Poiché mi è andata bene due mercoledì fa con Solamente Nero, ho deciso che, impegni permettendo, ogni mercoledì darò una chance ai gialli di Canale 34. Stavolta però è toccato a La morte ha sorriso all'assassino, diretto e co-sceneggiato nel 1973 dal regista Aristide Massaccesi, e la mia risolutezza rischia già di venire meno...
Trama: dopo un terribile incidente, una ragazza afflitta da amnesia viene accolta da due coniugi facoltosi e da quel giorno la villa che funge da loro dimora diventa il teatro di efferati omicidi.
Vabbè, potevo anche immaginarlo. Quando ho letto sulla stessa locandina i nomi di Aristide Massaccesi e Klaus Kinski avrei dovuto capire che mi sarei trovata davanti atmosfere morbosette e vagamente pornografiche unite a momenti splatter, ma onestamente avrei puntato tutto il mio stipendio su un'interpretazione caricatissima di Klaus e mi stavo già sfregando le manine al pensiero. Invece, mi è toccato testimoniare un vilipendio della libido Klausiana senza precedenti! Il poverino, in questo delirio di incesti, corna e amori saffici, è l'unico che non combina nulla e per il poco tempo in cui è presente sullo schermo è pure costretto ad armeggiare per una decina di minuti buoni con degli alambicchi! Ma non si fa, che brutta persona che è Aristide Massaccesi! Oltre allo spreco di Klaus, debbo ahimè sottolineare anche lo spreco di tempo mio, ché La morte ha sorriso all'assassino ha l'unico pregio di una protagonista affascinante e sottilmente perversa, alla quale si uniscono delle belle ambientazioni e parecchi riferimenti alle opere di Edgar Allan Poe, per il resto è uno dei gialli più pasticciati e noiosi che mi sia mai capitato di vedere. La caratteristica principale del film, infatti, è la ferma volontà di non far capire allo spettatore la durata temporale che intercorre tra un avvenimento e l'altro: i flashback, per esempio, sembrano avvenire decenni prima, invece sono passati solo tre anni, e tra le sequenze "presenti" intercorrono settimane intere ma l'impressione che si ha è che sia trascorso solo un giorno o due. In compenso, si ha la sensazione invece che la pellicola duri ore, perché per allungare la broda stantia vi sono delle scene di raccordo che hanno la stessa durata (e utilità) della partita a carte de Il fantasma di Sodoma, tra le quali figurano un imbarazzante, lunghissimo gioco di sguardi a tre alternato a ricordi di petting lesbo e scopate, il già citato trafficare Kinskiano con gli alambicchi e un gioco danzereccio di carnevale assimilabile alla storica performance del maestro Canello in Fantozzi.
Peccato, perché la matrice horror sulla quale viene costruita la trama sarebbe anche interessante e l'immagine di una sorta di "strega non morta" dotata di poteri inspiegabili e del dono dell'ubiquità avrebbe anche il suo fascino, anche se, di base, non si capisce 'sta creatura cosa voglia. Vendetta? Eh, diciamo che uccidere una persona lanciandole un gatto sulla faccia è un po' un "anticlimax", per non dire una cazzata col botto che ha ammazzato me e il Bolluomo dalle risate (scopro ora che il regista ha DAVVERO tirato il gatto in faccia all'attore, perché non riuscivano a girare una scena decente in cui l'animale gli graffiasse il volto), però c'è da dire che a meritare la vendetta sarebbero stati al massimo due personaggi, gli altri che c'entrano? Divertirsi un po' perché la morte e resurrezione portano seco molta malvagità? Già più comprensibile, ma il problema del gatto resta, così come la volontà di piazzare al termine della pellicola un finale "shock" che francamente lascia solo perplessi, come se gli sceneggiatori non sapessero bene che fare una volta morti tutti i personaggi. La faccia dell'unico sopravvissuto è da manuale, così come la sua aria generalmente scoglionata, che è poi simile a quella di molti degli attori che si sono ritrovati a partecipare a La morte ha sorriso all'assassino. Gli unici che meritano sono Klaus, purtroppo costretto in un ruolo sciapissimo, la bella Ewa Aulin, che si è palesemente divertita ad interpretare Greta, e il pittoresco Luciano Rossi, anche lui poco utilizzato, per il resto gli attori mi sono sembrati un po' tutti imbalsamati. Insomma, posso dire che ho visto ben di meglio ma lascerò subentrare l'indulgenza verso il futuro Joe D'Amato, qui al suo primo film "completo", e confermerò di aver visto anche molti film peggiori. A qualcuno questa pellicola potrebbe anche piacere molto ma, come dicono gli inglesi, not my cup of tea.
Del regista e co-sceneggiatore Aristide Massaccesi ho già parlato QUI mentre Klaus Kinski, che interpreta il Dr. Sturges, lo trovate QUA.
Giacomo Rossi Stuart interpreta il Dr. Von Ravensbruck. Nato a Todi, padre di Kim Rossi Stuart, ha partecipato a film come L'ultimo uomo della Terra, I misteri della giungla nera, Operazione paura, La notte che Evelyn uscì dalla tomba, Sette scialli di seta gialla e Le porte dell'inferno. Anche sceneggiatore, è morto nel 1994 all'età di 69 anni.
