A causa dei disastri meteorologici accorsi nel weekend non sono potuta andare al cinema e temo che non recupererò mai più né L'ufficiale e la spia né Countdown, ma perlomeno sono riuscita, in qualche modo, a guardare Light of My Life, scritto, diretto ed interpretato da Casey Affleck.
Trama: un padre e una figlia cercano di sopravvivere in un mondo dove il genere femminile è stato quasi completamente cancellato a causa di un misterioso virus.
Light of My Life è uno stranissimo film post-apocalittico, in cui la fanno da padrone toni intimi e tinte neutre, ricordando spesso un'altra pellicola atipica per il suo genere (in quel caso l'horror), ovvero A Ghost Story. La storia è interamente imperniata sul rapporto padre e figlia tra l'adolescente Rag e il suo papà senza nome, impegnato a proteggerla da una società in cui le donne sono quasi sparite e dove le poche superstiti vivono rinchiuse in edifici, "rifugi" o forse qualcosa di più negativo; Rag, non ancora sviluppata, veste come un ragazzino e porta i capelli corti, ma lo stesso, dopo la prima occhiata distratta, viene in qualche modo percepita dagli uomini che la incontrano come "femmina" e questo condanna lei e il padre a vivere perennemente in fuga. Affleck non spiega mai di preciso cosa sia successo alle donne, nella realtà da lui riportata sullo schermo. Probabilmente sono state colpite da un virus, quasi sicuramente gli uomini hanno paura delle superstiti e si può solo pensare che, prima o poi, le donne prigioniere verranno usate per ripopolare un mondo squilibrato, finendo per diventare oggetti sessuali oppure peggio. Il terrore del personaggio di Affleck, costretto a crescere da solo una figlia in un mondo allo sbando, è quindi comprensibile e palpabile anche se il film gioca di sottrazione e non indulge mai nella spettacolarizzazione delle minacce che incombono sui due, preferendo sfruttare dialoghi a lume di torcia, campi lunghi in cui padre e figlia si perdono all'interno di paesaggi affascinanti ma inospitali e nemici non particolarmente caratterizzati, talvolta solo ombre che si muovono dietro l'apparente sicurezza di una finestra oppure uomini talmente repentini nei loro attacchi che è raro che allo spettatore rimangano impressi i volti.
Nonostante questo, o forse proprio per questo, Light of My Life a tratti è più angosciante di molti altri film post-apocalittici (a me viene in mente sempre, come esempio negativo, quell'It Comes at Night che è piaciuto a tutti tranne a me), anche perché i personaggi sono molto ben costruiti e non ci si può non affezionare alla coppia di protagonisti. Un plauso a Casey Affleck, che oltre ad essere un regista rigoroso e raffinato, con un occhio non banale per la composizione delle singole sequenze, oltre ad essere uno sceneggiatore capace di creare dialoghi spontanei e significativi, è stato anche in grado di crearsi un ruolo perfetto per le sue abilità di attore; il suo papà goffo, che spesso incespica sulle parole ed improvvisa storie deliziose per la sua bambina, non proprio in formissima o in salute ma deciso a non mollare per il bene della figlia, è credibile e perfetto proprio grazie a quei difetti che lo rendono incredibilmente umano e c'è moltissima alchimia con la ragazzina che interpreta Rag, non la tipica mocciosetta da copertina, bensì una ragazzina dotata di una bellezza androgina senza essere "aliena", un minuto spontaneamente solare e l'altro spontaneamente incazzata come una biscia, come tutti gli adolescenti. Certo, dire che Light of My Life è un film per tutti sarebbe un po' disonesto da parte mia. Spesso i tempi sono MOLTO dilatati e qualche spettatore potrebbe patire la lunghezza di dialoghi apparentemente inutili, mentre io mi sono lasciata cullare anche da questi momenti di intimità che spezzano la catena di eventi prima di un finale assai commovente. Fossi in voi, non lo perderei.
Del regista e sceneggiatore Casey Affleck, che interpreta Papà, ho già parlato QUI. Tom Bower (Tom) ed Elisabeth Moss (Mamma) li trovate invece ai rispettivi link.
Se Light of My Life vi fosse piaciuto recuperate A Quiet Place. ENJOY!
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martedì 26 novembre 2019
martedì 21 novembre 2017
A Ghost Story (2017)
Ho dovuto aspettare Italia vs Svezia per riuscire a vedere A Ghost Story, film diretto e sceneggiato da David Lowery, ma alla fine ce l'ho fatta!
Trama: una persona da poco defunta torna come fantasma nella casa dove abitava e si ritrova a testimoniare lo scorrere del tempo in sua assenza...
Ho avuto la scimmia di guardare A Ghost Story fin da quando ne aveva parlato Lucia ma mi sono ritrovata a dover aspettare una sera in cui il Bolluomo fosse diversamente occupato perché da quel che avevo letto (non troppo per non rovinarmi la visione) ho capito che il film avrebbe causato la mia morte tramite pianti inconsolabili e che non mi sarei trovata davanti a un horror disimpegnato, bensì a qualcosa di estremamente diverso e, soprattutto, ben poco horror. Insomma, non pane per i denti del povero Mirco, al quale ho risparmiato un paio d'ore di sofferenza (benché visto il risultato della partita... vabbé). Quanto a me, sono arrivata alla fine di A Ghost Story ancora viva e, stranamente, poco lacrimante ma con un senso di malinconia talmente soverchiante che non ho potuto fare altro, conclusa la visione, se non spegnere la luce, appallottolarmi e chiudere gli occhi mettendomi a dormire. A Ghost Story non è infatti una storia di fantasmi e case infestate, quanto piuttosto la storia, come da titolo originale, di UN fantasma, un'entità manifestatasi nel classico lenzuolo con due buchetti al posto degli occhi. E se pensate che una rappresentazione così poco "realistica" o espressiva di un fantasma non possa comunicare più di quanto riuscirebbe la migliore CGI del mondo, ebbene vi sbagliate di grosso perché tutta la sofferenza di essere eterno o, perlomeno, legato all'"aldiquà" fin quando non sarà in grado di lasciare andare le sue pene terrene, arriva al cuore dello spettatore potente come un pugno e altrettanto dolorosa. A questi punti, meglio avvertire i lettori incauti dell'altissimo potenziale "noia" di un film come A Ghost Story, tipica pellicola in cui "non succede nulla" e che richiede allo spettatore una buona dose di sensibilità ed empatia, nonché la volontà di mettersi nei panni del fantasma e vedere scorrere mestamente davanti ai propri occhi piccoli gesti di umanissima quotidianità, trasfigurati da un punto di vista carico di rimpianto e nostalgia; Lowery, in veste di regista e sceneggiatore, si permette di indugiare in lunghi silenzi, semplici gesti d'affetto dilatati nel tempo, pochi dialoghi che inquadrano giusto la situazione ma lasciano allo spettatore il compito di "riempire i buchi" in base alla propria esperienza o predisposizione d'animo, soprattutto fa uso di un interessantissimo montaggio temporale (oltre che di un lunghissimo, angosciante piano sequenza) che sottolinea la triste condizione di un protagonista costretto a subire lo scorrere della vita altrui e la scomparsa di tutto ciò che gli è caro.
A Ghost Story è dunque l'atipica storia di un fantasma, una pellicola assai poetica e delicata che tratta temi profondissimi impiegandoci metà del tempo di quanto farebbe un film Marvel o DC qualsiasi per propinarci l'ennesima scazzottata tra supereroi. E' un film che racconta sì l'elaborazione del lutto e la necessità di andare avanti ma non solo. Pone delle domande sul futuro, non inteso necessariamente come futuro della società umana ma proprio sul lascito della singola persona ai figli, ai figli dei figli e a quelli che verranno dopo, sia che si tratti di un individuo particolare oppure di un normalissimo "uomo della strada" e lo fa attraverso un monologo assai intenso; parla di frustrazione ribaltando i classici punti di vista di un horror come Poltergeist (una delle fonti d'ispirazione del regista, per conoscere alcune delle altre vi rimando al solito trafiletto finale), della difficoltà di lasciare andare quello che per noi è importante, di sentirsi fuori dal mondo in ogni senso possibile e di odiarsi per la volontà di continuare comunque a vivere, di speranze infrante e desideri irrealizzabili, di cambiamenti, vita, morte e di tutto quello che sta in mezzo, fosse anche una storia d'amore ben lontana dall'essere perfetta. A Ghost Story è un film che costringe lo spettatore a pensare ma anche a guardare con attenzione, a concentrarsi a lungo sulle immagini fino ad arrivare a conoscerne ogni dettaglio, ad apprezzare la profondità di campo e persino ad incuriosirsi davanti a un formato che, lì per lì, pensavo fosse dovuto a qualche problema in fase di "pesca" e invece è proprio quello originale voluto e pensato dal regista. Questa scelta peculiare conferisce un'aura vintage all'intera pellicola e, pur rinchiudendo le immagini all'interno di una cornice piccolina, da diapositiva o da filmino girato in casa, non le priva della bellezza data dalla fotografia nitida e accresce il senso di claustrofobia già causato dalla scelta di girare il film quasi interamente all'interno di quattro mura. Non sto nemmeno a dire che un film così bello e particolare non ha ancora una data di uscita italiana né probabilmente l'avrà mai ma se dovesse finire tra le manine illuminate di Netflix o di qualche casa di distribuzione consiglio vivamente di dargli un'occhiata perché è una delle opere più belle e coraggiose viste quest'anno.
