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domenica 13 dicembre 2020

Mank (2020)

E' il film che dopo nemmeno un'ora dalla sua uscita avevano già visto tutti i cinèfili (giuro. Ma come ca**o fate?) ma io mi sono fatta giustamente desiderare e ho guardato Mank, diretto da David Fincher, con quel giorno o due di ritardo che renderanno automaticamente questa recensione già vecchia. Azione!


Trama: ormai fuori dal giro della Hollywood che conta, lo sceneggiatore Herman Mankiewicz viene ingaggiato per scrivere la sceneggiatura del nuovo film dell'ultima stella assurta nella mecca del Cinema, Orson Welles. 

Mank nasce come sceneggiatura del padre di David Fincher, rimasta in un limbo per anni perché considerata poco interessante dalle varie case di produzione. Mamma Netflix, a un certo punto, ha deciso di produrre il film, facendo così un regalo al regista e anche ai cinèfili che pagano l'abbonamento storcendo il naso, bestemmiando contro il colosso dello streaming reo di aver ucciso le sale cinematografiche ancora prima che arrivasse il Covid a dare il colpo di grazia; quegli stessi cinèfili vi diranno che Mank è il film dell'anno, che non esiste omaggio al Cinema più Enorme, che Gary Oldman è il più grande attore vivente, e ve lo diranno sempre bestemmiando, ovviamente, ché un film simile andava visto sul grande schermo, invece ciccia. Io, che quest'anno ho veramente pochissima pazienza e ho scoperto di essere capra in tutto quello che credevo mi riuscisse bene, mi riconfermo capra all'ennesima potenza e non vi parlerò di un capolavoro, bensì di un bellissimo film che DEVE spingervi a recuperare l'unico, vero capolavoro che sentirete nominare da chiunque in questi giorni, ovvero Quarto potere. Anche perché la sottile gabola di Fincher è quella di raccontare una storia "falsa", nemmeno fosse il Vitello dai piedi di Balsa, quindi parte del divertimento di guardare Mank è anche quello di andare a scavare nelle vicende reali che hanno portato alla nascita di uno dei più bei film mai girati. Detto ciò, non starò ad annoiarvi con tutte le inesattezze storiche presenti in Mank, soprattutto perché esse sono parte fondamentale di una struttura creata ad hoc, che sfrutta i retroscena della realizzazione di un film per crearne un altro molto archetipico, un omaggio alle pellicole di una Hollywood scomparsa, la cosiddetta "fabbrica dei sogni" che spazzava sotto un tappeto di glamour tutto il marcio che la caratterizzava. E' un discorso, e adesso verrò lapidata, molto simile a quello portato avanti da una serie sempre Netflix, Hollywood di Ryan Murphy; benché meno legata a una realtà fattuale, la serie in questione sfruttava eventi accorsi e persone esistite per raccontare una favola di edificanti speranze, mentre Mank mette in scena la tipica storia di caduta e riscatto, col protagonista che cerca di fare ammenda per una vita di eccessi ed ubriachezza arrivando a "far giustizia" attraverso la vittoria di un Oscar per la miglior sceneggiatura. A un certo punto c'è persino la risoluzione felice di un dramma buttato lì all'inizio del film e non più nominato per il resto della sua durata, sottolineato dal tipico score gioioso hollywoodiano, per dire quanto Mank non abbia tanto delle pretese filologiche, quanto più ambizioni di omaggio formale, probabilmente anche verso l'epoca vissuta da papà Fincher


E quindi, per forza ci si ritrova commossi davanti alla bellezza di Mank. Il film di Fincher è fotografato in un bianco e nero che sa di "antico", la colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross è un capolavoro vintage che ci catapulta, assieme alla scelta di utilizzare una traccia sonora simile a quelle dell'epoca (credo che il termine tecnico sia "monofonia"), nei cinema degli anni '30 pur stando seduti comodamente a casa, e la storia raccontata non solo è interessante ma anche interpretata meravigliosamente. A onor del vero, che per vedere Mank non serva avere un minimo di infarinatura relativamente agli eventi narrati è una piccola bugia: come ho detto, non ho avuto cuore di guardarlo assieme a Mirco ma mi immagino che per lui non sarebbe stato né facile né interessante seguire gli svariati omaggi ai grandi nomi del tempo, i rimandi inevitabili a Quarto potere o l'importante sottotrama politica che diventa il motore di buona parte della vicenda. Quanto a me, proprio quest'ultima caratteristica del film me lo ha fatto trovare un po' "facilino" e "paraculo", cosa che mi porta a non urlare al capolavoro come molti. Detto ciò, Gary Oldman si riconferma (giovani, SI RICONFERMA: parliamo di Gary Oldman, non dell'ultimo sbarbatello che ha dovuto tirare l'orlo della giacca a Fincher per scoprirsi grande. I social sono davvero una piaga, porca miseria.) uno dei migliori attori viventi ed è un piacere vederlo gigioneggiare negli uffici fumosi della MGM, saltellare leggiadro nei giardini di una villa simile a un Paese delle Meraviglie o sputare veleno in una delle scene a più alto tasso emotivo dell'anno, e il resto del cast supporta con grandissima bravura un'interpretazione così grande. In quest'ultima parte dell'anno Netflix ci ha voluti coccolare un po' e dare materiale per le inevitabili classifiche e io non posso fare altro che ringraziare e "portare a casa", magari con meno entusiasmo di altri ma sicuramente con immenso piacere.


Del regista David Fincher ho già parlato QUI. Gary Oldman (Herman Mankiewicz), Amanda Seyfried (Marion Davies), Lily Collins (Rita Alexander), Tuppence Middleton (Sara Mankiewicz) e Charles Dance (William Randolph Hearst) li trovate invece ai rispettivi link.


Arliss Howard interpreta Louis B. Mayer. Americano, ha partecipato a film come Full Metal Jacket, Natural Born Killers, A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar, Il mondo perduto - Jurassic Park e a serie come L'incredibile Hulk, Ai confini della realtà, Medium e True Blood. Anche attore, sceneggiatore e produttore, ha 66 anni e un film in uscita. 


Tuppence Middleton interpreta Sarah Mankiewicz. Inglese, ha partecipato a film come I segreti della mente, In TranceThe Imitation GameEdison - L'uomo che illuminò il mondoDownton Abbey e Possessor. Anche sceneggiatrice, ha 33 anni. 


Se Mank vi fosse piaciuto o se l'argomento vi interessasse, ovviamente il consiglio è quello di recuperare lo splendido Quarto potere (lo trovate su Prime Video) e di aggiungere RKO 281 - La vera storia di Quarto potere, che però non ho mai visto. ENJOY!

domenica 8 marzo 2020

Panama Papers (2018)

Durante le vacanze di Natale ho recuperato, complice anche l'interesse del Bolluomo, Panama Papers (The Laundromat), diretto da Steven Soderbergh nel 2018.


