro è uno dei suoi libri preferiti) ma mi lasciò del tutto indifferente. Non credo che avrà mai spazio nella mia libreria.

2) PASSAGGIO IN INDIA di Edgar Foster. Uno dei libri più citati in assoluto, ogni tanto me lo trovo da qualche parte. Sarei curiosa di sapere quanti di quelli che lo citano lo hanno mai letto. Io mai. 

3) L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE di Milan Kundera. E niente, ogni tanto mi ricapita davanti in libreria. Ma io mi annoio perfino a leggere tutto il titolo.

4) DELITTO E CASTIGO di Fedor Dostoevskij. Altro libro citato dal mondo letterario sempre ma sempre. Niente da fare, resta lontano da casa mia.

5) TUTTI I LIBRI DI COELHO. A me la new age fa venire i brividi, in senso negativo. Per cui i suoi sono banditi.


Ora ditemi i vostri😉

19 novembre 2017

RECENSIONE: NICOLA PEZZOLI - IL BAMBINO CHE SBAGLIAVA LE PAROLACCE






AUTORE: NICOLA PEZZOLI
TITOLO: IL BAMBINO CHE SBAGLIAVA LE PAROLACCE
EDIZIONI: IRRENHAUS 2
PAGINE: 222
PREZZO formato cartaceo: 9,36
PREZZO versione per kindle: 2,99
IN VENDITA SOLO SU AMAZON













Torno a parlarvi di libri e lo faccio presentandovi il nuovo lavoro di Nicola Pezzoli.


Tratteggio una breve sinossi:
è una raccolta di racconti, che vibrano attraverso il tempo, dagli anni '80 fino ad oggi.
Non c'è cronologia. Si va avanti e indietro baipassando lo spazio aiutati dalla potenza  e dalla vivida fotografia delle sue parole.
In realtà, pur essendo 43  i suoi racconti, a me pare ci sia un unico denominatore:  l'uomo e l'autore.
Ogni capitolo breve o lungo che sia, racconta di lui.
Che siano episodi inventati, che abbiano un fondo di verità, che sia passato o presente, ci ho riconosciuto lo scrittore che conosco dipinto di tutto punto, in ogni parola, in ogni pagina.
Il bambino che sbagliava le parolacce, ha una scrittura che Nicola si è inventato e che è tutta sua. La riconosci, è il suo marchio di fabbrica, presente in ogni virgola.
Brillante e amaro, ironico e violento. Tratteggia la realtà aiutato da metafore illuminate dal furore della sua delusione, dalla rabbia della sua non-rassegnazione.
Capace di colpirti al ventre in maniera così furiosa da farti dire, mentre lo leggi, ora basta, smetto.

Ma non ce la fai.

Vai avanti, racconto dopo racconto, lucidamente, scuotendo la testa, ribellandoti e imprecando come lui.
Ti rendi conto di quanto pur così surreale, sia tristemente tutto vero. Il suo mondo è il nostro. Ne siamo consapevoli quanto lui, e lo vediamo attraverso il suo sguardo  a volte limpido e disincantato a volte torvo e irriducibile.
Eppure la poesia, la dolcezza a cui ero abituata c'è.
La nasconde bene per colpirti all'improvviso quando meno te lo aspetti.
Vi lascio alcuni estratti, che spiegano molto meglio di me cosa sto cercando di dirvi.


Strana e banale ispirazione.
Guardare un pettirosso, camminare come se mi fossi perso, parlare di libri con Paolo Zardi, essere acqua di lago e di mare, scrivere, accarezzare un gatto (e quando esce, sperare che il pettirosso sia già volato via), guidare sotto la pioggia ascoltando i Depeche Mode, scrivere, intenerirsi per un nonnulla, essere la pioggia, scrivere, sognare la mamma quand'ero piccolo, leggere un libro così bello che poi baci la copertina, ricordare e rivivere come fossero adesso le mattine di Natale da bambino, scrivere, preparare le valigie per il Mare, commuoversi fino al midollo ascoltando La Cura di Battiato, scrivere, gustare la panna montata, riguardare il Grande Lebowski, rubare un bacio...

