Visualizzazione post con etichetta christopher abbott. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta christopher abbott. Mostra tutti i post

martedì 21 gennaio 2025

Wolfman (2025)

Sabato, visto che a Savona non è uscito, sono andata a Genova a vedere Wolfman (Wolf Man), diretto e co-sceneggiato dal regista Leigh Whannell.


Trama: alla notizia della morte del padre, da tempo disperso, Blake porta moglie e figlia in Oregon, a sgomberare la sua casa natale. Nei boschi, però, si cela qualcosa di orribile...


Dopo L'uomo invisibile, che rese ben più sopportabile il lockdown del 2020, Whannell è tornato a cimentarsi con un altro mostro classico, l'uomo lupo. Anche in questo caso, il regista e co-sceneggiatore effettua una rilettura moderna della storia, inserendo al suo interno un protagonista già segnato nell'anima da un'infanzia tremenda, alla mercé di un freddo padre survivalista. Da anni Blake non ha notizia alcuna di quest'ultimo, scomparso negli stessi boschi dove lo portava a cacciare da bambino, e si è rifatto una vita cercando di offrire alla figlioletta Ginger il calore e l'affetto che lui non ha mai avuto. L'introduzione del film, concitata e chiara, dipinge la condizione del protagonista senza essere troppo didascalica, anzi, ci consente di empatizzare con un uomo che fa del suo meglio per dare un'infanzia serena alla figlia e anche con la moglie che, per forza di cose, non ha lo stesso rapporto con la piccola, perché costretta a "portare il pane in casa" e vestire i panni della donna in carriera. Il viaggio in Oregon, alla notizia della morte del padre di Blake, diventa una scusa per rimettere insieme un rapporto tra moglie e marito che rischia di soccombere a queste disparità economiche ed affettive. Il fatto che entrambi i protagonisti adulti siano delle brave persone che cercano di venirsi incontro rende ancora più doloroso l'orrore che li aspetterà nei boschi."The way you walked was thorny though no fault of your own, but as the rain enters the soil, the river enters the sea, so tears run to a predestined end"; queste erano le parole che la zingara Maleva offriva a Larry Talbot, il primo uomo lupo cinematografico, e benché l'approccio di Whannell sia diverso, ovviamente, da quello di George Waggner, la sensazione di pena e tristezza che si prova di fronte al progressivo soccombere di Blake alla "malattia" che arriva a divorarlo è identica. Il protagonista di Wolfman, infatti, non si abbandona alla bestia, non è un uomo represso che cerca uno sfogo, ma una povera anima innocente che ha tentato di fuggire per anni all'incomunicabilità che lo ha estraniato dal padre e che, come primo step della maledizione licantropica, si ritroverà a non poter capire moglie e figlia, né a farsi comprendere da loro. Wolfman, dunque, è triste e malinconico come i migliori film a tema "lupo mannaro" che lo hanno preceduto, ma non è questo l'unico motivo per cui gli ho voluto bene.


L'ultimo film di Whannell gestisce molto bene la tensione. Non è angosciante come L'uomo invisibile, ma ha delle ottime intuizioni e non si limita a mettere in scena una sequenza infinita di jump scares. Piuttosto, il film fa un uso efficacissimo delle lunghe attese (come nel caso della scena iniziale e finale, entrambe al cardiopalma) e dell'ambiente inevitabilmente buio; il film si svolge tutto nel corso di una terribile notte, all'interno di una casa vecchia, illuminata da un generatore, e all'esterno di essa, in boschi a malapena rischiarati dall'alba imminente, e l'uomo lupo ha mille occasioni di fondersi con le ombre. E' molto interessante ed efficace anche la resa dei sensi ipersviluppati di Blake, tra esiti amaramente ironici e la rappresentazione tangibile dell'incomunicabilità di cui sopra, che rende incomprensibili le parole di Charlotte e Ginger (il sonoro del film fa accapponare la pelle), trasformate a loro volta in inquietanti alieni, mostri che un protagonista sempre meno umano stenta a riconoscere. Molto bello anche il make up dell'uomo lupo, un po' diverso dall'iconografia solita e "contaminato", è il caso di dirlo, dai tratti tipici di chi contrae una malattia all'interno di un film horror, e ottima anche la scelta degli attori protagonisti. Julia Garner, già abbonata alle atmosfere tipiche del genere, unisce l'eleganza di una donna in carriera alla forza d'animo delle migliori final girls, mentre Christopher Abbott ha finalmente trovato il modo di trasformare quello sguardo da cane bastonato (che tanto mi aveva infastidita in Sanctuary) in un'espressione di sincero dolore e smarrimento, qualcosa che mi ha spezzato il cuore più del finale del film, il quale mi è parso invece un po' posticcio. Wolfman manca di quella critica feroce e di quell'angoscia pura che caratterizzava L'uomo invisibile, e rispetto al film del 2020 risulta un passo indietro, ma è un bellissimo horror, concitato e crudele, quindi non posso fare altro che consigliarvelo!