Trama: dopo un incidente mortale accorso al marito, Ellen si ritrova coinvolta in una frode finanziaria che ha ramificazioni in tutto il mondo.



Alla fine di Panama Papers ho dovuto confrontarmi a lungo col Bolluomo perché, lo confesso candidamente, non ci ho capito nulla. Sarà molto difficile dunque scrivere un post sul film perché molte delle cose di cui parla non hanno alcun senso per me: capisco il concetto di società di facciata, capisco anche quello di società fiduciarie, mi perdo un po' in quello di riassicurazione, ma mettere assieme tutto ciò è dannatamente complesso perché, pur essendo una persona dalla mente "astratta", l'assenza di beni tangibili e la riduzione in mere cifre, nomi o scatole vuote mi frantuma il cervello. Alla fine di tutto il film, l'unica domanda che avevo in testa è "Ma come ca**o fa tutto questo ad essere legale?". Ecco, appunto, qui casca l'asino, casca la Streep col suo sentito appello finale e casca persino Obama, nelle leggi americane c'è qualcosa che non va per consentire tutto questo, per permettere l'esistenza di compagnie che creano società di facciata residenti nei cosiddetti paradisi fiscali, spesso frodando la povera gente e riciclando denaro, ma tant'è. Di gravemente illegale, in tutto questo, non c'è nulla, e i responsabili (il gatto e la volpe Mossack e Fonseca, persone realmente esistenti) rischiano al massimo tre mesi di galera e un buffetto di simpatia, con l'ammonizione di non farlo mai più. E benché il tutto venga spiegato in maniera molto ironica dai già citati gatto & volpe interpretati, per l'occasione, da un Gary Oldman con accento tedesco e da Antonio Banderas, forse a causail titolo italiano fuorviante uno rischia davvero un po' di perdersi perché i cosiddetti Panama Papers compaiono giusto all'ultimo, in guisa di pietra dello scandalo che porta il mondo intero ad aprire gli occhi su un enorme segreto di Pulcinella, mentre dall'alto della mia ignoranza avrei pensato che sarebbe stata Ellen ad agitare le acque e mettere al muro gli alti papaveri della finanza criminale con la perseveranza delle persone normali.


Quindi, sarà perché ci ho capito poco, al punto che spesso ho dovuto fare dei bei rewind (santa Netflix!) a causa di repentini cali della palpebra, ma Panama Papers non mi ha entusiasmata molto. Innanzitutto è troppo sbilanciato verso la commedia ma non ha l'arguzia di un film scritto e diretto da Adam McKay, nonostante l'accattivante utilizzo di capitoli o rotture della quarta parete, inoltre racconta vicende (a mio parere, ovvio) poco coinvolgenti; solo con la storia di Ellen si potrebbe empatizzare al punto da provare schifo, mentre quella del miliardario africano con figlia a carico o quella ambientata in Cina e basata su fatti realmente accaduti sembrano quasi dei tapulli aggiunti per allungare un po' il brodo, di base perché, come ho scritto su, le azioni di Ellen sono una goccia nel mare e non così rilevanti ai fini della condanna di Mossack e Fonseca (come direbbe Ortolani, si possono fare mille speculazioni ma qui trattasi di CULO). Ho percepito, tra l'altro, una voglia di rincorrere la guest star quasi fine a se stessa, tanto che molti nomi di spessore vengono sprecati in due/tre sequenze di raccordo velocissime e dimenticabili; un esempio su tutti, Sharon Stone, che non avevo riconosciuto e che ho notato solo grazie ai titoli di coda, ma non va meglio a James Cromwell, Robert Patrick o David Schwimmer, comparsi e poi subito liquidati come nemmeno Greg Grunberg all'interno delle opere targate J.J.Abrams. Onestamente un po' mi spiace, visti i grandi nomi coinvolti e la fiducia che da anni mi smuove davanti a ogni nuova uscita di Soderbergh ma stavolta il suo ultimo lavoro mi ha lasciata un po' insoddisfatta. Alla prossima, che dire.


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Gary Oldman (Jurgen Mossack), Antonio Banderas (Ramon Fonseca), Meryl Streep (Ellen Martin), James Cromwell (Joe Martin), Robert Patrick (Capitano Paris), David Schwimmer (Matthew Quirk), Jeffrey Wright (Malchus Irvin Bonchamp), Sharon Stone (Hannah) e Matthias Schoenaerts (Maywood) li trovate invece ai rispettivi link.


Melissa Rauch, la Bernadette di The Big Bang Theory, interpreta la figlia di Meryl Streep. Se Panama Papers vi fosse piaciuto recuperate The Wolf of Wall Street e La grande scommessa. ENJOY!

domenica 8 luglio 2018

Tau (2018)

Spinta come sempre da uno degli ottimi articoli di Lucia, qualche sera fa ho guardato una delle ultime aggiunte al catalogo Netflix, il film Tau, diretto dal regista Federico D'Alessandro.


Trama: la giovane Julia viene rapita e sfruttata da un geniale quanto folle scienziato, per fare progredire degli esperimenti legati alle intelligenze artificiali.


Ho cominciato la visione di Tau con perplessità assortite: chi parlava di filmetto, chi di roba con un inizio talmente brutto da sembrare girato da dei bulgari (cit.), chi nominava la serie B. Non so perché ma ad un certo punto sono arrivata ad aspettarmi una roba trucida alla Baskin, senza aver forse presente la natura dei lungometraggi Netflix, normalmente assai patinati e garbati, per usare un eufemismo. Questi due aggettivi calzano perfettamente a Tau, soprattutto il primo, poiché lo stile con cui è stato girato, fotografato e "scenografato" (si può dire?) gli conferisce quella patina di nobiltà ruffiana che lo eleva dallo stato di semplice film di serie B e crea una sorta di cortocircuito mentale nello spettatore mediamente scafato. La storia di Tau, infatti, è semplicissima e i personaggi sono tagliati con l'accetta, soprattutto il cattivo da operetta interpretato da Ed Skrein, dotato della gamma emotiva e del carisma di un termosifone, malvagio "perché sì", padrone di una non ben precisata ditta che tutti i giorni esce a lavorare nonostante sia palesemente ricco sfondato, altrimenti la trama che lo prevede infinocchiato a poco a poco non andrebbe avanti.Un po' più sfaccettata, ma nemmeno troppo, è la protagonista Julia, fanciulla che vive di espedienti e che un giorno si ritrova prigioniera del folle Alex; in virtù di non si sa bene cosa, apparentemente a causa di alcuni traumi infantili, il cervello di Alex è l'ideale per sviluppare quello dell'intelligenza artificiale che sta costruendo lo scienziato, quindi la fanciulla viene sottoposta a un'infinità di test tra il difficile e il doloroso, il tutto sotto la supervisione di Tau. Ora, sarà che Tau è doppiato da Gary Oldman ma il personaggio più vivo, simpatico e reale di tutto il film, l'unico che spinge lo spettatore a preoccuparsi davvero per il suo destino (forse perché è l'unico che subisce un'evoluzione mentre gli altri due rimangono più o meno uguali), è proprio quest'entità artificiale ed incorporea, incarnata in un bell'occhio coloratusso e pixelloso e in un robot assassino che purtroppo non viene sfruttato a dovere, chissà se per problemi di budget o di censura.


