Uno sfortunato incidente accorso nel periodo Natalizio è coinciso con la possibilità di passare del tempo bloccata in casa a guardare film... quindi, per cominciare, ho deciso di recuperare Free Fire, uscito in Italia (ma non a Savona) a inizio dicembre e diretto nel 2016 dal regista Ben Wheatley, anche co-sceneggiatore.
Trama: uno scambio di armi e denaro non va per il verso giusto e i coinvolti cominciano a spararsi, diffidenti l'uno dell'altro...
Immagino che tutti ricorderete il finale de Le Iene, uno stallo in cui i protagonisti, alla fine, si ritrovano l'uno contro l'altro e si sparano a vicenda. Fine. Ecco, Free Fire prende la sparatoria, l'allunga per un'ora e mezza e la trasforma in un film divertente, movimentato, angosciante e bellissimo. Merito di Ben Wheatley (e della moglie alla sceneggiatura), regista col quale ho un rapporto controverso ma che non si può dire abbia mai sbagliato un film o, meglio, che non sforni qualcosa di particolare e zeppo di personalità ogni volta. Free Fire, per esempio, poteva essere una tamarrata unica, perché la base è quanto di più action e banale ci sia al mondo: ci sono due gruppi di malviventi, un gruppo vuole i fucili, l'altro vuole i soldi, una persona fa l'intermediario. La fiducia reciproca è poca, già di partenza, e ovviamente succede qualcosa che innesca la miccia della tensione e trasforma una fabbrica abbandonata in un terreno di guerra dove tutti i protagonisti hanno come obiettivo la sopravvivenza e la morte di qualcun altro, vuoi per vendetta, vuoi per antipatia, vuoi per puro e semplice interesse personale. In un film banale (leggi: in un action USA) probabilmente la fabbrica ad un certo punto esploderebbe oppure ci sarebbe il macho man della situazione che, rimediando giusto una ferita sul finale, si ergerebbe su tutti i coinvolti scrollandosi di dosso le pallottole come acqua, qui la situazione è invece un po' diversa. Tanto per cominciare, i protagonisti di Free Fire sono uno più cretino dell'altro. Vanesi, innamorati della propria voce e al 90% ignoranti delle regole base di convivenza criminale se non addirittura pesci piccoli dal carattere rissoso, sembrano dei bambini impegnati in un gioco da adulti. Quando cominciano a volare le prime pallottole, una bellissima sequenza ce li mostra sconvolti, con un ralenti impietoso ad inquadrare corpi non tanto pronti ad armarsi a loro volta bensì desiderosi di allontanarsi dalla prima persona colpita, diretti verso qualunque riparo in grado di offrire salvezza perché consapevoli che la situazione sta per buttare molto, molto male. Da lì comincia un'ininterrotta sinfonia di pistole che sparano, gente che urla (di dolore ma anche per minacciare, chiamare i compagni, manifestare la propria disperazione o semplicemente rompere le palle al prossimo) e John Denver che canta, qualcosa che non solo non da tregua ai personaggi ma nemmeno allo spettatore.
Se l'idea di ambientare il tutto negli anni '70 è un raffinato tocco di classe che delizia gli occhi con costumi e pettinature a tema (e soprattutto impedisce ai protagonisti di avere un cellulare!), quella di utilizzare una fabbrica abbandonata è funzionale alla trama stessa. La scenografia, oltre a essere molto evocativa, è piena di nascondigli di fortuna ma anche di piccole cose in grado di far male e vedere i personaggi costretti a strisciare in mezzo ai vetri, le schegge di legno o i cocci di cemento crea un immediato senso di fastidio; ovviamente, la cinepresa di Ben Wheatley indugia su ogni espressione di dolore, su ogni ferita e persino sulle pallottole ma di tanto in tanto si allarga a mostrarci per intero il "campo da gioco" e le posizioni dei vari giocatori, rannicchiati dietro protezioni di fortuna, mentre un montaggio serratissimo porta quasi a voler chinare la testa per paura che una pallottola possa raggiungere persino noi spettatori. Gli attori, poi, sono perfetti. Assieme ad alcuni caratteristi che si imprimono a fuoco nella memoria pur senza avere un nome di richiamo, ci sono attori più conosciuti come Cillian Murphy, Armie Hammer e Brie Larson che interpretano alla perfezione i loro personaggi e soprattutto c'è Sharlto Copley. Ora, voi forse non avete idea di quanto fossi arrivata non sopportare Copley ma qui è decisamente il migliore del mazzo con quei baffoni assurdi e quell'accento caricatissimo (dal mio umile punto di vista Free Fire perde almeno cinque punti doppiato in italiano. Poi, fate voi) che lo rendono un personaggio esilarante ma, ovviamente, da non sottovalutare. L'inglesotto Ben Wheatley si riconferma dunque Autore a tutto tondo da tenere sottocchio. Magari non facile (anche se in questo caso fortunatamente non mi è esploso il cervello come con High Rise o Kill List) ma comunque originalissimo e pronto a sperimentare, oltre che dannatamente bravo. Di questi tempi è quasi un miracolo!
Del regista e co-sceneggiatore Ben Wheatley ho già parlato QUI. Sam Riley (Stevo), Michael Smiley (Frank), Brie Larson (Justine), Cillian Murphy (Chris), Armie Hammer (Ord), Sharlto Copley (Vernon), Noah Taylor (Gordon) e Jack Reynor (Harry) li trovate invece ai rispettivi link.
Enzo Cilenti interpreta Bernie. Inglese, ha partecipato a film come e a serie quali Kick-Ass 2, Guardiani della galassia, La teoria del tutto, Sopravvissuto - The Martian, High Rise e a serie come Il trono di spade. Anche produtore, ha 44 anni.
Babou Ceesay, che interpreta Martin, ha esordito al cinema con l'esilarante Tagli al personale. A Luke Evans era stato offerto il ruolo di Vernon ma l'attore ha dovuto rinunciare in quanto impegnato sul set de La bella e la bestia e anche Olivia Wilde ha declinato l'invito a partecipare al film. Se Free Fire vi fosse piaciuto recuperate Le iene, The Departed e Green Room. ENJOY!
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martedì 24 aprile 2018
domenica 5 giugno 2016
High-Rise (2015)
In questi giorni mi è capitato di sentire parlare di High-Rise, diretto nel 2015 dal regista Ben Wheatley e tratto dal romanzo Il condominio di James G. Ballard, quindi ho deciso di recuperarlo.
Trama: nell'Inghilterra degli anni '70, il dottor Lain si trasferisce in un condominio di quaranta piani, fornito di ogni comfort, all'interno del quale esistono tuttavia delle discriminazioni sociali per cui gli abitanti dei piani più bassi godono di assai meno privilegi rispetto a quelli dei piani alti. Quando cominciano a mancare acqua ed elettricità, i precari equilibri tra inquilini iniziano a rompersi, generando un caos incontrollabile...
