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martedì 2 maggio 2023

Cocainorso (2023)

Siccome era un altro di quei film che aspettavo con parecchio entusiasmo, ho recuperato anche Cocainorso (Cocaine Bear), diretto dalla regista Elizabeth Banks.


Trama: dopo essersi mangiato della cocaina persa da un corriere, un orso comincia a fare strage di viandanti più o meno ignari...


Se vi capitasse di andare a Lexington, nel Kentucky... no, un momento. Perché mai dovreste andare in Kentucky, quando le attrazioni maggiori che hanno sono il pollo fritto del Generale Saunders e il museo del DERBY, santo cielo?? Ehm, dicevo. Vi capitasse, PER SBAGLIO, di finire nel Fun Mall Kentucky for Kentucky di Lexington, vi trovereste all'interno la salma imbalsamata di una creatura dotata di nomi pittoreschi come Pablo Eskobear (o Escobear) o Cokey the Bear, il quale altri non è che il Cocaine Bear dalla cui storia "vera" è nato il film Cocainorso. C'è chi dice che quello di Lexington non sia il vero Cocaine Bear morto per ingestione di cocaina in Georgia, nonostante il suo cadavere imbalsamato sia effettivamente stato rubato (roba che, forse, meriterebbe un film a sé) dal rifugio del parco dove viveva la bestiola, ma che vi importa? Considerato che, in virtù delle particolari leggi del Kentucky, Pablo Escobear può persino legarvi nel vincolo del matrimonio a patto che voi CREDIATE che possa averne l'autorità, si può anche credere non solo che l'orso in questione sia quello vero, ma anche che la storia sia andata proprio come l'ha girata Elizabeth Banks. Anzi, con quest'idea del matrimonio fresca in mente, direi che la Banks e lo sceneggiatore Jimmy Warden si sono persino trattenuti per quanto riguarda le sonore meenchiate da riportare sul grande schermo, e mentirei se non dicessi che mi sarei aspettata molta più follia durante la visione di Cocainorso. Soprattutto, la mia delusione deriva dal fatto che l'amena bestiola fa tutto ciò che faceva già negli anni '70 Grizzly, l'orso che uccide, e ben poche delle cose assurde che mi aspetterei da un plantigrado strafatto di bamba; in più, Cocainorso sembrerebbe quasi più una scusa in grado di far interagire personaggi già di loro divertenti, e al posto suo avrebbero potuto esserci gli alieni, il bigfoot, il fantasma di Elvis, quello che volete, a legare l'una all'altra le loro personali, tragicomiche storie.


Dicendo così, sembrerebbe quasi che Cocainorso non mi sia piaciuto. Sicuramente, avevo l'asticella dell'entusiasmo troppo alta e ciò ha influito sul giudizio finale, più tiepido di quanto avrei sperato, ma durante la visione mi sono divertita moltissimo. Elizabeth Banks ha l'occhio giusto per confezionare un film scoppiettante e pieno di citazioni, che fila come un treno sia nei momenti più splatter e concitati dove l'orso la fa da padrone, sia in quelli più umoristici, in cui i personaggi si palleggiano battute e situazioni debitrici di atmosfere vagamente Coeniane o Tarantiniane, senza mai raggiungere l'omaggio smaccato e fastidioso; la sceneggiatura riesce a gestire bene i tempi comici e in alcuni momenti si ride di vero cuore, al limite l'unico neo è che non si prova mai un attimo di ansia rispetto a ciò che potrebbe fare l'orso e che, verso il finale, il ritmo forsennato rallenta un po'. Benché il protagonista dovrebbe essere l'orso, la creatura in CGI è dimenticabile e a tratti bruttina, così come molti degli effetti speciali, anche troppo posticci, ma per fortuna questi difetti vengono compensati da un cast validissimo, che alla fine fa quasi venire voglia di continuare a seguire le vicende dei personaggi anche fuori dal bosco. La mia adorata Moonee è cresciuta per diventare una bellissima ragazza, e ciò mi ha riempito il cuore di gioia, mentre la sola visione di Ray Liotta mi ha causato un magone grosso come una casa, però gli attori che mi hanno realmente strappato l'applauso sono Alden Ehrenreich, Aaron Holliday (le cui interazioni con O'Shea Jackson Jr. sono spettacolari), la strepitosa Margo Martindale e il piccolo, ma già cazzutissimo, Christian Convery. Non va proprio benissimo che un film di nome Cocainorso rischi di farsi ricordare più per gli attori che per l'animaletto protagonista, ma tant'è; si tratta comunque di un film simpatico, che merita una visione per passare una serata divertente, quindi tranquilli, non sprecherete il vostro tempo se doveste decidere di guardarlo!


