Nonostante il trailer non mi avesse detto granché, ho comunque recuperato Che fine ha fatto Bernadette? (Where'd You Go, Bernadette?), diretto e co-sceneggiato dal regista Richard Linklater partendo dal romanzo omonimo di Maria Semple.
Trama: Bernadette, moglie, madre ed ex architetto in profonda crisi creativa, deve affrontare la sua condizione di reclusa volontaria e far ripartire la sua vita...
Come ho scritto sopra, il trailer di Che fine ha fatto Bernadette? non mi aveva invogliata molto, ma siccome Cate Blanchett ha ricevuto una nomination ai Golden Globe ed è un'attrice che solitamente adoro veder recitare, ho deciso di dare comunque una chance al film. Non me ne sono pentita, perché Che fine ha fatto Bernadette? non è per nulla malvagio, tuttavia è una di quelle opere che, per funzionare e diventare indimenticabile, avrebbe dovuto finire tra le mani di Wes Anderson, non di un Linklater in versione anonima. I personaggi, infatti, hanno tutte le caratteristiche tanto amate dal regista di Houston, soprattutto quello principale: Bernadette è un architetto geniale, vive in un ex collegio cattolico femminile che sta cadendo in rovina, è piena di tic e fobie che le impediscono di avere una vita normale, detesta la gente ma ha una figlia che la adora, è piagata da un passato di frustrazione professionale che non riesce a superare. Basterebbe questo a farla diventare un membro onorario de I Tenenbaum, per dire, e non è meno atipico il metodo scelto per riprendere tra le mani le redini della sua vita, ovvero una fuga in Antartide, probabilmente il luogo meno ospitale del mondo. Eppure, con tutto questo, parrebbe quasi di guardare un film perfetto per i pomeriggi di Canale 5 o Rete 4, con l'unica differenza che sì, Cate Blanchett è davvero brava e si è palesemente divertita un mondo a interpretare la "strana" Bernadette, riuscendo allo stesso tempo a conferire una dimensione umana a un personaggio con il quale è difficile relazionarsi al 100%, come dimostra il marito ormai incerto sulla natura della donna che ha sposato.
Il problema di fondo di Che fine ha fatto Bernadette, comunque, è proprio questo: il divertimento. La malattia di Bernadette non è così sciocca e banale: parliamo di una donna che ha vissuto per anni una carriera frenetica all'apice del successo e che ha finito per svuotarsi, per rinnegare il suo lato creativo diventando così una persona prona alla depressione e incapace di relazionarsi con altri che non siano la sua paziente, giovane figlia. La questione della malattia mentale viene trattata invece come un gioco, un plot device facile da superare con una fuga rocambolesca e un'ancor più rocambolesca arrampicata verso la libertà e il ritorno della creatività a lungo rifiutata. Il dramma umano di Bernadette rischia di passare completamente inosservato, sviscerato com'è in 5 minuti di monologo davanti a un attonito Laurence Fishburne oppure confidato dal marito a una psichiatra che si perde nel mucchio di guest star, e quello che rimane di Che fine ha fatto Bernadette? è semplicemente l'idea di una simpatica, eccentrica matta con qualche problemino di comunicazione e tutti i soldi che vuole per risolverli nel modo più atipico possibile, abbracciando un happy ending scontato che consolerà tutta la famiglia (per dire, nel romanzo si parla di una relazione tra il marito di Bernadette e la sua assistente, cosa che nel film è completamente assente, e il finale mi pare abbastanza "sospeso"). E' vero, le tragedie e la serietà a tutti i costi non sempre pagano, soprattutto in questi tempi così pessimisti, ma lo stesso vale per la volontà di essere leggerini a sproposito; non ho letto il romanzo di Maria Semple e magari poi il tono dell'opera cartacea è simile a quello del film, ma riguardo a quest'ultimo devo ammettere che l'avrei preferito un po' meno confuso sul registro da utilizzare, con buona pace di una Blanchett comunque bravissima.
Del regista e co-sceneggiatore Richard Linklater ho già parlato QUI. Kristen Wiig (Audrey), Cate Blanchett (Bernadette Fox), Billy Cudrup (Elgie Branch), Judy Greer (Dr. Kurtz), Laurence Fishburne (Paul Jellinek), Megan Mullally (Judy Toll) e Steve Zahn (David Walker) li trovate invece ai rispettivi link.
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martedì 17 dicembre 2019
venerdì 17 novembre 2017
Madre! (2017)
Finalmente, ce l'ho fatta. A Savona è arrivato Madre! (Mother!) per soli due giorni e non me lo sono lasciato scappare. Ce l'avrà fatta Darren Aronofsky, regista e sceneggiatore del film, a convincermi o anche io sono dovuta fuggire urlando come mezzo pubblico di Venezia? Segue post brevissimo, sconclusionato e senza spoiler!
Trama: un uomo e una donna, marito e moglie, vedono la tranquillità della loro dimora in ricostruzione distrutta dall'arrivo di due perfetti sconosciuti. E se il marito, chissà perché, li accoglie con gioia, la vita della moglie si trasforma in un abisso di inquietudine...
L'ho scritto su Facebook, lo ribadisco qui: Madre! non l'ho capito ma è un film spettacolare. Non avendolo capito mi sembra inutile dare un'interpretazione di ciò che ho visto, posso solo supporre come faceva Bellosguardo in Robin Hood un uomo in calzamaglia e rendere il mio post delirante quanto il girato di Aronofsky, come se la cosa fosse possibile. Come uno stregone nemmeno più tanto apprendista, il regista ha buttato nel calderone qualunque cosa gli venisse in mente (probabilmente anche qualche droga, la stessa polverina dorata che assume la Lawrence nel corso del film, chissà...) e il risultato è un Roba da matti elevato alla millesima potenza, la madre di tutti gli home invasion, una commedia grottesca che è anche dramma, horror, film di guerra, distopia apocalittica, approfondimento psicologico, mancavano solo i cartoni animati. Se io sono arrivata alla macchina, dopo la visione, col cuore che mi batteva a tremila e nella notte ho metabolizzato quanto ho visto piazzando il faccione di Javier Bardem su un Negan di The Walking Dead che imprigionava e vessava me e i miei genitori, vuol dire che qualcosa di Madre! ha superato il muro dei 3/4 film visti a settimana per concretizzarsi in un diamante screziato di rosso posto proprio nel centro del mio cervello malato e tormentarmi nell'inconscio. Quel che ho visto è la realtà del mondo in cui viviamo rinchiusa tra le mura di una casa impossibile da proteggere o rendere perfetta, per quanto lo vogliamo: la casa siamo noi, siamo noi la Lawrence pronti a dare, dare per amore e a sanguinare quando quello che diamo non basta mai, ma siamo anche Bardem, pronti a prendere ignorando per egoismo le suppliche di chi amiamo di più, non per cattiveria ma solo perché è più comodo concentrarsi su ciò che desideriamo NOI, siamo gli invasori che arrivano e non capiscono che la casa non è loro, madre non è loro, il bambino non è loro, Lui non è loro, ma piuttosto che portare via le balle da posti dove non dovrebbero neppure mettere piede, spadroneggiano e fanno i cafoni come se tutto fosse loro dovuto. Ed è riflettendo su quest'ultimo punto che Madre! è diventato, almeno per me, la metafora devastante di un mondo sovrappopolato da minchie di mare che sta esplodendo sotto il peso della nostra stessa stupidità e desiderio di possesso o affermazione perché non importa quanto la Terra ci offra, non sarà mai abbastanza, ci saranno sempre litigi, guerre, distruzione e la ferma volontà di distruggere più che di ricostruire. E così da millenni, in un loop continuo da cui nessuno sembra in grado di uscire.
Attraverso la rappresentazione di concetti biblici quali Madre Terra, un Dio che offre a tutti parole vuote e false speranze, un Adamo e una Eva che arrivano a distruggere l'Eden mandando in pezzi il frutto proibito e un Caino e Abele che causano ancora più casino, Aronofsky ci prende a schiaffi con due ore di immagini splendide, incubi ad occhi aperti e quel terrificante incubo finale al cardiopalma dove, davvero, non sapevo se ridere (la situazione descritta ha del tragicomico) o piangere (Bardem a tratti fa paura mentre la Lawrence spezza il cuore e voi sapete quanto non sopporti JLaw ma diamine qui è perfetta), frastornata com'ero dalla cacofonia di violenza, esplosioni, sangue, morte e urla che è l'ultima mezz'ora di film, il punto esclamativo della Madre! L'ironica canzone dei titoli di coda e il silenzio che ne segue sono quasi un balsamo per le orecchie perché a un certo punto, davvero, avrei voluto fare come la protagonista e nascondermi in un luogo buio e silenzioso, un posto solo mio dove fermarmi, riflettere, tirare il respiro, cercare di capire PERCHE'. Invece mi sono ritrovata in una sala gremita di gente (anche se io sono andata al cinema da sola stavolta), divertita all'idea di osservare, non vista, le facce di chi è uscito da una visione simile: chi s'è bellamente addormentato a metà arrivando persino a russare (mi sembrava tanto anziano, lo perdono. Anzi, ero così presa dalla paranoia del film che ho temuto i suoi fossero rantoli di morte, mannaggiallui), chi se la rideva della grossa cercando di spiegare alla vicina che lui BAH!, ne ha visti a pacchi di film così, chi scuoteva la testa, chi si guardava intorno perplesso non sapendo bene come reagire. Ecco, io faccio parte dell'ultima categoria di persone. Le uniche cose certe dopo la visione di Madre! sono tre e su queste non transigo: 1) Ho visto un film che ricorderò finché campo e che riconferma il mio voler bene a Darren Aronofsky. 2) Passano gli anni ma Michelle Pfeiffer è una topa astrale alla quale JLaw non è neppure degna di baciare i piedi, elegante persino da ubriaca. That old beeyotch. Meow. 3) Sono innamorata di Domhnall Gleeson. Potrei anche aggiungere, ma probabilmente c'entra poco con la visione di Aronofsky, che l'unica cosa mal sopportata del film è l'idea di una maternità a tutti i costi, capace di rimettere a posto tutto, far tornare i sentimenti sopiti, illuminare d'immenso, riempire l'esistenza di felicità, poi però penso al finale e si riconferma la mia convinzione, ovvero "rimettere a posto tutto 'stacippa": se la vita di coppia fa schifo non c'è pargolo che tenga, mi spiace. Ah, ho già detto che Madre! è un film della Madonna?
Del regista e sceneggiatore Darren Aronofsky ho già parlato QUI. Jennifer Lawrence (Madre), Javier Bardem (Lui), Ed Harris (Uomo), Michelle Pfeiffer (Donna), Domhnall Gleeson (Figlio Maggiore) e Kristen Wiig (Araldo) li trovate invece ai rispettivi link.
Brian Gleeson interpreta il Fratello Minore. Figlio di Brendan Gleeson e fratello di Domhnall Gleeson, ha partecipato a film come Biancaneve e il cacciatore e Assassin's Creed. Irlandese, ha 30 anni e un film in uscita, Hellboy.
Se Madre! vi fosse piaciuto recuperate i film di Aronofsky di cui ho parlato, che trovate tutti QUI.
Trama: un uomo e una donna, marito e moglie, vedono la tranquillità della loro dimora in ricostruzione distrutta dall'arrivo di due perfetti sconosciuti. E se il marito, chissà perché, li accoglie con gioia, la vita della moglie si trasforma in un abisso di inquietudine...
L'ho scritto su Facebook, lo ribadisco qui: Madre! non l'ho capito ma è un film spettacolare. Non avendolo capito mi sembra inutile dare un'interpretazione di ciò che ho visto, posso solo supporre come faceva Bellosguardo in Robin Hood un uomo in calzamaglia e rendere il mio post delirante quanto il girato di Aronofsky, come se la cosa fosse possibile. Come uno stregone nemmeno più tanto apprendista, il regista ha buttato nel calderone qualunque cosa gli venisse in mente (probabilmente anche qualche droga, la stessa polverina dorata che assume la Lawrence nel corso del film, chissà...) e il risultato è un Roba da matti elevato alla millesima potenza, la madre di tutti gli home invasion, una commedia grottesca che è anche dramma, horror, film di guerra, distopia apocalittica, approfondimento psicologico, mancavano solo i cartoni animati. Se io sono arrivata alla macchina, dopo la visione, col cuore che mi batteva a tremila e nella notte ho metabolizzato quanto ho visto piazzando il faccione di Javier Bardem su un Negan di The Walking Dead che imprigionava e vessava me e i miei genitori, vuol dire che qualcosa di Madre! ha superato il muro dei 3/4 film visti a settimana per concretizzarsi in un diamante screziato di rosso posto proprio nel centro del mio cervello malato e tormentarmi nell'inconscio. Quel che ho visto è la realtà del mondo in cui viviamo rinchiusa tra le mura di una casa impossibile da proteggere o rendere perfetta, per quanto lo vogliamo: la casa siamo noi, siamo noi la Lawrence pronti a dare, dare per amore e a sanguinare quando quello che diamo non basta mai, ma siamo anche Bardem, pronti a prendere ignorando per egoismo le suppliche di chi amiamo di più, non per cattiveria ma solo perché è più comodo concentrarsi su ciò che desideriamo NOI, siamo gli invasori che arrivano e non capiscono che la casa non è loro, madre non è loro, il bambino non è loro, Lui non è loro, ma piuttosto che portare via le balle da posti dove non dovrebbero neppure mettere piede, spadroneggiano e fanno i cafoni come se tutto fosse loro dovuto. Ed è riflettendo su quest'ultimo punto che Madre! è diventato, almeno per me, la metafora devastante di un mondo sovrappopolato da minchie di mare che sta esplodendo sotto il peso della nostra stessa stupidità e desiderio di possesso o affermazione perché non importa quanto la Terra ci offra, non sarà mai abbastanza, ci saranno sempre litigi, guerre, distruzione e la ferma volontà di distruggere più che di ricostruire. E così da millenni, in un loop continuo da cui nessuno sembra in grado di uscire.