Al terzo film ho scoperto che io, Ben Whitley e sua moglie Amy Jump non andiamo molto d'accordo. O, meglio, che loro sono "troppo cerebrali per capire che si può star bene senza complicare il pane", come diceva Bersani (non lo smacchiaghepardi, l'altro). Intendiamoci, High-Rise non è un brutto film, assolutamente; è anzi molto stuzzicante e grottesco, intriso di nero umorismo e situazioni paradossali, oltre che di una buona dose di claustrofobico orrore, tuttavia ne ho patito la lunghezza eccessiva e il modo in cui viene sopravvalutato lo spettatore, al quale vengono gettate in pasto situazioni folli senza soluzione di continuità e senza motivazioni troppo chiare (contate che guardare un film simile alle 22 è un po' un autogol ma non ho altri momenti in cui farlo). Prendiamo per esempio il personaggio di Lain, il protagonista. High-Rise è ambientato in un condominio di quaranta piani, all'interno del quale c'è non solo ogni genere di servizio, dalla piscina, alla sauna al supermercato, ma soprattutto c'è parecchia maretta tra gli abitanti ricchi e snob dei piani alti e quelli più "proletari" dei piani inferiori; Lain va a collocarsi nel mezzo ma le sue mosse nei confronti degli altri inquilini non sono proprio chiarissime. C'è chi lo snobba, nonostante sia dottore, in quanto abitante intorno al ventesimo piano, chi lo tiene in altissima considerazione proprio per la sua professione, mentre lui, in generale, appare freddo e scostante con tutti, salvo quando cede ai piaceri della carne stuzzicato dall'affascinante Charlotte oppure quando cerca di ingraziarsi l'Architetto del luogo. Quando scatta il casino, ovvero quando l'edificio di quaranta piani comincia a soffrire interruzioni continue di acqua e corrente, le mosse di Lain diventano ancora più ambigue e la pellicola si trasforma in un delirio di visioni, incubi, paranoie e reale guerriglia "casalinga", all'interno della quale ognuno si abbandona ai desideri più turpi e alle bestialità più inenarrabili e, in generale, non c'è un solo personaggio (salvo forse il figlio di Charlotte e la gravida Helen), verso il quale si riesca ad empatizzare. Forse avrei dovuto leggere il libro di Ballard prima, eh? Ma no, perché? E' tanto bello vivere nell'ignoranza.
Digiuna della lettura pregressa del romanzo da cui High-Rise è tratto e nonostante l'amore per le situazioni complicate mostrato da Wheatley ho apprezzato moltissimo il già citato senso di claustrofobia che si respira per tutta la pellicola e la scelta di "umanizzare" il condominio al punto di renderlo un'entità malvagia capace di ottundere quasi del tutto la forza di volontà degli inquilini. La cosa che mi ha stupita guardando il film è che il Condominio è sicuramente isolato dalla città in cui i protagonisti vanno a lavorare e dove, ipoteticamente, dovrebbero avere dei legami, tuttavia non è chiuso ermeticamente; sono le persone che lo abitano a scegliere consapevolmente di rinchiudersi dentro fino a perdere il senso del tempo e della propria autoconsapevolezza, tanto che quando le comodità iniziano a venire meno anche loro si "rompono", convinti che non esista più nulla al di fuori delle quattro, altissime mura che le circondano e, soprattutto, dei "privilegi" acquisiti in anni di feste esclusive, favori sessuali alle persone giuste e quant'altro. L'idea di un disinteresse verso il prossimo che si espande come un virus è assolutamente intrigante, tanto quanto la scelta di ambientare High-Rise negli anni '70, aumentando così il senso di sfasamento provato dallo spettatore, che a tratti si convince di stare assistendo alle vicende di un luogo senza tempo, cristallizzato nelle idee decadenti di un Architetto vecchio e malato, incapace di governare al meglio la sua stessa creazione (o forse interamente disinteressato all'argomento. I dialoghi sono molto importanti ma seguirli tutti con attenzione è bello tosto, sappiatelo); a tal proposito, costumi e scenografie sono quasi più importanti del lavoro degli attori, comunque tutti bravissimi e completamente dedicati a ruoli difficili e poco simpatici, a cominciare da Tom Hiddleston per arrivare all'incredibile Luke Evans, forse il migliore del film (nonché, a detta dei personaggi, il più savio). Si ripropone dunque lo schema di Kill List: Wheatley e signora, vi capisco poco ma continuo a pensare ai vostri film anche a distanza di giorni, flagellandomi nell'ignoranza e cercando di capire. E anche questo è amore.
Del regista Ben Wheatley ho già parlato QUI. Tom Hiddleston (Lain), Sienna Miller (Charlotte) e Luke Evans (Wilder) li trovate invece ai rispettivi link.
Jeremy Irons interpreta Royal. Inglese, lo ricordo per film come Mission, Inseparabili, Il mistero Von Bulow (che gli è valso l'Oscar come miglior attore protagonista), La casa degli spiriti, Die Hard - Duri a morire, Io ballo da sola, Lolita, La maschera di ferro, La corrispondenza e Batman vs Superman: Dawn of Justice; inoltre, ha lavorato come doppiatore per film come Il re leone e serie come I Simpson. Anche regista e produttore, ha 68 anni e tre film in uscita, tra cui The Justice League Part One, in cui dovrebbe interpretare il maggiordomo Alfred.
Elisabeth Moss interpreta Helen. Americana, ha partecipato a film come Cose dell'altro mondo, Una cena quasi perfetta, Mumford e a serie come Grey's Anatomy, Medium, Ghost Whisperer; inoltre, ha lavorato come doppiatrice per serie quali Batman, Animaniacs, Freakazoid! e I Simpson. Anche produttrice, ha 34 anni e quattro film in uscita.
High-Rise era un sogno nel cassetto del produttore Jeremy Thomas da decenni ma il romanzo di Ballard era sempre stato ritenuto infilmabile e, prima che subentrasse Wheatley, tra i registi papabili c'era Vincenzo Natali. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Il demone sotto la pelle! ENJOY!
Trama: nell'Inghilterra degli anni '70, il dottor Lain si trasferisce in un condominio di quaranta piani, fornito di ogni comfort, all'interno del quale esistono tuttavia delle discriminazioni sociali per cui gli abitanti dei piani più bassi godono di assai meno privilegi rispetto a quelli dei piani alti. Quando cominciano a mancare acqua ed elettricità, i precari equilibri tra inquilini iniziano a rompersi, generando un caos incontrollabile...
Al terzo film ho scoperto che io, Ben Whitley e sua moglie Amy Jump non andiamo molto d'accordo. O, meglio, che loro sono "troppo cerebrali per capire che si può star bene senza complicare il pane", come diceva Bersani (non lo smacchiaghepardi, l'altro). Intendiamoci, High-Rise non è un brutto film, assolutamente; è anzi molto stuzzicante e grottesco, intriso di nero umorismo e situazioni paradossali, oltre che di una buona dose di claustrofobico orrore, tuttavia ne ho patito la lunghezza eccessiva e il modo in cui viene sopravvalutato lo spettatore, al quale vengono gettate in pasto situazioni folli senza soluzione di continuità e senza motivazioni troppo chiare (contate che guardare un film simile alle 22 è un po' un autogol ma non ho altri momenti in cui farlo). Prendiamo per esempio il personaggio di Lain, il protagonista. High-Rise è ambientato in un condominio di quaranta piani, all'interno del quale c'è non solo ogni genere di servizio, dalla piscina, alla sauna al supermercato, ma soprattutto c'è parecchia maretta tra gli abitanti ricchi e snob dei piani alti e quelli più "proletari" dei piani inferiori; Lain va a collocarsi nel mezzo ma le sue mosse nei confronti degli altri inquilini non sono proprio chiarissime. C'è chi lo snobba, nonostante sia dottore, in quanto abitante intorno al ventesimo piano, chi lo tiene in altissima considerazione proprio per la sua professione, mentre lui, in generale, appare freddo e scostante con tutti, salvo quando cede ai piaceri della carne stuzzicato dall'affascinante Charlotte oppure quando cerca di ingraziarsi l'Architetto del luogo. Quando scatta il casino, ovvero quando l'edificio di quaranta piani comincia a soffrire interruzioni continue di acqua e corrente, le mosse di Lain diventano ancora più ambigue e la pellicola si trasforma in un delirio di visioni, incubi, paranoie e reale guerriglia "casalinga", all'interno della quale ognuno si abbandona ai desideri più turpi e alle bestialità più inenarrabili e, in generale, non c'è un solo personaggio (salvo forse il figlio di Charlotte e la gravida Helen), verso il quale si riesca ad empatizzare. Forse avrei dovuto leggere il libro di Ballard prima, eh? Ma no, perché? E' tanto bello vivere nell'ignoranza.
