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venerdì 3 ottobre 2025

Nuovi Incubi Halloween Challenge Day 3: Tenebre (1982)

Terzo giorno della Nuovi Incubi Halloween Challenge, che oggi ha come tema "Slasher". Siccome ci sono di mezzo rasoi e accette ho scelto di guardare Tenebre, diretto e sceneggiato nel 1982 dal regista Dario Argento.


Trama: Lo scrittore Peter Neal si reca a Roma per presentare il suo ultimo romanzo, Tenebre. Poco dopo, un misterioso assassino comincia ad uccidere delle donne seguendo proprio il modus operandi del killer protagonista del romanzo...


Allora, io non so se Tenebre rientra proprio nella definizione di slasher, visto che lo stesso Argento lo ha dichiaratamente girato per riaffermare il suo predominio sul genere che ha contribuito a portare al successo, il giallo. Tuttavia, il giallo è un po' il nonno o il papà dello slasher (un figliolo molto meno raffinato e più rozzo, almeno agli inizi), quindi il legame di parentela comunque c'è. Ma vediamo, banalmente, se Tenebre ha tutte le caratteristiche dello slasher. L'assassino è motivato da un trauma passato, che lo ricordi o meno, e che viene "triggerato" da qualcosa? Sì. Ci sono scene di inseguimenti e omicidi, magari anche un po' legati alla sfera sessuale, che titillino la natura voyeuristica dello spettatore? Direi di sì. L'assassino usa lame, stalkera le vittime, che sono più di una? Di nuovo, sì. C'è una final girl? Ma non ve lo dirò mai, se ancora non avete guardato Tenebre o se, come me, lo avevate visto una volta vent'anni fa e ricordavate solo Eva Robin's sulla spiaggia, sconvolti dal fatto che una personalità televisiva percepita allora come un po' "trash" avesse partecipato a un thriller-horror. Se l'ho dimenticato è perché, almeno a parer mio, Tenebre non è una delle opere migliori di Dario Argento, di cui preferisco altri film, almeno a livello di trama. Lasciando perdere il twist, sul quale si potrebbero fare le pulci per ore relativamente a tempistiche e spostamenti vari, Tenebre è l'espressione cinematografica con cui Argento ha cercato di esorcizzare il terrore provocatogli dalle minacce di un vero stalker, oltre a ricusare con cupa ironia le accuse di misoginia che gli aveva fatto piovere addosso la critica, e ripete ossessivamente sequenze in cui una mano sconosciuta massacra donne prive di legami tra loro. Il whodunnit entra in campo a metà film, quando finalmente il protagonista decide di indagare, invece di aspettare passivo come se la cosa non lo riguardasse (il killer sta seguendo la trama del tuo libro, insomma!!), ma in quel momento i personaggi rimasti sono un po' pochini per poter venire sviati, e Argento, anche sceneggiatore, ricorre a mezzucci scorretti per instillare dubbi (un esempio su tutti, la telefonata tra Anne e Jane, anche se, in generale, il personaggio della ex di Peter per me è forzato in generale). Altra cosa che rallenta, sempre a mio avviso, il ritmo del film, è una generale impressione di "spaesamento" che sembra affliggere tutti i protagonisti, spesso persi in silenziose riflessioni o sogni ad occhi aperti; d'altra parte, questo isolamento, anche fisico (il regista ha dichiarato che Tenebre è ambientato in un futuro prossimo in cui la popolazione è diminuita), prelude a una maggiore angoscia nell'attesa che l'assassino colpisca e contribuisce alla bellezza degli omicidi presenti nel film.


Dal punto di vista della messa in scena, infatti, ho trovato Tenebre un'ottima espressione della creatività e della cura che Argento metteva, decenni fa, nella regia dei suoi film. Intanto, Tenebre ha una fotografia nitidissima e molto luminosa; la maggior parte dei delitti avviene alla luce del giorno e, anche quando avvengono in interni oppure di notte, non ci sono quasi ombre e le immagini sono chiare e dettagliate. Le sequenze che mi hanno colpita maggiormente sono l'omicidio di John Saxon, girato nella piazza assolata del Centro commerciale Le Terrazze di Roma, mentre attorno all'attore si svolgono almeno tre micro-storie di ordinaria vita quotidiana, e l'incredibile panoarmica realizzata con la camera crane che precede l'omicidio di Tilde e della sua compagna. Questa, in particolare, potrebbe essere una di quelle sequenze in grado di respingere uno spettatore ai nostri giorni, perché "è lunga e non succede nulla"; in realtà, è un modo per rappresentare la falsa sicurezza instillata da un condominio o da una casa, dà l'impressione che il killer, come una presenza sovrannaturale che tutto vede, cerchi meticolosamente un punto debole da cui penetrare nella vita delle sue vittime, fa crollare ogni illusoria certezza. E' notevole anche la sequenza del dobermann (probabilmente l'origine di tutte le false credenze su questa povera razza di cani), incalzante e ansiogena, e ho apprezzato molto anche le architetture di un paio di appartamenti, sempre zeppi di vetri e finestrone come piace ad Argento, e alcuni complementi di arredo utili solo per fungere da arma impropria, come quello che impala il killer sul finale. Per quanto riguarda la colonna sonora, a 15 anni mi sono ascoltata in loop, per mesi, il tema portante di Tenebre, con quel "paura" campionato e distorto che si ripete a ritmo di musica, quindi ho avuto una botta di nostalgia terribile, riguardando il film, adorando ogni singolo momento in cui viene utilizzato il brano. In definitiva, non so ancora se ho azzeccato il tema di oggi, con Tenebre, ma sono comunque contenta di averlo rivisto, perché con tutti i suoi difetti è ancora una valida espressione dell'abilità ormai perduta di Dario Argento.  


Del regista e sceneggiatore Dario Argento ho già parlato QUI. John Saxon (Bullmer) e Daria Nicolodi (Anne) li trovate invece ai rispettivi link.

Giuliano Gemma interpreta il Capitano Germani. Nato a Roma, lo ricordo per film come Il gattopardo, Angelica, La meravigliosa Angelica, Una pistola per Ringo, Anche gli angeli mangiano fagioli, Il deserto dei tartari e Tex e il signore degli abissi. E' morto nel 2013.


Veronica Lario
, che interpreta Jane McKerrow, sarebbe diventata nel 1990 la seconda moglie di Berlusconi; altra persona diventata molto famosa negli anni '90 è Eva Robin's (la quale all'epoca dava "scandalo" in quanto nata uomo), che qui interpreta la ragazza sulla spiaggia, presente nei ricordi dell'assassino. Se Tenebre vi fosse piaciuto recuperate Profondo Rosso, L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio. ENJOY!

martedì 16 luglio 2024

Il Bollalmanacco On Demand: Phenomena (1985)

Torna il Bollamanacco on Demand con Phenomena, film richiesto da Arwen chissà quanto tempo fa. Mi spezza il cuore che Laura non possa più leggere né commentare le stupidate che scrivo su questo blog ma non smetterò mai di ringraziarla per tutti i film che mi ha spinto (e ancora mi spingerà, prossimamente) a vedere o riguardare. Nel piccolo della nostra comunità di blogger, non esisterà mai una cinefila appassionata come lei. 


Trama: Jennifer, figlia di un famoso attore americano, viene iscritta in un collegio svizzero. Nei pressi, un feroce serial killer fa scempio di ragazzine e Jennifer, per salvarsi dalle mire di costui, dovrà ricorrere al suo potere ESP, che le consente di comunicare con gli insetti...