Di Casey Affleck (C) e Rooney Mara (M) ho già parlato ai rispettivi link.
David Lowery è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Senza santi in paradiso e Il drago invisibile. Anche produttore e attore, ha 37 anni e un film in uscita.
Trama: una persona da poco defunta torna come fantasma nella casa dove abitava e si ritrova a testimoniare lo scorrere del tempo in sua assenza...
Ho avuto la scimmia di guardare A Ghost Story fin da quando ne aveva parlato Lucia ma mi sono ritrovata a dover aspettare una sera in cui il Bolluomo fosse diversamente occupato perché da quel che avevo letto (non troppo per non rovinarmi la visione) ho capito che il film avrebbe causato la mia morte tramite pianti inconsolabili e che non mi sarei trovata davanti a un horror disimpegnato, bensì a qualcosa di estremamente diverso e, soprattutto, ben poco horror. Insomma, non pane per i denti del povero Mirco, al quale ho risparmiato un paio d'ore di sofferenza (benché visto il risultato della partita... vabbé). Quanto a me, sono arrivata alla fine di A Ghost Story ancora viva e, stranamente, poco lacrimante ma con un senso di malinconia talmente soverchiante che non ho potuto fare altro, conclusa la visione, se non spegnere la luce, appallottolarmi e chiudere gli occhi mettendomi a dormire. A Ghost Story non è infatti una storia di fantasmi e case infestate, quanto piuttosto la storia, come da titolo originale, di UN fantasma, un'entità manifestatasi nel classico lenzuolo con due buchetti al posto degli occhi. E se pensate che una rappresentazione così poco "realistica" o espressiva di un fantasma non possa comunicare più di quanto riuscirebbe la migliore CGI del mondo, ebbene vi sbagliate di grosso perché tutta la sofferenza di essere eterno o, perlomeno, legato all'"aldiquà" fin quando non sarà in grado di lasciare andare le sue pene terrene, arriva al cuore dello spettatore potente come un pugno e altrettanto dolorosa. A questi punti, meglio avvertire i lettori incauti dell'altissimo potenziale "noia" di un film come A Ghost Story, tipica pellicola in cui "non succede nulla" e che richiede allo spettatore una buona dose di sensibilità ed empatia, nonché la volontà di mettersi nei panni del fantasma e vedere scorrere mestamente davanti ai propri occhi piccoli gesti di umanissima quotidianità, trasfigurati da un punto di vista carico di rimpianto e nostalgia; Lowery, in veste di regista e sceneggiatore, si permette di indugiare in lunghi silenzi, semplici gesti d'affetto dilatati nel tempo, pochi dialoghi che inquadrano giusto la situazione ma lasciano allo spettatore il compito di "riempire i buchi" in base alla propria esperienza o predisposizione d'animo, soprattutto fa uso di un interessantissimo montaggio temporale (oltre che di un lunghissimo, angosciante piano sequenza) che sottolinea la triste condizione di un protagonista costretto a subire lo scorrere della vita altrui e la scomparsa di tutto ciò che gli è caro.
A Ghost Story è dunque l'atipica storia di un fantasma, una pellicola assai poetica e delicata che tratta temi profondissimi impiegandoci metà del tempo di quanto farebbe un film Marvel o DC qualsiasi per propinarci l'ennesima scazzottata tra supereroi. E' un film che racconta sì l'elaborazione del lutto e la necessità di andare avanti ma non solo. Pone delle domande sul futuro, non inteso necessariamente come futuro della società umana ma proprio sul lascito della singola persona ai figli, ai figli dei figli e a quelli che verranno dopo, sia che si tratti di un individuo particolare oppure di un normalissimo "uomo della strada" e lo fa attraverso un monologo assai intenso; parla di frustrazione ribaltando i classici punti di vista di un horror come Poltergeist (una delle fonti d'ispirazione del regista, per conoscere alcune delle altre vi rimando al solito trafiletto finale), della difficoltà di lasciare andare quello che per noi è importante, di sentirsi fuori dal mondo in ogni senso possibile e di odiarsi per la volontà di continuare comunque a vivere, di speranze infrante e desideri irrealizzabili, di cambiamenti, vita, morte e di tutto quello che sta in mezzo, fosse anche una storia d'amore ben lontana dall'essere perfetta. A Ghost Story è un film che costringe lo spettatore a pensare ma anche a guardare con attenzione, a concentrarsi a lungo sulle immagini fino ad arrivare a conoscerne ogni dettaglio, ad apprezzare la profondità di campo e persino ad incuriosirsi davanti a un formato che, lì per lì, pensavo fosse dovuto a qualche problema in fase di "pesca" e invece è proprio quello originale voluto e pensato dal regista. Questa scelta peculiare conferisce un'aura vintage all'intera pellicola e, pur rinchiudendo le immagini all'interno di una cornice piccolina, da diapositiva o da filmino girato in casa, non le priva della bellezza data dalla fotografia nitida e accresce il senso di claustrofobia già causato dalla scelta di girare il film quasi interamente all'interno di quattro mura. Non sto nemmeno a dire che un film così bello e particolare non ha ancora una data di uscita italiana né probabilmente l'avrà mai ma se dovesse finire tra le manine illuminate di Netflix o di qualche casa di distribuzione consiglio vivamente di dargli un'occhiata perché è una delle opere più belle e coraggiose viste quest'anno.
Di Casey Affleck (C) e Rooney Mara (M) ho già parlato ai rispettivi link.
David Lowery è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Senza santi in paradiso e Il drago invisibile. Anche produttore e attore, ha 37 anni e un film in uscita.
Sotto il lenzuolo del secondo fantasma c'è la cantante Kesha. Se A Ghost Story vi fosse piaciuto recuperate alcune delle fonti di ispirazione del regista, come per esempio La città incantata, Poltergeist, Under the Skin e Orlando. ENJOY!
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lunedì 27 febbraio 2017
Oscar 2017
Buon lunedì a tutti! Per una volta la Notte degli Oscar ha portato un po' di gioia, almeno alla sottoscritta, per quanto prevedibile. Il destino mi ha persino fatta svegliare assetata alle 4 di notte e sono riuscita a vedere quasi in diretta la vittoria di Viola Davis, accompagnata da un lunghissimo e commovente discorso durante il quale Bryan Cranston ha dormito come se non ci fosse un domani (giuro). E a proposito di vecchi catananni, vogliamo parlare di Warren Beatty? Il poveraccio ha cannato proprio l'annuncio del premio più importante, attirandosi gli strali del 90% dei cinefili che erano già pronti a salutare La La Land come miglior film dell'anno e invece... ENJOY!!! Edit: vengo a sapere solo ora della morte di Bill Paxton. Grandissimo attore, conto di riguardare presto Frailty e di parlarne come omaggio postumo. So long, Bill...
E invece #sticazzi a La La Land!!! Non me ne vogliate ma sapete quanto il film di Chazelle non mi abbia entusiasmato. Nonostante la gaffe di Beatty il premio per il Miglior Film è andato a Moonlight e non posso che esserne felice visto che mi ha conquistata. Oddio, sarei stata felicissima, anche di più, se avessero vinto Arrival o Manchester by the Sea ma non si può avere tutto dalla vita. Moonlight porta a casa anche l'Oscar per il Miglior Attore Non Protagonista, di cui parlerò più avanti, e il premio per la Miglior Sceneggiatura Non Originale, altra vittoria in cui avrei visto meglio Arrival sinceramente. Che iattura visto che il film di Villeneuve ha portato a casa solo un Oscar tecnico per il Miglior Montaggio Sonoro!
Nessuna sorpresa invece dal punto di vista di Regia e Miglior Attrice Protagonista. Damien Chazelle ed Emma Stone si crogiolano nel successo di La La Land e se il premio per la Regia è a mio avviso meritato (dall'alto della mia ignoranza) mi spiace un po' per Natalie Portman, una stupenda Jackie. Complimenti però ad Emma Stone e anche a Moonl... ehm... La La Land che, sempre senza tante sorprese, conquista altri quattro premi: Miglior Fotografia (niente Oscar a Silence, nemmeno uno di consolazione... vecchiacci bastardi!), Miglior Colonna Sonora Originale (Ma va?), City of Stars come Miglior Canzone Originale (Ma dai? Non me l'aspettavo!) e Miglior Scenografia (Non ci posso credere!!).
FORTUNATAMENTE niente Oscar per Ryan Gosling, la statuetta per Miglior Attore Protagonista va a Casey Affleck, favoloso in Manchester by the Sea, che conquista anche il premio come Miglior Sceneggiatura Originale. Complimenti, premi dovutissimi!