Stop.
Non ci credevo. E lui non la smetteva più. Lo stronzo politicante coi baffi grigi e la pancia piena e l'orologio d'oro e il conto in Svizzera. Che magari si arricchisce vendendo armi e mine antiuomo. Dev'essere uno che ama le Partite del Cuore, pensai. Quelle mascalzonate. Stronzi contro Ipocriti. Tutti lì a farsi belli e divertirsi e mettersi in mostra e dare lezioni e guadagnarci soldi e dare una percentuale in beneficenza che poi sparisce chissà dove. I "Buoni" che si mettono in mostra a me mi sono sempre puzzati assai più dei "Cattivi".



L'INUTILIFICIO.
La mia mamma e il mio papà lavorano fin da quand'erano ragazzi all'inutilificio. A casa non si incontrano quasi mai, perché la mamma fa il turno di giorno all'inutilificio e il papà fa il turno di notte, sempre all'inutilificio. Sgobbano in reparti diversi: la mamma in quello leggero che fabbrica ciabatte per gatti e reggitesticoli umani in filo d'amianto, papà in quello pesante che fabbrica doppi attacchi per calessi, scaldabagni a rotelle e il famoso robot che caga. Il robot che caga è il fiore all'occhiello dell'initutilificio, perché tutti i robot che cagano imbrattano continuamente il paese di merda (non fanno nient'altro) e così per pulire e per smaltirla si crea altro Lavoro.



Le mie recensioni lo sapete, non seguono i canoni usuali. Ma arrivano dalla pancia e dal cuore, lì dove si fermano le parole.
E nelle pagine di Nicola tutte le volte ci vedo un po' di me, un po' di noi. Che speriamo e che non ci rassegneremo mai all'Inutilificio. Sarebbe impossibile.
Grazie Nick.





Bibliografia:
Nicola Pezzoli vive e lavora in Lombardia.
È autore di: 
Tutta colpa di Tondelli (Kaos 2003)
Quattro Soli a Motore (Neo 2012)
Chiudi gli Occhi e Guarda (Neo 2015)
La Campagna Plaxxen (Arseuropa 2015)
Mailand (Neo 2016)
Pazzoteca La Paz (KDP 2017)




07 aprile 2017

RECENSIONE: FABIO LASTRUCCI - DA ZERO A INFINITO.






Autore: FABIO LASTRUCCI
Titolo: DA ZERO E INFINITO
Edizioni: CS Libri
Collana: Alia Arcipelago vol.4
Pagine: 172
Formato: Solo digitale
Prezzo ebook: 2,99











Fabio Lastrucci è arrivato sulla coda di una cometa. Da qualche parte lì dal buio dell'universo parallelo che ci narra.

Ho letto tutti i racconti del suo libro soffermandomi sulle parole e le inquietudini umane che ne caratterizzano ogni capitolo.
So che è un autore di valore con la passione per la fantascienza e per i fumetti. E questo è un campo in cui non sono ferratissima a meno che non ripensi al mio passato di amante di H.P. Hovercraft e lettrice di fumetti arrivando al  mio preferito in assoluto: L'Eternauta.
Avevano parlato molto bene di lui in un  paio di post gli amici Glò e Michele sul loro blog La nostra libreria e mi ero prefissata di leggerlo appena mi fosse stato possibile.
Ed eccomi qui a parlarvi del suo lavoro.


IL LIBRO.
Sono quindici racconti, tutti aventi come oggetto il fantastico.
E mi sono trovata catapultata nel suo mondo in cui, l'universo che conosciamo, ci appare in una prospettiva del tutto diversa. Divertente, triste, allucinata, a volte senza speranza ma in grado di farci parecchio riflettere.
Via via che andavo avanti nella lettura ho trovato tante cose che mi hanno colpito e che ho amato.
La città di Napoli, ad esempio, luogo in cui è nato  di cui è  evidente un imprinting talmente forte da riuscire a fare capolino spesso e volentieri. Cosa che trovo assolutamente positiva.

Nel racconto Loro ho passeggiato con i protagonisti, bevuto il caffè migliore del mondo, mi sono incuriosita come davanti ad uno schermo in cui trasmettevano un film anni '50. E  mi sono trovata a fare il tifo per il popolo napoletano che salvava il mondo da un invasione aliena. Una grande rivincita.

