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martedì 2 dicembre 2025

Wicked: For Good (2025)

Per dovere di completezza, la settimana scorsa sono andata a vedere Wicked: For Good, diretto dal regista John M. Chu e tratto dal musical Wicked, a sua volta ispirato dal romanzo Wicked: The Life and Times of the Wicked Witch of the West di Gregory Maguire.


Trama: elevata al rango di nemico pubblico di Oz, Elphaba cerca di usare i suoi poteri e l'orribilario rubato al Mago per migliorare la condizione degli animali, mentre Glinda è diventata il volto buono del reame...


Siccome in mezzo ci si è messo il recupero della prima parte di Stranger Things, è passata una settimana prima che riuscissi a buttare giù due righe su Wicked: For Good e giuro che ho fatto fatica persino a pensare a cosa dire nel breve accenno di trama iniziale. Se dovessi usare una metafora per definire Wicked: For Good, "aria fritta" sarebbe la migliore. Non conosco il musical ma, documentandomi qui e là, ho scoperto che il film ne coprirebbe gli ultimi 50 minuti, a detta dei fan già non molto interessanti in partenza; il fatto che la sceneggiatura li allunghi fin quasi ad arrivare a due ore e mezza, aggiungendo due canzoni non particolarmente memorabili, ovvero No Place Like Home (cantata da Elphaba come rimando a Il mago di Oz, mentre cerca di spronare gli animali a non abbandonare il regno che dovrebbero considerare casa propria) e The Girl in the Bubble ("monologo" cantato in cui Glinda si rende conto, finalmente, di quanti danni abbia fatto la sua smania di apparire), è un'ottima misura della pesantezza del film. Ancor peggio, nonostante il metraggio sia stato allungato a dismisura, i pochi snodi fondamentali della trama vengono sbrigati in quattro e quattr'otto, mentre il legame di amore/odio, amicizia e reciproco arricchimento di Elphaba e Glinda è sviscerato in mille modi, in particolare per quel che riguarda la lenta maturazione della Fata Buona, che diventa il fulcro dell'intero film. Non è che Elphaba venga messa da parte, però la sua decisione finale salta tutta una serie di passaggi che, a mio avviso, avrebbero dovuto concretizzarsi in azioni più feroci ed estreme dopo la canzone No Good Deeds, invece la poveraccia si accontenta di imprigionare Dorothy reclamando (inutilmente) le scarpette d'argento della sorella. A tal proposito, l'apice della serie di risate involontarie che mi sono fatta guardando il film (almeno il capitolo precedente mi aveva commossa!) è stata la repentina trasformazione di Nessarose in Annie Wilkes, l'autogaslighting che la spinge ad odiare la sorella quando la vera pazza è proprio lei, e il terrificante, deludente catfight tra Glinda ed Elphaba davanti al cadavere invisibile di Nessarose. Probabilmente, mostrare due gambe che uscivano da sotto le fondamenta della casa sarebbe stato ancora più grottesco, ma due sgallettate che si prendono a schiaffi non si possono proprio vedere. E mi taccio anche sulla ridicola scena d'amore tra Elphaba e Fiyero, con lei che canta al vento in body nero e golfino di lana mentre lui, lentamente, si leva le bretelle: quando Elphaba alla fine dice una cosa tipo "adesso mi sento davvero cattiva" (con un adattamento che, ovviamente, sorvola sul doppio significato di "wicked" in inglese, ma lasciamo perdere) ho riso sguaiatamente in sala.   