L'Oscar come Miglior Attore Non Protagonista è fonte di MAH. Mahershala Ali non mi ha detto granché in Moonlight, avrei preferito Jeff Bridges o Lucas Hedges ma a quanto pare Moonlight era un film troppo benvoluto per ignorare un premio così importante. Vabbuò.
Solo gioia invece per la vittoria di Viola Davis come Miglior Attrice Non Protagonista, premio meritatissimo, furbo (nel senso che avrebbero voluto candidarla come protagonista ma non avrebbe avuto chance quindi ben venga questa candidatura "meno importante") e sentito. Per la cronaca, Barriere ha vinto solo questo Oscar.
Diamo un'occhiata anche agli altri premi, perlomeno a quelli di cui posso parlare con un minimo di cognizione di causa. Scontata la vittoria di Zootropolis come Miglior Film d'Animazione, sebbene il mio cuore vada interamente a Kubo e la spada magica; va in casa Disney/Pixar anche il premio per il Miglior Corto Animato, che finisce al delizioso Piper. Il bellisimo La battaglia di Hacksaw Ridge porta purtroppo a casa solo due premi tecnici, uno per il Miglior Montaggio e uno per il Miglior Missaggio Sonoro, talmente ben fatto che me n'ero accorta persino io! Gli Effetti Speciali vanno a Il libro della giungla (se ne può parlare, a mio avviso gli altri candidati erano nettamente superiori) e rimanendo in ambito "cinema di consumo" trionfano Animali fantastici e dove trovarli per i Migliori Costumi (niente a Jackie? Vabbé, dai... vergogna!) e Suicide Squad per il Miglior Make Up (...) mentre The Salesman vince l'Oscar per il Miglior Film Straniero con un'ottima stilettata all'odiatissimo Donald Trump. E con questo chiudo, lasciandovi ai ben migliori e più dettagliati resoconti che popoleranno la rete nel corso di questa giornata. ENJOY e fate i bravi con Warren Beatty!!!
E invece #sticazzi a La La Land!!! Non me ne vogliate ma sapete quanto il film di Chazelle non mi abbia entusiasmato. Nonostante la gaffe di Beatty il premio per il Miglior Film è andato a Moonlight e non posso che esserne felice visto che mi ha conquistata. Oddio, sarei stata felicissima, anche di più, se avessero vinto Arrival o Manchester by the Sea ma non si può avere tutto dalla vita. Moonlight porta a casa anche l'Oscar per il Miglior Attore Non Protagonista, di cui parlerò più avanti, e il premio per la Miglior Sceneggiatura Non Originale, altra vittoria in cui avrei visto meglio Arrival sinceramente. Che iattura visto che il film di Villeneuve ha portato a casa solo un Oscar tecnico per il Miglior Montaggio Sonoro!
Nessuna sorpresa invece dal punto di vista di Regia e Miglior Attrice Protagonista. Damien Chazelle ed Emma Stone si crogiolano nel successo di La La Land e se il premio per la Regia è a mio avviso meritato (dall'alto della mia ignoranza) mi spiace un po' per Natalie Portman, una stupenda Jackie. Complimenti però ad Emma Stone e anche a Moonl... ehm... La La Land che, sempre senza tante sorprese, conquista altri quattro premi: Miglior Fotografia (niente Oscar a Silence, nemmeno uno di consolazione... vecchiacci bastardi!), Miglior Colonna Sonora Originale (Ma va?), City of Stars come Miglior Canzone Originale (Ma dai? Non me l'aspettavo!) e Miglior Scenografia (Non ci posso credere!!).
FORTUNATAMENTE niente Oscar per Ryan Gosling, la statuetta per Miglior Attore Protagonista va a Casey Affleck, favoloso in Manchester by the Sea, che conquista anche il premio come Miglior Sceneggiatura Originale. Complimenti, premi dovutissimi!
| Occristo, quindi sa anche sorridere!! Anche se pare più un ghigno... |
Solo gioia invece per la vittoria di Viola Davis come Miglior Attrice Non Protagonista, premio meritatissimo, furbo (nel senso che avrebbero voluto candidarla come protagonista ma non avrebbe avuto chance quindi ben venga questa candidatura "meno importante") e sentito. Per la cronaca, Barriere ha vinto solo questo Oscar.
Diamo un'occhiata anche agli altri premi, perlomeno a quelli di cui posso parlare con un minimo di cognizione di causa. Scontata la vittoria di Zootropolis come Miglior Film d'Animazione, sebbene il mio cuore vada interamente a Kubo e la spada magica; va in casa Disney/Pixar anche il premio per il Miglior Corto Animato, che finisce al delizioso Piper. Il bellisimo La battaglia di Hacksaw Ridge porta purtroppo a casa solo due premi tecnici, uno per il Miglior Montaggio e uno per il Miglior Missaggio Sonoro, talmente ben fatto che me n'ero accorta persino io! Gli Effetti Speciali vanno a Il libro della giungla (se ne può parlare, a mio avviso gli altri candidati erano nettamente superiori) e rimanendo in ambito "cinema di consumo" trionfano Animali fantastici e dove trovarli per i Migliori Costumi (niente a Jackie? Vabbé, dai... vergogna!) e Suicide Squad per il Miglior Make Up (...) mentre The Salesman vince l'Oscar per il Miglior Film Straniero con un'ottima stilettata all'odiatissimo Donald Trump. E con questo chiudo, lasciandovi ai ben migliori e più dettagliati resoconti che popoleranno la rete nel corso di questa giornata. ENJOY e fate i bravi con Warren Beatty!!!
domenica 19 febbraio 2017
Manchester by the Sea (2016)
Per me era un po' l'incognita della notte degli Oscar ma questa settimana è uscito anche in Italia Manchester by the Sea, scritto e diretto nel 2016 dal regista Kenneth Lonergan e candidato a sei statuette (Miglior Film, Casey Affleck Migliore Attore Protagonista, Lucas Hedges Migliore Attore Non Protagonista, Michelle Williams Migliore Attrice Non Protagonista, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Originale) quindi non ho potuto fare a meno di dargli un'occhiata.
Trama: Lee Chandler, tuttofare a Boston, è costretto a tornare nel suo paese natale dopo la morte del fratello per prendersi cura del nipote adolescente...
Ci sono due scene che mi hanno colpita tantissimo durante la visione di Manchester by the Sea. La prima è quella ripresa anche nei poster, in cui Lee e l'ex moglie Randi si confrontano tirando fuori tutto il dolore covato negli anni, una sequenza capace di spezzare il cuore ad un sasso per quanto è intensa, la seconda invece è quella in cui il giovane Patrick viene colpito da un attacco di panico e lo zio non può fare altro che guardarlo in silenzio, offrendogli semplicemente la sua presenza come mezzo di sostegno, sequenza probabilmente meno "topica" ma altrettanto importante. Manchester by the Sea andrebbe visto anche solo per queste due scene ma l'ultimo film di Kenneth Lonergan è bellissimo in generale, entra sotto pelle e tratta un argomento difficile come l'elaborazione del lutto in maniera non banale e, soprattutto, senza calcare la mano sul patetismo; anzi, oserei dire che Manchester by the Sea, a tratti, è persino molto divertente e ha la malinconica leggerezza (o la leggera malinconia?) tipica dei lavori meglio riusciti di Lasse Hallström. La pellicola si concentra su due personaggi in particolare, Lee e suo nipote Patrick. Fin dall'inizio vediamo che tra i due c'è un rapporto speciale, risalente all'infanzia di Patrick, cementato da gite in barca e battute di pesca, eppure ad un certo punto Lee ha abbandonato fratello, nipote, cittadina sul mare e si è ritirato a Boston, dove ha cominciato a condurre una vita squallida e solitaria. Un episodio devastante ha letteralmente svuotato Lee, privandolo di qualsiasi impulso vitale e della capacità (persino della volontà) di rapportarsi agli altri o di rifarsi una vita e quando, dopo la morte del fratello, scopre di aver ricevuto in eredità la custodia del nipote, è come se il mondo gli crollasse addosso una seconda volta. Patrick è invece l'opposto dello zio: nonostante un'infanzia non facile, il bimbetto di un tempo è diventato un bel ragazzo, sicuro di sé, pieno di amici, di interessi e con un futuro probabilmente assai brillante davanti, che cerca di superare la morte dell'amato padre conducendo una vita quanto più normale possibile. Come la maggior parte dei film "a tema", Manchester by the Sea è interamente giocato sullo scontro tra questi due caratteri diversi ma non si snoda nella maniera in cui si aspetterebbe lo spettatore; la catarsi, per Lee, è minima e il suo dolore talmente immenso che non basta la forte personalità di un nipote, per quanto amato, a sciogliere il blocco di ghiaccio che l'uomo porta nel petto, non quando sotto il ghiaccio non c'è più nulla.
