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mercoledì 2 luglio 2025

Elio (2025)

Benché poco pubblicizzato, la settimana scorsa sono andata a vedere Elio, diretto e co-sceneggiato dai registi Adrian Molina, Domee Shi Madeline Sharafian.


Trama: Elio Solis è un bimbo che, dopo la morte dei genitori, è stato affidato alla zia. Sentendosi solo in un mondo che gli va troppo stretto, Elio sogna di venire rapito dagli alieni, e un giorno questi rispondono al suo appello...


Sapete che non mi perdo un film della Pixar, nemmeno quando orde di bonobi urlanti su internet gioiscono del suo insuccesso senza neppure averlo visto. Elio, che ha avuto la sventura di uscire subito dopo il fortunato live action di Lilo e Stitch e poco prima dell'imminente Fantastici 4, è stato trattato dalla Disney come un lavoretto en passant, da pubblicizzare poco (strano non l 'abbiano inserito subito nel catalogo Disney +!), e ha ovviamente risentito di queste miopi scelte di marketing. Probabilmente, ha anche sofferto i ritardi dovuti al lungo sciopero SAG/AFTRA del 2023, che ha permesso allo studio di rimaneggiare completamente un'opera che avrebbe dovuto essere realizzata essenzialmente dal regista e sceneggiatore Adrian Molina, partendo da sue esperienze autobiografiche, e che poi è stata rivista in un'ottica più "universale" e affidata a Domee Shi a Madeline Sharafian quando Molina è stato chiamato a co-dirigere il seguito del suo fortunatissimo lungometraggio Coco. Insomma, Elio è un film nato disgraziato in partenza, eppure basterebbe dargli una chance per capire che è un'opera dolcissima e fantasiosa, benché non al livello dei capolavori Pixar. Elio racconta, appunto, la storia di Elio Solis, un bambino rimasto orfano che vorrebbe venire rapito dagli alieni e portato su altri mondi. Il perché, è comprensibile. Ad Elio non è rimasto nulla sulla Terra; non ha genitori, non ha amici, la zia gli vuole bene ma non sa come gestirlo e, per crescerlo, ha rinunciato alla sua carriera di astronauta, il che fa sentire il ragazzino ancora più solo e in colpa. Il desiderio di Elio è così forte e doloroso che gli impedisce di accettare o apprezzare ciò che lo circonda, e il protagonista non si rende conto di essere lui stesso a rendersi la vita ancora più insopportabile e difficile di quanto non sarebbe normalmente. Nonostante tutto, un giorno i sogni di Elio diventano realtà: gli alieni lo scambiano per il leader della Terra e lo rapiscono per portarlo su un mondo da sogno, dove tutti gli sono amici e lo reputano importante. Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica. Elio capirà presto che solitudine ed incomprensioni sono all'ordine del giorno anche nello spazio e che è solo aprendosi realmente agli altri, con tutti i nostri pregi e difetti, dando fiducia a chi ci vuole bene, che la nostra vita può migliorare pian piano, anche se non è proprio quella che sognavamo. Il messaggio di Elio è chiaro, così come sua la natura di racconto di formazione. A quello di Elio si affianca, infatti, anche il percorso dell'adorabile Glordon, bioccoletto ciccioso che non riesce a comunicare con l'iracondo padre e che vorrebbe sottrarsi a un futuro da tiranno e guerriero che non gli si confà; anche in questo caso, si sottolinea l'importanza della fiducia e del dialogo, che ci porta a considerare nemico chi, in realtà, è goffo ed insicuro quanto noi. In soldoni, spesso l'etichetta di "diverso", di "strano", in accezione negativa, siamo noi stessi ad appiccicarcela addosso, e gli altri si comportano di conseguenza, rendendo ancora più difficile staccarla.


Mettendo un attimo da parte i messaggi profondi, Elio funziona per la verosimiglianza con cui viene ritratto il protagonista, un bambino zeppo di fantasia e iperattivo, la cui "stupidità" ricorda molti dei giochi e dei voli pindarici che facevamo da bambini. La fervida fantasia del protagonista viene rispecchiata dalla varietà incredibile degli alieni che popolano il Comuniverso; la cifra stilistica di Elio è un mix di elementi naturali (presi da creature marine, insetti o invertebrati), design pop al limite del "giocattoloso" e aspetti onirici, quasi psichedelici, che si traducono in un caleidoscopio di colori ammorbidito da una fotografia che definirei quasi "acquatica". La qualità prevalentemente variopinta e dinamica di Elio cozza in maniera assai efficace con l'ambientazione fatta di rossi e neri che definisce tutto ciò che è legato a Grigon e ai suoi scagnozzi, e con sequenze ambientate sulla Terra che farebbero la felicità di ogni appassionato di cinema di fantascienza. Come già accadeva in Toy Story 4, infatti, i realizzatori di Elio si dimostrano fini conoscitori delle dinamiche inquietanti tipiche del genere, specialmente quando contaminato con l'horror, e inseriscono efficacissimi rimandi a La cosa, L'invasione degli ultracorpi, persino Terminator e Venerdì 13 (e chissà quanti altri film che non ho colto) e, onestamente, se non avessi saputo di stare guardando un cartone Pixar, a un certo punto me la sarei fatta abbastanza sotto. Piccole strizzate d'occhio agli adulti, che non snaturano un film pensato essenzialmente per bambini, che tratta con garbo ma senza fare troppi sconti temi difficili come la morte, il bullismo, la natura distaccata di alcuni genitori. Tra le melodie di Rob Simonsen, il musetto triste di Elio, l'espressivissimo Glordon (gli mancano gli occhi, ma vi sfido a non provare pena quando scoppia a piangere disperato) e lo sguardo finale che Olga riserva al nipote, ammetto di essermi sciolta in lacrime e, anche se l'intento del film era diametralmente opposto, ho sperato, per un istante, che qualcuno lassù arrivasse a prendermi per farmi vivere un'avventura galattica, proprio io che non sopporto la fantascienza. Però che bello, per una volta, sognare di visitare mondi lontani, così zeppi di colori e di allucinanti, utilissime tecnologie!


Dei co-registi e co-sceneggiatori Adrian MolinaDomee Shi ho parlato ai rispettivi link. Zoe Saldaña (voce originale di Olga Solís) la trovate invece QUA.

Madeline Sharafian è la co-regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, è al suo primo lungometraggio. Anche animatrice, storyboarder e produttrice, ha 32 anni. 


Se Elio vi fosse piaciuto, recuperate Red, Over the Moon - Il fantastico mondo di Lunaria, Lilo & Stitch e Luca. ENJOY!

venerdì 28 febbraio 2025

Il robot selvaggio (2024)

Ai tempi dell'uscita ne avevano parlato tutti benissimo. In occasione delle tre candidature (Miglior cartone animato, Miglior colonna sonora originale, Miglior sonoro), ho dunque recuperato Il robot selvaggio (The Wild Robot), diretto e co-sceneggiato nel 2024 dal regista Chris Sanders.


Trama: Un robot di ultima generazione viene abbandonato su un'isola popolata di animali. La programmazione del robot si troverà a dover interagire con imprevisti ed emozioni...


