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| Luciano Bianciardi (immagine presa dal web) |
La prima volta che lessi il romanzo del grossetano Bianciardi, avevo sedici anni. Ero nella fase di ingurgitamento totale. Indipendentemente dai miei gusti (non ancora ben definiti a dire il vero) divoravo qualsiasi testo mi si presentasse davanti. E mi incuriosisse. Che fosse letteratura, storia, filosofia, arte, demagogia e chi più ne ha più ne metta.
A casa, grazie ai libri di papà e zii, avevo ampia scelta.
Ma io preferivo la biblioteca di zio Alberto.
Lui, è il mio mito. Esattamente come il suo rifugio. Una stanza avvolta nella quiete della meditazione. Centinaia, anzi, migliaia di libri che la circondavano come un abbraccio potente, forte.
La sua scrivania al centro. Con le sue tavole umoristiche sparse in ogniddove; quelle che poi inviava alla Settimana Enigmistica.
I suoi scritti. I suoi racconti.
E la sua stanza mai chiusa a chiave, esercitava su di me un potere magico a cui non riuscivo a sottrarmi.
Lui sempre lì… mi accoglie con il sorriso, l'intelligenza e la sua ironia. Impagabili.
Solo la biblioteca mi sembra più piccola. Come è naturale, si sa. I nostri ricordi con il tempo raggiungono delle dimensioni irreali. Forse per questo restano più amati.
Mi ci rifugiavo spesso da ragazzina. Odiavo la calma pomeridiana che prendeva la famiglia dopo il pranzo della festa. E allora mi ci nascondevo. Cercavo un titolo o una copertina che accendesse il mio interesse. Ho anche scoperto, uno dei miei libri preferiti, proprio lì. Harper Lee e il suo Buio oltre la siepe.
Quella volta, un libro con in copertina una bomba con la miccia accesa, catturò la mia attenzione.
Un libro del genere "potente" tra i libri dello zio. Folle vero. La tentazione era impossibile da far tacere. Ma di cosa diavolo poteva parlare? Aperto e letto in pochissimo tempo. Quasi divorandolo.
Mi rimase impressa la rabbia del protagonista. E la visione di una Milano fredda, superficiale, tesa solo al guadagno e allo sviluppo economico. La denuncia dura di "valori" che in realtà non erano e sono niente. La gente poteva morire per strada senza che alcuno si fermasse a soccorrerla. E poi l'amarezza del protagonista, la durezza della sua vita. Il suo sguardo critico nei confronti di chi lo circondava, schiavo della ricerca forsennata del "benessere" ancora oggi così attuale. ANZI. La buca in cui siamo finiti è stata scavata proprio in quei giorni.
Troppe domande non trovarono risposta.
Sono passati tantissimi anni. Parlando poco tempo fa con un amico, venne fuori quanto questo libro era stato importante per lui e quanto ancora oggi, resta uno di quei libri che gli hanno insegnato a vivere.
Ed io mi dissi che era il momento di rileggerlo. Per comprendere meglio e per trovare le risposte alle domande di allora.
Perché lo scrittore, dopo avere raggiunto il massimo della popolarità grazie al suo romanzo, quasi vergognandosene vi rinunciò, preferendo tornare nell'oblio?
Perché un racconto molto autobiografico narrante di un solo inverno, quello del 61'-62', diventa un trattato sociale di così potente intensità?
Perché mi sono persa nuovamente, nei suoi lunghi paragrafi quasi senza punteggiatura, senza avere alcuna voglia di riprendere fiato?
Perché essere anarchico ti condanna sempre agli occhi degli altri?
Perché tutta quella rabbia?
Quest'uomo (lo Scrittore Bianciardi) a mio parere aveva capito già tutto fin da allora. Aveva guardato lontano e quello che aveva veduto non gli era piaciuto affatto.
E il suo libro rimane una pietra miliare per chi odia il conformismo. Per chi rigetta anche solo l'idea di essere come tutti gli altri.
"Lo so, direte che questa è la storia di una nevrosi. La cartella clinica di un'ostrica malata che però non riesce nemmeno a fabbricare la perla. Direte che se finora non mi hanno mangiato le formiche, di che mi lagno, perché vado chiacchierando?
E' vero, e di mio ci aggiungo che questa è a dire parecchio, una storia mediana e mediocre, che tutto sommato io non me la passo peggio di tanti altri che gonfiano e stanno zitti. Eppure proprio perché mediocre e a me sembra che valga la pena di raccontarla. Proprio perché questa storia è intessuta di sentimenti e di fatti già inquadrati dagli studiosi, dagli storici sociologi economisti, entro un fenomeno individuato preciso ed etichettato. Cioè il miracolo italiano."
Le risposte sono arrivate.
E questo è un GRANDE romanzo.
Già, l'ho pure riletto due volte. Una dietro l'altra.
E lo stesso Bianciardi mi ha aiutato a comprendere meglio.
Parecchio meglio.
Secondo me la canzone di Ligabue è perfetta a completamento del post, per cui l'ho aggiunta. Come sempre, fatevene una ragione.