Durante la visione di Abigail, il mio amico Ale ha dichiarato di avere apprezzato molto la citazione della "piscina di Phenomena", e io mi sono resa conto di non ricordare più una mazza di un film visto 30 anni fa e poi mai più. Ho quindi appreso con gioia che l'On Demand del mese era proprio Phenomena e, avendolo rivisto con Abigail ancora fresco in mente, posso confermare senza timore che il buon Ale aveva ragione, le piscine dei due film possono essere tranquillamente cugine, se non sorelle, e mi causano conati profondi allo stesso modo. Così non è invece per Phenomena, un'ottima pellicola del periodo in cui il nome Dario Argento era ancora una garanzia, benché forse si tratti di un'opera dallo stile inusuale rispetto al resto della sua filmografia. Phenomena è infatti una fiaba nera avente per protagonista una ragazzina col potere di comunicare con gli insetti e, se è vero che la vicenda la vede impegnata contro un serial killer, l'ambientazione e tutta una serie di altri elementi sono distanti da quelli dei violenti thriller del regista. Ci sono alcune caratteristiche che lo accomunano a Suspiria, come il fatto che la protagonista sia una ragazza costretta a frequentare una scuola in un paese straniero e che l'ambiente scolastico non sia proprio amichevole, ma in Suspiria il fulcro era proprio l'Accademia di danza e tutto ciò che essa nascondeva, qui invece il cuore della storia è Jennifer, una divinità (o un demone?) in miniatura che fin dal principio risulta essere un gradino sopra le sue coetanee. Jennifer è diversa dagli altri: bellissima, figlia di un attore famosissimo, ama gli insetti e loro la amano di rimando, al punto da aiutarla e difenderla quando la sua diversità la porta ad entrare in risonanza con la mente di un assassino. Jennifer è la principessa della fiaba, l'eroina se vogliamo, ma non è soltanto una bella figurina vuota. Diversamente da altre protagoniste argentiane, Jennifer gode di quel minimo approfondimento psicologico che ci fa capire come la solitudine derivante dall'avere un padre famoso e sempre impegnato sia ulteriormente accresciuta da un potere misterioso che la rende diversa dagli altri, e ciò consente allo spettatore di sviluppare maggiore empatia nei suoi confronti, cosa che rende l'orrore di cui è permeato il film ancora più efficace.


Se il sembiante di Jennifer e l'ambientazione svizzera con in suoi boschi da cui non si riesce ad uscire (per non parlare della casa della "strega" nel prefinale) evocano tantissimo l'idea di una fiaba nera, molte immagini e sequenze del film hanno connotazioni fortemente oniriche e le qualità di un incubo, come se la protagonista non le mettesse effettivamente a fuoco o fosse soverchiata dall'orrore degli avvenimenti. Tante cose che accadono nel film, infatti, non hanno una spiegazione logica, oppure vengono mostrate all'improvviso senza nessuna correlazione con ciò che è accaduto in precedenza, ma non lo ritengo un difetto, quanto piuttosto il frutto della volontà di creare un'opera potente ed evocativa, in grado di inquietare a prescindere dalla violenza che viene messa in scena quando il killer colpisce. Altri elementi che danno un tocco surreale al tutto sono il voice over del narratore quando Jennifer arriva a scuola (voce che non si sentirà più per il resto del film), la presenza di una scimmia "infermiera", il suono costante del vento, emblema di follia, e, soprattutto, la spettacolare colonna sonora dei Goblin (il tema portante del film è il fiore all'occhiello di Argento Vivo, CD acquistato in Australia e consumato a furia di ascoltarlo) intervallata da pezzi originali di Iron Maiden e altri gruppi "delicatissimi". Dulcis in fundo, c'è Jennifer Connelly. Io non so come sia possibile l'esistenza di un essere umano così bello, ma la Connelly, all'età di quattordici anni, aveva un volto perfetto e un magnetismo che le giovani attrici di oggi si sognano; più che altro, la cosa che stupisce, è che in Labyrinth sembra molto più "bambina", mentre sia  Sergio Leone che Dario Argento sono riusciti a tirarle fuori un'ombra di nobile alterigia nello sguardo e nell'espressione, un dettaglio che la rende adulta, quasi ultraterrena. E pensare che Argento poi ha fatto solo dei gran pasticci, soprattutto a livello di direzione degli attori. E' un vero peccato che abbia sparato tutte le ultime cartucce con Phenomena, ma da un certo punto di vista meno male, altrimenti non esisterebbe questo piccolo, originalissimo gioiello!


Del regista e co-sceneggiatore Dario Argento, che funge anche da narratore, ho già parlato QUI. Jennifer Connelly (Jennifer Corvino), Daria Nicolodi (Frau Brückner), Donald Pleasence (Professor John McGregor), Michele Soavi (Kurt, l'assistente di Geiger) li trovate invece ai rispettivi link.


Nel cast ci sono che Dalila Di Lazzaro nei panni della direttrice dell'istituto e Fiore Argento, che interpreta Vera Brandt. Nel 2001 era stato annunciato un sequel ma, siccome Dario Argento era sotto contratto con la Medusa, il progetto è sfumato. Ciò detto, se Phenomena vi fosse piaciuto recuperate Suspiria. ENJOY!

mercoledì 2 marzo 2022

Occhiali neri (2022)

Mi vien da piangere. Ero convinta che Non aprite quella porta avrebbe vinto a man bassa il premio di peggior film dell'anno o, perlomeno, di pellicola più esilarante suo malgrado, ma non avevo pensato che Dario Argento, regista e co-sceneggiatore di Occhiali neri, sarebbe entrato a gamba tesa per raggiungere il podio di questa disgraziata tenzone...


Trama: Diana diventa cieca dopo essere rimasta coinvolta in un incidente in auto, causato da un killer di prostitute. In quanto tale, Diana è stata e continua ad essere presa di mira...


Sarebbe troppo facile sparare a zero sul Darione nazionale, ormai giunto alla veneranda età di 81 anni e quindi passabile di quel minimo sindacale di demenza senile (non fosse bastato dirigere Dracula 3D già dieci anni fa, o Giallo, se per questo). Sarebbe facile, se non fosse che i miei due compagni di visione hanno mostrato di gradire Occhiali neri e ciò mi ha imposto di impegnarmi per trovare qualcosa di salvabile in quella che a me è sembrata l'ennesima ciofeca del nostro, quindi impegnerommi. Cominciamo con la colonna sonora. Ecco, quella è stata davvero una bella sorpresa. Un po' truzza, se vogliamo, ma evocativa e adatta alle atmosfere del film, e se non altro si distacca dal solito score à la Goblin per trovare una sua identità, quindi bravo Arnaude Rebotini, l'unico che può dire di essere uscito dall'impresa a testa alta. La seconda cosa a mio avviso bella di Occhiali neri è la sequenza iniziale, quella durante la quale l'ingenuo spettatore arriva a pensare che l'eclissi di sole c'entrerà qualcosa e che il film possa diventare, che so, un Macchie solari con eclissi, un Compleanno di sangue; purtroppo, l'evocativa sequenza zeppa di inquadrature sbilenche, che trasforma Roma in un posto inquietante e quasi fuori dal mondo, molto onirico, oltre al venire stroncata senza appello da un padre che si rivolge alla figliola dicendo "Sai perché i cani sono TURBATI?" (uno dei tanti esempi di dialoghi orribili), muore lì senza avere alcun seguito, visto che l'eclissi non c'entra assolutamente nulla con tutto il resto del film, ahimé. Una terza cosa positiva sono gli effetti speciali, che regalano delle belle morti sanguinolente, nonostante siano molto poche, e la quarta ed ultima cosa positiva del film è che, finalmente, Asia Argento non è l'attrice peggiore del mucchio, anzi, ci fa pure una bella figura. Quindi, brava anche Asia, sì. Peccato che la protagonista sia Ilenia Pastorelli.