Della regista Elizabeth Banks ho già parlato QUI. Keri Russell (Sari), Alden Ehrenreich (Eddie), Ray Liotta (Syd White), Margo Martindale (Ranger Liz) e Matthew Rhys (Andrew C. Thornton II) li trovate invece ai rispettivi link.

Isiah Whitlock Jr. interpreta il detective Bob Springs. Americano, ha partecipato a film come Gremlins 2 - La nuova stirpe, Quei bravi ragazzi, La 25ma ora, 1408, Europa Report, BlacKkKlansman e I Care a Lot; come doppiatore, ha lavorato in BoJack Horseman e Lightyear - La vera storia di Buzz. Anche sceneggiatore, ha 69 anni. 


Brooklynn Pierce interpreta Dee Dee. Americana, la ricordo per film come Un sogno chiamato Florida e The Turning - La casa del male. Anche regista, ha 13 anni e un film in uscita. 


Tantissime le guest star riconoscibili per gli aficionados delle varie serie TV e "da piattaforma": il piccolo Christian Convery (Henry) è il protagonista di Sweet Tooth, Jesse Tyler Ferguson (Peter) fa parte del cast di Modern Family mentre Kristofer Hivju (Olaf) è stato il Tormund de Il trono di spade. Se Cocainorso vi fosse piaciuto recuperate Arac Attack, Crawl - Intrappolati, Anaconda, Snakes on a Plane (tutti disponibili a noleggio su varie piattaforme) il già citato Grizzly l'orso che uccide e Lo squalo (disponibile con abbonamento Netflix e Prime). ENJOY!

domenica 7 novembre 2021

Antlers - Spirito insaziabile (2021)

Purtroppo, per questioni di programmazioni e lentezza mia nello scrivere, rischiate di non trovarlo più in sala nel momento in cui uscirà questo post, ma se per miracolo dovesse esserci ancora, non mancate di andare a vedere Antlers - Spirito insaziabile (Antlers), diretto e co-sceneggiato dal regista Scott Cooper a partire dal racconto The Quiet Boy di Nick Antosca.


Trama: in una sperduta cittadina dell'Oregon, un'insegnante cerca di dare una mano a un suo studente solitario, schivo e terrorizzato, ma i segreti che il piccolo nasconde rischiano di mettere in pericolo tutti gli abitanti...


Quello di Nick Antosca è un nome che ormai gli appassionati di horror conoscono bene, soprattutto grazie alla bella serie antologica Channel Zero, che gli ha aperto perfino le porte di Netflix, dove troviamo l'autore con la terrificante (e schifosetta, ma molto affascinante) New Cherry Flavour. Non mi ritengo un'esperta di Antosca, assolutamente, ma il fil rouge delle sue opere è quello di ambientare storie horror particolarmente efferate e cupe all'interno di cittadine sperdute oppure quartieri ai margini delle grandi città importanti, coinvolgendo i protagonisti, di solito già non equilibratissimi di loro e fiaccati da traumi passati più o meno profondi, in vicende di notevole spietatezza che devono affrontare fondamentalmente da soli; molti di questi elementi si ritrovano anche in Antlers, uno degli horror "commerciali" più cupi usciti di recente, che non lascia granché spazio alla speranza. Anche in questo caso, abbiamo persone che vivono ai margini di piccoli paesi, nella fattispecie un bambino costretto ad affrontare un orrore enorme senza che nessuno lo noti o si preoccupi di aiutarlo, ché i figli dei drogati di solito diventano drogati anche loro, e di base insegnanti, polizia e assistenti sociali svogliati mica possono sporcarsi troppo le mani, per carità di Dio. Sono la solitudine del piccolo Lucas, il terrore che è costretto a sopportare ogni giorno, così come il disprezzo che gli viene tributato da coetanei e adulti, a fare paura e disgusto prima ancora che subentri l'elemento sovrannaturale, a schiacciare con un'atmosfera di pesantezza assoluta che porta il cuore a volare verso quel bambino scarno, dallo sguardo spaurito, e anche a risultare gli elementi vincenti di Antlers