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domenica 22 marzo 2020
domenica 14 aprile 2019
Nosferatu - Il principe della notte (1979)
Tant'è, ce l'ha fatta. Mirco è riuscito nell'intento di guardare e farmi vedere Nosferatu - Il principe della notte (Nosferatu: Phantom der Nacht), diretto e sceneggiato da Werner Herzog nel 1979.
Trama: l'agente immobiliare Jonathan Harker viene mandato nel castello del conte Dracula per l'acquisto di un maniero. Lì scopre la natura mostruosa del conte e viene dallo stesso imprigionato, mentre Dracula salpa alla volta di Wismar, portando con sé morte e pestilenza.
Ho visto il Nosferatu di Murnau un paio di volte ai tempi dell'università ma quello di Herzog, per una sorta di follia di cui non mi sento di dover rendere conto in quanto, appunto, follia, l'ho sempre relegato inconsciamente nel novero di b-movie immeritevoli di una visione. Lo so, secondo me il motivo è da ricercarsi nella presenza di Kinski e nell'esistenza di Nosferatu a Venezia ma per fortuna i due film non sono nemmeno lontanamente paragonabili e Nosferatu - Il principe della notte si è rivelato ai miei occhi come l'opera pregevole che è. Herzog, anche in veste di sceneggiatore, restituisce ai personaggi di Bram Stoker i loro nomi e reinterpreta la versione malata, terrorizzata e pessimista del Nosferatu di Murnau, costringendo i personaggi ad affrontare non già un vampiro carismatico ed affascinante ma una specie di ratto mutante, l'incarnazione stessa della morte e della peste nera, privo di quella sensualità che già non era appannaggio del povero Max Schreck. Desideroso di amore ma costretto a piegarsi alla sua brama di sangue e morte, Nosferatu (o Dracula) è una figura tragica per la quale è comunque difficile provare pietà, infatti la povera Lucy, moglie dell'altrettanto sfortunato Jonathan, non ne mostrerà e lo stesso vale per Herzog; se, infatti, Nosferatu prevedeva un lieto fine dopo lo sterminio di un'intera popolazione, con la luce che sconfiggeva letteralmente le tenebre, nella versione del 1979 il sacrificio della luce viene vanificato dall'ineluttabilità del male, dal morbo che si diffonde senza possibilità di venire fermato e si manifesta in forme sempre nuove e differenti, forse addirittura più rassicuranti, il che è molto angosciante.
Mai angosciante, ovviamente, quanto le immagini di desolazione mostrate da Herzog, quella sfilata inquietante di bare preceduta dall'invasione di ratti disgustosi, per non parlare degli ambienti asettici e squallidi del castello di Dracula o del mare sterminato che reca ben poco conforto ai personaggi positivi. Mai angosciante, neanche a dirlo, quanto il vecchio Klaus. Ora, passando a cose più facete, il povero Mirco c'è rimasto male. Già ha intrapreso la visione del film plagiato da QUESTO video che il fidanzato conosce a menadito, in più si aspettava qualche mattana di Kinski ma niente: terrificante, inusualmente compassato e calmo, misuratissimo sotto un makeup che lo rende un mostro fuori da ogni umana concezione, il Dracula di Kinski si impone col suo mero carisma, buca lo schermo attraverso la sua silenziosa disumanità e tuttavia, per una volta, non inghiotte il film facendo scomparire tutto il resto. Merito di un Herzog che, a quanto pare, lo spingeva a inenarrabili sfuriate prima di entrare in scena, così che Klaus fosse bello spompato e quasi trasognato ma non meno efficace. Altro punto a favore del film, un Renfield mai così matto, interpretato da Roland Topor che, lungi dall'aggiungere un comic relief alla trama (nonostante gli scherzi ai danni della guardia), infonde nello spettatore ancora più angoscia in quanto si fa testimone dell'ineluttabilità della malattia, della follia e del male in generale. Insomma, ce ne ho messo di tempo a vederlo, pensavo non mi sarebbe piaciuto e invece ecco che Nosferatu - Il principe della notte mi ha riconciliata con un attore che sono arrivata ad associare solo a gran ciofeche. Recuperatelo, se non lo avete mai visto.
Del regista e sceneggiatore Werner Herzog (che compare nel film come l'uomo che infila un piede in una bara e viene morso da un ratto) ho già parlato QUI. Klaus Kinski (Nosferatu), Isabelle Adjani (Lucy Harker) e Bruno Ganz (Jonathan Harker) li trovate invece ai rispettivi link.
Nei panni di Renfield compare l'artista Roland Topor, scrittore de L'inquilino del terzo piano e creatore del Mouvement panique assieme ad Alejandro Jodorowski e Fernando Arrabal. Il film ha un seguito non ufficiale sempre con Klaus Kinski, l'orripilante Nosferatu a Venezia. Meglio recuperare il Nosferatu originale e magari anche Dracula e Dracula di Bram Stoker. ENJOY!
Trama: l'agente immobiliare Jonathan Harker viene mandato nel castello del conte Dracula per l'acquisto di un maniero. Lì scopre la natura mostruosa del conte e viene dallo stesso imprigionato, mentre Dracula salpa alla volta di Wismar, portando con sé morte e pestilenza.