Questo continuo utilizzo di registri sbagliati, il cozzare della messinscena con ciò che la situazione contingente dovrebbe veicolare, era già un problema di Wicked, tuttavia il primo film riusciva ad azzeccare alcune sequenze, in primis quella del ballo che segna l'inizio della vera amicizia tra Elphaba e Glinda. Qui non c'è una sola scena memorabile (d'altronde, come scrivevo nella recensione di Wicked, John M. Chu è un cane arrabbiato maledetto) e, oltretutto, la saturazione dei colori e la post-produzione continuano ad essere un problema enorme, perché lo spettatore è sottoposto a tre alternative: o vedere tutto smarmellato da un alone lattiginoso, o perdere la vista davanti a colori carichissimi, oppure non vedere una mazza, tanto sono scure le immagini. Il risultato di questa pessima gestione delle luci e dei colori è che tutto ciò che di artigianale esiste all'interno del film, come i bellissimi costumi e qualche set, appare posticcio, di bassa qualità, leggermente superiore allo schifo che si vede in roba come Descendants, ma non è un complimento di cui andare fieri. Peccato, neanche a dirlo, per Cynthia Erivo e, soprattutto, per Ariana Grande, vero fulcro del film. Finalmente, i responsabili dell'edizione italiana hanno capito che doppiare le canzoni era un delitto perseguibile per legge, e hanno scelto di lasciarle in originale coi sottotitoli. In questo modo, anche il pubblico italiano ha potuto godere della bellissima voce delle due attrici e della loro interpretazione (nonostante sarebbe stato meglio far funzionare il cervello già in occasione del primo film, che aveva una colonna sonora molto più bella ed iconica), e capire quanto le due credano davvero nell'intero progetto. Peccato, ripeto, che il contorno sia sciapo e che tutto l'impegno profuso dalle due attrici non sia abbastanza per salvare Wicked: For Good dall'essere un'opera mediocre e con enormi problemi di ritmo. Qualora il musical arrivasse in Italia, ovviamente in versione originale, mi piacerebbe dargli una chance e capire di preciso cosa sia andato storto nella trasposizione da un medium all'altro, ma per il momento mi limito a tremare all'idea di quante nomination immeritate porterà a casa 'sta baracconata e giuro solennemente di non riguardarlo mai più.      


Del regista Jon M. Chu ho già parlato QUICynthia Erivo (Elphaba), Jeff Goldblum (Il fantastico Mago di Oz), Michelle Yeoh (Madame Morrible), Colman Domingo (voce originale del Leone Codardo) li trovate invece ai rispettivi link.

Ariana Grande interpreta Glinda. Americana, la ricordo per film come Zoolander 2, Don't Look Up, Wicked e serie quali Scream Queens; come doppiatrice ha lavorato ne I Griffin. Anche cantante, sceneggiatrice, produttrice e regista, ha 32 anni e un film in uscita, l'ennesimo seguito di Ti presento i miei, dal titolo Focker In-Law, e dovrebbe partecipare anche alla prossima stagione di American Horror Story


Il film, ovviamente, è il seguito di Wicked e oltre a consigliarvi di leggere l'omonimo libro da cui il musical è tratto, magari senza regalarlo alle vostre figlie/parenti minorenni che si troverebbero davanti qualcosa di ben diverso da questo trionfo di buoni sentimenti, vi invito a recuperare Il mago di Oz e Nel fantastico mondo di Oz. ENJOY!

mercoledì 29 marzo 2023

Luther: Verso l'inferno (2023)

Mi campeggia il faccione gnoccolone di Idris Elba sulla home page di Netflix col thriller Luther: Verso l'inferno (Luther: The Fallen Sun), diretto dal regista Jamie Payne, posso forse non guardarlo?


Trama: il detective Luther è costretto ad evadere dal carcere per fermare un serial killer che si serve del web per ricattare e uccidere le sue vittime...