Non che la parte horror non sia da togliersi il cappello. Antlers fa paura, ha delle sequenze degne della migliore delle favole nere, dosa i jump scare senza però frenarsi nel gore e nell'orrore, avvalendosi di effetti speciali validissimi e dello splendido design del mostro "titolare", protagonista di un confronto finale che, per una volta, non sa di essere umano vs bamboccetto posticcio ma è fotografato, montato e diretto alla perfezione. Tuttavia, difetti in questo film ce ne sono e nascono probabilmente da un metraggio che non si confà né allo stile di Antosca né alla natura di racconto breve di The Quiet Boy. Risulta assai sfilacciata, in particolare, la scrittura dei personaggi "di supporto" più importanti, come l'insegnante che si occupa di aiutare Lucas e il fratello sceriffo (Jesse Plemons non è mai stato così clueless, terribile), i quali, nonostante ci si impegni a dotarli di un background fatto di traumi familiari pesantissimi, non consentono mai allo spettatore di empatizzare con loro, così che le loro vicende risultano dei riempitivi messi giusto per allungare il metraggio e indeboliscono un po' una storia che dovrebbe invece colpire come un maglio. Nulla di troppo grave, né motivo per evitare di guardare il film, anche se personalmente avrei preferito un po' più di approfondimento sulla figura del Wendigo, che dopo quel capolavoro de L'insaziabile non ha più trovato un'altra pellicola che gli rendesse davvero giustizia.


Del regista e co-sceneggiatore Scott Cooper ho già parlato QUI. Keri Russell (Julia Meadows), Jesse Plemons (Paul Meadows), Graham Greene (Warren Stokes) e Rory Cochrane (Daniel Lecroy) li trovate invece ai rispettivi link.

Amy Madigan interpreta la Preside Ellen Booth. Americana, ha partecipato a film come Due volte nella vita, L'uomo dei sogni, Io e zio Buck, La metà oscura, The Hunt e a serie quali Chips, Criminal Minds, E.R. Medici in prima linea e Gray's Anatomy. Anche produttrice, ha 61 anni.


Se Antlers - Spirito insaziabile vi fosse piaciuto recuperate The Empty Man, The Wretched e The Badadook. ENJOY! 

venerdì 14 luglio 2017

Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie (2014)

E' uscito ieri The War - Il pianeta delle scimmie, ultimo capitolo del reboot della serie Il pianeta delle scimmie, iniziato nel 2011. Per l'occasione, ho recuperato Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie (Dawn of the Planet of the Apes), diretto nel 2014 dal regista Matt Reeves.


Trama: dieci anni dopo la diffusione del virus che ha distrutto la popolazione umana, il gruppo di scimmie capitanate da Cesare incontra dei reduci nella foresta, intenzionati a far funzionare una centrale idroelettrica per tornare ad avere elettricità e comunicare col mondo esterno. Mentre Cesare cerca di superare la diffidenza verso gli umani, lo scimpanzé Koba medita lo sterminio...



L'alba del pianeta delle scimmie avrebbe dovuto essere questo, ché di rivoluzione primate non se ne vede nemmeno l'ombra. Purtroppo il termine Alba era già stato usato per Rise of the Planet of the Apes e noi italiani ci siamo dovuti accontentare ma, di fatto, anche il secondo capitolo della saga è una sorta di prequel atto a preparare uno scenario in cui i ruoli di "razza superiore" e "razza inferiore" (che brutti termini, lo so) dovrebbero risultare completamente ribaltati, con gli umani soggiogati dalle scimmie. Dieci anni dopo gli eventi del primo film gli umani sono stati decimati da un virus nato, ironia della sorte, per combattere l'alzheimer mentre le scimmie guidate da Cesare vivono tranquille ai margini della foresta, prosperando e moltiplicandosi senza rompere le scatole ai loro pochi vicini glabri, almeno finché questi ultimi non invadono il territorio dei quadrumani. Qui la trama si apre ad un discorso simile a quello portato avanti nel primo film, che era anche uno degli elementi capaci di renderlo piacevole ai miei occhi: più che raccontare la lotta tra scimmie e umani, anche il secondo capitolo della saga punta ad essere una riflessione sulla tolleranza, sul razzismo, sulla difficoltà (ma anche la necessità) di tornare a fidarsi di qualcuno, sul confine sottile tra desiderio di proteggere la propria gente e l'odio irrazionale verso "l'altro", mai attuale come in questi ultimi anni. Le difficoltà incontrate da Cesare nel convincere i suoi simili e sé stesso a dare una seconda chance agli esseri umani considerati nemici vengono ulteriormente acuite dalla presenza di Koba, scimpanzé vittima di torture e per questo ancora più determinato a proteggere la sua specie ma soprattutto guidato da una sete di vendetta capace di trasformarlo da feroce condottiero a folle dittatore, cieco al dolore di chi dovrebbe essere nelle sue stesse condizioni. Non è difficile riconoscere nella sceneggiatura del film un rimando a totalitarismi nati stravolgendo le migliori intenzioni di chi voleva un mondo migliore, sia per quanto riguarda la fazione delle scimmie che per quanto riguarda quella degli umani, ed è questo ciò che rende interessante il film, in quanto si parteggia a turno sia per l'uno che per l'altro schieramento, composti in egual misura da figure positive ed altre deprecabili.


