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domenica 29 settembre 2019

Bollalmanacco On Demand: Inland Empire - L'impero della mente (2006)

Dopo millemila giorni torna il Bollalmanacco On Demand. Ce n'è voluta, eh, ma alla fine sono riuscita a finire di vedere Inland Empire - L'impero della mente (Inland Empire), scritto e diretto nel 2006 dal regista David Lynch e chiesto dall'adorata amica Silvia. Il prossimo film On Demand dovrebbe essere Penelope. ENJOY!


Trama: dopo avere ottenuto il ruolo tanto desiderato, un'attrice smette di distinguere la realtà dalla finzione e si perde in un allucinante trip di eventi...



Siccome di Inland Empire non si può proprio parlare, vi tedierò un po' con qualche aneddoto personale che giustifica anche perché ci ho messo così tanto per sfornare un nuovo post On Demand. L'ultimo lungometraggio di David Lynch (se non vogliamo considerare tale l'ultima serie di Twin Peaks) dura quasi tre ore e io, ovviamente, tutto questo lusso temporale non ce l'ho. Sono vecchia, ormai ho 38 anni, prima delle 21.30 non riesco a cominciare a guardare film (e considerate che questo non l'ho nemmeno proposto al Bolluomo, ci mancherebbe) e ammetto che ogni volta Inland Empire mi faceva crollare tra le braccia di Morfeo dopo 15/20 minuti al massimo; ho provato a guardarlo al mattino, mentre facevo colazione, e talvolta mi veniva da dormire anche lì, a rischio di pucciare la faccia nel tea. Insomma, un successone. Probabilmente Lynch riderebbe di me, oppure magari mi direbbe che il modo migliore per fruire di Inland Empire è proprio lasciare che le immagini del film si mescolino a quel meraviglioso momento in cui la mente svariona prima di abbandonarsi al sonno e ai sogni, mentre gli amanti di Lynch e i cinèfili degni di questo nome mi ricopriranno di insulti e ignominia perpetua. Vi do ragione, per carità, ma a mia discolpa posso dire di averci provato e di essere stata onesta: "qualcuno", messo davanti ai miei evidenti limiti e di fronte alla mia richiesta di aiuto, mi ha detto "leggiti qualche recensione in giro e prova a fartene una tua idea, simulando di averlo visto. Magari dilungati sul fatto che è un film molto lynciano, con degli attori molto lynciani... con un po' di pratica vedrai che riuscirai a scrivere lunghissimi post anche sul nulla cosmico. In fondo è quello che fanno i critici cinematografici stipendiati... mica li guardano per davvero i film". Come dargli torto, in effetti? Perfetto, allora la butto lì: Inland Empire è un film importantissimo, un pugno nello stomaco, indispensabile, lynchiano, perturbante, inquietante e, soprattutto, disturbante. Di sicuro ho azzeccato tutti i termini giusti, il post potrebbe anche essere finito qui, nevvero?


Dai, si scherza. Però diamine, leggenda narra che Lynch abbia telefonato alla Dern e, manco fosse Uma Thurman nella pubblicità della Schweppes, le abbia detto "ti va di sperimentare?" e di sicuro né lui né gli attori coinvolti sono riusciti a spiegare in che diamine consista Inland Empire quindi come posso riuscirci io? E soprattutto, perché dovrei? Lì per lì, tra l'altro, Inland Empire ti gabba, infido, e salvo un siparietto con una sit-com a base di conigli antropomorfi e gente che parla in ungherese, ti illude che abbia una trama: un'attrice moglie di un marito orco ottiene il ruolo tanto agognato e finisce preda, nonostante mille avvertimenti, del co-protagonista donnaiolo, al punto da confondere la vera se stessa con il personaggio che sta interpretando, mentre cominciano a circolare voci inquietanti sull'impossibilità di concludere le riprese di un film già naufragato una volta per motivi mai chiariti. Una trama interessante, che già di per sé titillerebbe l'attenzione dello spettatore e di tutti i fan di Lynch. Peccato che quest'ultimo non avesse intenzione di dirigere un lungometraggio, bensì una serie di "corti" che alla fine lo sono diventati e che hanno creato un trip cinematografico senza capo né coda, senza unità di tempo o spazio, un'infinita serie di suggestioni che sta allo spettatore scegliere come vivere e, probabilmente, come interpretare. Passato, presente e futuro non esistono più, c'è un continuo stream of consciousness che definire tale sarebbe comunque improprio, perché il punto di vista non è sempre quello di Nikki/Susan e talvolta vengono inseriti altri personaggi protagonisti di vicende proprie, che possono essere legate o slegate da quella principale, che comunque principale non è. Insomma, un casino vero, e rimanerne affascinati o meno dipende dalla disposizione d'animo dello spettatore.