Del regista e sceneggiatore Leigh Whannell, che presta anche la voce a Dan, ho già parlato QUI. Julia Garner (Charlotte) e Christopher Abbott (Blake) li trovate invece ai rispettivi link.


Nel 2021 il film avrebbe dovuto venire diretto da Derek Cianfrance, con Ryan Gosling come protagonista, ma quando entrambi hanno abbandonato il progetto, è ri-subentrato Leigh Whannell, che invece ha scelto Christopher Abbott. Tra i film che hanno ispirato Leigh Whannell ci sono La mosca e Shining quindi, se Wolfman vi fosse piaciuto, recuperateli e aggiungete L'uomo lupo, Wolfman e Un lupo mannaro americano a Londra. ENJOY!

venerdì 2 febbraio 2024

Povere creature! (2023)

Ho aspettato un sacco ma alla fine anche io sono riuscita a vedere Povere creature! (Poor Things), diretto nel 2023 dal regista Yorgos Lanthimos e candidato a undici Oscar: Miglior film, Miglior regista, Migliore sceneggiatura non originale, Miglior attrice, Miglior attore non protagonista, Miglior montaggio, Migliore fotografia, Migliore scenografia, Migliori costumi, Migliore colonna sonora, Miglior trucco e acconciatura. Attenzione, segue lungo sproloquio!


Trama: il geniale chirurgo Godwin Baxter recupera il cadavere di una donna suicida e le dà nuova vita, impiantandole il cervello del bambino che portava in grembo. "Nasce" così Bella, creatura in cerca della libertà, della conoscenza e del suo posto nel mondo...