Come ho potuto perdermi questo trionfo al cinema? E' la domanda che mi sono fatta tra le lacrime di commozione alla fine de Il robot selvaggio, uno dei lungometraggi animati più provanti, a livello emotivo, tra quelli visti negli ultimi anni. Purtroppo, se non ricordo male, a tenermi lontana dalla sala è tata una terribile concomitanza di influenze e orari a misura bambino (come se il genere fosse adatto solo ai più piccoli...), ma poco male; certo, mi dispiace non aver goduto sul grande schermo delle splendide immagini de Il robot selvaggio, ma un bel film rimane bello anche visto in piccolo. E Il robot selvaggio è davvero bellissimo. La trama parte dalla perdita di un carico di robot su un isola deserta; il modello ROZZUM, in particolare, è stato progettato per servire gli umani facendosi carico, ogni volta, di compiti diversi da svolgere al meglio. Una direttiva semplice, quella di ROZZUM, ma ardua da mettere in pratica quando non ci sono umani nei dintorni e gli unici esseri viventi sono degli animali, ignoranti di fronte alla tecnologia e per nulla disposti a farsi "migliorare" la vita. Istinti atavici e naturali inimicizie si scontrano con la fredda logica, almeno finché l'unità robotica non si ritrova a darsi degli obiettivi per far sopravvivere un pulcino di oca, diventato orfano proprio per causa sua. Se non avete ancora avuto modo di guardare Il robot selvaggio non starei a fare altre anticipazioni sulla trama. Vi dico solo che la storia di ROZZUM, rinominata Roz, è una profonda, splendida storia di amore ed amicizia, in tutte le sue forme. Il messaggio del film non si lega "solo" ad un invito alla tolleranza e alla comprensione, ma all'impegnarsi affinché chi amiamo possa trovare un posto dove i suoi talenti possano venire sviluppati al meglio, anche a costo di fare un passo indietro e offrire il più grande dei doni, la libertà. Ne Il robot selvaggio i personaggi si lasciano alle spalle preconcetti legati a loro stessi e agli altri, e riescono a fare quel passo in più per uscire da un microcosmo fatto di paura e limitazioni, affiancando ad idee "favolistiche" (come quella di animali di specie diverse che imparano a convivere per non rendere vano lo sforzo di un "mostro") immagini molto adulte e reali di morte (lunga vita agli opossum e al loro concetto di maternità!), tristezza e dolore, con un happy ending che non è scontatissimo, benché contenga il sapore della speranza. 


Chris Sanders
, partendo dal libro illustrato di Peter Brown, prende il meglio dai capolavori che lo hanno elevato tra i maestri dell'animazione odierna, e confeziona un'altra poetica storia dove i personaggi fanno della diversità la loro forza. Benché non abbia nessuna caratteristica umana o animale, il robot Roz è incredibilmente espressivo, dotato di una gamma emotiva interamente rappresentata da luci, colori, movimenti ed inquadrature ad hoc, e il bestiario che gravita attorno alla protagonista ha un sembiante contemporaneamente realistico e molto accattivante, soprattutto la volpe Fink (adoro le volpi animate fin da quando ero bambina e questa, a mio parere, è una delle migliori viste su schermo). La cosa incredibile de Il robot selvaggio, nonché quella che più mi ha fatta pentire di non averlo visto l cinema, è il modo in cui riescono a fondersi, rispecchiando alla perfezione in senso della trama, la tecnologia 3D di animazione dei personaggi e e una tecnica di colorazione ed illuminazione dotata delle stesse caratteristiche della pittura a mano libera. I fondali e le scene ambientate nella foresta sono dotati di una ricchezza e una profondità unici, ed è interessante vedere come i colori e la texture di Roz cambino mano a mano che la programmazione viene meno e subentra l'istinto che rende il robot, per l'appunto, selvaggio e sempre più integrato ed accettato dalla natura che lo circonda. Il risultato sono scene di pura perfezione, quasi dei quadri in movimento, che toccano l'apice nella splendida sequenza delle farfalle, o quella della migrazione delle oche, ma per quanto mi riguarda ogni fotogramma del film è un piccolo capolavoro. Importantissima anche la colonna sonora di Kris Bowers, epica e commovente, e il parterre di splendide voci che danno vita ai singoli personaggi, riconfermando (come se ancora servisse) Lupita Nyong'o come una delle attrici migliori in circolazione, talmente brava da infondere una profondissima umanità a Roz, pur mantenendo intatte le sue caratteristiche di "freddo" robot. Non ho ancora guardato Flow, e sapete quanto sia parziale verso i gatti, quindi non sono sicura che non lo preferirei a Il robot selvaggio; a prescindere, il film di Sanders è comunque un capolavoro che merita più di una visione, coi bambini ma anche da soli, così c'è meno vergogna a piangere senza ritegno!!


Del regista e co-sceneggiatore Chris Sanders ho già parlato QUI. Lupita Nyong'o (Roz / Rummage), Pedro Pascal (Fink), Kit Connor (Beccolustro), Bill Nighy (Collolungo), Ving Rhames (Fulmine), Mark Hamill (Spina) e Catherine O'Hara (Codarosa) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Il robot selvaggio vi fosse piaciuto recuperate Il gigante di ferro, Lilo & Stitch e Wall.E. ENJOY!

mercoledì 26 febbraio 2025

Wallace e Gromit: Le piume della vendetta (2024)

Tra gli Oscar per il miglior lungometraggio animato non poteva mancare Wallace e Gromit: Le piume della vendetta (Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl), diretto nel 2024 dai registi Nick Park (anche co-sceneggiatore) e Merlin Crossingham.


Trama: in un impeto di pigrizia inventiva, Wallace crea uno gnomo tuttofare per aiutare Gromit in giardino. Ma un vecchio nemico trama per impadronirsi di questa nuova tecnologia e vendicarsi...


Correva l'anno 1999 e, durante la programmazione di Natale, Italia 1 mandò in onda il corto I pantaloni sbagliati, il mio primo incontro con la premiata ditta Wallace e Gromit. Nonostante fosse un cortometraggio assai ironico, quello che ricordo ancora oggi de I pantaloni sbagliati è la terrificante atmosfera thriller che si respirava per tutta la sua breve durata, grazie a un personaggio che sembrava uscito dritto da un episodio di Leone cane fifone, ovvero il muto, inquietantissimo pinguino Feathers McGraw. E' passato un quarto di secolo dall'esordio del criminale pennuto (in Italia. In realtà, il film è stato fatto uscire per celebrare i trentacinque anni de I pantaloni sbagliati), ma il personaggio dev'essere rimasto nel cuore dei fan e di Nick Park, perché eccolo tornare ad esigere vendetta nel secondo lungometraggio dedicato a Wallace e Gromit, distribuito direttamente da Netflix. Loro, al cinema, li avevamo lasciati alle prese con i conigli mannari, nell'altrettanto lontano 2005 e, nel frattempo, la storica pigrizia di Wallace è aumentata, al punto da aver creato persino una macchina per dispensare carezze al povero Gromit. Il punto di non ritorno di questa dipendenza totale dalla tecnologia, triste specchio della nostra società odierna, è l'invenzione di un nano da giardino in grado di sbrigare qualsiasi lavoro, Norbot. Nonostante le buone intenzioni di Wallace, Norbot sconvolge la vita "analogica" di Gromit, povero cane che, almeno in giardino, vorrebbe rilassarsi e tornare ad avere contatti naturali, se non umani. Ancor peggio, come accade nei migliori film di fantascienza, la tecnologia può venire facilmente corrotta dalle mani di un genio votato al male, ed è ciò che accade quando Feathers McGraw, condannato all'ergastolo all'interno di uno zoo, decide di sfruttare Norbot per vendicarsi, finalmente, di chi lo ha mandato al fresco. Non vi spoilero gli sviluppi di questo interessante canovaccio ma, se siete un minimo abituati alle avventure del dinamico duo, sapete già cosa vi aspetta: un'ora e mezza di goffaggine umana, astuzia canina, pericoli, azione e tanto, tantissimo umorismo inglese, con l'unico grande difetto di una durata brevissima a fronte di un'attesa ventennale. Purtroppo, queste sono le gioie e i dolori dell'adorata stopmotion.