Il rapporto che si viene a creare tra Julia e Tau è coinvolgente per la sua natura "formativa", con la ragazza che diventa una sorta di maestra di vita che spalanca a Tau le porte non solo della conoscenza esterna ma anche dell'autocoscienza, portandolo ad allontanarsi dalla sua natura artificiale e a mettere in dubbio persino la bontà del suo creatore; curioso, insicuro e a tratti persino pauroso, Tau diventa sempre più intrigante e calamita l'attenzione dello spettatore più di quanto non faccia la bella confezione preparata da Federico D'Alessandro. Costui è figlio del MCU, ha imparato tanto lavorando come storyboarder e si vede: il regista è più interessato al contenitore che al contenuto, ama giocare con ombre profonde e colori al neon, rende l'occhio di Tau quasi ipnotico con quel mix di oro, rosso e verde (a me continuava a tornare in mente Doctor Strange, giuro...), ricerca le simmetrie e l'eleganza in ognuno degli ambienti che compongono la casa di Alex, con dispendio di superfici riflettenti, schermi giganti di Garlandiana memoria e luci soffuse. Insomma, D'Alessandro infiocchetta parecchio una storia semplice e a suo modo "rozza", che probabilmente negli anni '80 sarebbe stata realizzata con dovizia di particolari trucidi e ambientata in tre asettici set tutti uguali, e rischierebbe di farla diventare spocchiosa al limite dell'antipatico se non fosse per il personaggio titolare. Fortunatamente, la storia scorre abbastanza liscia e coinvolgente, incagliandosi qua e là giusto quando i due umani sono costretti ad interagire, e questo esercizio di stile diventa una coccola per gli occhi mentre il cervello si rilassa e si diverte, possibilmente senza fare troppo le pulci alla suspension of disbelief in vacanza. Dunque, se cercate un film per passare una serata in estiva letizia, Tau potrebbe essere quello che fa per voi... aggiungo solo un appunto a chi magari non ama gli horror: non fatevi ingannare dalla maggior parte delle foto presenti in rete, ché sembrerebbe quasi di avere a che fare con l'ennesimo emulo di Saw. Tolta qualche goccia di sangue all'inizio, Tau è completamente innocuo e non fa paura nemmeno per sbaglio, sfortunatamente per noi splatteromani all'ultimo stadio.


Di Maika Monroe (Julia) e Gary Oldman (voce di Tau) ho parlato ai rispettivi link.

Federico D'Alessandro è il regista della pellicola. Uruguayano, si è fatto le ossa come storyboarder per il Cinematic Universe della Marvel ed è al suo primo lungometraggio come regista.


Ed Skrein interpreta Alex. Inglese, ha partecipato a film come Deadpool e a serie quali Il trono di spade. Anche regista e sceneggiatore, ha 35 anni e tre film in uscita, tra cui Alita: Angelo della battaglia.


Se Tau vi fosse piaciuto recuperate Ex Machina. ENJOY!

lunedì 5 marzo 2018

Oscar 2018

Buon lunedì a tutti! Oggi è un giorno gioiosissimo, in Italia non è successo NIENTE mentre in America hanno finalmente consacrato il tessitore di sogni (e incubi) Guillermo del Toro come meritava da tempo. Bando agli indugi e parliamo un po' di questa novantesima notte degli Oscar, che sono riuscita stavolta a guardare in diretta perché con tutta la bellezza premiata non potevo davvero perderla! ENJOY!


Cominciamo con i premi, dovuti e meritati, a La forma dell'acqua. La favola di Del Toro ha portato a casa gli Oscar più ambiti, Miglior Film e Miglior Regia, assieme a quello per la Miglior Scenografia e Miglior Colonna Sonora. Vedere ciccio Del Toro salire sul palco due volte e tributare omaggio a Spielberg, con tutta l'umiltà di un ragazzo messicano che MAI avrebbe pensato di trovarsi un giorno nel firmamento delle grandi stelle, mi ha sciolto il cuore di commozione. Uno sprone a inseguire i propri sogni fino a raggiungerli e una gioia per tutti noi che a Guillermo abbiamo sempre creduto!! (e grazie a Faye Dunaway e Warren Beatty per non avere fatto casini stavolta!)


Altro motivo di gioia, almeno per me, è la grandemente prevista vittoria di Gary Oldman come Miglior Attore Protagonista dopo la mostruosa interpretazione di Churchill. Lui era sicuramente contentissimo e ha dedicato l'Oscar a Churchill e a mammà, invitandola e mettere su il kettle per il the, da perfetto inglese, probabilmente erano invece meno contenti tutti gli altri coinvolti nella realizzazione de L'ora più buia, che ha vinto solo un altro premio, quello per il Miglior Make-Up.


Altro Oscar prevedibile ma molto gradito, quello a Frances McDormand come Migliore Attrice Protagonista per Tre manifesti a Ebbing, Missouri. L'attrice si è profusa in un discorso strepitoso, dove ha invitato Hollywood a parlare con le donne nei giorni seguenti ai bagordi, per ascoltarle e finanziarne i progetti. Speriamo in bene, via! Tre manifesti ha portato fortuna anche a Sam Rockwell, che ha giustamente vinto l'Oscar come Miglior Attore Non Protagonista, finalmente (anche se un po' mi spiace per il collega Woody Harrelson, piccolino), per il resto il film di McDonagh partiva strafavorito in ogni categoria e invece è rimasto con un palmo di naso.


Uno dei motivi del "ridimensionamento" di Tre manifesti a Ebbing, Missouri è da ricercarsi nel premio più inaspettato della serata, quello a Scappa - Get Out per la Miglior Sceneggiatura Originale. Ora, dite quello che volete ma, sorpresa a parte (non avrei scommesso un euro su questo risultato), io sono contentissima per Jordan Peele. Che un comico di colore sia riuscito ad imbastire una sceneggiatura in perfetto equilibrio tra horror, thriller e commedia e sia arrivato a conquistare l'Academy e il pubblico tutto (basta sentire le ovazioni che gli hanno tributato ad ogni nomination) mi riempie di speranze per il futuro del cinema in generale e dell'horror in particolare. Come ho scritto su Facebook, l'horror sta bene, vi saluta e Jason Blum mostra allegramente a tutti il dito medio. La Miglior Sceneggiatura Non Originale è finita tra le manine anziane del venerando e tenerissimo James Ivory per Chiamami col tuo nome, unica statuetta conferita al film di Guadagnino (Su TV8 hanno brindato. Dai, siete stati un po' ridicoli, ché di orgoglio italiano in quel film ce n'era davvero poco).