Per quel che riguarda la storia c'è poco altro da aggiungere, anche perché la trama segue un percorso abbastanza ovvio che forse poteva anche essere completato in meno tempo, per quel che riguarda gli effetti speciali invece Apes Revolution non ha una sola sbavatura. Le scimmie sono bellissime, incredibilmente espressive, al punto che verrebbe voglia di vedere un film dedicato solo a loro, senza inutili umani tra i piedi; lo sguardo triste di Occhi Blu, la presa in giro di Koba nei confronti di bipedi troppo stupidi per andare oltre i loro pregiudizi, un Cesare coerentemente invecchiato fanno scomparire d'incanto l'assurdità di vedere dei primati a cavallo oppure maneggiare armi come fosse la cosa più naturale del mondo e le scene d'azione sono altrettanto belle e galvanizzanti, soprattutto nella battaglia finale. Se Andy Serkis e Toby Kebbel, inguainati nelle tutine necessarie alla stop motion e nascosti quindi dall'effetto speciale, meritano l'applauso a scena aperta, lo stesso non vale purtroppo per gli attori "al naturale", tutti abbastanza anonimi, stereotipati e dimenticabili, a partire dalla superstar Gary Oldman che probabilmente era lì con un occhio all'orologio e uno all'assegno milionario da incassare per dieci minuti di girato. Per dire, sono lontani i momenti di pura commozione regalati da un signor attore come John Lithgow e mi sono ritrovata a sentire la mancanza persino di quella faccia da caSSo di James Franco, cosa che non è da me. Nonostante l'abbia trovato inferiore a L'alba del pianeta delle scimmie, Apes Revolution è però un film che merita comunque la visione e, cosa non da poco, invoglia ad andare a vedere il terzo capitolo, sperando che la storia di Cesare riservi ancora qualche sorpresa e non si riduca ad essere un agglomerato di splendidi effetti speciali scimmieschi senz'anima.


Del regista Matt Reeves ho già parlato QUI. Andy Serkis (Cesare), Jason Clarke (Malcom), Gary Oldman (Dreyfus), Keri Russell (Ellie), Toby Kebbell (Koba), Kodi Smit-McPhee (Alexander) e Judy Greer (Cornelia) li trovate invece ai rispettivi link.


Il regista de L'alba del pianeta delle scimmie, Rupert Wyatt, ha rinunciato a dirigere Apes Revolution perché avrebbe dovuto rispettare dei tempi strettissimi, per consentire al film di uscire in una determinata data. Gary Oldman era invece uno degli attori presi in considerazione per il ruolo del Generale Thade (andato poi all'amico Tim Roth) nel Planet of the Apes di Tim Burton. Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie può essere considerato un remake di Anno 2670 ultimo atto, quinto film della saga originale de Il pianeta delle scimmie e avrebbe dovuto concludersi con i militari all'inseguimento di Cesare e soci ma il finale è stato cambiato perché non apprezzato durante le proiezioni in anteprima; tuttavia, se avrete la pazienza di aspettare fino alla fine dei titoli di coda, si sentono dei rumori che lasciano pensare che Koba sia ancora vivo. Se questa supposizione è vera o meno lo sapremo guardando The War - Il pianeta delle scimmie, mentre se Apes Revolution vi fosse piaciuto consiglio il recupero de L'alba del pianeta delle scimmie e magari, per completezza, anche della webserie in tre episodi Before the Dawn, che racconta quanto è successo tra il primo e il secondo capitolo del reboot. ENJOY!


venerdì 30 giugno 2017

Free State of Jones (2016)

L'avevo perso, non so per quale motivo, all'uscita cinematografica ma in questi giorni ho deciso di recuperare Free State of Jones, diretto e co-sceneggiato nel 2016 dal regista Gary Ross.


Trama: nel corso della guerra di secessione, il medico da campo Newton Knight decide di disertare per difendere i contadini dalle ingiuste richieste dei Confederati, unendo sotto la stessa bandiera di libertà bianchi e neri...