Come sempre accade davanti a questo tipo di opere, durante la visione di Wallace e Gromit: Le piume della vendetta non si può fare altro che ammirare in silenzio la perfezione certosina di una tecnica che costringe gli animatori a lavorare un giorno intero per ottenere qualche secondo di metraggio, e che, nonostante ciò, dà l'illusione che i personaggi sullo schermo godano di vita propria. Di più, i lungometraggi di Wallace e Gromit trasudano inside joke e dettagli esilaranti che non vengono affidati ai dialoghi, ma sono lì sullo sfondo, nelle scenografie, pronti ad essere colti da occhi attenti e meravigliati. Vero è che, stavolta, si è preferito evitare le scene troppo affollate e i realizzatori hanno preferito concentrarsi sul design di pochi personaggi (facendosi aiutare da stampanti 3D per un aspetto della trama legato a Norbot), ma, considerato che Wallace e Gromit: Le piume della vendetta avrebbe dovuto essere un corto, e che l'azienda produttrice della plastilina utilizzata ha chiuso due anni fa, una grandeur minore rispetto a La maledizione del coniglio mannaro è comunque grasso che cola. Fantastica anche la regia, ovviamente. Le atmosfere horror che tanto mi avevano elettrizzata ai tempi de I pantaloni sbagliati non sono venute meno (Norbot a un certo punto sembra la scimmia di King, e la suora sembra uscita dritta da l'Esorcista III), ma i cinefili, come sempre, hanno di che gioire. Tra Scorsese e il suo Cape Fear, Terminator, James Bond e Batman Returns, le citazioni cinematografiche si sprecano, arrivando a toccare non solo aspetti macroscopici come l'iconografia dei titoli citati, ma riproponendo persino il taglio delle inquadrature, la colonna sonora e l'illuminazione. Come facciano Nick Park e soci, al ritmo di un minuto di girato alla settimana, a tenere uniti tutti gli elementi che fanno di questi film dei capolavori, devo ancora capirlo; ma la cosa importante è che non smettano mai di regalare al mondo gioiellini come Wallace e Gromit: Le piume della vendetta!


Del co-regista e co-sceneggiatore Nick Park ho già parlato QUI

Merlin Crossingham è il co-regista della pellicola. Inglese, è al suo primo lungometraggio. E' anche doppiatore, animatore e sceneggiatore. 


Se Wallace e Gromit: Le piume della vendetta vi fosse piaciuto, recuperate innanzitutto il corto I pantaloni sbagliati, anzi, guardatelo prima del film. Proseguite poi con Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro e coi corti Una fantastica gita, Una tosatura perfetta e Questione di pane o di morte, assieme a Shaun, vita da pecora - Il film e Shaun, vita da pecora: Farmageddon - Il film. ENJOY!

martedì 25 febbraio 2025

Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro (2005)

Con l'uscita su Netflix e la nomination ai Golden Globes del nuovo film dedicato a Wallace e Gromit, ho riguardato assieme al Bolluomo Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro (Wallace & Gromit: Curse of the Were-Rabbit), diretto e sceneggiato dai registi Nick Park e Steve Box nel 2005.


Trama: Wallace e Gromit, proprietari di una ditta di disinfestazione caritatevole, si ritrovano per le mani un'enorme gatta da pelare, quando un coniglio mostruoso minaccia di far razzia della verdura di tutti i cittadini, alla vigilia del Concorso di Verdura Gigante...


Sono già passati 20 anni dalla visione al cinema di Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro. 20 anni durante i quali, benché mi fiondi sempre sui cartoni animati in stop motion, non ricordo di avere mai rivisto i due personaggi in qualche corto o film, anche se di opere a loro dedicate ne sono uscite. Avevo quindi paura di conservare un ricordo positivo alterato dal tempo, come spesso succede, ed ero un po' restia a rivedere col Bolluomo quella che, ai suoi occhi, avrebbe potuto essere una cretinata per bambini. Ovviamente, e per fortuna, mi sbagliavo. Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro riprende le due fortunate creature di Nick Park, l'inventore mangiaformaggio Wallace e il cane Gromit, inserendole all'interno di un lungometraggio che mantiene i toni scanzonati ma anche le atmosfere sottilmente inquietanti dei corti che lo hanno preceduto, soprattutto quelle de I pantaloni sbagliati. Le rispettive personalità dei protagonisti si inseriscono alla perfezione all'interno di una storia che più horror non si può, il trionfo dei cliché del genere, con un mostro vegetariano pronto a sconvolgere una cittadina di agricoltori, dove l'onore più grande è quello di vincere il Concorso di Verdura Gigante. Wallace, pigro e fessacchiotto ma fondamentalmente buono, è la fucina continua di idee che genera le invenzioni più strampalate, fantastiche sulla carta e dannose all'atto pratico, mentre il povero Wallace è la muta voce della ragione, spesso ignorata in quanto proveniente dall'eloquente sguardo di un cane. Combinati all'elemento horror, e all'aggiunta di un parterre di personaggi spassosissimi (Quatermaine e Lady Tottington sono due esilaranti estremizzazioni di tipici comprimari horror e senza di loro il film non funzionerebbe, ma il mio cuore è volato al prete e all'isteria con la quale si ritrova a gestire la crisi mannara), tutti questi elementi danno vita a un film perfetto per bambini e adulti, un'avventura piena di ritmo che non offre il fianco nemmeno a un istante di noia, condita da un pizzico di umorismo british che da il meglio goduto nella versione in lingua originale. 


Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, si rasenta la perfezione. Nick Park già all'epoca aveva fatto ricorso alla CGI (in primis per il "volo" dei conigli ma anche nel corso del finale, modificato perché il regista non era soddisfatto del primo risultato), ma il suo è un utilizzo intelligente, atto a far risparmiare agli animatori settimane di modifiche al posizionamento dei pupazzi, e, soprattutto, è un utilizzo mai invasivo né percettibile, perché il cuore del film è la stop-motion. Pensare al miracolo di una tecnica simile, all'incessante, certosino lavoro che c'è dietro, vedere che non esistono sbavature nei movimenti dei personaggi e nelle sequenze più concitate od affollate, mi lascia sempre a bocca aperta per l'ammirazione. La presenza dei segni delle impronte digitali sul muso di Gromit, nei primi piani, per me non è un difetto, ma l'importantissima testimonianza del lavoro manuale degli animatori, della natura artigianale di quella che può essere ben definita un'opera d'arte; sempre parlando di Gromit, è incredibile il modo in cui i realizzatori siano riusciti a renderlo espressivo, a convogliare la mancanza di dialoghi in un linguaggio corporeo assolutamente comprensibile. Ammirevole, ovviamente, anche il character design. Tolto che i coniglietti, con quel loro "weee", sono il trionfo della pucciosità, sfido chiunque a non voler infilare le mani nelle cicce pelosissime del coniglio mannaro; passando, poi, agli esseri umani, tutti gli abitanti del paesino hanno peculiarità distintive e il guardaroba di Lady Tottington, sempre in tema con qualche verdura, è da antologia. Fossi in voi, quindi, approfitterei dell'uscita di Le piume della vendetta per recuperare questo gioiello animato, se non lo avete mai visto, o per riguardarlo e immergervi in un'opera che non ha perso smalto nemmeno dopo 20 anni!