Ho visto il Nosferatu di Murnau un paio di volte ai tempi dell'università ma quello di Herzog, per una sorta di follia di cui non mi sento di dover rendere conto in quanto, appunto, follia, l'ho sempre relegato inconsciamente nel novero di b-movie immeritevoli di una visione. Lo so, secondo me il motivo è da ricercarsi nella presenza di Kinski e nell'esistenza di Nosferatu a Venezia ma per fortuna i due film non sono nemmeno lontanamente paragonabili e Nosferatu - Il principe della notte si è rivelato ai miei occhi come l'opera pregevole che è. Herzog, anche in veste di sceneggiatore, restituisce ai personaggi di Bram Stoker i loro nomi e reinterpreta la versione malata, terrorizzata e pessimista del Nosferatu di Murnau, costringendo i personaggi ad affrontare non già un vampiro carismatico ed affascinante ma una specie di ratto mutante, l'incarnazione stessa della morte e della peste nera, privo di quella sensualità che già non era appannaggio del povero Max Schreck. Desideroso di amore ma costretto a piegarsi alla sua brama di sangue e morte, Nosferatu (o Dracula) è una figura tragica per la quale è comunque difficile provare pietà, infatti la povera Lucy, moglie dell'altrettanto sfortunato Jonathan, non ne mostrerà e lo stesso vale per Herzog; se, infatti, Nosferatu prevedeva un lieto fine dopo lo sterminio di un'intera popolazione, con la luce che sconfiggeva letteralmente le tenebre, nella versione del 1979 il sacrificio della luce viene vanificato dall'ineluttabilità del male, dal morbo che si diffonde senza possibilità di venire fermato e si manifesta in forme sempre nuove e differenti, forse addirittura più rassicuranti, il che è molto angosciante.
| Tipica accoglienza ligure |
Del regista e sceneggiatore Werner Herzog (che compare nel film come l'uomo che infila un piede in una bara e viene morso da un ratto) ho già parlato QUI. Klaus Kinski (Nosferatu), Isabelle Adjani (Lucy Harker) e Bruno Ganz (Jonathan Harker) li trovate invece ai rispettivi link.
Nei panni di Renfield compare l'artista Roland Topor, scrittore de L'inquilino del terzo piano e creatore del Mouvement panique assieme ad Alejandro Jodorowski e Fernando Arrabal. Il film ha un seguito non ufficiale sempre con Klaus Kinski, l'orripilante Nosferatu a Venezia. Meglio recuperare il Nosferatu originale e magari anche Dracula e Dracula di Bram Stoker. ENJOY!
martedì 12 marzo 2019
Nosferatu a Venezia (1988)
Non sono impazzita, vi spiegherò nel post perché qualche sera fa mi sono ritrovata a vedere per la seconda volta nella mia vita Nosferatu a Venezia, diretto nel 1988 dal regista Augusto Caminito.
Trama: Nosferatu viene evocato da una seduta spiritica e si ripalesa a Venezia, dove ricomincia a mietere vittime...
Mi era capitato di vedere Nosferatu a Venezia verso la fine degli anni '90, dopo aver letto l'ormai famigerata classifica dei 100 film peggiori di sempre stilata dalla rivista Ciak. Ovviamente, ammorbo e disgusto mi avevano sconfitta e all'epoca avevo giurato di non rivedere MAI più un simile abominio. Da qualche tempo, però, Mirco palesa la voglia di guardare il Nosferatu di Herzog, spinto dall'amore per questo sketch. Purtroppo, non dispongo del DVD e trovarlo on line è un po' arduo, quindi ci siamo rivolti a Youtube dove, ahimé, c'è solo una versione in inglese... e anche Nosferatu a Venezia, che ha attirato l'attenzione di Mirco per la presenza di Klaus Kinski. Ho provato a dirgli che il film di Caminito è orrendo, inguardabile e noioso ma niente, non c'è stato verso. Quindi, eccoci qui. Nosferatu a Venezia avrebbe dovuto essere il sequel di Nosferatu ma tra le intemperanze di Kinski e una serie di casini in fase produttiva, è uscito fuori questo ibrido inguardabile tra un "horror" e un filmetto erotico, dove Nosferatu viene richiamato a Venezia in maniera alquanto improbabile da una seduta spiritica mentre si trova (credo, che mica si capisce) a passare l'eternità nel Mato Grosso o in qualche altra amena località equatoriale. In quella, cicciano fuori eventi legati a una famiglia di ricconi già piagati in passato dalla presenza "iniqua" di Nosferatu, reo di aver vampirizzato una principessa e impalato un prete/scimmia urlatrice, ed è proprio per mettere a tacere delle semplici "voci" che i membri di questa famiglia di dementi decidono di chiamare il massimo esperto in vampirismo di tutto il mondo, scatenando nuovamente il lussurioso vampiro. Quest'ultimo, non pago di avere a disposizione la discendente della principessa da prosciugare e tucchignare in maniera laida, decide di bombarsene almeno altre tre e di rubare la verginità dell'ultima per liberarsi dalla maledizione dell'eternità (comodo, nevvero?), mentre gli uomini della famiglia rimangono con un palmo di naso, tra chi pensa di trovarsi davanti un cinghiale più che Nosferatu, chi accetta con sportività la propria natura di ameba inutile e si getta nel Canal Grande, chi per non sbagliare fa la figura del cioccolataio fin dal minuto 5 (ciao, Donald Pleasance!).