La morale di Manchester by the Sea, se di morale si può parlare o se il mero raccontare una storia debba per forza implicare che ne esista una, è che ognuno deve essere lasciato libero di affrontare i propri mostri interiori come meglio crede ma non necessariamente lasciato solo; il rapporto che si viene a creare tra Lee e Patrick implica un "vivi e lascia vivere" che non sottintende disinteresse, bensì l'impegno ad osservare e capire l'altro, trovando il modo migliore affinché la sua esistenza possa riprendere a scorrere nella maniera più tranquilla possibile (a scorrere o a rimanere in stasi, come i gabbiani che si lasciano trasportare dalle correnti aeree in un'altra, splendida ed importante sequenza). In Manchester by the Sea tutti quelli che elargiscono consigli, praticano il cosiddetto "small talk", hanno un estremo bisogno di confessarsi e sgravare le coscienze o cercano in qualche modo di prendere le redini dell'esistenza di coloro che ritengono più "deboli" vengono giustamente rimbalzati al mittente, in modo anche poco urbano, perché il microcosmo di una persona è delicato ed impenetrabile quanto quello della cittadina da cui il film prende il nome, quella Manchester by the Sea arroccata sul mare dove persino la primavera e l'estate odorano d'inverno. Casey Affleck, che qui offre una prova a dir poco grandiosa, E' Manchester by the Sea, con la sua aria "stundaia" e gli aculei che paiono voler trafiggere tutti quelli che osano avvicinarsi per riportarlo a fiorire, un uomo spento che vorrebbe soltanto sprofondare nel mare del suo terrificante incubo personale e per il quale sarà SEMPRE inverno, anche quando qualcuno proverà ad accendere una timida fiammella di speranza o a lasciarsi alle spalle il passato, sperando di poter ricominciare da capo. Per tutti questi motivi il finale di Manchester by the Sea non è felice e neppure consolatorio, è giusto che non lo sia, ma in esso risiede tutta la bellezza di un film capace di sorprendere, emozionare e coinvolgere lo spettatore attraverso la semplice, quasi sonnolenta quotidianità di una storia incredibilmente umana e, purtroppo, plausibile. Complimenti quindi a Kenneth Lonergan il quale, dopo sei anni di assenza dalle scene cinematografiche e un periodo esistenziale decisamente nero, è riuscito a riprendersi e a confezionare un simile gioiellino.
Del regista e sceneggiatore Kenneth Lonergan ho già parlato QUI. Casey Affleck (Lee Chandler), Kyle Chandler (Joe Chandler), Michelle Williams (Randi Chandler), Josh Hamilton (l'avvocato Wes) e Matthew Broderick (Jeffrey) li trovate invece ai rispettivi link.
Lucas Hedges interpreta Patrick. Americano, ha partecipato a film come Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore (che vedeva protagonista proprio Kara Hayward, qui nel ruolo di Silvie McCann, una delle fidanzate di Patrick), The Zero Theorem e Grand Budapest Hotel. Ha 20 anni e due film in uscita.
Stephen Henderson, che interpreta Mr. Emery, ha partecipato ad un altro dei film protagonisti dell'imminente Notte degli Oscar, ovvero Barriere. Manchester by the Sea avrebbe dovuto essere diretto, interpretato e prodotto da Matt Damon ma le vicissitudini produttive dietro al film e vari ritardi hanno portato l'attore a ritirarsi dal progetto e a rimanere solo in qualità di produttore. Per concludere, se Manchester by the Sea vi fosse piaciuto recuperate Margaret. ENJOY!
Trama: Lee Chandler, tuttofare a Boston, è costretto a tornare nel suo paese natale dopo la morte del fratello per prendersi cura del nipote adolescente...
Ci sono due scene che mi hanno colpita tantissimo durante la visione di Manchester by the Sea. La prima è quella ripresa anche nei poster, in cui Lee e l'ex moglie Randi si confrontano tirando fuori tutto il dolore covato negli anni, una sequenza capace di spezzare il cuore ad un sasso per quanto è intensa, la seconda invece è quella in cui il giovane Patrick viene colpito da un attacco di panico e lo zio non può fare altro che guardarlo in silenzio, offrendogli semplicemente la sua presenza come mezzo di sostegno, sequenza probabilmente meno "topica" ma altrettanto importante. Manchester by the Sea andrebbe visto anche solo per queste due scene ma l'ultimo film di Kenneth Lonergan è bellissimo in generale, entra sotto pelle e tratta un argomento difficile come l'elaborazione del lutto in maniera non banale e, soprattutto, senza calcare la mano sul patetismo; anzi, oserei dire che Manchester by the Sea, a tratti, è persino molto divertente e ha la malinconica leggerezza (o la leggera malinconia?) tipica dei lavori meglio riusciti di Lasse Hallström. La pellicola si concentra su due personaggi in particolare, Lee e suo nipote Patrick. Fin dall'inizio vediamo che tra i due c'è un rapporto speciale, risalente all'infanzia di Patrick, cementato da gite in barca e battute di pesca, eppure ad un certo punto Lee ha abbandonato fratello, nipote, cittadina sul mare e si è ritirato a Boston, dove ha cominciato a condurre una vita squallida e solitaria. Un episodio devastante ha letteralmente svuotato Lee, privandolo di qualsiasi impulso vitale e della capacità (persino della volontà) di rapportarsi agli altri o di rifarsi una vita e quando, dopo la morte del fratello, scopre di aver ricevuto in eredità la custodia del nipote, è come se il mondo gli crollasse addosso una seconda volta. Patrick è invece l'opposto dello zio: nonostante un'infanzia non facile, il bimbetto di un tempo è diventato un bel ragazzo, sicuro di sé, pieno di amici, di interessi e con un futuro probabilmente assai brillante davanti, che cerca di superare la morte dell'amato padre conducendo una vita quanto più normale possibile. Come la maggior parte dei film "a tema", Manchester by the Sea è interamente giocato sullo scontro tra questi due caratteri diversi ma non si snoda nella maniera in cui si aspetterebbe lo spettatore; la catarsi, per Lee, è minima e il suo dolore talmente immenso che non basta la forte personalità di un nipote, per quanto amato, a sciogliere il blocco di ghiaccio che l'uomo porta nel petto, non quando sotto il ghiaccio non c'è più nulla.
La morale di Manchester by the Sea, se di morale si può parlare o se il mero raccontare una storia debba per forza implicare che ne esista una, è che ognuno deve essere lasciato libero di affrontare i propri mostri interiori come meglio crede ma non necessariamente lasciato solo; il rapporto che si viene a creare tra Lee e Patrick implica un "vivi e lascia vivere" che non sottintende disinteresse, bensì l'impegno ad osservare e capire l'altro, trovando il modo migliore affinché la sua esistenza possa riprendere a scorrere nella maniera più tranquilla possibile (a scorrere o a rimanere in stasi, come i gabbiani che si lasciano trasportare dalle correnti aeree in un'altra, splendida ed importante sequenza). In Manchester by the Sea tutti quelli che elargiscono consigli, praticano il cosiddetto "small talk", hanno un estremo bisogno di confessarsi e sgravare le coscienze o cercano in qualche modo di prendere le redini dell'esistenza di coloro che ritengono più "deboli" vengono giustamente rimbalzati al mittente, in modo anche poco urbano, perché il microcosmo di una persona è delicato ed impenetrabile quanto quello della cittadina da cui il film prende il nome, quella Manchester by the Sea arroccata sul mare dove persino la primavera e l'estate odorano d'inverno. Casey Affleck, che qui offre una prova a dir poco grandiosa, E' Manchester by the Sea, con la sua aria "stundaia" e gli aculei che paiono voler trafiggere tutti quelli che osano avvicinarsi per riportarlo a fiorire, un uomo spento che vorrebbe soltanto sprofondare nel mare del suo terrificante incubo personale e per il quale sarà SEMPRE inverno, anche quando qualcuno proverà ad accendere una timida fiammella di speranza o a lasciarsi alle spalle il passato, sperando di poter ricominciare da capo. Per tutti questi motivi il finale di Manchester by the Sea non è felice e neppure consolatorio, è giusto che non lo sia, ma in esso risiede tutta la bellezza di un film capace di sorprendere, emozionare e coinvolgere lo spettatore attraverso la semplice, quasi sonnolenta quotidianità di una storia incredibilmente umana e, purtroppo, plausibile. Complimenti quindi a Kenneth Lonergan il quale, dopo sei anni di assenza dalle scene cinematografiche e un periodo esistenziale decisamente nero, è riuscito a riprendersi e a confezionare un simile gioiellino.
Del regista e sceneggiatore Kenneth Lonergan ho già parlato QUI. Casey Affleck (Lee Chandler), Kyle Chandler (Joe Chandler), Michelle Williams (Randi Chandler), Josh Hamilton (l'avvocato Wes) e Matthew Broderick (Jeffrey) li trovate invece ai rispettivi link.
Lucas Hedges interpreta Patrick. Americano, ha partecipato a film come Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore (che vedeva protagonista proprio Kara Hayward, qui nel ruolo di Silvie McCann, una delle fidanzate di Patrick), The Zero Theorem e Grand Budapest Hotel. Ha 20 anni e due film in uscita.