Io, lo ammetto, andavo a momenti. L'atavico istinto di horroromane unito alla pavloviana memoria dei migliori istanti twinpeaksiani mi ha portata ad apprezzare moltissimo gli infiniti corridoi in cui si perde Laura Dern, bui salvo per luci rossastre, tendaggi, pavimenti con pattern assai simili a quelli della Loggia Nera, gente deforme che strilla sconvolta in camera, persone che appaiono e scompaiono senza un perché; oppure, le assurde sequenze in cui la gente canta e balla, d'amblé, con altri posti a fare i silenziosi testimoni della follia, ma anche il momento in cui la senzatetto asiatica in botta racconta la sua assurda storia, per non parlare della sempre meravigliosa Grace Zabriskie, la cui sola presenza a me fa gelare il sangue nelle vene. La Dern meriterebbe l'applauso per il modo in cui asseconda ogni pazzia di Lynch senza perdere bravura o dignità, ché son tutti buoni a far gli attori per il depresso Von Trier, ma non vorrei essere nei panni di chi legge uno script di Lynch e affida l'anima al Sacro Cuore di Maria ad ogni ciak, sperando di non sbagliare o non fare una figura barbina imboccando invece la strada per il ridicolo involontario. Per contro, all'ennesimo dialogo tra polacchi e davanti alla fissità di uno psicologo che guardava la Dern con la stessa mia faccia disinteressata e annoiata, avrei voluto che il mio cervello partisse per l'Inland Empire dei sogni per non tornare mai più e ammetto, comunque, di avere fatto una fatica incredibile ad arrivare al termine di una visione protrattasi più o meno per una settimana, segno che questo Lynch sperimentatore ed estremo non fa proprio per me, per quanto gli riconosca una dignità artistica e visionaria senza pari. Di sicuro, la visione di Inland Empire è un'esperienza che consiglio, almeno una volta nella vita, ma dubito che io stessa la ripeterò.


Del regista e sceneggiatore David Lynch, anche voce di Bucky J, ho già parlato QUI. Grace Zabriskie (visitatore n. 1), Laura Dern (Nikki Grace/Susan Blue), Jeremy Irons (Kingsley Stewart), Justin Theroux (Devon Berk/Billy Side), Harry Dean Stanton (Freddie Howard), William H. Macy (Annunciatore), Laura Harring (Ospite alla festa/Jane Rabbit) e Naomi Watts (voce di Suzie Rabbit) li trovate invece ai rispettivi link.


Tra le guest star compaiono Nastassja Kinski nei panni della signora e Ben Harper in quelli del pianista. Il film ha un "sequel" o, meglio, è affiancato da una raccolta di scene eliminate dal titolo More Things That Happened, uscito nel 2007 come appendice alle edizioni video del film. Se Inland Empire vi fosse piaciuto, ovviamente, recuperatelo, e aggiungete il resto della filmografia di David Lynch. ENJOY!

domenica 9 giugno 2019

Polaroid (2019)

Ma che disperazione. Polaroid, diretto dal regista Lars Klevberg, a Savona non è uscito. Fortuna o sfortuna?


Trama: Bird, ragazza timida ed impacciata, entra in possesso di una vecchissima macchina fotografica Polaroid. Presa dall'entusiasmo, la utilizza per scattare alcune foto agli amici, scatenando però sugli stessi una terribile maledizione...



