martedì 22 febbraio 2022
Assassinio sul Nilo (2022)
venerdì 19 febbraio 2021
The Social Network (2010)
Grazie a un buono Vodafone, il Bolluomo ha ottenuto 10 euro da spendere su Chili e nella selezione di film fuibili col buono in questione c'era The Social Network, diretto nel 2010 dal regista David Fincher.
Trama: il giovane laureando Mark Zuckerberg crea il futuro Facebook ma, nel cammino, perde amici storici e si fa nuovi nemici...
Sono passati undici anni dall'uscita di The Social Network e chissà perché lo avevo snobbato fino a questo momento, visto che gli ingredienti per piacermi c'erano tutti e sono stati confermati durante la visione del film. Forse perché, all'epoca, temevo mi sarei trovata davanti una noiosa agiografia di San Zuckerberg da White Plains, invece The Social Network è tutto il contrario: partendo dal libro di Ben Mezrich intitolato Miliardari per caso - L'invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento, Aaron Sorkin lo riadatta per lo schermo togliendo i gemelli Winklevoss ed Eduardo Saverin dai riflettori ma mantenendo comunque il loro punto di vista pur rendendo Mark Zuckerberg protagonista assoluto, col risultato che molto di quello che viene mostrato sullo schermo è opera di pura fiction basata su un mix di racconti, leggende metropolitane e mera invenzione. Qui scatta il dilemma "morale" che ha tenuti impegnati me e Mirco durante la visione. Nel film, Zuckerberg viene descritto come una sorta di Sheldon Cooper sbruffone, sicuro di sé nonostante una palese incapacità di avere normali rapporti umani, stronzo e, soprattutto, vendicativo ed invidioso; il motore della creazione di Facebook è il pentimento seguito ad un'atroce vendetta nei confronti di una ragazza, al quale seguono moltissime piccole e grandi ripicche nei confronti di amici e nemici in egual modo, cosa che spingerebbe gli animi molto meno critici del mio a partire verso la sede di Facebook con torce e forconi per picchiare selvaggiamente l'eminenza grigia del web. In realtà, molto di quello che si vede nel film è inventato, sopratutto per quello che riguarda l'"uomo Zuckerberg", che si dice sia privo di qualsivoglia capacità di provare emozioni forti o vincolanti, positive o negative che siano, quindi impossibilitato ad agire come una sorta di villain geniale.
Nonostante questo, il film è molto interessante e non potrebbe essere diversamente visto che la sceneggiatura è di Sorkin, che rifugge la banalità della solita struttura di ascesa-caduta-risalita tipica di molte pellicole simili e si focalizza sull'esperienza di una persona che è perennemente in ascesa e perennemente in caduta, vittima di un cervello che lo rende incomprensibile a tutte le persone che incontra, e conseguentemente inviso anche allo spettatore, almeno in parte. Se i papaverini di Harvard sono giustamente dipinti come dei ricchi minchioni viziati che meritano di venire perculati da Zuckerberg e il creatore di Napster Sean Parker viene descritto come una scheggia impazzita da cui guardarsi, elementi che rendono per reazione più simpatico Zuckerberg, è inevitabile infatti che lo spettatore si senta comunque più vicino a Saverin, "reo" di volere una vita normale e magari di fare qualche soldino in maniera corretta. Non è un caso, dunque, che Saverin abbia la faccetta rassicurante di Andrew Garfield, mentre il bravissimo Jesse Eisenberg convoglia tutto il suo magnetismo un po' nerd nella figura controversa del protagonista, che allo stesso tempo affascina e allontana, un po' come la sua creatura più famosa: la facciata innocua di THE Facebook, che permette agli utenti di cercarsi, collegarsi e sviluppare amicizie, in realtà racchiude dinamiche ben più complesse, spesso incomprensibili, talvolta pericolose per gli utenti tanto incauti da fidarsi. In questo, lo Zuckerberg di The Social Network è una perfetta allegoria di quello che ha creato e probabilmente è lì che risiede l'intero senso della validissima operazione di Fincher, Sorkin e soci.
Del regista David Fincher ho già parlato QUI. Jesse Eisenberg (Mark Zuckerberg), Rooney Mara (Erica Albright), Andrew Garfield (Eduardo Saverin), Armie Hammer (Cameron Winklevoss/Tyler Winklevoss), Max Minghella (Divya Narendra), Justin Timberlake (Sean Parker), Dakota Johnson (Amelia Ritter), Aaron Sorkin (Direttore agenzia pubblicitaria), Caleb Landry Jones (membro della confraternita) e Jason Flemyng (non accreditato, è uno degli spettatori alla regata) li trovate invece ai rispettivi link.
Il film ha vinto tre premi Oscar, per la Sceneggiatura, il Montaggio e la Colonna Sonora Originale. Andrew Garfield aveva sostenuto l'audizione per il ruolo di Zuckerberg ma alla fine era troppo spontaneo e sincero e il regista ha deciso di affidargli Saverin, mentre Shia Labeouf ha direttamente rifiutato di partecipare al film come protagonista. Se The Social Network vi fosse piaciuto recuperate Steve Jobs e La grande scommessa .ENJOY!
domenica 27 ottobre 2019
Wounds (2019)
Trama: Will è un barista che si barcamena tra lavoro e sbronze, senza chiedere molto dalla vita. Una sera, nel bar dove lavora, scoppia una rissa e una ragazza dimentica il cellulare nel corso di una fuga precipitosa. Will si mette in tasca lo smartphone e da quel momento cominciano a succedere cose inquietanti ed inspiegabili...