Digiuna della lettura pregressa del romanzo da cui High-Rise è tratto e nonostante l'amore per le situazioni complicate mostrato da Wheatley ho apprezzato moltissimo il già citato senso di claustrofobia che si respira per tutta la pellicola e la scelta di "umanizzare" il condominio al punto di renderlo un'entità malvagia capace di ottundere quasi del tutto la forza di volontà degli inquilini. La cosa che mi ha stupita guardando il film è che il Condominio è sicuramente isolato dalla città in cui i protagonisti vanno a lavorare e dove, ipoteticamente, dovrebbero avere dei legami, tuttavia non è chiuso ermeticamente; sono le persone che lo abitano a scegliere consapevolmente di rinchiudersi dentro fino a perdere il senso del tempo e della propria autoconsapevolezza, tanto che quando le comodità iniziano a venire meno anche loro si "rompono", convinti che non esista più nulla al di fuori delle quattro, altissime mura che le circondano e, soprattutto, dei "privilegi" acquisiti in anni di feste esclusive, favori sessuali alle persone giuste e quant'altro. L'idea di un disinteresse verso il prossimo che si espande come un virus è assolutamente intrigante, tanto quanto la scelta di ambientare High-Rise negli anni '70, aumentando così il senso di sfasamento provato dallo spettatore, che a tratti si convince di stare assistendo alle vicende di un luogo senza tempo, cristallizzato nelle idee decadenti di un Architetto vecchio e malato, incapace di governare al meglio la sua stessa creazione (o forse interamente disinteressato all'argomento. I dialoghi sono molto importanti ma seguirli tutti con attenzione è bello tosto, sappiatelo); a tal proposito, costumi e scenografie sono quasi più importanti del lavoro degli attori, comunque tutti bravissimi e completamente dedicati a ruoli difficili e poco simpatici, a cominciare da Tom Hiddleston per arrivare all'incredibile Luke Evans, forse il migliore del film (nonché, a detta dei personaggi, il più savio). Si ripropone dunque lo schema di Kill List: Wheatley e signora, vi capisco poco ma continuo a pensare ai vostri film anche a distanza di giorni, flagellandomi nell'ignoranza e cercando di capire. E anche questo è amore.
| Momento fanservice per tutte le Hiddlestoners che passeranno di qui! |
Jeremy Irons interpreta Royal. Inglese, lo ricordo per film come Mission, Inseparabili, Il mistero Von Bulow (che gli è valso l'Oscar come miglior attore protagonista), La casa degli spiriti, Die Hard - Duri a morire, Io ballo da sola, Lolita, La maschera di ferro, La corrispondenza e Batman vs Superman: Dawn of Justice; inoltre, ha lavorato come doppiatore per film come Il re leone e serie come I Simpson. Anche regista e produttore, ha 68 anni e tre film in uscita, tra cui The Justice League Part One, in cui dovrebbe interpretare il maggiordomo Alfred.
Elisabeth Moss interpreta Helen. Americana, ha partecipato a film come Cose dell'altro mondo, Una cena quasi perfetta, Mumford e a serie come Grey's Anatomy, Medium, Ghost Whisperer; inoltre, ha lavorato come doppiatrice per serie quali Batman, Animaniacs, Freakazoid! e I Simpson. Anche produttrice, ha 34 anni e quattro film in uscita.
High-Rise era un sogno nel cassetto del produttore Jeremy Thomas da decenni ma il romanzo di Ballard era sempre stato ritenuto infilmabile e, prima che subentrasse Wheatley, tra i registi papabili c'era Vincenzo Natali. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Il demone sotto la pelle! ENJOY!
domenica 15 novembre 2015
Kill List (2011)
Ci ho messo un po' ma finalmente trovo il coraggio di parlare di Kill List, diretto e co-sceneggiato nel 2011 dal regista Ben Wheatley.
Trama: un ex soldato riciclatosi come sicario, in piena crisi coniugale e lavorativa, decide di accettare un incarico e uccidere delle persone inserite in una lista. Neanche a dirlo, sarà l'inizio di un incubo...
Quando aspetto giorni per scrivere un post (tolta la perenne mancanza di tempo, chevvelodicoaffare) è perché o il film non mi è piaciuto oppure perché ho avuto bisogno di rifletterci su. Il caso di Kill List rappresenta un misto di queste due possibilità perché, ammettiamolo, non è che la pellicola di Wheatley mi abbia appassionata più di tanto di primo acchito, complice anche l'ora tarda e un'altra serie di circostanze sfavorevoli accorse durante la visione. Anzi, diciamo pure che alla fine ero talmente perplessa da aver aperto una sorta di "simposio" via WhatsApp durante il quale la buona e paziente Silly ha dato risposta ad alcuni miei dubbi. Partendo da un suo paio di interpretazioni illuminate ho passato i giorni a rigirarmi nella mente Kill List e alla fine sono giunta alla conclusione che la pellicola di Ben Wheatley è una bomba proprio perché un film che da da pensare per così tanto tempo, di questi tempi così superficiali, è già di per sé un piccolo miracolo. E poi perché riesce ad essere uno splendido omaggio a The Wicker Man mantendendo contemporaneamente una sua spiccata personalità e anche questo non è poco, anzi. Se mai vi accingerete a guardare Kill List toglietevi innanzitutto dalla testa di trovarvi davanti un horror nel senso stretto della parola e, soprattutto, non crediate che la trama sia lineare ed univoca, in quanto la sceneggiatura scritta da Wheatley e dalla moglie Amy Jump si apre a mille interpretazioni diverse, tutte quante plausibili. D'altronde il protagonista è un ex militare afflitto palesemente da stress post traumatico, incapace sia di condurre una vita normale con la moglie e il figlio, sia di tornare a "lavorare", dove per lavorare si intende riprendere l'attività di sicario, condivisa con l'amico ed ex commilitone Gal: nel film si fa spesso cenno a "qualcosa" accaduto a Kiev, durante una missione omicida in cui probabilmente Jay ha perso il controllo, conseguentemente possiamo dire che la frammentazione del montaggio e la scarsità di informazioni fornite allo spettatore, che concorrono a rendere Kill List molto criptico, siano un modo di rappresentare la psiche fragile e torturata del protagonista, soggetto ad apatia e scoppi improvvisi di violenza.
Al legame profondo tra protagonista e realizzazione del film, il cui cammino verso il finale è scandito da capitoli come se ci trovassimo davanti a una tragedia greca o ad un impietoso countdown, si accompagna il modo sottile ed inquietante col quale Wheatley inserisce l'Orrore in questa storia di traumi, problemi familiari e criminali. Un Orrore perturbante che induce lo spettatore a riprendere Kill List per riguardarlo tutto da capo, cercando di cogliere i segni in grado di prefigurare il terrificante, angoscioso finale, per capire come si possa essere arrivati a quel punto. In effetti, io con quel finale (di cui non parlerò) ho avuto molti problemi e Silly lo sa, semplicemente non potevo accettarlo né capirlo, abituata come sono a guardare horror dotati di spiegazioni "razionali" e fondamentalmente univoche. Su questo finale mi sono incaponita, nonostante mi sia stato consigliato di non farlo, di accettarlo e lasciarmi trasportare, ho deciso di ripercorrere da capo ogni scena, anche la più insignificante, ed è stato così che a un certo punto la tragedia e il destino di Jay sono diventati lapalissiani e perfettamente plausibili. E' servita solo molta, moltissima attenzione ed è stato necessario rifocalizzare il cervello su un tipo di intrigo quasi "antiquato", centellinato e bastardo, affidato più alla sensibilità soggettiva dello spettatore che a qualcosa di oggettivo e universale. Quando anche l'ultima tessera del puzzle è andata a posto mi si è aperto un mondo e ho capito che Kill List è uno degli horror più intriganti che siano stati girati nell'ultimo decennio, nonché uno dei più crudeli ed impietosi e stupidissima io a non averlo capito subito e a non aver dato fiducia a Ben Wheatley, autore assolutamente non banale che già avevo apprezzato in The ABCs of Death e Killer in Viaggio. So bene che questo post non ha alcun senso ma è servito a me per scendere a patti con questo piccolo gioiellino, per ricordarmi che non è mai bene dar retta alla mia testa d'Ariete e buttare giù dei giudizi affrettati nati dall'errata convinzione di non capire. A volte basta solo rilassarsi e rifletterci un po'.