Questa volta più di altre mi pento di non avere letto il romanzo omonimo di Alasdair Gray prima di accingermi alla visione di Povere creature!, perché, nonostante il film sia stato incensato da chiunque, a me è sembrato di non avere colto qualcosa. Prendete dunque questo post come una riflessione personalissima e sentitevi liberi (anzi, fatelo!!) di venire incontro al mio ignorantissimo cervello nei commenti. L'ultimo film di Lanthimos è un'opera che mescola le suggestioni e lo stile dei romanzi di formazione e picareschi, condito da abbondanti tocchi di horror, humour nero e situazioni grottesche, avente per protagonista la giovane Bella Baxter. Quella che viene presentata allo spettatore è la seconda vita di Bella: come un novello mostro di Frankestein, Bella è un cadavere rianimato dallo scienziato Godwin "God" Baxter, che l'ha creata inserendo il cervello di un bambino mai nato nel corpo della madre morta suicida, e l'ha cresciuta come un esperimento controllato. Proprio la natura peculiare del cervello di Bella la rende una creatura di pura innocenza ed istinto, dotata (come appunto i bimbi piccoli) di una spiccata percezione dei propri bisogni che spesso sconfina in un testardo e capriccioso egoismo. Ciò, unito a una rapidissima capacità di sviluppo e apprendimento, la porta presto a diventare insofferente verso i limiti imposti da God e le cose precipitano quando la sessualità di Bella si risveglia con un'urgenza resa pressante da tutte le caratteristiche di cui sopra; l'arrivo dello spregiudicato e disnibito avvocato Duncan Wedderburn spingerà Bella a fuggire con lui e ad iniziare il suo viaggio alla scoperta del mondo e di se stessa. Pur non avendo letto con attenzione le varie recensioni scritte in rete onde evitare spoiler, persino io ho capito che il comun denominatore delle stesse fosse la parola "femminismo". In effetti, le vicende di Bella nascono da un atto di "potere" commesso da un uomo ai danni di una donna che ha cercato di togliersi la vita e proseguono seguendo il tentativo della protagonista di liberarsi dall'influenza di uomini pronti a decidere cosa sia meglio per lei e, in seguito, a plasmarla in base ai propri desideri. La sessualità femminile, la presenza di un organo destinato esclusivamente al piacere come il clitoride, è il fulcro della narrazione per la prima parte del film e ritorna, prepotente, verso la fine, incarnando (da un punto di vista maschile) tutto ciò che c'è di bello e terribile nelle donne. Quasi tutti i personaggi cercano infatti di approfittare dello sfrenato desiderio sessuale di Bella per poterla controllare: God cerca di imbrigliarlo affibbiandole un marito scelto da lui, così da poter continuare l'esperimento in sicurezza, Duncan desidera al fianco una donna-bambina dall'appetito insaziabile e facile da plasmare, la maitresse punta a trarne il massimo profitto, Alfie decide di inibirlo per sempre onde evitare di gestire una donna che già si era liberata dalla sua influenza suicidandosi e privandolo di un figlio.   


Bella, in tutto questo, se ne batte allegramente le balle, passatemi il termine, ed è conseguentemente meravigliosa. Determinata a fare solo ciò che può farla stare bene, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e asseconda chi ha a che fare con lei per il tempo che le serve a ottenere ciò che desidera. Sesso, cultura, cibo, denaro, informazioni, ognuna di queste cose è fondamentale per Bella, con un grado di importanza che varia in base al suo sviluppo fisico e mentale, alla sua crescita. Impermeabile, apparentemente, a qualunque cosa legata ad aspetti meramente "sentimentali", Bella ragiona col piglio di uno scienziato secondo rapporti di causa ed effetto, non tanto come "donna" ma come persona pienamente autoconsapevole, al di là di ogni definizione di sesso, età o classe sociale. E' qui, dunque, che mi viene da chiedermi se Povere creature! sia un film "femminista" o se non faccia, invece, un discorso aperto a tutt*, lanciando un invito ad essere la nostra versione migliore, con un occhio alle brutture della società che ci circonda, coltivando "egoisticamente" passioni e bisogni in modo da rendere il mondo un posto più gradevole per tutti quelli che lo meritano (le facce di merda irrecuperabili, invece, possono rimanere in ginocchio a belare nel pantano a cui sono destinati). Ed è sempre qui che, lo ammetto, il mio entusiasmo per Povere creature! si è incrinato, scontrandosi con quella che io ho percepito come una superficialità perplimente. Premesso che Bella ha delle origini tragiche e terribili e che sul suo corpo è stata commessa una violazione imperdonabile, nel corso del film non c'è un solo momento in cui la protagonista si trovi davvero nelle condizioni definite dalle parole della maitresse parigina, apparentemente tra le più importanti della pellicola: "We must experience everything. Not just the good, but degradation, horror, sadness. This makes us whole Bella, makes us people of substance. Not flighty, untouched children. Then we can know the world. And when we know the world, the world is ours". Certo, a un certo punto del film Bella impara che alcune persone soffrono e muoiono ingiustamente e, in seguito, diventa prostituta, ma la prima situazione è un'apostrofo bruciato dal sole tra una patata e una sisa, mentre la seconda è all'acqua di rose: Bella SCEGLIE di prostituirsi, tenta per cinque minuti di instaurare il socialismo (altro concetto apparentemente importantissimo inserito qui e là nei dialoghi e mai approfondito...) all'interno della struttura del bordello e se ne va senza problemi quando decide di essere stufa di quella vita. In realtà Bella, salvo i criticabili, odiosi limiti della sua condizione di donna (che, peraltro, nessuno riesce ad imporle in virtù della natura di ciolla molla di ogni uomo presente nel film), nasce come privilegiata alto borghese, viene "rapita" da un perdigiorno che comunque la mantiene, torna ad una vita che le consentirà di diventare ciò che desidera, quindi la sua vicenda risulta priva di quel tormento che le darebbe non solo un po' più di consistenza, ma anche maggiore profondità. 