Stephen Henderson, che interpreta Mr. Emery, ha partecipato ad un altro dei film protagonisti dell'imminente Notte degli Oscar, ovvero Barriere. Manchester by the Sea avrebbe dovuto essere diretto, interpretato e prodotto da Matt Damon ma le vicissitudini produttive dietro al film e vari ritardi hanno portato l'attore a ritirarsi dal progetto e a rimanere solo in qualità di produttore. Per concludere, se Manchester by the Sea vi fosse piaciuto recuperate Margaret. ENJOY!
lunedì 9 gennaio 2017
Golden Globes 2017
Buon lunedì a tutti! Come ogni anno, siamo arrivati all'assegnazione dei fatidici Golden
Globe e mai come quest'anno li affronto con ignoranza e un fastidioso presagio di
diludendo e banalità per quel che riguarda la notte degli Oscar... ENJOY!
Miglior film - Drammatico
Moonlight (USA, 2016)
Noi italiani non ne sapremo nulla fino a marzo ma la storia di un giovane ragazzo di colore nei bassifondi di Miami ha sbaragliato una concorrenza sulla quale, lo ammetto, non ero preparata affatto. Attendiamo marzo, che dire.
Miglior film - Musical o commedia
La La Land (USA, 2016)
Com'era prevedibile, il film di Chazelle sbaraglia gli avversari, confermandosi il Must See del 2017. Dispiace per Sing Street ma con Deadpool e Florence non c'era obiettivamente gara.
Miglior attore protagonista in un film drammatico
Casey Affleck in Manchester by the Sea
L'unico attore su cui avrei potuto pronunciarmi era il bravissimo Viggo Mortensen, mandato a casa da Affleck Jr. per un film che vedremo solo a febbraio.
Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Isabelle Huppert in Elle
La superfavorita Natalie Portman si vede soffiare il Golden Globe dalla Huppert che, nell'ultimo film di Verhoeven, cerca di rintracciare l'uomo che l'ha stuprata. Da Verhoeven mi aspetto ogni cosa ma purtroppo Elle non ha ancora una data di uscita italiana quindi chissà quando riusciremo a goderci l'interpretazione della vincitrice.
Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
Ryan Gosling in La La Land
Ennesimo premio per il film di Chazelle, telefonatissimo quanto probabilmente meritato, anche se io tifavo Hugh Grant. Imbarazzanti le candidature di Jonah Hill per Trafficanti e di Ryan Reynolds per Deadpool: davvero non c'erano altri contendenti migliori?
Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Emma Stone in La La Land
Idem come sopra, premio telefonato da settimane. Almeno la Streep ce la siamo risparmiata, dai!
Miglior attore non protagonista
Aaron Taylor-Johnson in Animali Notturni
Finalmente è arrivato il PRIMO ed unico Golden Globe che capisco e approvo in toto perché questo ragazzo in Animali notturni è semplicemente favoloso. Aspettiamo l'Oscar con trepidazione!
Miglior attrice non protagonista
Viola Davis in Fences
Siccome non ho visto nessuno dei film per i quali le fanciulle erano candidate, tocca rimanere in silenzio e aspettare il 23 febbraio, quando Barriere, storia di una famiglia di colore ambientata negli anni '50, uscirà in Italia.
Miglior regista
Damien Chazelle
Avevate dubbi? Io no! Perdonatemi però se spendo una lacrima per l'elegantissimo Tom Ford.
Miglior sceneggiatura
Damien Chazelle per La La Land
E ma che due marroni!! Di nuovo, lasciatemi spendere una lacrima per Tom Ford e il suo Animali notturni e persino per Hell or High Water, che mi si dice fosse bellissimo.
Miglior canzone originale
City of Stars di Justin Hurwitz, Benj Pasek e Justin Paul, per il film La La Land
Oh, ammazzatemi ma a me piaceva quella bulicceria di Can't Stop the Feeling e anche Faith. How Far I'll Go fa troppo Frozen, non era neppure candidabile.
Miglior colonna sonora originale
La La Land di Justin Hurwitz
Ok, sta diventando imbarazzante!!!
Miglior cartone animato
Zootropolis (USA 2016)
Sul serio? Vergognatevi. Non nego che fosse un film carinissimo ma Kubo e la spada magica era mille volte superiore, per tutta una serie di motivi che spaziano dalla realizzazione alla trama. E devo ancora vedere Una vita da zucchina e Sing!
Miglior film straniero
Elle (Elle, Francia, Germania, Belgio 2016)
Come al solito, davanti al film straniero rimango in silenzio perché non ne conosco neppure uno. Come ho detto sopra, però, aspetto Verhoeven con gioia.
Due righe anche sulle serie TV, sulle quali come al solito non posso pronunciarmi visto che ne seguo pochissime. L'adorata Stranger Things è stata ovviamente snobbata, ennesima conferma di come Golden Globes e Academy non amino avere a che fare con tutto ciò che tocca anche solo lontanamente l'horror (oppure non ne capisce nulla, si veda l'anno scorso il premio a Lady Gaga): al suo posto è stato preferito The Crown, che ha visto vincitrice anche Claren Foy come miglior attrice protagonista. Tommolino Hiddleston vince come miglior attore in una miniserie (e dopo questa dovrà recuperare The Night Manager, che vede vincitori anche Hugh Laurie e Olivia Colman) e fortunatamente anche gli adoratissimi Sarah Paulson e American Crime Story sono stati celebrati con un degno premio, altrimenti avrei urlato al diludendo. E con questo è tutto... ci si risente per gli Oscar! ENJOY!
Miglior film - Drammatico
Moonlight (USA, 2016)
Noi italiani non ne sapremo nulla fino a marzo ma la storia di un giovane ragazzo di colore nei bassifondi di Miami ha sbaragliato una concorrenza sulla quale, lo ammetto, non ero preparata affatto. Attendiamo marzo, che dire.
Miglior film - Musical o commedia
La La Land (USA, 2016)
Com'era prevedibile, il film di Chazelle sbaraglia gli avversari, confermandosi il Must See del 2017. Dispiace per Sing Street ma con Deadpool e Florence non c'era obiettivamente gara.
Miglior attore protagonista in un film drammatico
Casey Affleck in Manchester by the Sea
L'unico attore su cui avrei potuto pronunciarmi era il bravissimo Viggo Mortensen, mandato a casa da Affleck Jr. per un film che vedremo solo a febbraio.
Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Isabelle Huppert in Elle
La superfavorita Natalie Portman si vede soffiare il Golden Globe dalla Huppert che, nell'ultimo film di Verhoeven, cerca di rintracciare l'uomo che l'ha stuprata. Da Verhoeven mi aspetto ogni cosa ma purtroppo Elle non ha ancora una data di uscita italiana quindi chissà quando riusciremo a goderci l'interpretazione della vincitrice.
Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
Ryan Gosling in La La Land
Ennesimo premio per il film di Chazelle, telefonatissimo quanto probabilmente meritato, anche se io tifavo Hugh Grant. Imbarazzanti le candidature di Jonah Hill per Trafficanti e di Ryan Reynolds per Deadpool: davvero non c'erano altri contendenti migliori?
Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Emma Stone in La La Land
Idem come sopra, premio telefonato da settimane. Almeno la Streep ce la siamo risparmiata, dai!
Miglior attore non protagonista
Aaron Taylor-Johnson in Animali Notturni
Finalmente è arrivato il PRIMO ed unico Golden Globe che capisco e approvo in toto perché questo ragazzo in Animali notturni è semplicemente favoloso. Aspettiamo l'Oscar con trepidazione!
Miglior attrice non protagonista
Viola Davis in Fences
Siccome non ho visto nessuno dei film per i quali le fanciulle erano candidate, tocca rimanere in silenzio e aspettare il 23 febbraio, quando Barriere, storia di una famiglia di colore ambientata negli anni '50, uscirà in Italia.
Miglior regista
Damien Chazelle
Avevate dubbi? Io no! Perdonatemi però se spendo una lacrima per l'elegantissimo Tom Ford.
Miglior sceneggiatura
Damien Chazelle per La La Land
E ma che due marroni!! Di nuovo, lasciatemi spendere una lacrima per Tom Ford e il suo Animali notturni e persino per Hell or High Water, che mi si dice fosse bellissimo.
Miglior canzone originale
City of Stars di Justin Hurwitz, Benj Pasek e Justin Paul, per il film La La Land
Oh, ammazzatemi ma a me piaceva quella bulicceria di Can't Stop the Feeling e anche Faith. How Far I'll Go fa troppo Frozen, non era neppure candidabile.
Miglior colonna sonora originale
La La Land di Justin Hurwitz
Ok, sta diventando imbarazzante!!!
Miglior cartone animato
Zootropolis (USA 2016)
Sul serio? Vergognatevi. Non nego che fosse un film carinissimo ma Kubo e la spada magica era mille volte superiore, per tutta una serie di motivi che spaziano dalla realizzazione alla trama. E devo ancora vedere Una vita da zucchina e Sing!