Nel racconto La sindrome della locusta è accaduta la stessa cosa. Mi sono identificata in Michela, una dei protagonisti, ragazza letteralmente fuggita dalla sua terra troppo stretta e che ora la riaccoglieva quasi fagocitandola, nello stesso buco anonimo da cui era fuggita. Troppo giovane per comprendere che col tempo, tutto le sarebbe parso molto diverso fino a  farle provare quella stessa malinconia che assale me ogni volta che torno a casa. Ho passeggiato per via Caracciolo, son salita fino a San Martino, ho percorso il Rettifilo e sono arrivata al Vomero. In ogni luogo mi ha catturato l'ironia del racconto e la sua profonda verità. La ragione di quello che ci accade spesso è indipendente dalla nostra volontà. Ed è molto più semplice e banale di ciò che pensiamo.

Nel racconto Il trucchetto di Olindo con saggezza Fabio affronta il tema della diversità. Quanto ancora ci spaventa e quanto sarebbe utile un sorriso in più. Arrivare a capire che ciò che non comprendiamo è qualcosa con la quale alla fine dobbiamo sempre fare i conti.

Nel racconto Ultime notizie dal papero ho riso fino alle lacrime. È stato come tornare bambina e avere la possibilità di dialogare con i miei personaggi dei fumetti preferiti. Ho provato affetto e tenerezza per i protagonisti e anche certezza che non li perderò mai. Perché in realtà, con tutti i loro difetti sono il nostro alter-ego.

Non sono da meno tutti gli altri racconti. Fabio è un autore di rara sensibilità. Il suo approccio con il fantastico è un modo sublime di parlarci di noi, delle nostre debolezze, delle nostre paure e di quanto probabilmente dovremo aspettarci nel prossimo futuro. Non si arrende e ci regala momenti di scrittura sublime. Il tutto con una nota di "malinconia"  e di follia che rende ancor più speciale ciò che ci narra.
Del resto è un artista a 360 gradi. Ho scoperto che è illustratore e  scultore.  
Ha creato l'Associazione Viv'arte, in cui cultura e arte si completano. È chiaro che un autore così debba essere messo sotto "stretta sorveglianza".
Gli ho chiesto di parlarmi del suo futuro e del suo mondo. Ecco cosa mi ha risposto.

- Quali sono i tuoi prossimi progetti?


I lavori più prossimi alla conclusione sono un voluminoso saggio sul weird scritto insieme a Vincenzo Barone Lumaga, scrittore ed esperto di narrativa gotica con cui condivido una rubrica sulle pagine di Rivista Milena. Il secondo obiettivo è il primo sequel del mio fantasy "Il ritorno dell'Arcivento", una saga che prevede quattro libri in tutto. Essendo bulimico di sogni, scrittura e fantasie, comunque ho in cantiere anche un fumetto di sf per una rivista americana, le illustrazioni di una favola riscritta dal regista Fioravante Rea e un'altra favola da costruire insieme, due storie legate alle tradizioni e la cultura del territorio campano. Ci sarebbero altri abbozzi di pubblicazioni future nel cassetto, ma per pudore e scaramanzia preferisco lasciarli ancora in forse...


- Mi parli dell'Associazione Viv'arte di cui sei stato fondatore?


Viv'arte è nata per la fortissima determinazione della mia ex moglie Nadia, presidente e cuore pulsante del gruppo. Insieme a un ristretto numero di soci attivi abbiamo prodotto mostre d'arte e artigianato, reading letterari e di poesia, seminari, il tutto contando sulle nostre forze, senza finanziamenti o grossi supporti logistici da parte delle istituzioni. Purtroppo questa condizione troppo solipsistica ha finito col logorare il gruppo, scompaginandone le fila, Attualmente Viv'arte è tornata in mano alla sua principale curatrice che opera in un altra regione, spero con maggiore fortuna della nostra tribolata città.. 


- Cosa pensi degli autori contemporanei. C'è qualcuno italiano o straniero (o tutti e due) a cui fai riferimento o da cui hai attinto e che ti ha aiutato a crescere dal punto di vista narrativo?