Torniamo di nuovo su sentieri più sicuri con l'Oscar per la Miglior Attrice Non Protagonista, finito come da programma alla meravigliosa Allison Janney di I, Tonia, motivo in più per vedere uno dei migliori film dell'anno quando uscirà tra qualche settimana.


Quest'anno ero abbastanza preparata anche sugli altri premi (salvo corti, documentari e film stranieri, ma prometto che recupererò Una donna fantastica, ennesima riprova dello strapotere sudamericano che ha governato questa notte degli Oscar) quindi mi sento di poterne parlare senza vergogna. La statuetta per Miglior Film d'Animazione è andata a Coco (ne sono felicissima, anche perché rumenta come Baby Boss non andava nemmeno presa in considerazione, eppure avrei visto benissimo tra i vincitori lo splendido The Breadwinner, di cui parlerò domani), che ha vinto anche quella per la Miglior Canzone, premio un po' meno valido, ché tra tutte le canzoni in gara Remember Me era davvero quella meno bella e toccante. Vabbé. A Blade Runner 2049 sono andati invece i premi per la Miglior Fotografia, davvero meritatissimo, e quello per i Migliori Effetti Speciali, altrettanto meritato, mentre a Dunkirk è stata riconosciuta la perizia nel campo del Montaggio e del Sonoro, per un totale di tre premi molto importanti ad un film che obiettivamente non meritava di più, mi spiace cari Nolaniani. Le briciole, piuttosto, sono andate al povero Il filo nascosto, premiato solo per i Costumi, davvero meravigliosi, però forse il film meritava davvero di più. Ma tanto Del Toro ha stravinto, checcefrega? E per quest'anno è tutto! ENJOY!

martedì 23 gennaio 2018

L'ora più buia (2017)

Un altro piccolo passo verso gli Oscar, su, che oggi ci sono le nomination. Nel weekend ho visto L'ora più buia (Darkest Hour), diretto nel 2017 dal regista Joe Wright e vincitore del Golden Globe per il Miglior Attore Drammatico.


Trama: nell'ora più buia della seconda guerra mondiale, Winston Churchill diventa primo ministro e si ritrova a dover arginare l'inarrestabile avanzata di Hitler...


Avvertenza: il post è scritto da una persona che non studia storia dal 2005, anno dell'esame di Storia Contemporanea, per l'appunto, quindi tutto ciò che leggerete viene desunto dalla visione del film e dalla lettura di un articolo su Wikipedia dedicato alla Battaglia di Gallipoli. La cosa che ho maggiormente apprezzato de L'ora più buia, al di là dell'interpretazione di Oldman sulla quale tornerò, è la scelta di non raccontare la vita di Churchill, bensì il momento più critico per lui, per l'Inghilterra e per l'Europa intera. Un momento storico ben definito che ha rischiato di consegnare il Vecchio Mondo nelle mani della folle dittatura nazista, cosa non avvenuta per qualcosa che non esiterei a definire "botta di culo" piuttosto che "geniale scelta tattica delle forze avversarie"; ben lontano dall'essere fine stratega, il Churchill presentato al pubblico del 2017 è una figura controversa, quasi un po' fastidiosa, un uomo coraggioso e testardo ma anche rabbioso e dalle idee in qualche modo discutibili se considerate senza il senno di poi, con gli occhi di chi è stato abbandonato a Calais o di chi auspicava sicuri trattati di pace onde fermare battaglie e morti inutili. Sul Churchill de L'ora più buia pesa ancora l'esito terrificante della Campagna di Gallipoli, praticamente "decisa" dall'allora primo Lord dell'Ammiragliato (in realtà, come spesso accade, pare che Churchill fosse diventato il capro espiatorio ma la colpa della disfatta andrebbe attribuita anche ad altri membri del governo dell'epoca...), pesano allo stesso modo l'età non più giovanissima, la diffidenza degli altri membri del governo, una vita passata a rinunciare all'umanità in favore di cose più "materiali" (simpatiche ma anche angoscianti le interazioni con la moglie e i figli), la consapevolezza di avere tra le mani la vita di valenti soldati e di un'intera nazione e ovviamente è per questo che alla fine si arriva a parteggiare per lui in quanto "tutto è bene quel che è finito bene", alla faccia di Re Bertie, Halifax e tutti quelli che non la pensavano come il primo ministro. Detto questo, non bisogna pensare che L'ora più buia sia un film semplice o con un unico punto di vista, anzi. Mi è sembrato piuttosto che la sceneggiatura stesse bene attenta a bilanciare l'elemento storico e quello umano senza propendere troppo per l'uno o l'altro, assecondando ovvie scelte di "spettacolarizzazione" soprattutto nel prefinale e scegliendo pochi interlocutori dotati di uno sguardo privilegiato verso i dubbi dell'uomo Churchill (la moglie, la segretaria e Re Giorgio VI), anche perché per focalizzare tutta l'attenzione su di lui basterebbe "solo" la grande interpretazione di Gary Oldman.


Ammetto sinceramente che senza la performance di Oldman il film sarebbe poco più di un divertissement storico, da dimenticare il giorno dopo la visione. La regia di Joe Wright, tolte un paio di sequenze emozionanti concentrate nel primo discorso via radio di Churchill, il famigerato confronto all'interno della war room e il triste destino dei soldati a Calais, non è esaltante come mi sarei aspettata, nonostante la cura profusa nelle scenografie e la scelta di una bella fotografia, capace di illuminare anche gli ambienti soffocanti del consiglio di guerra. Per contro, Gary Oldman si mangia un cast non particolarmente memorabile (salvo forse l'elegante Kristin Scott Thomas nei panni di Clementine Churchill), inghiotte tutto ciò che lo circonda non già in virtù di un trucco prostetico fatto bene e capace di renderlo irriconoscibile ma per merito dei suoi occhi tormentati, lo sguardo penetrante che spunta sotto quel trucco da vecchio ciccione; all'interno della "maschera" di Churchill c'è un attore capace di renderlo vivo con una fisicità fatta di tic e tirate compulsive di sigaro e, soprattutto, con un terrificante lavoro sulla voce. Il Churchill di Oldman passa nel giro di pochissimo dall'essere un politico sanguigno (e probabilmente sanguinario, chissà) dotato di una voce roboante, capace di trascinare collaboratori e masse in una missione praticamente suicida, all'essere un vecchio balbettante, smarrito nelle incertezze di una responsabilità attesa ma giunta probabilmente troppo tardi, proprio nel momento in cui mente e fisico non sono nella loro forma migliore, al punto da fare quasi tenerezza. Per questo, senza nulla togliere ai doppiatori italiani (in questo caso abbiamo quello di Tony Soprano e Walter White, Stefano De Sando, abbonato quindi a ruoli di uomini ruvidi e non più di primo pelo), consiglierei la visione de L'ora più buia in una sala che lo proietti in lingua originale, altrimenti rischiereste di perdervi tutto ciò che fa della pellicola di Joe Wright un film imperdibile e meritevole di almeno un Oscar.


