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martedì 24 maggio 2022

Darkman (1990)

Siccome Sam Raimi è tornato al genere supereroistico, ho deciso di riguardare (ispirata anche dal bellissimo podcast Paura & Delirio) Darkman, da lui diretto e co-sceneggiato nel 1990.


Trama: creduto morto in un incendio, uno scienziato sfigurato reclama giusta vendetta da coloro che hanno tentato di ucciderlo...


Al momento in cui scrivo queste righe, non ho ancora guardato Doctor Strange in The Multiverse of Madness, uscito poco tempo fa nelle sale di tutta Italia, ma ne ho letto tutto il bene possibile, cercando come una matta di dribblare gli spoiler. Sperando di trovare in un film del MCU un'eco del vecchio Sam Raimi, ho deciso dunque di prepararmi riguardando non Spider-Man, la sua prima incursione "ufficiale" nell'universo cinematografico Marvel (benché pre-Feige), bensì Darkman, ovvero il film di supereroi che nessuno voleva fargli realizzare e che, alla veneranda età di 32 anni, dà ancora punti a buona parte delle pellicole a tema realizzate ultimamente, non solo per le idee che contiene, ma soprattutto per le atmosfere, le contaminazioni con l'horror e alcune scene d'azione al cardiopalma. Ma cos'è di preciso Darkman, a beneficio di chi non l'avesse mai visto? Darkman è la origin story di un antieroe e, in primis, la storia della vendetta di un uomo buono e geniale al quale è stata tolta ogni possibilità di avere una vita normale, con tutto ciò che ne consegue. All'inizio del film Peyton è uno scienziato impegnato a rendere stabile la sua invenzione, pelle artificiale in grado, teoricamente, di aiutare chiunque dovesse rimanere sfigurato, menomato o ferito per qualsivoglia motivo, ed è un uomo profondamente innamorato della sua fidanzata, un'avvocatessa in carriera; quando quest'ultima trova le prove degli illeciti commessi da un ricco uomo d'affari, Peyton diventa vittima al posto suo della furia di pericolosi malviventi e si ritrova non solo orribilmente sfigurato ma anche privo dei recettori del dolore, cosa che amplifica enormemente le sue emozioni, soprattutto quelle negative. Peyton diventa così una figura tragica, l'erede ideale del Fantasma dell'Opera, affamato di amore e di vendetta al punto da corrompere persino la natura potenzialmente salvifica della sua invenzione, che viene trasformata nel mezzo per distruggere chi gli ha fatto del male. Darkman è dunque l'antesignano degli antieroi dei fumetti anni '90, un Batman più horror e privo di scrupoli, un Punitore dall'aspetto di teschio, ma è anche profondamente legato ai mostri della Universal, alla loro natura grottesca e melodrammatica, nonché ai fumetti anni '30 à la Dick Tracy, con tutto il parterre di nemici cattivissimi ma anche buffi, pieni di tic e facilmente riconoscibili.


Tutto ciò concorre a rendere Darkman incredibilmente godibile e divertente, un gioiellino di rara personalità all'interno di un panorama "supereroistico" che, all'epoca, contava ben pochi esponenti e tutti comunque abbastanza omologati, mentre l'opera di Raimi trasuda espressività e originalità da tutti i pori. Come ho detto, poi, ci sono delle scene action di tutto rispetto, magari leggermente invecchiate male dal punto di vista dello stacco tra personaggio e sfondo ma capaci comunque di far scorrere brividi di freddo lungo la schiena, soprattutto a chi, come me, è terrorizzato dalle altezze. Lo showdown finale, ambientato sui ponteggi di un palazzo in costruzione, è degno dei miei peggiori incubi (ci credo che poi a Raimi hanno affidato Spider-Man!) ma anche lo scontro in elicottero non scherza e vi posso giurare che ho (ri)passato l'ultima mezz'ora di film con l'angoscia nel cuore, nonostante più o meno lo ricordassi. Apprezzabilissimi anche i momenti più dichiaratamente horror, nonostante le morti avvengano fuori campo e molto venga lasciato all'immaginazione dello spettatore, con la scena che si interrompe un momento prima di mostrare l'orribile destino dei malcapitati, e il trucco che trasforma Liam Neeson (che effetto fa vederlo così giovane, mentre duetta con una Frances McDormand bionda, leziosa e in tailleur!) in Darkman è ancora oggi efficacissimo e spaventevole. A completare il tutto ci pensa la colonna sonora di un Danny Elfman particolarmente ispirato... e, a questo punto, se non vi ho invogliato io a riguardare Darkman o a recuperarlo vi consiglierei di ascoltare il podcast che ha fatto tornare la voglia a me!