Miglior film straniero
Elle (Elle, Francia, Germania, Belgio 2016)
Come al solito, davanti al film straniero rimango in silenzio perché non ne conosco neppure uno. Come ho detto sopra, però, aspetto Verhoeven con gioia.
Due righe anche sulle serie TV, sulle quali come al solito non posso pronunciarmi visto che ne seguo pochissime. L'adorata Stranger Things è stata ovviamente snobbata, ennesima conferma di come Golden Globes e Academy non amino avere a che fare con tutto ciò che tocca anche solo lontanamente l'horror (oppure non ne capisce nulla, si veda l'anno scorso il premio a Lady Gaga): al suo posto è stato preferito The Crown, che ha visto vincitrice anche Claren Foy come miglior attrice protagonista. Tommolino Hiddleston vince come miglior attore in una miniserie (e dopo questa dovrà recuperare The Night Manager, che vede vincitori anche Hugh Laurie e Olivia Colman) e fortunatamente anche gli adoratissimi Sarah Paulson e American Crime Story sono stati celebrati con un degno premio, altrimenti avrei urlato al diludendo. E con questo è tutto... ci si risente per gli Oscar! ENJOY!
martedì 11 novembre 2014
Interstellar (2014)
E' uscito l'ultimo film diretto e co-sceneggiato da Christopher Nolan, Interstellar, e ovviamente tutti sono pronti a picchiarsi al grido di "E' un capolavoro!" "E' una buffonata!!". E la Bolla? E la Bolla sta nel mezzo, come al solito (ignava!) e cercherà di fornire il suo punto di vista non richiesto evitando spoiler...
Trama: la Terra è flagellata da tempeste di sabbia e da una piaga che sta a poco a poco distruggendo tutte le colture. Alcuni scienziati della NASA, scoperta la presenza di un wormhole vicino a Saturno, decidono di mandare degli astronauti a recuperare altri scienziati partiti per esplorare galassie lontane ed eventuali pianeti abitabili...
Tagliamo la testa al toro? Interstellar mi è piaciuto. Su questo non ci piove. Ho apprezzato il mastodontico lavoro di Nolan, un trionfale mix di regia, montaggio ed effetti speciali in grado di trasportarci su pianeti sconosciuti uno più mozzafiato dell'altro, solleticando la memoria cinefila con omaggi a Kubrick e ghiacciandoci letteralmente il sangue nelle vene davanti alla desolazione dello spazio e dell'ignoto. Ho ovviamente amato il gigantesco cast messo assieme dal regista, per svariati motivi: Matthew McConaughey è un eroe riluttante, "grezzo" e molto umano nel suo desiderio di riabbracciare i figli anche a rischio di sacrificare il futuro della razza umana, Anne Hathaway ha dalla sua una fragilità incredibile e, allo stesso tempo, una forza d'animo fuori dal comune, Jessica Chastain ha la fortuna di interpretare il personaggio più accattivante della pellicola, John Lithgow si vede poco (maledetto Nolan!!) ma è sempre adorabile, come del resto lo è la piccola Mackenzie Foy. La storia mi ha appassionata, o meglio, mi ha appassionata il "cuore" della sceneggiatura. L'idea di una Terra condannata ed afflitta da una piaga, condotta per mano verso la salvezza da una novella Mother Abigail (i riferimenti a L'ombra dello Scorpione non sono pochi) verso la quale puntano dei "segni" e attorno alla quale si riuniscono, inconsapevolmente, tante vite umane, è affascinante quanto il triste destino che attende chi si scontra con la relatività del tempo e quanto le scelte compiute per amore, una forza potentissima in grado di superare le barriere dello spazio e del tempo. Tanti aspetti positivi quindi, penserete, cosa voglio di più? Perché sono uscita dal cinema pensierosa e poco convinta, invece di correre nuda sotto la pioggia urlando al miracolo prima di reinfilarmi, fradicia ed infreddolita, nella sala a rivedere da capo il film?
Perché Interstellar mi ha fatto lo stesso effetto di Super 8. All'epoca ero stata una delle poche a non venire catturata dalla presunta bellezza di questo "ritorno agli anni '80 di Spielberg" e il motivo era stato uno, ed uno soltanto: non mi aveva emozionata quanto avrei voluto. Sotto l'avventura, sotto il vintage, sotto la simpatia degli interpreti e della sceneggiatura respiravo un'aria artefatta, di qualcosa costruito a tavolino. La stessa aria l'ho respirata guardando Interstellar, nonostante mi sia commossa più di una volta (nella fattispecie nel momento clou in cui McConaughey rivede i video mandati dai figli o durante l'incontro con Romilly) e nonostante il destino dei personaggi mi interessasse davvero, soprattutto durante la prima, misteriosa parte, dove viene mostrata una Terra afflitta da questa piaga senza nome. Nel corso della seconda parte ho invece avvertito il desiderio di attaccarsi a vili pretesti narrativi per allungare un film che avrebbe potuto tranquillamente durare mezz'ora in meno (la sequenza che vede protagonista Matt Damon è l'emblema della supercazzola e della gag involontaria, quasi a livello The Walking Dead), per non parlare del pre-finale spiegone e telefonatissimo che è riuscito a distruggere qualsiasi parvenza di poesia; in Inception Nolan ci tirava un bel cazzotto in faccia, con una trottola stretta nel pugno, in Interstellar lo stesso Nolan ci da una carezzina sulla testa, un pacchetto di tarallucci e una bottiglia di vino da consumare durante le inevitabili diatribe su internet. Fortunatamente, l'ultima scena è di una bellezza mozzafiato e mi ha riconciliata con l'oscura speranza che non sia tutto bene quel che finisce bene, ma è un po' poco per farmi urlare al capolavoro. Chris, ricordati che la semplicità non è necessariamente un male per quel che riguarda la sceneggiatura, soprattutto quando ci sono di mezzo i sentimenti e l'Amore. Pensa a Cuarón e provaci ancora, dai!
Del regista e co-sceneggiatore Christopher Nolan ho già parlato QUI. Di Ellen Burstyn (Murph da vecchia), Matthew McConaughey (Cooper), John Lithgow (Donald), David Oyelowo (il preside), Anne Hathaway (Brand), Wes Bentley (Doyle), Michael Caine (Professor Brand), Casey Affleck (Tom), Jessica Chastain (Murph), Topher Grace (Getty) e Matt Damon (Mann) li trovate invece ai rispettivi link.
Bill Irwin è la voce di TARS. Americano, ha partecipato a film come Popeye - Braccio di ferro, Hot Shots!, Sister Act 2 - Più svitata che mai, Sogno di una notte di mezza estate, Il Grinch, Lady in the Water e a serie come Una famiglia del terzo tipo e CSI - Scena del crimine. Anche sceneggiatore, ha 64 anni.
Josh Stewart (vero nome Joshua Regnall Stewart) è la voce di CASE. Americano, ha partecipato a film come Il curioso caso di Benjamin Button, The Collector, Il cavaliere oscuro - Il ritorno, The Collection e a serie come CSI - Scena del crimine, ER - Medici in prima linea, CSI: Miami, Ghost Whisperer, The Walking Dead e Criminal Minds. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 37 anni e un film in uscita.
La piccola Mackenzie Foy, che interpreta Murph a 10 anni, aveva già partecipato a L'evocazione - The Conjuring e agli ultimi due Twilight. Steven Spielberg, che avrebbe dovuto dirigere il film e che ha ingaggiato Jonathan Nolan per scrivere la sceneggiatura, alla fine si è dedicato ad altri progetti quindi Jonathan ha suggerito di affidare la regia al fratello. Detto questo, se Interstellar vi fosse piaciuto, recuperate senza indugio 2001: Odissea nello spazio, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Moon, Solaris e Gravity. ENJOY!
Trama: la Terra è flagellata da tempeste di sabbia e da una piaga che sta a poco a poco distruggendo tutte le colture. Alcuni scienziati della NASA, scoperta la presenza di un wormhole vicino a Saturno, decidono di mandare degli astronauti a recuperare altri scienziati partiti per esplorare galassie lontane ed eventuali pianeti abitabili...
