Credevo non sarei riuscita a vederlo ma, come si suol dire, volere è potere e così giovedì sono andata al cinema per guardare Toy Story 4, diretto dal regista Josh Cooley. NO SPOILER, almeno ci proviamo!
Trama: i giocattoli che erano di Andy passano ora una vita più o meno serena nella cameretta di Bonnie, ormai pronta per andare all'asilo. L'arrivo del "giocattolo" Forky e un'inaspettata vacanza in camper arrivano a scombinare le cose...
Avevamo lasciato Woody e soci nelle amorevoli mani di Bonnie, nell'ormai lontano 2010. Una perfetta quadratura del cerchio, così come perfetto era Toy Story 3, conclusosi con il passaggio di consegne da una generazione a un'altra, con Andy che, diventato adulto, donava i compagni di una vita a una bambina che la sua l'aveva appena iniziata. Non c'era bisogno di un Toy Story 4, questo sia chiaro a tutti, ovviamente, perché la storia aveva già raggiunto la sua naturale conclusione. Però, come viene spesso ripetuto nello stesso film, c'è gente che non riesce ad andare avanti e a lasciarsi alle spalle il passato (soprattutto quando c'era UNA piccola questione in sospeso in Toy Story 3), che passerebbe tutta la vita chiusa in una teca di vetro dove vengono proiettati vecchi film Disney o Pixar 24 ore su 24, e a tutti loro è dedicato questo Toy Story 4. A loro e a chi, come il nuovo personaggio Forky, fatica ad accettare di poter diventare qualcos'altro, al di là dei pregiudizi che lo bloccano precludendogli mille interessanti possibilità. A quelle persone che faticano ad uscire dalla loro confort zone trovando mille scuse per non fare un passo avanti, rasentando una psicosi dannosa tanto per se stessi quanto per gli altri. Toy Story 4 è pieno di questi personaggi, Woody in primis, terrorizzati di perdere quello che pensano essere il loro posto nel mondo, al di là del quale c'è una terrificante oscurità fatta di incertezze e solitudine; è proprio questa incapacità di "evolvere" (specchio della paura della piccola Bonnie di andare all'asilo) il motore di una storia in cui Woody e soci si ritroveranno nuovamente coinvolti in una tipica, rocambolesca missione di recupero all'interno della quale i giocattoli dovranno mettere in mostra tutte le loro abilità senza farsi scoprire e senza mostrare agli umani la sottile vena di follia che li caratterizza. Una storia dove i momenti nostalgici e commoventi sono dietro l'angolo, pronti a colpire a tradimento, spingendo lo spettatore particolarmente cretino (ovvero io) a mettere mano ai fazzoletti, e dove si ride parecchio, anche perché il tasso di demenza dei nuovi personaggi introdotti è assai elevato.
E' tuttavia palese, al di là di tutti questi aspetti positivi, che molti personaggi non avessero più nulla da dire. I vecchi giocattoli, che nei primi tre film riuscivano a ritagliarsi un indispensabile spazio sotto i riflettori e a far da degna spalla a Woody (pezzi grossi come Jessie e Buzz Lightyear) qui sono molto sotto tono, parte del "mucchio" e spesso ridotti a far da tappezzeria, lasciando spazio a nuove creaturine che faranno impazzire gli abituali acquirenti di Funko Pop e prodotti del Disney Store e che, in effetti, sono molto spassose. Avevo molta paura di Forky, lo ammetto. Per i primi 20 minuti è l'equivalente di una gag tirata per le lunghe e non aiuta che a doppiarlo sia Luca Laurenti, dotato ahilui di una voce che mi istiga la violenza, poi per fortuna riesce in qualche modo a sbloccarsi e a rendersi amabile, anche se la palma di migliori personaggi (salvo una Bo-Peep evolutasi in uno dei migliori personaggi femminili Pixar di sempre) vanno agli svampitissimi peluche Ducky e Bunny, con quei loro sogni ad occhi aperti capaci di far la gioia di ogni amante dei film horror. Anzi, io chiederei a gran voce che gli sceneggiatori di Toy Story 4, assieme al regista, realizzassero qualcosa in ambito horror, in quanto hanno una conoscenza del genere (i riferimenti a Shining si sprecano. Chiedetevi, tra le altre cose, dove avete già sentito la canzone Midnight, the Stars and You. Ah, non c'entra nulla ma divertitevi anche a trovare una Boo cresciuta!), dei suoi topoi e dei suoi ritmi superiore a quella di molti registi e sceneggiatori impegnati nel campo, vedere le terrificanti marionette che accompagnano Gabby Gabby per credere ma anche gli inquietantissimi piani d'attacco di Ducky e Bunny. Sugli aspetti tecnici della pellicola c'è poco da dire, le animazioni e il character design sono a livelli superiori come sempre e in generale Toy Story 4 è un film piacevolissimo da vedere, sia per grandi che per piccini, perfettamente inserito all'interno di quel cerchio "chiuso" formato dalle prime tre pellicole. Insomma, quello che partiva come un film "inutile" è un gran bel quarto capitolo, da vedere e rivedere come i predecessori. Sperando, con tutto il rispetto, che sia finita lì, altrimenti tutti gli insegnamenti di Toy Story 4 saranno stati vani.