Del regista e sceneggiatore Sam Raimi ho già parlato QUI. Liam Neeson (Peyton Westlake/Darkman), Frances McDormand (Julie Hastings), Ted Raimi (Rick), Dan Hicks (Skip), John Landis (Medico) e Bruce Campbell (Darkman sul finale), Joel Coen (Autista), Ethan Coen (Passeggero) li trovate invece ai rispettivi link. 

Larry Drake interpreta Robert G. Durant. Americano, ha partecipato a film come The Karate Kid - Per vincere domani, Dr. Giggles, Darkman II - Il ritorno di Durant, Mr. Bean - L'ultima catastrofe, American Pie 2 e a serie quali Hunter, I racconti della cripta, Oltre i limiti, Le avventure di Superman, Fantasy Island e Six Feet Under; come doppiatore ha lavorato per Prince Valiant e Johnny Bravo. Anche regista, è morto nel 2016, all'età di 66 anni.


Raimi avrebbe voluto Bruce Campbell come protagonista ma i produttori hanno messo il veto; il ruolo è così andato a Liam Neeson, che lo ha soffiato a Bill Paxton, mentre per quanto riguarda Julie, Julia Roberts ha rinunciato al ruolo perché, nel frattempo, era arrivata l'offerta per Pretty Woman (tra le altre attrici considerate c'erano anche Demi Moore e Bridget Fonda). Nulla di fatto anche per Kathy Bates, scelta per interpretare la dottoressa esperta di ustioni, che all'ultimo ha deciso di rinunciare, così come anche Richard Dreyfuss e James Caan, che hanno rifiutato il ruolo di Louis Strack, Jr. Tra le varie guest star del film figurano anche i registi William Lustig e Scott Spiegel, entrambi come operai. Del film esistono due seguiti straight to video, Darkman II - Il ritorno di Durant e Darkman III - Darkman morirai, dove il protagonista è interpretato da Arnold Vosloo; onestamente, eviterei il recupero ma se Darkman vi ha intrippati... perché no? ENJOY!

mercoledì 18 marzo 2015

My Name is Bruce (2007)

Sono passati più di sette anni da quando ne ho letto nei primi blog di cinema che bazzicavo e finalmente anche io oggi parlerò di My Name is Bruce, diretto nel 2007 proprio dal mitico Bruce Campbell.


Trama: Bruce Campbell è ormai alla frutta, come uomo e come attore. Quando viene chiamato dagli abitanti del paesino di Gold Lick per liberarli dal terribile dio cinese Guan Di, il povero Bruce crede si tratti solo di un regalo del suo manager ma si ritroverà davvero a combattere un mostro sanguinario...