Del regista Joe Wright ho già parlato QUI. Gary Oldman (Winston Churchill), Ben Mendelsohn (Re Giorgio VI), Lily James (Elizabeth Layton) e Ronald Pickup (Neville Chamberlain) li trovate invece ai rispettivi link.

Kristin Scott Thomas interpreta Clemmie. Inglese, ha partecipato a film come Quattro matrimoni e un funerale, Mission: Impossible, Il paziente inglese e Gosford Park. Anche regista, ha 57 anni e tre film in uscita.


Triste ironia: John Hurt, malato di cancro, avrebbe dovuto interpretare un personaggio che ha condiviso il suo triste destino, Neville Chamberlain, ma stava talmente male che non è riuscito a filmare neppure una scena. L'anno scorso, per la cronaca, è uscito un altro film sul primo ministro inglese, ancora inedito in Italia, ovvero Churchill, dove il personaggio titolare è interpretato da Brian Cox , affiancato da Miranda Richardson; non so dirvi come sia ma se L'ora più buia vi fosse piaciuto potete provare a recuperarlo assieme a Dunkirk e Il discorso del re. ENJOY!

lunedì 8 gennaio 2018

Golden Globes 2018

Buon lunedì a tutti! Piccolo riassunto ignorante (come ogni anno) dei vincitori dei Golden Globes, con un'unica grande gioia (Guillermoooooo aléééééé!!!!!!) e quattro film pigliatutto da attendere col fiato sospeso, non tanto per gli Oscar ma perché si preannunciano davvero bellissimi! Ah, ho già detto "che peccato, niente Dunkirk!"? ENJOY!


Miglior film - Drammatico
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards in Ebbing, Missouri, USA, 2017)
E questa è la PRIMA pellicola da vedere assolutamente, consigliata persino da Zerocalcare in persona. Uscirà la settimana prossima, quindi per una volta la distribuzione italiana ci ha preso, e viene descritta nei poster come "il film che i Coen avrebbero voluto girare". Speriamo benissimo!!

Miglior film - Musical o commedia
Lady Bird (USA, 2017)
Coming of age? Io addoro i coming of age, anche quelli ambientati nei primi decenni del secondo millennio, un'epoca un po'... MEH. E poi l'ha scritto Greta Gerwig, altra garanzia di sicura validità! Purtroppo ci sarà da aspettare il giorno del mio genetliaco per vederlo uscire in Italia quindi temo che in occasione degli Oscar bisognerà diventare un po' creativi...

Miglior attore protagonista in un film drammatico
Gary Oldman in L'ora più buia
Molto ma molto bene. L'ora più buia è un film che sarei andata a vedere a prescindere, ora ho un motivo in più e confido che il caro Oldman nei panni di Winston Churchill sia molto convincente. In Italia uscirà il 18 gennaio, altro colpo intelligente della distribuzione, bravi.

Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Frances McDormand in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri
Oh, ma quanto la amo, da sempre. Non vedo l'ora di ammirarla nei panni di madre coraggio impegnata a risolvere il caso dell'omicidio della figlia, so già che non sarà la solita interpretazione banale.


Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
James Franco in The Disaster Artist
Per quanto mi stia sulle balle da sempre Franco, non si può dire che non metta anima e corpo in tutto quello che fa. Sono molto curiosa di vedere il film sulla "pellicola più brutta di sempre"... e anche, ovviamente, di recuperare ciò da cui tutto ha avuto origine! Purtroppo, data di uscita italiana non ancora pervenuta.

Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Saoirse Ronan in Lady Bird
Adorabile Saoirse, sono molto ma molto contenta per questa vittoria e ovviamente aspetto di vedere il film!


Miglior attore non protagonista
Sam Rockwell in Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Rockwell è un attore che non mi dispiace ma in questo caso sospendo il giudizio fino alla settimana prossima, anche perché l'unico suo antagonista visto sul grande schermo quest'anno è stato Christopher Plummer e la sua interpretazione di Paul Getty, per quanto valida, a mio avviso non era nemmeno da candidare.

Miglior attrice non protagonista
Allison Janney in I, Tonya
Altra attrice che adoro. Purtroppo I, Tonya, storia della pattinatrice americana Tonya Harding, non ha ancora una data di uscita italiana quindi chissà quando avremo l'onore di vederlo...

Miglior regista
Guillermo del Toro
Non posso che esserne stra-felice. Guillermone sta facendo incetta di premi quindi mi vien da dire che The Shape of Water sarà un capolavoro meraviglioso e quando uscirà sarà una festa per tutti!!


Miglior sceneggiatura
Martin McDonagh per Tre manifesti a Ebbing, Missouri
E niente, questo Tre manifesti ha sbancato. E io non ho mai visto nulla sceneggiato da McDonagh, mannaggia. Conviene mettere in lista Sette psicopatici e In Bruges, giusto per farmi un'idea.

Miglior canzone originale
The Greatest Showman di Benj Pasek e Justin Paul, per il film The Greatest Showman
Boh, io con la musica non ci azzecco nulla e The Greatest Showman non l'ho visto. Accetto il giudizio, anche perché le canzoni di Coco non mi hanno granché entusiasmata.

Miglior colonna sonora originale
The Shape of Water di Alexandre Desplat
Bella regia e colonna sonora evocativa, un connubio che aDDoro e che aumenta ulteriormente le aspettative per il nuovo film di Del Toro!

Miglior cartone animato
Coco (USA 2017)
Non c'era storia, obiettivamente (anche se The Breadwinner vorrei vederlo). Coco è uno splendore e sfido chiunque a rimanere indifferente dopo averlo visto, che piacciano o meno i film d'animazione. Adesso aspetto l'Oscar!

Miglior film straniero
Oltre la notte (Aus dem Nichts, Germania/Francia, 2017)
Storia di vendetta con Diane Kruger come protagonista, il film uscirà in Italia a marzo ma come al solito non sono preparata sui film "stranieri" e non riesco a fare un commento intelligente. Non so neppure se potrebbe essere un film in grado di interessarmi...