Per citare l'articolo di Ciak, "Kinski vaga per le calli veneziane con un'orrida parrucchetta color stoppia in testa" ed è fondamentalmente quello che succede per buona parte del film, cosa che costringe lo spettatore a subire carrellate su carrellate di calli, canali e tristi figuri in abito carnevalesco, fiaccate da una fotografia nebulosa, bluastra, ammorbante. E' sempre giorno, palesemente, in Nosferatu a Venezia, il che rende inutile i patetici tentativi di Maria di tirare le tende poco prima di venir deflorata dal vampiro, ché tanto quest'ultimo gira quando vuole manco fosse un Edward Cullen qualsiasi, ma è un giorno perennemente nebbioso e triste, triste da morire. Triste quanto la presenza di Christopher Plummer e Donald Pleasence, il primo ingessato nel ruolo di sedicente esperto di vampiri perennemente turlupinato da Nosferatu, il secondo nei panni di un prete da operetta che mangia, beve di lungo e arriva con un utilissimo "La Chiesa proibisce le sedute spiritiche" proprio nel corso della seduta stessa, venendo trattato con la stessa considerazione che si riserverebbe a Massimo Boldi durante la Notte degli Oscar, anzi, anche meno. In tutto questo, neanche a dirlo, Kinski (in veste di star e soprattutto, non accreditato, di regista e capricciosissimo deus ex machina dell'intera "opera") ottiene invece quello che vuole da questo genere di succidi personaggi: quando non gira per le calli con la faccia di chi non ha voglia di stare al mondo, si struscia sul corpo di belle fanciulle seminude, dando al morso importanza quasi nulla e concentrandosi maggiormente sulle generose palpate sul seno delle attrici (e anche peggio, a quanto si legge QUI e QUI) che, poverine, mi sono ritrovata a compiangere più di quanto non avessi fatto vent'anni fa. Al disgusto per il film si è infatti accompagnato il disgusto per l'empio e folle Klaus, cose che mi porta ancora più a sconsigliare Nosferatu a Venezia e a maledire il giorno in cui ne sono venuta a conoscenza. Eew.
Di Klaus Kinski (Nosferatu), Christopher Plummer (Professor Paris Catalano) e Donald Pleasence (Don Alvise) ho parlato ai rispettivi link.
Augusto Caminito è il regista "ufficiale" e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Napoli, ha diretto film come Grandi cacciatori. Anche produttore, ha 80 anni.
Barbara De Rossi interpreta Helietta Canins. Nata a Roma, la ricordo per film come Caramelle da uno sconosciuto inoltre ha partecipato a serie TV quali La piovra. Ha 59 anni.
Narra la leggenda che Klaus Kinski abbia litigato fin dal primo giorno con il regista Mario Caiano, rifiutando di lavorare con lui e costringendo Caiano ed andarsene dal set. Il regista è stato così rimpiazzato da Augusto Caminito, produttore del film, il quale, non avendo esperienza di regia, è stato aiutato dall'assistente Luigi Cozzi e in alcuni casi persino dallo stesso Kinski (dopo avere, per inciso, assunto e licenziato prima Maurizio Lucidi e poi Pasquale Squitieri). Il vecchio Klaus ha fatto licenziare anche Amanda Sandrelli, scritturata per il ruolo di Maria Canins che è poi finito a Anne Knecht, capitata sul set per caso e finita, ahilei, ignuda tra le braccia di Klaus. Detto questo, Nosferatu a Venezia avrebbe dovuto essere il seguito di Nosferatu il principe della notte quindi se malauguratamente vi fosse piaciuto recuperate il film di Herzog. ENJOY!
Trama: Nosferatu viene evocato da una seduta spiritica e si ripalesa a Venezia, dove ricomincia a mietere vittime...
Mi era capitato di vedere Nosferatu a Venezia verso la fine degli anni '90, dopo aver letto l'ormai famigerata classifica dei 100 film peggiori di sempre stilata dalla rivista Ciak. Ovviamente, ammorbo e disgusto mi avevano sconfitta e all'epoca avevo giurato di non rivedere MAI più un simile abominio. Da qualche tempo, però, Mirco palesa la voglia di guardare il Nosferatu di Herzog, spinto dall'amore per questo sketch. Purtroppo, non dispongo del DVD e trovarlo on line è un po' arduo, quindi ci siamo rivolti a Youtube dove, ahimé, c'è solo una versione in inglese... e anche Nosferatu a Venezia, che ha attirato l'attenzione di Mirco per la presenza di Klaus Kinski. Ho provato a dirgli che il film di Caminito è orrendo, inguardabile e noioso ma niente, non c'è stato verso. Quindi, eccoci qui. Nosferatu a Venezia avrebbe dovuto essere il sequel di Nosferatu ma tra le intemperanze di Kinski e una serie di casini in fase produttiva, è uscito fuori questo ibrido inguardabile tra un "horror" e un filmetto erotico, dove Nosferatu viene richiamato a Venezia in maniera alquanto improbabile da una seduta spiritica mentre si trova (credo, che mica si capisce) a passare l'eternità nel Mato Grosso o in qualche altra amena località equatoriale. In quella, cicciano fuori eventi legati a una famiglia di ricconi già piagati in passato dalla presenza "iniqua" di Nosferatu, reo di aver vampirizzato una principessa e impalato un prete/scimmia urlatrice, ed è proprio per mettere a tacere delle semplici "voci" che i membri di questa famiglia di dementi decidono di chiamare il massimo esperto in vampirismo di tutto il mondo, scatenando nuovamente il lussurioso vampiro. Quest'ultimo, non pago di avere a disposizione la discendente della principessa da prosciugare e tucchignare in maniera laida, decide di bombarsene almeno altre tre e di rubare la verginità dell'ultima per liberarsi dalla maledizione dell'eternità (comodo, nevvero?), mentre gli uomini della famiglia rimangono con un palmo di naso, tra chi pensa di trovarsi davanti un cinghiale più che Nosferatu, chi accetta con sportività la propria natura di ameba inutile e si getta nel Canal Grande, chi per non sbagliare fa la figura del cioccolataio fin dal minuto 5 (ciao, Donald Pleasance!).