 


Di Ralph Fiennes (voce originale di Victor Quartermaine), Helena Bonham Carter (Lady Campanula Tottington) e Mark Gatiss (Miss Blight) ho già parlato ai rispettivi link.

Nick Park è il co-regista e co-sceneggiatore del film, nonché creatore dei personaggi Wallace e Gromit, dei quali ha diretto ogni corto (gli episodi delle serie TV sono invece stati affidati ad altri registi). Ha diretto anche i film Galline in fuga e I primitivi. Anche produttore, animatore e attore, ha 67 anni. 


Steve Box
è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, era al suo primo e, finora, unico lungometraggio. Anche animatore e produttore, ha 58 anni.


Se Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro vi fosse piaciuto, recuperate ovviamente tutti i corti dedicati al dinamico duo: Una fantastica gita, I pantaloni sbagliati, Una tosatura perfetta e Questione di pane o di morte. Aggiungerei anche Shaun, vita da pecora - Il film e Shaun, vita da pecora: Farmageddon - Il film. ENJOY!

venerdì 8 settembre 2023

Tartarughe Ninja - Caos mutante (2023)

Nei panni di zia vecchia/Ornella Vanoni, in settimana sono andata a vedere Tartarughe Ninja - Caos mutante (Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutant Mayhem), diretto e co-sceneggiato dai registi Jeff Rowe e Kyler Spears.


Trama: quattro tartarughe mutanti tentano di trovare il loro posto nel mondo cercando di sconfiggere un altro mutante deciso ad annientare l'umanità.


Tanto è l'amore che provo per Seth Rogen che, appena saputo del suo coinvolgimento in Tartarughe Ninja - Caos mutante, ho subito inserito il film in wishlist e, vergognandomi un po' di andare in sala da sola, ho chiesto al mio fido compare di visioni horror di prestarmi il figlio maschio. Così, aggiuntosi al gruppo anche l'amico fraterno del giovane "delfino", mi sono goduta lo spettacolo sentendomi un po' come la paziente di un ospizio accompagnata da BEN due badanti e sono tornata mentalmente bambina, quando non vedevo l'ora che iniziasse l'episodio quotidiano di Tartarughe Ninja alla riscossa, uno dei miei cartoni preferiti. A onor del vero, mi sentivo anche un po' in ansia per l'eventualità che ai miei due giovani accompagnatori il film non piacesse, ma il mio timore si è rivelato infondato: Tartarughe Ninja - Caos mutante è stato gradito da entrambi, sia per la storia che per le animazioni particolari, e l'amico fan delle Turtles ha apprezzato l'originalità dei cambiamenti apportati alla origin story del quartetto di tartarughe e del loro papà/sensei Splinter (sui quali non farò spoiler). La marea di sceneggiatori coinvolti nel progetto ha scelto una via piuttosto "universale" di ripresentare personaggi assai popolari, preferendo enfatizzarne non tanto le caratteristiche di abili guerrieri ninja, quanto piuttosto la loro volontà di integrarsi ed essere accettati, seguendo un canovaccio à la X-Men, che coniuga il desiderio di una vita normale al terrore di un'umanità pronta ad odiare il diverso da sé. Il fatto che le Turtles siano anche state introdotte alle arti marziali è un di più che consente al discorso di ampliarsi e concretizzarsi nella presenza di un nemico potente da combattere, con tutto il bestiario di assurdi mutanti che hanno fatto la fortuna della serie, ma ciò che ho trovato interessante è stata proprio la rappresentazione fanciullesca dei protagonisti. Leonardo, Michelangelo, Donatello e Raffaello, ognuno dotato di una spiccata e adorabile personalità, sono dipinti, giustamente, come quattro ragazzini più immaturi della media (d'altronde sono stati tutta la vita nelle fogne, ci sta!), attirati da cose sciocche quanto i dialoghi e gli scherzi tirati per le lunghe che si palleggiano l'un con l'altro, e da bravi ragazzini inesperti hanno paura e tendono a scoraggiarsi; come nel più classico dei racconti di formazione (talmente classico, in effetti, che a un certo punto viene persino citato il Pinocchio di Collodi e il Paese di Bengodi), sia loro che quel vecchio barbogio di Splinter devono tirare fuori il coraggio di crescere e cambiare, e lo stesso vale per il 90% dei comprimari.


A proposito di personaggi e comprimari. Il character design del film è spettacolare e oltremodo spietato. Gli unici ad essere gradevolmente cartooneschi sono solo i quattro protagonisti, gli altri mutanti sembrano usciti da un horror o, comunque, vengono enfatizzati gli aspetti sgradevoli della loro condizione animale (lo stesso Splinter fa schifo a livelli inenarrabili, soprattutto se non vi piacciono i ratti, ma c'è chi lo batte), e lo stesso vale per esseri umani dai tratti somatici pesantissimi, quasi delle caricature, tra i quali si salva solo una April O'Neal piena di difetti eppure graziosissima. Questo design assai vicino al fumetto underground si ripropone anche in un'animazione ibrida, nella quale convivono elementi della street art, dei comics anni '90 e dello steampunk, il tutto frullato dallo stile pop e flu(uu)ido di Jeff Rowe, che già mi aveva dato tantissime gioie col suo I Mitchell contro le macchine; durante la visione di Tartarughe Ninja - Caos mutante mi è sembrato, a tratti, di avere davanti un'opera realizzata con lunghe sequenze in stop motion (nonostante sapessi benissimo che il film è in CGI) e questa sensazione di "artigianalità" è stata accresciuta dalla scelta vincente di rendere gli ambienti in background quanto più sporchi e rozzi possibili, offrendo allo spettatore un ambiente urbano degradato che non vedevo su schermo dai tempi de Il corvo, alla faccia della commozione provata davanti alle abbacinanti luci di Broadway. Ciò detto, Tartarughe Ninja - Caos mutante non è per nulla cupo e i momenti esilaranti si sprecano, anche se si percepisce chiaramente l'età dei realizzatori coinvolti: Rogen e soci sono sicuramente stati attenti al target di riferimento principale, ovvero i ragazzini, ma l'utilizzo delle 4 Non Blondes o della famigerata Ninja Rap di Vanilla Ice che ciccia fuori da un'autoradio come la "vergognosa" sigla di Dawson's Creek in Urban Legend è qualcosa che può colpire al cuore solo gli anziani come me. Mi dichiaro dunque conquistata da Tartarughe Ninja - Caos mutante, signor*, e spero vivamente che esca presto non solo il sequel introdotto dalla scena mid-credits, ma anche un lungometraggio, simile per stili e temi, dedicato a un'altra mia enorme passione, i Biker Mice da Marte. I Want to Believe (ma non fatemi aspettare troppo, o i miei accompagnatori diventeranno maggiorenni e avranno altro a cui pensare!!).     