Wounds è stato accolto con sputi e pernacchie da più parti, ma siccome di Lucia mi fido ho deciso di guardarlo lo stesso dopo aver letto il suo post. Ho fatto benissimo, naturalmente. Wounds è uno di quei film allucinati (e allucinanti) che entra sottopelle e suscita un misto innaturale di inquietudine e disgusto, puntando più sulle atmosfere e su pochi dettagli eclatanti piuttosto che indulgere in una serie ininterrotta di twist e jump scare. Di base, la storia è molto semplice ed è interamente imperniata su uno dei personaggi più inutili ed odiosi che possiate trovare sullo schermo. Will è un uomo che si lascia vivere, senza ambizioni né speranze né desideri, salvo quello di farsi Alicia, cliente abituale del bar dove lavora, nonostante lei sia fidanzata con un amico comune. Will ha già la ragazza, per inciso, ma non è facile per un fancazzista senza uno scopo nella vita portare avanti una relazione sana con una studentessa universitaria nel fiore della carriera e i risultati si vedono; Will e Carrie si incontrano giusto per colazione, lei non ha alcun desiderio sessuale nei suoi confronti e giustamente non si fida di un uomo così sfuggevole ed ambiguo, che passa le giornate e le serate a fare chissà cosa. Insomma, c'è molto terreno fertile affinché l'orrore attecchisca, rendendo così visibile lo "sporco" che incrosta l'anima di Will, sempre che quest'ultimo un'anima ce l'abbia e non sia un uomo finto, un corpo vuoto, come lo accusa Carrie nella sequenza più intensa e rivelatrice del film. Una sera, infatti, Will si ritrova per caso un telefonino tra le mani e, senza pensarci, lo porta a casa. E' in quell'istante che comincia il calvario di Will, il cui "vuoto" interiore diventa la culla perfetta per un orrore cosmico di cui non abbiamo notizie certe, che possiamo solo intuire da dettagli sparsi qui e là nel corso del film e che andrà a riempire Will nel modo peggiore, alimentando tutto lo schifo che il protagonista cova da tempo dentro di sé.
Lo "sporco visibile" del titolo originale del racconto di Nathan Ballingrud pervade ogni singolo fotogramma del film. Gli ambienti dove vive Will sono malsani, zeppi di blatte infestanti, e le persone sono costrette a camminare in una calura schiacciante, che appiccica i vestiti al corpo; Will stesso è spesso sudato, puzza, lavora dietro un bancone dove le norme igieniche non paiono esistere e anche quando cerca di ripulirsi ecco che sul corpo si aprono ferite misteriose dalle quali sgorgano sangue e pus. Armie Hammer, solitamente bello come il sole, in questo film si carica addosso tutto il disagio di un personaggio squallido, il cui squallore pare diffondersi come un male su tutti quelli che gli stanno vicino, corrompendoli nel corpo (come l'amico Eric, alla faccia dell'amico, lasciato letteralmente a marcire in solitudine all'interno del suo triste appartamento) o nell'animo (a mio avviso sono molto indicative le tre colazioni che Eric e Carrie fanno assieme, via via sempre più povere, con la prima che termina con uova e pancetta gettate nella pattumiera), un personaggio per cui non è facile provare pietà, men che meno empatia. Lo spettatore non può quindi fare altro che guardare impotente il degrado della "maledizione" che arriva a colpire Will, cominciata come nel più banale dei teen horror e via via sempre più sfuggevole, lasciata intuire da un regista e sceneggiatore che già col più riuscito Under the Shadow aveva dimostrato di sapere gestire alla perfezione la commistione tra sovrannaturale e il vero orrore, quello che dimora dentro le persone, che siano donne impaurite e testarde, terrorizzate all'idea di perdere anche quel minimo di libertà che avevano, oppure uomini che non si meriterebbero uno sputo in faccia nemmeno se stessero andando a fuoco. Vedere per credere, anche se sconsiglio Wounds a chi ha la fobia delle blatte e ancora ricorda l'ultimo episodio di Creepshow come la cosa più terrificante mai vista in vita sua.
Del regista e sceneggiatore Babak Anvari ho già parlato QUI. Armie Hammer (Will), Karl Glusman (Jeffrey), Brad William Henke (Eric) e Dakota Johnson (Carrie) li trovate invece ai rispettivi link.
Zazie Beetz interpreta Alicia. Tedesca, la ricordo per film come Deadpool 2 e Joker. Ha 28 anni e due film in uscita.
martedì 24 aprile 2018
Free Fire (2016)
Trama: uno scambio di armi e denaro non va per il verso giusto e i coinvolti cominciano a spararsi, diffidenti l'uno dell'altro...
Immagino che tutti ricorderete il finale de Le Iene, uno stallo in cui i protagonisti, alla fine, si ritrovano l'uno contro l'altro e si sparano a vicenda. Fine. Ecco, Free Fire prende la sparatoria, l'allunga per un'ora e mezza e la trasforma in un film divertente, movimentato, angosciante e bellissimo. Merito di Ben Wheatley (e della moglie alla sceneggiatura), regista col quale ho un rapporto controverso ma che non si può dire abbia mai sbagliato un film o, meglio, che non sforni qualcosa di particolare e zeppo di personalità ogni volta. Free Fire, per esempio, poteva essere una tamarrata unica, perché la base è quanto di più action e banale ci sia al mondo: ci sono due gruppi di malviventi, un gruppo vuole i fucili, l'altro vuole i soldi, una persona fa l'intermediario. La fiducia reciproca è poca, già di partenza, e ovviamente succede qualcosa che innesca la miccia della tensione e trasforma una fabbrica abbandonata in un terreno di guerra dove tutti i protagonisti hanno come obiettivo la sopravvivenza e la morte di qualcun altro, vuoi per vendetta, vuoi per antipatia, vuoi per puro e semplice interesse personale. In un film banale (leggi: in un action USA) probabilmente la fabbrica ad un certo punto esploderebbe oppure ci sarebbe il macho man della situazione che, rimediando giusto una ferita sul finale, si ergerebbe su tutti i coinvolti scrollandosi di dosso le pallottole come acqua, qui la situazione è invece un po' diversa. Tanto per cominciare, i protagonisti di Free Fire sono uno più cretino dell'altro. Vanesi, innamorati della propria voce e al 90% ignoranti delle regole base di convivenza criminale se non addirittura pesci piccoli dal carattere rissoso, sembrano dei bambini impegnati in un gioco da adulti. Quando cominciano a volare le prime pallottole, una bellissima sequenza ce li mostra sconvolti, con un ralenti impietoso ad inquadrare corpi non tanto pronti ad armarsi a loro volta bensì desiderosi di allontanarsi dalla prima persona colpita, diretti verso qualunque riparo in grado di offrire salvezza perché consapevoli che la situazione sta per buttare molto, molto male. Da lì comincia un'ininterrotta sinfonia di pistole che sparano, gente che urla (di dolore ma anche per minacciare, chiamare i compagni, manifestare la propria disperazione o semplicemente rompere le palle al prossimo) e John Denver che canta, qualcosa che non solo non da tregua ai personaggi ma nemmeno allo spettatore.