La mia reazione davanti al mancato tributo a Dougie!
Due righe anche sulle serie TV, sulle quali come al solito non posso pronunciarmi visto che ne seguo pochissime. Innanzitutto CACCA. Cacca su chi non ha riconosciuto la bravura di Kyle MacLachlan e la natura mitica di Dougie preferendogli Ewan McGregor. Non si fa, signori. Male anche per le mancate vittorie di Susan Sarandon e Jessica Lange in Feud (ma per Feud in generale...) mentre The Handmaid's Tale, che ha portato a casa il Globe come miglior serie drammatica e per la migliore attrice, si riconferma LA serie da recuperare per il 2018, nell'attesa che esca la seconda stagione. E con questo è tutto... ci si risente per gli Oscar! ENJOY!

mercoledì 11 ottobre 2017

Come ti ammazzo il bodyguard (2017)

Attirati da un trailer scemo e dalla necessità di guardare un film supercazzola causa orari infami, lunedì io e il Bolluomo ci siamo sparati Come ti ammazzo il bodyguard (The Hitman's Bodyguard), diretto dal regista Patrick Hughes.


Trama: una guardia del corpo deve scortare un sicario fino alla Corte Penale Internazionale dell'Aia, dove quest'ultimo è chiamato a testimoniare contro un sanguinario dittatore...


Cosa succede quando qualcuno decide di mettere insieme Samuel L. Jackson, emblema della badassitudine "nera" fin dai tempi di Pulp Fiction e ultimamente sempre più pronto a prendersi in giro, e Ryan Reynolds, adorabile quanto inespressivo beniamino delle nuove generazioni nerd? La risposta banale sarebbe "una supercazzola action", la verità è che Come ti ammazzo il bodyguard è un film schizofrenico, che prende tante di quelle direzioni da non sapere più nemmeno lui come definirsi. Di tanto in tanto traspare la sua natura "drammatica", precedente alla riscrittura che lo avrebbe fatto diventare una commedia; per esempio, la figura del dittatore Dukhovich è incredibilmente negativa, così come è anche troppo realistica ed attuale la sua natura di folle criminale e, nonostante Gary Oldman si ritrovi a sfoderare esagerati atteggiamenti di minaccia nei confronti dei suoi collaboratori (e di Samuel L. Jackson), il suo personaggio non strappa mai il sorriso, nemmeno per sbaglio. Il rapporto tra i due protagonisti poi oscilla di continuo tra bromance, legame insegnante-mentore e un più naturale e sano odio reciproco, seguendo dinamiche che non riescono a sfociare interamente nel territorio del buddy movie come è stato, per esempio, nel recente e ben più riuscito The Nice Guys. Di fatto, le personalità dei due sono troppo simili e i protagonisti passano molto dell'abbondante minutaggio a parlarsi addosso, rinfacciarsi sempre le stesse cose (nella fattispecie uno è troppo "noioso" nel suo lavoro, l'altro apparentemente è un folle assassino) e disquisire d'amore, ennesima aggiunta alla trama capace di renderla ancora più psicotica: sia sicario che bodyguard hanno infatti problemi di cuore, il secondo più del primo, e le rispettive amanti od ex hanno un ruolo abbastanza importante nell'economia della storia. L'aspetto action della pellicola non è marginale, d'altronde il regista è lo stesso de I mercenari 3, però diciamo che viene diluito e sfilacciato da tutto ciò che ho scritto sopra, quando io (e altri spettatori immagino) mi sarei aspettata un'ora e mezza di violenza sopra le righe alla John Wick, con l'aggiunta dell'esilarante alchimia tra i due protagonisti che si evince dal trailer e che mi ha spinta a guardare il film. Il risultato di questo mix di "anime" è un pasticcio, non un pasticciaccio brutto ma lo stesso qualcosa di poco memorabile, che dura il tempo di una risata (poche a dire il vero) nonostante si prolunghi per due ore, troppe per questo genere di film.


Come spesso accade, il meglio di Come ti ammazzo il bodyguard è stato già mostrato nel trailer e allo spettatore in cerca di qualcosa di nuovo da aggiungere rimane l'unico, vero momento esilarante del film (il coretto con le suore, da guardare esclusivamente in lingua inglese e che doppiato perderà interamente la sua forza umoristica) e al limite il bell'inseguimento tra i canali di Amsterdam, dove Patrick Hughes si ingegna tra stunt arditi, montaggio serrato, riprese con la steadycam e tutto il necessario per rendere la sequenza uno dei punti forti della pellicola. Per il resto, l'azione non manca, esplosioni e headshots abbondano e gli sceneggiatori non si tirano indietro neppure quando si tratta di inserire nel film una scena che rimanda anche troppo agli ultimi fatti di cronaca a base di camion lanciati sulla folla, cosa che di questi tempi mi ha lasciata francamente perplessa (per dire, questa settimana gli autori hanno deciso di montare da capo e tagliare l'episodio di American Horror Story per rispetto verso quanto accaduto a Las Vegas...). Quanto agli attori, Reynolds e Jackson fanno quello che ci si aspetta da loro, né più ne meno, e tra i due forse spicca di più il vecchio Samuel, dotato del personaggio più simpatico e anche più approfondito psicologicamente (diciamo che Reynolds va bene solo come Deadpool, forse perché recita al 90% col volto coperto da una maschera); fa un po' male invece vedere non solo Gary Oldman e Richard E. Grant (!!) relegati ad essere "semplici" caratteristi di lusso ma anche una bellezza come Salma Hayek ormai ridotta al ruolo di vajassa volgarissima che infarcisce ogni dialogo di parolacce in spagnolo, benché durante il flashback che la riguarda parrebbe quasi di essere tornati ai bei tempi di C'era una volta in Messico. Insomma, Come ti ammazzo il bodyguard non è interamente da buttare ma col senno di poi direi che i contro superano i pro e se cercate un film divertente, entusiasmante e memorabile rischiate di rimanere davvero delusi. Meglio approcciarsi alla pellicola durante un futuro passaggio televisivo, senza troppe aspettative e senza sprecare preziosi soldi per il biglietto del cinema (detto che è già disponibile da un paio di mesi su Netflix Japan. A buon intenditor...).


Del regista Patrick Hughes ho già parlato QUI. Ryan Reynolds (Michael Bryce), Richard E. Grant (Seifert), Gary Oldman (Vladislav Dukhovic), Samuel L. Jackson (Darius Kincaid) e Salma Hayek (Sonia Kincaid) li trovate invece ai rispettivi link.

Elodie Yung interpreta Amelia Roussel. Francese, la ricordo per film come Millenium - Uomini che odiano le donne e serie quali Daredevil e The Defenders, dove interpreta Elektra. Ha 36 anni.


Joaquim de Almeida interpreta Jean Foucher. Portoghese, ha partecipato a film come Sostiene Pereira, Desperado e a serie quali Miami Vice, 24, CSI: Miami, C'era una volta e Bones. Ha 60 anni e un film in uscita.


Aspettate la fine dei titoli di coda per un fuori scena dedicato interamente a Ryan Reynolds e, se Come ti ammazzo il bodyguard vi fosse piaciuto, recuperate The Nice Guys, Baby Driver, 48 ore e Ancora 48 ore. ENJOY!


venerdì 14 luglio 2017

Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie (2014)

E' uscito ieri The War - Il pianeta delle scimmie, ultimo capitolo del reboot della serie Il pianeta delle scimmie, iniziato nel 2011. Per l'occasione, ho recuperato Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie (Dawn of the Planet of the Apes), diretto nel 2014 dal regista Matt Reeves.