Se pensate che l'unico attore ad essere stato omaggiato in una pellicola di finzione interamente basata su di lui è stato John Malkovich nel geniale Essere John Malkovich, potete cominciare vagamente a comprendere perché sia stato girato My Name is Bruce e non My Name is Robert o My Name is Tom. Perché Bruce Campbell è un'icona vivente dell'horror di serie B, una faccia simpatica che tutti abbiamo imparato ad amare, un omone che sa prendersi in giro giocando sulla sua natura di "mito" e, soprattutto, un attore che è stato identificato da chiunque con il personaggio Ash de La casa e L'armata delle tenebre. Ash è così? Allora sicuramente anche Bruce Campbell nella vita reale sarà come Ash ed è da questa ferma convinzione nerd che nasce My Name is Bruce, metacinema demenziale all'ennesima potenza dove l'attore viene chiamato a sconfiggere una spettrale divinità cinese in una storia che rispetta tutti i cliché dei film di serie B all'interno dei quali Campbell è stato relegato. E cosa c'è di meglio di una salva di luoghi comuni per smentire i luoghi comuni creati dalla mente dello spettatore? Il "vero" Bruce Campbell descritto nel film è stronzo, sbruffone, antipatico, snob, donnaiolo, codardo e grebano, decisamente una persona da evitare e odiare e l'umorismo di My Name is Bruce, al di là di tutte le citazioni e strizzate d'occhio ai fan, risiede interamente in questo scontro tra aspettative e "realtà" e nel costante ricorso al metacinema, che diventa ancora più palese e preponderante sul finale. Dopo mille terribili film dalle trame banali e dai colpi di scena improbabili, la vita di Bruce Campbell diventa praticamente una fotocopia dei cliché da lui tanto odiati, che possiamo ritrovare in moltissime e dozzinali produzioni: il divorzio, il disagio, l'alcoolismo, i falsi amici, il ritorno alla "natura" e la redenzione finale del protagonista vi ricordano qualcosa?


Allo stesso modo anche la realizzazione di My Name is Bruce è volutamente dozzinale, a partire dal terribile Guan Di, un mostro di cartapesta con gli occhioni fiammeggianti che non cambia espressione manco a morire, è ghiotto di "bean curd" (una specie di tofu?) e taglia teste con entusiasmo e dovizia di rossissimo sangue. Ogni apparizione del "nostro" è condita da luci al neon e nebbioline che ci farebbero urlare allo scandalo se viste all'interno di un horror qualsiasi ma qui la cosa, assieme agli stacchetti musicali "bifolchi" che cantilenano Guan Me, Guan You, Guan Di, ha quasi senso e rende My Name is Bruce ancora più deliziosamente parodico. La pellicola però è bella da vedere essenzialmente per la presenza di Bruce Campbell, che da davvero il meglio di sé stesso e non esita a prendersi in giro anche in modi imbarazzanti, spalleggiato da vecchi amici/comprimari o attori che non sfigurerebbero nelle peggiori produzioni descritte nel film. Come vedete ho scritto il post senza prendere sul serio My Name is Bruce, altrimenti sarei dovuta partire in quarta con una stroncatura ma in questo modo non avrei colto lo spirito di questo divertente omaggio ai fan e ai bei tempi innocenti dell'horror trash che fu; anzi, guardandolo mi è quasi sembrato di tornare nei ruggenti anni '80, quando mi sarebbero davvero bastati un paio di occhietti brillanti nel buio per non dormire la notte e un eroe cialtrone ed imperfetto per fare il tifo da qui all'eternità. Quindi no, non posso voler male a questo My Name is Bruce. Se però non siete fan di Campbell e non amate queste parodie così "specifiche" non state a recuperare questa pellicola perché rischiereste di non divertirvi affatto e di lanciarmi addosso una maledizione cinese.


Del regista Bruce Campbell, che interpreta ovviamente se stesso, ho già parlato QUI mentre Ted Raimi, che interpreta Mills Toddner, Wing e Luigi il pittore, lo trovate QUA.

Dan Hicks interpreta uno dei contadini. Americano, ha partecipato a film come La casa 2, Darkman, Wishmaster: il signore dei desideri, Spider-Man 2, 2001 Maniacs e Il grande e potente Oz. Anche produttore, ha 63 anni e un film in uscita.