Se l'idea di ambientare il tutto negli anni '70 è un raffinato tocco di classe che delizia gli occhi con costumi e pettinature a tema (e soprattutto impedisce ai protagonisti di avere un cellulare!), quella di utilizzare una fabbrica abbandonata è funzionale alla trama stessa. La scenografia, oltre a essere molto evocativa, è piena di nascondigli di fortuna ma anche di piccole cose in grado di far male e vedere i personaggi costretti a strisciare in mezzo ai vetri, le schegge di legno o i cocci di cemento crea un immediato senso di fastidio; ovviamente, la cinepresa di Ben Wheatley indugia su ogni espressione di dolore, su ogni ferita e persino sulle pallottole ma di tanto in tanto si allarga a mostrarci per intero il "campo da gioco" e le posizioni dei vari giocatori, rannicchiati dietro protezioni di fortuna, mentre un montaggio serratissimo porta quasi a voler chinare la testa per paura che una pallottola possa raggiungere persino noi spettatori. Gli attori, poi, sono perfetti. Assieme ad alcuni caratteristi che si imprimono a fuoco nella memoria pur senza avere un nome di richiamo, ci sono attori più conosciuti come Cillian Murphy, Armie Hammer e Brie Larson che interpretano alla perfezione i loro personaggi e soprattutto c'è Sharlto Copley. Ora, voi forse non avete idea di quanto fossi arrivata non sopportare Copley ma qui è decisamente il migliore del mazzo con quei baffoni assurdi e quell'accento caricatissimo (dal mio umile punto di vista Free Fire perde almeno cinque punti doppiato in italiano. Poi, fate voi) che lo rendono un personaggio esilarante ma, ovviamente, da non sottovalutare. L'inglesotto Ben Wheatley si riconferma dunque Autore a tutto tondo da tenere sottocchio. Magari non facile (anche se in questo caso fortunatamente non mi è esploso il cervello come con High Rise o Kill List) ma comunque originalissimo e pronto a sperimentare, oltre che dannatamente bravo. Di questi tempi è quasi un miracolo!
Del regista e co-sceneggiatore Ben Wheatley ho già parlato QUI. Sam Riley (Stevo), Michael Smiley (Frank), Brie Larson (Justine), Cillian Murphy (Chris), Armie Hammer (Ord), Sharlto Copley (Vernon), Noah Taylor (Gordon) e Jack Reynor (Harry) li trovate invece ai rispettivi link.
Enzo Cilenti interpreta Bernie. Inglese, ha partecipato a film come e a serie quali Kick-Ass 2, Guardiani della galassia, La teoria del tutto, Sopravvissuto - The Martian, High Rise e a serie come Il trono di spade. Anche produtore, ha 44 anni.
Babou Ceesay, che interpreta Martin, ha esordito al cinema con l'esilarante Tagli al personale. A Luke Evans era stato offerto il ruolo di Vernon ma l'attore ha dovuto rinunciare in quanto impegnato sul set de La bella e la bestia e anche Olivia Wilde ha declinato l'invito a partecipare al film. Se Free Fire vi fosse piaciuto recuperate Le iene, The Departed e Green Room. ENJOY!
mercoledì 31 gennaio 2018
Chiamami col tuo nome (2017)
Trama: nell'estate italiana del 1983 il giovane Elio si innamora, ricambiato, dell'aitante studente universitario Oliver.
Tra venerdì e lunedì la blogosfera è stata letteralmente invasa dalle recensioni di quello che è diventato, in tempo zero, IL film da vedere prima della notte degli Oscar. Mi sono chiesta a cosa diavolo servisse che esprimessi anch'io il mio parere, per di più con un ritardo inqualificabile rispetto ai tempi mordi e fuggi di internet e considerando che la mia opinione rispetta quella del 90% delle recensioni che troverete on line (perciò vi consiglio di leggere QUESTA), quindi la farò breve e poi mi divertirò a riempire il post di castronerie terra terra, facendomi due risate. Allora, SI', Chiamami col tuo nome è bello bello in modo assurdo come dicono tutti. Ivory e Guadagnino si sono dilettati a creare una novella Arcadia dove l'efebico protagonista Elio e il più maschio ma mai volgare Oliver assecondano i loro più reconditi desideri prima rifiutandosi e poi cercandosi con una passione intensa e travolgente, mentre un'estate Italiana fatta non già di gol e tifo sfrenato ma di sole delicato e fiumiciattoli eleganti li coccola e protegge con fare materno, schermandoli da un mondo esterno freddo e crudele; coming of age raccontato attraverso la sperimentazione della sessualità ma con un occhio all'arte, alla musica, alla letteratura e persino all'antica Grecia, Chiamami col tuo nome mette in scena la gioia e il dolore di un ragazzo che cerca la propria identità seguendo le sue pulsioni naturali e abbandonandosi ad esse con rara innocenza, sostenuto silenziosamente da una famiglia particolarmente aperta (il discorso finale del padre merita l'applauso) che tuttavia non può proteggerlo dalla "naturale" (o convenzionale, fate vobis) evoluzione delle cose. Il senso del film è che anche se il cuore si spezza l'importante è comunque nutrirlo di emozioni, pena l'invecchiare male e diventare aridi, godendosi l'attimo in quella che è l'età più importante e anche più effimera dell'essere umano. L'intensa girandola di emozioni del film viene sostenuta magistralmente non solo dalla bellezza di regia e fotografia ma soprattutto da due attori strepitosi come Armie Hammer e Timothée Chalamet, giovanissimo ma già con un bel passaporto per l'Oscar a portata di mano, che a dire il vero si "limita" ad essere bello, tenero e un po' scoglionato per tutto il film ma diventa magistrale nei titoli di coda, accompagnati da un'altra delle splendide, dolcissime canzoni che arricchiscono Chiamami col tuo nome dall'inizio alla fine. E qui finisce l'agile riassunto di ciò che avete letto su tutti gli altri blog, quindi vi invito ad andare a vedere il film di Guadagnino perché è spettacolare, evitando possibilmente un doppiaggio che sicuramente appiattirà tutto il casino linguistico (meraviglioso da ascoltare, by the way) che lo caratterizza. Adesso comincia la parte scema del post, che potete anche evitare di leggere.