Attraverso la rappresentazione di concetti biblici quali Madre Terra, un Dio che offre a tutti parole vuote e false speranze, un Adamo e una Eva che arrivano a distruggere l'Eden mandando in pezzi il frutto proibito e un Caino e Abele che causano ancora più casino, Aronofsky ci prende a schiaffi con due ore di immagini splendide, incubi ad occhi aperti e quel terrificante incubo finale al cardiopalma dove, davvero, non sapevo se ridere (la situazione descritta ha del tragicomico) o piangere (Bardem a tratti fa paura mentre la Lawrence spezza il cuore e voi sapete quanto non sopporti JLaw ma diamine qui è perfetta), frastornata com'ero dalla cacofonia di violenza, esplosioni, sangue, morte e urla che è l'ultima mezz'ora di film, il punto esclamativo della Madre! L'ironica canzone dei titoli di coda e il silenzio che ne segue sono quasi un balsamo per le orecchie perché a un certo punto, davvero, avrei voluto fare come la protagonista e nascondermi in un luogo buio e silenzioso, un posto solo mio dove fermarmi, riflettere, tirare il respiro, cercare di capire PERCHE'. Invece mi sono ritrovata in una sala gremita di gente (anche se io sono andata al cinema da sola stavolta), divertita all'idea di osservare, non vista, le facce di chi è uscito da una visione simile: chi s'è bellamente addormentato a metà arrivando persino a russare (mi sembrava tanto anziano, lo perdono. Anzi, ero così presa dalla paranoia del film che ho temuto i suoi fossero rantoli di morte, mannaggiallui), chi se la rideva della grossa cercando di spiegare alla vicina che lui BAH!, ne ha visti a pacchi di film così, chi scuoteva la testa, chi si guardava intorno perplesso non sapendo bene come reagire. Ecco, io faccio parte dell'ultima categoria di persone. Le uniche cose certe dopo la visione di Madre! sono tre e su queste non transigo: 1) Ho visto un film che ricorderò finché campo e che riconferma il mio voler bene a Darren Aronofsky. 2) Passano gli anni ma Michelle Pfeiffer è una topa astrale alla quale JLaw non è neppure degna di baciare i piedi, elegante persino da ubriaca. That old beeyotch. Meow. 3) Sono innamorata di Domhnall Gleeson. Potrei anche aggiungere, ma probabilmente c'entra poco con la visione di Aronofsky, che l'unica cosa mal sopportata del film è l'idea di una maternità a tutti i costi, capace di rimettere a posto tutto, far tornare i sentimenti sopiti, illuminare d'immenso, riempire l'esistenza di felicità, poi però penso al finale e si riconferma la mia convinzione, ovvero "rimettere a posto tutto 'stacippa": se la vita di coppia fa schifo non c'è pargolo che tenga, mi spiace. Ah, ho già detto che Madre! è un film della Madonna?
Del regista e sceneggiatore Darren Aronofsky ho già parlato QUI. Jennifer Lawrence (Madre), Javier Bardem (Lui), Ed Harris (Uomo), Michelle Pfeiffer (Donna), Domhnall Gleeson (Figlio Maggiore) e Kristen Wiig (Araldo) li trovate invece ai rispettivi link.
Brian Gleeson interpreta il Fratello Minore. Figlio di Brendan Gleeson e fratello di Domhnall Gleeson, ha partecipato a film come Biancaneve e il cacciatore e Assassin's Creed. Irlandese, ha 30 anni e un film in uscita, Hellboy.
Se Madre! vi fosse piaciuto recuperate i film di Aronofsky di cui ho parlato, che trovate tutti QUI.
venerdì 1 settembre 2017
Cattivissimo me 3 (2017)
E con Cattivissimo me 3 (Despicable Me 3), diretto dai registi Kyle Balda, Pierre Coffin e Eric Guillon, si conclude la tripletta di novità viste questa settimana. Come sarà andata la rimpatriata con Gru e soci? Mah...
Trama: dopo essere stato licenziato dalla Lega Anti-Malvagi e aver perso il supporto dei Minion, Gru si riunisce al gemello perduto Dru, un ricchissimo allevatore di maiali che vorrebbe intraprendere la carriera di supercattivo.
Sono andata a vedere Cattivissimo me 3 con tre bambini (due cuginette e il Bolluomo, anche se quest'ultimo vi direbbe che la bambina ero io) e siccome era la prima volta che portavo al cinema con me le cuginette, rispettivamente di quasi 12 e quasi 9 anni, ero un po' nervosa e più che guardare il film ho cercato di capire se le piccole si stessero divertendo. La grande, più schiva e, per l'appunto, "adulta", ha riso ben poco mentre la piccola s'è divertita soprattutto davanti ai Minion o nei momenti di comicità più "fisica" però entrambe hanno detto che il film gli era piaciuto; il bambino Mirco, invece, mi ha confessato in privata sede di non aver trovato Cattivissimo 3 divertente come i film che lo hanno preceduto perché, a suo dire, "mancava qualcosa". Mettendo assieme queste tre opinioni e considerato che io ho riso come una matta solo davanti al baffuto e trashissimo Balthazar Bratt, posso dire che stavolta i signori della Illumination hanno un po' mancato l'obiettivo o, meglio, hanno raggiunto quello di fare ancora una volta soldi a palate ma dubito siano riusciti ad invogliare gli spettatori ad attendere un altro, inevitabile sequel della storia di Gru. Anche perché, ammettiamolo, non c'è più molto da dire in merito ed è qui che Mirco (e anche io) ha rilevato la "mancanza". Nel primo Cattivissimo Me il protagonista seguiva un percorso formativo che alla fine lo portava dall'essere cattivo all'essere buono e a trovare uno scopo nella vita, nel secondo capitolo Gru doveva invece fare i conti col suo nuovo stile di vita e scoprire l'amore; nel terzo episodio della saga non esiste invece un'evoluzione dei personaggi (se non contiamo i problemi materni all'acqua di rose di Lucy o la scoperta della disillusione da parte della piccola Agnes) e la trama conseguentemente si "siede", trasformandosi in una serie di gag e storie parallele malamente tenuta assieme da un debole filo conduttore, il gemello perduto Dru, personaggio tra il loffio e l'imbarazzante, sicuramente poco divertente sia per gli adulti che per i bambini i quali, in sostanza, vogliono solo i Minion. E qui casca l'asino perché gli esserini gialli si vedono davvero poco in Cattivissimo me 3, lasciando spazio alle vicende scioccherelle di tre bambine che in tre film non sono cambiate di una virgola e, peggio ancora, non vengono mai inserite costruttivamente all'interno della trama e si limitano a fare le damsel in distress della situazione. A dimostrazione di come gli sceneggiatori non sapessero proprio bene che pesci pigliare, basti solo dire che il Dottor Nefario è stato messo da parte grazie a un barbatrucco nerd che ben pochi bambini potranno capire e che la nuova capa della Lega Anti-Cattivi, introdotta con gran fanfara, scompare dopo un paio di minuti.
Il villain Balthazar Bratt è un altro punto a sfavore del divertimento dei più piccini. Benché io fossi piegata sulla poltrona dal ridere, il personaggio dell'ex bambino prodigio della TV non può necessariamente fare presa su un pubblico di giovanissimi, che al limite potranno trovarlo buffo per il suo aspetto. Come fanno creature dai sei ai quindici anni a capire che Balthazar Bratt è un povero sfigato ancorato alle mode di fine anni '80/inizio '90 e che proprio per questo è esilarante vederlo combattere sulle note di I'm Bad o Into the Groove oppure seguire i video di aerobica di Jane Fonda mentre parla con un robottino assai simile al vecchio Emilio? Persino il mullet coi baffoni sfoggiato dal villain, "impreziosito" da una bella chiazza pelata in cima alla capoccia, è geniale nella sua spietatezza. Eppure, giustamente, le mie cuginette lì non hanno riso e non capivano perché io mi sbellicassi. Cosa rimane quindi di universalmente apprezzabile in questo Cattivissimo me 3? Beh, a me è piaciuta molto la resa visiva del Paese inventato di Freedonia, dove vive Dru. Mix di Bavaria, Europa Orientale, Spagna, Francia, Italia e Grecia, la Freedonia è un posto vivace e zeppo di colori, un luogo suggestivo che ricorda mille immagini da cartolina e raccoglie in sé altrettanti stereotipi, il che probabilmente è anche un modo per mettere alla berlina l'ignoranza crassa degli americani. Altro punto a favore, ovviamente, i Minion. Proprio in virtù del poco tempo a loro disposizione, i creaturini gialli riescono a non nauseare lo spettatore e si fanno desiderare, cosa che li rende ancora più simpatici: certo, la sottotrama a loro dedicata non serve a un'emerita cippa ma è sempre divertente ascoltare Pierre Coffin esprimersi nel folle Minionese (cercando ovviamente di tradurlo) e assistere a numeri musicali sempre più elaborati, che vanno a incastrarsi alla perfezione in una colonna sonora deliziosa e zeppa di successi vintage. In soldoni, Cattivissimo me 3 è il secondo film MEH che vedo questa settimana: non è abbastanza brutto per odiarlo, né abbastanza bello per consigliarlo, a meno che non siate dei CattivissimoMe Addicted. In tal caso, che lo sforzo sia con voi, non sarò certo io a dissuadervi dall'andare al cinema.
Dei registi Kyle Balda e Pierre Coffin (anche doppiatore dei Minion) ho già parlato ai rispettivi link e lo stesso vale per Steve Carell (voce originale di Gru e Dru), Kristen Wiig (Lucy), Steve Coogan (Fitz/Silas Caprachiappa), Julie Andrews (Mamma di Gru) e Andy Nyman (Clive il robot).
Trama: dopo essere stato licenziato dalla Lega Anti-Malvagi e aver perso il supporto dei Minion, Gru si riunisce al gemello perduto Dru, un ricchissimo allevatore di maiali che vorrebbe intraprendere la carriera di supercattivo.
Sono andata a vedere Cattivissimo me 3 con tre bambini (due cuginette e il Bolluomo, anche se quest'ultimo vi direbbe che la bambina ero io) e siccome era la prima volta che portavo al cinema con me le cuginette, rispettivamente di quasi 12 e quasi 9 anni, ero un po' nervosa e più che guardare il film ho cercato di capire se le piccole si stessero divertendo. La grande, più schiva e, per l'appunto, "adulta", ha riso ben poco mentre la piccola s'è divertita soprattutto davanti ai Minion o nei momenti di comicità più "fisica" però entrambe hanno detto che il film gli era piaciuto; il bambino Mirco, invece, mi ha confessato in privata sede di non aver trovato Cattivissimo 3 divertente come i film che lo hanno preceduto perché, a suo dire, "mancava qualcosa". Mettendo assieme queste tre opinioni e considerato che io ho riso come una matta solo davanti al baffuto e trashissimo Balthazar Bratt, posso dire che stavolta i signori della Illumination hanno un po' mancato l'obiettivo o, meglio, hanno raggiunto quello di fare ancora una volta soldi a palate ma dubito siano riusciti ad invogliare gli spettatori ad attendere un altro, inevitabile sequel della storia di Gru. Anche perché, ammettiamolo, non c'è più molto da dire in merito ed è qui che Mirco (e anche io) ha rilevato la "mancanza". Nel primo Cattivissimo Me il protagonista seguiva un percorso formativo che alla fine lo portava dall'essere cattivo all'essere buono e a trovare uno scopo nella vita, nel secondo capitolo Gru doveva invece fare i conti col suo nuovo stile di vita e scoprire l'amore; nel terzo episodio della saga non esiste invece un'evoluzione dei personaggi (se non contiamo i problemi materni all'acqua di rose di Lucy o la scoperta della disillusione da parte della piccola Agnes) e la trama conseguentemente si "siede", trasformandosi in una serie di gag e storie parallele malamente tenuta assieme da un debole filo conduttore, il gemello perduto Dru, personaggio tra il loffio e l'imbarazzante, sicuramente poco divertente sia per gli adulti che per i bambini i quali, in sostanza, vogliono solo i Minion. E qui casca l'asino perché gli esserini gialli si vedono davvero poco in Cattivissimo me 3, lasciando spazio alle vicende scioccherelle di tre bambine che in tre film non sono cambiate di una virgola e, peggio ancora, non vengono mai inserite costruttivamente all'interno della trama e si limitano a fare le damsel in distress della situazione. A dimostrazione di come gli sceneggiatori non sapessero proprio bene che pesci pigliare, basti solo dire che il Dottor Nefario è stato messo da parte grazie a un barbatrucco nerd che ben pochi bambini potranno capire e che la nuova capa della Lega Anti-Cattivi, introdotta con gran fanfara, scompare dopo un paio di minuti.