Al di là di queste considerazioni personalissime, non è che Povere creature! non mi sia piaciuto. Ho un po' sofferto la pesante ingerenza della computer grafica nei colori e nei fondali, questo sì, ma ho apprezzato molto la sperimentazione estrema di Lanthimos e del direttore della fotografia Robbie Ryan, quella manifesta volontà di giocare con le lenti, le luci e le inquadrature, in perfetta sincronia con le esperienze sempre diverse vissute da Bella e con la sua voglia di esplorare. Gli ambienti ricostruiti in studio, con quelle suggestioni steampunk e i dettagli surreali, sono dei micromondi senza tempo che risultano contemporaneamente familiari ed estranei, e riescono a spiazzare lo spettatore di continuo, così come le mise intrigantissime di Bella, un perfetto mix di "decoro" da gentildonna e spirito libero punk. All'interno di questi abiti allucinanti, Emma Stone ci sguazza e si profonde nell'interpretazione migliore di sempre. Senza alcun senso di pudore o di vergogna, la Stone mette a nudo non solo il suo corpo, ma occhi di un'innocenza spiazzante, che accompagnano, con quello sguardo diretto e stralunato, parole scandite con candida perfidia, capaci di strappare più di una risata di sconcerto o ammirazione. Se la Stone è sicuramente ipnotica, non è meno azzeccata l'interpretazione di Mark Ruffalo, al quale è stato offerto il ruolo della vita, portato a casa in maniera egregia. Duncan Wedderburn è un buffone matricolato e una persona pessima sotto ogni punto di vista, ma in alcuni momenti l'interazione con Bella è talmente avvilente per questo povero creaturO che è difficile non provare un minimo di pena (e poi io un attore che improvvisa un BELLAAAA!! neanche fosse un novello Kovalski lo amo a prescindere), mentre il favoloso ballo che vede impegnati entrambi sulla nave è talmente esaltante a livello di chimica e coreografia da essere quasi ai livelli di quelli che vedeva impegnati il compianto Raul Julia e Anjelica Houston nei due film de La famiglia Addams. Ho detto QUASI! E quasi è la parola chiave di ciò che ho provato guardando Povere creature!: mi ha quasi convinta, ma non al 100%, diciamo, per rimanere in tema, che non ho raggiunto l'orgasmo. Se però si porterà a casa ogni Oscar per cui è candidato mi vedrete saltellare felice ugualmente!


Del regista Yorgos Lanthimos ho già parlato QUI. Emma Stone (Bella Baxter), Willem Dafoe (Dr. Godwin Baxter), Christopher Abbott (Alfie Blessington) e Mark Ruffalo (Duncan Wedderburn) li trovate invece ai rispettivi link.





martedì 6 giugno 2023

Sanctuary: Lui fa il gioco. Lei fa le regole (2023)

Attirata non so nemmeno io da cosa, mercoledì scorso sono andata a vedere Sanctuary: Lui fa il gioco. Lei fa le regole (Sanctuary), diretto dal regista Zachary Wigon.


Trama: l'erede di una catena di hotel e la sua dominatrix, chiusi all'interno di una camera d'albergo, si affrontano in una lotta senza esclusione di colpi quando lui decide di licenziarla.