Di Tom Hanks (voce originale di Woody), Tim Allen (Buzz Lightyear), Annie Potts (Bo-Peep), Christina Hendricks (Gabby Gabby), Jordan Peele (Bunny), Keanu Reeves (Duke Caboom), Jay Hernandez (papà di Bonnie), Joan Cusack (Jessie), Bonnie Hunt (Dolly), Wallace Shawn (Rex), Laurie Metcalf (la mamma di Andy), Mel Brooks (Melephant Brooks), Bill Hader (Axel il giostraio), Patricia Arquette (la mamma di Harmony), Timothy Dalton (Mr. Pricklepants), Carl Weathers (Combat Carl) e Flea (voce dello spot di Caboom) ho già parlato ai rispettivi link.
Josh Cooley è il regista della pellicola. Americano, è al suo primo lungometraggio ma aveva già diretto il corto Il primo appuntamento di Riley. Anche doppiatore, sceneggiatore e animatore, ha 39 anni.
Tony Hale è la voce originale di Forky. Americano, ha partecipato a film come Yoga Hosers e a serie quali Dawson's Creek. I Soprano, Sex and the City, E. R. Medici in prima linea, Numb3rs, Medium e Una serie di sfortunati eventi. Anche produttore, ha 49 anni e un film in uscita.
Keegan-Michael Key è la voce originale di Ducky. Collaboratore storico di Jordan Peele, ha partecipato a film come Parto col folle, Come ammazzare il capo 2, Tomorrowland - Il mondo di domani, Scappa: Get Out, The Predator e a serie quali E.R. Medici in prima linea, How I Met Your Mother e Fargo, inoltre ha già lavorato come doppiatore per The Lego Movie, Hotel Transylvania 2 e Bojack Horseman, Robot Chicken, I Simpson e American Dad!. Anche sceneggiatore e produttore, ha 48 anni e quattro film in uscita tra cui Il re leone.
La voce originale di Bonnie è della giovanissima Madeleine McGraw che, nella serie Outcast, interpretava la figlia di Kyle Barnes. Nell'armadio di Bonnie si riuniscono un po' di vecchie glorie della commedia americana: assieme al Melephant Brooks ci sono infatti Chairol Burnett (la sedia verde doppiata da Carol Burnett), Bitey White (tigrotta doppiata da Betty White) e Carl Reinoceros (rinoceronte doppiato da Carl Reiner). Tra i doppiatori italiani segnalo invece il già citato Luca Laurenti (Forky) e Corrado Guzzanti (Duke Caboom). Il film segue, ovviamente, Toy Story, Toy Story 2 e Toy Story 3, assieme ai corti Vacanze hawaiiane, Buzz a sorpresa, Non c'è festa senza Rex, Toy Story of Terror e Toy Story - Tutto un altro mondo, tutte cosette che vi consiglio di recuperare. ENJOY!
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domenica 30 giugno 2019
mercoledì 6 giugno 2018
The Strangers: Prey at Night (2018)
Nonostante la pessima programmazione savonese, in questi giorni sono riuscita a recuperare The Strangers: Prey at Night, diretto dal regista Johannes Roberts.
Trama: I membri di una famiglia decidono di fermarsi in un trailer park in riva al lago durante il tragitto verso il collegio dove hanno iscritto la figlia minore; il luogo, tuttavia, è diventato terreno di caccia di tre killer mascherati...