Per ragioni d'interesse personale e professionale, il mio osservatorio è polarizzato soprattutto sulla narrativa fantastica, in particolar modo quella italiana, che seguo con maggiore continuità. A questo proposito, mi sono reso conto con stupore che pur amando molto autori come Vonnegut, Ballard o King il mio immaginario è stato fulminato sulla via di Damasco dalla visionarietà di Dino Buzzati, con il suo bagaglio mitico, il senso del mistero dell'esistenza, l'atemporalità delle ambientazioni e la profonda umanità. Ovviamente, data la statura di Buzzati, mi accontento di giocherellare con le sue tematiche come un eco di pura ammirazione. Su un altro ambito linguistico, mi affascina la prosa poetica di Erri De Luca, per quanto mi rifaccia a modelli più crudi e cronachistici per ricalcarne l'immadiatezza della comunicazione.



Aggiungo una nota in calce.
Voi sapete quel che penso dell'editoria italiana e di come sia difficile per autori bravi e coinvolgenti riuscire a farsi spazio in un mondo in cui possono pubblicare tutti, dalle veline ai calciatori di 23 anni perché la legge di "cassetta" è quella più forte. Mentre i  meritevoli restano al palo.

Leggende metropolitane assicurano che uno scrittore è un grande scrittore  perché utilizza uno stile che lo rende unico. Per me uno scrittore e qualcuno che, con le sue parole, riesce a "farmi arrivare" a lui e a quello che narra. Quasi da poter sentire e vedere usando tutti i suoi sensi.
E'   questo di cui  parlo quando affronto il mondo della letteratura.
Perciò, quando ho di fronte un vero "Autore" non resisto  al desiderio di segnalarvelo. Perché la "lobotomizzazione" abbia termine e si torni a pubblicare libri che ti fanno venire voglia di leggere e leggere ancora.
Da rimanerne entusiasti e con cui riscoprire il piacere della Letteratura. Mi pare l'unico comandamento "libresco" al quale noi appassionati  dovremmo sempre arrenderci.

Grazie Fabio, a rileggerti presto.



NOTE BIBLIOGRAFICHE


Fabio Lastrucci nasce a Napoli nel 1962. Scultore e illustratore, ha lavorato con le principali reti televisive nazionali e il Teatro lirico nei laboratori Golem Studio e Metaluna. Nel 1987 disegna il fumetto La guerra di Martìn, su testi di Francesco Silvestri. Come autore teatrale ha scritto lo spettacolo Racconti salati (con F. Rea e F. Fiori), inoltre ha pubblicato racconti in riviste e antologie edite (tra gli altri) da Il Foglio Letterario, CS_libri, DelosBooks e Dunwich.
Nel 2009 tiene la conferenza Parole immaginate presso l'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Nel 2012 pubblica il saggio I territori del fantastico con le Edizioni Scudo e nel 2015 il saggio Fantacomics con Delos Digital. Tra il 2014/15 pubblica con Dunwich edizioni l'horror L'estate segreta di Babe Hardy, e con Milena Edizioni i romanzi Precariopoli e Il ritorno dell'Arcivento. Collabora con interviste, recensioni e articoli con le riviste «Delos Science Fiction» e «Rivista Milena».
Info e contatti: https://www.facebook.com/fabio.lastrucci/" 

19 febbraio 2017

LA STRADA DEL RITORNO È SEMPRE PIÙ CORTA.




Da quest'anno si cambia.

Scriverò di libri quando mi va, seguendo l'istinto. Potrebbe capitare più volte al mese o solo una. La vecchia rubrica non va in pensione, seguiterò  a selezionare un libro tra quelli letti, dedicandogli un mese.