Più invecchio più mi rendo conto di essere come John Snow e di non sapere nulla. Ad esempio, scopro solo ora che il film Luther: Verso l'inferno è il sequel diretto della serie Luther, durata cinque mini-stagioni e avente per protagonista sempre quel gran figo di Idris Elba. Avendolo scoperto il giorno dopo avere visto il film, non sono nemmeno andata in panico, per carità: sono la dimostrazione vivente che Luther: Verso l'inferno è perfettamente fruibile anche se non avete visto la serie creata dallo sceneggiatore Neil Cross, e al limite vi chiederete come mai il personaggio titolare, pur essendo un detective pluridecorato, è stato sbattuto in carcere per crimini che non vengono mai davvero chiariti ma solo accettati con un'alzata di spalle da gente che, ovviamente, ne sa ben più di me. Ciò detto, Luther: Verso l'inferno mi è piaciuto abbastanza e sarei interessata al recupero della serie, che potrebbe essere anche pane per il Bolluomo, ma poiché in Italia si trova solo su TimVision 'sti cazzi, ne farò a meno. La trama, comunque, racconta di questo infallibile detective che viene incarcerato proprio quando un serial killer sta cominciando a mietere vittime sfruttando il web e la doppia vita segreta (spesso vergognosa) che alcune persone hanno su internet; legato da una promessa fatta alla madre di una delle vittime, Luther decide di evadere dal carcere e di catturare il killer da solo senza tuttavia mettere i bastoni tra le ruote alla polizia, e l'aspetto assai interessante della pellicola è proprio questo moltiplicarsi della "caccia", con Luther che cerca il killer, il killer che cerca di re-incastrare Luther e la polizia che indaga per catturare entrambi, lasciando però che Luther tolga loro qualche castagna dal fuoco. Altro aspetto molto intrigante del film è la natura inquietante e dark del serial killer in questione, un mostro spietato capace di arrivare a chiunque senza farsi troppi scrupoli, sfruttando i piccoli/grandi segreti delle persone fino a spingerle al suicidio per timore di venire scoperti da famiglia, amici e colleghi, cosa che lo rende piuttosto tentacolare e offre al regista l'occasione di imbastire parecchie scene spettacolari e ad effetto (anche se forse l'atto finale è un po' tirato per i capelli).


A tal proposito, per essere un "film TV" (passatemi il termine), Luther: Verso l'inferno ha tutte le caratteristiche di un film pensato per la sala, o di una grande produzione Netflix. Nonostante l'aria piatta e patinata che accomuna, per quanto riguarda la fotografia, buona parte dei film nati in seno alla piattaforma, Jamie Payne non ha affatto una brutta mano e confeziona un paio di sequenze al cardiopalma, molto ben dirette, in particolare quella della rissa in carcere, quella ambientata a Piccadilly Circus e tutte quelle che vedono Andy Serkis scivolare alle spalle delle persone con intenzioni terrificanti. Anzi, diciamo che Andy Serkis è la cosa migliore di Luther: Verso l'inferno. Penalizzato, in parecchie scene, da una parrucchetta inguardabile, Serkis riesce a risultare comunque inquietantissimo in ogni singolo fotogramma e si annulla all'interno di un personaggio repellente che non sfigurerebbe in un horror, sia per lo sguardo che per il lavoro, sempre egregio, sulla voce (io ho sempre detto che quest'uomo è uno dei migliori attori in circolazione ma nessuno mi dà retta). In presenza di Serkis persino Idris Elba scompare, mentre per tutto il resto del film il protagonista fa la sua porchissima figura (pun intended. Mi basta vederlo in maniche di camicia per avere pensieri "tinti"). Non avendo visto la serie, in realtà, in alcuni momenti sono rimasta leggermente perplessa dall'aria agitata e folle del detective e mi sono chiesta se Elba non stesse caricando un po' troppo il personaggio, ma immagino che se avessi guardato Luther non mi sarei posta nemmeno la domanda, quindi lascio la questione in sospeso e apprezzo con gratitudine 'sto pezzo di Marcantonio che, per quanto mi riguarda, sarebbe un perfetto James Bond. Io ve la butto lì. Quindi sì, consiglio senza remore la visione di Luther: Verso l'inferno. Come sempre quando si ha a che fare con gli originali Netflix, non è un capolavoro né un film particolarmente memorabile, ma è una pellicola godibilissima per il divertimento di una sera e, soprattutto, è perfetta anche per chi non conosce la serie. 


Di Idris Elba (John Luther), Cynthia Erivo (Odette Raine) e Andy Serkis (David Robey) ho parlato ai rispettivi link.

Jamie Payne è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto episodi di serie come Doctor Who, L'alienista e Luther. Anche produttore e montatore, ha 55 anni.


Dermot Crowley interpreta Martin Schenk. Irlandese, ha partecipato a film come Il ritorno dello Jedi, Octopussy - Operazione piovra, Il figlio della pantera rosa, La migliore offerta, Morto Stalin se ne fa un altro, Il prodigio e a serie quali Luther. Anche produttore, ha 76 anni. 