Il villain Balthazar Bratt è un altro punto a sfavore del divertimento dei più piccini. Benché io fossi piegata sulla poltrona dal ridere, il personaggio dell'ex bambino prodigio della TV non può necessariamente fare presa su un pubblico di giovanissimi, che al limite potranno trovarlo buffo per il suo aspetto. Come fanno creature dai sei ai quindici anni a capire che Balthazar Bratt è un povero sfigato ancorato alle mode di fine anni '80/inizio '90 e che proprio per questo è esilarante vederlo combattere sulle note di I'm Bad o Into the Groove oppure seguire i video di aerobica di Jane Fonda mentre parla con un robottino assai simile al vecchio Emilio? Persino il mullet coi baffoni sfoggiato dal villain, "impreziosito" da una bella chiazza pelata in cima alla capoccia, è geniale nella sua spietatezza. Eppure, giustamente, le mie cuginette lì non hanno riso e non capivano perché io mi sbellicassi. Cosa rimane quindi di universalmente apprezzabile in questo Cattivissimo me 3? Beh, a me è piaciuta molto la resa visiva del Paese inventato di Freedonia, dove vive Dru. Mix di Bavaria, Europa Orientale, Spagna, Francia, Italia e Grecia, la Freedonia è un posto vivace e zeppo di colori, un luogo suggestivo che ricorda mille immagini da cartolina e raccoglie in sé altrettanti stereotipi, il che probabilmente è anche un modo per mettere alla berlina l'ignoranza crassa degli americani. Altro punto a favore, ovviamente, i Minion. Proprio in virtù del poco tempo a loro disposizione, i creaturini gialli riescono a non nauseare lo spettatore e si fanno desiderare, cosa che li rende ancora più simpatici: certo, la sottotrama a loro dedicata non serve a un'emerita cippa ma è sempre divertente ascoltare Pierre Coffin esprimersi nel folle Minionese (cercando ovviamente di tradurlo) e assistere a numeri musicali sempre più elaborati, che vanno a incastrarsi alla perfezione in una colonna sonora deliziosa e zeppa di successi vintage. In soldoni, Cattivissimo me 3 è il secondo film MEH che vedo questa settimana: non è abbastanza brutto per odiarlo, né abbastanza bello per consigliarlo, a meno che non siate dei CattivissimoMe Addicted. In tal caso, che lo sforzo sia con voi, non sarò certo io a dissuadervi dall'andare al cinema.
Dei registi Kyle Balda e Pierre Coffin (anche doppiatore dei Minion) ho già parlato ai rispettivi link e lo stesso vale per Steve Carell (voce originale di Gru e Dru), Kristen Wiig (Lucy), Steve Coogan (Fitz/Silas Caprachiappa), Julie Andrews (Mamma di Gru) e Andy Nyman (Clive il robot).
Eric Guillon è il co- regista della pellicola, alla sua prima esperienza. Probabilmente Francese, ha lavorato soprattutto come character designer nei film Cattivissimo me (e seguiti) e Lorax - Il guardiano della foresta.
Trey Parker è la voce originale di Balthazar Bratt. Co-creatore di South Park, ha lavorato soprattutto come doppiatore per lo show (sue le voci di Stan e Cartman, per esempio) e per altre serie quali Team America. Americano, anche musicista, sceneggiatore, produttore, animatore e regista, ha 48 anni.
Le voci italiane sono sempre quelle di Max Giusti per Gru/Dru e Arisa (bleagh!) per Lucy, alle quali si aggiunge quella di Paolo Ruffini che doppia invece Balthazar Bratt. Cattivissimo me 3 segue direttamente Minions, Cattivissimo me e Cattivissimo me 2 quindi se vi fosse piaciuto recuperate tutti i suoi "fratelli", nell'attesa che esca Minions 2 nel 2020 (bisogna aspettare un po' in quanto, come si evince dalla maglia indossata da Margo, il prossimo film della Illumination sarà una versione animata de Il Grinch, prevista per l'anno prossimo). ENJOY!
domenica 13 novembre 2016
Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia (2016)
Uscito sotto Halloween credo in cinque sale, con un bel divieto ai minori di 14 anni ma senza alcun clamore, è arrivato in Italia Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia (Sausage Party), diretto dai registi Greg Tiernan e Conrad Vernon e sceneggiato da gente del calibro di Seth Rogen, Evan Goldberg e Jonah Hill.
Trama: alla vigilia del 4 luglio, la salsiccia Frank e il panino Brenda aspettano solo di essere scelti dagli "Dei" umani per essere portati fuori dal supermercato, in un mondo migliore dove finalmente potranno consumare il loro amore. Purtroppo, ciò che attende il cibo fuori dal supermercato non è un destino gioioso...
E’ possibile che il senso dell’umorismo, così come i gusti, cambino ogni dieci anni? Me lo chiedo perché ai tempi di South Park – Più lungo, più grosso e tutto intero ricordo di essermi spanciata dalle risate e, magari in maniera più contenuta, è successo lo stesso anche guardando I Simpson – Il film, giusto per fare un esempio di lungometraggi dichiaratamente “per adulti”. Mettiamo un attimo da parte I Simpson, il cui umorismo col tempo si è fatto decisamente più “signorile” ed innocuo, ma il film di South Park, al netto di bestemmie e parolacce, era un trionfo di cattivo gusto, violenza e risate scatologiche, eppure quanto mi fa ridere ancora oggi (nonostante non segua la serie più o meno dai tempi del primo cambio di doppiatori)! Forse perché la creatura di Trey Parker e Matt Stone era uscita nel momento giusto, oppure perché per quanto presentasse un umorismo di grana grossa conteneva sempre qualche riferimento alla politica, allo spettacolo o al reale capace di scatenare il mio senso dell’assurdo ma sta di fatto che, come del resto succede anche con I Griffin, ancora non riesco a volere male a South Park, neppure quando tocca i più bassi livelli di becerume. Lo stesso, non riesco a voler male a “orsotto” Rogen, eppure Sausage Party, da lui co-sceneggiato assieme ad altri loschi figuri quali Evan Goldberg, Jonah Hill, Kyle Hunter ed Ariel Shaffir, è una belinata della peggior specie che mi lasciata spesso obnubilata all’interno di una coltre di perplessità oppure mi ha disgustata senza possibilità di recupero. Ho riso forse un paio di volte davanti all’epopea di Frank e Brenda, rispettivamente un wurstel e un panino da hot dog costretti ad affrontare la scomoda verità su ciò che si cela oltre le porte del supermercato che fa loro da casa. Il “great beyond” abitato dagli dei che scelgono la merce sugli scaffali è la promessa di una vita migliore e, soprattutto, della scopata tanto bramata da alimenti costretti a passare la loro breve esistenza stipati all’interno di involucri di plastica ma cosa succede quando gli dei (ovvero noi voraci esseri umani e sì, vegani, ce n’è anche per voi, mi dispiace!) si rivelano essere dei mostri “cannibali” capaci solo di dare la morte per i propri scopi egoisti? L’idea di base, effettivamente, ha un che di geniale, e il ribaltamento di punti di vista che trasforma un semplice scontro tra carrelli in un disaster movie zeppo di vittime o una cena in un horror-splatter sono i punti più alti della pellicola, assieme ovviamente ad una certa fantasia nel trasformare il supermercato in una sorta di megalopoli dove ogni genere alimentare ha il suo quartiere ben definito tutto da esplorare; non disprezzabile è anche una critica di tipo “religioso”, dove ci si fa beffe del desiderio di credere a tutti i costi in un piano divino o nelle punizioni per i propri peccati, anche quando gli dei si rivelano essere nient’altro che pie illusioni. Eppure, con tutto questo, mi sono ritrovata al massimo a sorridere con indulgenza.
Greg Tiernan è il co-regista della pellicola, inoltre presta la voce alla Patata e ai Noodles. Irlandese, ha diretto parecchi episodi della serie Il trenino Thomas. Anche animatore e doppiatore, ha 51 anni.
Al festival South By Southwest è stata proiettata una versione non ancora definitiva del film, contenente una scena che avrei molto apprezzato, magari dopo i titoli di coda; in essa, Seth Rogen, Michael Cera ed Edward Norton vengono attaccati dalle loro controparti animate mentre, seduti in un diner, discutono proprio del film. Detto questo, se Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia vi fosse piaciuto recuperate il già citato South Park - Il film: più grosso, più lungo & tutto intero. ENJOY!
Trama: alla vigilia del 4 luglio, la salsiccia Frank e il panino Brenda aspettano solo di essere scelti dagli "Dei" umani per essere portati fuori dal supermercato, in un mondo migliore dove finalmente potranno consumare il loro amore. Purtroppo, ciò che attende il cibo fuori dal supermercato non è un destino gioioso...
E’ possibile che il senso dell’umorismo, così come i gusti, cambino ogni dieci anni? Me lo chiedo perché ai tempi di South Park – Più lungo, più grosso e tutto intero ricordo di essermi spanciata dalle risate e, magari in maniera più contenuta, è successo lo stesso anche guardando I Simpson – Il film, giusto per fare un esempio di lungometraggi dichiaratamente “per adulti”. Mettiamo un attimo da parte I Simpson, il cui umorismo col tempo si è fatto decisamente più “signorile” ed innocuo, ma il film di South Park, al netto di bestemmie e parolacce, era un trionfo di cattivo gusto, violenza e risate scatologiche, eppure quanto mi fa ridere ancora oggi (nonostante non segua la serie più o meno dai tempi del primo cambio di doppiatori)! Forse perché la creatura di Trey Parker e Matt Stone era uscita nel momento giusto, oppure perché per quanto presentasse un umorismo di grana grossa conteneva sempre qualche riferimento alla politica, allo spettacolo o al reale capace di scatenare il mio senso dell’assurdo ma sta di fatto che, come del resto succede anche con I Griffin, ancora non riesco a volere male a South Park, neppure quando tocca i più bassi livelli di becerume. Lo stesso, non riesco a voler male a “orsotto” Rogen, eppure Sausage Party, da lui co-sceneggiato assieme ad altri loschi figuri quali Evan Goldberg, Jonah Hill, Kyle Hunter ed Ariel Shaffir, è una belinata della peggior specie che mi lasciata spesso obnubilata all’interno di una coltre di perplessità oppure mi ha disgustata senza possibilità di recupero. Ho riso forse un paio di volte davanti all’epopea di Frank e Brenda, rispettivamente un wurstel e un panino da hot dog costretti ad affrontare la scomoda verità su ciò che si cela oltre le porte del supermercato che fa loro da casa. Il “great beyond” abitato dagli dei che scelgono la merce sugli scaffali è la promessa di una vita migliore e, soprattutto, della scopata tanto bramata da alimenti costretti a passare la loro breve esistenza stipati all’interno di involucri di plastica ma cosa succede quando gli dei (ovvero noi voraci esseri umani e sì, vegani, ce n’è anche per voi, mi dispiace!) si rivelano essere dei mostri “cannibali” capaci solo di dare la morte per i propri scopi egoisti? L’idea di base, effettivamente, ha un che di geniale, e il ribaltamento di punti di vista che trasforma un semplice scontro tra carrelli in un disaster movie zeppo di vittime o una cena in un horror-splatter sono i punti più alti della pellicola, assieme ovviamente ad una certa fantasia nel trasformare il supermercato in una sorta di megalopoli dove ogni genere alimentare ha il suo quartiere ben definito tutto da esplorare; non disprezzabile è anche una critica di tipo “religioso”, dove ci si fa beffe del desiderio di credere a tutti i costi in un piano divino o nelle punizioni per i propri peccati, anche quando gli dei si rivelano essere nient’altro che pie illusioni. Eppure, con tutto questo, mi sono ritrovata al massimo a sorridere con indulgenza.