Ellen Sandweiss, che interpreta l'ex moglie di Bruce, aveva partecipato a La casa nel ruolo di Cheryl (i due personaggi, per la cronaca, hanno lo stesso nome); anche Timothy Patrick Quill, ovvero Frank, aveva partecipato ad un film di Sam Raimi, per la precisione a L'armata delle tenebre, dove interpretava il fabbro: non a caso, lui dice che il fabbro de L'armata delle tenebre era un gran fico mentre l'attore Dan Hicks fa apprezzamenti su Jake, il personaggio da lui interpretato ne La casa 2. Detto questo, se My Name is Bruce vi fosse piaciuto recuperate anche La casa, La casa 2, L'armata delle tenebre, Bubba Ho-Tep e magari anche Grosso guaio a Chinatown, Tropic Thunder e Il bambino d'oro. ENJOY!

venerdì 13 giugno 2014

Il Bollalmanacco on Demand: Mister Hula Hoop (1994)

Torna dopo una lunghissima pausa la rubrica On Demand! Oggi soddisferò la richiesta della cara Arwen Lynch, padrona del blog La fabbrica dei sogni, che qualche tempo fa mi chiese di parlare di Mr. Hula Hoop (The Hudsucker Proxy), diretto nel 1994 da Joel Coen. Il prossimo film On Demand, per la cronaca, sarà Cracks. ENJOY!!


Trama: il capo della compagnia Hudsucker si suicida gettandosi dall'ultimo piano di un grattacielo e i dirigenti dell'azienda cercano un sostituto idiota che possa convincere gli azionisti a far crollare il titolo. La scelta cade sul neo-assunto Norville Barnes che, tuttavia, ha più di un asso nella manica...


Mr. Hula Hoop era uno dei pochi film dei Coen che non avevo ancora visto e, neanche a dirlo, l'ho adorato. Surreale ed esilarante, mi è sembrato uno strano e bellissimo incrocio tra il miglior Fantozzi e Il canto di Natale (o forse è meglio dire di Capodanno) di Dickens, incentrato ovviamente su quel tipico esemplare di perdente tanto caro ai due fratellini. A differenza dei suoi esimi colleghi, però, Norville si distingue per essere un Candido, un'anima pura coinvolto involontariamente in un gioco di potere più grande di lui; il protagonista di Mr. Hula Hoop non cerca il successo facile, non è frustrato né schiacciato da una vita che non ama perché, come viene chiarito all'inizio, è senza esperienza. Senza esperienza lavorativa e, soprattutto, senza esperienza di vita, Norville è un animo semplice che ambirebbe sì ad una posizione alta all'interno della Hudsucker Company ma non si fa problemi a partire dal gradino più basso in quanto dotato di un'idea rivoluzionaria che, ne è consapevole, lo porterà lontano. Saranno poi le esperienze, la cattiveria o la furbizia di chi lo circonda, soprattutto i soldi guadagnati troppo facilmente a perderlo, privarlo del desiderio di inventare cose meravigliose per rendere felici i bambini in primis e trasformarlo in una brutta persona; tuttavia, siccome Norville non si è scavato volontariamente la fossa della rovina  per avidità o cattiveria (come invece succede ai protagonisti di Fargo o L'uomo che non c'era, giusto per fare due fulgidi esempi), i Coen decidono di dargli una seconda chance e la possibilità di imparare dai suoi errori, per crescere e diventare un uomo degno di tenere tra le mani il tanto bramato successo, per rimanere SU senza buttarsi GIU', letteralmente e metaforicamente.


Questo delicato racconto di formazione viene gestito dai Coen (coadiuvati nella sceneggiatura da Sam Raimi) in modo bizzarro e particolare anche per i loro canoni, sebbene non manchi una fantastica scena onirica sulle note della Habanera della Carmen che ricorda tanto il sogno del Drugo ne Il grande Lebowski. La regia e il montaggio sono frenetici, soprattutto all'inizio, dove immagini, dialoghi e musiche si susseguono senza soluzione di continuità come se il protagonista si trovasse in un vortice: l'interno dell'azienda, dal caotico ufficio postale fino ai piani alti, sembra uscito dritto da un film di Terry Gilliam e riesce a provocare sensazioni di sconcerto, ilarità ed inquietudine. Proseguendo, la pellicola diventa più un divertito omaggio alle commedie anni '50, non solo per i costumi ma anche per la colonna sonora e le inquadrature (emblematica quella del bacio tra Norville ed Amy), amalgamandosi completamente allo straniante inizio senza che si venga a creare un fastidioso senso di rottura, per poi concludersi con un finale che, nonostante l'assurdità e il palese impianto teatrale del deus ex machina, risulta invece convincente e indispensabile. Ovviamente, anche gli attori sono favolosi. Con quella faccia un po' così, l'allampanato Tim Robbins è un perfetto esemplare di loser Coeniano mentre Paul Newman, il cui carisma con l'età si è accentuato anziché diminuire, è un elegante e spietato squalo della finanza. Chapeau anche a tutti gli interpreti di "secondo piano", tra i quali spiccano caratteristi d'eccellenza come Bruce Campbell, Bill Cobbs e Steve Buscemi, capaci di entrare nel cuore con soli 10 minuti di presenza sullo schermo e, soprattutto, alla bella Jennifer Jason Leigh, convincente dark lady per imposizione, dal cuore tenero come burro. Se, come me, non avete mai visto Mister Hula Hoop, cercate di recuperarlo appena possibile perché è davvero un gioiellino!!!