Del regista e co-sceneggiatore Ben Wheatley ho già parlato QUI mentre Michael Smiley, che interpreta Gal, lo trovate QUA.
Neil Maskell interpreta Jay. Inglese, ha partecipato a film come Basic Instinct 2, Doghouse, Pusher e The ABCs of Death. Anche regista e sceneggiatore, ha 39 anni e due film in uscita.
MyAnna Buring interpreta Shel. Svedese, ha partecipato a film come The Descent, Omen - Il presagio, Grindhouse, Doomsday - Il giorno del giudizio, Lesbian Vampire Killers, The Descent: part 2, The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 1, The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2 e a serie come Downton Abbey. Ha 36 anni e tre film in uscita.
Se Kill List vi fosse piaciuto recuperate The Wicker Man. ENJOY!
Trama: un ex soldato riciclatosi come sicario, in piena crisi coniugale e lavorativa, decide di accettare un incarico e uccidere delle persone inserite in una lista. Neanche a dirlo, sarà l'inizio di un incubo...
Quando aspetto giorni per scrivere un post (tolta la perenne mancanza di tempo, chevvelodicoaffare) è perché o il film non mi è piaciuto oppure perché ho avuto bisogno di rifletterci su. Il caso di Kill List rappresenta un misto di queste due possibilità perché, ammettiamolo, non è che la pellicola di Wheatley mi abbia appassionata più di tanto di primo acchito, complice anche l'ora tarda e un'altra serie di circostanze sfavorevoli accorse durante la visione. Anzi, diciamo pure che alla fine ero talmente perplessa da aver aperto una sorta di "simposio" via WhatsApp durante il quale la buona e paziente Silly ha dato risposta ad alcuni miei dubbi. Partendo da un suo paio di interpretazioni illuminate ho passato i giorni a rigirarmi nella mente Kill List e alla fine sono giunta alla conclusione che la pellicola di Ben Wheatley è una bomba proprio perché un film che da da pensare per così tanto tempo, di questi tempi così superficiali, è già di per sé un piccolo miracolo. E poi perché riesce ad essere uno splendido omaggio a The Wicker Man mantendendo contemporaneamente una sua spiccata personalità e anche questo non è poco, anzi. Se mai vi accingerete a guardare Kill List toglietevi innanzitutto dalla testa di trovarvi davanti un horror nel senso stretto della parola e, soprattutto, non crediate che la trama sia lineare ed univoca, in quanto la sceneggiatura scritta da Wheatley e dalla moglie Amy Jump si apre a mille interpretazioni diverse, tutte quante plausibili. D'altronde il protagonista è un ex militare afflitto palesemente da stress post traumatico, incapace sia di condurre una vita normale con la moglie e il figlio, sia di tornare a "lavorare", dove per lavorare si intende riprendere l'attività di sicario, condivisa con l'amico ed ex commilitone Gal: nel film si fa spesso cenno a "qualcosa" accaduto a Kiev, durante una missione omicida in cui probabilmente Jay ha perso il controllo, conseguentemente possiamo dire che la frammentazione del montaggio e la scarsità di informazioni fornite allo spettatore, che concorrono a rendere Kill List molto criptico, siano un modo di rappresentare la psiche fragile e torturata del protagonista, soggetto ad apatia e scoppi improvvisi di violenza.
Al legame profondo tra protagonista e realizzazione del film, il cui cammino verso il finale è scandito da capitoli come se ci trovassimo davanti a una tragedia greca o ad un impietoso countdown, si accompagna il modo sottile ed inquietante col quale Wheatley inserisce l'Orrore in questa storia di traumi, problemi familiari e criminali. Un Orrore perturbante che induce lo spettatore a riprendere Kill List per riguardarlo tutto da capo, cercando di cogliere i segni in grado di prefigurare il terrificante, angoscioso finale, per capire come si possa essere arrivati a quel punto. In effetti, io con quel finale (di cui non parlerò) ho avuto molti problemi e Silly lo sa, semplicemente non potevo accettarlo né capirlo, abituata come sono a guardare horror dotati di spiegazioni "razionali" e fondamentalmente univoche. Su questo finale mi sono incaponita, nonostante mi sia stato consigliato di non farlo, di accettarlo e lasciarmi trasportare, ho deciso di ripercorrere da capo ogni scena, anche la più insignificante, ed è stato così che a un certo punto la tragedia e il destino di Jay sono diventati lapalissiani e perfettamente plausibili. E' servita solo molta, moltissima attenzione ed è stato necessario rifocalizzare il cervello su un tipo di intrigo quasi "antiquato", centellinato e bastardo, affidato più alla sensibilità soggettiva dello spettatore che a qualcosa di oggettivo e universale. Quando anche l'ultima tessera del puzzle è andata a posto mi si è aperto un mondo e ho capito che Kill List è uno degli horror più intriganti che siano stati girati nell'ultimo decennio, nonché uno dei più crudeli ed impietosi e stupidissima io a non averlo capito subito e a non aver dato fiducia a Ben Wheatley, autore assolutamente non banale che già avevo apprezzato in The ABCs of Death e Killer in Viaggio. So bene che questo post non ha alcun senso ma è servito a me per scendere a patti con questo piccolo gioiellino, per ricordarmi che non è mai bene dar retta alla mia testa d'Ariete e buttare giù dei giudizi affrettati nati dall'errata convinzione di non capire. A volte basta solo rilassarsi e rifletterci un po'.
Del regista e co-sceneggiatore Ben Wheatley ho già parlato QUI mentre Michael Smiley, che interpreta Gal, lo trovate QUA.
Neil Maskell interpreta Jay. Inglese, ha partecipato a film come Basic Instinct 2, Doghouse, Pusher e The ABCs of Death. Anche regista e sceneggiatore, ha 39 anni e due film in uscita.
MyAnna Buring interpreta Shel. Svedese, ha partecipato a film come The Descent, Omen - Il presagio, Grindhouse, Doomsday - Il giorno del giudizio, Lesbian Vampire Killers, The Descent: part 2, The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 1, The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2 e a serie come Downton Abbey. Ha 36 anni e tre film in uscita.
Se Kill List vi fosse piaciuto recuperate The Wicker Man. ENJOY!
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mercoledì 26 giugno 2013
Killer in viaggio (2012)
Qualche sera fa sono riuscita a recuperare e vedere Killer in viaggio (The Sightseers), film diretto nel 2012 dal regista Ben Wheatley e pellicola che puntavo già da quando ne avevo adocchiato l’uscita USA.
Trama: una ragazza vessata dalla madre tiranna trova finalmente l’amore della sua vita e decide di passare una vacanza in caravan assieme a lui. Peccato che l’uomo, apparentemente tanto gentile, nasconda l’indole di un killer psicopatico…
The power of love. Si potrebbe riassumere così questo Killer in viaggio, ed effettivamente la canzone dei Frankie Goes to Hollywood è parte della bellissima colonna sonora del film e accompagna una delle sue sequenze più riuscite, verso la fine. Per il resto, abbiamo per le mani una simpatica commedia nerissima che si rifà più di una volta all'indimenticabile La signora ammazzatutti di John Waters, con un protagonista "costretto" ad essere killer per imporre quell'educazione che i villici dello Yorkshire paiono aver dimenticato. A differenza del film di Waters, però, questo Killer in viaggio si fregia anche di una protagonista femminile frustrata, priva di personalità e totalmente incapace di fare alcunché, che, se all'inizio parrebbe accettare le pericolose tendenze di Chris per amore, userà in seguito il rosso barbuto come mezzo per prendersi le sue rivincite sulla vita e come modello da superare in follia. Questo è l'unico, fuorviante twist di una pellicola che, per la maggior parte della durata, segue sentieri già battuti ampiamente in precedenza e, pur essendo diretta con maestria (bellissima la scena onirica, inoltre il montaggio è sicuramente dinamico e d'effetto), riesce ad essere divertente e coinvolgente solo a tratti, proprio per colpa di questa sua prevedibilità.