Gennaio si è aperto in maniera vorace. Sto continuando ad allargare il mio orizzonte su De Giovanni che mi intriga ogni giorno di più. Trasportata dalle due serie e dai protagonisti, il  commissario Ricciardi e l'ispettore Lo Iacono. Allo stesso tempo sono passata attraverso belle biografie come quella  di Vittorio Sabadin su Elisabetta l'ultima regina,  a libri di autori che sono tra i miei preferiti, come Nessuno come Noi di  Luca Bianchini ,che mi ha trasportato indietro nel tempo fino ai miei odiati/amati anni '80. Mi sono lasciata letteralmente affossare dall'ultimo di Philip Roth, Lasciar perdere.E il suo primo romanzo  e  lo si capisce bene, la lettura è stata lenta e noiosa. Ci sono stati momenti in cui ho riconosciuto il grande autore che amo, ma per la maggior parte del tempo mi sono arenata in una miriade di descrizioni farraginose e complessivamente inutili. In cui i dialoghi tra personaggi erano lunghissimi e onestamente superflui, senza riuscire ad individuare  che rarissimamente, la sua lucida e amara ironia. Un romanzo acerbo, che si fa fatica a finire.

Ho incontrato infine il libro di cui voglio parlarvi oggi, dedicato a Gennaio.L'autrice si chiama Valentina Farinaccio. Giornalista di origini molisane alle prese con il suo primo romanzo: La strada del ritorno è sempre più corta.



"Quando metti al mondo un figlio pensi soltanto ad una cosa, che farai in modo che le pene e le paure e le debolezze non lo tocchino mai. E poi scopri che anche i bambini hanno da portare in spalla la loro parte di sofferenza. Che a ciascuno spetta la sua dose di dolore: a una madre, quella sbagliata di perdere un figlio; a una moglie, quella eterna di veder morire un marito; a una figlia, quella ingiusta di crescere senza un padre. In tutti i casi la certezza, imprevista, di tornare soli.
Smisi di guardare e andai fuori.
Piansi."



Il romanzo è ambientato a Campobasso, città di origine dell'autrice. Racconta la vicenda di Vera e della sua famiglia su piani diversi, secondo il punto di vista di tutti i protagonisti. E come succede nel quotidiano, ci si domanda dove sia la verità e quale sia. Non è facile, non lo sarà nella storia e non lo è nella vita reale. A quale voce dare credito?  C'è una forte spinta dovuta alla curiosità di arrivare fino alla fine del romanzo attraverso la parola di tutti per scoprire cosa è successo, mentre il racconto si colora di giallo.

E' stato facile innamorarmi di Vera, dolcissima bambina di cinque anni, con la passione sfacciata per i Beatles e Ringo Starr (così simile alla "bambina yetterdei" della mia infanzia) alle prese con un dolore molto più grande di lei. Lo stesso è successo con Lia, sua madre, che ho visto letteralmente cristallizzarsi attorno alla sua tragedia. Ho amato Giordano, libraio meraviglioso con la passione della scrittura e un libro incompiuto lasciato in eredità.
E tutto intorno il mondo della provincia, così pieno di difetti e pregi da cui fuggire appena possibile per poi ritrovarcisi annegati in un mare d'amore; così grande da poter sopportare tutto: suocere aride ed egoiste, parenti indifferenti, fratelli distanti, sogni irriverenti.Oroscopi e bugie.

La sfida più grande resta la vita. Il quotidiano che ha un senso finché ragione c'è. Poi si comincia a fuggire, senza scrollarsi mai di dosso la felicità fatta di nulla che era lì, raccolta tra quattro mura e forse per questo, invisibile.
La scrittura di Valentina è ironica, luminosa. Ci racconta l'amore con brio a volte inceppandosi in un respiro che respiriamo. Attraverso notti interminabili perse dietro occhi da lasciare aperti perché vedano tutto quello che c'è per non perdersene nemmeno un secondo.
Tra canzoni e tavoli da cucina. Tra perdite e ricongiungimenti. Tra lacrime e rabbia. Tra libri presi uno alla volta e buttati via e altri riconquistati, pagina dopo pagina. 
Un inno all'amore, alla vita e alla letteratura. 
Che sono eterni, molto più di noi.




La strada del ritorno è sempre più corta
Valentina Farinaccio
Editore Mondadori
pagine 216
Euro 18,00


18 gennaio 2016

I LIBRI DEL MESE: GENNAIO.




Lella Costa: CHE BELLO ESSERE NOI.