Non riuscivo a capacitarmi del perché su Facebook, dove tutti fanno a gara per recensire le nuovissime uscite, soprattutto thriller o horror, non si parlasse di Sanctuary: Lui fa il gioco. Lei fa le regole (da qui in poi solo Sanctuary, per piacere. Che razza di titolo logorroico), anche perché su Letterboxd, uno dei miei "aggregatori" di riferimento, il film in questione ha una media di voti piuttosto alta. Questo, ora che mi viene in mente, è il motivo che mi ha spinta ad accettare la proposta di andarlo a vedere, ma le cose sono due: o gli utenti di Letterboxd si sono rincoglioniti o mi sono rincoglionita io.  C'è solo un motivo, infatti, per andare al cinema e vedere Sanctuary, ed è Margaret Qualley. Considerato, tuttavia, che noi ce la becchiamo doppiata, vi dico fin da ora che converrebbe aspettare l'uscita di Sanctuary in streaming, se siete fan dell'attrice. Se, come me, non bazzicate le serie televisive, il nome Margaret Qualley probabilmente non vi dirà nulla, anche perché spero abbiate dimenticato tutto dell'orribile Death Note di Netflix e magari siete stati colpiti da altro guardando C'era una volta a Hollywood e The Nice Guys, ma sappiate che la fanciulla è una delle giovani attrici più quotate attualmente (ha cinque film in uscita); in Sanctuary, la Qualley regge da sola l'intero film con un'interpretazione che trasuda carisma e fascino in ogni fotogramma, senza mai scadere nel ridicolo involontario che un personaggio come Rebecca richiama a gran voce e rimanendo sempre in elegante equilibrio sul limite sottilissimo che separa la testarda, disperata tenacia dall'isteria incomprensibile. Probabilmente la ragazza ha avuto gioco facile, considerato che il resto del film è fuffa della peggior specie, giusto un pelino meno fastidioso di Piccoli crimini coniugali. 


Senza fare troppi spoiler, nonostante il film si concluda nel modo più banale possibile, Sanctuary è lo scontro tra due personalità diversissime, ovvero un belino mollo (in ogni senso, letterale e figurato) schiacciato dall'enorme personalità di una figura paterna che gli ha lasciato in eredità una fortuna in alberghi e denaro, e la donna che detto belino mollo ha assunto come dominatrix. Non fatevi ingannare da quest'ultima parola: Sanctuary è il film sessualmente meno eccitante che vedrete quest'anno (a meno che non vi titilli l'idea di vedere gente che si masturba a comando fuori dall'inquadratura), perché Rebecca esercita il suo potere su Hal soltanto attraverso le parole. Ciò rende Sanctuary il trionfo della logorrea e dei concetti sempre uguali rigirati su loro stessi in loop, fatto di dialoghi che si possono riassumere con "tu sei una pippa e hai bisogno che io ti ricordi di esserlo" e "non sono una pippa, non ti permettere, tu non mi servi, ti credi importante perché ti pago" e il risultato è che anche i pochi elementi interessanti della sceneggiatura, in primis l'affermazione del potere femminile in una società che tende a schiacciarlo o ad etichettarlo secondo un'ottica prevalentemente maschile, si perdono in un mare di sciocchezze inutili. Lo stesso rapporto tra Rebecca e Hal, per com'è stato scritto, è profondo quanto un litigio tra scimmie e più volte i due personaggi fanno mostra di una stupidità rara, altro che "battle of wits", come si legge sui siti stranieri, mentre il giovane regista sembra più impegnato a vantarsi della sua capacità di indulgere in virtuosismi fine a se stessi e non riesce a comunicare allo spettatore neppure la minima tensione, thriller o erotica che sia. Finito il film, non ho potuto fare a meno di pensare a quale perla perversa avrebbero potuto tirare fuori i giovani Almodóvar e Polanski da un soggetto simile, e mi sono intristita. Non intristitevi anche voi, datemi retta.


Di Margaret Qualley, che interpreta Rebecca, ho già parlato QUI mentre Christopher Abbott, che interpreta Hal, lo trovate QUA.

Zachary Wigon è il regista della pellicola. Americano, ha diretto un altro lungometraggio, The Heart Machine. Anche sceneggiatore, ha 37 anni. 



venerdì 15 gennaio 2021

Possessor (2020)

Vergognosamente, pur essendo grande fan di Cronenberg padre ho sempre snobbato il figliolo Brandon, che quest'anno ha diretto e sceneggiato Possessor.