Mr. Ivory, Signor Guadagnino, vogliate perdonarmi la volgarità ma ad essere omosessuale così sono buoni tutti, su. Voglio vivere anche io in una specie di Mulino Bianco immerso nella natura italiana dove la cosa più brutta che può capitarmi è che arrivi Armie Hammer ad "usurparmi" la stanza e "molestarmi" con massaggi disturbando così la mia quiete estiva fatta di bagnetti al fiume (ma una belin di sanguisuga? Una PIETRA fuori posto, per la miseria, un TAFANO che arrivi a pungere le chiappe glabre di 'sti giovinetti aitanti, maschi o femmine che siano?), letture auliche, Battiato in radio, sigarette, scopatelle, colazioni pantagrueliche e cene all'aperto con mezzo mondo. Dov'è questo luogo incantato nei pressi di Cremona dove non gira praticamente nessuno per il paese ma dove TUTTI, americani, italiani, francesi, etero e gay si ritrovano magicamente a casa dei genitori di Elio, la cui unica preoccupazione (ché tanto lasciano il figlio in balia del primo tizio che decide di scoparselo al piano di sopra...) è tradurre libri dal tedesco, disquisire di Craxi e Buñuel (su Bettino poi torniamo) e correre a fare del salvage come i signori dell'Amaro Montenegro? Porco schifo ma che snobissimo schiaffo alla miseria! Io sono nata nel 1981 ma un'estate così non la ricordo. Sarà che il mio povero papà durante le ferie lavorava nei campi e mamma rassettava casa, sarà che a me in "vacanza con l'amico" non mi ci hanno mai mandata, ma col piffero che potevo stare 24h sdraiata a leggere, per di più a 16 anni suonati (sento già le urla di mia madre, miseria). Succhi di frutta naturali? Uova fresche tutte le mattine? Vecchi che accettano lo straniero durante la quotidiana partitella a carte e non solo non gli parlano in dialetto ma nemmeno bestemmiano? Non è Italia, signori, nemmeno nei tanto favoleggiati anni '80. Tra l'altro, Chiamami col tuo nome è un film creato e pensato per l'estero, quindi vorrei capire a che pro "contestualizzarlo" con continui, inutili riferimenti a Craxi e piantandoci persino un Beppe Grillo d'annata che lo prende in giro. Davvero, non voglio credere che per gli USA gli anni '80 siano caratterizzati da film e videogame mentre l'unico modo di richiamare l'effetto nostalgia da noi sia evocare il fantasma di Bettino. Ma mettici un gelato Algida, un Topolino (e figurarsi se Elio non leggeva Diabolik invece...), una puntata di Drive In, un BILLY, altro che succo di albicocca. Tutto, ma non Bettino. Last but not least: ma che cristianimento t'hanno fatto le pesche, Guadagnino? Ti faceva così schifo quella roba plebea della torta di mele? Mi immagino quelle povere pesche, avvizzire sull'albero cercando disperatamente di aggrapparsi alla pianta per non cadere e non far la fine delle vittime di Weinstein... #LaPêcheAussi
Comunque il film è bellissimo, eh. Lo ripeto a scanso di equivoci. Voto 8, al momento Miglior Sceneggiatura Non Originale e Miglior Canzone Originale. Daje, che aspetto Suspiria, Guadagnino!
Del regista Luca Guadagnino ho già parlato QUI. Armie Hammer (Oliver) e Michael Stuhlbarg (Mr. Perlman) li trovate invece ai rispettivi link.
Timothée Chalamet interpreta Elio. Americano, ha partecipato a film come Interstellar e Lady Bird. Ha 23 anni e due film in uscita.
Nel 2015 l'idea era che James Ivory, sceneggiatore di Chiamami col tuo nome, fosse anche regista e che ci fosse Shia LaBeouf al posto di Armie Hammer ma alla fine il tempo è passato ed è subentrato Guadagnino. Il regista, tra l'altro, ha progetti bellicosi perché nel 2020 vorrebbe fare uscire un seguito di Chiamami col tuo nome, con gli stessi attori; nell'attesa, se il film vi fosse piaciuto recuperate Carol, La vita di Adele, I segreti di Brokeback Mountain e Moonlight. ENJOY!
domenica 20 novembre 2016
Animali notturni (2016)
Trama: la ricca gallerista Susan riceve dall'ex marito, dalla quale è divorziata da diciannove anni, il manoscritto del romanzo Animali Notturni, a lei dedicato. Immersa nella lettura del manoscritto, Susan sarà costretta a ripensare agli errori del passato...