Se vi fosse piaciuto Luther: Verso l'inferno recuperate la serie Luther, che vanta ben tre remake, uno francese, uno coreano e uno indiano. ENJOY!

mercoledì 21 settembre 2022

Pinocchio (2022)

Qualche sera fa ho guardato su Disney + il live action Pinocchio, diretto e co-sceneggiato dal regista Robert Zemeckis.



Trama: il falegname Geppetto costruisce un burattino di legno per superare la morte del figlio e, una notte, esprime il desiderio di farlo diventare un bambino vero. Udito il desiderio, la Fata Turchina dà vita al burattino, ribattezzato Pinocchio, e, dopo avergli affiancato il Grillo Parlante a mo' di coscienza, gli comunica che per diventare un bambino vero dovrà superare diverse prove...  


Ormai ho la memoria che fa cilecca, me ne rendo conto. Guardavo questa nuova versione di Pinocchio e intanto cercavo di ricordare come fosse quello Disney del 1940, dopo averne visto passare su schermo altre tre versioni italiane, e ovviamente ho cominciato a fare un po' di casino. Quindi, mi posto un memento per l'eventuale prossima versione: il Mangiafuoco della Disney è un maledetto (quello "vero" piange e libera Pinocchio), il Gatto e la Volpe dei cartoni sono meno machiavellici di quelli reali, Pinocchio non diventa un ciuchino completo e, soprattutto, il burattino creato dagli americani è un pisquano, non un monellaccio cattivo. Per non turbare i bimbi buoni, il Pinocchio riveduto e corretto della Disney è semplicemente un candido che presta orecchio ai consigli sbagliati e tale rimane anche in questo adattamento live action; addirittura, nel Pinocchio di Zemeckis il burattino viene cacciato da scuola perché "lì possono andare solo dei bambini veri" e viene dapprima rapito da Postiglione e solo in seguito convinto, sfruttando la peer pressure, a recarsi nel Paese di Bengodi per non rovinare il divertimento agli altri bambini. Una volta arrivato lì, poi, Pinocchio beve giusto un sorso di birra (di radice, non sia mai!), per il resto non si comporta male come tutti gli altri suoi compagni di sventura. Insomma, Pinocchio ha solo tanta sfortuna e poca esperienza, quindi va da sé che la "coscienza" incarnata dal Grillo Parlante ha più la funzione di un espediente per cavare il burattino d'impiccio e salvarlo fisicamente alla bisogna, oltre a fungere da narratore. Di più, in questa versione della storia la natura di burattino fa sì che Pinocchio sia una sorta di Astroboy dalle mille risorse, un piccolo supereroe le cui abilità, sul finale, trascinano la storia verso un twist inaspettato e, a mio parere, fuori luogo. Questo Pinocchio non insegna ai bambini ad essere bravi, coraggiosi e disinteressati, ma parrebbe puntare su un elogio dell'unicità e dell'umanità "là dove conta davvero", diventando l'ennesimo invito a seguire i propri sogni a prescindere dalle circostanze e, a mio avviso, ci sono altre storie migliori per veicolare questo messaggio, non certo una vicenda da sempre moralista come quella di Pinocchio.