Si può dire "che palle"? Potrebbe essere l'unico modo per riassumere la visione di Polaroid, horror che di innovativo non ha nulla e che procede lento e triste "come chi deve" sui binari già stabiliti a inizio millennio da The Ring, Shutter e compagnia urlante. La vecchia tecnologia che si ribella ai millenials, condannandoli a morire in un modo atroce rigorosamente fuori dall'inquadratura, ché rinunciare al PG-13 tipico di queste produzioni sarebbe brutto, offre al pubblico di ragazzetti una storia stravista che, boh, forse vuole metterli in guardia dalla mania di fare photobombing? Non saprei. In soldoni, ogni foto scattata con la Polaroid del titolo mostra alle spalle delle persone ritratte un'ombra inquietante, "firma" di un mostro tutto storto interpretato ovviamente da Javier Botet che, di lì a poco, farà impazzire tutte le luci della casa e giustizierà i poveracci ignari. Il perché o il percome lo si scopre seguendo i pochi sopravvissuti alla mattanza che, come da copione, si impelagano in un'indagine resa difficoltosa dalla creatura che incombe, tra false piste, motori di ricerca che trovano letteralmente ogni cosa e capatine nelle biblioteche. Insomma, ripeto, nulla di nuovo sotto il sole. C'è da dire, per lo meno, che i protagonisti sono meno irritanti del solito, non fanno cose stupide per motivi di trama (tranne uno ma, oh, almeno UN cretino all'interno di un gruppo ci dev'essere, d'altronde la gente ha votato Trump e Salvini, sarebbe surreale pensare il contrario) e la protagonista, oltre ad essere molto carina, mostra di avere anche un cervello pensante in grado di sfruttare le peculiarità delle foto scattate dalla Polaroid.


Tra i visetti tutti uguali di stelline varie tirate fuori da serie che guardano tutti tranne la sottoscritta, spuntano a nobilitare l'insieme la sempre inquietante Grace Zabriskie (onestamente, fa più paura lei del mostrone) e un Mitch Pileggi che, lì per lì, non avevo nemmeno riconosciuto e che meriterebbe un premio denominato ad hoc "mannaggiavvoi, fatevicazzivostri".  Purtroppo queste due vecchie glorie vengono sottoutilizzate ma è anche vero che il pubblico di riferimento non saprà nemmeno di chi sto parlando, quindi chissene. Il resto, come ho detto, è noia. A Lars Klevberg, autore del corto che ha dato origine a Polaroid, è stato affidato il reboot de La bambola assassina, che dovrebbe uscire tra poco in Italia, e benché non mi aspettassi chissà quale regista dietro la macchina da presa di un film così atteso, diciamo che Polaroid è dimenticabile anche dal punto di vista dalla regia. Il mostronetto, infine, è il solito agglomerato di pixel cucito addosso alle movenze dell'amabile Javier Botet e diverte il fatto che non abbia nulla a che vedere con la creatura mostrata nel corto, a mio avviso molto più efficace. D'altronde, è sempre così: un'idea come quella di Polaroid funziona nell'immediato, con un metraggio breve, in quanto si fonda sullo shock di uno jump scare o una situazione sovrannaturale priva di spiegazioni o conseguenze a lungo termine. Quando si cerca di allungare il brodo (i primi dieci minuti di film sono una riproposta quasi identica del corto stesso, dialoghi compresi, e una volta conclusa la breve introduzione i personaggi protagonisti scompaiono), il risultato si annacqua e il risultato sono filmetti dimenticabili come questo Polaroid, che poteva benissimo rimanere nel limbo distributivo internazionale al quale pareva essere stato condannato dopo lo scandalo Weinstein.


Javier Botet (l'entità), Grace Zabriskie (Lena Sable) e Shauna MacDonald (la madre di Bird) li trovate ai rispettivi link.

Lars Klevberg è il regista della pellicola. Norvegese, tornerà presto sugli schermi italiani con La bambola assassina. Anche sceneggiatore e produttore, ha 39 anni.


Kathryn Prescott interpreta Bird. Inglese, ha partecipato a film come Fino all'osso e a serie come 24: Legacy. Inglese, anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 28 anni.


Mitch Pileggi interpreta lo sceriffo Pembroke. Americano, indimenticato Walter Skinner di X-Files, lo ricordo per film come Il giustiziere della notte 4, Il ritorno dei morti viventi 2, Sotto shock, Basic Instinct, Vampiro a Brooklyn, X-Files - Il film, X-Files - Voglio crederci e per altre serie quali A-Team, Hunter, Dallas, Walker Texas Ranger, That's 70's Show, E.R. Medici in prima linea, Nip/Tuck, CSI - Scena del crimine, Cold Case, Criminal Minds, Medium, Supernatural, Grey's Anatomy e Dallas. Ha 67 anni e due film in uscita.