Quando gli Oscar si avvicinano cominciano a spuntare come funghi film più o meno "patriottici", o comunque legati a doppio filo ad una parte di storia Americana, possibilmente quella scomoda legata a schiavismo, guerre e tensioni razziali. Non è esente da questo cliché Free State of Jones che racconta, come da titolo, la rapida nascita e declino del cosiddetto "Stato libero di Jones", in cui un gruppo di contadini ribelli era riuscito ad affrancarsi dalle ingiuste leggi della Confederazione e a creare una sorta di paradiso dove i poveri potevano tenersi i frutti del loro duro lavoro e dove bianchi e neri collaboravano apparentemente senza conflitti. Apparentemente, ovvio, ché al primo segno di cambiamento presidenziale una delle leggi su cui si fondava lo staterello (o sarebbe meglio dire contea?), ovvero quella che recitava "siamo tutti uomini, senza distinzione", ha cominciato a venire ignorata da quelli che erano fondamentalmente un branco di redneck burini i quali, una volta finita la guerra e riottenuto quello che volevano, hanno mandato al diavolo Knight e tutti i suoi amici di colore, gettando i semi del Ku Klux Clan nella felicissima terra del Mississippi. Nelle quasi due ore e mezza di film, Gary Ross infila quindi tutte le contraddizioni del sud degli Stati Uniti, tra poveracci che combattono i ricconi possidenti e contemporaneamente il nemico nordista, tra contadini che hanno praticamente gli stessi non-diritti degli schiavi di colore e che tuttavia li odiano, offrendo il ritratto di un popolo pavido, umorale e retrogrado (l'eredità razzista del sud si ripercuoterà ottant'anni dopo su un pro-nipote di Knight, per un ottavo di colore, ma l'uomo riuscirà ad evitare il carcere per timore di ritorsioni da parte della Corte Suprema) e di un eroe duro e puro costretto a combattere contro i mulini a vento dell'ignoranza e della paura. La storia funziona, nonostante un senso di "incompletezza" e confusione dato dall'eccessiva attenzione conferita alla parte iniziale, quella in cui i ribelli dimorano in paludi trasformate a poco a poco in zona residenziale, alla quale si affiancano sei o sette postille finali che paiono appiccicate con lo sputo perché "bisognava raccontarle ma non ci stavano più" e perché sono appunto funzionali ai flash forward che mostrano il già citato pro-nipote di Knight.


Incrocio tra Robin Hood, un padre pellegrino e un cowboy, Newton Knight è ovviamente il fulcro della pellicola e nonostante Free State of Jones patisca una lunghezza eccessiva e un punto di vista univoco, non c'è dubbio che il personaggio sia in grado di coinvolgere lo spettatore col suo carisma e col suo sguardo indignato. Questo è quindi uno di quei casi in cui si può ben dire che un attore regge da solo un intero film: in barba alla presenza di un cast composto da ottimi attori e caratteristi, a spiccare su tutti è Matthew McConaughey, convincente sia nei panni del dottore dimesso che in quelli del combattivo proprietario terriero, nei momenti in cui gli tocca anticipare l'occhio spiritato di Randall Flagg e in quelli dove alla foga vendicativa si sostituisce la natura quasi solenne di un padre fondatore. E' anche vero che accanto a Matthew non spiccano altri nomi particolarmente eccellenti, anzi, viene un po' da sorridere perché praticamente mezzo cast di 12 anni schiavo è finito ad ingrossare le fila dei co-protagonisti e buona parte dei discendenti del vero Newton Knight ha ottenuto una particina nel film, comunque Free State of Jones mi è parso ben recitato e nel complesso anche ben diretto, sia nelle parti statiche che in quelle dinamiche, pur essendo privo di sequenze particolarmente memorabili. A mio avviso, il difetto più grande del film (che pur mi è piaciuto) è la sua natura un po' didascalica e, come si diceva sopra, disomogenea, cosa che non mi ha portata ad entusiasmarmi per le vicende narrate, come accade di solito con questo genere di pellicole, né a farmi venire voglia di saperne di più su Newton Knight e questo singolare episodio di storia americana. Sarà mica che dopo Silence pretendo una perfezione e una profondità fuori dal comune? Può essere. A prescindere, se vi piace il genere, un'occhiata a Free State of Jones la consiglio!


Del regista e co-sceneggiatore Gary Ross ho già parlato QUI. Matthew McConaughey (Newton Knight), Gugu Mbatha-Raw (Rachel), Mahershala Ali (Moses) e Sean Bridgers (Will Sumrall) li trovate invece ai rispettivi link.

Keri Russell interpreta Serena. Americana, ha partecipato a film come Tesoro, mi si è allargato il ragazzino, Mission: Impossible III, Dark Skies - Oscure presenze, Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie e a serie quali Scrubs. Ha 41 anni.


Se Free State of Jones vi fosse piaciuto recuperate 12 anni schiavo, Lincoln e The Birth of a Nation (che devo ancora vedere). ENJOY!

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