Dei registi Joel Coen ed Ethan Coen (non accreditato come regista ma come sceneggiatore) ho già parlato qui. Tim Robbins (Norville Barnes), Jennifer Jason Leigh (Amy Archer), Bill Cobbs (Moses), Bruce Campbell (Smitty), Steve Buscemi (Beatnik Barman) e Sam Raimi (che, oltre ad essere co-sceneggiatore, offre anche la silhouette ad uno dei "cervelloni" della Hudsucker che cercano il nome per l'hula hoop) li trovate invece ai rispettivi link.

Paul Newman (vero nome Paul Leonard Newman) interpreta Sidney J. Mussburger. Americano, lo ricordo, oltre che per la sua linea di sughi pronti, soprattutto per film come Lassù qualcuno mi ama, La lunga estate calda, La gatta sul tetto che scotta, Lo spaccone, Hud il selvaggio, Nick mano fredda, Butch Cassidy, La stangata, L'inferno di cristallo, Il verdetto, Il colore dei soldi (per il quale ha vinto l'Oscar come miglior attore protagonista) ed Era mio padre, inoltre ha prestato la voce per il film Cars - Motori ruggenti. Anche produttore, regista e sceneggiatore, è morto nel 2008, all'età di 83 anni.


Il produttore Joel Silver, a capo della Silver Pictures, avrebbe voluto Tom Cruise al posto di Tim Robbins ma, per fortuna, i Coen hanno insistito e vinto la battaglia; il ruolo di Sydney Mussburger, invece, era stato offerto a Clint Eastwood mentre Jennifer Jason Leigh è riuscita a spuntarla su nomi del calibro di Nicole Kidman, Winona Ryder e Bridget Fonda. Per concludere, se il film vi fosse piaciuto recuperate anche Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Essere John Malkovich o Ricomincio da capo. ENJOY!

martedì 12 marzo 2013

Il grande e potente Oz (2013)

Tanta era l'attesa per l'ultima fatica di Sam Raimi, Il grande e potente Oz (Oz the Great and Powerful) e domenica sera sono andata a vederlo con un paio di amici, entrando in sala già bestemmiando a causa del molesto occhialetto 3D...


Trama: Oscar "Oz" Diggs lavora come mago in un circo itinerante. La sua natura di donnaiolo e cialtrone lo mette nei guai una volta di troppo e, costretto a scappare da due colleghi inferociti, sale su una mongolfiera che viene però risucchiata da un tornado e catapultata nel Regno di Oz. Lì il sedicente Mago dovrà riuscire a barcamenarsi tra profezie e streghe buone e malvagie...