Polaroid è tratto dall'omonimo corto, sempre di Lars Klevberg, che potete trovare QUI. Se il film vi fosse piaciuto recuperate la serie The Ring. ENJOY!

venerdì 20 febbraio 2015

The Judge (2014)

Il recupero pre-Oscar non lascia passare indenni neppure le più “piccole” nomination, come quella di Robert Duvall migliore attore non protagonista in The Judge, diretto e co-sceneggiato nel 2014 dal regista David Dobkin.


Trama: Hank Palmer è un avvocato di successo che si è lasciato alle spalle le sue origini di “ragazzo di campagna”. Dopo la morte della madre è però costretto a tornare a casa e ad affrontare l’inesistente rapporto col padre, stimato giudice accusato di aver ucciso un uomo finito sotto il suo giudizio moltissimi anni prima…



Guardare The Judge è come fare un salto indietro nel tempo di almeno una ventina d’anni, quando andavano di moda i drammi giuridici mescolati a problemi familiari irrisolti. Il film racconta la solita storia del giovinotto scapestrato che scappa dalla campagna, diventa uno spregiudicato cittadino dopo aver tagliato tutti i ponti col passato e si ritrova dopo anni a dover riaffrontare la sua disagiata famiglia con un bel malloppo di cinismo e nuove, strabilianti abilità perlopiù sconosciute ai poveri zoticoni che ancora si cullano nella loro ingenua ignoranza. Queste situazioni di solito si risolvono in uno scontro cultural-generazionale e finiscono spesso a tarallucci e vino; The Judge non fa eccezione per quel che riguarda il primo punto ma strappa un bel po’ di lacrimoni (nonostante la prevedibilità del tutto) per quanto riguarda il secondo, seppellendo i personaggi con tante di quelle tragedie e situazioni irrisolte da far invidia ad un episodio di Candy Candy. La cosa incredibile è che The Judge è leggero, simpatico e molto ironico per almeno metà della sua durata e questi momenti più ilari vanno serenamente a braccetto con delle mazzate sotto lo sterno non da poco, che lasciano lo spettatore spiazzato a chiedersi il perché di questo continuo alternarsi di registri. La storia personale del protagonista Hank e di suo padre, il giudice del titolo originale, procede di pari passo con la loro vicenda giudiziaria, in un susseguirsi di deposizioni, scelte di giurati, arringhe ed interrogatori che potrebbero fare la felicità di ogni appassionato del genere e che, in effetti, hanno appassionato anche me, spingendomi a fare il tifo per il giudice sperando che vincesse la causa in barba all’azzimato avvocato dell’accusa e a tutti i familiari redneck della vittima.


Sicuramente, se la trama di The Judge riesce in qualche modo a catturare lo spettatore il motivo non risiede né nella sceneggiatura né nella realizzazione della pellicola, entrambe abbastanza mediocri, bensì nell’indubbio carisma degli interpreti principali e nell’azzeccata scelta dei caratteristi. Robert Downey Jr., affascinante come sempre, sembra nato per essere un avvocato sbruffone e senza scrupoli; Robertino brilla nei momenti più leggeri e patisce un po’ in quelli drammatici, risultando forse un po’ poco credibile, ma in generale è sempre piacevole vederlo muoversi e parlare sullo schermo. D’altra parte, Robert Duvall merita la nomination di quest'anno perché impegnato in un personaggio non facile, molto poco simpatico e tuttavia capace di accattivarsi a tratti la tenerezza del pubblico, accettando di caricarsi sulle spalle l'ingrato compito di mostrare buona parte degli aspetti negativi (e anche imbarazzanti) della vecchiaia e della malattia con incredibile dignità e sensibilità. I duetti tra i due Robert sono i momenti più interessanti, commoventi e riusciti di tutto il film ma anche i personaggi secondari sono ben caratterizzati; a Vera Farmiga basta essere bellissima, potrebbe anche non aprire bocca e riuscire comunque a dare dei punti con la sua sola presenza a tante mocciose di belle speranze con la metà dei suoi anni, mentre Vincent D'Onofrio e Jeremy Strong spiccano sugli altri interpreti maschili nonostante anche i due fratelli Dale e Glen non siano proprio dei mostri di simpatia o carisma. A The Judge avrebbero probabilmente giovato venti minuti e un po' di retorica in meno ma, come spesso succede davanti a film "classici" nell'impianto e nella bravura degli attori, è difficile non lasciarsi trasportare e goderseli fino in fondo, un po' come se ormai fossero insediati profondamente nel nostro DNA: The Judge non sarà il filmone del 2014 ma merita sicuramente una visione!