Per citare l'articolo di Ciak, "Kinski vaga per le calli veneziane con un'orrida parrucchetta color stoppia in testa" ed è fondamentalmente quello che succede per buona parte del film, cosa che costringe lo spettatore a subire carrellate su carrellate di calli, canali e tristi figuri in abito carnevalesco, fiaccate da una fotografia nebulosa, bluastra, ammorbante. E' sempre giorno, palesemente, in Nosferatu a Venezia, il che rende inutile i patetici tentativi di Maria di tirare le tende poco prima di venir deflorata dal vampiro, ché tanto quest'ultimo gira quando vuole manco fosse un Edward Cullen qualsiasi, ma è un giorno perennemente nebbioso e triste, triste da morire. Triste quanto la presenza di Christopher Plummer e Donald Pleasence, il primo ingessato nel ruolo di sedicente esperto di vampiri perennemente turlupinato da Nosferatu, il secondo nei panni di un prete da operetta che mangia, beve di lungo e arriva con un utilissimo "La Chiesa proibisce le sedute spiritiche" proprio nel corso della seduta stessa, venendo trattato con la stessa considerazione che si riserverebbe a Massimo Boldi durante la Notte degli Oscar, anzi, anche meno. In tutto questo, neanche a dirlo, Kinski (in veste di star e soprattutto, non accreditato, di regista e capricciosissimo deus ex machina dell'intera "opera") ottiene invece quello che vuole da questo genere di succidi personaggi: quando non gira per le calli con la faccia di chi non ha voglia di stare al mondo, si struscia sul corpo di belle fanciulle seminude, dando al morso importanza quasi nulla e concentrandosi maggiormente sulle generose palpate sul seno delle attrici (e anche peggio, a quanto si legge QUI e QUI) che, poverine, mi sono ritrovata a compiangere più di quanto non avessi fatto vent'anni fa. Al disgusto per il film si è infatti accompagnato il disgusto per l'empio e folle Klaus, cose che mi porta ancora più a sconsigliare Nosferatu a Venezia e a maledire il giorno in cui ne sono venuta a conoscenza. Eew.
Di Klaus Kinski (Nosferatu), Christopher Plummer (Professor Paris Catalano) e Donald Pleasence (Don Alvise) ho parlato ai rispettivi link.
Augusto Caminito è il regista "ufficiale" e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Napoli, ha diretto film come Grandi cacciatori. Anche produttore, ha 80 anni.
Barbara De Rossi interpreta Helietta Canins. Nata a Roma, la ricordo per film come Caramelle da uno sconosciuto inoltre ha partecipato a serie TV quali La piovra. Ha 59 anni.
Narra la leggenda che Klaus Kinski abbia litigato fin dal primo giorno con il regista Mario Caiano, rifiutando di lavorare con lui e costringendo Caiano ed andarsene dal set. Il regista è stato così rimpiazzato da Augusto Caminito, produttore del film, il quale, non avendo esperienza di regia, è stato aiutato dall'assistente Luigi Cozzi e in alcuni casi persino dallo stesso Kinski (dopo avere, per inciso, assunto e licenziato prima Maurizio Lucidi e poi Pasquale Squitieri). Il vecchio Klaus ha fatto licenziare anche Amanda Sandrelli, scritturata per il ruolo di Maria Canins che è poi finito a Anne Knecht, capitata sul set per caso e finita, ahilei, ignuda tra le braccia di Klaus. Detto questo, Nosferatu a Venezia avrebbe dovuto essere il seguito di Nosferatu il principe della notte quindi se malauguratamente vi fosse piaciuto recuperate il film di Herzog. ENJOY!
mercoledì 24 giugno 2015
Bollalmanacco On Demand: Paganini (1989)
"Fuggire da Niccolò è fuggire dalla vita"
E allora fatemi morire, vi prego!!!!
Prima lo pensavo e basta. Ora sono STRAsicura che Obsidian mi odii. Non ci sono altre spiegazioni plausibili alla sua richiesta di vedere recensito per il Bollalmanacco On Demand un orrore inenarrabile come Paganini, scritto diretto ed interpretato nel 1989 da Klaus Kinski... tra l'altro dopo avermi già chiesto Monster Dog - Il signore dei cani!!! Ma che t'ho fatto, Obsidian??? Fortunatamente c'è anche chi mi vuole bene: il prossimo film On Demand sarà infatti Tutto su mia madre. ENJOY!