Ammetto di non aver seguito la carriera della Pastorelli post Lo chiamavano Jeeg Robot, ma siccome ho rivisto più volte il film d'esordio di Mainetti, riconfermo quello che scrissi all'epoca: "la Pastorelli è dotata di una bellezza incredibile, quel fascino che non risiede nei lineamenti perfetti ma piuttosto nella capacità di suscitare emozioni negli altri, annullandosi completamente in un personaggio difficile ma fondamentale.". La sua Alessia mi commuove e mi intenerisce oggi come la prima volta che l'ho vista e ritengo tuttora che la dizione imperfetta della Pastorelli, il suo aspetto un po' dimesso e anche la sua vena isterica siano un valore aggiunto al personaggio. Forse perché Mainetti i suoi attori li sa dirigere e "controllare", cosa che, si sa, Argento non è mai stato in grado di fare e purtroppo si vede. Ilenia Pastorelli, verso la fine di Occhiali neri, viene definita "cagna" e giuro che in sala ho aggiunto un "maledetta, pure!" di mio, come omaggio a un René Ferretti che, probabilmente, davanti a un overacting simile si sarebbe impiccato. Diana è un personaggio tragicomico, una pittima della peggior specie, la parodia di un cieco alla quale gli sceneggiatori hanno messo in bocca dialoghi imbecilli (il PENDOLONE!!!): spiegatemi perché mai una ragazza cieca dovrebbe accasciarsi a terra dopo aver fatto due passi e venire costantemente sorretta da chicchessia neanche fosse paraplegica e spiegatemi, santo cielo, perché mai la stessa ragazza, inseguita nel bosco da un killer, dovrebbe strillare come una forsennata attirando l'attenzione dell'intero creato mondo? E mi si risparmino, per favore, le interviste legate alla "tenerezza" del rapporto tra Diana e il piccolo Ching (che lei, ovviamente, chiama "CI', 'a 'CI!!!!" per tutto il film) visto che, quando il rapporto effettivamente si cementa, sembra di guardare un'episodio de Un medico in famiglia, mentre per il resto il poverello viene trattato come una pezza da piedi e costantemente "urlato" dalla cecata. Poi purtroppo accade anche che i momenti "Nonno Libero ma cecato" superino quelli thriller/horror e allora buonanotte. 


Occhiali neri
ha ben poco di thriller e di horror. Ci sono alcuni sprazzi, alcune intuizioni, dei momenti in cui la condizione svantaggiata della protagonista diventa fondamentale veicolo di una sensazione claustrofobica (il palazzo da incubo dove vive Chin e i suoi corridoi sono meglio di qualsiasi bosco e di qualsiasi dipartimento dighe, soprattutto di qualsiasi pozza zeppa di boa constrictor acquatici, che il mio buon amico Ale ha definito "Fulciana" ma che io definirei "pulciara", più che altro), ma per il resto il film è privo di una reale trama "gialla"; sì, c'è un assassino di prostitute che si incaponisce con Diana per il motivo più stupido del mondo e di tanto in tanto lei ha paura di trovarselo alla porta, ma spesso il killer è solo l'accessorio di una trama che vede essenzialmente Diana e Chin risolvere i loro problemi di soldi, di salute o di affidamento e onestamente per vedere un film simile diretto da Argento preferirei rivolgermi a Muccino, Veronesi, a un signor nessuno di qualche fiction RAI. E sì, mi direte, la sceneggiatura ha ormai 20 anni quindi nasce un po' già "vecchia", ma possibile che NESSUNO, nemmeno Asia Argento, abbia avuto il coraggio di mettere becco nella questione, rivedersi un po' sceneggiatura e dialoghi, e dare un'impronta nostalgica ma moderna al tutto? Io ad Argento non voglio male. Mi auguro sinceramente che possa dare lo schiaffo morale che tutti noi stronzi brontoloni ci meritiamo e sparare un'ultima cartuccia da fare impallidire Mad Max Fury Road, ma la mia speranza ormai è ridotta al lumicino. 


Del regista e co-sceneggiatore Dario Argento ho già parlato QUI mentre Asia Argento, che interpreta Rita, la trovate QUA

Ilenia Pastorelli interpreta Diana. Nata a Roma, ha partecipato a film come Lo chiamavano Jeeg Robot, Benedetta follia e Io e Angela. Ha 36 anni e un film in uscita. 



mercoledì 11 marzo 2020

Non ho sonno (2001)

In occasione della morte di Max Von Sydow ho scoperto di aver lasciato tutti i DVD necessari a commemorarlo a casa dei miei, quindi ho spulciato sui cataloghi Netflix/Prime, rimanendo un bel po' delusa e riducendomi (anche per i soliti motivi di tempo; sì, #tuttiacasa , avete ragione, "salviamo l'Italia non facendo un cazzo dal divano", haha, ma non noi che sempre e comunque dobbiamo lavorare mentre tantissimi imbecilli che avrebbero potuto e dovuto stare a casa tranquilli e beati sciamavano per l'Italia in vacanza. Stronzi, anche qui, ché se non ve lo dice Conte ve lo dico io) a recuperare Non ho sonno, diretto e co-sceneggiato nel 2001 dal regista Dario Argento.


Trama: quando il "nano assassino" ricomincia la sua serie di delitti, il detective in pensione che seguiva il caso all'epoca decide di tornare a indagare assieme al figlio di una delle sue vittime...


Il nano assassino col clarino. Santo cielo, con tutto il Bergman che c'era, mi sono ridotta a recuperare uno dei film del declino artistico argentiano per commemorare il povero Max Von Sydow. Il quale, bontà sua, è l'attore che esce meglio da tutta la triste faccenda, nonostante il suo personaggio di detective sia anche troppo caricato di elementi "tristemente divertenti", tra alzheimer galoppante e pappagalli, ma perlomeno l'adorabile vecchino ci mette umiltà e bravura, viene doppiato egregiamente, e non si riduce a diventare un Donald Pleasence rincoglionito in Paganini Horror, per dire. Tolto questo, mi tocca ammettere che Non ho sonno è meno peggio di quanto ricordassi e di quanto facesse credere l'esilarante parodia di Disegni & Caviglia, letta all'epoca e mai più dimenticata. E' vero, l'intero film è un compendio di cliché argentiani, ma sono proprio questi ultimi a funzionare: le ombre che all'improvviso sembrano diventare vive e minacciose e vomitano dall'interno mani pronte a ghermire le malcapitate fanciulle, la soggettiva dell'assassino, le corse forsennate lungo corridoi bui, le misteriose case abbandonate che nascondono cose indicibili, il familiare paesaggio urbano che diventa una dimensione da incubo, gli omicidi efferati e particolarmente dolorosi (denti spaccati, unghie mutilate, brrrr...!!), sono tutti elementi validissimi e coinvolgenti, zampate di un autore sicuramente stanco ma ancora in grado di tirare fuori qualcosa di buono e anche la trama in sé, con la terrificante filastrocca scritta da Asia Argento a fare da fil rouge, non è male, nonostante si sfilacci qui e là in una sovrabbondanza di dettagli. No, il problema risiede altrove, e mi chiedo perché Argento non sia stato in grado di metterci una pezza.