Tagliamo la testa al toro? Interstellar mi è piaciuto. Su questo non ci piove. Ho apprezzato il mastodontico lavoro di Nolan, un trionfale mix di regia, montaggio ed effetti speciali in grado di trasportarci su pianeti sconosciuti uno più mozzafiato dell'altro, solleticando la memoria cinefila con omaggi a Kubrick e ghiacciandoci letteralmente il sangue nelle vene davanti alla desolazione dello spazio e dell'ignoto. Ho ovviamente amato il gigantesco cast messo assieme dal regista, per svariati motivi: Matthew McConaughey è un eroe riluttante, "grezzo" e molto umano nel suo desiderio di riabbracciare i figli anche a rischio di sacrificare il futuro della razza umana, Anne Hathaway ha dalla sua una fragilità incredibile e, allo stesso tempo, una forza d'animo fuori dal comune, Jessica Chastain ha la fortuna di interpretare il personaggio più accattivante della pellicola, John Lithgow si vede poco (maledetto Nolan!!) ma è sempre adorabile, come del resto lo è la piccola Mackenzie Foy. La storia mi ha appassionata, o meglio, mi ha appassionata il "cuore" della sceneggiatura. L'idea di una Terra condannata ed afflitta da una piaga, condotta per mano verso la salvezza da una novella Mother Abigail (i riferimenti a L'ombra dello Scorpione non sono pochi) verso la quale puntano dei "segni" e attorno alla quale si riuniscono, inconsapevolmente, tante vite umane, è affascinante quanto il triste destino che attende chi si scontra con la relatività del tempo e quanto le scelte compiute per amore, una forza potentissima in grado di superare le barriere dello spazio e del tempo. Tanti aspetti positivi quindi, penserete, cosa voglio di più? Perché sono uscita dal cinema pensierosa e poco convinta, invece di correre nuda sotto la pioggia urlando al miracolo prima di reinfilarmi, fradicia ed infreddolita, nella sala a rivedere da capo il film?
Perché Interstellar mi ha fatto lo stesso effetto di Super 8. All'epoca ero stata una delle poche a non venire catturata dalla presunta bellezza di questo "ritorno agli anni '80 di Spielberg" e il motivo era stato uno, ed uno soltanto: non mi aveva emozionata quanto avrei voluto. Sotto l'avventura, sotto il vintage, sotto la simpatia degli interpreti e della sceneggiatura respiravo un'aria artefatta, di qualcosa costruito a tavolino. La stessa aria l'ho respirata guardando Interstellar, nonostante mi sia commossa più di una volta (nella fattispecie nel momento clou in cui McConaughey rivede i video mandati dai figli o durante l'incontro con Romilly) e nonostante il destino dei personaggi mi interessasse davvero, soprattutto durante la prima, misteriosa parte, dove viene mostrata una Terra afflitta da questa piaga senza nome. Nel corso della seconda parte ho invece avvertito il desiderio di attaccarsi a vili pretesti narrativi per allungare un film che avrebbe potuto tranquillamente durare mezz'ora in meno (la sequenza che vede protagonista Matt Damon è l'emblema della supercazzola e della gag involontaria, quasi a livello The Walking Dead), per non parlare del pre-finale spiegone e telefonatissimo che è riuscito a distruggere qualsiasi parvenza di poesia; in Inception Nolan ci tirava un bel cazzotto in faccia, con una trottola stretta nel pugno, in Interstellar lo stesso Nolan ci da una carezzina sulla testa, un pacchetto di tarallucci e una bottiglia di vino da consumare durante le inevitabili diatribe su internet. Fortunatamente, l'ultima scena è di una bellezza mozzafiato e mi ha riconciliata con l'oscura speranza che non sia tutto bene quel che finisce bene, ma è un po' poco per farmi urlare al capolavoro. Chris, ricordati che la semplicità non è necessariamente un male per quel che riguarda la sceneggiatura, soprattutto quando ci sono di mezzo i sentimenti e l'Amore. Pensa a Cuarón e provaci ancora, dai!
Del regista e co-sceneggiatore Christopher Nolan ho già parlato QUI. Di Ellen Burstyn (Murph da vecchia), Matthew McConaughey (Cooper), John Lithgow (Donald), David Oyelowo (il preside), Anne Hathaway (Brand), Wes Bentley (Doyle), Michael Caine (Professor Brand), Casey Affleck (Tom), Jessica Chastain (Murph), Topher Grace (Getty) e Matt Damon (Mann) li trovate invece ai rispettivi link.
Bill Irwin è la voce di TARS. Americano, ha partecipato a film come Popeye - Braccio di ferro, Hot Shots!, Sister Act 2 - Più svitata che mai, Sogno di una notte di mezza estate, Il Grinch, Lady in the Water e a serie come Una famiglia del terzo tipo e CSI - Scena del crimine. Anche sceneggiatore, ha 64 anni.
Josh Stewart (vero nome Joshua Regnall Stewart) è la voce di CASE. Americano, ha partecipato a film come Il curioso caso di Benjamin Button, The Collector, Il cavaliere oscuro - Il ritorno, The Collection e a serie come CSI - Scena del crimine, ER - Medici in prima linea, CSI: Miami, Ghost Whisperer, The Walking Dead e Criminal Minds. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 37 anni e un film in uscita.
La piccola Mackenzie Foy, che interpreta Murph a 10 anni, aveva già partecipato a L'evocazione - The Conjuring e agli ultimi due Twilight. Steven Spielberg, che avrebbe dovuto dirigere il film e che ha ingaggiato Jonathan Nolan per scrivere la sceneggiatura, alla fine si è dedicato ad altri progetti quindi Jonathan ha suggerito di affidare la regia al fratello. Detto questo, se Interstellar vi fosse piaciuto, recuperate senza indugio 2001: Odissea nello spazio, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Moon, Solaris e Gravity. ENJOY!
martedì 16 ottobre 2012
ParaNorman (2012)
Uno dei film che più aspettavo questa settimana era ParaNorman, diretto da Chris Butler e Sam Fell. Sono andata a vederlo qualche sera fa e devo dire che ne sono rimasta piacevolmente sorpresa…
Trama: Norman è un ragazzino in grado di parlare con i morti e per questo viene evitato dalle persone e tacciato come pazzoide o, peggio, mostro. Quando però la città verrà invasa dagli zombi i poteri di Norman torneranno decisamente utili!
Entrando in sala mi aspettavo che ParaNorman fosse uno di quei cartoni animati esilaranti e molto citazionisti, una roba tipo Mostri contro alieni, per intenderci, magari giusto un po’ più gotico perché, d’altronde, i realizzatori sono gli stessi di Coraline. Ebbene, niente di più sbagliato! Certo, ParaNorman abbonda di citazioni cinefile e ci sono delle gag a dir poco esilaranti, ma la storia in sé è molto commovente, a tratti addirittura triste e sono più i momenti in cui si riflette e si prova pietà per i personaggi rispetto a quelli in cui si ride. Fin dall’inizio, infatti, la vita di Norman ci viene presentata come una costante lotta contro il giudizio altrui, il bullismo e la solitudine; persino i genitori del ragazzino (un’ex figlia dei fiori e il tipico medioman americano) non credono che lui possa parlare con il fantasma della nonna e reagiscono alle sue “stranezze” con atteggiamenti che vanno dalla rassegnazione alla rabbia seguita dal divieto di uscire di casa. Gli sceneggiatori, ovviamente, non si fanno scrupolo a mostrarci chiaramente quali siano i motivi per cui la vita di Norman è così miserabile, ovvero l’ignoranza e il pregiudizio di chi lo circonda. La città in cui vive il protagonista è infatti la tipica cittadina americana abitata da buzzurri ciccioni che si preparano ogni anno per il tristissimo festival annuale dedicato a qualche evento folkloristico del passato, in questo caso l’impiccagione di una strega ai tempi dei padri pellegrini, incuranti di ciò che si nascondeva all’epoca dietro un’usanza così barbara e incuranti delle persone che cercano di far aprire loro gli occhi. Più il film va avanti, più le aspettative dello spettatore (e dei protagonisti) vengono completamente ribaltate e la “paura” per il diverso e il mostruoso comincia a cedere il passo alla pietà per chi è stato condannato ad un orrendo destino, costringendo i personaggi ad evitare coscientemente i cliché del film horror, cercando il dialogo prima ancora della fuga o della violenza.
Altro non dico sulla trama per non rovinare la sorpresa, passiamo alla realizzazione di ParaNorman, praticamente perfetta. I movimenti dei pupazzetti catturati dalla stop-motion sono fluidi e realistici, il character design del protagonista e della sua ciccionissima spalla è delizioso mentre tutti gli altri personaggi sono caricaturali ed inguardabili, un perfetto riflesso della loro pochezza interiore. Per gli appassionati di B – movie horror, come me, l’inizio del film vale da solo il prezzo del biglietto: ParaNorman comincia infatti con un film nel film, introdotto dalla scritta “a grindhouse feature” e accompagnato da una musica inquietante che ricorda molto quelle degli horror di Fulci, un esilarante compendio di luoghi comuni del genere, con la scream queen di turno che rimane immobile davanti allo zombi a urlare finché non le scoppiano i polmoni e che viene persino colpita da un inopportuno microfono che il regista non riesce ad eliminare dall’inquadratura. ParaNorman continua con queste alzate d’ingegno e con alcuni siparietti comici affidati al folle zio del protagonista e al bulletto Alvin (doppiato in originale da quel genio di Christopher Mintz – Plasse, riconoscibilissimo nell’”anima” del personaggio anche in Italia) senza che venga perso di vista il senso stesso della vicenda narrata, cosa che raramente accade nei cartoni animati recenti, dove la trama viene spesso sacrificata a favore di una concatenazione di gag e citazioni. Se poi pensate che, credo per la prima volta in assoluto, in ParaNorman viene introdotto un personaggio gay, che la morte “vera” di una persona viene rappresentata senza troppi fronzoli e che si parla un passato comunque molto poco lusinghiero per l’America, direi che vale proprio la pena di andare a vedere questo film al cinema, tenendo presente due cose: il 3D non apporta nulla alla pellicola quindi potete guardarlo tranquillamente in una sala normale e fossi in voi non porterei bambini troppo piccoli perché il concetto che sta alla base di ParaNorman è di una crudeltà infinita. Ah, e rimanete in sala fino alla fine dei titoli di coda, perché sono a dir poco splendidi e vi mostrano anche come vengono realizzati i personaggi.