Di Robert Downey Jr. (Hank Palmer), Robert Duvall (Joseph Palmer), Vera Farmiga (Samantha Powell), Billy Bob Thornton (Dwight Dickham), David Krumholtz (Mike Kattan), Grace Zabriskie (Mrs. Blackwell) e Denis O'Hare (Doc Morris) ho già parlato ai rispettivi link.

David Dobkin è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come 2 cavalieri a Londra e 2 single a nozze. Anche produttore, ha 45 anni.


Vincent D'Onofrio interpreta Glen Palmer. Americano, lo ricordo per film come Full Metal Jacket, Mystic Pizza, JFK - Un caso ancora aperto, Ed Wood, Men in Black e The Cell - La cellula, inoltre ha partecipato a serie come Miami Vice. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 55 anni, sette film in uscita tra cui Jurassic World e dovrebbe interpretare Wilson Fisk nell'imminente serie Daredevil.


Jeremy Strong interpreta Dale Palmer. Americano, ha partecipato a film come E venne il giorno, Lincoln, Zero Dark Thirty e Parkland. Ha un film in uscita.


Nonostante Robert Duvall sia stato giustamente candidato all'Oscar per la sua interpretazione, per il ruolo di Joseph Palmer c'erano in lizza anche Jack Nicholson e Tommy Lee Jones mentre Elizabeth Banks è arrivata a contendersi con la Farmiga la parte di Samantha. Detto questo, se The Judge vi fosse piaciuto recuperate Music Box - Prova d'accusa, Conflitto di classe e Il verdetto. ENJOY!


venerdì 9 gennaio 2015

Bollalmanacco On Demand: Cuore selvaggio (1990)

Anno nuovo, On Demand nuovo! Oggi esaudirò una richiesta di Arwen Lynch e parlerò di Cuore Selvaggio (Wild at Heart), diretto e sceneggiato da David Lynch nel 1990, partendo dal romanzo omonimo di Barry Gifford. Il prossimo On Demand non riguarderà un film, bensì una miniserie, Angels in America! ENJOY!


Trama: Sailor e Lula, due giovani innamorati, fuggono verso la California per evitare che la madre di lei li separi e anche per fuggire ai detective e ai sicari che la donna ha messo sulle loro tracce..



Cuore selvaggio è una bestia stranissima dalla trama assai semplice, una sorta di Romeo e Giulietta in salsa kitsch che racchiude dentro di sé tutti i "sogni" della provincia americana e tutti i generi cinematografici cari alla cultura pop. Sailor e Lula sono innamoratissimi, anzi, di più: come diceva il titolo di un vecchio telefilm anni '90 sono Innamorati Pazzi e vivono solo per questo amore che li lega, invincibile ed immutabile, fatto di fuoco e fiamme, sesso, violenza, Frasi Storiche e musica sparata a palla. Questo sentimento non convenzionale, neanche a dirlo, è ancor più rinfocolato dall'odio smisurato della madre di Lula (una coguara psicopatica) verso Sailor, reo di averla rifiutata prima, presa poi e anche di aver testimoniato ad un evento passato che non vi sto a dire, due cose che portano la signora a scatenare contro il giovane l'amante psicopatico e tutta la sua rete di ancor più psicopatici sicari. Sailor, duro e puro come il miglior James Dean ma con un pizzico di Febbre del Sabato Sera, e Lula, una Barbie con voglie da maiala, sorella maggiore della ben più sanguinaria Mallory di Natural Born Killers, vivono così questo amore contrastato da film finché, neanche a dirlo, il sentimento s'inceppa non tanto davanti ad assurdi personaggi e ad ancor più assurde circostanze, bensì davanti a cose prosaiche e "normali" come incidenti stradali (veri e propri presagi di sventura!), gravidanze non previste, stasi e noia: il cuore del tenerissimo Sailor è "selvaggio" come il mondo che circonda i due e non sarà facile per il protagonista domarlo ed afferrare il microfono per cantare Love Me Tender, ammettendo finalmente anche a sé stesso che il suo amore per Lula va oltre le pose da duro, il pericolo, la musica, il sesso e le fughe in macchina.