Del regista e co-sceneggiatore Jeff Rowe ho già parlato QUI. Maya Rudolph (voce originale di Cynthia Utrom), Seth Rogen (anche co-sceneggiatore, doppia Bebop), Rose Byrne (Leatherhead), Giancarlo Esposito (Baxter Stockman), Jackie Chan (Splinter), Paul Rudd (Mondo Gecko) e Michael Badalucco (Bad Bernie) li trovate invece ai rispettivi link.

Kyler Spears è il co-regista del film, al suo primo lungometraggio. Americano, principalmente storyboarder, ha 31 anni.


Tra i doppiatori originali d'eccellenza ci sono John Cena, che presta la voce a Rocksteady, e Ice Cube, che interpreta Superfly. Se l'argomento Turtles vi interessa, ecco i titoli dei film da recuperare per essere veri completisti: Tartarughe Ninja alla riscossa, Tartarughe Ninja II - Il segreto di Ooze, Tartarughe Ninja III (tutti e tre disponibili con abbonamento Prime Video),TMNT, Tartarughe Ninja Tartarughe Ninja - Fuori dall'ombra. ENJOY!
 
   


martedì 18 luglio 2023

Nimona (2023)

Ne parlavano tutti benissimo, quindi mi è venuta voglia di guardare Nimona, diretto dai registi Nick Bruno e Troy Quane (anche co-sceneggiatore) e tratto dall'omonima graphic novel di ND Stevenson, pubblicata in Italia da Bao Publishing.


Trama: in un medioevo futuristico, il cavaliere Ballister Boldheart viene accusato ingiustamente dell'omicidio della regina e viene scovato da Nimona, una mutaforma che insiste per diventare suo scudiero...


Come al solito, il mio approccio con Nimona è partito viziato da totale ignoranza, perché non ho mai letto la graphic novel di ND Stevenson, quindi non sapevo proprio cosa aspettarmi da questo nuovo film distribuito da Netflix. Di sicuro, non mi aspettavo di rimanere a fissare rapita lo schermo dopo nemmeno cinque minuti, trasportata in un mondo dove il medioevo è diventato futuristico, con castelli attraversati da automobili volanti, regine che salutano da enormi schermi all'interno di città moderne e cavalieri che diventano tali con un gran clamore pubblicitario, quasi partecipassero a dei reality, mentre i sudditi camminano per le strade armati di cellulari all'ultimo grido. Non mi aspettavo di rimanere coinvolta dalle vicende di Ballister Boldheart, unico cavaliere di origini plebee ad arrivare all'investitura, e della sua entusiasta aiutante Nimona, ragazzina assetata di sangue, violenza e caos, in grado di cambiare aspetto con uno schiocco di dita. Figuratevi che una mattina ho persino rischiato di arrivare tardi a lavoro perché non mi ero accorta che era già passata mezz'ora da quando mi ero seduta e, come i bambini, non volevo staccarmi dallo schermo. Questo perché c'è tanto cuore in Nimona, oltre a tanto ritmo. Il cuore del racconto è la necessità di capire e accettare ciò che diverso, certo, ma anche e soprattutto il ruolo fondamentale svolto dalla paura nel soggiogare il cuore e le menti delle persone preservandole nell'ignoranza (se ritenete di vivere in un momento storico che sfrutta questo sentimento negativo allo stesso modo, forse sapete di cosa sto parlando), nel travisare i fatti consegnandone versioni distorte alla storia, nel tirare fuori il peggio di noi stessi nonostante buone intenzioni e flebili speranze, trasformandoci in mostri e costringendoci a vedere gli altri come tali. Ci sono delle sequenze, in Nimona, che annullano ogni tipo di cinismo snob, saggiamente mutuate dai capolavori Miyazakiani dello Studio Ghibli, dalle scene più iconiche de La spada nella roccia e persino da quelle poesie animate che sono le opere del Cartoon Saloon, e arricchiscono con punte di coinvolgente sentimento (per non dire che ho pianto come una fontana) una trama che fa dell'orgoglio scapestrato e punk della co-protagonista uno dei suoi punti di forza.


Il contrasto tra Ballister e Nimona, l'uno cupo sia di animo che di vestiario, l'altra una "pinkissima" scintilla indemoniata che non sta ferma né zitta un secondo, è ciò che rende il film vivacissimo e scorrevole, fatto di dialoghi esilaranti e concitate sequenze di lotta animata (una delle quali omaggia la doppiatrice Chloe Moretz con una certa canzone) imperniate sulle mille, spassosissime trasformazioni della ragazzina titolare. Nonostante la risposta alla domanda "chi ha incastrato Roger Knight?" sia facilmente intuibile dopo qualche minuto, è interessante capire come si svilupperà il rapporto tra la scudiera e il suo riluttante cavaliere e, soprattutto, se quest'ultimo si lascerà traviare dallo sconforto e dai sussurri del diavoletto rosa appollaiato sulla spalla diventando "Blackheart", in aperto contrasto con la dorata purezza di tutto ciò che riguarda non solo il regno, ma anche il compagno di Ballister, dall'evocativo nome di Ambrosius Goldenloin. A tal proposito, l'intera opera è fatta di contrasti, anche a livello grafico e realizzativo. Sfondi, scenografie e abiti sono un mix di forme morbide, realizzate con colori vivaci, e motivi geometrici più stilizzati e minimal, ai quali sono stati aggiunti elementi "gotici" e, ovviamente, caratteristiche che potessero richiamare lo stile della graphic novel, più legato alle varie trasformazioni di Nimona. Inoltre, ho trovato gradevolissima la commistione tra personaggi in 2D dal character design moderno e accattivante (ho adorato, letteralmente, il viso di Ballister, con quei baffoni e gli occhi enormi, e le versioni "bambine" di Nimona, per non parlare del kaiju) e gli effetti grafici di animazione in CGI, anche se forse i fan dell'opera di ND Stevenson saranno rimasti sconvolti dallo stravolgimento totale dell'aspetto dei personaggi. Ci sarebbero mille altre cose da dire su Nimona ma non vorrei fare spoiler né fomentare troppo le aspettative, quindi mi limito, in parte, a citarmi. Il giorno in cui la Disney (che, per inciso, ha fatto chiudere i Blue Sky Studios rischiando così che Nimona non vedesse mai la luce) e la Pixar realizzeranno un film così, commovente, divertente e rispettoso del pubblico, in cui anche le quote "diverse" e "queer" non verranno trattate come eclatanti trovate di marketing ma saranno parte integrante e naturale della storia, sarà un giorno di tripudio e magno gaudio in tutto il regno.


Di Chloë Grace Moretz (Nimona), Riz Ahmed (Ballister Boldheart) e  Frances Conroy (la Direttrice) ho parlato ai rispettivi link.

Nick Bruno è il co-regista della pellicola e doppiatore di Sir Nicholas Brun. Americano, ha diretto il film Spie sotto copertura. Principalmente, lavora come animatore. 
Troy Quane è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, oltre che doppiatore di Sir Troy Quartermane. Americano, ha diretto il film Spie sotto copertura. Principalmente, lavora come scenografo e animatore. 