Un vecchio adagio recita "Ne uccide più la penna che la spada". Il secondo film di Tom Ford (e mi si perdoni l'ignoranza ma non ho mai guardato A Single Man) è la perfetta rappresentazione per immagini di questa antica massima e di una tristissima crisi di mezza età. Susan è una donna ricchissima, sposata con un marito bello ma inespressivo che la tradisce con una donna ben più giovane, ed è giunta ad un punto della sua esistenza in cui l'importantissimo lavoro di gallerista non la soddisfa né la entusiasma più, al punto che l'insofferenza per tutto ciò che la circonda non la fa dormire la notte. Inaspettatamente, dopo diciannove anni di silenzio, Susan riceve il manoscritto del primo romanzo del suo ex marito, Edward. Non sappiamo perché i due hanno divorziato né perché non si parlano più dopo tutti questi anni ma sta di fatto che il primo romanzo completato dallo scrittore è interamente dedicato a Susan e lei, approfittando dell'ennesima assenza del marito, comincia a leggerlo. Animali Notturni (identico al soprannnome dato da Edward a Susan) è l'agghiacciante storia di una famiglia che, in viaggio per le strade desolate del Texas, viene attaccata da un quartetto di balordi e costretta a vivere un'esperienza terribile che poco ha da invidiare ad un horror e Susan, come vediamo, ne è profondamente colpita, al punto da arrivare a vivere sulla propria pelle le sensazioni dei protagonisti. Immergersi in questi due livelli narrativi paralleli e capire cosa abbiano a che fare l'uno con l'altro è l'aspetto più bello di Animali Notturni e rovinarsi il gusto dell'esperienza con degli spoiler sarebbe nocivo; aggiungo solo che il film di Tom Ford è la storia crudele di una vendetta sottile, l'urlo disperato di chi si è visto strappare dalle mani ogni cosa buona e la triste sconfitta di chi non ha mai neppure provato ad affrontare la vita con coraggio, fuggendo per cordardia da un'esistenza magari priva di agi ma quasi sicuramente ricca di "sentimento", di emozioni capaci di travalicare una vuota apparenza.
E l'apparenza è ciò che colpisce maggiormente guardando Animali notturni, a partire dal sublime trash della sequenza iniziale, a base di ciccione twerkanti e lustrini, per arrivare allo skyline di una New York patinatissima e al trucco pesante di una Amy Adams splendida. L'estetica vuota del mondo reale (o meglio, del mondo di Susan), fatto di arte moderna, superfici riflettenti, accecanti luci al neon, candele soffuse e look curatissimi, fa a pugni con i flashback di una vita semplice e priva di orpelli e, soprattutto, con i colori saturi di un Texas da incubo, caratterizzato da tramonti infuocati, impietose distese desertiche e un'umanità che raschia il fondo della depravazione. Amy Adams sfoglia le pagine del manoscritto mentre la macchina da presa di Ford ne coglie ogni espressione, ogni moto di dolore, paura e stupore, affiancandole grazie ad un montaggio superbo alle emozioni di chi, all'interno del romanzo, soffre e muore in un'incontrollabile spirale di violenza. Al vuoto di una vita "reale" ma malvissuta (Susan chiede alla giovane assistente "Pensi mai che alla fine la tua vita non si sia rivelata come volevi che fosse?"), all'interno della quale persino i quadri diventano meri oggetti di arredamento invece che espressioni della personalità dell'artista e dove la quotidianità coi figli viene affidata alle app degli onnipresenti smartphone, si contrappongono dunque le potenti emozioni di un'opera di finzione che, di fatto, risulta molto più "vera" del mondo surreale abitato da Susan e compagnia; l'animo dell'artista, vomitato su carta e concretizzatosi in fiumi d'inchiostro, si rivela così un'arma potentissima capace di scuotere le coscienze "ciniche" e mandare in frantumi un'esistenza dalla quale è stato brutalmente buttato fuori. Alla fine della fiera, Animali notturni lascia un pesante senso di sconfitta che si estende a tutti i protagonisti, "reali" o di finzione che siano, a prescindere che si tratti di persone colpevoli di qualunque peccato si possa loro imputare o innocenti, e l'unico ad uscirne vincitore è lo spettatore che si è goduto quasi due ore di ottimo Cinema (dove, per una volta, la bellezza formale è assolutamente indispensabile e funzionale alla trama) e una di quelle rare opere capaci di far riflettere e discutere.
Di Amy Adams (Susan Morrow), Jake Gyllenhaal (Tony Hastings/Edward Sheffield), Michael Shannon (Bobby Andes), Aaron Taylor-Johnson (Ray Marcus), Isla Fisher (Laura Hastings), Armie Hammer (Hutton Morrow), Laura Linney (Anne Sutton), Andrea Riseborough (Alessia), Michael Sheen (Carlos) e Jena Malone (Sage Ross) ho già parlato ai rispettivi link.
Tom Ford è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come A Single Man. Anche attore, produttore e stilista, ha 55 anni.
Karl Glusman interpreta Lou. Americano, ha partecipato a film come e serie come Ratter: Ossessione in rete e The Neon Demon. Ha 28 anni e un film in uscita.
Ellie Bamber, che interpreta India Hastings, ha partecipato ad PPZ: Pride and Prejudice and Zombies nei panni di Lydia Bennet. Sinceramente, se Animali notturni vi fosse piaciuto non saprei quale altro film consigliarvi di vedere... probabilmente, io recupererò A Single Man! ENJOY!
domenica 6 dicembre 2015
Operazione U.N.C.L.E. (2015)
Trama: negli anni della guerra fredda una spia russa e una americana devono collaborare per impedire che un'organizzazione filonazista metta le mani su un ordigno atomico..
Operazione U.N.C.L.E era passato praticamente inosservato agli occhi della sottoscritta, chissà perché. Normalmente apprezzo molto Guy Ritchie e un film diretto da lui è qualcosa che non mi dispiace affatto andare a vedere al cinema ma stavolta, complice forse la mancanza di Robert Downey Jr. e la presenza di un trailer non proprio esaltante avevo deciso di lasciar perdere, anche perché non ho mai guardato un solo episodio di Organizzazione U.N.C.L.E., serie che ha ispirato la pellicola. Col senno di poi confermo la bontà della scelta di non vedere il film in sala; Operazione U.N.C.L.E. è un action stilosetto ma abbastanza banale, a tratti divertente e sicuramente dotato di ritmo ma, in definitiva, ben poco memorabile e più volte durante la visione mi sono ritrovata ad invocare il nome di Matthew Vaughn, a mio avviso il nome più adatto per finire dietro la macchina da presa quando si tratta di pellicole come questa. In poche parole Operazione U.N.C.L.E. è una spy-story vintage che sfrutta essenzialmente il costante gioco degli opposti tra il piacione americano Solo e il taciturno russo Illya, sempre sull'orlo della psicopatia, arricchita di parecchi momenti umoristici atti a stemperare le scene più violente o serie e anche di un pizzico di frustrante romanticismo (sarà che ho sempre avuto un debole per le spie che vengono dal freddo o forse perché parecchi atteggiamenti di Illya sembravano scritti apposta per Jigen, a un certo punto l'unico mio interesse guardando il film è diventato sapere se Hammer e la Vikander avrebbero concluso qualcosa!); tra un inganno, una pistolettata e un pugno la trama, piuttosto lineare e prevedibile nonostante un paio di twist inseriti qui e là, trascina lo spettatore dalla Germania all'Italia, dove pittoreschi personaggi tra i quali spicca una malvagia nobildonna cercano di costruire un ordigno nucleare onde tenere in scacco le maggiori potenze mondiali ai tempi della cortina di ferro.