Accanto alla semplicità della storia, ovviamente, c'è lo sbrago di un David Lynch che prende due personaggi a loro modo mitici e li infila nel breviario dell'iconografia americana stessa filtrando il tutto col suo stile onirico e creando, di fatto, l'American Dream (o Nightmare, fate voi) definitivo, il trionfo del kitsch. La madre di Lula diventa la Malvagia Strega dell'Ovest, quella presenza che si fa sentire nel vento ed infesta con orribili presagi la fuga della ragazza e di Sailor, il desiderio di Lula di tornare a casa si concretizza nel batter di tacchi di un paio di scarpette rosse e la bella Glinda compare davanti al ragazzo in tutto il suo splendente fulgore ma questo citazionismo del Mago di Oz è solo la punta dell'iceberg: Elvis, le bande di strada, i gangster, le rapine, l'arte e la poesia americani, Tennessee Williams, i road movies, la gioventù bruciata, la guerra del Vietnam, i dollari d'argento, l'happy ending, insomma ogni elemento di Cuore Selvaggio è contemporaneamente un omaggio a e una presa in giro del Sogno Americano e dei miti che lo hanno accompagnato, non c'è nulla nel film che abbia la pretesa di essere verosimile, anzi. Purtroppo, visto nel 2014 non è neppure verosimile Nicolas Cage, troppo facile ridere oggi davanti ad ogni sua apparizione e ad ogni sua performance nelle vesti di novello Elvis ma mettetevi nei panni di chi ha visto Cuore selvaggio nel 1990 e capirete che non c'era attore migliore per interpretare Sailor, nessuno in grado di annullarsi così totalmente e metterci tutta la follia necessaria; lo stesso vale, ovviamente, per il leppegosissimo Bobby Peru di Willelm Dafoe (osceno, da brividi, mezz'ora scarsa di pura abiezione!), la folle Juana Durango di Grace Zabriskie (la mamma di Laura Palmer, ve la ricordate?) e la mostruosa Marietta di Diane Ladd (nominata all'Oscar come miglior attrice non protagonista), punte di diamante di un cast allo stesso tempo disarmante e perfetto. Due aggettivi che si adattano perfettamente a Cuore selvaggio. Se non avete mai avuto modo di guardarlo vi consiglierei di provare l'esperienza, non ne uscirete indenni, ve lo garantisco!


Del regista e sceneggiatore David Lynch ho già parlato QUI. Nicolas Cage (Sailor Ripley), Laura Dern (Lula Fortune), Willelm Dafoe (Bobby Peru), Crispin Glover (Dell), Isabella Rossellini (Perdita Durango), Harry Dean Stanton (Johnnie Farragut), William Morgan Sheppard (Mr. Reindeer), Pruitt Taylor Vince (Buddy) e Sheryl Lee (la strega buona) ho già parlato ai rispettivi link.

Diane Ladd (vero nome Rose Diane Ladnier) interpreta Marietta Fortune. Americana, madre di Laura Dern, ha partecipato a film come Chinatown, Alice non abita più qui, Qualcosa di sinistro sta per accadere, La vedova nera e a serie come Love Boat, L'ispettore Tibbs, Kingdom Hospital,Cold Case e E.R. - Medici in prima linea. Anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 82 anni e due film in uscita.


Grace Zabriskie interpreta Juana Durango. Indimenticabile Sarah Palmer della serie Twin Peaks (e dovrebbe tornare nella nuova stagione del 2016!), ha partecipato a film come La bambola assassina 2, Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, Fuoco cammina con me, Armageddon, The Grudge e ad altre serie come Santa Barbara, Moonlightning, Dharma e Greg, Streghe. Ha 73 anni e due film in uscita.


Tra gli altri attori segnalo la presenza di parecchi membri del cast di Twin Peaks: Sherilyn Fenn (Audrey Horne nella serie) compare nei panni della ragazza coinvolta nel primo incidente, il mitico Jack Nance (Pete Martell) interpreta 00 Spool mentre David Patrick Kelly (William Horne) è Dropshadow. Cuore selvaggio ha una sorta di "sequel" che sto già cercando di procurarmi, Perdita Durango, diretto nel 1997 dal regista Alex De La Iglesia; se il film vi fosse piaciuto cercatelo anche voi e aggiungete Assassini nati - Natural Born Killers, True Romance (o Una vita al massimo, ma è un titolo che mi fa schifo) e Velluto Blu. ENJOY!

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