Ricordo The Strangers come una delle esperienze cinematografiche più terrificanti della mia vita e in effetti non ho mai più avuto voglia di riguardarlo dopo la visione di dieci anni fa. Il film di Bertino mi aveva fatto capire che l'home invasion, se realizzato bene, è il genere horror in grado di farmi più paura, soprattutto per il suo modo di rappresentare una realtà abitativa assai simile a quella dove vivo io; guardando pellicole come The Strangers non mi riesce difficile, infatti, immaginare tre tizi mascherati nascosti nell'orto sotto casa, nell'androne della scala, nei dintorni con pochissimi vicini di casa, nelle ombre della cantina, pronti a bussare a una porta che da direttamente sulla strada, al pianterreno. Mi avevano detto che, a differenza di The Strangers, questo Prey at Night era una schifezza, una cretinata, un sequel che non avrebbe nemmeno dovuto esistere... ma io, senza vergogna, ammetto di essermela fatta sotto durante la visione, perché il concetto di base non è cambiato: c'è sempre una normalissima famiglia (stavolta le vittime sono quattro invece di due) in un posto normalissimo benché isolato e ci sono sempre tre stronzi mascherati, tre esseri umani normalissimi, che decidono di farne fuori i membri, così, senza un motivo plausibile. Attenzione però, le differenze tra il film di Bertino e quello di Roberts ci sono e saltano subito all'occhio. Il primo The Strangers non ricercava la spettacolarità fine a se stessa e sottolineava sia la sciocca casualità degli eventi sia la banalità del male, con una piccola stoccata alla realtà bucolica e religiosa delle piccole città della provincia americana, qui invece siamo più nell'ambito dello slasher "cialtrone" e alcune scelte di sceneggiatura sono esagerate come quelle di un qualsiasi horror girato negli anni '80 o '90, con gente che non muore nemmeno a darle fuoco oppure mezzi della polizia sfondati da un pick-up preso da un rigattiere, solo per fare due esempi non spoilerosi. Del resto è probabilmente anche giusto così visto che sono passati dieci anni da The Strangers e nel frattempo non solo il pubblico ha capito il gioco ma si è come minimo visto You're Next, Vacancy e tutta la saga di The Purge, quindi quasi sicuramente l'home invasion "raffinato", realistico e per buona metà silenzioso in stile Bertino non avrebbe più fatto presa e sarebbe stato criticato per l'eccessiva lentezza (Su The Monster, per esempio, ho letto le peggio cose e puntavano tutte sul fatto che nel corso del film "non succedesse niente"; il pubblico però è anche un rompico**ioni, attenzione, infatti Prey at Night è stato massacrato dalla critica perché "non è come il primo". E grazie al ca**o, aggiungo io).
Prey at Night è dunque un'opera più banale rispetto al suo predecessore, più prevedibile e stupidina ma comunque divertente, molto soddisfacente e, soprattutto, ben realizzata, debitrice di quello stile furbo e smaccatamente anni '80 che va tanto di moda adesso ma senza esagerare. Per intenderci, gli omaggi a Carpenter (Fog per la colonna sonora, Christine - La macchina infernale per l'intera sequenza sul pre-finale) e Non aprite quella porta si sprecano e vengono sbattuti in faccia allo spettatore con una sfacciataggine incredibile, però la regia di Johannes Roberts non è solo fuffa mista a omaggi; il regista ci sa fare, ricerca delle belle soluzioni visive, ci ricorda la bellezza del suo In the Deep attraverso una deliziosa ed angosciante sequenza subacquea, in generale non da mai l'impressione allo spettatore di avere davanti un film diretto con sciatteria o impersonalità dal classico signor Nessuno e questo è sicuramente un punto a suo favore. Il secondo punto a favore di Prey at Night è la colonna sonora, anche questa terribilmente citazionista e ruffiana ma perdonatemi se davanti all'utilizzo "improprio" di Total Eclipse of the Heart mi sono sciolta, trattenendo l'applauso a stento. Meno bene gli attori, invece, con tre protagonisti su quattro non pervenuti: come ho scritto agli amichetti blogger su uazzap, la mocciosetta ribelle ha un bel paio di polmoni e strilla come un aquilotto, inoltre la sua facciotta è particolarmente espressiva quando manifesta disgusto o paura, per il resto c'è solo da lamentare il sottoutilizzo della Hendricks e il nulla più assoluto trasmesso dal cast maschile, persino nei momenti più concitati. I tre Strangers, dal canto loro, se la cavano invece grazie alle maschere ma la bionda del primo film era decisamente migliore. In conclusione, anche in virtù di un reparto effetti speciali splatter non disprezzabile, conferisco testé a Prey at Night il titolo di sequel molto carino, meritevole di una visione, per una perfetta serata da passare a sollazzarsi tra un attacco di tachicardia e un momento karaoke.