Trama: Niccolò Paganini, violinista genovese, passa l'esistenza suonando e copulando, fino al sopraggiungere della morte per presunta tubercolosi.
Se una persona che non è proprio l'ultimo dei registi, nella fattispecie Werner Herzog, davanti allo script di un vostro film rifiutasse di dirigerlo dichiarandolo "infilmabile", vi porreste due domande e chinereste il capo promettendo di non importunarlo mai più nonostante l'amicizia che vi lega a lui oppure ve ne battereste allegramente la ciolla del suo giudizio e vi armereste di cinepresa e tanta voglia di fare (male)? Molto probabilmente la vostra risposta sarebbe "la prima che hai detto" ma Kinski, per sfortuna mia e di chi è incappato in Paganini, non era un uomo normale. Non poteva fare come tutti e andare a zoccole per sfogare la sua libido, no, doveva metter su quest'orrendo pasticcio per mettere le mani su due tette e due culi, appagando un ego contorto che è riuscito ad annullare ogni confine tra la sua vita e quella del violinista genovese, creando uno dei film più brutti e inutili che abbia mai avuto l'onEre di vedere. Dico "inutili" perché Paganini non insegna nulla a chi, come me, non sa niente della vita del musicista e molto probabilmente risulterà indigesto anche a chi è esperto dell'argomento; Klaus si concentra infatti solo su due aspetti fondamentali (a parer suo) della vita dell'artista e cioé che era un puttaniere, avaro, zozzo, suCCido della peggior specie ma era anche un virtuoso della musica che, nonostante tutti i suoi difetti, voleva tantissimo bene a suo figlio. Questa dicotomia da il La ad un'aberrante alternanza di scene semi-porno (due cavalli si ingroppano mentre una tizia si "trastulla" in carrozza pensando a Paganini, per dirne una) e noia mortale, patate al vento e violini che suonano, carezzine ai bambini e palpatone a vajasse bionde, e così via, per un'ora e venti. Buttata nel cesso, ça va sans dire. L'orripilio della sceneggiatura, già raffazzonata e strutturata a mo' di stream of consciousness, deriva al 90% dal fatto che Klaus non prova neppure a rendere Paganini non dico accattivante o simpatico ma perlomeno degno di pietà o, meglio, ci prova ma nei modi peggiori: quando il personaggio viene accusato di pedofilia, il buon Kinski decide di mostrarci un branco di bambine che invece di fuggire schifate invidiano la coetanea concupita dal "mostro" (!!) e anche un vecchio giudice che non si capisce bene se sia schifato all'idea oppure se lo invidii per aver stuprato, costretto a soffoconare, messo incinto, ucciso e ri-violentato mezzo mondo dopo aver sparso sifilide ovunque.
I dialoghi, neanche a dirlo, non aiutano. Perle come "Suonando il membro di Paganini diventava eretto" oppure monologhi tipo "Sei così brutto... neanche mi piacevi... Fuggire da Niccolò è fuggire dalla vita", per concludere con uno "Sviolinami il culo" sono secondi solo alla tizia tredicenne che urla a Paganini "ancora, ancora non te ne andare ti prego!!!" mentre i genitori stanno salendo le scale pronti ad ucciderlo (lui ovviamente invece di scappare se la ricopula. A tredici anni io giocavo ancora con le Barbie, questa che a rigor di logica dovrebbe essere vergine urla come l'ultima delle pucchiacche invocando l'uccello di fuoco. Ma scherziamo??? Tra l'altro tra le braccia di uno che, per parafrasare l'ennesimo, meraviglioso dialogo, "va in giro da 30 anni con lo stesso frac". Ewww.). So che ora vi chiederete se almeno la regia è bella ma mi spiace deludervi. Klaus aveva a disposizione delle location della Madonna, Venezia su tutte, e le ha sprecate senza pudore perché non c' una sola immagine messa a fuoco, dritta, ferma o illuminata dalla giusta luce (tranne per i primi piani delle donne che all'inizio orgasmano ascoltando Paganini. Quelli sono perfetti). Va bene lo sperimentalismo ma a tutto c'è un limite, santo Cielo! Se volete che spari ancora sulla Croce Rossa potrei dirvi che Kinski ha scelto una rosa di attrici tra le migliori in assoluto: c'è Eva Grimaldi nella parte della sorella di Bonaparte, una "puttana" (parole di Klaus) che va in giro preventivamente smutandata per meglio fucilare Paganini, la Caprioglio che aveva 21 anni ma ne dimostrava 12 e Kinski se lo copulava davvero, diocheorrore! e persino la Rettore con un fastidiosissimo accento veneto. In mezzo a questa MMerda si salva solo il povero Nikolai Kinski, costretto da copione a recitare la parte del povero bambino orfano di madre e subissato dall'affetto di Paganini (per inciso, Klaus è più inquietante quando prova a fare il bravo papà che quando violenta inermi benché vogliose fanciulle), anche perché Klaus, per annichilire definitivamente lo spettatore, nella versione italiana si è doppiato da solo, con ovvi e ridicoli risultati. "Paganini vi saluta. Andate a casa, a cena." E dopo tutto 'sto ciarpame, con l'ultimo, acutissimo assolo di violino, i marroni dello spettatore esplodono in un florilegio di camurrìa. Obsidian, l'ho già detto che troverò il modo di vendicarmi?
| La disperazione. Mia. Dello spettatore. Del gatto per aver partecipato a questo abominio. |
Debora Caprioglio (accreditata come Debora Kinski in quanto all'epoca fidanzata col regista) interpreta Antonia Bianchi. Veneziana, la ricordo per film come La maschera del demonio, Paprika, Saint Tropez, Saint Tropez e per la serie Provaci ancora prof!. Ha 47 anni.