I due protagonisti sono molto affiatati e la maggior parte delle gag vertono ovviamente sul loro rapporto, sulla discrepanza tra la loro apparenza dimessa e sfigata e le loro perversioni (le scene di “sesso” o le messinscene di Tina per eccitare Chris sono da primato!) e sul modo in cui, tempo due giorni, il loro legame diventa simile a quello di una coppia di sposini che si detestano, pur amandosi, reciprocamente: una sorta di Sandra e Vianello psicopatici, insomma. La sequenza più esilarante (anzi, l’unica in cui ho riso davvero pur essendomi anche sentita male) però è quella che rivela che fine abbia fatto il cane Poppy originale e perché la madre di Tina la detesti al punto di dirle che persino la sua nascita è stata un incidente. Interessante infine anche la cornice del viaggio del titolo italiano, che alterna paesaggi e luoghi a dir poco mozzafiato come il Ribblehead Viaduct ad altri più trash e squallidi come il museo dei tram o quello delle matite, così come altrettanto bello da sentire, almeno per chi ama le lingue come me, è il particolare accento dei coinvolti. A maggior ragione, Killer in viaggio sarebbe un film da vedere in lingua originale senza aspettarsi però chissà quale cult o black comedy innovativa… giusto un filmetto simpatico con cui passare la serata.
Ben Wheatley è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Kill List e The ABCs of Death (lettera U). Anche sceneggiatore, attore, produttore, addetto al montaggio e agli effetti speciali, ha 41 anni e un film in uscita.
Alice Lowe interpreta Tina ed è anche co-sceneggiatrice del film. Inglese, ha partecipato a film come Hot Fuzz, Kill List e a serie come Little Britain. Ha 36 anni e due film in uscita.
Steve Oram interpreta Chris ed è anche co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha partecipato a film come Kill List. Anche compositore, regista e produttore, ha 40 anni e due film in uscita.
Trama: una ragazza vessata dalla madre tiranna trova finalmente l’amore della sua vita e decide di passare una vacanza in caravan assieme a lui. Peccato che l’uomo, apparentemente tanto gentile, nasconda l’indole di un killer psicopatico…
The power of love. Si potrebbe riassumere così questo Killer in viaggio, ed effettivamente la canzone dei Frankie Goes to Hollywood è parte della bellissima colonna sonora del film e accompagna una delle sue sequenze più riuscite, verso la fine. Per il resto, abbiamo per le mani una simpatica commedia nerissima che si rifà più di una volta all'indimenticabile La signora ammazzatutti di John Waters, con un protagonista "costretto" ad essere killer per imporre quell'educazione che i villici dello Yorkshire paiono aver dimenticato. A differenza del film di Waters, però, questo Killer in viaggio si fregia anche di una protagonista femminile frustrata, priva di personalità e totalmente incapace di fare alcunché, che, se all'inizio parrebbe accettare le pericolose tendenze di Chris per amore, userà in seguito il rosso barbuto come mezzo per prendersi le sue rivincite sulla vita e come modello da superare in follia. Questo è l'unico, fuorviante twist di una pellicola che, per la maggior parte della durata, segue sentieri già battuti ampiamente in precedenza e, pur essendo diretta con maestria (bellissima la scena onirica, inoltre il montaggio è sicuramente dinamico e d'effetto), riesce ad essere divertente e coinvolgente solo a tratti, proprio per colpa di questa sua prevedibilità.
I due protagonisti sono molto affiatati e la maggior parte delle gag vertono ovviamente sul loro rapporto, sulla discrepanza tra la loro apparenza dimessa e sfigata e le loro perversioni (le scene di “sesso” o le messinscene di Tina per eccitare Chris sono da primato!) e sul modo in cui, tempo due giorni, il loro legame diventa simile a quello di una coppia di sposini che si detestano, pur amandosi, reciprocamente: una sorta di Sandra e Vianello psicopatici, insomma. La sequenza più esilarante (anzi, l’unica in cui ho riso davvero pur essendomi anche sentita male) però è quella che rivela che fine abbia fatto il cane Poppy originale e perché la madre di Tina la detesti al punto di dirle che persino la sua nascita è stata un incidente. Interessante infine anche la cornice del viaggio del titolo italiano, che alterna paesaggi e luoghi a dir poco mozzafiato come il Ribblehead Viaduct ad altri più trash e squallidi come il museo dei tram o quello delle matite, così come altrettanto bello da sentire, almeno per chi ama le lingue come me, è il particolare accento dei coinvolti. A maggior ragione, Killer in viaggio sarebbe un film da vedere in lingua originale senza aspettarsi però chissà quale cult o black comedy innovativa… giusto un filmetto simpatico con cui passare la serata.
Ben Wheatley è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Kill List e The ABCs of Death (lettera U). Anche sceneggiatore, attore, produttore, addetto al montaggio e agli effetti speciali, ha 41 anni e un film in uscita.
Alice Lowe interpreta Tina ed è anche co-sceneggiatrice del film. Inglese, ha partecipato a film come Hot Fuzz, Kill List e a serie come Little Britain. Ha 36 anni e due film in uscita.
Steve Oram interpreta Chris ed è anche co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha partecipato a film come Kill List. Anche compositore, regista e produttore, ha 40 anni e due film in uscita.
Se Killer in viaggio vi fosse piaciuto consiglierei la visione del già citato La signora ammazzatutti, Natural Born Killers e Una vita al massimo. ENJOY!!
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domenica 14 aprile 2013
The ABCs of Death (2012)
Dopo averne parlato qui è normale che mi venisse voglia di vedere The ABCs of Death, film horror corale del 2012, diretto da 26 registi ai quali è stata assegnata una lettera dell'alfabeto per uno e un tema comune, ovvero parlare della morte a partire da quella lettera. Volete vedere cosa ne è uscito fuori? Ecco a voi le 26 mini-recensioni (trovate i miei corti preferiti in rosso!) e un breve commento finale sull'opera nel suo insieme. Seguono ovvi SPOILER.
A is for Apocalypse di Nacho Vigalondo (Spagnolo, classe 1971, regista di Extraterrestre)
Appetitoso. Il primo segmento introduce il “gioco” che caratterizzerà poi l’intero film, ovvero quello di fornire la chiave per l’interpretazione dei cortometraggi mettendo il loro titolo alla fine. La lettera A è un corto simpatico e particolare, leggermente penalizzato dalla pochezza degli effetti speciali e dall’approccio grottesco dei due attori.
B is for Bigfoot di Adrián García Bogliano (Spagnolo, classe 1980, regista di Habitaciones para turistas, Grité una noche, Sudor Frío e Penumbra).
Bellino! L’idea di costruire una storia horror basata sui bambini che non vogliono dormire è sempre vincente, così come quella di minacciarli con un fantomatico Uomo Nero (in questo caso lo Yeti e non il Bigfoot in effetti…). Rapido ed inquietante il twist finale, che rende il corto meno banale di quanto sembrasse di prim’acchito.
C is for Cycle di Ernesto Díaz Espinoza (Cileno, classe 1978, regista di Mirageman e Mandrill).
Curioso. Il corto sembrerebbe un omaggio agli episodi più inquietanti di Ai confini della realtà e mette i brividi nonostante la sua “semplicità”. Sicuramente è tra le lettere che mi sono piaciute di più.
D is for Dogfight di Marcel Sarmiento (Americano, co-regista di Dead Girl).
Doloroso e paradossalmente dolce. Particolare per il metodo di regia scelto, che mostra la vicenda attraverso la percezione rallentata ed intontita di un pugile suonatissimo, e anche per il modo di raccontare, attraverso le figure di una bimbetta e un cane, come i valori più puri (innocenza, amicizia e amore) possano venire pervertiti in un secondo da persone abiette e prive di scrupoli. Nei titoli di coda, comunque, si specifica che nessun animale è stato realmente maltrattato mentre per il bimbo non si può garantire. E andiamooo!!
E is for Exterminate di Angela Bettis (Americana, classe 1973, ha recitato in film come May, Carrie, The Woman e nell’episodio Sick Girl dei Masters of Horror).