Del regista Johannes Roberts ho già parlato QUI mentre Christina Hendricks, che interpreta Cindy, la trovate QUA.
Martin Henderson, che interpreta Mike, era l'ex marito di Naomi Watts in The Ring. SPOILER DEL PRIMO THE STRANGERS: Prima che lo script venisse rimaneggiato, l'idea era quella di far tornare la protagonista di The Strangers per le sequenze iniziali e di farla uccidere lì. FINE SPOILER DEL PRIMO THE STRANGERS che, ovviamente, vi consiglio di recuperare per poi aggiungere Vacancy, You're Next, Them, Funny Games ,A' l'interieur, la saga di The Purge e magari anche Un giorno di terrore. ENJOY!
Trama: I membri di una famiglia decidono di fermarsi in un trailer park in riva al lago durante il tragitto verso il collegio dove hanno iscritto la figlia minore; il luogo, tuttavia, è diventato terreno di caccia di tre killer mascherati...
Ricordo The Strangers come una delle esperienze cinematografiche più terrificanti della mia vita e in effetti non ho mai più avuto voglia di riguardarlo dopo la visione di dieci anni fa. Il film di Bertino mi aveva fatto capire che l'home invasion, se realizzato bene, è il genere horror in grado di farmi più paura, soprattutto per il suo modo di rappresentare una realtà abitativa assai simile a quella dove vivo io; guardando pellicole come The Strangers non mi riesce difficile, infatti, immaginare tre tizi mascherati nascosti nell'orto sotto casa, nell'androne della scala, nei dintorni con pochissimi vicini di casa, nelle ombre della cantina, pronti a bussare a una porta che da direttamente sulla strada, al pianterreno. Mi avevano detto che, a differenza di The Strangers, questo Prey at Night era una schifezza, una cretinata, un sequel che non avrebbe nemmeno dovuto esistere... ma io, senza vergogna, ammetto di essermela fatta sotto durante la visione, perché il concetto di base non è cambiato: c'è sempre una normalissima famiglia (stavolta le vittime sono quattro invece di due) in un posto normalissimo benché isolato e ci sono sempre tre stronzi mascherati, tre esseri umani normalissimi, che decidono di farne fuori i membri, così, senza un motivo plausibile. Attenzione però, le differenze tra il film di Bertino e quello di Roberts ci sono e saltano subito all'occhio. Il primo The Strangers non ricercava la spettacolarità fine a se stessa e sottolineava sia la sciocca casualità degli eventi sia la banalità del male, con una piccola stoccata alla realtà bucolica e religiosa delle piccole città della provincia americana, qui invece siamo più nell'ambito dello slasher "cialtrone" e alcune scelte di sceneggiatura sono esagerate come quelle di un qualsiasi horror girato negli anni '80 o '90, con gente che non muore nemmeno a darle fuoco oppure mezzi della polizia sfondati da un pick-up preso da un rigattiere, solo per fare due esempi non spoilerosi. Del resto è probabilmente anche giusto così visto che sono passati dieci anni da The Strangers e nel frattempo non solo il pubblico ha capito il gioco ma si è come minimo visto You're Next, Vacancy e tutta la saga di The Purge, quindi quasi sicuramente l'home invasion "raffinato", realistico e per buona metà silenzioso in stile Bertino non avrebbe più fatto presa e sarebbe stato criticato per l'eccessiva lentezza (Su The Monster, per esempio, ho letto le peggio cose e puntavano tutte sul fatto che nel corso del film "non succedesse niente"; il pubblico però è anche un rompico**ioni, attenzione, infatti Prey at Night è stato massacrato dalla critica perché "non è come il primo". E grazie al ca**o, aggiungo io).