Il problema di Sausage Party è che ogni tipo di satira o
critica, siano esse religiose, sociali o politiche, è subordinato all’umorismo
adolescenziale tipico dei film di Rogen o Seth MacFarlane, quello humour
demenziale tipicamente americano che si concretizza, più o meno dagli anni ’80,
in due cose soltanto: la patata e la fattanza. Certo, seguendo il trend attuale
Sausage Party raggiunge picchi di “depravazione” che forse nemmeno Fritz il
gatto, ma la mega orgia nella sequenza finale è talmente gratuita ed
esageratamente gretta da chiedersi se davvero tutto quello che c’è stato prima
non fosse altro che un mero contorno per arrivare al punto focale della pellicola,
ovvero sconvolgere lo spettatore attraverso il coito infervorato tra salsicce e panini. Che
per carità, Rogen, se ti ricorderai di aver pensato questa sequenza anche
quando verrà il momento di mostrare Jesus De Sade in Preacher potrei anche
applaudire, però solo se riuscirai a crescere mentalmente e contestualizzare la
cosa, evitando di renderla il fulcro della storia. Il problema però è che io, non
essendo un’americana puritana né un membro del MOIGE, dopo un’ora e mezza di
wurstel dritti, panine vulviformi, lavande vaginali dopate (giuro), doppi sensi
a sfondo sessuale, procaci lesbicone e personaggi cripto gay, se permetti invece
di sconvolgermi mi rompo anche un po’ i marroni. Poi posso dire che le
animazioni sono molto belle, alcune trovate divertenti, le parodie di film come Salvate il soldato Ryan o Terminator sono pregevolissime, il punto di vista “umano”
che ritrasforma gli oggetti da animati ad inanimati ha una resa molto
realistica, i flashback hanno lo stile gradevole dell’animazione bidimensionale
anni ’80, c'è un bell'omaggio a Meat Loaf, la colonna sonora è simpatica quanto basta (ecco, l’unico momento in
cui ho riso è stato quando i “fruits” che, come sapete, in inglese può indicare
non solo la frutta ma anche un modo scortese di chiamare gli omosessuali, sono
partiti all’attacco al ritmo di Wake Me Up Before You Go) e in particolare l’”inno
del supermercato” è esilarante ma, per il resto, parliamo di poca roba davvero.
Insomma, come sempre la Rogen Factory potrebbe fare molto di più ma non si
impegna abbastanza: passi un cartone, scemino e divertente quanto volete, ma se nella seconda stagione mi rovineranno
Preacher (e non miglioreranno Tulip, pensare che ci vorrebbe così poco!),
orsotto o non orsotto scasserò il buon Seth di mazzate nei denti.
Del co-regista Conrad Vernon (che presta la voce anche a vari personaggi) ho già parlato QUI. Michael Cera (Barry), James Franco (il drogato), Bill Hader (Firewater/Tequila/El Guaco), Salma Hayek (Teresa), Jonah Hill (Carl), David Krumholtz (Lavash), Danny McBride (Honey Mustard), Edward Norton (Sammy), Craig Robinson (Grits), Seth Rogen (Frank), Paul Rudd (Darren) e Kristen Wiig (Brenda) li trovate invece ai rispettivi link.Greg Tiernan è il co-regista della pellicola, inoltre presta la voce alla Patata e ai Noodles. Irlandese, ha diretto parecchi episodi della serie Il trenino Thomas. Anche animatore e doppiatore, ha 51 anni.
Al festival South By Southwest è stata proiettata una versione non ancora definitiva del film, contenente una scena che avrei molto apprezzato, magari dopo i titoli di coda; in essa, Seth Rogen, Michael Cera ed Edward Norton vengono attaccati dalle loro controparti animate mentre, seduti in un diner, discutono proprio del film. Detto questo, se Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia vi fosse piaciuto recuperate il già citato South Park - Il film: più grosso, più lungo & tutto intero. ENJOY!
domenica 31 luglio 2016
Ghostbusters (2016)
E così ieri sera sono andata a vedere il Ghostbusters diretto e co-sceneggiato da Paul Feig, in una sala gremita di bambini urlanti, cosa che forse ha inficiato il mio giudizio ma forse anche no. Segue recensione SENZA SPOILER.
Trama: quando in vari luoghi newyorkesi cominciano a fare la loro comparsa pericolosi fantasmi, le scienziate Erin, Abby e Jillian si uniscono all'ex guardia metropolitana Patty per fare fronte al problema...
Come già ho fatto per Poltergeist, proviamo a dividere il post in due parti, una nella quale NON terrò conto dell'esistenza del Ghostbusters del 1984 e un'altra in cui affronterò l'impietoso confronto. Preso come film a se stante, come blockbuster estivo e come intrattenimento da sabato sera Ghostbusters funziona, più o meno a livello di 6/7 nella solita scala da 1 a 10. Posso dirlo con certezza visto che il mio fidanzato è cresciuto nel mito dei cartoni animati ma non in quello del film di Reitman (ci vuole pazienza, lo so) e ha trovato il remake/reboot simpatico e piacevole, non qualcosa da ricordare in saecula saeculorum ma sufficiente per farsi due risate disimpegnate sorvolando sugli inevitabili difetti. Posso però dire anche con certezza che il target di Ghostbusters è quello dei bambini/adolescenti, perché le grassissime risate che hanno funestato buona parte della visione, impedendomi di capire almeno il 30% dei dialoghi, venivano dal pargolame forestiero (ma portarli a spiaggia 'sti minchia di bambini no???) che affollava la sala sabato sera. Il nuovo Ghostbusters infatti è, senza troppi giri di parole, un film per famiglie dalla trama semplice, con un villain poco carismatico, effetti speciali da videogioco solo vagamente spaventevoli e un quartetto di protagoniste che sembrano più interessate a palleggiarsi battute da avanspettacolo piuttosto che a dare realmente la caccia ai fantasmi; in nessun momento si avvertono tensione per il destino delle acchiappafantasmi o incertezza rispetto alla risoluzione della trama e se non fosse per la cazzutissima Holtzmann di Kate McKinnon la maggior parte dei confronti con i fantasmi perderebbe anche quel minimo di epicità che la folle e bionda scienziata riesce ad imporre con la sua sola presenza. La McCarthy e la Wiig interpretano i personaggi a loro più consoni, quelli delle dolci e simpatiche pasticcione, magari un po' grezze e maniacalmente (oltre che in modo poco plausibile) devote alla scienza, la Jones è uno stereotipo vivente ma diverte e chi ne esce peggio è il povero Chris Hemsworth al quale è toccato il ruolo di "bimbo" nell'accezione inglese del termine, ovvero quella dell'oca maschio decerebrata: ora, capisco l'ironia dell'inversione dei ruoli ma davvero c'era bisogno, per sottolineare il contrasto donna intelligente/uomo idiota, di creare un personaggio talmente scemo da fregarsi gli occhi quando sente male alle orecchie? Mah. Di tutto il cucuzzaro, probabilmente ciò che ricorderò in futuro sarà la bella sequenza in cui gli enormi palloncini posseduti sfilano per le strade di New York e la citazione nei titoli di coda di una delle più famose scene di The Mask, il resto probabilmente sparirà nel giro di un paio di giorni in un tripudio di mancanza di infamia o lodi. Tanto casino di haters, rivendicazioni femministe, Ghostbros inferociti e quant'altro per cosa? Ma fatemi il piacere, suvvia. Ribadisco, 6/7 su una scala da 1 a 10. E sono magnanima perché temo di essermi fatta influenzare dalle urla infantili.
D'altra parte, è anche vero che Paul Feig se l'è cercata, eh. Hai voglia a dire "no, facciamo finta che Ghostbusters non sia mai esistito" quando regista e sceneggiatori lo "omaggiano" (plagiano? Strizzano l'occhio come fa J.J.Abrams nelle parodie di Ortolani?) ogni cinque minuti, allontanandosi per cercare uno spunto originale (che poi, originale virgola...) giusto per qualche secondo prima di tornare al calduccio della pellicola originale. La panoramica iniziale, lo "scherzone" ai danni di Erin, i primi due incontri con i fantasmi, il rapporto conflittuale con il sindaco, l'apocalisse finale e persino il primo intervento pubblico con tanto di padrone del locale preoccupato sono presi di peso dal primo, storico Ghostbusters e sepolti all'interno di un'ininterrotta sequela di battutine infantili, utili solo a far rimpiangere la caustica ironia degli anni '80 e l'inevitabile superiorità dei vecchi adattamenti italiani rispetto a quelli attuali. E' inutile, gente: Aykroyd, Ramis, Murray ed Ernie Hudson funzionavano, nel loro quartetto c'erano alchimia e carisma, probabilmente aiutava molto il fatto che la sceneggiatura fosse farina del sacco di due degli stessi attori (per la cronaca, Aykroyd e Ramis), oppure erano altri tempi, vai a sapere, sta di fatto che, a distanza di neppure 24 ore, non ricordo una battuta che sia una e, ribadisco, guardando il nuovo Ghostbusters mi sono sentita fiera solo di fronte a Kate McKinnon, che avrebbe meritato un posto accanto ai "vecchi" acchiappafantasmi, magari come la sorellina cazzuta di Egon. A tal proposito, le guest appearance dei vecchi attori sono un po' tanto sprecate, eh. Dan Aykroyd passa alla cassa in quanto produttore e se ne batte la ciolla, Murray si vede abbattere tra capo e collo una sorta di contrappasso ma viene sfruttato malissimo ahimé, Annie Potts, Sigourney Weaver ed Ernie Husdson sono assai simpatici ma finisce lì e in tutto questo il vincitore morale rimane sempre e comunque l'amatissimo Rick Moranis, che ci ha visto lungo e li ha giustamente mandati tutti a stendere. D'altronde, quando infili persino Ozzy Osbourne in un film vuol dire che se non sei alla frutta stai comunque già cominciando a sentire odore di macedonia. Pollice verso anche per la battaglia finale, ennesima occasione per inanellare una serie infinita di citazioni gratuite che mi hanno causato conati di vomito ininterrotti per varie ragioni (Slimer, mio Dio. Slimer.), per mostrare un uso decisamente improprio del flusso degli zaini protonici e, ancor peggio, per aprire la via al melenso, imbarazzante finale. Se ci sarà un sequel, spero davvero che cominci come Ghostbusters 2, ovvero con le acchiappafantasmi costrette a pagare i danni, altro che We <3 U: mi dite da quando il PG-13 ricostruisce persino i palazzi? Bah. Purtroppo per Feig il 1984 non è stato ancora cancellato dalla faccia della terra quindi Ghostbusters, in una scala che va da Vigo il Crudele a Vigo il Sacrilego, si colloca a livello Vigo la Sporcacciona.
Di Kristen Wiig (Erin Gilbert), Charles Dance (Harold Filmore), Melissa McCarthy (Abby Yates), Chris Hemsworth (Kevin), Bill Murray (Martin Heiss), Michael Kenneth Williams (Agente Hawkins), Andy Garcia (Sindaco Bradley), Annie Potts (Receptionist), Dan Aykroyd (Tassista), Ernie Hudson (Zio Bill), Sigourney Weaver (Rebecca Goring) e Joel Murray (Guardia) ho già parlato ai rispettivi link.
Paul Feig è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Le amiche della sposa, Corpi da reato, Spy ed episodi di serie quali 30 Rock, Weeds e Nurse Jackie. Anche attore e produttore, ha 54 anni e due film in uscita.
Kate McKinnon interpreta Jillian Holtzmann. Americana, famosa per le sue partecipazioni al Saturday Night Live, ha recitato in pellicole come Ted 2 e lavorato come doppiatrice nel film Alla ricerca di Dory e nelle serie I Simpson e I Griffin. Ha 32 anni e tre film in uscita.
Leslie Jones interpreta Patty Tolan. Americana, famosa per le sue partecipazioni al Saturday Night Live, ha recitato in pellicole come Il fuggitivo della missione impossibile e Un disastro di ragazza. Anche sceneggiatrice, ha 49 anni e tre film in uscita.
Tra gli altri attori compaiono il già citato Ozzy Osbourne, gli sceneggiatori del Saturday Night Live Steve Higgins e Neil Casey, rispettivamente nei panni del rettore e di Rowan North, e Daniel Ramis, figlio del compianto Harold, nei panni di un metallaro. Consigliandovi di rimanere al cinema FINO ALLA FINE dei titoli di coda, se Ghostbusters vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Ghostbusters - Acchiappafantasmi e Ghostbusters 2, nell'attesa del probabile sequel. ENJOY!
Trama: quando in vari luoghi newyorkesi cominciano a fare la loro comparsa pericolosi fantasmi, le scienziate Erin, Abby e Jillian si uniscono all'ex guardia metropolitana Patty per fare fronte al problema...