Nel cast ci sono anche Nikolai Kinski, figlio di terzo letto di Klaus, che interpreta il piccolo Achille Paganini, Dalila Di Lazzaro (che è segnata come Helene Von Feuerbach e non ho capito se sia la tizia che si trastulla in carrozza pensando a Paganini oppure la tizia nuda che si vede a un certo punto durante un flashback/visione), una giovanissima Tosca D'Aquino (Angiolina Cavanna), la già citata Eva Grimaldi nei "panni" di una raffinatissima Maria Anna Elise Bonaparte, il francese Bernard Blier in quelli del prete e persino il famosissimo mimo Marcel Marceau che imita Paganini. Per la cronaca, questo è stato il film con cui Klaus Kinski si è congedato dal pubblico prima di venire stroncato da un infarto due anni dopo; non riesco ad immaginare modo peggiore di farlo e neppure che Paganini possa esservi piaciuto ma se siete curiosi di approfondire la figura del suo peculiare creatore recuperate Kinski, il mio nemico più caro, documentario di Werner Herzog. ENJOY!
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domenica 26 aprile 2015
Bolle di ignoranza: Fruits of Passion (1981)
Torna la rubrica Bolle di Ignoranza, dove si parla essenzialmente di quei film che, per un motivo o per l’altro, non ho seguito come si deve, non ho avuto cuore di finire e non penso di recuperare per una seconda visione, soprattutto in questo caso particolare. In realtà questo post nasce per sfida, dal momento che chi ha avuto la sfortuna di incappare in questo “capolavoro” assieme a me ha esclamato “Ma mica lo recensirai sul blog, dai!!”. Ma come no?! State pronti al resoconto ignorante della mezza, scioccante visione di Fruits of Passion (Les fruits de la passion) diretto nel 1981 dal regista Shuji Terayama.
Trama: per provare il suo amore ad un uomo ben più anziano di lei, una ragazza accetta di andare a lavorare in un bordello cinese mentre lui, per torturarla ulteriormente, si lega a un’altra donna…
Il karma esiste. Qualche sera fa la TV era accesa e io, credendo di giocare un tiro mancino al mio compagno di visione (che d’ora in poi chiamerò Vittima) e costringerlo a beccarsi almeno una scena horror/splatter per non farlo dormire la notte, gli ho chiesto di cambiare canale e mettere su Cielo. Ovviamente, intendevo MTV o Italia 2, le due reti che solitamente al sabato deliziano lo spettatore con qualche supercazzola horror ma, come ho detto all’inizio, karma. Mi volto verso lo schermo col sorriso bastardo di chi già pregusta il godimento orrorifico e rimango di sale nel trovarmi davanti non già una testa mozzata, bensì una patata. E quando dico patata, non intendo un tubero. Ignoro lo “ah, peròòò!!!” di Vittima e mi avvicino rapida al telecomando per togliere l’immondo segno XXX nella parte alta dello schermo, mentre il piccolo membro del MOIGE che è in me urla furente “Sono le 21.30! I bambini! Perché non pensate ai bambiiiniii??”, quand’ecco che sullo schermo compare LUI. Klaus. Kinski. Con un’orrida parrucchetta giallo paglierino, un ventaglio e la faccia schifata di chi ha mangiato un chilo di letame. Il membro del MOIGE viene zittito dalla mia parte cinefila/trashofila, che subito fa scattare la ricerca su Imdb: Fruits of Passion, DRAMMATICO, di tale Shuji Terayama. E sì, quello è proprio Kinski. Quello che adesso si sta bombando, come se non ci fosse un domani ma sempre con la stessa faccia di chi ha mangiato un chilo di letame, una cavallona bionda (o si dice Wacca?) che sembra non averne mai preso uno in vita sua. Eeeew. (intanto Vittima, in barba alla mia cinefilia, è sempre più interessato all’opera, ma per altri motivi) Sicura di avere trovato IL film trash per eccellenza, rimango ancor più basita leggendo le recensioni dei vari utenti di Imdb che, forse per giustificare la tendinite seguita alla visione di siffatto capolavoro, ne magnificano la fotografia, la regia eclettica, persino la commozione suscitata in loro dalla storia di O. Storia di…? Dove ho già sentito questo titolo...? Mah. Bando alle ciance, gli utenti di Imdb potranno dire quel che vogliono ma questo è un soft core con velleità autoriali. E Kinski. Dai che ti ridai (come peraltro sta facendo Kinski. Eww) tutto questo bailamme di informazioni e disgustata fascinazione, per non parlare della natura giapponotta dell'opera, mi inchioda in poltrona per un’ora buona e io rimango lì, incapace di distogliere lo sguardo finché il disgustorama finale, condiviso da Vittima, non ha portato entrambi a spegnere la TV e giocare alla X-Box.