Autore: Lella Costa
Titolo: Che Bello Essere Noi.
Edizioni: Piemme
Pagine: 148
Prezzo: 14  euro




E' questo il privilegio, questa la magia: riconoscere le occasioni d'incontro e non lasciarsele scappare. Noi ragazze, in genere siamo piuttosto brave.                                                                           




Questo libro mi è stato regalato a Natale da una cara amica. Abbiamo sempre una serata in cui ci riuniamo per farci gli auguri prima che il vento degli impegni familiari ci disperda per un po'. Un'abitudine che ci rende più unite che mai. E' stato bello celebrarla con  pensieri speciali che si tramutano in doni speciali. Un libro che già accarezzavo prima ancora di leggerlo.Mi era bastato il titolo, preso da una frase dello scrittore Christopher Hitchens. L'autrice descrive in piena bellezza l'universo femminile. Dal primo incontro con l'amica che finirà per essere ben presto l'altra metà di noi e  che non sempre inizia  con il piede giusto. Vi sarà capitato no? Dalle empatie ai sentimenti ed emozioni. Dalle scelte simili e non, concezioni di vista analoghe, punti di vista coincidenti. Dai nostri millemila difetti. Dalle antipatie viscerali, dalla schiettezza. Dal fare gruppo o meno.Siamo donne. Fatte per incontrarci e non lasciarci più oppure per camminare su binari paralleli senza rischiare l'incontro. Ma testarde, oneste e sincere fino allo spasimo. Lella Costa affronta il mondo femminile con l'ironia che la contraddistingue. A volte leggendo, mi sono trovata d'accordo con lei, altre meno. Ho riso di ciò che la disturba perchè mi è sembrato paradossale, ma alla fine ho riconosciuto che anche io sono disturbata da cose inutili e al limite dell'ilarità. Insomma un ritratto intelligente e mai banale di noi "piccole donne" in guerra. Ma orgogliose di esserlo. Nei confronti di una società che mai ci ha regalato nulla e continua a distillare dell'inutile pragmatismo nei nostri confronti. Da leggere e regalare a chi ha il cuore vicino al nostro.

"Io non so come funzioni tra i maschi. Tra femmine succede che spesso ci si incontri e si saltino tutti i preliminari progressivi di una relazione, e ci si ritrovi istintivamente e immediatamente amiche. Come se tutte le vite vissute prima, diversamente e separatamente, costituissero una sorta di alfabeto comune, fatto non solo di sentimenti ed emozioni ma anche di scelte simili, concezioni di vita analoghe, punti di vista coincidenti. Come se - beate noi - ci fosse ripetutamente concessa la possibilità di rivivere la meravigliosa sensazione di avere incontrato una persona nuova e speciale."



 Maurizio De Giovanni: VIPERA.




Autore: Maurizio De Giovanni
Titolo: Vipera
Edizioni: Einaudi Stile Libero BIG
Pagine: 291
Prezzo: 12  euro





E dimmi: tu lo sai cos'è l'amore?
Io l'ho visto sai l'amore. L'ho conosciuto, l'ho incontrato. E' fatto di dolore e di malinconia, di ansia e di ritorni. Non si consuma in un attimo. L'amore è fatto di aria fresca e fiori, di lacrime e risate.




Il commissiario Ricciardi e il suo autore Maurizio De Giovanni sono stati una bella novità. Consigliati in maniera calorosa da un'amica di blog;  io non potevo sottrarmi ad un invito così piacevole e allora mi sono avvicinata. Mi si è aperto dinnanzi un mondo forte, pieno di odori, sapori e colori che conosco molto bene. Il tutto calibrato da una scrittura versatile, generosa e poetica. Calarsi in un giallo o meglio un bel noir anni '30 come Vipera, poteva essere non proprio facile per me che amo poco il genere. Invece il giallo non mangia il romanzo e lo lascia scorrere fungendo da semplice filo conduttore; facendoci addentrare in quel mondo. Un periodo storico ben preciso e complicato come era vivere in in epoca fascista e nonostante questo, aperto e limpido come solo le belle giornate di sole in quel di Napoli sanno regalare. I personaggi sono semplici e schietti tratteggiati benissimo tanto da diventarci familiari. In equilibrio perfetto fino alla fine. E poi il protagonista, con quell'aura misteriosa che ci incuriosisce al punto giusto. Sarebbe senza dubbio un bel personaggio televisivo , ho pensato. Nei suoi panni ci vedrei bene uno come Filippo Timi, ad esempio. (vabbè la mia è una passione smodata lasciamo stare).