Di Kodi Smit – McPhee (doppiatore originale di Norman), Anna Kendrick (Courtney), Christopher Mintz – Plasse (Alvin) e John Goodman (Mr. Penderghast) ho già parlato nei rispettivi link.
Chris Butler è il regista e sceneggiatore della pellicola, alla sua prima esperienza, anche se aveva già lavorato agli storyboard de La sposa cadavere e Coraline.
Sam Fell è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto Giù per il tubo e Le avventure del topino Despereaux. E’ anche doppiatore e sceneggiatore.
Casey Affleck (vero nome Caleb Casey Affleck) è il doppiatore originale di Mitch. Fratello minore di Ben Affleck, ha partecipato a film come In cerca di Amy, American Pie, Will Hunting – Genio ribelle, American Pie 2, Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco, Ocean’s Twelve e Ocean’s Thirteen. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 37 anni e tre film in uscita.
Bernard Hill è il doppiatore originale del giudice. Inglese, lo ricordo per il ruolo di Theoden nella trilogia de Il Signore degli Anelli, inoltre ha partecipato a film come Gandhi, Il Bounty, Titanic, Il primo cavaliere, Spiriti nelle tenebre, Sogno di una notte di mezza estate, Il re scorpione e Gothika. Ha 68 anni e due film in uscita.
Jodelle Ferland è la doppiatrice originale di Aggie. Canadese, ha partecipato a film come They - Incubi dal mondo delle ombre, Carrie (il film TV), Silent Hill, The Messengers, The Twilight Saga: Eclipse, Quella casa nel bosco e a serie come Dark Angel, Smallville, Kingdom Hospital, Supernatural e Masters of Horror. Ha 18 anni e tre film in uscita.
Infine, sappiate che Alex Borstein, che nel film doppia Mrs. Henscher, è la voce storica della Lois de I Griffin. Se ParaNorman vi fosse piaciuto, ovviamente, non perdetevi Coraline e la porta magica e Monster House. ENJOY!!
Trama: Norman è un ragazzino in grado di parlare con i morti e per questo viene evitato dalle persone e tacciato come pazzoide o, peggio, mostro. Quando però la città verrà invasa dagli zombi i poteri di Norman torneranno decisamente utili!
Entrando in sala mi aspettavo che ParaNorman fosse uno di quei cartoni animati esilaranti e molto citazionisti, una roba tipo Mostri contro alieni, per intenderci, magari giusto un po’ più gotico perché, d’altronde, i realizzatori sono gli stessi di Coraline. Ebbene, niente di più sbagliato! Certo, ParaNorman abbonda di citazioni cinefile e ci sono delle gag a dir poco esilaranti, ma la storia in sé è molto commovente, a tratti addirittura triste e sono più i momenti in cui si riflette e si prova pietà per i personaggi rispetto a quelli in cui si ride. Fin dall’inizio, infatti, la vita di Norman ci viene presentata come una costante lotta contro il giudizio altrui, il bullismo e la solitudine; persino i genitori del ragazzino (un’ex figlia dei fiori e il tipico medioman americano) non credono che lui possa parlare con il fantasma della nonna e reagiscono alle sue “stranezze” con atteggiamenti che vanno dalla rassegnazione alla rabbia seguita dal divieto di uscire di casa. Gli sceneggiatori, ovviamente, non si fanno scrupolo a mostrarci chiaramente quali siano i motivi per cui la vita di Norman è così miserabile, ovvero l’ignoranza e il pregiudizio di chi lo circonda. La città in cui vive il protagonista è infatti la tipica cittadina americana abitata da buzzurri ciccioni che si preparano ogni anno per il tristissimo festival annuale dedicato a qualche evento folkloristico del passato, in questo caso l’impiccagione di una strega ai tempi dei padri pellegrini, incuranti di ciò che si nascondeva all’epoca dietro un’usanza così barbara e incuranti delle persone che cercano di far aprire loro gli occhi. Più il film va avanti, più le aspettative dello spettatore (e dei protagonisti) vengono completamente ribaltate e la “paura” per il diverso e il mostruoso comincia a cedere il passo alla pietà per chi è stato condannato ad un orrendo destino, costringendo i personaggi ad evitare coscientemente i cliché del film horror, cercando il dialogo prima ancora della fuga o della violenza.
Altro non dico sulla trama per non rovinare la sorpresa, passiamo alla realizzazione di ParaNorman, praticamente perfetta. I movimenti dei pupazzetti catturati dalla stop-motion sono fluidi e realistici, il character design del protagonista e della sua ciccionissima spalla è delizioso mentre tutti gli altri personaggi sono caricaturali ed inguardabili, un perfetto riflesso della loro pochezza interiore. Per gli appassionati di B – movie horror, come me, l’inizio del film vale da solo il prezzo del biglietto: ParaNorman comincia infatti con un film nel film, introdotto dalla scritta “a grindhouse feature” e accompagnato da una musica inquietante che ricorda molto quelle degli horror di Fulci, un esilarante compendio di luoghi comuni del genere, con la scream queen di turno che rimane immobile davanti allo zombi a urlare finché non le scoppiano i polmoni e che viene persino colpita da un inopportuno microfono che il regista non riesce ad eliminare dall’inquadratura. ParaNorman continua con queste alzate d’ingegno e con alcuni siparietti comici affidati al folle zio del protagonista e al bulletto Alvin (doppiato in originale da quel genio di Christopher Mintz – Plasse, riconoscibilissimo nell’”anima” del personaggio anche in Italia) senza che venga perso di vista il senso stesso della vicenda narrata, cosa che raramente accade nei cartoni animati recenti, dove la trama viene spesso sacrificata a favore di una concatenazione di gag e citazioni. Se poi pensate che, credo per la prima volta in assoluto, in ParaNorman viene introdotto un personaggio gay, che la morte “vera” di una persona viene rappresentata senza troppi fronzoli e che si parla un passato comunque molto poco lusinghiero per l’America, direi che vale proprio la pena di andare a vedere questo film al cinema, tenendo presente due cose: il 3D non apporta nulla alla pellicola quindi potete guardarlo tranquillamente in una sala normale e fossi in voi non porterei bambini troppo piccoli perché il concetto che sta alla base di ParaNorman è di una crudeltà infinita. Ah, e rimanete in sala fino alla fine dei titoli di coda, perché sono a dir poco splendidi e vi mostrano anche come vengono realizzati i personaggi.
Di Kodi Smit – McPhee (doppiatore originale di Norman), Anna Kendrick (Courtney), Christopher Mintz – Plasse (Alvin) e John Goodman (Mr. Penderghast) ho già parlato nei rispettivi link.
Chris Butler è il regista e sceneggiatore della pellicola, alla sua prima esperienza, anche se aveva già lavorato agli storyboard de La sposa cadavere e Coraline.
Sam Fell è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto Giù per il tubo e Le avventure del topino Despereaux. E’ anche doppiatore e sceneggiatore.
Casey Affleck (vero nome Caleb Casey Affleck) è il doppiatore originale di Mitch. Fratello minore di Ben Affleck, ha partecipato a film come In cerca di Amy, American Pie, Will Hunting – Genio ribelle, American Pie 2, Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco, Ocean’s Twelve e Ocean’s Thirteen. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 37 anni e tre film in uscita.
Bernard Hill è il doppiatore originale del giudice. Inglese, lo ricordo per il ruolo di Theoden nella trilogia de Il Signore degli Anelli, inoltre ha partecipato a film come Gandhi, Il Bounty, Titanic, Il primo cavaliere, Spiriti nelle tenebre, Sogno di una notte di mezza estate, Il re scorpione e Gothika. Ha 68 anni e due film in uscita.
Jodelle Ferland è la doppiatrice originale di Aggie. Canadese, ha partecipato a film come They - Incubi dal mondo delle ombre, Carrie (il film TV), Silent Hill, The Messengers, The Twilight Saga: Eclipse, Quella casa nel bosco e a serie come Dark Angel, Smallville, Kingdom Hospital, Supernatural e Masters of Horror. Ha 18 anni e tre film in uscita.
Infine, sappiate che Alex Borstein, che nel film doppia Mrs. Henscher, è la voce storica della Lois de I Griffin. Se ParaNorman vi fosse piaciuto, ovviamente, non perdetevi Coraline e la porta magica e Monster House. ENJOY!!
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