Prey at Night è dunque un'opera più banale rispetto al suo predecessore, più prevedibile e stupidina ma comunque divertente, molto soddisfacente e, soprattutto, ben realizzata, debitrice di quello stile furbo e smaccatamente anni '80 che va tanto di moda adesso ma senza esagerare. Per intenderci, gli omaggi a Carpenter (Fog per la colonna sonora, Christine - La macchina infernale per l'intera sequenza sul pre-finale) e Non aprite quella porta si sprecano e vengono sbattuti in faccia allo spettatore con una sfacciataggine incredibile, però la regia di Johannes Roberts non è solo fuffa mista a omaggi; il regista ci sa fare, ricerca delle belle soluzioni visive, ci ricorda la bellezza del suo In the Deep attraverso una deliziosa ed angosciante sequenza subacquea, in generale non da mai l'impressione allo spettatore di avere davanti un film diretto con sciatteria o impersonalità dal classico signor Nessuno e questo è sicuramente un punto a suo favore. Il secondo punto a favore di Prey at Night è la colonna sonora, anche questa terribilmente citazionista e ruffiana ma perdonatemi se davanti all'utilizzo "improprio" di Total Eclipse of the Heart mi sono sciolta, trattenendo l'applauso a stento. Meno bene gli attori, invece, con tre protagonisti su quattro non pervenuti: come ho scritto agli amichetti blogger su uazzap, la mocciosetta ribelle ha un bel paio di polmoni e strilla come un aquilotto, inoltre la sua facciotta è particolarmente espressiva quando manifesta disgusto o paura, per il resto c'è solo da lamentare il sottoutilizzo della Hendricks e il nulla più assoluto trasmesso dal cast maschile, persino nei momenti più concitati. I tre Strangers, dal canto loro, se la cavano invece grazie alle maschere ma la bionda del primo film era decisamente migliore. In conclusione, anche in virtù di un reparto effetti speciali splatter non disprezzabile, conferisco testé a Prey at Night il titolo di sequel molto carino, meritevole di una visione, per una perfetta serata da passare a sollazzarsi tra un attacco di tachicardia e un momento karaoke.
Del regista Johannes Roberts ho già parlato QUI mentre Christina Hendricks, che interpreta Cindy, la trovate QUA.
Martin Henderson, che interpreta Mike, era l'ex marito di Naomi Watts in The Ring. SPOILER DEL PRIMO THE STRANGERS: Prima che lo script venisse rimaneggiato, l'idea era quella di far tornare la protagonista di The Strangers per le sequenze iniziali e di farla uccidere lì. FINE SPOILER DEL PRIMO THE STRANGERS che, ovviamente, vi consiglio di recuperare per poi aggiungere Vacancy, You're Next, Them, Funny Games ,A' l'interieur, la saga di The Purge e magari anche Un giorno di terrore. ENJOY!
venerdì 17 giugno 2016
The Neon Demon (2016)
Nonostante il mondo intero congiurasse contro di me attraverso mala distribuzione, allerta meteo, affari di famiglia e altre varie amenità, martedì ho preso macchina ed autostrada e sono andata a vedere assieme a due carissimi amici The Neon Demon, l'ultima fatica di Nicolas Winding Refn, qui in veste di regista e sceneggiatore (Seguono due paragrafi di delirio. Se non avete voglia di leggerli saltate al terzo).
Trama: Jesse è una sedicenne intenzionata a sfondare nel mondo della moda. La sua naturale bellezza attira gli sguardi e l'ammirazione di chi la circonda ma anche l'invidia e la brama...
Questa è la prima volta in cui mi sento inadatta, lo confesso. Mi rendo conto di non avere né la capacità espressiva né le conoscenze cinematografiche adatte per parlare di The Neon Demon, un'esperienza emotiva, visiva e sensoriale talmente travolgente che alla fine del film ho avuto difficoltà ad alzarmi dalla poltrona e tornare nel mondo reale. The Neon Demon è un film che si mangia con gli occhi, da bere come se fosse la Milano di un vecchio spot pubblicitario, da godere in tutti gli elementi che lo compongono, un'opera d'Arte da vedere, ascoltare e "sentire" in loop continuo, nel bene e nel male. E pensare che tutto parte dalla semplicità di una favola vecchia come il mondo, quella della giovane ragazzina di provincia decisa a far parte di un mondo affascinante e spietato come quello della moda (ma potrebbe anche essere il mondo dello spettacolo in generale, della musica, del cinema), dotata dell'"unica cosa che conta" per sfondare non solo lì ma nella vita: la bellezza. Jesse, questo il nome della protagonista, è bella. Punto. Di una bellezza naturale, non artefatta, illuminata da quel "je ne sais quoi" che potrebbe tradursi in tremila caratteristiche positive, non ultima il fascino, e che la fa spiccare, assieme alla sua innocenza, nel mare di bambolotte rifatte che quotidianamente scalciano e mordono per arrivare in cima alla catena alimentare del mondo della moda. C'è chi si trucca, chi si uccide di diete, chi deve andare a letto con chiunque per ottenere un decimo di quello che Jesse ottiene semplicemente presentandosi struccata davanti a fotografi, manager e stilisti che cadono in deliquio davanti ai suoi capelli biondi e ai suoi occhioni. E ciò, ovviamente, scatena le invidie delle poveracce di cui sopra, il desiderio di possedere questa piccola e quasi magica creatura, di imitarla o distruggerla, con tutte le conseguenze del caso. Ecco, due parole ci vogliono per riassumere il film di Refn. Facile, nevvero? E allora cos'è che lo rende un'opera d'arte come raramente se ne sono viste al cinema in tempi recenti? Cos'è questo Neon Demon che campeggia tronfio nel titolo?