EEEEEEEEEEKKKK!!! Angela, io ti adoro (alla fine dei titoli di coda ringrazi persino Lansdale!) ma sei una zoccola, l’ho detto. Episodio che ho visto solo per metà e che ha rischiato di farmi morire di schifo, tratto dal racconto breve The Spider and the Man di tale Brent Hanley, chiaro omaggio al già citato Sick Girl e debitore della più tremenda delle urban legend. Se, come me, aborrite ragni e insetti, saltate alla lettera successiva che è meglio (oddio, non lo so se è meglio…).
F is for Fart di Noboru Iguchi (Giapponese, classe 1969, regista di chicche come Machine Girl, Robogeisha, Zombie Ass e Dead Sushi).
Folle!! Totalmente folle. Dopo Zombie Ass ci mancava effettivamente la morte per scoreggia d’aMMore, che sia di Dio o dell’insegnante preferita. Effetti speciali ovviamente ridicoli, interpretazioni da avanspettacolo giapponese e risate a profusione garantiscono un livello trash quasi poetico.
G is for Gravity di Andrew Traucki (Australiano, regista di Black Water e The Reef).
Gran delusione. Interamente girato con videocamerina digitale portatile è poco chiaro e causa un principio di nausea allo spettatore. Probabilmente l’episodio peggiore del film.
H is for Hydro-Electric Diffusion di Thomas Cappelen Malling (Norvegese, classe 1970, regista di Norwegian Ninja).
Ha visto i draghi questo!! Spacchiusissimo mix di computer graphic ed esseri umani travestiti da animali antropomorfi, ha un sapore retrò che ricorda tantissimo Iron Sky e una cattiveria che potrebbe andare a braccetto con i folli Ren & Stimpy. Sicuramente uno degli episodi più particolari ma anche meno “horror”.
I is for Ingrown di Jorge Michel Grau (Messicano, regista di We Are what We are).
Insostenibile. L’episodio più impegnato dell’intera pellicola e il più devastante, testimonia la “banalità” di un brutale ed immotivato omicidio ai danni di una donna, i cui ultimi, dolorosissimi istanti vengono impietosamente ripresi in ogni minimo dettaglio. Accompagnato da un terribile e triste messaggio durante i titoli di coda: Negli ultimi 10 anni, in Messico sono state uccise 2015 donne. 200 donne al mese. L’orrore NON è sullo schermo.
J is for Jidai-Geki di Yudai Yamaguchi (Giapponese, regista di Meatball Machine).
Japponotto. Durante un rituale di seppuku, il kaishakunin (ovvero la persona deputata a decapitare l'oggetto del rito) riesce a scorgere il lato più grottesco, terribile ed esilarante della morte. Un altro esempio di quanto l'orrore giapponese sia assai diverso dal nostro, simpatico soprattutto per il teatralissimo finale.
K is for Klutz di Anders Morgenthaler (Danese, classe 1972, cartoonist conosciuto per le strip Wulffmorgenthaler e Dolph l’ippopotamo fascista).
Kazzatina divertente. Klutz, se non ho capito male, starebbe per stupido, goffo, ed effettivamente la protagonista del cartone animato tanto furba non è. E nemmeno il suo modo di morire è molto dignitoso. L'animazione del corto è gradevolissima e le risate non mancano.
L is for Libido di Timo Tjahjanto (Indonesiano, regista di uno degli episodi di V/H/S 2).
Laido. Un gioco al massacro dove i concorrenti sono costretti, letteralmente, ad ammazzarsi di pippe. Pur non condannando il porno, non tollero quando viene unito a cose terribili come la pedofilia o le menomazioni: alla vista del laido vecchiaccio che si eccita di fronte al povero bambino violentato (fortunatamente fuori dall'inquadratura) mi sono immedesimata così tanto nello schifo provato dal protagonista che quando ha vomitato sono dovuta correre in bagno preda dei conati. Timo Tjahjanto, col cuore, mavaffanculo vah. Ti meriteresti di subire il finale e la punizione dell'invasata con la motosega.
M is for Miscarriage di Ti West.
Maledetto. Altra cosa che non sopporto è vedere affrontato con leggerezza un tema come l'aborto. In perfetto stile West assistiamo ad un normale evento quotidiano che poi avrà risvolti imprevedibili e tristi. A prescindere dall'argomento trattato, il corto è comunque assai deludente.
N is for Nuptials di Banjong Pisanthanakun (Thailandese, regista di Shutter)
Nescio (Scemo, in ligure). Una bagatella condita da uno spruzzo di humor nero, messa lì giusto per alleggerire la pesantezza della Libido. Più un siparietto comico che un pezzo di antologia horror.
O is for Orgasm di Hélène Cattet e Bruno Forzani (Francesi, registi di Amer)
Originale. Regia ineccepibile e le immagini più belle dell'intero film. Forse un po' troppo autoriale per un film simile, ma l'idea della donna che emette bolle di sapone dalle labbra durante l'orgasmo è poetica da norire.
P is for Pressure di Simon Rumley (Inglese, classe 1970, regista di Little Deaths e The Living and the Dead).
Penoso. Nel senso che il senso di pena nel twist finale mi ha quasi ammazzata, facendomi piangere e portandomi ad invocare una bella punizione divina su Rumley, maledetto porco. E pensare che fino a quel momento Pressure era stato l'unico corto, assieme a quello di Grau, a dare una dimensione reale e dolorosa all'orrore quotidiano.
Q is for Quack di Adam Wingard (Americano, classe 1982, regista di A Horrible Way to Die, V/H/S e V/H/S 2).
Quest'uomo è un pazzo. Altro esempio di nerissimo umorismo, il corto si candida nella rosa dei migliori anche per la sua forte componente metacinematografica. Nei titoli di coda si scopre che il segmento è dedicato al protagonista, Mr. Quackers il papero, al quale si augura di trovare nella morte la pace che non ha avuto in vita.
R is for Removed di Srdjan Spasojevic (Serbo, classe 1976, regista di A Serbian Film).
Raccapricciante. Il segmento più disturbante e incomprensibile del film, probabile metafora della rovina del cinema in generale e dell'horror in particolare, ma potrei sbagliarmi. Il regista non si risparmia prolungati primi piani di bisturi che scavano pelle martoriata e disgustosi dettagli ospedalieri, ma richiama alla mente anche gli albori del cinema e i fratelli Lumière. Tutto sommato, molto interessante.
S is for Speed di Jake West (Inglese, classe 1972, regista di Evil Aliens e Doghouse)
Stilosissimo. Il corto offre una fotografia vividissima, due protagoniste che parrebbero uscite da un film di Rodriguez e dialoghi al fulmicotone. Sicuramente un po' banale, ma come metafora della battaglia condotta quotidianamente da un drogato all'ultimo stadio è parecchio azzeccata.
T is for Toilet di Lee Hardcastle (Inglese probabilmente, creatore, come dice il suo sito ufficiale, di corti in claymation non adatti ai bambini)
Tosto. Anche se girato con la tecnica della claymation, Toilet è una macellata che il 90% dei registi coinvolti nel progetto non riuscirebbero a concepire nemmeno nei loro sogni più perversi. Sicuramente mi ha messo parecchia paura e il finale è a dir poco geniale.
U is for Unearthed di Ben Wheatley (Inglese, classe 1972, regista di Kill List)
Un altro dei miei preferiti. Il corto è innovativo nel suo raccontare la vicenda dal punto di vista soggettivo del mostro (probabilmente un vampiro), consentendo così allo spettatore di immedesimarsi sia nella creatura braccata sia nei paesanotti che gli danno la caccia, scambiando continuamente i ruoli di preda e predatore.
V is for Vagitus di Kaare Andrews (Canadese, regista di Altitude e dell'imminente Cabin Fever: Patient Zero)
Very Good! Intanto, pur nella sua natura di corto non manca di effetti speciali e stunts che farebbero invidia a produzioni fantascientifiche ben più grandi e pretenziose. Inoltre, nella sua natura distopica è parecchio inquietante ed è l'unico di tutti i segmenti che meriterebbe di diventare un lungometraggio.