Il problema sta innanzitutto negli attori. Cani maledetti non rende l'idea. Prendiamo Angela, la squillo delle sequenze iniziali. L'attrice, come la maggior parte degli altri interpreti, o si è ridoppiata da sola o l'hanno doppiata, con risultati sconfortanti, al limite del dilettantesco: già offri un'interpretazione fisica ad espressiva al limite della macchietta, poi ci aggiungi una terrificante "scollatura" tra quello che si vede sullo schermo e quello che si sente, e la tragedia è compiuta. Però, dici, la squillo dell'inizio, gli altri non saranno così maledettamente cani, no? Sbagliato. Stefano Dionisi è mollo e inespressivo come pochi, Gabriele Lavia pare stia lì senza sapere bene perché, Chiara Caselli è sosia di Asia Argento anche nella capacità di recitare ahilei, la vocetta fessa appioppata a Roberto Zibetti (Lorenzo) non si può sentire e in tutto questo anche vedere il futuro Geller di Camera Café non ha aiutato a farmi prendere l'operazione troppo sul serio. Insomma, tolto Max von Sydow si passa il tempo a pregare che arrivi il nano assassino ad infilarti clarini, pardon, corni inglesi, negli occhi e nei timpani per liberarti dalla sofferenza. Poi c'è una fotografia televisiva imbarazzante, alla faccia dei colori splendidi delle vecchie pellicole di Argento, e persino i Goblin sembrano fiacchi, o se preferite schizofrenici: il tema portante, con quella sorta di carillon che suona, è calzante da morire, il resto della colonna sonora è soltanto dimenticabile e, quel che è peggio, viene sparata a mille anche nei momenti in cui non servirebbe. E poi, quei titoli di coda sulla scena finale? Che schifo, dai. Ci credo che mi ero dimenticata tutto di Non ho sonno, nonostante lo avessi visto decenni fa, perché non è neppure così brutto e imbarazzante da venire inserito negli annali del trash, mannaggia. E se posso dire, guardandolo, un po' di sonno mi è anche venuto. Scusa, Max, ti prometto che nei prossimi giorni farò meglio.


Del regista e co-sceneggiatore Dario Argento ho già parlato QUI. Max von Sydow (Moretti) e Gabriele Lavia (Betti) li trovate invece ai rispettivi link.

Stefano Dionisi interpreta Giacomo. Nato a Roma, ha partecipato a film come Farinelli - Voce regina, L'arcano incantatore, Bambola e a serie come La piovra 5, Il commissario Montalbano e Un medico in famiglia. Ha 54 anni e due film in uscita.


Chiara Caselli interpreta Gloria. Nata a Bologna, ha partecipato a film come Belli e dannati, Il gioco di Ripley e Il signor diavolo. Ha 53 anni.


Rossella Falk interpreta Laura de Fabritiis. Nata a Roma, ha partecipato a film come 8 1/2, Modesty Blaise - La bellissima che uccide, La tarantola dal ventre nero. E' morta nel 2013, all'età di 86 anni.


Se Non ho sonno vi fosse piaciuto recuperate Profondo rosso e la famosa trilogia degli animali argentiana: L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio. ENJOY!

venerdì 11 gennaio 2019

Suspiria (2018)

Nonostante il boicottaggio del multisala savonese, finalmente sono riuscita a vedere anche Suspiria, uno degli horror che più aspettavo quest'anno, diretto nel 2018 dal regista Luca Guadagnino.


Trama: la giovane Susie si reca a Berlino per frequentare la rinomata accademia di danza di Madame Blanc. Lì, tra misteriose sparizioni e inquietanti incubi, la ragazza si ritroverà invischiata in qualcosa di sovrannaturale...



In mezzo a remake stantii, omaggi terrificanti, rovinatori d'infanzie assortite, ecco spuntare, come la Venere dalle acque, il buon Luca Guadagnino. Il quale, messe da parte le atmosfere bucoliche e delicate di Chiamami col tuo nome, decide di abbracciare quelle fredde e deprimenti di una Berlino Est anni '70, dove il punk va a braccetto con le bombe, non smette di piovere o nevicare nemmeno per sbaglio e la gente muore o sparisce senza un perché, lo spettro della seconda guerra mondiale ancora troppo vicino agli abitanti sconfitti. Nel giro di sei capitoli e un epilogo, Guadagnino si appropria dell'ispirazione Argentiana, partendo dalle suggestioni di quello che per me è il film più bello del vecchio Darione, e va in tutt'altra direzione, scegliendo di raccontare una storia di donne che lottano con le unghie e con i denti per affermarsi in una società che ancora le vuole come sesso debole, schiacciate dalle scelte degli uomini e dalle convenzioni sociali e religiose; nel mondo chiuso dell'accademia di Madame Blanc, dove il maschio viene ridotto ad inutile oggetto da irridere, riti inquietanti mirano a far tornare in forze la "Madre", entità apparentemente primordiale, sicuramente malvagia ma forse, solo forse, anche fautrice di un positivo rinnovamento se "usata" per il bene comune. La congrega capitanata da Madame Blanc è popolata da donne inquietanti, vere e proprie streghe dall'animo insondabile, che allevano giovani fanciulle non solo per amor dell'arte ma anche e soprattutto per i propri scopi. A queste ultime, poverelle, non resta altro da fare che danzare in lieta ignoranza abbracciando i quotidiani incubi notturni senza porsi troppe domande, oppure ribellarsi ad un destino che nessuno riesce bene a comprendere, staccandosi da un luogo che offre sicurezze ma richiede troppo in cambio, andando incontro a conseguenze nefaste; Patricia, Olga, chissà quante altre ragazze "interrotte" sono scomparse nelle tumultuose strade di Berlino, trascinate da fantomatiche brutte compagnie o distratte dai mali terreni del mondo ma Susie no. Susie, lei, è nata per danzare, per sfruttare le sue incredibili capacità onde fuggire dal giogo della famiglia hamish e della madre morente, per essere la donna migliore possibile, non importa a quale prezzo. Non è la Susy di Dario Argento, quella ragazzetta che si limitava a svenire e che giusto per botta di fortuna, sul finale, riusciva ad uccidere la Madre: ben lontana dall'essere agnellino sacrificale, la Susie di Guadagnino è forte e determinata, probabilmente già a metà film intuisce cosa si nasconde dietro il fuoco sacro dell'arte che la muove ma non gliene frega assolutamente nulla.