Il primo libro mi è piaciuto e continuerò a leggere anche i successivi. Ultimamente l'autore ha mandato in pensione il commissario Ricciardi creando l'ispettore Giuseppe Lojacono e adattando i suoi romanzi a tempi più moderni. Vedremo se anche il contemporaneo saprà conquistarmi. Non so, conoscendo il mio mood retrò...

"E infine tu. Tu che hai ucciso. Tu che sei tra questi o sei altro ancora, tu che hai aspettato che non ci fosse più respiro sotto il cuscino, che il corpo che era stato caldo si raffreddasse, che il sangue smettesse di percorrere le sue vie. Tu, che cosa chiedi alla notte di primavera? Forse cancelli l'ombra di rimorso. Che ti dia ragione,  quando hai pensato che non ci sarebbe stata speranza, né pace, con lei. E che ti convinca che senza di lei sarà impossibile vivere, che non hai sbagliato, che tutto andrà a posto. Che non è stata vendetta, che non è stata rabbia. Non disperazione, ma speranza."




Gabriel Garcia Marquez: OCCHI DI CANE AZZURRO

Autore: Gabriel Garcia Marquez
Titolo: Occhi di Cane Azzurro
Traduzione: Angelo Morino
Edizioni: Oscar Mondadori
Pagine: 126
Prezzo: 8  euro







Ma sarà ormai così rassegnato a morire, che forse morirà di rassegnazione.





E' difficile parlare di Gabo, della sua passione per la scrittura, per il mistero e il fantastico, per la morte necessaria alla vita che si rincorrono in ogni suo romanzo. E' difficile per chi lo ama come me e non si è ancora rassegnato alla sua, di morte. Mi capita per esorcizzare la malinconia, di rileggere le sue opere. Da quelle potenti e famose a quelle iniziali, più deboli ma che a cercare con attenzione avevano dentro molti degli elementi che lo avrebbero reso il grande scrittore che sarebbe diventato. Era un giovane studente di circa vent'anni quando per la prima volta gli pubblicarono un racconto: "La terza rassegnazione". Così povero da non possedere nemmeno i cinque centesimi necessari per comprare il giornale. Dovette farseli prestare.  Era caparbio e indolente e sapeva benissimo che con gli studi non avrebbe mai concluso nulla. Ma scrivere gli era necessario come vivere.
I racconti giovanili scritti tra il 1947 e il 1955   furono raccolti e pubblicati nel 1972 e tradotti poi in Italia nel 1983 da Mondadori. 
Tra i tanti vi segnalo "Monologo di Isabel mentre vede piovere su Macondo".
Datato 1955. La prima volta che parla della città magica, origine di tutto, che lo porterà lontano. Dove nemmeno lui avrebbe forse osato immaginare di andare.


"Piovve per tutto il lunedì, come la domenica. Ma era come se stesse piovendo in un altro modo, perché qualcosa di diverso e di amaro accadeva nel mio cuore. All'imbrunire una voce accanto alla mia seggiola disse: "è noiosa questa pioggia". Senza che mi girassi a guardare, riconobbi la voce di Martin. Sapevo che stava parlando alla seggiola accanto, con la stessa espressione fredda e attonita che non era mutata neppure dopo quella buia alba di dicembre in cui aveva cominciato ad essere mio marito. Erano trascorsi cinque mesi da allora. Adesso io stavo per avere un bambino. E Martin era lì accanto a me, a dire che la pioggia lo annoiava. "noiosa no" dissi. "quello che mi sembra troppo triste  è il giardino vuoto e quei poveri alberi che non possono allontanarsi dal cortile". Allora mi voltai a guardarlo e Martin non era più lì. Era appena una voce che mi diceva "naturalmente non finirà mai" e quando guardai verso la voce vidi solo la seggiola vuota."