Come già ho fatto per Poltergeist, proviamo a dividere il post in due parti, una nella quale NON terrò conto dell'esistenza del Ghostbusters del 1984 e un'altra in cui affronterò l'impietoso confronto. Preso come film a se stante, come blockbuster estivo e come intrattenimento da sabato sera Ghostbusters funziona, più o meno a livello di 6/7 nella solita scala da 1 a 10. Posso dirlo con certezza visto che il mio fidanzato è cresciuto nel mito dei cartoni animati ma non in quello del film di Reitman (ci vuole pazienza, lo so) e ha trovato il remake/reboot simpatico e piacevole, non qualcosa da ricordare in saecula saeculorum ma sufficiente per farsi due risate disimpegnate sorvolando sugli inevitabili difetti. Posso però dire anche con certezza che il target di Ghostbusters è quello dei bambini/adolescenti, perché le grassissime risate che hanno funestato buona parte della visione, impedendomi di capire almeno il 30% dei dialoghi, venivano dal pargolame forestiero (ma portarli a spiaggia 'sti minchia di bambini no???) che affollava la sala sabato sera. Il nuovo Ghostbusters infatti è, senza troppi giri di parole, un film per famiglie dalla trama semplice, con un villain poco carismatico, effetti speciali da videogioco solo vagamente spaventevoli e un quartetto di protagoniste che sembrano più interessate a palleggiarsi battute da avanspettacolo piuttosto che a dare realmente la caccia ai fantasmi; in nessun momento si avvertono tensione per il destino delle acchiappafantasmi o incertezza rispetto alla risoluzione della trama e se non fosse per la cazzutissima Holtzmann di Kate McKinnon la maggior parte dei confronti con i fantasmi perderebbe anche quel minimo di epicità che la folle e bionda scienziata riesce ad imporre con la sua sola presenza. La McCarthy e la Wiig interpretano i personaggi a loro più consoni, quelli delle dolci e simpatiche pasticcione, magari un po' grezze e maniacalmente (oltre che in modo poco plausibile) devote alla scienza, la Jones è uno stereotipo vivente ma diverte e chi ne esce peggio è il povero Chris Hemsworth al quale è toccato il ruolo di "bimbo" nell'accezione inglese del termine, ovvero quella dell'oca maschio decerebrata: ora, capisco l'ironia dell'inversione dei ruoli ma davvero c'era bisogno, per sottolineare il contrasto donna intelligente/uomo idiota, di creare un personaggio talmente scemo da fregarsi gli occhi quando sente male alle orecchie? Mah. Di tutto il cucuzzaro, probabilmente ciò che ricorderò in futuro sarà la bella sequenza in cui gli enormi palloncini posseduti sfilano per le strade di New York e la citazione nei titoli di coda di una delle più famose scene di The Mask, il resto probabilmente sparirà nel giro di un paio di giorni in un tripudio di mancanza di infamia o lodi. Tanto casino di haters, rivendicazioni femministe, Ghostbros inferociti e quant'altro per cosa? Ma fatemi il piacere, suvvia. Ribadisco, 6/7 su una scala da 1 a 10. E sono magnanima perché temo di essermi fatta influenzare dalle urla infantili.
D'altra parte, è anche vero che Paul Feig se l'è cercata, eh. Hai voglia a dire "no, facciamo finta che Ghostbusters non sia mai esistito" quando regista e sceneggiatori lo "omaggiano" (plagiano? Strizzano l'occhio come fa J.J.Abrams nelle parodie di Ortolani?) ogni cinque minuti, allontanandosi per cercare uno spunto originale (che poi, originale virgola...) giusto per qualche secondo prima di tornare al calduccio della pellicola originale. La panoramica iniziale, lo "scherzone" ai danni di Erin, i primi due incontri con i fantasmi, il rapporto conflittuale con il sindaco, l'apocalisse finale e persino il primo intervento pubblico con tanto di padrone del locale preoccupato sono presi di peso dal primo, storico Ghostbusters e sepolti all'interno di un'ininterrotta sequela di battutine infantili, utili solo a far rimpiangere la caustica ironia degli anni '80 e l'inevitabile superiorità dei vecchi adattamenti italiani rispetto a quelli attuali. E' inutile, gente: Aykroyd, Ramis, Murray ed Ernie Hudson funzionavano, nel loro quartetto c'erano alchimia e carisma, probabilmente aiutava molto il fatto che la sceneggiatura fosse farina del sacco di due degli stessi attori (per la cronaca, Aykroyd e Ramis), oppure erano altri tempi, vai a sapere, sta di fatto che, a distanza di neppure 24 ore, non ricordo una battuta che sia una e, ribadisco, guardando il nuovo Ghostbusters mi sono sentita fiera solo di fronte a Kate McKinnon, che avrebbe meritato un posto accanto ai "vecchi" acchiappafantasmi, magari come la sorellina cazzuta di Egon. A tal proposito, le guest appearance dei vecchi attori sono un po' tanto sprecate, eh. Dan Aykroyd passa alla cassa in quanto produttore e se ne batte la ciolla, Murray si vede abbattere tra capo e collo una sorta di contrappasso ma viene sfruttato malissimo ahimé, Annie Potts, Sigourney Weaver ed Ernie Husdson sono assai simpatici ma finisce lì e in tutto questo il vincitore morale rimane sempre e comunque l'amatissimo Rick Moranis, che ci ha visto lungo e li ha giustamente mandati tutti a stendere. D'altronde, quando infili persino Ozzy Osbourne in un film vuol dire che se non sei alla frutta stai comunque già cominciando a sentire odore di macedonia. Pollice verso anche per la battaglia finale, ennesima occasione per inanellare una serie infinita di citazioni gratuite che mi hanno causato conati di vomito ininterrotti per varie ragioni (Slimer, mio Dio. Slimer.), per mostrare un uso decisamente improprio del flusso degli zaini protonici e, ancor peggio, per aprire la via al melenso, imbarazzante finale. Se ci sarà un sequel, spero davvero che cominci come Ghostbusters 2, ovvero con le acchiappafantasmi costrette a pagare i danni, altro che We <3 U: mi dite da quando il PG-13 ricostruisce persino i palazzi? Bah. Purtroppo per Feig il 1984 non è stato ancora cancellato dalla faccia della terra quindi Ghostbusters, in una scala che va da Vigo il Crudele a Vigo il Sacrilego, si colloca a livello Vigo la Sporcacciona.
Di Kristen Wiig (Erin Gilbert), Charles Dance (Harold Filmore), Melissa McCarthy (Abby Yates), Chris Hemsworth (Kevin), Bill Murray (Martin Heiss), Michael Kenneth Williams (Agente Hawkins), Andy Garcia (Sindaco Bradley), Annie Potts (Receptionist), Dan Aykroyd (Tassista), Ernie Hudson (Zio Bill), Sigourney Weaver (Rebecca Goring) e Joel Murray (Guardia) ho già parlato ai rispettivi link.
Paul Feig è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Le amiche della sposa, Corpi da reato, Spy ed episodi di serie quali 30 Rock, Weeds e Nurse Jackie. Anche attore e produttore, ha 54 anni e due film in uscita.
Kate McKinnon interpreta Jillian Holtzmann. Americana, famosa per le sue partecipazioni al Saturday Night Live, ha recitato in pellicole come Ted 2 e lavorato come doppiatrice nel film Alla ricerca di Dory e nelle serie I Simpson e I Griffin. Ha 32 anni e tre film in uscita.
Leslie Jones interpreta Patty Tolan. Americana, famosa per le sue partecipazioni al Saturday Night Live, ha recitato in pellicole come Il fuggitivo della missione impossibile e Un disastro di ragazza. Anche sceneggiatrice, ha 49 anni e tre film in uscita.
Tra gli altri attori compaiono il già citato Ozzy Osbourne, gli sceneggiatori del Saturday Night Live Steve Higgins e Neil Casey, rispettivamente nei panni del rettore e di Rowan North, e Daniel Ramis, figlio del compianto Harold, nei panni di un metallaro. Consigliandovi di rimanere al cinema FINO ALLA FINE dei titoli di coda, se Ghostbusters vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Ghostbusters - Acchiappafantasmi e Ghostbusters 2, nell'attesa del probabile sequel. ENJOY!
venerdì 19 febbraio 2016
Zoolander 2 (2016)
So che siamo in tempo di Oscar ma non si può sempre e solo parlare di film seri. Nell'attesa che di andare a vedere quel Deadpool per cui ho già una scimmia mutante nutrita a chimichanga sulla schiena, beccatevi un post su Zoolander 2, diretto e co-sceneggiato da Ben Stiller.
Trama: sono passati quindici anni dall'ultimo film e Derek Zoolander è diventato un eremita a seguito di terribili eventi che hanno coinvolto sua moglie, suo figlio e persino il biondo Hansel. I due ex modelli vengono però richiamati sulle passerelle e si ritrovano coinvolti in un complotto legato alla morte di alcune popstar...
Iniziamo il post con una premessa MOLTO importante: se non vi è piaciuto Zoolander, se non amate questo genere di film supercazzola, se non tollerate la comicità assolutamente demenziale e/o priva di qualsivoglia satira, critica, riflessione, smettete pure di leggere, tanto nulla di ciò che scriverò potrà convincervi ad andare a vedere Zoolander 2. Che, per inciso, mi è piaciuto molto, nei limiti della belinata che è, ovviamente, e forse soprattutto perché sono una di quelle persone che non ha elevato il primo film a cult della vita. Al grido di "squadra che vince non si cambia!" e addirittura "sceneggiatura che vince non si cambia!" Ben Stiller si è limitato a prendere personaggi e situazioni di Zoolander, immaginare come gli stessi sarebbero cambiati dopo una decina di anni, trascinarli all'interno di un mondo della moda che, complici anche le nuove tecnologie, si rinnova completamente nel giro di mezza stagione (tanto che quello che era cool la settimana prima, dopo sette giorni è già demodé) ed esasperare al limite estremo le gag più riuscite del capostipite. Stop. Zoolander 2 è praticamente Zoolander all'ennesima potenza, niente di più e niente di meno, un'ininterrotta serie di momenti WTF affidati quasi interamente alla natura clueless dei "bellissimi" Derek e Hansel, con qualche stoccata all'acqua di rose al jet set internazionale (diciamo che in questo senso a Stiller e Theroux è piaciuto vincere molto facile, come dimostra l'iniziale comparsata di Justin Bieber) e una sottotrama da film action che è un mero pretesto narrativo per appoggiare le suddette gag a qualcosa di tangibile, onde evitare che gli spettatori si perdano nel marasma di espressioni "belle belle in modo assurdo" del protagonista.
Non vi sto ovviamente ad anticipare NULLA di quei cinque o sei momenti genuinamente esilaranti presenti nel film, meriterei di venire arrestata dalla divisione Fashion dell'FBI se lo facessi. Posso solo dire che Zoolander 2 sfrutta forse più che nel primo capitolo le comparsate dei VIP che si sono prestati al gioco (Pénelope Cruz compare persino nella locandina ma il vincitore assoluto di TUTTO - e non a caso - è un favoloso Benedict Cumberbatch) e anche il tempo che ormai si riflette in maniera abbastanza impietosa sui volti dei due protagonisti Stiller e Wilson è una componente fondamentale della trama. L'ambientazione italiana, o per meglio dire romana, ricatapulta lo spettatore all'interno di una Dolce Vita, più che di una Grande Bellezza, quasi d'antan e l'omaggio a vecchi film come Vacanze Romane è palese, così come sono palesi i rimandi non solo a 007 ma anche e soprattutto a Guerre stellari ed Austin Powers, celebrato in una sfacciatissima scena di bacio slinguazzato. Quel che manca a Zoolander 2 (anche se il mio ragazzo non è proprio d'accordo) è però quell'elemento un po' "froSCio" che era parte integrante del primo film, quel modo tutto particolare di mescolare immagini da videoclip ad una colonna sonora molto azzeccata; sì, qualche timido tentativo lo troviamo anche qui (il finto spot con Naomi Campbell è geniale quanto il destino finale di Mugatu) ma si tratta soprattutto di rimandi al vecchio Zoolander e lasciano un po' il tempo che trovano. Per finire, vi consiglio di non andare a vedere Zoolander 2 al cinema e di recuperarlo in lingua originale: tolta la voce di Pino Insegno, al quale voglio sempre molto bene, l'adattamento italiano sfiora l'imbarazzante. Mi rendo conto di quanto sia difficile rendere un modo di parlare probabilmente astruso come quello del personaggio Don Atari nella nostra lingua ma infilarci uno "stica" ogni due per tre non mi è parso il modo migliore e lo stesso vale per l'imbarazzante "figoso" messo in bocca a Zoolander, che mi ha causato la stessa pelle d'oca di quando Fabio Volo dice "cioé...ficofico" in Kung Fu Panda. Orrore vero, altro che "bello bello in modo assurdo"!
Del regista e co-sceneggiatore Ben Stiller, che interpreta ovviamente anche Derek Zoolander, ho già parlato QUI. Penélope Cruz (Valentina), Christine Taylor (Matilda Jeffries), Kristen Wiig (Alexanya Atoz), Benedict Cumberbatch (Tutto), Justin Theroux (è il co-sceneggiatore della pellicola ma anche il DJ malvagio), Milla Jovovich (Katinka), Will Ferrell (Mugatu), Owen Wilson (Hansel), Jerry Stiller (Maury Ballstein) e John Malkovich (Skip Taylor) li trovate invece ai rispettivi link.