Il problema è che la trama di The Neon Demon è praticamente un pretesto. Un pretesto per afferrare la mano dello spettatore e trascinarlo in un trip fatto di sequenze simboliche alle quali il singolo può dare l'interpretazione che vuole. Eravamo in tre a vedere The Neon Demon e ad ognuno di noi il film di Refn ha sussurrato parole diverse, lasciando che fossimo noi stessi a ragionare, trarre conclusioni ed anticipare gli eventi in base alla nostra sensibilità e alle nostre conoscenze, tanto che il mio cervellino non ha mai smesso di far girare le rotelle, ponendosi domande continue che hanno avuto ben poche risposte. E normalmente mi sarei arrabbiata, lo ammetto. Ma il cervello, vedete, non può nulla contro il cuore. E il mio è stato letteralmente rapito, trasformandosi in una spugna pronta ad assorbire tutto quello che Refn aveva da dargli in pasto in termini di immagini, sequenze e musica. The Neon Demon è bellissimo. Come Jesse. E come Jesse ipnotizza fin dalle prime immagini, che vedono la splendida Elle Fanning ricoperta di sangue, le membra disposte seguendo linee di fuga perfette, il corpo illuminato da luci rosse, bianche e blu, i colori predominanti dell'intero film, mentre una musica inquietante e al tempo stesso tremendamente accattivante scandisce il ritmo dei flash che stanno consacrando la giovane attrice a memoria imperitura (dei personaggi ma anche del pubblico). Potrei scrivere paragrafi interi magnificando ogni sequenza del film o parlandovi del tuffo al cuore provato davanti a un simile dispiego di perizia registica e fotografica ma vi tedierei fino alla morte e non avrei i mezzi per esprimermi adeguatamente perché la visione di The Neon Demon è un'esperienza da provare sulla pelle, rigorosamente in una sala buia. Vi dico solo che il simbolismo delle immagini è talmente preponderante che i dialoghi sono ridotti all'osso, la maggior parte delle scene affidate all'espressività facciale e corporea di attrici di indubbio carisma tra le quali spiccano un'inaspettata Jena Malone (costretta a prestarsi alla scena più disturbante del film, difficilissima da sostenere) e una Abbey Lee che spero faccia moltissima strada, entrambe "ancelle" della piccola dea Elle Fanning, un trionfo di innocente sensualità e perfido candore. La sua interpretazione è talmente sottile, così asservita all'ermetismo del regista, che per capire quanto di Jesse sia realtà, quanto finzione e quanto ci abbia messo le zampe il triangolato Neon Demon (ma esisterà? O è una metafora pure quella?) dovrei probabilmente riguardare il film altre venti volte. Il che non sarebbe un problema.
Mi rendo conto di avere scritto un mare di stron*ate, quindi la faccio breve. The Neon Demon è un film da vedere? Assolutamente sì. Ve lo dico col cuore, che come sapete appartiene a Quentin e conseguentemente si spezzerà dichiarando che il film di Refn è una spanna sopra a The Hateful Eight. E' palesemente una pellicola d'autore, il che non significa che il regista sia uno snob desideroso di tediarvi o farvi impiccare per la frustrazione una volta usciti dalla sala ma semplicemente che non gliene frega nulla di fare un film che piaccia al pubblico, basta girarne uno VOLUTO, totalmente sotto il suo controllo. Di conseguenza, vi dico anche che The Neon Demon è una pellicola estremamente difficile. Se cercate certezze, una trama lineare, un horror tout court, degli spiegoni, una morale, qualsiasi cosa possa farvi andare a dormire senza arrovellarvi costantemente su ciò che avete appena finito di vedere evitate il film di Refn come la peste. Ma se avete una voglia pazza di respirare nuovamente quelle belle atmosfere Lynchiane, Kubrickiane, persino Argentiane che pensavo non avrei mai più provato sulla pelle dal giorno benedetto in cui vidi Arancia Meccanica al cinema ringraziando la settima arte di esistere, questo è il film che dovete assolutamente vedere quest'anno. Perché la bellezza non è tutto. La bellezza è l'unica cosa.