Il Suspiria di Guadagnino non è dunque un film da vedere senza collegare il cervello e sicuramente necessita almeno di una seconda o terza visione per essere compreso al meglio, senza venire distratti dalla trama principale e dal fascino dell'horror, ché le sottotrame dell'attentato terroristico, reiterata in ogni modo per tutto il film, e del Dr. Klemperer sono ugualmente importanti e fondamentali al fine di capire appieno ciò che scorre sullo schermo. E siccome è già un miracolo che io sia riuscita a vederlo solo una volta, sarà meglio che mi concentri su quello che colpisce di più di Suspiria, anche ad una prima visione superficiale, ovvero la bellezza della messa in scena e delle musiche, la cupa e deprimente fotografia, la versatilità degli attori. La prima morte che avviene sullo schermo è un capolavoro di regia e montaggio, una danza crudele dalle conseguenze impensabili e terribili; personalmente, sono un'ENORME detrattrice di Dakota Johnson ma è chiaro che qui la ragazza si è fatta il mazzo e i suoi movimenti, i suoi respiri, la determinazione che muove il suo personaggio entrano nella pelle dello spettatore che non può che rimanere ammutolito, affascinato davanti alle prove prima e all'esecuzione poi dell'inquietante spettacolo denominato Volk. Ogni numero di danza, a dire il vero, supera di parecchio il barocchissimo finale (al limite del trash, soprattutto per il trucco della Markos, che pare quello di un suppliziante) che ha spinto molti a paragonare Suspiria a Le streghe di Salem. Ora, per quanto sia una delle poche a cui è piaciuto il film di Rob Zombie, capisco persino io che le due pellicole giocano due campionati diversi e che l'opera di Guadagnino è intrisa di una raffinatezza e di una grazia impensabili per Zombie, caratteristiche che si palesano anche davanti alle peggiori macellate e ad uno schermo interamente ricoperto di rosso, l'unico colore "saturo" dell'intero film, capelli della Johnson compresi. Al limite, se vogliamo fare paragoni, possiamo scomodare The Neon Demon, al quale ho pensato durante i deliranti incubi di Susie, ma anche qui parliamo di due cose completamente diverse, ché Guadagnino non perde mai il filo del discorso, non indulge nei colori sgargianti dell'originale argentiano e non offre il fianco alla voglia di privilegiare una regia visionaria a scapito della linearità della trama. E poi, nessuno dei due film aveva la meravigliosa Tilda Swinton a riempire quasi ogni scena, in tre diverse incarnazioni: donna, uomo, mostro. Ecco, questa moltiplicazione di ruoli è qualcosa su cui vorrei riflettere quando avrò modo di riguardare Suspiria senza essere catturata dalle splendide melodie di Thom Yorke e dall'ansia di quei sospiri concitati. Se qualcuno ha qualche bella interpretazione da offrire, ci sono sempre i commenti, nel frattempo consiglio a tutti di non perdere questo purtroppo mal distribuito Suspiria perché è davvero uno spettacolo!


Del regista Luca Guadagnino ho già parlato QUI. Dakota Johnson (Susie Bannon), Tilda Swinton (Madame Blanc/Dr. Joseph Klemperer/Helena Markos), Chloë Grace Moretz (Patricia), Mia Goth (Sara) e Jessica Harper (Anke) le trovate invece ai rispettivi link.


Se Suspiria vi fosse piaciuto recuperare l'originale di Dario Argento e aggiungete Inferno e La terza madre per avere un quadro più completo. ENJOY!


mercoledì 30 novembre 2016

Zombi (1978)

A ridosso dell'uscita italiana delle tre edizioni distribuite dalla Midnight Factory mi sono ritrovata a guardare la cosiddetta "versione europea" di Zombi (Dawn of the Dead), scritto e diretto nel 1978 da George A. Romero e ri-montato da Dario Argento.


Trama: l'apocalisse zombi iniziata ne La notte dei morti viventi sembra ormai inarrestabile e quattro persone decidono di lasciare la città in elicottero, dirigendosi verso un centro commerciale ormai abbandonato. Ricominciare una nuova vita sarà però molto difficile...


Come tutti i primi tre film a tema diretti da George A. Romero, anche Zombi mi era capitato di vederlo durante gli anni del liceo. A differenza de La notte dei morti viventi, al quale mi ero già "abboccata" grazie al remake di Tom Savini, né Zombi né il seguente Il giorno degli zombi sono mai entrati nel novero dei miei film preferiti, probabilmente perché all'epoca preferivo un horror più grezzo e meno adulto, il che, se ci si pensa, è ironico. Leggendo qui e là onde documentarmi prima di scrivere il post sono venuta infatti a sapere che la versione Romeriana della pellicola (quella, cioé, distribuita essenzialmente solo in America) era stata ritenuta da Dario Argento troppo bambinesca, piena di inutili momenti ironici ed introspettivi, persino troppo "colorata" per quel che riguarda la fotografia e non parliamo poi della colonna sonora, signora mia!, quindi il buon Darione era intervenuto  rimaneggiando la versione europea e consegnando alla Bolla adolescente un film per molti aspetti diverso da quello che avrebbe voluto il regista americano. Il motivo per cui Argento ha potuto compiere una simile operazione va ricercato nel suo ruolo di co-produttore del film e in quello di "ospite" di un Romero che ha ricercato la tranquillità romana per scrivere la sceneggiatura di Zombi e che, per racimolare i fondi necessari, ha accettato di farseli prestare dai produttori italiani a condizione che Argento potesse rimontare a piacimento il film per il mercato europeo, giapponese e medio-orientale; il risultato di questa operazione è stato un horror tout-court, molto cupo ed incentrato sulle scene d'azione, accompagnato dalla colonna sonora degli immancabili Goblin, con zombi che non si limitano a grugnire ma sussurrano eterei. Non avendo mai avuto modo di vedere la versione "americana" posso solo dire che riguardare Zombi dopo almeno 20 anni è stata un'esperienza affascinante e persino "nostalgica", non tanto per le immagini quanto proprio per la colonna sonora che, nel frattempo, ho avuto modo di ascoltare più volte in un paio di CD tra i miei preferiti, ovvero la OST di Shaun of the Dead e la raccolta di successi argentiani Puro Argento Vivo. La musica dei Goblin è insinuante, mette inquietudine e segue la volontà Argentiana di rendere l'azione più incalzante, soprattutto quando gli zombi attaccano in branco le loro vittime privandole di un posto dove fuggire ed è l'elemento che più mi è rimasto impresso guardando Zombi sia la prima che la seconda volta.


Ora come ora, dopo anni di serie "patinate" incentrate sui morti viventi, l'altra cosa che ho adorato è l'aspetto vintage degli zombi, poveri figuri dal colorito grigio-bluastro (grazie Tom Savini e non te la prendere se il risultato finale non ti è piaciuto!!) che staccano, letteralmente, brandelli di carne dalle loro vittime: gli effetti speciali danno proprio l'idea di un boccone succulento che viene troncato di netto dal corpo degli esseri umani e non importa che il sangue sia rosso come un pomodoro e abbia la consistenza della vernice, vedere delle scene simili richiama alla mente il gusto dell'artigianalità e della passione, alla faccia della maniera verosimile in cui gli zombi si accaniscono, per esempio, contro i protagonisti di The Walking Dead (quando succede, ovvio!). Passando alla trama, è un peccato che la versione europea non indulga nell'approfondimento psicologico dei personaggi ma a mio avviso anche dalla versione Argentiana si evince un senso di sconfitta umana difficilmente superabile. Chi si ritrova a dover affrontare gli zombi soffre all'idea di dover uccidere persone che una volta erano vive e probabilmente comprende che di fronte ad un simile ribaltamento delle leggi naturali e delle convenzioni morali non rimane altro che il suicidio (il film originariamente doveva concludersi con DUE suicidi...); chi sceglie di sopravvivere, come i quattro protagonisti di Zombi, lo fa sapendo che potrà avere solo un pallido surrogato della "vita" come viene comunemente intesa e che non basteranno tutti i centri commerciali di questo mondo, i lussi un tempo tanto importanti e persino legami come il matrimonio o la maternità/paternità ad assicurare un futuro che valga la pena di affrontare. Quello che non hanno capito i personaggi che infestano The Walking Dead, tanto meno gli sceMeggiatori della serie, è l'impossibilità di tornare a vivere come se nulla fosse successo, perché ormai i vivi sono costretti a "mangiare" e accaparrarsi il necessario per sopravvivere proprio come quegli zombi che, spinti da un inquietante quanto atavico senso di "necessità consumistica", vengono attirati dal centro commerciale come fossero delle falene. Che Romero, già nel 1978, fosse riuscito a spiegarci con un solo film il vero significato di Apocalisse e Fine del mondo, due catastrofi che sono innanzitutto qualcosa di personale e molto umano, senza ricorrere alla serialità che rischia davvero di trasformarci tutti in zombie, fa di lui un genio dell'horror e di Zombi una di quelle pellicole da conservare e tramandare in saecula saeculorum.