RuPaul presta la voce al conduttore Nate Knight. Se Nimona vi fosse piaciuto recuperate I Mitchell contro le macchine, Wolfwalkers - Il popolo dei lupi, La città incantata e persino la trilogia di Madoka Magica. ENJOY! 

venerdì 23 giugno 2023

Lightyear - La vera storia di Buzz (2022)

Avendolo perso al cinema ho approfittato della sua uscita su Disney + per recuperare Lightyear - La vera storia di Buzz (Lightyear), diretto e co-sceneggiato dal regista Angus MacLane.


Trama: dopo essere rimasto bloccato su un pianeta sconosciuto e ostile, il ranger spaziale Buzz Lightyear cerca un modo di riportare la sua gente sul pianeta natale, ma invano. La situazione precipita quando la colonia viene aggredita da un orda di robot capitanati dal misterioso Zurg...


Lightyear, come chiarito dal testo in sovrimpressione che si può leggere all'inizio, è il film da cui sono stati tratti i personaggi tanto amati da Andy nel primo Toy Story, quindi il "gioco" che ha dato il la all'operazione è l'idea che lo spettatore si mettesse nei panni del piccolo Andy e vedesse coi suoi occhi, finalmente, cosa lo avesse entusiasmato tanto da mettere da parte il suo cowboy Woody per il moderno ranger spaziale Buzz Lightyear. Ho cercato un po' di notizie in rete e l'età di Andy nel primo Toy Story non è proprio chiarissima. Chi dice sette anni, chi dice dieci, comunque si parla di un bambino delle elementari, massimo delle medie, e onestamente, ricordando cosa piaceva a me da piccola, mi risulta un po' difficile credere che a quell'età ci si possa entusiasmare tanto per un film del genere. Visto con gli occhi di un bambino degli anni '90, Lightyear risulta interessante per l'ambientazione spaziale, l'abbondanza di robot e navicelle, per il piglio combattivo del protagonista e la presenza di comprimari abbastanza simpatici e, soprattutto, "inesperti", perfetti perché un ragazzino ci si possa identificare e sognare di essere al loro posto accanto al suo eroe; d'altra parte, ho trovato il protagonista anche troppo antipatico e supponente per essere apprezzabile da un bambino (mi viene in mente, uno su tutti, Han Solo oppure anche Luke Skywalker, se vogliamo rimanere in tema spaziale, molto più carismatici e umani di Buzz) e la trama è cupa da morire oltre che molto complicata, soprattutto da un certo punto in poi. Quella di Buzz è la storia di un uomo che ha fallito, che non riesce a creare dei legami perché per lui la cosa essenziale è concludere con successo una missione che, per forza di cose, lo porta ad alienarsi non solo dalle persone ma anche dalla realtà, e il suo percorso di "redenzione" verso una visione più umana ed altruista del mondo non è particolarmente vivace, quindi non riesco davvero ad immaginare come un bambino possa sentirsi totalmente coinvolto. 


Dal punto di vista di un adulto del 2022, Lightyear risulta invece un film non necessario e neppure memorabile. La storia stenta un po' ad ingranare, anche se le cose più interessanti e coinvolgenti succedono proprio nel primo atto, dopodiché il piglio umoristico dei personaggi secondari, soprattutto del gatto SOX che merita di entrare nell'Olimpo dei preferiti di chiunque, la rende leggermente più scorrevole, almeno fino al pre-finale, durante il quale ammetto che il mio livello di interesse è drasticamente calato, al punto che il mega twist con spiegone annesso mi ha lasciata abbastanza fredda. Considerato ciò, la fortuna di Lightyear è la sua relativamente breve durata, ma riuscire ad annoiarsi a tratti davanti ad un cartone animato di un'ora e mezza o poco più è qualcosa che dovrebbe fare vergognare la Pixar. Nulla da eccepire, invece, per quanto riguarda la qualità visiva, sempre eccelsa. I passi avanti fatti nel campo dell'animazione al computer (provate a non spaventarvi quando Disney +, alla fine di Lightyear, vi schiafferà in home page un fotogramma del primo Toy Story!) sono tangibili e alcune sequenze del film, molte delle quali omaggiano film di fantascienza ormai cult, sono belle da mozzare il fiato, non hanno nulla da invidiare alle grandi produzioni riservate a franchise come Star Wars (anzi, a volte le superano) e funzionano bene anche su uno schermo piccolo, quindi figuriamoci al cinema. Un peccato, dunque, che questi passi avanti dell'animazione vengano accompagnati da un passo indietro della complessiva qualità dei prodotti Pixar, che ci aveva abituati ad exploit ben più grandi e, soprattutto, ben più dotati di cuore ed anima; Lightyear risulta una specie di riempitivo, un tentativo di mungere una mucca prosciugatasi già nel 2010, un film carino ma nulla più che, probabilmente, avrà lasciato freddi anche i fan di Toy Story e che non fa venire la voglia di guardarlo e riguardarlo. Che peccato! 


Del regista e co-sceneggiatore Angus MacLane ho già parlato QUI. Chris Evans (voce originale di Buzz Lightyear), Keke Palmer (Izzy Hawthorne), Peter Sohn (SOX/Vecchio SOX), Taika Waititi (Mo Morrison), James Brolin (Zurg) e Bill Hader (Featheringhamstan) li trovate invece ai rispettivi link.


Il film è uno spin-off di Toy Story - Il mondo dei giocattoli, quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate anche Toy Story 2 - Woody & Buzz alla riscossa, Toy Story 3 - La grande fuga  e Toy Story 4. ENJOY!


mercoledì 1 marzo 2023

Marcel the Shell (2021)

Nonostante gli orari proibitivi, mi è riuscito anche di recuperare Marcel the Shell (Marcel the Shell with Shoes On), diretto e co-sceneggiato nel 2021 dal regista Dean Fleischer Camp e candidato a un Oscar per il Miglior Film d'Animazione.


Trama: la conchiglietta Marcel vive in un'enorme casa assieme alla nonna Connie, dopo che gli altri membri della famiglia sono improvvisamente scomparsi. L'incontro con un documentarista offre a Marcel la possibilità di cercarli...


Nonostante da anni (a meno che non sia costretta al cinema o non si parli di qualche film che non vedo l'ora che esca) non guardi un trailer né legga recensioni di pellicole che devo ancora vedere, il sembiante di Marcel mi era familiare, così come il generale entusiasmo derivante dall'attesa del primo lungometraggio dedicato alla conchiglietta creata dagli ex coniugi Dean Fleischer Camp e Jenny Slate. Quando Marcel the Shell è stato candidato agli Oscar, la mia curiosità è aumentata e sono stata contenta di sapere che il film avrebbe avuto, stranamente, una tempestiva distribuzione italiana che l'ha fatto approdare persino nei lidi Savonesi. Quello che non mi sarei aspettata, però, è che per i primi dieci minuti avrei avuto più ansia che a guardare un horror, in quanto un conto è vedere Marcel in foto, un conto è vederlo muoversi sullo schermo, piccolo e nascosto agli occhi di chiunque, inquietante creatura marina (sono ligure ma evidentemente qualcosa, del mare e dei suoi abitanti, mi respinge) dalla voce anche troppo simile a quella di Salad Fingers, quello sì un incubo partorito da un folle. Superati i primi dieci minuti di brividi, che mi hanno vista seduta rigida come un tronco, a cercare di farmi sparire la pelle d'oca dalle braccia, sono riuscita a poco a poco a farmi coinvolgere dalla dolcezza e dalla poesia di Marcel the Shell, un film piccolino e delicato, in pieno stile A24, che sfrutta il punto di vista innocente del protagonista per farci riflettere sulle molte cose che non vanno nelle nostre vite moderne. Il fulcro della trama è lo strano rapporto che si viene a creare tra Marcel e Dean, un videoamatore in crisi con la ex moglie (c'è un che di biografico in tutto questo) che, durante la permanenza in un AirBnB, scopre l'esistenza di due conchigliette parlanti e decide di girare una serie di brevi documentari su di loro. Se ho definito "strano" il rapporto tra i due, è perché per buona parte del tempo esso è unidirezionale: Dean è colui che sta dietro la macchina da presa e cerca in tutti i modi non solo di non interferire con la vita di Marcel, ma anche di non parlargli di ciò che esula dall'opera in corso, mentre la conchiglietta cerca un contatto amico, vittima di una solitudine disperata che lo porta a non capire perché mai Dean sia così schivo e pronto ad evitare ogni contatto non necessario o confidenza. 