Tra i VIP che compaiono nel ruolo di se stessi segnalo la futura Betsy Braddock Olivia Munn, Susan Sarandon, l'immancabile Billy Zane, Justin Bieber, Demi Lovato, Katy Perry, Kiefer Sutherland, Anna Wintour, Lenny Kravitz, Naomi Campbell, Sting, Kate Moss, Susan Boyle, Tommy Hilfiger, Valentino, M.C. Hammer, Mark Jacobs e Skrillex (solo per citare quelli che ho riconosciuto) mentre in piccoli ruoli compaiono anche la modella rumena Madalina Diana Ghenea e il cantante Mika. Ovviamente, detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate il primo Zoolander, ENJOY!
Trama: sono passati quindici anni dall'ultimo film e Derek Zoolander è diventato un eremita a seguito di terribili eventi che hanno coinvolto sua moglie, suo figlio e persino il biondo Hansel. I due ex modelli vengono però richiamati sulle passerelle e si ritrovano coinvolti in un complotto legato alla morte di alcune popstar...
Iniziamo il post con una premessa MOLTO importante: se non vi è piaciuto Zoolander, se non amate questo genere di film supercazzola, se non tollerate la comicità assolutamente demenziale e/o priva di qualsivoglia satira, critica, riflessione, smettete pure di leggere, tanto nulla di ciò che scriverò potrà convincervi ad andare a vedere Zoolander 2. Che, per inciso, mi è piaciuto molto, nei limiti della belinata che è, ovviamente, e forse soprattutto perché sono una di quelle persone che non ha elevato il primo film a cult della vita. Al grido di "squadra che vince non si cambia!" e addirittura "sceneggiatura che vince non si cambia!" Ben Stiller si è limitato a prendere personaggi e situazioni di Zoolander, immaginare come gli stessi sarebbero cambiati dopo una decina di anni, trascinarli all'interno di un mondo della moda che, complici anche le nuove tecnologie, si rinnova completamente nel giro di mezza stagione (tanto che quello che era cool la settimana prima, dopo sette giorni è già demodé) ed esasperare al limite estremo le gag più riuscite del capostipite. Stop. Zoolander 2 è praticamente Zoolander all'ennesima potenza, niente di più e niente di meno, un'ininterrotta serie di momenti WTF affidati quasi interamente alla natura clueless dei "bellissimi" Derek e Hansel, con qualche stoccata all'acqua di rose al jet set internazionale (diciamo che in questo senso a Stiller e Theroux è piaciuto vincere molto facile, come dimostra l'iniziale comparsata di Justin Bieber) e una sottotrama da film action che è un mero pretesto narrativo per appoggiare le suddette gag a qualcosa di tangibile, onde evitare che gli spettatori si perdano nel marasma di espressioni "belle belle in modo assurdo" del protagonista.
Non vi sto ovviamente ad anticipare NULLA di quei cinque o sei momenti genuinamente esilaranti presenti nel film, meriterei di venire arrestata dalla divisione Fashion dell'FBI se lo facessi. Posso solo dire che Zoolander 2 sfrutta forse più che nel primo capitolo le comparsate dei VIP che si sono prestati al gioco (Pénelope Cruz compare persino nella locandina ma il vincitore assoluto di TUTTO - e non a caso - è un favoloso Benedict Cumberbatch) e anche il tempo che ormai si riflette in maniera abbastanza impietosa sui volti dei due protagonisti Stiller e Wilson è una componente fondamentale della trama. L'ambientazione italiana, o per meglio dire romana, ricatapulta lo spettatore all'interno di una Dolce Vita, più che di una Grande Bellezza, quasi d'antan e l'omaggio a vecchi film come Vacanze Romane è palese, così come sono palesi i rimandi non solo a 007 ma anche e soprattutto a Guerre stellari ed Austin Powers, celebrato in una sfacciatissima scena di bacio slinguazzato. Quel che manca a Zoolander 2 (anche se il mio ragazzo non è proprio d'accordo) è però quell'elemento un po' "froSCio" che era parte integrante del primo film, quel modo tutto particolare di mescolare immagini da videoclip ad una colonna sonora molto azzeccata; sì, qualche timido tentativo lo troviamo anche qui (il finto spot con Naomi Campbell è geniale quanto il destino finale di Mugatu) ma si tratta soprattutto di rimandi al vecchio Zoolander e lasciano un po' il tempo che trovano. Per finire, vi consiglio di non andare a vedere Zoolander 2 al cinema e di recuperarlo in lingua originale: tolta la voce di Pino Insegno, al quale voglio sempre molto bene, l'adattamento italiano sfiora l'imbarazzante. Mi rendo conto di quanto sia difficile rendere un modo di parlare probabilmente astruso come quello del personaggio Don Atari nella nostra lingua ma infilarci uno "stica" ogni due per tre non mi è parso il modo migliore e lo stesso vale per l'imbarazzante "figoso" messo in bocca a Zoolander, che mi ha causato la stessa pelle d'oca di quando Fabio Volo dice "cioé...ficofico" in Kung Fu Panda. Orrore vero, altro che "bello bello in modo assurdo"!
Del regista e co-sceneggiatore Ben Stiller, che interpreta ovviamente anche Derek Zoolander, ho già parlato QUI. Penélope Cruz (Valentina), Christine Taylor (Matilda Jeffries), Kristen Wiig (Alexanya Atoz), Benedict Cumberbatch (Tutto), Justin Theroux (è il co-sceneggiatore della pellicola ma anche il DJ malvagio), Milla Jovovich (Katinka), Will Ferrell (Mugatu), Owen Wilson (Hansel), Jerry Stiller (Maury Ballstein) e John Malkovich (Skip Taylor) li trovate invece ai rispettivi link.
Tra i VIP che compaiono nel ruolo di se stessi segnalo la futura Betsy Braddock Olivia Munn, Susan Sarandon, l'immancabile Billy Zane, Justin Bieber, Demi Lovato, Katy Perry, Kiefer Sutherland, Anna Wintour, Lenny Kravitz, Naomi Campbell, Sting, Kate Moss, Susan Boyle, Tommy Hilfiger, Valentino, M.C. Hammer, Mark Jacobs e Skrillex (solo per citare quelli che ho riconosciuto) mentre in piccoli ruoli compaiono anche la modella rumena Madalina Diana Ghenea e il cantante Mika. Ovviamente, detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate il primo Zoolander, ENJOY!
martedì 17 febbraio 2015
Dragon Trainer 2 (2014)
Dopo aver visto e amato Dragon Trainer pensavate mi sarei lasciata scappare Dragon Trainer 2 (How to Train Your Dragon 2), diretto e co-sceneggiato nel 2014 da Dean DeBlois nonché candidato all'Oscar come miglior film d'animazione?
Trama: durante uno dei loro voli esplorativi, Hiccup e Sdentato trovano un paese devastato dal ghiaccio e base di cacciatori di draghi al soldo del terribile Drago Bludvist; nel tentativo di scovare il malvagio e farlo ragionare, nonostante il padre tenti di dissuaderlo in ogni modo, Hiccup incontrerà un altro misterioso Cavaliere dei Draghi...
Dopo gli eventi del primo film, Dragon Trainer 2 si apre con un bello scorcio della rinata Berk, cittadina dove i vichinghi e i draghi convivono in armonia e dove la sete di competizione del popolo viene tenuta a bada da tornei volanti nel corso dei quali chi lancia più pecore in un cesto vince. Nonostante sia ormai considerato un eroe da tutti gli abitanti del villaggio (e nonostante si sia ormai fidanzato con la bella Astrid) Hiccup ha sempre qualche problema che lo affligge e il suo rapporto col padre è migliorato fino a un certo punto; se nel primo film il protagonista era considerato uno sfigato della peggior specie nonché la spina nel fianco del potente genitore, nel secondo si assiste ad uno scontro generazionale/psicologico tra i più classici, con Stoick che vorrebbe Hiccup capovillaggio mentre il ragazzo, ancora incerto su quale sia la sua vera natura e desideroso di libertà, non ne vuole proprio sapere. Le tensioni tra i due esplodono con l'arrivo di un vecchio e minaccioso nemico, Drago Bludvist, che l'ingenuo Hiccup vorrebbe "sedare" con discorsi di pace e convivenza mentre giustamente Stoick, scampato già una volta alla sua furia assassina, vorrebbe solo che il figlio lo lasciasse stare e pensasse piuttosto a proteggere il villaggio da un suo eventuale attacco; nel corso del film accadrà davvero di tutto, tra eventi allegri e commoventi ma anche altri incredibilmente tristi, che porteranno Hiccup e Sdentato a scoprire qualcosa di più su sé stessi, sul loro legame e, soprattutto, a raggiungere una consapevolezza assai simile a quella dell'età adulta, lasciandosi alle spalle non già una coda o un arto ma buona parte della loro ingenuità ed innocenza.
In Dragon Trainer 2 si ride (la gag ricorrente delle pecore è favolosa!), ci si emoziona e ci si commuove (diciamo pure che si piange come delle fontane) e come sequel l'ho trovato assolutamente all'altezza del primo capitolo. Alcuni personaggi si sono evoluti, altri, come la bionda e grezzissima Testabruta o come la meravigliosa "Vecchietta dei Draghi", vedono aumentare il loro tempo sullo schermo mentre altri vengono un po' sacrificati a favore dei nuovi ingressi: Drago Bludvist è la nemesi perfetta per Hiccup, tanto malvagio ed irrispettoso nei confronti dei draghi quanto l'altro è buono ed affezionato alle creature alate mentre il secondo personaggio nuovo (di cui non vi svelerò affatto l'identità!) viene tratteggiato fin dall'inizio con una delicatezza incredibile e la volontà di non rispondere immediatamente a tutte le domande che potrebbero sorgere sul suo passato. Inoltre, il personaggio in questione permette agli animatori di sbrigliare abilità e fantasia, deliziando lo spettatore con una favolosa "caverna dei draghi" zeppa di colori, elementi naturali e draghi volanti di ogni specie. Certo, il character design dei draghetti lascia sempre un po' a desiderare (non posso farci nulla, a me piace solo il gattesco e tenerissimo Sdentato) ma i molti scontri all'ultimo sangue, le epiche scene di volo o i "Giochi senza frontiere con pecora" di cui ho parlato all'inizio sono animati benissimo e molto probabilmente faranno la gioia di qualsiasi spettatore, piccolo o grande che sia. La franchise di Dragon Trainer si conferma indubbiamente una delle migliori e più emozionanti mai realizzate e sono contenta di averla recuperata... adesso aspetto con trepidazione il terzo capitolo, sperando che la qualità continui a mantenersi alta!
Del regista e co-sceneggiatore Dean DeBlois ho già parlato QUI. Jay Baruchel (Hiccup), Cate Blanchett (Valka), Gerard Butler (Stoick), Craig Ferguson (Skaracchio), America Ferrera (Astrid), Jonah Hill (Moccicoso), Christopher Mintz-Plasse (Gambedipesce), Kristen Wiig (Testabruta) e Djimon Hounsou (Drago) li trovate invece ai rispettivi link.
Kit Harington, che presta la voce alla new entry Eret, interpreta Jon Snow nella serie Il trono di spade. A Dragon Trainer 2 dovrebbe aggiungersi un terzo seguito nel 2017; nel frattempo, se il film vi fosse piaciuto potete leggere la serie di libri How to Train Your Dragon (tradotto in italiano con Le eroiche disavventure di Topicco Terribilis Totanus III) di Cressida Cowell oppure recuperate Dragon Trainer, lo spin-off Dreamworks Dragons: I cavalieri di Berg, serie tuttora in corso e mandata in onda su Cartoon Network e Boing e i corti La leggenda del drago Rubaossa, Dragons: il dono del drago e Book of Dragons. ENJOY!
Trama: durante uno dei loro voli esplorativi, Hiccup e Sdentato trovano un paese devastato dal ghiaccio e base di cacciatori di draghi al soldo del terribile Drago Bludvist; nel tentativo di scovare il malvagio e farlo ragionare, nonostante il padre tenti di dissuaderlo in ogni modo, Hiccup incontrerà un altro misterioso Cavaliere dei Draghi...