Del regista e sceneggiatore George A. Romero (che compare anche nei panni del regista e di uno dei motociclisti) ho già parlato QUI. Ken Foree (Peter) e Tom Savini (uno dei motociclisti) li trovate invece ai rispettivi link.


Scott H. Reiniger, che interpreta Roger, è tornato nel remake diretto da Zack Snyder nei panni del Generale mentre Gaylen Ross, che interpreta Francine, prima di intraprendere la carriera di regista ha partecipato al film Creepshow, nell'episodio Alta marea. Il film segue La notte dei morti viventi ed è stato seguito nel tempo da Il giorno degli zombi, La terra dei morti viventi, Le cronache dei morti viventi e Survival of the dead - L'isola dei sopravvissuti oltre ad essere stato rifatto da Zack Snyder e distribuito in Italia col titolo L'alba dei morti viventi. Se il film vi fosse piaciuto recuperate tutti questi titoli e considerate l'idea di acquistare una delle tre versioni home video distribuite dalla Midnight Factory e restaurate in 4K; da non fan all'ultimo stadio quale sono mi è bastato il DVD doppio con la versione montata da Argento e un sacco di contenuti speciali (Interviste a Tom Savini, Nicolas Winding Refn, Dario Argento, Michele De Angelis e Gianni Vittori, conferenza stampa tenuta al Festival del Cinema di Venezia con presentazione in sala alla proiezione del film restaurato, trailer e spot televisivi, per non parlare del bel packaging con all'esterno un artwork di Refn e le locandine originali dei vari paesi nella custodia rigida interna) ma per i più esigenti c'è la versione in 4 Blu Ray (che contiene anche la versione voluta da Romero e la Extended Version presentata a Cannes nel 1978) e soprattutto quella in 6 Blu Ray, che contiene le versioni 4k Ultra HD e Full Frame della versione europea. A prescindere, tutte le edizioni contengono 5 cartoline con fan art a tema selezionate da Nicolas Winding Refn e il solito, esaustivo libretto curato da Manlio Gomarasca e Davide Pulici di Nocturno Cinema  con tanto di botta e risposta tra Romero e Argento, quindi potrebbe essere un bel regalo di Natale. ENJOY!

mercoledì 5 ottobre 2016

Profondo rosso (1975)

Qualche sera fa su Iris davano Profondo rosso, diretto e co-sceneggiato da Dario Argento nel 1975 e, siccome non lo vedevo da decenni, mi è venuta voglia di riguardarlo.


Trama: una medium viene assassinata dopo aver percepito la presenza di un killer all'interno del teatro che la vedeva protagonista di una conferenza. Un pianista, suo vicino di casa, comincia ad indagare assieme ad un'intraprendente giornalista...



Guardando Profondo Rosso, la prima cosa che ho pensato e che mi sono sentita di esternare al mondo è stata: ma come diamine ha fatto Argento a ridursi in questo modo e girare SOLO film di infima qualità? Non può essere solo la vecchiaia unita ai tempi che cambiano in peggio, non quando ad imperitura memoria della bravura di costui c'è un film come Profondo rosso, perfetto dall'inizio alla fine e, soprattutto, con 40 anni sul groppone portati benissimo. Quand'è che le inquietanti inquadrature di finestre, corridoi, luoghi bui e "claustrofobici" spazi aperti sono diventati maniera? Quand'è che i momenti di commedia leggera sono diventati un inno al trash? Quand'è che gli assassini sono diventati la parodia di loro stessi? Quand'è che si è cominciato a preferire l'effettaccio digitale da due lire (mantide, oh mantide!) a fantasiose soluzioni artigianali? Soprattutto, quand'è che gli attori sono diventati così mediocri? Probabilmente la risposta esiste ma non riuscirò mai a trovarla, quindi tanto vale limitarmi a godere dell'eredità argentiana, che indubbiamente tocca il suo apice con Profondo rosso e Suspiria. Come già la precedente "trilogia degli animali", Profondo Rosso (che, peraltro, avrebbe dovuto intitolarsi se non erro La tigre dai denti a sciabola) segue gli archetipi del giallo all'italiana, con una mano ignota che uccide ignare vittime senza mai mostrare il suo volto, tuttavia l'opera di Argento in questo caso sconfina spesso e volentieri nell'horror, a partire dall'inizio: una medium percepisce un assassino, viene travolta dall'orrore di fatti compiuti nel passato ma nonostante i suoi poteri di sensitiva non riesce ad impedire al killer di ucciderla nella maniera più sanguinosa possibile. A questo timido passo nel sovrannaturale si aggiungono burattini semoventi, un'inquietante nenia infantile, bambini sadici, quadri assai simili all'Urlo di Munch e misteri sepolti che rendono Profondo rosso quasi più horror che giallo, ma non è solo quella la peculiarità che lo distingue da altre opere simili.


La bellezza di Profondo rosso sta nel fatto che lo spettatore attento (e vi posso STRA-giurare che non avevo notato quel lapalissiano particolare durante la prima visione del film) sa già chi si nasconde sotto l'impermeabile e i guanti del killer, eppure lo stesso gode della ricerca della verità da parte di Marcus, che deve non solo districarsi tra gli indizi lasciati dalla medium ai suoi compagni ma anche, e soprattutto, compiere un viaggio all'interno della propria memoria, ricercando quel "qualcosa" di fondamentale alla risoluzione del caso. Il percorso di Marcus tocca tutti i topoi del gotico italiano, deliziando lo spettatore non soltanto attraverso alcune delle morti più cruente e, ahimé, "comprensibili" della storia del cinema (comprensibili nel senso che io non ho idea del dolore che possa provocare un colpo di pistola ma se vedo qualcuno a cui viene bruciata la faccia nella vasca da bagno o a cui spaccano i denti contro lo spigolo di un caminetto comincio a fremere per il fastidio, ricordando esperienze simili da contatto con acqua calda o con le sante manine di un dentista) ma anche con la visione di case abbandonate che nascondono inquietanti disegni, villette di campagna isolate della città, eleganti piazze poco illuminate nonostante la bellezza dei monumenti che ospitano e, soprattutto, finestre che spaziano su un'oscurità angosciante. Profondo rosso è così bello e ben girato, oltre che ben scritto, che mi diverto persino a guardare i siparietti amorosi tra Hemmings e la Nicolodi, perfettamente affiatati e in grado di arricchire con tocchi di lieve umorismo la terribile vicenda raccontata da Argento; vero è che il personaggio di Gianna talvolta è quasi fastidioso nella sua testardaggine, reiterata nonostante la morte di chiunque abbia anche solo lontanamente a che fare con Marcus, tuttavia il suo "Ma sono davvero così bruttina?" rimane impresso come tutti i simpatici dialoghi messi in bocca alla giornalista. I bei tempi in cui la Nicolodi non era ancora la trashissima ombra di se stessa, anche se la palma di miglior interprete va a... nah, mica voglio fare spoiler a chi non avesse ancora visto questo capolavoro! Anche perché tra le scene che vedono protagonista il personaggio in questione e le musiche incredibilmente azzeccate dei Goblin non so davvero cosa mi tenga più sveglia la notte!!