Trama: dieci anni dopo la diffusione del virus che ha distrutto la popolazione umana, il gruppo di scimmie capitanate da Cesare incontra dei reduci nella foresta, intenzionati a far funzionare una centrale idroelettrica per tornare ad avere elettricità e comunicare col mondo esterno. Mentre Cesare cerca di superare la diffidenza verso gli umani, lo scimpanzé Koba medita lo sterminio...



L'alba del pianeta delle scimmie avrebbe dovuto essere questo, ché di rivoluzione primate non se ne vede nemmeno l'ombra. Purtroppo il termine Alba era già stato usato per Rise of the Planet of the Apes e noi italiani ci siamo dovuti accontentare ma, di fatto, anche il secondo capitolo della saga è una sorta di prequel atto a preparare uno scenario in cui i ruoli di "razza superiore" e "razza inferiore" (che brutti termini, lo so) dovrebbero risultare completamente ribaltati, con gli umani soggiogati dalle scimmie. Dieci anni dopo gli eventi del primo film gli umani sono stati decimati da un virus nato, ironia della sorte, per combattere l'alzheimer mentre le scimmie guidate da Cesare vivono tranquille ai margini della foresta, prosperando e moltiplicandosi senza rompere le scatole ai loro pochi vicini glabri, almeno finché questi ultimi non invadono il territorio dei quadrumani. Qui la trama si apre ad un discorso simile a quello portato avanti nel primo film, che era anche uno degli elementi capaci di renderlo piacevole ai miei occhi: più che raccontare la lotta tra scimmie e umani, anche il secondo capitolo della saga punta ad essere una riflessione sulla tolleranza, sul razzismo, sulla difficoltà (ma anche la necessità) di tornare a fidarsi di qualcuno, sul confine sottile tra desiderio di proteggere la propria gente e l'odio irrazionale verso "l'altro", mai attuale come in questi ultimi anni. Le difficoltà incontrate da Cesare nel convincere i suoi simili e sé stesso a dare una seconda chance agli esseri umani considerati nemici vengono ulteriormente acuite dalla presenza di Koba, scimpanzé vittima di torture e per questo ancora più determinato a proteggere la sua specie ma soprattutto guidato da una sete di vendetta capace di trasformarlo da feroce condottiero a folle dittatore, cieco al dolore di chi dovrebbe essere nelle sue stesse condizioni. Non è difficile riconoscere nella sceneggiatura del film un rimando a totalitarismi nati stravolgendo le migliori intenzioni di chi voleva un mondo migliore, sia per quanto riguarda la fazione delle scimmie che per quanto riguarda quella degli umani, ed è questo ciò che rende interessante il film, in quanto si parteggia a turno sia per l'uno che per l'altro schieramento, composti in egual misura da figure positive ed altre deprecabili.


Per quel che riguarda la storia c'è poco altro da aggiungere, anche perché la trama segue un percorso abbastanza ovvio che forse poteva anche essere completato in meno tempo, per quel che riguarda gli effetti speciali invece Apes Revolution non ha una sola sbavatura. Le scimmie sono bellissime, incredibilmente espressive, al punto che verrebbe voglia di vedere un film dedicato solo a loro, senza inutili umani tra i piedi; lo sguardo triste di Occhi Blu, la presa in giro di Koba nei confronti di bipedi troppo stupidi per andare oltre i loro pregiudizi, un Cesare coerentemente invecchiato fanno scomparire d'incanto l'assurdità di vedere dei primati a cavallo oppure maneggiare armi come fosse la cosa più naturale del mondo e le scene d'azione sono altrettanto belle e galvanizzanti, soprattutto nella battaglia finale. Se Andy Serkis e Toby Kebbel, inguainati nelle tutine necessarie alla stop motion e nascosti quindi dall'effetto speciale, meritano l'applauso a scena aperta, lo stesso non vale purtroppo per gli attori "al naturale", tutti abbastanza anonimi, stereotipati e dimenticabili, a partire dalla superstar Gary Oldman che probabilmente era lì con un occhio all'orologio e uno all'assegno milionario da incassare per dieci minuti di girato. Per dire, sono lontani i momenti di pura commozione regalati da un signor attore come John Lithgow e mi sono ritrovata a sentire la mancanza persino di quella faccia da caSSo di James Franco, cosa che non è da me. Nonostante l'abbia trovato inferiore a L'alba del pianeta delle scimmie, Apes Revolution è però un film che merita comunque la visione e, cosa non da poco, invoglia ad andare a vedere il terzo capitolo, sperando che la storia di Cesare riservi ancora qualche sorpresa e non si riduca ad essere un agglomerato di splendidi effetti speciali scimmieschi senz'anima.


Del regista Matt Reeves ho già parlato QUI. Andy Serkis (Cesare), Jason Clarke (Malcom), Gary Oldman (Dreyfus), Keri Russell (Ellie), Toby Kebbell (Koba), Kodi Smit-McPhee (Alexander) e Judy Greer (Cornelia) li trovate invece ai rispettivi link.


Il regista de L'alba del pianeta delle scimmie, Rupert Wyatt, ha rinunciato a dirigere Apes Revolution perché avrebbe dovuto rispettare dei tempi strettissimi, per consentire al film di uscire in una determinata data. Gary Oldman era invece uno degli attori presi in considerazione per il ruolo del Generale Thade (andato poi all'amico Tim Roth) nel Planet of the Apes di Tim Burton. Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie può essere considerato un remake di Anno 2670 ultimo atto, quinto film della saga originale de Il pianeta delle scimmie e avrebbe dovuto concludersi con i militari all'inseguimento di Cesare e soci ma il finale è stato cambiato perché non apprezzato durante le proiezioni in anteprima; tuttavia, se avrete la pazienza di aspettare fino alla fine dei titoli di coda, si sentono dei rumori che lasciano pensare che Koba sia ancora vivo. Se questa supposizione è vera o meno lo sapremo guardando The War - Il pianeta delle scimmie, mentre se Apes Revolution vi fosse piaciuto consiglio il recupero de L'alba del pianeta delle scimmie e magari, per completezza, anche della webserie in tre episodi Before the Dawn, che racconta quanto è successo tra il primo e il secondo capitolo del reboot. ENJOY!


mercoledì 22 agosto 2012

Il Cavaliere oscuro - Il ritorno (2012)

Ieri sera sono andata con un paio di amici a vedere l’anteprima de Il Cavaliere oscuro – Il ritorno (The Dark Knight Rises), attesissimo capitolo finale della trilogia di Christopher Nolan. La recensione che segue, per rispetto di chi attenderà l’uscita ufficiale per andarlo a vedere, è rigorosamente spoiler free.