Il grande e potente Oz è sicuramente grande come promesso. Il dispiego di mezzi usato per riportare sullo schermo il mondo creato da L.Frank Baum è a dir poco incredibile e Sam Raimi si avvale di ogni trucco e magia disponibili per offrire allo spettatore un tripudio di colori, immagini, animali fantastici, fiori fatti di gemme, paesaggi incantati e quant'altro possa solleticare l'immaginazione e dare l'illusione di trovarsi in un mondo "altro". Coadiuvato da un Danny Elfman in formissima (a cui devono aver sparato sul finale per fare posto alla gnaulante Mariah Carey) il regista si dimostra padrone dell'odioso 3D confezionando i primi dieci minuti di film come se fossero un gioiellino in bianco e nero, a partire dallo splendido teatrino dei titoli di testa per arrivare alla fantastica sequenza dell'uragano, che ricorda i momenti più deliranti de L'armata delle Tenebre. Il passaggio dalla monocromia all’abbacinante colore (con conseguente cambiamento del formato dello schermo, che ho percepito ad occhio ma mi mancano i termini tecnici per definirlo, perdonate…) è altrettanto meraviglioso e lascia letteralmente a bocca aperta per la bellezza dei paesaggi toccati dalla mongolfiera del grande Mago, mentre proseguendo con la visione del film ho potuto apprezzare sia le mise delle streghe cattive, soprattutto quella stilosissima di Mila Kunis, sia la finissima realizzazione della bambolina di porcellana (il personaggio più riuscito di tutto il film assieme ad Evanora e l’unico in grado di riuscire ad emozionare), sia lo spettacolare finale horror, dove la Strega privata dei suoi poteri mi ha tanto ricordato la vecchia nascosta in cantina ne La casa 2 o quella di Drag Me to Hell. L’ultimo film di Raimi è dunque sicuramente Grande… ma è anche Potente?


No, porca vacca schifa, no! Non è Potente per nulla, anzi è cialtrone come il suo protagonista, il gigione ed insopportabile James Franco col sorriso berlusconiano e i modi da Silvano, il mago di Milano, che avrei preso a ceffoni una volta e sì e l’altra pure durante i tristi siparietti col nano Knuck (Lo scambio “Hey, brontolone!” “Mi chiamo Knuck…” “Va bene, brontolone!” me lo fai una volta, alla terza il livello del film diventa pari a un qualsiasi lungometraggio di Barbie…) e in generale nel 90% delle sequenze: ciccio mio, anche Johnny Depp alla decima smorfia mi scatena un odio inconsulto, figuriamoci tu che, con tutto il rispetto, puoi giusto baciargli i piedi. E visto che tiriamo in ballo il gemello diverso di Burton, purtroppo quello che valeva per Alice in Wonderland vale anche per Il grande e potente Oz. L’abbondante CG strappa sicuramente mugolii di meraviglia per i primi dieci minuti, poi diventa di una pesantezza quasi insostenibile, soprattutto quando viene usata per sostenere una trama bambinesca e personaggi stereotipati e vuotissimi, senza contare che in alcune sequenze si percepisce palesemente lo “scollamento” tra gli attori e il finto mondo che li circonda. Il film manca di emozioni e sentimenti reali, l’idea di mostrare i trucchi di Oz come metafora del cinema è tirata per i capelli e francamente da Raimi mi aspettavo qualche virata in più verso l’horror e il grottesco. Voi mi direte: è un film della Disney, bisogna pensare anche ai bambini. Io vi butto lì solo un titolo, Nel fantastico mondo di Oz, sempre prodotto negli anni ’80 dalla Disney, e vi dico che in quella pellicola c’erano degli inquietantissimi uomini dotati di ruote cigolanti che inseguivano i protagonisti, una strega che collezionava teste e che la povera Dorothy veniva rinchiusa in un cupissimo manicomio perché la gente del Kansas era convinta che avesse le visioni. Altro che babbuini con le ali, fiori con le zanne e streghette in fregola! Verso la fine del film tocca anche sorbirsi l'abbozzo di una canzoncina cantata dai nanetti e nemmeno la bellezza di una Città di Smeraldo tanto simile al paesaggio urbano di Metropolis mi può salvare dalla rara stupidità della buonissima Strega Glinda. Insomma, Il grande e potente Oz è tanto fumo e niente arrosto, gli do la sufficienza giusto per l'inizio e per un paio di belle idee qui e là, ma per il resto Raimi sembra avere imboccato la china discendente di Burton... speriamo che presto arrivi un deadite a mordergli le chiappe e farlo rinsavire.