Del regista e co-sceneggiatore Dario Argento ho già parlato QUI mentre Daria Nicolodi, che interpreta Gianna Brezzi, la trovate QUA.

David Hemmings interpreta Marcus Daly. Inglese, lo ricordo per film come Blow-Up, Barbarella, Il gladiatore, Gangs of New York e La leggenda degli uomini straordinari, inoltre ha partecipato a serie come A-Team, Magnum P.I. e La signora in giallo. Anche regista, produttore e sceneggiatore, è morto nel 2003, all'età di 62 anni.


Gabriele Lavia interpreta Carlo. Nato a Milano, lo ricordo per film come Chi sei?, Inferno, Zeder, La leggenda del pianista sull'oceano e Non ho sonno. Anche regista e sceneggiatore, ha 74 anni.


Clara Calamai interpreta Marta. Nata a Prato, ha partecipato a film come Ettore Fieramosca, Boccaccio, Capitan Fracassa, Caravaggio il pittore maledetto, La cena delle beffe, Ossessione, Vespro siciliano, Le notti bianche e Le streghe. E' morta nel 1998, all'età di 89 anni.


Se Profondo rosso vi fosse piaciuto recuperate Suspiria, Inferno, Sei donne per l'assassino e L'uccello dalle piume di cristallo. ENJOY!

domenica 19 aprile 2015

L'uccello dalle piume di cristallo (1970)

La danza macabra di King questa volta mi ha portata in Italia a vedere L'uccello dalle piume di cristallo, opera prima di Dario Argento che il regista ha diretto e sceneggiato nel 1970.


Trama: uno scrittore assiste ad un tentativo di omicidio e da quel momento decide di portare avanti le indagini per conto suo, finendo inevitabilmente nel mirino del killer...



Devo averlo già accennato nel vecchissimo post dedicato a 4 mosche di velluto grigio: io e il giallo all'italiana non andiamo troppo d'accordo, soprattutto quando si parla di Dario Argento. Gli riconosco i meriti ma troppo spesso, soprattutto per quel che riguarda la natura pretestuosa delle trame, lo trovo sciocco e noiosino e L'uccello dalle piume di cristallo non fa eccezione. Qui abbiamo il solito assassino senza volto, vestito con pastrano e guanti neri (stile sdoganato e codificato dal divino Mario Bava), che si imbarca in una serie di uccisioni vagamente efferate e abbiamo uno scrittore particolarmente tignoso che, invece di farsi una bella barcata di affari suoi, decide di scoprire l'identità del serial killer perché "c'è qualcosa che non quadra nei suoi ricordi". Ora,  quel "qualcosa" che non gli torna, rivelato alla fine, è roba da facepalm, qualcosa che potrebbe spingere le vittime a risorgere solo per prenderlo a schiaffi, mentre il fantomatico uccello dalle piume di cristallo del titolo è quanto di più deus ex machinoso si possa trovare in una sceneggiatura ma, oh, si era negli anni '70 e Argento era alla sua prima opera come regista e sceneggiatore: non si può andare a spaccare il capello. Infatti non lo spaccherò, tranquilli. Anche perché, come ho detto, L'uccello dalle piume di cristallo ha comunque una sua oggettiva personalità che travalica le mie antipatie per il genere e l'ingenuità d'insieme; per esempio, come già in 4 mosche di velluto grigio ho molto apprezzato l'abbondanza di elementi weird e volutamente ironici, come l'intermezzo "felino" con un peculiare pittore interpretato dal grande Mario Adorf o i due delinquentucoli che aiutano il protagonista, ovvero il pappone balbuziente "Addio" e lo spione che fa tutto il contrario di quello che dice.


Al di là di questi elementi "folkloristici", devo anche riconoscere come Dario Argento, all'epoca, pur essendo alla sua prima opera avesse già la mano santa che avrebbe caratterizzato i suoi capolavori più blasonati. L'omicidio iniziale l'ho trovato geniale ed angosciante, girato in piena luce, visibile da qualsiasi passante perché commesso dietro un'enorme vetrata e, soprattutto, silenzioso, con l'urlo della vittima che viene bloccato da un doppio vetro; l'altra sequenza da brividi coinvolge invece una rampa di scale che all'improvviso diventa buia per metà, con la vittima costretta a passare dalla luce all'oscurità mentre una ripresa dall'alto trasforma la tromba delle scale in un abisso perfettamente geometrico. Questi sono due tocchi di classe non da poco, che fanno il paio con l'intelligente montaggio che mescola gli eventi presenti ad improvvisi e brevissimi flash del delitto di cui il protagonista è stato testimone; a completare il tutto, poi, ci pensa l'inquietante score di Ennio Morricone, un mix di melodie "d'atmosfera" ed insinuanti sospiri femminili che si accentuano ogni volta che l'assassino è nei paraggi. Per quel che riguarda gli attori invece non c'è molto da dire: tutti i coinvolti portano a casa dignitosamente la pagnotta, il protagonista è aitante ed espressivo quanto basta ma viene spesso surclassato dalla bravura dei caratteristi che gli vengono affiancati mentre le donzelle trucidate devono solo essere belle ed eleganti, cosa che riesce loro benissimo. Ho solo una domanda a tale proposito: ma perché davanti ad un cadavere con la testa spaccata c'è una tizia che pensa bene di pettinarsi per cinque minuti buoni i lunghi capelli biondi? Mistero. Guardate anche voi L'uccello dalle piume di cristallo, poi ne riparliamo.


Del regista e sceneggiatore Dario Argento ho già parlato qui.

Enrico Maria Salerno interpreta l'ispettore Morosini. Nato a Milano, ha partecipato a film come L'armata Brancaleone, Scuola di ladri e Scuola di ladri - Parte seconda. Anche regista e sceneggiatore, è morto nel 1994 all'età di 67 anni.


Mario Adorf interpreta Berto Consalvi. Nato in Svizzera, ha partecipato a film come Dieci piccoli indiani, Milano calibro 9, State buoni se potete, Momo e a serie televisive come Le avventure di Pinocchio, Mino, La piovra 4, Fantaghirò e Fantaghirò 2. Anche sceneggiatore, ha 85 anni.


Se L'uccello dalle piume di cristallo vi fosse piaciuto recuperate gli altri film della cosiddetta "Trilogia degli animali" (Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio) e aggiungete Profondo Rosso, Inferno, Opera, Phenomena e Suspiria. ENJOY!

lunedì 19 settembre 2011

Giallo (2009)

No, ma non è colpa sua. E’ mia. Perché io mi ostino a dare seconde, terze, quarte chance a Dario Argento, rifiutando di credere che un grande dell’horror, ad ogni film, si affossi sempre più nel pantano della triste mediocrità. Così, nonostante gli avvertimenti di tutti quelli che lo avevano già guardato, mi sono vista Giallo, la sua ultima “fatica” risalente al 2009 e uscita in pochissime sale italiane, pare, il mese scorso.



Una delle locandine più brutte della storia del cinema. Hitchcock si è rivoltato nella tomba.