Soprattutto, non era il caso di allungare così tanto il brodo di un classico Disney già stra-conosciuto, aggiungendo quasi mezz'ora di personaggi nuovi (sì, la marionettista ex ballerina è l'ennesimo simbolo del "se vuoi, puoi, e nessuno cancellerà mai quel che sei dentro". Tra l'altro, tutti a rompere le palle con la Fata nera e calva e ovviamente nessuno si è accorto che la "vera" storia di Pinocchio l'ha vissuta proprio la ballerina in questione, femmina e di colore pure lei, ma poiché l'ha liquidata con un "la mia storia non è importante" ce ne saremo accorti in 6. Beccatevi questa, broflakes!) e, per la gioia del mio compagno di visione, di nuovi momenti musicarelli. Se pensavate che il vero problema di Pinocchio fosse la Fata Turchina di colore, vi farà piacere sapere che detta Fata viene calcioruotata fuori dalla storia dopo 5 minuti, quindi potete anche fingere che non sia mai comparsa... purtroppo, non è altrettanto facile ignorare la natura cheap della CGI in moltissime scene. L'aria d'insieme del live action è quella posticcia di un mondo quasi interamente ricreato al computer, e questo me l'aspettavo. Quello che non mi sarei mai aspettata dall'uomo che nel 1989 è riuscito a convincermi dell'esistenza di Cartoonia è il modo in cui i pochi attori veri non riescono mai ad interagire in modo realistico con le animazioni; ogni volta che Geppetto è costretto a tenere per mano Pinocchio o accarezzare Figaro salta agli occhi la finzione di un arto che è sempre un pochino staccato rispetto all'oggetto con cui dovrebbe interagire, ma l'apice lo tocca la rocambolesca fuga da Monstruo (altro orrore grafico al cui confronto gli squali di Sharknado sono un capolavoro), con un Pinocchio che sembra attaccato con lo sputo su uno sfondo che non c'entra nulla con lui, né a livello di ombre né di colori. Me ne imbelino che un film come questo sia approdato dritto in streaming, perché penso ci sarebbe stato da cavarsi i bulbi oculari su uno schermo grande. Aggiungo che l'interpretazione di Tom Hanks è una delle peggiori dopo quelle di Robert Langdon e che l'unico motivo per godere un minimo di Pinocchio (oltre agli spettacolari orologi di Geppetto, pieni di citazioni disneyane) è quello di guardarlo in lingua originale per spanciarsi di fronte all'accento italo-americano usato da buona parte dei coinvolti e al "Pinoke!" strillato a gran voce dal Grillo di Joseph Gordon-Levitt. Per il resto, potete anche evitare.  


Del regista e co-sceneggiatore Robert Zemeckis ho già parlato QUI. Joseph Gordon-Levitt (Grillo Parlante), Tom Hanks (Geppetto), Cynthia Erivo (Fata Turchina), Lorraine Bracco (Sofia), Keegan-Michael Key (la Volpe), Giuseppe Battiston (Mangiafuoco) e Luke Evans (Postiglione) li trovate invece ai rispettivi link.


Benjamin Evan Ainsworth, la voce originale di Pinocchio, era il piccolo Miles di The Haunting of Bly Manor. Il regista Sam Mendes doveva dirigere il film ma si è poi ritirato dal progetto. Pinocchio è ovviamente un remake dell'omonimo film del 1940, che vi consiglio di recuperare assieme alla versione di Garrone e a quella di Comencini... nell'attesa che arrivi quella di Guillermo del Toro! ENJOY!

martedì 11 febbraio 2020

Harriet (2019)

Ormai les jeux sont faites ma di film visti in previsione dell'Oscar ce ne sono ancora un po'. Oggi parliamo di Harriet, diretto e co-sceneggiato nel 2019 dalla regista Kasi Lemmons e candidato a due premi: Miglior Attrice Protagonista e Miglior Canzone Originale. 



Trama: dopo essere fuggita ai suoi padroni, la schiava Minty si unisce a un gruppo di antischiavisti, prendendo il nome Harriet ed impegnandosi a a liberare altri sfortunati come lei.