W is for WTF? di John Schnepp (Americano, co-creatore della serie animata Metalocalypse)
WTF, indeed!! E' la prima cosa che mi è venuta da dire alla fine di questo delirantissimo corto che mescola animazione, metacinema, fantasie nerd, effetti speciali da scuole medie, clown zombie, trichechi che devastano città, guerriere procaci e chi più ne ha più ne metta. Geniale, e lo dice una che normalmente DETESTA gli horror indipendenti fatti con due lire e pieni di assurdità gratuite.
X is for XXL di Xavier Gens
Xavierata. Decisamente per stomaci forti e splatterosissimo ma sicuramente un modo interessante di criticare il sistema che vorrebbe noi donne tutte perfette, bellissime e magrissime. Certo, piuttosto che arrivare agli estremi della protagonista del corto, sarebbe meglio non mangiare quella roba innominabile che tiene in frigo, ma tant'è.
Y is for Youngbuck di Jason Eisener (Canadese, regista di Hobo with a Shotgun)
Yuck. C'è una scena in questo corto che mi ha rivoltato lo stomaco, ma il montaggio, la fotografia e la colonna sonora sono splendidi. Inquietantissimo anche il laido protagonista.
Z is for Zetsumetsu di Yoshihiro Nishimura.
Zio cantante!, come direbbero gli Elii. The ABCs of Dead si conclude "in bellezza" con un delirio giapponese che cita a piene mani Il Dottor Stranamore e Arancia Meccanica di Kubrick, una spietata, per quanto semi-incomprensibile, critica al Giappone di oggi e alla pesante influenza americana nel mondo. Non esistono parole per descriverlo, bisognerebbe guardarlo e rimanere annichiliti davanti allo schermo.
In conclusione, due parole sul progetto in generale. L'idea di base è assai interessante ma, francamente, 26 corti sparati senza soluzione di continuità sono davvero troppi e anche un'amante dell'horror come la sottoscritta sente il bisogno di prendere un po' d'aria dopo qualche tempo (ho fatto una pausa a metà, ero davvero stordita). La qualità e il tenore dei corti, inoltre, sono troppo altalenanti e si passa dal lavoro dilettantesco al capolavoro, dalla pesantezza alla cazzatina, con un paio di opere che avrei fatto a meno di inserire in quella che, comunque, dovrebbe essere un'antologia horror. Sicuramente, The ABCs of Dead è un film imprescindibile per gli appassionati, tuttavia una maggiore uniformità e l'inserimento di meno segmenti, magari un po' più lunghi, lo avrebbe reso sicuramente migliore. Insomma, gli do la sufficienza ma "si poteva fare di più". Se il film vi fosse piaciuto vi consiglierei di cercare gli altri titoli diretti dai registi coinvolti (cosa che farò io) oppure guardare per intero Grindhouse con tutti i suoi geniali fake trailer e Creepshow. ENJOY!
A is for Apocalypse di Nacho Vigalondo (Spagnolo, classe 1971, regista di Extraterrestre)
Appetitoso. Il primo segmento introduce il “gioco” che caratterizzerà poi l’intero film, ovvero quello di fornire la chiave per l’interpretazione dei cortometraggi mettendo il loro titolo alla fine. La lettera A è un corto simpatico e particolare, leggermente penalizzato dalla pochezza degli effetti speciali e dall’approccio grottesco dei due attori.
B is for Bigfoot di Adrián García Bogliano (Spagnolo, classe 1980, regista di Habitaciones para turistas, Grité una noche, Sudor Frío e Penumbra).
Bellino! L’idea di costruire una storia horror basata sui bambini che non vogliono dormire è sempre vincente, così come quella di minacciarli con un fantomatico Uomo Nero (in questo caso lo Yeti e non il Bigfoot in effetti…). Rapido ed inquietante il twist finale, che rende il corto meno banale di quanto sembrasse di prim’acchito.
C is for Cycle di Ernesto Díaz Espinoza (Cileno, classe 1978, regista di Mirageman e Mandrill).
Curioso. Il corto sembrerebbe un omaggio agli episodi più inquietanti di Ai confini della realtà e mette i brividi nonostante la sua “semplicità”. Sicuramente è tra le lettere che mi sono piaciute di più.
D is for Dogfight di Marcel Sarmiento (Americano, co-regista di Dead Girl).
Doloroso e paradossalmente dolce. Particolare per il metodo di regia scelto, che mostra la vicenda attraverso la percezione rallentata ed intontita di un pugile suonatissimo, e anche per il modo di raccontare, attraverso le figure di una bimbetta e un cane, come i valori più puri (innocenza, amicizia e amore) possano venire pervertiti in un secondo da persone abiette e prive di scrupoli. Nei titoli di coda, comunque, si specifica che nessun animale è stato realmente maltrattato mentre per il bimbo non si può garantire. E andiamooo!!
E is for Exterminate di Angela Bettis (Americana, classe 1973, ha recitato in film come May, Carrie, The Woman e nell’episodio Sick Girl dei Masters of Horror).
EEEEEEEEEEKKKK!!! Angela, io ti adoro (alla fine dei titoli di coda ringrazi persino Lansdale!) ma sei una zoccola, l’ho detto. Episodio che ho visto solo per metà e che ha rischiato di farmi morire di schifo, tratto dal racconto breve The Spider and the Man di tale Brent Hanley, chiaro omaggio al già citato Sick Girl e debitore della più tremenda delle urban legend. Se, come me, aborrite ragni e insetti, saltate alla lettera successiva che è meglio (oddio, non lo so se è meglio…).
F is for Fart di Noboru Iguchi (Giapponese, classe 1969, regista di chicche come Machine Girl, Robogeisha, Zombie Ass e Dead Sushi).
Folle!! Totalmente folle. Dopo Zombie Ass ci mancava effettivamente la morte per scoreggia d’aMMore, che sia di Dio o dell’insegnante preferita. Effetti speciali ovviamente ridicoli, interpretazioni da avanspettacolo giapponese e risate a profusione garantiscono un livello trash quasi poetico.
G is for Gravity di Andrew Traucki (Australiano, regista di Black Water e The Reef).
Gran delusione. Interamente girato con videocamerina digitale portatile è poco chiaro e causa un principio di nausea allo spettatore. Probabilmente l’episodio peggiore del film.
H is for Hydro-Electric Diffusion di Thomas Cappelen Malling (Norvegese, classe 1970, regista di Norwegian Ninja).
Ha visto i draghi questo!! Spacchiusissimo mix di computer graphic ed esseri umani travestiti da animali antropomorfi, ha un sapore retrò che ricorda tantissimo Iron Sky e una cattiveria che potrebbe andare a braccetto con i folli Ren & Stimpy. Sicuramente uno degli episodi più particolari ma anche meno “horror”.
I is for Ingrown di Jorge Michel Grau (Messicano, regista di We Are what We are).
Insostenibile. L’episodio più impegnato dell’intera pellicola e il più devastante, testimonia la “banalità” di un brutale ed immotivato omicidio ai danni di una donna, i cui ultimi, dolorosissimi istanti vengono impietosamente ripresi in ogni minimo dettaglio. Accompagnato da un terribile e triste messaggio durante i titoli di coda: Negli ultimi 10 anni, in Messico sono state uccise 2015 donne. 200 donne al mese. L’orrore NON è sullo schermo.
J is for Jidai-Geki di Yudai Yamaguchi (Giapponese, regista di Meatball Machine).
Japponotto. Durante un rituale di seppuku, il kaishakunin (ovvero la persona deputata a decapitare l'oggetto del rito) riesce a scorgere il lato più grottesco, terribile ed esilarante della morte. Un altro esempio di quanto l'orrore giapponese sia assai diverso dal nostro, simpatico soprattutto per il teatralissimo finale.
K is for Klutz di Anders Morgenthaler (Danese, classe 1972, cartoonist conosciuto per le strip Wulffmorgenthaler e Dolph l’ippopotamo fascista).