Del regista e co-sceneggiatore Nicolas Winding Refn ho già parlato QUI. Keanu Reeves (Hank), Elle Fanning (Jesse), Jena Malone (Ruby), Bella Heathcote (Gigi) e Alessandro Nivola (il fashion designer) li trovate invece ai rispettivi link.
Trama: Jesse è una sedicenne intenzionata a sfondare nel mondo della moda. La sua naturale bellezza attira gli sguardi e l'ammirazione di chi la circonda ma anche l'invidia e la brama...
Questa è la prima volta in cui mi sento inadatta, lo confesso. Mi rendo conto di non avere né la capacità espressiva né le conoscenze cinematografiche adatte per parlare di The Neon Demon, un'esperienza emotiva, visiva e sensoriale talmente travolgente che alla fine del film ho avuto difficoltà ad alzarmi dalla poltrona e tornare nel mondo reale. The Neon Demon è un film che si mangia con gli occhi, da bere come se fosse la Milano di un vecchio spot pubblicitario, da godere in tutti gli elementi che lo compongono, un'opera d'Arte da vedere, ascoltare e "sentire" in loop continuo, nel bene e nel male. E pensare che tutto parte dalla semplicità di una favola vecchia come il mondo, quella della giovane ragazzina di provincia decisa a far parte di un mondo affascinante e spietato come quello della moda (ma potrebbe anche essere il mondo dello spettacolo in generale, della musica, del cinema), dotata dell'"unica cosa che conta" per sfondare non solo lì ma nella vita: la bellezza. Jesse, questo il nome della protagonista, è bella. Punto. Di una bellezza naturale, non artefatta, illuminata da quel "je ne sais quoi" che potrebbe tradursi in tremila caratteristiche positive, non ultima il fascino, e che la fa spiccare, assieme alla sua innocenza, nel mare di bambolotte rifatte che quotidianamente scalciano e mordono per arrivare in cima alla catena alimentare del mondo della moda. C'è chi si trucca, chi si uccide di diete, chi deve andare a letto con chiunque per ottenere un decimo di quello che Jesse ottiene semplicemente presentandosi struccata davanti a fotografi, manager e stilisti che cadono in deliquio davanti ai suoi capelli biondi e ai suoi occhioni. E ciò, ovviamente, scatena le invidie delle poveracce di cui sopra, il desiderio di possedere questa piccola e quasi magica creatura, di imitarla o distruggerla, con tutte le conseguenze del caso. Ecco, due parole ci vogliono per riassumere il film di Refn. Facile, nevvero? E allora cos'è che lo rende un'opera d'arte come raramente se ne sono viste al cinema in tempi recenti? Cos'è questo Neon Demon che campeggia tronfio nel titolo?
Il problema è che la trama di The Neon Demon è praticamente un pretesto. Un pretesto per afferrare la mano dello spettatore e trascinarlo in un trip fatto di sequenze simboliche alle quali il singolo può dare l'interpretazione che vuole. Eravamo in tre a vedere The Neon Demon e ad ognuno di noi il film di Refn ha sussurrato parole diverse, lasciando che fossimo noi stessi a ragionare, trarre conclusioni ed anticipare gli eventi in base alla nostra sensibilità e alle nostre conoscenze, tanto che il mio cervellino non ha mai smesso di far girare le rotelle, ponendosi domande continue che hanno avuto ben poche risposte. E normalmente mi sarei arrabbiata, lo ammetto. Ma il cervello, vedete, non può nulla contro il cuore. E il mio è stato letteralmente rapito, trasformandosi in una spugna pronta ad assorbire tutto quello che Refn aveva da dargli in pasto in termini di immagini, sequenze e musica. The Neon Demon è bellissimo. Come Jesse. E come Jesse ipnotizza fin dalle prime immagini, che vedono la splendida Elle Fanning ricoperta di sangue, le membra disposte seguendo linee di fuga perfette, il corpo illuminato da luci rosse, bianche e blu, i colori predominanti dell'intero film, mentre una musica inquietante e al tempo stesso tremendamente accattivante scandisce il ritmo dei flash che stanno consacrando la giovane attrice a memoria imperitura (dei personaggi ma anche del pubblico). Potrei scrivere paragrafi interi magnificando ogni sequenza del film o parlandovi del tuffo al cuore provato davanti a un simile dispiego di perizia registica e fotografica ma vi tedierei fino alla morte e non avrei i mezzi per esprimermi adeguatamente perché la visione di The Neon Demon è un'esperienza da provare sulla pelle, rigorosamente in una sala buia. Vi dico solo che il simbolismo delle immagini è talmente preponderante che i dialoghi sono ridotti all'osso, la maggior parte delle scene affidate all'espressività facciale e corporea di attrici di indubbio carisma tra le quali spiccano un'inaspettata Jena Malone (costretta a prestarsi alla scena più disturbante del film, difficilissima da sostenere) e una Abbey Lee che spero faccia moltissima strada, entrambe "ancelle" della piccola dea Elle Fanning, un trionfo di innocente sensualità e perfido candore. La sua interpretazione è talmente sottile, così asservita all'ermetismo del regista, che per capire quanto di Jesse sia realtà, quanto finzione e quanto ci abbia messo le zampe il triangolato Neon Demon (ma esisterà? O è una metafora pure quella?) dovrei probabilmente riguardare il film altre venti volte. Il che non sarebbe un problema.