Questo, ovviamente, era il preambolo. Segue ora il brevissimo resoconto dell’ “ora buona di disgustata fascinazione” e il mio enorme fangool agli utenti onanisti di Imdb. In pratica, c’è questa tizia francese perennemente nuda (salvo quando deve uscire di cas.. ehm, di bordello) che, con la morte nel cuore, la lacrima nell’occhio come Demetan, l’occhio spento e il viso di cemento, SCEGLIE di andare a lavorare in un bordello gestito da un travone, zeppo di prostitute cinesi una più caso umano dell'altra e, quel che è peggio, di vecchi, bavosissimi clienti gialli, solo per compiacere Klaus. Che passa tutto il tempo a fare il guardone, bombarsi donne (eew), sventolarsi col ventaglio e concertare inenarrabili “torture” psico-erotiche nei confronti di questa povera demente perennemente con la patata al vento (dico, ma un raffreddore mai?). Siccome pareva brutto far vedere solo (mostruosa) gente nuda che tromba, Fruits of Passion pensa bene di darsi un tono e aggiungere elementi di politica rivoluzionaria (!), la morte che si aggira per le strade (!!), visioni di infanzie spezzate racchiuse all’interno di un onnipresente rettangolo (!!!), immagini di uccelli morti nel fiume, a simboleggiare l’innocenza perduta (!!!!), insomma roba che avrebbe tratto in inganno solo il Von Trier di Nymphomaniac. E sì, non nego che i colori, la fotografia e alcune scelte “autoriali” in fase di scrittura e regia siano inusitatamente curate per questo genere di film ma, sinceramente, prima di arrivare anche solo lontanamente a PENSARE di considerarli elementi fondamentali per la pellicola devo dimenticare:
- Klaus Kinski e la sua parrucchetta gialla.
- La protagonista che viene “adoperata” da un vecchio rachitico sopra una giostra a forma di papero (sic) prima di cadere addormentata (o forse le si spegne il cervello, chissà. La cavallona bionda bombata da Kinski ha parlato di "incredibile godimento" ma, come direbbe l'onorevole Razzi, "io, questo, non creTo").
- Klaus Kinski e il suo ventaglio.
- La protagonista che piange, piange, piange di lungo, piange come un vitello e sospira per Klaus, profondendosi in un continuo, tediosissimo monologo interiore che si poteva tranquillamente riassumere in “Io lo amo, lui non mi vuole anche se farebbe schifo al porco, sono forse scema?” Risposta: sì.
- Klaus Kinski che bomba “cose” indossando orridi pedalini bianchi.
- L’apice del disgusto: il primo piano della protagonista che chupa con la morte nel cuore (e non solo) un vecchio cinese laido, macellaio e pure “puzzolente di sangue” mentre Kinski guarda l'orrenda imago compiaciuto o, meglio, col solito scazzo. E questo è stato il punto di non ritorno che ci ha portati a decidere che era meglio giocare alla X-Box.
Non ho guardato 'sta monnezza fino alla fine quindi no, non so se alla fine O ha coronato il suo terrificante sogno d'amore col vecchio Klaus. Se dovessi fare previsioni d'accatto, secondo me Fruits of Passion finisce con lui che viene ucciso dal ragazzino innamorato di O e lei che si suicida per la disperazione, ma anche no, cazzumene. E ribadisco, soprattutto: eeeeeeew!
| La locandina meno z0zza che ho trovato |
| Dietro c'è il ritratto di un goblin. Ma forse è sempre Klaus. |
| La poesia. L'arte. L'assenza di tuberi. |
- Klaus Kinski e la sua parrucchetta gialla.
- La protagonista che viene “adoperata” da un vecchio rachitico sopra una giostra a forma di papero (sic) prima di cadere addormentata (o forse le si spegne il cervello, chissà. La cavallona bionda bombata da Kinski ha parlato di "incredibile godimento" ma, come direbbe l'onorevole Razzi, "io, questo, non creTo").
- Klaus Kinski e il suo ventaglio.
- La protagonista che piange, piange, piange di lungo, piange come un vitello e sospira per Klaus, profondendosi in un continuo, tediosissimo monologo interiore che si poteva tranquillamente riassumere in “Io lo amo, lui non mi vuole anche se farebbe schifo al porco, sono forse scema?” Risposta: sì.
- Klaus Kinski che bomba “cose” indossando orridi pedalini bianchi.
- L’apice del disgusto: il primo piano della protagonista che chupa con la morte nel cuore (e non solo) un vecchio cinese laido, macellaio e pure “puzzolente di sangue” mentre Kinski guarda l'orrenda imago compiaciuto o, meglio, col solito scazzo. E questo è stato il punto di non ritorno che ci ha portati a decidere che era meglio giocare alla X-Box.
Non ho guardato 'sta monnezza fino alla fine quindi no, non so se alla fine O ha coronato il suo terrificante sogno d'amore col vecchio Klaus. Se dovessi fare previsioni d'accatto, secondo me Fruits of Passion finisce con lui che viene ucciso dal ragazzino innamorato di O e lei che si suicida per la disperazione, ma anche no, cazzumene. E ribadisco, soprattutto: eeeeeeew!
| Riassunto per immagini delle scene clou. |
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