Kazzatina divertente. Klutz, se non ho capito male, starebbe per stupido, goffo, ed effettivamente la protagonista del cartone animato tanto furba non è. E nemmeno il suo modo di morire è molto dignitoso. L'animazione del corto è gradevolissima e le risate non mancano.
L is for Libido di Timo Tjahjanto (Indonesiano, regista di uno degli episodi di V/H/S 2).
Laido. Un gioco al massacro dove i concorrenti sono costretti, letteralmente, ad ammazzarsi di pippe. Pur non condannando il porno, non tollero quando viene unito a cose terribili come la pedofilia o le menomazioni: alla vista del laido vecchiaccio che si eccita di fronte al povero bambino violentato (fortunatamente fuori dall'inquadratura) mi sono immedesimata così tanto nello schifo provato dal protagonista che quando ha vomitato sono dovuta correre in bagno preda dei conati. Timo Tjahjanto, col cuore, mavaffanculo vah. Ti meriteresti di subire il finale e la punizione dell'invasata con la motosega.
M is for Miscarriage di Ti West.
Maledetto. Altra cosa che non sopporto è vedere affrontato con leggerezza un tema come l'aborto. In perfetto stile West assistiamo ad un normale evento quotidiano che poi avrà risvolti imprevedibili e tristi. A prescindere dall'argomento trattato, il corto è comunque assai deludente.
N is for Nuptials di Banjong Pisanthanakun (Thailandese, regista di Shutter)
Nescio (Scemo, in ligure). Una bagatella condita da uno spruzzo di humor nero, messa lì giusto per alleggerire la pesantezza della Libido. Più un siparietto comico che un pezzo di antologia horror.
O is for Orgasm di Hélène Cattet e Bruno Forzani (Francesi, registi di Amer)
Originale. Regia ineccepibile e le immagini più belle dell'intero film. Forse un po' troppo autoriale per un film simile, ma l'idea della donna che emette bolle di sapone dalle labbra durante l'orgasmo è poetica da norire.
P is for Pressure di Simon Rumley (Inglese, classe 1970, regista di Little Deaths e The Living and the Dead).
Penoso. Nel senso che il senso di pena nel twist finale mi ha quasi ammazzata, facendomi piangere e portandomi ad invocare una bella punizione divina su Rumley, maledetto porco. E pensare che fino a quel momento Pressure era stato l'unico corto, assieme a quello di Grau, a dare una dimensione reale e dolorosa all'orrore quotidiano.
Q is for Quack di Adam Wingard (Americano, classe 1982, regista di A Horrible Way to Die, V/H/S e V/H/S 2).
Quest'uomo è un pazzo. Altro esempio di nerissimo umorismo, il corto si candida nella rosa dei migliori anche per la sua forte componente metacinematografica. Nei titoli di coda si scopre che il segmento è dedicato al protagonista, Mr. Quackers il papero, al quale si augura di trovare nella morte la pace che non ha avuto in vita.
R is for Removed di Srdjan Spasojevic (Serbo, classe 1976, regista di A Serbian Film).
Raccapricciante. Il segmento più disturbante e incomprensibile del film, probabile metafora della rovina del cinema in generale e dell'horror in particolare, ma potrei sbagliarmi. Il regista non si risparmia prolungati primi piani di bisturi che scavano pelle martoriata e disgustosi dettagli ospedalieri, ma richiama alla mente anche gli albori del cinema e i fratelli Lumière. Tutto sommato, molto interessante.
S is for Speed di Jake West (Inglese, classe 1972, regista di Evil Aliens e Doghouse)
Stilosissimo. Il corto offre una fotografia vividissima, due protagoniste che parrebbero uscite da un film di Rodriguez e dialoghi al fulmicotone. Sicuramente un po' banale, ma come metafora della battaglia condotta quotidianamente da un drogato all'ultimo stadio è parecchio azzeccata.
T is for Toilet di Lee Hardcastle (Inglese probabilmente, creatore, come dice il suo sito ufficiale, di corti in claymation non adatti ai bambini)
Tosto. Anche se girato con la tecnica della claymation, Toilet è una macellata che il 90% dei registi coinvolti nel progetto non riuscirebbero a concepire nemmeno nei loro sogni più perversi. Sicuramente mi ha messo parecchia paura e il finale è a dir poco geniale.
U is for Unearthed di Ben Wheatley (Inglese, classe 1972, regista di Kill List)
Un altro dei miei preferiti. Il corto è innovativo nel suo raccontare la vicenda dal punto di vista soggettivo del mostro (probabilmente un vampiro), consentendo così allo spettatore di immedesimarsi sia nella creatura braccata sia nei paesanotti che gli danno la caccia, scambiando continuamente i ruoli di preda e predatore.
V is for Vagitus di Kaare Andrews (Canadese, regista di Altitude e dell'imminente Cabin Fever: Patient Zero)
Very Good! Intanto, pur nella sua natura di corto non manca di effetti speciali e stunts che farebbero invidia a produzioni fantascientifiche ben più grandi e pretenziose. Inoltre, nella sua natura distopica è parecchio inquietante ed è l'unico di tutti i segmenti che meriterebbe di diventare un lungometraggio.
W is for WTF? di John Schnepp (Americano, co-creatore della serie animata Metalocalypse)
WTF, indeed!! E' la prima cosa che mi è venuta da dire alla fine di questo delirantissimo corto che mescola animazione, metacinema, fantasie nerd, effetti speciali da scuole medie, clown zombie, trichechi che devastano città, guerriere procaci e chi più ne ha più ne metta. Geniale, e lo dice una che normalmente DETESTA gli horror indipendenti fatti con due lire e pieni di assurdità gratuite.
X is for XXL di Xavier Gens
Xavierata. Decisamente per stomaci forti e splatterosissimo ma sicuramente un modo interessante di criticare il sistema che vorrebbe noi donne tutte perfette, bellissime e magrissime. Certo, piuttosto che arrivare agli estremi della protagonista del corto, sarebbe meglio non mangiare quella roba innominabile che tiene in frigo, ma tant'è.
Y is for Youngbuck di Jason Eisener (Canadese, regista di Hobo with a Shotgun)
Yuck. C'è una scena in questo corto che mi ha rivoltato lo stomaco, ma il montaggio, la fotografia e la colonna sonora sono splendidi. Inquietantissimo anche il laido protagonista.
Z is for Zetsumetsu di Yoshihiro Nishimura.
Zio cantante!, come direbbero gli Elii. The ABCs of Dead si conclude "in bellezza" con un delirio giapponese che cita a piene mani Il Dottor Stranamore e Arancia Meccanica di Kubrick, una spietata, per quanto semi-incomprensibile, critica al Giappone di oggi e alla pesante influenza americana nel mondo. Non esistono parole per descriverlo, bisognerebbe guardarlo e rimanere annichiliti davanti allo schermo.
In conclusione, due parole sul progetto in generale. L'idea di base è assai interessante ma, francamente, 26 corti sparati senza soluzione di continuità sono davvero troppi e anche un'amante dell'horror come la sottoscritta sente il bisogno di prendere un po' d'aria dopo qualche tempo (ho fatto una pausa a metà, ero davvero stordita). La qualità e il tenore dei corti, inoltre, sono troppo altalenanti e si passa dal lavoro dilettantesco al capolavoro, dalla pesantezza alla cazzatina, con un paio di opere che avrei fatto a meno di inserire in quella che, comunque, dovrebbe essere un'antologia horror. Sicuramente, The ABCs of Dead è un film imprescindibile per gli appassionati, tuttavia una maggiore uniformità e l'inserimento di meno segmenti, magari un po' più lunghi, lo avrebbe reso sicuramente migliore. Insomma, gli do la sufficienza ma "si poteva fare di più". Se il film vi fosse piaciuto vi consiglierei di cercare gli altri titoli diretti dai registi coinvolti (cosa che farò io) oppure guardare per intero Grindhouse con tutti i suoi geniali fake trailer e Creepshow. ENJOY!
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