Mi rendo conto di avere scritto un mare di stron*ate, quindi la faccio breve. The Neon Demon è un film da vedere? Assolutamente sì. Ve lo dico col cuore, che come sapete appartiene a Quentin e conseguentemente si spezzerà dichiarando che il film di Refn è una spanna sopra a The Hateful Eight. E' palesemente una pellicola d'autore, il che non significa che il regista sia uno snob desideroso di tediarvi o farvi impiccare per la frustrazione una volta usciti dalla sala ma semplicemente che non gliene frega nulla di fare un film che piaccia al pubblico, basta girarne uno VOLUTO, totalmente sotto il suo controllo. Di conseguenza, vi dico anche che The Neon Demon è una pellicola estremamente difficile. Se cercate certezze, una trama lineare, un horror tout court, degli spiegoni, una morale, qualsiasi cosa possa farvi andare a dormire senza arrovellarvi costantemente su ciò che avete appena finito di vedere evitate il film di Refn come la peste. Ma se avete una voglia pazza di respirare nuovamente quelle belle atmosfere Lynchiane, Kubrickiane, persino Argentiane che pensavo non avrei mai più provato sulla pelle dal giorno benedetto in cui vidi Arancia Meccanica al cinema ringraziando la settima arte di esistere, questo è il film che dovete assolutamente vedere quest'anno. Perché la bellezza non è tutto. La bellezza è l'unica cosa.
Del regista e co-sceneggiatore Nicolas Winding Refn ho già parlato QUI. Keanu Reeves (Hank), Elle Fanning (Jesse), Jena Malone (Ruby), Bella Heathcote (Gigi) e Alessandro Nivola (il fashion designer) li trovate invece ai rispettivi link.
Christina Hendricks interpreta Jan. Americana, ha partecipato a film come Drive, Dark Places - Nei luoghi oscuri, Zoolander 2 e a serie come Angel, E.R. Medici in prima linea, Tru Calling, Cold Case e Hap & Leonard; come doppiatrice, ha partecipato alla serie American Dad! e alla versione inglese de La collina dei papaveri. Ha 41 anni e quattro film in uscita.
Abbey Lee, che interpreta Sarah, era una delle mogli di Immortan Joe in Mad Max: Fury Road e dovrebbe partecipare anche al film tratto da La torre nera nei panni di Tirana, una dei seguaci del Re Rosso. The Neon Demon avrebbe dovuto intitolarsi I Walk With the Dead e prevedeva la presenza di Carey Mulligan, poi rimpiazzata dalla Fanning quando il progetto ha preso tutta un'altra direzione. Detto questo, se The Neon Demon vi fosse piaciuto provate a guardare Suspiria o Starry Eyes. ENJOY!
QUI trovate l'articolo di Lucia
QUI l'anteprima di Cuore di celluloide, di cui vi invito anche a piacciare la nuova pagina FB
QUI l'imprescindibile nonché indispensabile articolo di Hell sulle simbologie di The Neon Demon
QUI trovate l'articolo di Lucia
QUI l'anteprima di Cuore di celluloide, di cui vi invito anche a piacciare la nuova pagina FB
QUI l'imprescindibile nonché indispensabile articolo di Hell sulle simbologie di The Neon Demon
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