Se vi sembro poco entusiasta del film è perché non c'è traccia, nella regia e nel montaggio, di quelle tamarrate un po' cialtrone alle quali mi aveva abituata Guy Ritchie ai tempi di Sherlock Holmes, né ovviamente della stilosa inventiva dei vecchi Snatch o Lock & Stock, cosa che rende il prodotto troppo spesso anonimo. Non bastano un guardaroba anni '60, per quanto bellissimo, o un paio di split screen per appagare i miei occhietti, tanto più che Operazione U.N.C.L.E. risulta svogliato e poco originale anche per quel che riguarda le scene d'azione, dotate di una coreografia e una messa in scena anche troppo misurate; insomma, in mancanza di uno status "serio" od autoriale un film simile deve sbragare, c'è poco da fare, soprattutto se me lo dirige Guy Ritchie, non basta che sia un ibrido garbato ed indeciso. Stessa cosa vale per gli attori. Come sapete a me piacciono i duri imperfetti, non i fighettini squadrati che vanno tanto di moda adesso. Armie Hammer e Henry Cavill rientrano purtroppo nella seconda categoria; il primo non riuscirebbe ad essere psicopatico nemmeno se la sua malattia fosse certificata, tuttavia il suo modo di fare tra il burbero e il teneroso in qualche modo è riuscito a strappare una minima approvazione da parte mia, mentre Cavill non ha il fascino necessario per essere credibilmente piacione, mi spiace. Guardando inoltre il film in lingua originale si rischia la morte per gli accenti fasulli messi in bocca ai personaggi (Alicia Vikander bellissima ma tedesca quanto me) e gli unici che si salvano sono il già citato Cavill e Hugh Grant, costretto in un cameo a dir poco sprecato, mentre al nativo italiano come la sottoscritta rischia di salire la carogna all'udire la propria lingua biascicata da comparse palesemente straniere: dico ma portare avanti un casting a Roma vi faceva davvero schifo? Mah. A parte tutto, se cercate un film divertente e poco impegnativo Operazione U.N.C.L.E. potrebbe anche andare bene ma non aspettatevi di ricordarlo il giorno dopo!
Del regista e co-sceneggiatore Guy Ritchie ho già parlato QUI. Armie Hammer (Illya), Alicia Vikander (Gaby), Hugh Grant (Waverly) e Jared Harris (Sanders) li trovate invece ai rispettivi link.
Henry Cavill (vero nome Henry William Dalgliesh Cavill) interpreta Solo. Inglese (è nato nel Baliato di Jersey, parte delle Isole del Canale), ha partecipato a film come Hellraiser VIII, Stardust e L'uomo d'acciaio. Ha 32 anni e quattro film in uscita tra cui Batman vs Superman: Dawn of Justice e le due pellicole dedicate alla Justice League.
Sia George Clooney che Tom Cruise erano stati scelti come Napoleon Solo ma il primo ha rinunciato per problemi di salute mentre il secondo ha preferito tornare a dedicarsi a Mission Impossibile; è subentrato così Henry Cavill, che aveva invece partecipato alle audizioni per il ruolo di Illya. Anche alla regia ci sono stati dei cambiamenti dopo che Steven Soderbergh ha scelto di rinunciare al film per divergenze budgetarie e riguardanti il cast. Come ho detto nel post, la pellicola è una sorta di prequel della serie Organizzazione U.N.C.L.E. quindi, visti anche i titoli di coda, potrebbe profilarsi all'orizzonte un sequel ma per ora non si sa nulla e tra i progetti futuri di Guy Ritchie non c'è traccia di un Operazione U.N.C.L.E. 2; nell'attesa di saperne di più, se il film vi fosse piaciuto recuperate la serie e aggiungete Kingsman: Secret Service. ENJOY!
domenica 14 luglio 2013
The Lone Ranger (2013)
Trama: il futuro procuratore John Reid “muore” assieme al fratello nel corso di un’imboscata. “Riportato in vita” dal Comanche Tonto, Reid prende l’identità del Lone Ranger e cerca di assicurare alla giustizia i responsabili della strage…
The Lone Ranger equivale a più di due ore di infantile, godurioso divertimento estivo; assai più simpatico e meno pretenzioso di Alice in Wonderland o Il grande e potente Oz (giusto per fare due nomi eccellenti), meglio diretto e molto meno tamarro de La leggenda del cacciatore di vampiri, l’ultimo film di Verbinski è l’equivalente western dei film dedicati alla serie Charlie’s Angels, ovvero un alternarsi ininterrotto di momenti esilaranti e scene d'azione. Intendiamoci, il Lone Ranger televisivo non l’ho mai visto quindi parto da un’ignoranza crassa per quanto riguarda il mito del personaggio, ma devo ammettere che questa versione slapstick mi è piaciuta parecchio, soprattutto perché il protagonista è un damerino impedito e ligio al dovere che si ritrova, suo malgrado, a vestire i panni del fuorilegge mascherato mentre la sua folle spalla indiana avrebbe preferito il fratello defunto (kemosabe, fratello sbagliato!). In mezzo, il canovaccio della trama inserisce qualsiasi topos del genere western: indiani, ranger, sordidi inganni per ottenere le terre dei poveri Comanches, damigelle in pericolo, uomini d’affari ancora più pericolosi dei fuorilegge, la caccia ai metalli preziosi e chi più ne ha più ne metta.