Nel corso del film, le perplessità di Marcel diventano le nostre, in quanto al minuscolo esserino vengono messe in bocca osservazioni non banali relativamente all'uso sciocco ed egoista che viene fatto di un mezzo potente come il web (emblematico il video postato per trovare la famiglia di Marcel, visualizzato da migliaia di persone che, invece di aiutarlo, postano commenti sciocchi o si impegnano solo per diventare a loro volta "famose" facendosi un selfie davanti a casa sua) o relativamente a quanto si sia diventati incapaci di fidarci degli altri, di cercare il conforto degli amici o della famiglia, preferendo seppellirci in un dolore personale per paura di riceverne altro. In tal senso, è emblematico il personaggio di nonna Connie, conchiglia pratica e molto saggia, che tenta in tutti i modi di spronare un nipotino traumatizzato dalla tragedia accorsa alla famiglia e terrorizzato all'idea di scuotere lo status quo e ricominciare a fare nuove esperienze, bloccato in una non-vita che non giova a nessuno dei due. Tutte queste riflessioni sono tratteggiate in punta di penna, inserite in una cornice di umorismo mai sciocco né volgare e di momenti tristi che non diventano mai patetici, un miracoloso equilibrio che si riverbera anche nella natura "ibrida" ma perfettamente amalgamata del film, un documentario live action che ha per protagonisti delle creature realizzate in stop motion. Indubbiamente, Marcel the Shell è un'opera molto originale e particolare, che consiglio di vedere per avere un'idea di cosa esista oltre all'animazione tradizionale che, troppo spesso, la fa da padrona agli Oscar come se non esistesse altro modo di realizzare cartoni animati. In calce, aggiungo la risposta alla domanda che ci siamo posti io e Toto alla fine del film, tanto è la stessa che vi farete anche voi: se un oggetto viene ignorato abbastanza a lungo, riesce a sviluppare un'anima. E più non dimandate!


Di Jenny Slate (co-sceneggiatrice e voce originale di Marcel), Isabella Rossellini (Connie) e Rosa Salazar (Larissa) ho parlato ai rispettivi link.

Dean Fleischer Camp è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Dean. Americano, è al suo primo lungometraggio ma ha diretto anche i tre corti che hanno ispirato Marcel the Shell. Anche produttore, montatore e direttore della fotografia, ha un film in uscita, il live action di Lilo & Stitch.


Marcel the Shell è un lungometraggio nato dai corti Marcel the Shell with Shoes On (2010), Marcel the Shell with Shoes On, Two (2011) e Marcel the Shell with Shoes On, Three (2014), che dovrebbero tutti essere disponibili su YouTube. Se il film vi fosse piaciuto recuperateli e aggiungete Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento, perché no? ENJOY!

venerdì 10 febbraio 2023

Il mostro dei mari (2022)

Alla sua uscita su Netflix lo avevo snobbato ma, vista la sua candidatura all'Oscar come Miglior Film Animato, ho recuperato in questi giorni Il mostro dei mari (The Sea Beast), diretto e co-sceneggiato nel 2022 dal regista Chris Williams.


Trama: la piccola Maisie si imbarca come clandestina sulla nave di Capitan Crow, anziano ed esperto cacciatore di mostri marini, e conosce il suo secondo, Jacob Holland. Assieme a quest'ultimo, la ragazzina scoprirà una realtà inimmaginabile sulle terribili creature che popolano il mare...


Come ogni anno, la mia follia mi impone di recuperare quanti più film nominati possibili, nonostante riconosca che ormai la "magica" notte degli Oscar di magico non abbia più nulla o quasi. Lo dimostra la candidatura di questo Il mostro dei mari, pellicola molto carina, sì, ma non indimenticabile né particolarmente originale, che alla fine della visione mi ha portata a chiedermi quanta animazione (Americana ed internazionale) venga sacrificata dai membri dell'Academy per ignoranza, pigrizia o nazionalismo, oppure quanto sia basso il livello generale della stessa, se a spiccare è un film come questo. Ciò detto, dimentichiamo un attimo gli Oscar, perché parlare male di un'opera godibile e intelligente come Il mostro dei mari è un peccato. Il film di Chris Williams si ambienta in un'epoca non precisata di un posto non precisato (che sembrerebbero però ispirati all'Inghilterra del '600, a naso), dove ciurme di cacciatori solcano i mari alla ricerca di mostri da abbattere e portare ai reali della zona, eredi di una tradizione che risale a tempi lontanissimi. "Re" dei cacciatori di mostri è il Capitano Crow che, alla guida della nave chiamata Inevitabile, ha come unico obiettivo quello di catturare la Furia Rossa, un mostro che anni prima lo ha privato di un occhio. Essendo anziano, Crow è quasi arrivato al punto di dover cedere il comando della nave, e il successore designato è Jacob Holland, fiero e capace avventuriero nonché figlio putativo del capitano. Quest'ultimo incontra un giorno la piccola Maisie, che vorrebbe a sua volta far parte della ciurma, spinta dai racconti che vengono tramandati di generazione in generazione e che dipingono i cacciatori come eroi che "vivono una grande vita e muoiono di gran morte", unica salvezza di un mondo dove un tempo la gente veniva uccisa brutalmente dai mostri; l'innocenza di Maisie, come spesso accade nei cartoni animati recenti, aprirà gli occhi a Jacob su una realtà differente, portandolo a mettere in discussione verità date per scontate e a prediligere dialogo e tolleranza su una cieca sete di vendetta che rischia di esacerbare i conflitti e renderli infiniti.