Dopo gli eventi del primo film, Dragon Trainer 2 si apre con un bello scorcio della rinata Berk, cittadina dove i vichinghi e i draghi convivono in armonia e dove la sete di competizione del popolo viene tenuta a bada da tornei volanti nel corso dei quali chi lancia più pecore in un cesto vince. Nonostante sia ormai considerato un eroe da tutti gli abitanti del villaggio (e nonostante si sia ormai fidanzato con la bella Astrid) Hiccup ha sempre qualche problema che lo affligge e il suo rapporto col padre è migliorato fino a un certo punto; se nel primo film il protagonista era considerato uno sfigato della peggior specie nonché la spina nel fianco del potente genitore, nel secondo si assiste ad uno scontro generazionale/psicologico tra i più classici, con Stoick che vorrebbe Hiccup capovillaggio mentre il ragazzo, ancora incerto su quale sia la sua vera natura e desideroso di libertà, non ne vuole proprio sapere. Le tensioni tra i due esplodono con l'arrivo di un vecchio e minaccioso nemico, Drago Bludvist, che l'ingenuo Hiccup vorrebbe "sedare" con discorsi di pace e convivenza mentre giustamente Stoick, scampato già una volta alla sua furia assassina, vorrebbe solo che il figlio lo lasciasse stare e pensasse piuttosto a proteggere il villaggio da un suo eventuale attacco; nel corso del film accadrà davvero di tutto, tra eventi allegri e commoventi ma anche altri incredibilmente tristi, che porteranno Hiccup e Sdentato a scoprire qualcosa di più su sé stessi, sul loro legame e, soprattutto, a raggiungere una consapevolezza assai simile a quella dell'età adulta, lasciandosi alle spalle non già una coda o un arto ma buona parte della loro ingenuità ed innocenza.
In Dragon Trainer 2 si ride (la gag ricorrente delle pecore è favolosa!), ci si emoziona e ci si commuove (diciamo pure che si piange come delle fontane) e come sequel l'ho trovato assolutamente all'altezza del primo capitolo. Alcuni personaggi si sono evoluti, altri, come la bionda e grezzissima Testabruta o come la meravigliosa "Vecchietta dei Draghi", vedono aumentare il loro tempo sullo schermo mentre altri vengono un po' sacrificati a favore dei nuovi ingressi: Drago Bludvist è la nemesi perfetta per Hiccup, tanto malvagio ed irrispettoso nei confronti dei draghi quanto l'altro è buono ed affezionato alle creature alate mentre il secondo personaggio nuovo (di cui non vi svelerò affatto l'identità!) viene tratteggiato fin dall'inizio con una delicatezza incredibile e la volontà di non rispondere immediatamente a tutte le domande che potrebbero sorgere sul suo passato. Inoltre, il personaggio in questione permette agli animatori di sbrigliare abilità e fantasia, deliziando lo spettatore con una favolosa "caverna dei draghi" zeppa di colori, elementi naturali e draghi volanti di ogni specie. Certo, il character design dei draghetti lascia sempre un po' a desiderare (non posso farci nulla, a me piace solo il gattesco e tenerissimo Sdentato) ma i molti scontri all'ultimo sangue, le epiche scene di volo o i "Giochi senza frontiere con pecora" di cui ho parlato all'inizio sono animati benissimo e molto probabilmente faranno la gioia di qualsiasi spettatore, piccolo o grande che sia. La franchise di Dragon Trainer si conferma indubbiamente una delle migliori e più emozionanti mai realizzate e sono contenta di averla recuperata... adesso aspetto con trepidazione il terzo capitolo, sperando che la qualità continui a mantenersi alta!
Del regista e co-sceneggiatore Dean DeBlois ho già parlato QUI. Jay Baruchel (Hiccup), Cate Blanchett (Valka), Gerard Butler (Stoick), Craig Ferguson (Skaracchio), America Ferrera (Astrid), Jonah Hill (Moccicoso), Christopher Mintz-Plasse (Gambedipesce), Kristen Wiig (Testabruta) e Djimon Hounsou (Drago) li trovate invece ai rispettivi link.
Kit Harington, che presta la voce alla new entry Eret, interpreta Jon Snow nella serie Il trono di spade. A Dragon Trainer 2 dovrebbe aggiungersi un terzo seguito nel 2017; nel frattempo, se il film vi fosse piaciuto potete leggere la serie di libri How to Train Your Dragon (tradotto in italiano con Le eroiche disavventure di Topicco Terribilis Totanus III) di Cressida Cowell oppure recuperate Dragon Trainer, lo spin-off Dreamworks Dragons: I cavalieri di Berg, serie tuttora in corso e mandata in onda su Cartoon Network e Boing e i corti La leggenda del drago Rubaossa, Dragons: il dono del drago e Book of Dragons. ENJOY!
domenica 15 febbraio 2015
Dragon Trainer (2010)
Il tempo passa eh, ma alla fine
anche io riesco a vedere i film sulla bocca di tutti. Magari con cinque
comodissimi anni di distanza. E’ quello che è successo con Dragon Trainer (How
to Train Your Dragon), diretto e co-sceneggiato nel 2010 dai registi Dean DeBlois e Chris Sanders e tratto dalla serie di libri How to Train Your Dragon (tradotto in italiano con Le eroiche disavventure di Topicco Terribilis Totanus III) di Cressida Cowell.
Trama: in un villaggio di
vichinghi vittima di continui attacchi di draghi, il giovane Hiccup è l’unico incapace
di combattere. Un giorno, per pura fortuna, riesce ad abbattere il drago Furia
Buia ma gli risparmia la vita; da quel momento, tra Hiccup e il ribattezzato
Sdentato nasce una profonda amicizia..
Avete presente da bambini, quando guardavate un cartone animato, quella sensazione mista di meraviglia e perdita? Mi spiego. Guardando Roger Rabbit non vi era venuta una voglia mostruosa di prendere un aereo e andare a Cartoonia? La pietra azzurra di Nadia, ma quanto era bella da uno a mille? Ma quanto sarebbe stato figo avere un castello pieno di personaggi parlanti come quello de La bella e la bestia? E vogliamo parlare del Paese delle Meraviglie di Alice? Tutto molto bello, sì, ma queste cose non si possono fare né avere perché, di fatto, non esistono; da bambini ci si rimane male, poi si cresce e simili insani desideri non dovrebbero più insorgere. Invece, dopo aver visto Dragon Trainer, mi sono sentita letteralmente tradita dalla realtà e schiacciata dall'impossibilità di avere un drago puccio e meraviglioso come Sdentato, per tenerlo in casa, giocarci, volare nonostante il mio atavico terrore delle altezze, coccolarlo fino a non poterne più. Potenza di uno dei film animati più belli che abbia visto da qualche anno a questa parte, un trionfo di umorismo, azione, avventura, tenerume e meraviglia, adatto ai grandi e perfetto per i piccini, con quel tocco di inaspettato realismo che è riuscito a stupirmi e catturarmi tanto quanto i grandi occhioni di Sdentato. Il protagonista, Hiccup, è un "normalissimo" disadattato all'interno di un paese di giganteschi e coraggiosi eroi: è mingherlino, pasticcione e pauroso, dolorosamente consapevole del fatto che nessuno ha un minimo di fiducia in lui, suo padre in primis. Per dimostrare di potercela fare decide di andare contro la sua natura e catturare l'imprendibile Furia Buia, impresa in cui riesce con l'ingegno, non con la forza bruta; al momento di uccidere il drago, tuttavia, il ragazzo rifiuta mosso da pietà e da quel momento riuscirà a creare un nuovo percorso di vita, per sé stesso, per l'avversario ferito (con cui instaurerà un rapporto di amicizia e reciproca dipendenza) e per l'intero paese. Dragon Trainer diventa così un invito ad uscire dagli schemi e trovare la propria strada al di là delle aspettative altrui, nonché un necessario inno al dialogo e alla conoscenza reciproca come uniche fonti di civiltà e arricchimento personale, in contrasto con errati pregiudizi che portano soltanto guerra, dolore ed incomprensione.
Oltre al necessario messaggio positivo, poi, c'è Sdentato. Uno dei bestiolini più belli mai creati per il grande schermo, un incrocio tra un rettile, Stitch e un gatto, praticamente un trionfo di pucciosità cattivella. Ogni interazione tra lui e Hiccup è deliziosa, divertente e commovente, sopratutto per quel che riguarda i primi, timidi tentativi di conoscenza reciproca. Le scene di volo poi sono strepitose, mozzafiato ed animate benissimo; i rocamboleschi allenenamenti di Hiccup e Sdentato non hanno nulla da invidiare alle riprese aeree di blockbuster zeppi di effetti speciali mentre la sequenza, più lenta ma non meno emozionante, del romantico viaggio tra le nuvole è di una bellezza incredibile e fa davvero venire voglia di salire a toccare quelle spumose masse dai colori tenui. I singoli personaggi sono stati realizzati benissimo e chiunque, anche quelli secondari che magari hanno giusto una, due battute di dialogo, hanno comunque una caratteristica che li fa saltare all'occhio dello spettatore, rendendoli di conseguenza indimenticabili; in questo, l'unica nota negativa di Dragon Trainer è il fatto che, Sdentato e dragone finale a parte, gli altri draghi presenti nella pellicola sono di una bruttezza rara e sembrano dei mostrilli fasulli fatti di pixel mentre gli esseri umani sono nell'insieme piuttosto gradevoli e per nulla spigolosi. Ho molto apprezzato, inoltre, l'idea di strutturare buona parte del film come una serie di lezioni sui draghi, con tanto di esercizi, manuali da leggere, diari da riempire con annotazioni personali e quant'altro, tanto che mi sembrava di essere tornata ai bei tempi di Harry Potter, quando potevo imparare assieme a Harry e compagnia un sacco di nozioni che non mi serviranno mai ma che sicuramente mi hanno permesso di immedesimarmi maggiormente nei personaggi; ora, visto che la mia personale Furia Buia non è ancora arrivata, sono curiosissima di sapere come se la caveranno Hiccup e Sdentato in Dragon Trainer 2 e non vedo l'ora vivere una nuova avventura assieme a loro!
Di Jay Baruchel (Hiccup), Gerard Butler (Stoick), Craig Ferguson (Skaracchio), Jonah Hill (Moccicoso), Christopher Mintz-Plasse (Gambedipesce), Kristen Wiig (Testabruta) e David Tennant (Spitelout) ho già parlato ai rispettivi link.Oltre al necessario messaggio positivo, poi, c'è Sdentato. Uno dei bestiolini più belli mai creati per il grande schermo, un incrocio tra un rettile, Stitch e un gatto, praticamente un trionfo di pucciosità cattivella. Ogni interazione tra lui e Hiccup è deliziosa, divertente e commovente, sopratutto per quel che riguarda i primi, timidi tentativi di conoscenza reciproca. Le scene di volo poi sono strepitose, mozzafiato ed animate benissimo; i rocamboleschi allenenamenti di Hiccup e Sdentato non hanno nulla da invidiare alle riprese aeree di blockbuster zeppi di effetti speciali mentre la sequenza, più lenta ma non meno emozionante, del romantico viaggio tra le nuvole è di una bellezza incredibile e fa davvero venire voglia di salire a toccare quelle spumose masse dai colori tenui. I singoli personaggi sono stati realizzati benissimo e chiunque, anche quelli secondari che magari hanno giusto una, due battute di dialogo, hanno comunque una caratteristica che li fa saltare all'occhio dello spettatore, rendendoli di conseguenza indimenticabili; in questo, l'unica nota negativa di Dragon Trainer è il fatto che, Sdentato e dragone finale a parte, gli altri draghi presenti nella pellicola sono di una bruttezza rara e sembrano dei mostrilli fasulli fatti di pixel mentre gli esseri umani sono nell'insieme piuttosto gradevoli e per nulla spigolosi. Ho molto apprezzato, inoltre, l'idea di strutturare buona parte del film come una serie di lezioni sui draghi, con tanto di esercizi, manuali da leggere, diari da riempire con annotazioni personali e quant'altro, tanto che mi sembrava di essere tornata ai bei tempi di Harry Potter, quando potevo imparare assieme a Harry e compagnia un sacco di nozioni che non mi serviranno mai ma che sicuramente mi hanno permesso di immedesimarmi maggiormente nei personaggi; ora, visto che la mia personale Furia Buia non è ancora arrivata, sono curiosissima di sapere come se la caveranno Hiccup e Sdentato in Dragon Trainer 2 e non vedo l'ora vivere una nuova avventura assieme a loro!
Dean DeBlois è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Canadese, ha diretto film come Lilo & Stitch e Dragon Trainer 2. Anche animatore e produttore, ha 44 anni e un film in uscita, Dragon Trainer 3, che dovrebbe essere pronto per il 2017.
Chris Sanders (vero nome Christopher Michael Sanders) è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Lilo & Stitch e I Croods. Anche doppiatore, animatore e produttore, ha 54 anni e un film in uscita, I Croods 2.
America Ferrera doppia in originale Astrid. Americana, famosissima protagonista della serie Ugly Betty, ha doppiato anche Dragon Trainer 2 e partecipato ad altre serie come CSI - Scena del crimine. Anche produttrice, ha 30 anni.