In costante bilico tra pretesa di realismo e delirio fantastico, The Lone Ranger viene presentato in maniera assai intelligente, perché la storia viene raccontata da un Tonto ormai vecchio e completamente inattendibile, un narratore costantemente interrotto e sviato dalla sua audience. Attraverso questo escamotage, tutto quello che viene mostrato sullo schermo diventa quindi plausibile perché frutto della mente dell'indiano matto e quindi lo spettatore può accettare con gioia anche che un cavallo si arrampichi su un albero, per dire. Azione e goliardia a palate, quindi, ma anche (attenzione!!) una cattiveria inusitata per un film prodotto dalla Disney. La pellicola non mostra un goccio di sangue, d'accordo, ma si parla senza troppe remore di cannibalismo, il body count si avvicina pericolosamente a quello di Django Unchained e, soprattutto, verso la fine del film si assiste ad uno sterminio insensato e crudele ai danni dei poveri indiani, una sequenza devastante che fatica a venire dimenticata nonostante la seneggiatura si riassesti poi su toni più allegri e scanzonati. Cambiano inoltre i tempi per quel che riguarda la vedovanza e l'amore, anche se alla fine a rimetterci sono sempre le povere donne con figli a carico, maledetta Casa del Topo.
Sproloqui a parte,The Lone Ranger mi è piaciuto parecchio anche per il respiro quasi epico di alcune riprese, per il citazionismo dei grandi classici, per lo scarso uso di effetti digitali e per le coreografie ad orologeria di sparatorie, inseguimenti e combattimenti (ho adorato ogni scena accompagnata dal Guglielmo Tell di Rossini, leggermente riarrangiato). Quanto agli attori, Johnny Depp mi è risultato molto meno indigesto rispetto agli ultimi film (certo, il personaggio è simile a Jack Sparrow nella sua cialtroneria, ma a modo suo fa anche tanta tenerezza ed è stranamente malinconico), Arnie Hammer è bambascione da morire e verrebbe voglia di prenderlo fortissimamente a pugni nella faccetta belloccia, la Bonham Carter porta a casa la solita, weirdissima comparsata di gran classe e i malvagi fanno la loro porchissima figura, soprattutto il cannibale William Fichtner e quel Barry Pepper che non ti aspetti nei panni del soldato privo di nerbo ma avidissimo. Quindi, porca miseria! Mi aspettavo di scrivere una recensione piena di strali, invece mi sono proprio divertita e consiglio The Lone Ranger, rigorosamente in 2D, a tutti quelli che hanno voglia di passare una serata fanciullesca senza pretesa di aver davanti IL filmone del secolo. Quello, a quel che sto leggendo in giro, è Pacific Rim, che dovrei proprio veder stasera.
Del regista Gore Verbinski ho già parlato qui. Johnny Depp (Tonto), Armie Hammer (John Reid/Lone Ranger), Helena Bonham Carter (Red Harrington), James Badge Dale (Dan Reid) e Barry Pepper (Fuller) ho già parlato ai rispettivi link.
William Fichtner interpreta Butch Cavendish. Americano, ha partecipato a film come Malcom X, Strange Days, Heat – La sfida, Insoliti criminali, Contact, Armageddon, La tempesta perfetta, Pearl Harbor, Equilibrium, Il cavaliere oscuro e alle serie Baywatch e Prison Break, inoltre ha lavorato come doppiatore per American Dad!. Ha 57 anni e quattro film in uscita tra cui Elysium e Teenage Mutant Ninja Turtles, dove interpreterà Shredder.
Tom Wilkinson interpreta Cole. Inglese, lo ricordo per film come Nel nome del padre, Ragione e sentimento, Spiriti nelle tenebre, Full Monty, Wilde, Rush Hour – Due mine vaganti, Shakespeare in Love, Michael Clayton, The Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Batman Begins, In the Bedroom e The Exorcism of Emily Rose. Ha 65 anni e sei film in uscita.
E ora, un paio di curiosità. Per il ruolo di Rebecca erano stati fatti i nomi di Jessica Chastain ed Abbie Cornish, ma alla fine la parte è andata a Ruth Wilson, già vista in Anna Karenina. La serie televisiva, che è nata negli anni '30 come serie radiofonica prima e fumetto poi, è approdata anche in Italia col titolo Il cavaliere solitario, mentre a metà anni '60 ne è uscita una versione animata. Se, come immagino, non avete voglia di recuperare tutto questo materiale nonostante The Lone Ranger vi sia piaciuto, consiglierei di guardare la prima trilogia dei Pirati dei Caraibi e magari Rango, che devo ancora vedere. ENJOY!!
martedì 10 aprile 2012
Biancaneve (2012)
Trama: Per rimanere giovane e bella, la Regina ha mandato il regno in bancarotta e i sudditi non riescono più a far fronte alle ingenti tasse. La figliastra Biancaneve, che è riuscita a scoprire come stanno le cose, viene mandata a morire nella Foresta Nera. Come racconta la favola, la fanciulla tuttavia sopravvive e incontra i sette nani, con i quali si allea per spodestare la perfida Matrigna e riprendersi il Principe concupito dalla donna...
Tutto mi aspettavo da questo Biancaneve, ma non una pellicola così ironica e divertente, incentrata quasi interamente sull'esilarante figura della Matrigna, magistralmente interpretata da una Julia Roberts in stato di grazia (non a caso il titolo originale è Mirror, Mirror, non Snow White). L'invidia per la bellezza della principessa "dalle labbra rosse come il sangue e la pelle bianca come la neve" è il fulcro anche di questa versione della fiaba, ma la Matrigna non viene dipinta come una megera dedita alla magia bensì, soprattutto, come una "coguara" che ha mandato in rovina il regno per pagarsi feste e cure di bellezza tra le più atroci, una fancazzista il cui unico scopo è trovare un ricco marito, possibilmente giovane, che la mantenga. Biancaneve, come viene chiarito all'inizio, non è altro che un optional (anche se il finale, ovviamente, smentirà ironicamente la Matrigna), una ragazzetta irritante che la donna si è trovata nel Castello e che riesce, senza troppo sforzo, a tenere a bada... almeno finché non arriva il Principe che, in quanto bello, aitante e ricco (senza contare che sarebbe un alleato prezioso per spodestare l'una o l'altra donna) viene bramato da entrambe.