Un po' Moby Dick, un po' (troppo) Dragon Trainer, Il mostro dei mari non è proprio originalissimo a livello di trama, benché offra degli spunti interessanti, tuttavia è soprattutto nel comparto tecnico che brilla, con animazioni spettacolari, colori brillanti e architetture da sogno (la città dove vivono i reali è un trionfo, meravigliosa). Chris Williams, dopo l'esperienza con Oceania, è indubbiamente diventato molto bravo a gestire gli scenari marini e a confezionare ottime scene d'azione zeppe di personaggi (d'altronde ha lavorato anche in Big Hero Six) e, nonostante le ovvie "licenze artistiche" prese dagli animatori, il film offre uno spaccato abbastanza realistico per quanto riguarda la vita su una nave e le manovre che servono per farla muovere; anche i mostri hanno un character design molto interessante, tra quelli più realistici ed orripilanti come il granchio gigantesco che combatte contro la Furia Rossa, per arrivare a quelli più deliziosi, come la Furia Rossa stessa o il meraviglioso Blu, che personalmente vorrei avere in casa come cucciolo. Anzi, forse il brutto de Il mostro dei mari è che di mostri se ne vedono anche pochi, e sembra quasi che i realizzatori si siano concentrati soprattutto sugli esseri umani e sulle relazioni tra questi ultimi, complicate al punto che è difficile tracciare una linea netta tra buoni e cattivi (salvo per la presenza di un paio di villain effettivi che, come accade nella realtà, sono perfettamente integrati con la società), anche perché molti membri della ciurma di Crow sono costretti, nel corso del film, ad affrontare un importante percorso di crescita e ad allontanarsi dalla "leggenda" che li dipinge come perfetti. Probabilmente, Williams e soci aggiusteranno il tiro per il prossimo capitolo, già in produzione visto il successo ottenuto su Netflix da Il mostro dei mari, quindi ho idea che il paragone fatto all'inizio con Dragon Trainer non sia poi così peregrino. Nell'attesa, Il mostro dei mari è un ottimo film per tutta la famiglia e il mio consiglio è quello di prendersi una serata per guardarlo. 


Del regista e co-sceneggiatore Chris Williams ho già parlato QUI. Karl Urban (voce originale di Jacob Holland), Jared Harris (Capitan Crow) e Dan Stevens (Ammiraglio Hornagold) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Il mostro dei mari vi fosse piaciuto recuperate la trilogia di Dragon Trainer, Oceania e La canzone del mare. ENJOY!

giovedì 5 gennaio 2023

Bolle di Recensioni in streaming: The Guardians of the Galaxy: Holiday Special (2022), Pinocchio (2022), Christmas Bloody Christmas (2022)

Ultimo appuntamento con le recensioni ridotte, necessarie in quanto c'è la concomitanza di un'altra festività e poi si comincia col nuovo anno cinematografico, sempre pieno di novità a cui stare dietro (il che sarà, per me, praticamente impossibile)! Ma niente stress, prendiamoci un momento per respirare e tornare a gettare uno sguardo agli ultimi scampoli di 2022, con un paio di trashate festive e un capolavoro che meritava il grande schermo, il tutto disponibile su varie piattaforme streaming. ENJOY!


The Guardians of the Galaxy: Holiday Special - James Gunn (2022)

Sulla scia degli special natalizi dedicati a Star Wars nei gloriosi anni '80, James Gunn ha regalato la sua strenna a tutti i fan degli assurdi Guardiani della Galassia, mescolando momenti musicarelli (con un paio di canzoni a tema assai pregevoli e divertenti) a una trama imperniata essenzialmente sui due "rincoglioniti" del gruppo, Drax e Mantis. A dimostrazione di quanto la mia memoria legata a tutto ciò che riguarda i film Marvel sia ormai labilissima, non ricordavo affatto la parentela tra Mantis e Peter Quill, ma il sentimento di amore fraterno della prima verso il secondo è il motore di una tipica storia di Natale, dolceamara e fintamente cinica quanto volete ma, in definitiva, edificante e dal lieto fine. Per quanto mi riguarda, lo special vale anche solo per vedere un Kevin Bacon in formissima, ed è stato un breve divertissement perfetto per quelle rarissime mezz'ore di pausa tra un delirio familiar-culinario festivo e l'altro. Onestamente, però, non so come farò se il terzo Guardians of the Galaxy continuerà a tenere sotto i riflettori due beniamini del pubblico così decerebrati, ché 45 minuti vanno anche bene, ma più di due ore rischiano di uccidermi.

Curiosità: mentre è a casa, Kevin Bacon guarda Santa Claus Conquers the Martians, film del 1964 in cui Babbo Natale viene rapito e portato nello spazio, che è esattamente ciò che succederà all'attore di lì a poco. 


Pinocchio - Guillermo del Toro e Mark Gustafson (2022)

E' stata l'ultima visione "importante" del 2022, nonché quella che più mi ha devastata a livello emotivo, lasciandomi stremata e singhiozzante su quel finale triste ma necessario. E pensare che ero partita senza troppe aspettative, dopo la sovrabbondanza di adattamenti dell'opera di Collodi usciti negli ultimi anni, nessuno particolarmente entusiasmante, quando non addirittura orribile. Inaspettatamente, invece, il Pinocchio di del Toro, coi suoi personaggi terribilmente umani, pieni di difetti eppure colmi di enorme dignità, mi ha conquistata anche grazie al suo messaggio semplice ma fondamentale; fare "il nostro meglio, e il nostro meglio è il meglio che c'è", tendere una mano gentile al prossimo, accettare la bellezza dell'unicità senza farsi soffocare dal passato e dal rimpianto, tendere verso una libertà magari non perfetta ma squisitamente "nostra", sono concetti potenti che spesso tendiamo a dimenticare e che si sposano perfettamente con una storia raccontata talmente tante volte da avere ormai perso di significato. Per fortuna, del Toro l'ha rinfrescata, infondendole nuova vita attraverso temi, visioni e cliché a lui carissimi, che ne hanno rinnovato la magia e il fascino (anche molto macabro e crudelmente ironico), ulteriormente accentuati dalla bellezza di una stop motion fluida ed elegante, popolata da pupazzini dettagliatissimi e dal sapore gotico. Un piccolo gioiello animato, che avrebbe meritato di essere distribuito al cinema, non su Netflix. A caval donato non si guarda in bocca, avete ragione, ma è comunque un peccato.

Curiosità: durante le riprese di La fiera delle illusioni - Nightmare Alley, Cate Blanchett ha detto a Guillermo del Toro che avrebbe voluto partecipare come doppiatrice, ma l'unico personaggio libero rimasto era la scimmia Spazzatura. L'attrice ha accettato il ruolo senza indugio, dichiarando al regista "Farei qualunque cosa. Per te, interpreterei persino una matita". That's love, folks!


Christmas Bloody Christmas - Joe Begos (2022)

Dopo un capolavoro animato, concludiamo con un dignitosissimo esempio di B-Movie horror, gentilmente offerto da Joe Begos. Non ci sono grandi idee o grandi stravolgimenti qui, giusto un mix sanguinolento tra gli slasher a tema natalizio e Terminator, perché il fulcro della storia è il malfunzionamento di un robot militare riciclato come Babbo Natale per centri commerciali, che un giorno sbrocca male e trasforma ogni persona in potenziale minaccia da eliminare nel modo più rapido, efficace e splatter possibile. Se non vi piacciono i personaggi chiacchieroni persi in dialoghi citazionisti e cool e detestate l'estetica di Begos, fatta di luci al neon che fendono ambienti altrimenti scuri, nemmeno fossimo in una discoteca zeppa di colori acidi in grado di friggere le retine, state quanto più lontano possibile da Christmas Bloody Christmas, altrimenti a fine anno recuperatelo e divertitevi a passare un Natale cinematografico alternativo, rozzo e brutale, da veri metallozzi amanti dell'horror!

Curiosità: il regista Joe Begos interpreta Benny, il vicino a cui viene distrutta la macchina. 

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