Trama: un killer vaga in taxi per le strade di Torino, catturando ragazze ed uccidendole a causa della loro bellezza. Quando il mostro rapisce la sorella di una hostess, quest’ultima decide di chiedere aiuto alla polizia e comincia ad affiancare l’ispettore Avolfi nelle indagini…



Io non so da dove cominciare. Giallo parte bene, porca miseria, è quello che mi mette rabbia. C’è una bella musica, un’interessante sequenza iniziale dove il montaggio alterna il punto di vista del killer che si prepara per la sua caccia sulle strade di Torino e la serata apparentemente tranquilla di due turiste giapponesi che, come sappiamo, prenderà una bruttissima piega. Lì mi sono rilassata e ho pensato “Ah, ma su. Non è così male come mi avevano detto. E poi gli occhi del tassista non sono quelli di…? Uuuuh, che colpaccio di scena!! Ma spiattellato subito così? Peccato.” Peccato sta cippa, perché il colpo di scena non c’è. Non mi preoccupo nemmeno di mettere un’avvertenza spoiler, perché non posso rovinare una sorpresa che non esiste: sì, gli occhi del killer sono quelli di Adrien Brody, che interpreta anche l’ispettore. Ma non vi preoccupate, non ci sarà questo incredibile quanto banale twist perché il buon Brody, oltre ad essere produttore di questa ciofeca, ha pensato anche di prestarsi ad interpretare ben due personaggi. E che personaggioni!!



L’intera fauna di varia umanità che popola Giallo ha dalla sua una simpatia rara e una brillantezza, una vivacità decisamente fuori dal comune. Basti pensare che il 70% dei dialoghi è fatto di domande: “Cosa? Cos’hai detto? EH? Come? Ma… in che senso?” E santo Cielo, comprati un Amplifon, posso capire la hostess, ma perché un ispettore non dovrebbe capire una mazza in questo modo? Ci fosse almeno un qualche gap linguistico, macché. Non ho idea di come sia la versione italiana, perché personalmente ho avuto la (s)fortuna di beccare quella internazionale, ma sappiate che in quel di Torino TUTTI, dalle vecchie di 97 anni al bambino di 4 parlano un inglese se non perfetto almeno accettabile, e quando i poliziotti intimano l’arresto non dicono “Altolà”, bensì “Freeze!!”, roba che se fosse davvero così sai quanti frigoriferi si beccherebbero in faccia? Le vittime non si conterebbero più. E infatti la perfidia di Argento non la troviamo tanto nella trama o nelle immagini, il vero orrore sta nel vedere il povero Adrien Brody che si sbatte per pronunciare il suo nome, Enzo Avolfi, che detto da lui suona più o meno come ensoawulf. Ohibò. Ma avete ragione, questo è un blog di cinema, non dovrei stare a cogliere ogni difetto linguistico della pellicola. Sicuramente la trama e la realizzazione saranno impeccabili. Convinti, sì sì.



Delle immagini arzigogolate, artistiche ed efferate che hanno contribuito ad affermare Argento, non vi è traccia. Un dito tranciato, un paio di mani affettate da vetri e camminare, non c’è niente (altro) da vedere. Lo credo che gli effetti speciali per queste due sequenze siano buoni, insomma. Ah no, scusate, dimenticavo anche la lama di un coltellaccio da cucina che si infila per intero nella gola di una donna, durante uno dei flashback più inutili della storia del cinema, una cosa di rara tristezza, dove immagini alla Il piccolo Lord si mescolano a quelle di un bordello d’altri tempi solo per spiegare il trauma infantile dell’ispettore. E se l’infanzia dell’uno è triste, dovete solo aspettare che arrivi il momento dove ci viene raccontata quella del killer, un povero bambino “scherzato” perché afflitto da una malattia che lo rende giallo e di conseguenza pure picchiato dalle suore perché osa lamentarsi; a parte che giallo è una parola grossa, se non me lo dicevano neppure me ne accorgevo, perché il problema di costui non è il colore. Il gran difetto del personaggio è l’orrendo trucco posticcio con cui hanno seppellito la faccia di Brody, che come sovrappiù indossa anche una parrucchetta “ginger” completa di bandana, che nemmeno alle feste truzze in spiaggia le vedi!! La finiamo qui? No, dai, lasciatemi parlare della caratterizzazione dei vari personaggi.



Dai, su, sembra un incrocio tra John Rambo e uno dei BeeHive. Magari Mirko.



Diceva il “buon” Sgarbi: “CAPRE!CAPRE!CAPRE!”. E questa invettiva riflette bene il pensiero che mi ha colpito la mente nel veder recitare tutti i coinvolti. Adrien Brody prende l’Oscar, lo butta nel cesso e tira lo sciacquone a rischio di allagarsi il bagno; la sua caratterizzazione dell’ispettore prevede, oltre allo scazzo cosmico, il consumo di una quarantina di pacchetti di sigarette e almeno un quarto d’ora di occhio perso nel vuoto. Un po’ migliore l’interpretazione di Giallo, a patto che lo spettatore diventi sordo ad ogni sua comparsa e ignori il penoso rantolio dell’americano che cerca di fingersi un italiano che parla un inglese forzato. Andiamo avanti. Emmanuelle Seigner è vajassa da far schifo, la sequenza finale dove insulta come una bestia l’ispettore, dopo essersi comportata da imbecille per tutta la durata della pellicola è da manuale, ma nulla a che vedere con la sorella Celine che, nelle mani di un maniaco pazzo, non trova altra soluzione se non quella di urlargli addosso e ribadire la sua bruttezza con ovvi risultati. Pietà, vi prego. La finisco qui perché non ne ho davvero più voglia. Anzi no, aggiungo una piccola postilla e vi faccio notare che, 99 su 100, l’ingannevole titolo e la stupidissima trama sono stati concertati apposta per vendere il film all’estero, siccome Argento è considerato oltreoceano il re del giallo all’italiana, appunto. Shame on you, Dario.



Del regista Dario Argento ho già parlato qua, mentre un trafiletto su Adrien Brody, che interpreta sia l’ispettore Enzo Avolfi che il killer Giallo, lo trovate qui.

Emmanuelle Seigner interpreta Linda. Francese, la ricordo per  film come Nirvana e La nona porta. Ha 45 anni e due film in uscita.



Avrebbe dovuto essere Vincent Gallo ad interpretare l’ispettore Avolfi, ma siccome la sua ex Asia Argento era stata “scelta” (si può dire scegliere quando il regista è tuo padre, un uomo che si ostina a farti recitare nonostante sia palese agli occhi del mondo intero che non ne sei in grado???) per il ruolo di Linda ha pensato bene di rifiutare. Il fatto che Asia, in seguito, abbia dovuto rinunciare alla parte in quanto incinta, mi fa pensare che da qualche parte un Dio esista. Quel che non capisco però è perché anche Ray Liotta si sia tirato indietro lasciando così spazio a Brody… mi sa che Quel bravo ragazzo ci vede più lungo di quanto sembra. Comunque, tornando a parlare di ex, l’attrice che interpreta Celine, Elsa Pataky, all’epoca era la fidanzata di Brody, mentre ora è la moglie di Chris “Thor” Hemsworth. Tante volte, il caso. Ma voi invece non cercate film a caso, come faccio io, e guardatevi Profondo Rosso, diretto da Dario Argento quando ancora poteva definirsi il re del giallo. Volete il trailer? Non è male, meglio del film! ENJOY (vabbé...) !!

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