Di James Franco (Oz), Mila Kunis (Theodora), Rachel Weisz (Evanora), Michelle Williams (Annie/Glinda), Bill Cobbs (Mastro stagnino), Tony Cox (Knuck), Bruce Campbell (la guardia alle porte della Città di smeraldo) e Ted Raimi (uno degli scettici che compaiono durante lo spettacolo di Oz) ho già parlato ai rispettivi link.

Sam Raimi (vero nome Samuel Marshall Raimi) è il regista della pellicola. Uno dei miei registi preferiti, ha diretto film come La casa, La casa 2, Darkman, L’armata delle tenebre, Pronti a morire, Soldi sporchi, The Gift – Il dono, Spider-Man, Spider-Man 2, Spider-Man 3 e Drag Me to Hell. Americano, anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 54 anni.


Zach Braff (vero nome Zachary Ismael Braff) interpreta Frank e presta la voce alla scimmietta volante Finley. Indimenticabile J.D. della serie Scrubs, ha partecipato anche al film La mia vita a Garden State. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 37 anni.


Nel corso della recensione ho citato Johnny Depp e le sue smorfie; ebbene, sappiate che l'attore era in trattative, assieme al fighissimo Robert Downey Jr., per il ruolo di protagonista. Certo, se quest’ultimo avesse accettato la parte sarebbe stato molto più credibile di James Franco come tombeur de streghe! A proposito del cast femminile, pare invece che Michelle Williams e Hilary Swank siano state le prime scelte del regista per il ruolo di Evanora e che poi Raimi si sia fatto convincere dalla Weisz a dare a lei la parte. La Williams è finita così a vestire i panni di Glinda al posto di Blake Lively, che ha preferito cimentarsi ne Le belve. Se Il grande e potente Oz vi fosse piaciuto, recuperate innanzitutto Il mago di Oz con Judy Garland (sapevate che Raimi non ha potuto usare le scarpette rosse di Dorothy e che hanno dovuto cambiare i tratti somatici e il colore della Strega dell'Ovest perché la Warner Bros. detiene ancora i diritti per quelli che sono veri e propri "marchi di fabbrica" del film del 1939? Sapevatelo!!) e il meraviglioso ed ampiamente citato Nel fantastico mondo di Oz, poi concludete l’opera con Alice in Wonderland. ENJOY!!

giovedì 2 aprile 2009

Bubba Ho-Tep (2002)

Scrivo questa recensione con animo deluso. Qualche giorno addietro mi accingevo a guardare Bubba Ho-Tep, film di Don Coscarelli del 2002, colma di aspettative: c’erano Bruce Campbell e una trama decisamente trash, ai limiti del concepibile. Mi aspettavo un’indelebile pietra miliare, qualcosa per cui comprare 300 DVD di ogni versione possibile mai fatta.. e invece Coscarelli mi ha fregata ancora una volta, dopo aver già distrutto i miei sogni (o meglio incubi?) infantili con l’orrendo Phantasm.

 




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Ma parliamo della trama: ai giorni nostri ritroviamo, udite udite, nientemeno che un vecchio e semiparalitico Elvis Presley ospite in una casa di riposo. Assieme a lui conclude i suoi giorni nella squallida struttura anche JFK, a suo dire trasformato in un nero dagli scienziati assoldati dai suoi nemici politici. Questo duo si trova a dover fronteggiare un’improbabile mummia egizia vestita da cowboy che succhia l’anima dei vecchietti… dalle terga. Dal culo, sì. Onestamente, rileggete la trama dall’inizio alla fine. Come può un film simile essere meno che trash ed esilarante?