Il bello dei recuperi "da Oscar" è spesso quello di venire a conoscenza di storie reali di cui non avevo nozione alcuna, come quella di Harriet Tubman, che nella seconda metà dell'ottocento è diventata la prima attivista donna di colore, contribuendo con i suoi sforzi a liberare moltissimi schiavi e condurli dapprima verso gli stati del Nord, poi in Canada, superando pericoli di ogni genere. Alla vera storia di Harriet Tubman, il cui motto era "Ci sono due cose a cui ho diritto: la libertà o la morte; se non posso avere l'una, avrò l'altra", la sceneggiatura unisce anche un elemento sovrannaturale che ha un fondamento biografico. La Tubman, nata Araminta Ross, aveva avuto un grave incidente con conseguente commozione cerebrale, che l'aveva lasciata soggetta ad attacchi di epilessia che sfociavano, talvolta, in "visioni" divine; nel film, questo ausilio divino è importante e rende Harriet una sorta di supereroina capace di prevedere persino il futuro ed evitare quindi trappole ed eventuali imboscate degli schiavisti. Normalmente, una cosa simile renderebbe la pellicola una pacchianata, in realtà Kasi Lemmons è molto abile a non calcare mai la mano e a mescolare con naturalezza realtà biografica e finzione sovrannaturale, rendendo quest'ultima molto verosimile senza abusarne, quasi a sottolineare effettivamente il miracolo dell'esistenza di una persona come Harriet, la prima donna ad essersi impegnata non solo per i diritti degli schiavi ma anche per il suffragio femminile, questione di cui tuttavia nel film non si parla. Il risultato è una pellicola di sicuro interessante e distante dai soliti pipponi biografici "da Oscar" soprattutto grazie alla presenza di un personaggio forte e ben caratterizzato, costretto ad affrontare nemici odiosi nel corso delle sue fughe rocambolesche, elemento che rende il film movimentato e vario.


Detto questo, ho guardato Harriet principalmente per la nomination di Cynthia Erivo nella rosa delle migliori attrici, e onestamente ritengo sia la solita candidatura appioppata per accontentare le quote di colore, visto che la sua interpretazione non spicca particolarmente né regge il confronto con le altre candidate (la Johansson ha fatto molto meglio e la Zellweger ha dalla sua il trasformismo, quindi secondo me c'è poca gara); la Erivo mi aveva fatto un'impressione molto migliore in un film che, peraltro, mi aveva detto ben poco, ovvero 7 sconosciuti a El Royale, ma mi rendo conto che, data la caratura di Harriet Tubman e l'importanza all'interno della storia americana, questo è più materiale da Oscar. Ottima però l'idea della Lemmons di sfruttare le indubbie note canore della Erivo rendendo le poche, intense canzoni all'interno del film un escamotage indispensabile ai fini della trama, l'unico modo per gli schiavi di comunicare senza che i "massa" bianchi possano capire i loro intenti e, non a caso, Harriet è candidato all'Oscar anche per la Miglior Canzone Originale (ma le mie preferite sono I'm Gonna Love Me Again da Rocketman e Into the Unknown da Frozen 2, perdonate i miei gusti cheap e commerciali). In definitiva, Harriet non è affatto un brutto film e sono contenta di averlo recuperato nel corso della forsennata caccia all'Oscar, viceversa probabilmente non lo avrei guardato e non avrei idea dell'esistenza di Harriet Tubman, tuttavia c'è da dire che non è nemmeno una pellicola memorabile e non stupisce che la distribuzione italiana, già cieca con film più meritevoli, abbia deciso di lasciarlo al palo nonostante le nomination. Vi invito a recuperarlo, anche solo per mera curiosità, se non altro perché le sue due ore di durata passano molto veloci.

Kasi Lemmons è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Americana, ha diretto film come La baia di Eva e un episodio della serie Luke Cage. Anche attrice e produttrice, ha 59 anni.


Cynthia Erivo interpreta Harriet/Minty. Inglese, la ricordo per film come Widows: Eredità criminale e 7 sconosciuti a El Royale, inoltre ha partecipato a serie quali The Outsider. Anche cantante, ha 34 anni e due film in uscita.


Janelle Monáe interpreta Marie Buchanon. Cantante americana, la ricordo per film come Moonlight e Il diritto di contare. Anche compositrice, ha 35 anni e un film in uscita, Antebellum.


Vondie Curtis-Hall interpreta il reverendo Green. Americano, ha partecipato a film come Il principe cerca moglie, Black Rain - Pioggia sporca, 58 minuti per morire, Un giorno di ordinaria follia, Nome in codice: Broken Arrow, Romeo + Giulietta di William Shakespeare, Gridlock'd - Istinti criminali, La baia di Eva e a serie quali Nightmare Café, E.R. Medici in prima linea, I Soprano, Medium, Criminal Minds e Daredevil. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 70 anni e un film in uscita.


Vanessa Bell Calloway, che interpreta la madre di Harriet, era la futura moglie "abbaiante" di Eddie Murphy ne Il principe cerca moglie. ENJOY!


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