Trama: alla fine de Il cavaliere oscuro Batman era stato dichiarato nemico pubblico di Gotham City mentre Harvey Dent, alias Due Facce, era stato praticamente fatto santo. A seguito di questo, Bruce Wayne si è ritirato in una sorta di clausura e la città sta attraversando un periodo di pace che dura da otto anni, ma ci penserà il terrorista Bane a cambiare lo status quo…


Non mi vergogno a dire che i primi due Batman diretti da Nolan mi avevano lasciata come mi avevano trovata. Del primo non ricordo praticamente nulla, mentre il secondo, osannatissimo capitolo mi aveva abbattuta per la noia, salvo per le sporadiche apparizioni di Heath Ledger nei panni di Joker. Ero partita dunque con le peggiori aspettative riguardo questo Il cavaliere oscuro – Il ritorno… invece, e per fortuna, mi sono unita agli applausi a scena aperta che sono scattati automatici alla fine della pellicola. Per la prima volta, infatti, mi è parso che regista e sceneggiatori si siano impegnati a raccontare una storia di Batman, senza limitarsi a girare delle specie di pesantissimi action con un tizio in tenuta da pipistrello e perennemente complessato: qui c’è sì la disperazione, c’è la rinuncia, c’è finalmente un cattivo con le palle in grado di costituire una vera minaccia, sia fisica che psicologica, per l’uomo pipistrello e per Gotham, c’è la consapevolezza che Bruce Wayne è solo un uomo privo di superpoteri costretto ad affrontare problemi più grandi di lui, c'è un riferimento neppure troppo velato alla crisi mondiale e all'incredibile disparità tra troppo ricchi e troppo poveri… e ci sono, soprattutto, dei comprimari della madonna.


Non vado troppo nel dettaglio per non rovinare la sorpresa a chi non ha ancora visto la pellicola, ma ho sempre pensato che il bello di Batman non fosse il protagonista in sé, quanto la varietà di personaggi che ne popolano l’universo. In questo caso, Christian Bale, per quanto bravissimo e in parte, potrebbe tranquillamente non comparire mai all’interno della pellicola, perché bastano gli altri protagonisti a formare da soli un film praticamente perfetto. Michael Caine e Gary Oldman sono assolutamente inarrivabili, soprattutto il primo regala degli incredibili momenti di umorismo british e pura commozione; il nuovo villain Bane mette ansia ad ogni apparizione, è di una spietatezza senza confini ed è un piacere vederlo mettere in atto i suoi folli progetti (l’unico neo è la sua orrenda voce metallica, inascoltabile come quella di Batman: durante il confronto tra i due mancava solo la vocetta posticcia dell'Enigmista che invitava entrambi a fare un gioco con lui, poi eravamo davvero a posto…); Anne Hathaway è, inaspettatamente, una Selina perfetta, nelle movenze, nel costume e nelle motivazioni del personaggio, quasi affascinante come Michelle Pfeiffer; Joseph Gordon – Levitt è la scelta vincente per un protagonista fondamentale che viene “svelato” con intelligenza e senza troppi sensazionalismi, tenendolo quasi nell’ombra per tutta la durata della pellicola ed approfondendone al meglio le motivazioni; infine, Marion Cotillard è la raffinatezza fatta a persona, e cos’altro si può dire ad un’attrice simile? Al solito, purtroppo, il Fox di Morgan Freeman non mi ha fatto né caldo né freddo, trovo che sia un personaggio simpatico e utile in senso pratico, ma per il resto tranquillamente sacrificabile. 


Per quanto riguarda l’aspetto tecnico della pellicola, anche i primi due capitoli rasentavano la perfezione, e Il cavaliere oscuro – Il ritorno non fa eccezione. La scena iniziale è mozzafiato, da pelle d’oca, così come l’attacco definitivo di Bane alla città di Gotham, punto focale del film (apro una parentesi sulla colonna sonora, bellissima, ma tante volte è molto più emozionante e carica di valore la delicata voce di un bambino che canta l'inno nazionale al momento giusto per far rimanere a bocca aperta...), inoltre i mezzi tecnologici dell’uomo pipistrello sono forse ancora più impressionanti delle altre volte e consentono sicuramente la realizzazione di efficacissime sequenze dove inseguimenti, sparatorie ed esplosioni la fanno da padrone. Sensazionali le scenografie: personalmente, ho amato molto l’immagine del tribunale “temporaneo” di Gotham City (e dovreste vedere il giudice che lo presiede…!), emblema di un caos mascherato da legge, e sono molto suggestivi anche il rifugio del villain e la prigione sotterranea nel bel mezzo del deserto. Non mi hanno fatta impazzire i costumi invece, con Bane che sembra uno zamarro appena caduto dall’aereo de I mercenari e con le solite, impersonalissime tutine che avvolgono le chiappe di Catwoman e Batman, né ho apprezzato i combattimenti tra protagonista e villain, lenti e rozzi incontri di pugilato tra monoliti di marmo. Ma a parte questi ultimi, trascurabili dettagli, è bello vedere come Nolan sia riuscito a tirare con maestria le fila del complesso discorso cominciato ormai sette anni fa, dando alla saga una degna e logica conclusione, che non lascia assolutamente l’amaro in bocca né una sensazione di incompletezza, come spesso accade in questi casi. Personalmente, confido che la cosa finisca qui e che non vengano fatti altri seguiti o reboot che saprebbero di fasullo lontano un miglio. Intanto, mi preparo a recuperare l’intera trilogia in DVD, chissà che il tempo non mi consenta di essere più indulgente con i primi due film e di dichiararli bellissimi come questo Il cavaliere oscuro – Il ritorno.


Del regista e cosceneggiatore Christopher Nolan ho già parlato qui. Di Christian Bale (Batman/Bruce Wayne),  Gary Oldman (Jim Gordon), Tom Hardy (Bane), Joseph Gordon – Levitt (Blake, ruolo per il quale erano stati considerati anche Leonardo Di Caprio, Ryan Gosling e Mark Ruffalo), Anne Hathaway (Selina, ruolo per cui erano "arrivate in finale" anche Keira Knightley e Jessica Biel), Marion Cotillard (Miranda), Morgan Freeman (Fox), Michael Caine (Alfred), Cillian Murphy (Jonathan Crane/Scarecrow), Liam Neeson (Ra's Al Ghul) e Nestor Carbonell (il sindaco), ho già parlato nei rispettivi link.

Matthew Modine interpreta Foley. Americano, lo ricordo per film come Full Metal Jacket (era il soldato Joker), America oggi, Corsari, Notting Hill, Ogni maledetta domenica, inoltre ha partecipato alla serie Weeds. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 53 anni e due film in uscita.


Inutile dirlo, se il film vi è piaciuto vi consiglio il recupero di Batman Begins e di Il Cavaliere oscuro, oltre ovviamente a Batman e Batman Returns di Tim Burton. ENJOY!!



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