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E invece, Coscarelli riesce a rendere mollo anche questo ben di Dio. Per carità, Bruce Campbell è divino e su questo non ci piove, il suo Elvis è a tratti esilarante e commovente e i duetti con JFK e l’infermiera fanno morire dal ridere. Però un film non può vivere tutto sulle spalle di Bruce, deve avere un suo perché, una sua originalità che possa essere scorta oltre l’apparenza e, soprattutto, una coerenza. Questo film parte come un horror, ma in verità è una triste riflessione sulla vecchiaia e le occasioni perdute filtrata dai pensieri di un Elvis che ha perso ogni gloria, la famiglia, il successo, e che sta morendo come un semplice vecchio malato e preso in giro da quelli che sentono la sua storia. Riesce a ritrovare l’entusiasmo per la vita proprio quando qualcuno minaccia la sua, e quella dei suoi amici, impegnandosi per trovare in vecchiaia quella forza e quell’eroismo che non ha mai avuto in gioventù. Poteva venire magari uno splendore come Ricomincio da capo con Jack Nicholson, ma l’horror che ci azzecca?

 



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Nulla, come già detto. Quella di Bubba Ho-Tep è davvero una figura pietosa, già il trucco è orrendo, sembra la nemesi del fu Marshall Bravestarr, quello dei vecchi cartoni animati e la sua pericolosità è ben limitata se l’unica cosa che fa è quella di cercare di succhiare via l’anima da vecchietti paralitici. Anche lo scarabeo gigante dell’inizio non si può guardare, sembra la versione Muppet di un insetto, con Bruce Campbell che cerca di scrollarlo per farlo sembrare più vivo e reale (per inciso quando si arrampica sul muro le zampette non ne toccano nemmeno la superficie, ci mancava solo che si vedesse il filo…). La sceneggiatura è scritta davvero male, tirata per le lunghe solo grazie ai flashback e alle visioni di Elvis e ad alcuni dialoghi brillanti, ma per il resto si vede che c’è davvero poca sostanza, tant’è che il finale arriva con fin troppa facilità ed è molto deludente.

 



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Certo, ci sono delle scene memorabili, come quella in cui Elvis ragiona sui massimi sistemi (ovvero sul perché il suo gingillo non funziona più), la vecchietta che ruba gli occhiali ad un’altra vecchietta bloccata nel polmone d’acciaio, Bubba Ho-Tep che parla lanciando geroglifici molto “espliciti” in aria o che si diverte a fare i graffiti nei cessi… però è davvero troppo, troppo poco, e solo per fan ultradevoti di Coscarelli o Campbell. Speriamo che My Name is Bruce sia meglio.

 

Di Don Coscarelli ho già parlato qui.

 

Bruce Campbell può a buon diritto essere considerato, dopo Robert Englund, come l’icona horror per eccellenza. Nessun fan che si rispetti potrà trovare meno che memorabile la sua performance nei panni di Ash nei film La Casa, La Casa 2 e L’armata delle tenebre, tutti facenti parti della stessa trilogia diretta da Sam Raimi (per il quale ha fatto una comparsata in quasi tutti i film diretti). Tra i suoi film ricordo Within The Woods, il “prequel” della trilogia, Maniac Cop – Poliziotto sadico, Maniac Cop – Il poliziotto maniaco, Darkman, Pronti a morire, Fargo, Fuga da Los Angeles, Dal tramonto all’alba: Texas, sangue e denaro, Spider – Man, Prima ti sposo, poi ti rovino, The Ladykillers, Spider – man 2, Spider – man 3. Per la TV ha lavorato in American Gothic, X – Files, Xena la principessa guerriera, Streghe. Ha 51 anni e due film in uscita.

 



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Ossie Davis interpreta JFK. L’attore è un caratterista veterano, attivo già dal 1950, con una partecipazione in Uomo bianco, tu vivrai! Tra i suoi film ricordo La collina del disonore, Joe Bass l’implacabile, Fa la cosa giusta, Joe contro il vulcano, Jungle Fever, Malcom X, Due irresistibili brontoloni, L’ombra dello scorpione (la versione televisiva del capolavoro dello zio King), Il cliente, Il Dottor Dolittle. E’ morto nel 2005, a 88 anni, per cause naturali.










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E ora vi lascio al trailer, che è assi più bello del film. Non fatevi ingannare dalla messe di premi elencati e dalle ottime recensioni. Basta che si parli di Elvis e gli americani impazziscono e cominciano a sproloquiare.... ENJOY!!!!







 

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