Dal momento in cui la povera Biancaneve viene mandata nella Foresta Nera per evitarle un incontro col Principe, la trama della pellicola si distacca ancora di più da quella della fiaba: i sette nani sono sette ladri (dai pittoreschi nomi di Macellaio, Risata, Napoleone, Lupo, Mezzapinta, Grimm e Mangione) che vagano per la Foresta armati di trampoli per sembrare più alti, briganti che prendono Biancaneve sotto la loro ala protettiva e le insegnano tutte le loro furberie, trasformandola non in una guerriera, ma in una scafata ragazzina in grado di riprendersi quel che è suo di diritto. Non pensate a qualcosa di "zen" o alla Matrix, però. Il film, infatti, non perde mai, nemmeno per un istante, il suo dichiarato intento di essere supercazzola, sfacciatamente in bilico tra artistico trionfo di costumi e scenografie (splendidi e particolarissimi) oppure esilarante trashata. I momenti di puro divertimento si sprecano, tra un Principe trasformato in cucciolo fedele o lasciato in mutande dai nani, gli incredibili siparietti tra la Matrigna e il consigliere Brighton, gli assurdi costumi indossati dagli invitati al ballo (uno su tutti: Biancaneve col copricapo a forma di cigno) e al matrimonio, le cure di bellezza a base di guano, vermi, vespe, scorpioni, bisce e quant'altro, il duello con fior di sculacciate in punta di spada e il finale bollywoodiano con tanto di balletto e canzone. Paradossalmente, la parte meno riuscita del film è quella dichiaratamente fantasy, che implica l'utilizzo delle arti magiche della regina e di troppa Computer Graphic: il passaggio dallo specchio al rifugio sul lago è spettacolare, ma l'attacco del burattino gigante e soprattutto quello della Chimera sono decisamente bruttini.
Mi rendo conto che sarebbe impossibile fare un confronto tra questo Biancaneve e il film che uscirà a luglio, Biancaneve e il cacciatore, però due parole vorrei spenderle. Nonostante sia una commedia divertentissima, il film di Tarsem mi è sembrato qualcosa di molto più adulto e particolare, assai distante dagli ultimi adattamenti gotici (leggasi: per bimbiminkia) delle fiabe più famose, come Cappuccetto Rosso sangue o Beastly, una pellicola girata non per racimolare incassi, nonostante la presenza di una star come Julia Roberts, ma semplicemente per il gusto di rileggere in modo diverso una fiaba amata e conosciutissima. A tal proposito, è sicuramente un film che non consiglierei ai bambini, che si romperebbero le scatole e capirebbero pochissimo della storia, né a chi si aspetta una storia d'amore convenzionale, una moraletta spicciola, una pellicola seria o chissà quale capolavoro. Biancaneve, per essere apprezzato, dev'essere vissuto come qualcosa di non etichettabile, un film a sé stante da godere sul momento, una follia di un'ora e mezza. Se andrete al cinema consapevoli di questo, non ve ne pentirete!!
Di Armie Hammer, che interpreta il principe Alcott, ho già parlato qui.
Tarsem Singh (vero nome Tarsem Dandhwar Singh) è il regista della pellicola. Indiano, ha diretto film come The Cell - La cellula, The Fall e Immortals. Anche sceneggiatore e produttore, ha 51 anni.
Julia Roberts (vero nome Julia Fiona Roberts) interpreta la Regina. Una delle attrici più famose di Hollywood, la ricordo per film come Mystic Pizza, Fiori d'acciaio, Pretty Woman, Linea mortale, A letto con il nemico, Hook - Capitan Uncino, Qualcosa di cui... sparlare, Mary Reilly, Michael Collins, Il matrimonio del mio migliore amico, Nemiche amiche, Notting Hill, Se scappi ti sposo, Erin Brokovich - Forte come la verità (per il quale ha vinto l'Oscar come migliore attrice protagonista), The Mexican, I perfetti innamorati, Ocean's Eleven - Fate il vostro gioco, Confessioni di una mente pericolosa, Ocean's Twelve; ha inoltre doppiato Ant Bully - Una vita da formica, e partecipato a episodi di Miami Vice e Friends. Anche produttrice, ha 45 anni e due film in uscita.
Lily Collins (vero nome Lily Jane Collins) interpreta Biancaneve. Inglese, figlia del cantautore Phil Collins, ha partecipato a film come Priest e ad episodi della serie 90210. Ha 23 anni e quattro film in uscita.
Nathan Lane (vero nome Joseph Lane) interpreta Brighton. Americano, lo ricordo per film come La famiglia Addams 2, Piume di struzzo, Un topolino sotto sfratto, Stuart Little - Un topolino in gamba e Austin Powers in Goldmember; inoltre ha doppiato Timon ne Il re leone e partecipato a serie come Miami Vice, Innamorati pazzi e Sex and the City. Anche produttore, ha 56 anni e un film in uscita.
Sean Bean (vero nome Shaun Mark Bean) interpreta il Re. Attore inglese che ricorderò sempre per aver interpretato il meraviglioso Boromir nella trilogia de Il Signore degli Anelli, ha partecipato a film come Goldeneye, Ronin, Equilibrium, Il mistero dei Templari, North Country, Silent Hill e a serie come Game of Thrones. Ha 53 anni e due film in uscita.
Saoirse Ronan era stata presa in considerazione per il ruolo di Biancaneve, ma la differenza di età tra lei e Armie Hammer era troppo grande; Lily Collins, invece, avrebbe dovuto recitare col ruolo dello stesso personaggio in Biancaneve e il cacciatore, ma le è stata preferita (ohibò...) Kristen Stewart. Destino inverso per il Principe: nel film con la Stewart ci sarà l'attore che è stato scartato durante il casting di Biancaneve. Ribadisco il mio fermo proposito di non andare a vedere il secondo film dedicato alla "più bella del reame" e vi saluto... ENJOY!!