Trama: la killer Vos uccide le persone trasferendo la propria coscienza all'interno di ospiti che vengono costretti a suicidarsi una volta svolto il lavoro. Quando la sua ultima vittima deciderà di imporre la propria volontà, per Vos cominceranno i problemi.

Faccio outing: non ho mai visto Antiviral quindi sì, vergogna su di me. Prometto che lo aggiungerò all'ormai infinita lista di recuperi cinematografici, nel frattempo, siccome ne stanno parlando tutti benissimo, ho deciso però di recuperare Possessor. Ora, forse sono stata condizionata dalla consapevolezza di stare guardando un film del figlio di Cronenberg ma l'eredità paterna si vede eccome, sia nei temi trattati che nella realizzazione. Attento agli stravolgimenti della carne e della mente, Brandon crea un incubo fatto di esseri umani depersonalizzati, avente come protagonista una killer dall'identità incerta, soprattutto per lei: chi è davvero la leggendaria Tasya Vos, costretta a recuperare pezzi di se stessa dopo ogni lavoro portato a buon fine? Quanto di lei è originale e vero e quanto, invece, è ormai "avvelenato" dalle personalità di miriadi di ospiti indossati e gettati via come stracci? In un mondo in cui la società viene governata da ricchi pronti a violare la mente di ignare persone per riuscire ad ottenere ciò che vogliono, non esistono punti fermi come la famiglia o le amicizie e neppure il passato, perché davanti a noi potrebbe esserci un parassita mentale e gli oggetti che richiamano ricordi cominciano a perdere di ogni significato, se mai lo hanno avuto, il che è specchio di una società alienante come l'assurdo lavoro di Colin, costretto a spiare dentro le case delle persone per scoprire che tipo di tende utilizzano. 


L'unico modo, forse, di percepire una parvenza di vita (o di vendicarsi per non averne una) è distruggere, letteralmente, i corpi altrui, accanendosi su di essi con una violenza senza limiti che Brandon Cronenberg non lesina all'interno di sequenze tremendamente gore, alle quali si affiancano altre scene di assoluta perfezione formale; inquadrature simmetriche, colori vividi e irreali, assai simili a quelli che utilizzava Argento nei suoi vecchi film, ambienti eleganti, la scelta di utilizzare quanto più possibile effetti speciali artigianali invece che ricorrere alla CGI, rendono Brandon una versione più patinata del padre ma non priva di fascino e personalità, tanto che diventa dura parlare di copia o di "nepotismo", anche se tra i collegamenti all'opera di papà c'è anche la presenza della brava Jennifer Jason Leigh. Il film, comunque, a livello attoriale posa interamente sulle spalle di Andrea Riseborough, presenza inquietante e fantasmatica che fa sentire il suo influsso anche nel momento in cui, di fatto, il protagonista del film diventa Christopher Abbott, creando un effetto ancora più straniante per lo spettatore. Da amante di David Cronenberg e dei suoi graffianti esordi, l'unica cosa che rimprovero al figliolo è l'aria da primo della classe perfettino che trasuda da ogni fotogramma, laddove Cronenberg senior non andava tanto per il sottile, ma detto questo Possessor è assolutamente promosso e non vedo l'ora di recuperare anche Antiviral


Di Andrea Riseborough (Tasya Vos), Jennifer Jason Leigh (Girder), Tuppence Middleton (Ava Parse) e Sean Bean (John Parse) ho già parlato ai rispettivi link.

Brandon Cronenberg è il regista e sceneggiatore della pellicola. Canadese, figlio di David Cronenberg, ha diretto film come Antiviral. Anche produttore e attore, ha 40 anni.


Christopher Abbott interpreta Colin Tate. Americano, ha partecipato a film come 1981: Indagine a New York, It Comes at Night, First Man - Il primo uomo e Vox Lux. Anche produttore, ha 34 anni e due film in uscita. 





Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...