Occhio, qui ci sono SPOILER. Il finale originale prevedeva che Hiccup uscisse dallo scontro col dragone praticamente illeso ma i realizzatori hanno pensato che la cosa fosse, giustamente, poco realistica e, con l'approvazione di Cressida Cowell, hanno deciso di fargli perdere parte della gamba, così come succede all'inizio a Sdentato con la coda; a tal proposito, la scena in cui Hiccup si rende conto di essere ormai monco e viene aiutato sia psicologicamente che fisicamente da Sdentato è stata suggerita nientemeno che da Steven Spielberg perché lo script originale prevedeva che il ragazzo prendesse coscienza dell'accaduto da solo, riducendo così il ruolo del draghetto a quello di mera "cavalcatura". Quindi, grande Spilby sempre e comunque! Dragon Trainer ha generato, oltre al seguito Dragon Trainer 2 (a cui dovrebbe aggiungersene un terzo nel 2017), anche parecchi spin-off, come la serie Dreamworks Dragons: I cavalieri di Berg, tuttora in corso e mandata in onda su Cartoon Network e Boing, e i corti La leggenda del drago Rubaossa, Dragons: il dono del drago e Book of Dragons. Se Dragon Trainer vi fosse piaciuto recuperateli tutti assieme magari a Mulan, Ribelle - The Brave e Le 5 leggende. ENJOY!
venerdì 21 marzo 2014
Lei (2013)
Martedì ho finalmente guardato il film visto ed apprezzato da (quasi) tutta la blogosfera, ovvero Lei (Her), diretto e sceneggiato nel 2013 da quel geniaccio di Spike Jonze e vincitore dell'Oscar per la migliore sceneggiatura originale.
Trama: Theodore è un uomo solitario, provato dalla fine di un lungo matrimonio. Un giorno, per curiosità, decide di acquistare un software in grado di "evolversi" in base alle necessità del padrone ed è così che, a poco a poco, intesse una relazione con questo programma, autodenominatosi Samantha...
Quanta tristezza, quanta bellezza. Durante la visione di Lei sono stata colta da una malinconia talmente profonda che ho fatto fatica ad arrivare alla fine e non perché il film sia brutto, anzi. Solo che, verso la fine, alla malinconia si è aggiunta anche un po' d'inquietudine. La storia di Theodore, ambientata in un futuro prossimo dove le lettere d'amore vengono dettate da appositi impiegati ad un computer che poi le stamperà in bella calligrafia, sembrerebbe quasi la naturale evoluzione di questa società dove le persone sono sempre più isolate e chiuse all'interno di una rete globale in grado di alimentare disagio e solitudine. Il protagonista si trova davanti al suo primo, importante fallimento come essere umano (il matrimonio è andato a rotoli) e non ha più il coraggio di rapportarsi agli altri perché, che scoperta!, l'amore è un sentimento reciproco dove è bello ricevere ma bisogna anche dare... e lui non riesce più a darsi completamente, o forse non c'è mai riuscito, perso nella ricerca egoista di un ideale inesistente e ingiusto. L'unica soluzione è vivere una fantasia, per quanto assurda, con qualcuno che non potrà mai essere alla pari di un essere umano e che tuttavia, apparentemente, è la persona perfetta: Lei. Samantha. Il software che, attraverso l’interazione con Theodore, comincia a comprendere il mondo e sé stessa, ad evolversi e superarsi, a trascendere in modo imprevedibile. La mia inquietudine non deriva tanto dalla svolta vagamente distopica che il film prende verso il finale, quanto dalla consapevolezza che l’essere umano Theodore è, se così si può dire, il “personaggio negativo” del film, un uomo perso nel suo ideale di artistica perfezione che si ammanta di un’aura di sfiga e tenerezza che non lo rende però meno ottuso, debole o ridicolo (si veda la sequenza dell'appuntamento al buio con Olivia Wilde, scioccante in ogni suo aspetto!). E’ più facile empatizzare con Samantha che, poverina, sarà anche infallibile in quanto computer e a tratti istericamente provata dal suo desiderio di vivere accanto a Theodore e convincerlo della possibilità di una relazione, tuttavia palesa sentimenti di inadeguatezza, frustrazione, gelosia, tristezza e curiosità genuinamente e meravigliosamente umani.
Jonze racconta così la favola malinconica di un amore 2.0, di una ricerca disperata della felicità impossibile e anche di amicizia; lo fa con tocco delicato e poetico, regalando allo spettatore momenti divertenti, assurdi e commoventi che ci spingono a riflettere su noi stessi e sul nostro modo di rapportarci agli altri, magari identificandoci di volta in volta con Theodore o con Samantha, anche se la persona più “vera” (nel senso di plausibile) del film è la tenera e frustrata Amy, interpretata da una Amy Adams bravissima e stranamente dimessa. Le sfumature del passato si mescolano ad un presente fatto di note malinconiche, colori tenui e luci soffuse e a squarci di un incerto futuro perso negli sterminati neon di una città cosmopolita, che può offrire agli sperduti protagonisti la speranza e l’amore, come anche la disperazione e il perpetuarsi della solitudine. Joaquin Phoenix regge quasi da solo il film con la sua delicata e convincente interpretazione di un uomo qualunque, senza particolari pregi se non quello di saper mettere su carta i sentimenti altrui (e col fatale difetto di non riuscire a gestire i propri), ma la particolarità del film è la briosa, sensuale e tenera voce di Scarlett Johansson, in grado di rendere viva e reale Samantha e di emozionare lo spettatore anche se priva di un corpo. La cosa incredibile è che Jonze non usa mezzucci per dotarla di una presenza fisica, come un ologramma o un'immagine, ma gli basta semplicemente inquadrare l'inseparabile telefonino che Theodore porta sempre con sé e col quale ha una relazione simbiotica fin dalle prime immagini del film, prefigurazione veritiera di tutto quello che accadrà in seguito. Her è una pellicola lieve e particolare, che bisogna seguire con un po' di attenzione e una certa predisposizione alla malinconia; bisogna stare al gioco del regista e lasciarsi trasportare dai suoni e dalle parole, senza lasciarsi fuorviare dallo stile patinato delle immagini o dalla tematica fantascientifica perché questa, più che la storia di un amore impossibile tra un uomo e una macchina, è una storia sull'impossibilità di amare ed esprimere al meglio quello che proviamo, da vedere e rivedere.
Del regista e sceneggiatore Spike Jonze (che presta anche la voce al bimbetto alieno del videogame) ho già parlato qui. Di Joaquin Phoenix (Theodore), Chris Pratt (Paul), Rooney Mara (Catherine), Kristen Wiig (è la voce di SexyKitten), Scarlett Johansson (la voce di Samantha), Amy Adams (Amy) e Brian Cox (la voce di Alan Watts) ho già parlato ai rispettivi link.
Olivia Wilde (vero nome Olivia Jane Cockburn) interpreta la ragazza con cui Theodore ha l'appuntamento al buio. Americana, la ricordo per film come Turistas, Tron: Legacy, Cowboys & Aliens, In Time, The Words e Rush; inoltre, ha partecipato a serie come The O.C. e Dr House e, come doppiatrice, ha partecipato ad episodi di Robot Chicken e American Dad!. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 30 anni e cinque film in uscita.
Portia Doubleday, che nel film interpreta il "doppio" umano di Samantha, Isabella, nell'imbarazzante Lo sguardo di Satana - Carrie era mora e rispondeva al nome di Chris Hargensen. Originariamente, a dare la voce a Samantha avrebbe dovuto essere l'attrice Samantha Morton, che è stata sul set ogni giorno e aveva già registrato tutti i dialoghi. In fase di montaggio, però, Jonze ha capito che qualcosa non funzionava e, col benestare dell'attrice, ha deciso di ingaggiare la Johansson e farle ri-recitare da capo tutti i dialoghi. Tra l'altro, anche Chris Cooper ha girato alcune scene ma il suo personaggio è stato tagliato completamente fuori dalla pellicola. Un'altra attrice che ha dovuto rinunciare a partecipare al film, sebbene semplicemente a causa di impegni pregressi, è stata Carey Mulligan, rimpiazzata da Rooney Mara. E con questo concludo.. ENJOY!
Trama: Theodore è un uomo solitario, provato dalla fine di un lungo matrimonio. Un giorno, per curiosità, decide di acquistare un software in grado di "evolversi" in base alle necessità del padrone ed è così che, a poco a poco, intesse una relazione con questo programma, autodenominatosi Samantha...
Quanta tristezza, quanta bellezza. Durante la visione di Lei sono stata colta da una malinconia talmente profonda che ho fatto fatica ad arrivare alla fine e non perché il film sia brutto, anzi. Solo che, verso la fine, alla malinconia si è aggiunta anche un po' d'inquietudine. La storia di Theodore, ambientata in un futuro prossimo dove le lettere d'amore vengono dettate da appositi impiegati ad un computer che poi le stamperà in bella calligrafia, sembrerebbe quasi la naturale evoluzione di questa società dove le persone sono sempre più isolate e chiuse all'interno di una rete globale in grado di alimentare disagio e solitudine. Il protagonista si trova davanti al suo primo, importante fallimento come essere umano (il matrimonio è andato a rotoli) e non ha più il coraggio di rapportarsi agli altri perché, che scoperta!, l'amore è un sentimento reciproco dove è bello ricevere ma bisogna anche dare... e lui non riesce più a darsi completamente, o forse non c'è mai riuscito, perso nella ricerca egoista di un ideale inesistente e ingiusto. L'unica soluzione è vivere una fantasia, per quanto assurda, con qualcuno che non potrà mai essere alla pari di un essere umano e che tuttavia, apparentemente, è la persona perfetta: Lei. Samantha. Il software che, attraverso l’interazione con Theodore, comincia a comprendere il mondo e sé stessa, ad evolversi e superarsi, a trascendere in modo imprevedibile. La mia inquietudine non deriva tanto dalla svolta vagamente distopica che il film prende verso il finale, quanto dalla consapevolezza che l’essere umano Theodore è, se così si può dire, il “personaggio negativo” del film, un uomo perso nel suo ideale di artistica perfezione che si ammanta di un’aura di sfiga e tenerezza che non lo rende però meno ottuso, debole o ridicolo (si veda la sequenza dell'appuntamento al buio con Olivia Wilde, scioccante in ogni suo aspetto!). E’ più facile empatizzare con Samantha che, poverina, sarà anche infallibile in quanto computer e a tratti istericamente provata dal suo desiderio di vivere accanto a Theodore e convincerlo della possibilità di una relazione, tuttavia palesa sentimenti di inadeguatezza, frustrazione, gelosia, tristezza e curiosità genuinamente e meravigliosamente umani.
Jonze racconta così la favola malinconica di un amore 2.0, di una ricerca disperata della felicità impossibile e anche di amicizia; lo fa con tocco delicato e poetico, regalando allo spettatore momenti divertenti, assurdi e commoventi che ci spingono a riflettere su noi stessi e sul nostro modo di rapportarci agli altri, magari identificandoci di volta in volta con Theodore o con Samantha, anche se la persona più “vera” (nel senso di plausibile) del film è la tenera e frustrata Amy, interpretata da una Amy Adams bravissima e stranamente dimessa. Le sfumature del passato si mescolano ad un presente fatto di note malinconiche, colori tenui e luci soffuse e a squarci di un incerto futuro perso negli sterminati neon di una città cosmopolita, che può offrire agli sperduti protagonisti la speranza e l’amore, come anche la disperazione e il perpetuarsi della solitudine. Joaquin Phoenix regge quasi da solo il film con la sua delicata e convincente interpretazione di un uomo qualunque, senza particolari pregi se non quello di saper mettere su carta i sentimenti altrui (e col fatale difetto di non riuscire a gestire i propri), ma la particolarità del film è la briosa, sensuale e tenera voce di Scarlett Johansson, in grado di rendere viva e reale Samantha e di emozionare lo spettatore anche se priva di un corpo. La cosa incredibile è che Jonze non usa mezzucci per dotarla di una presenza fisica, come un ologramma o un'immagine, ma gli basta semplicemente inquadrare l'inseparabile telefonino che Theodore porta sempre con sé e col quale ha una relazione simbiotica fin dalle prime immagini del film, prefigurazione veritiera di tutto quello che accadrà in seguito. Her è una pellicola lieve e particolare, che bisogna seguire con un po' di attenzione e una certa predisposizione alla malinconia; bisogna stare al gioco del regista e lasciarsi trasportare dai suoni e dalle parole, senza lasciarsi fuorviare dallo stile patinato delle immagini o dalla tematica fantascientifica perché questa, più che la storia di un amore impossibile tra un uomo e una macchina, è una storia sull'impossibilità di amare ed esprimere al meglio quello che proviamo, da vedere e rivedere.
Del regista e sceneggiatore Spike Jonze (che presta anche la voce al bimbetto alieno del videogame) ho già parlato qui. Di Joaquin Phoenix (Theodore), Chris Pratt (Paul), Rooney Mara (Catherine), Kristen Wiig (è la voce di SexyKitten), Scarlett Johansson (la voce di Samantha), Amy Adams (Amy) e Brian Cox (la voce di Alan Watts) ho già parlato ai rispettivi link.
Olivia Wilde (vero nome Olivia Jane Cockburn) interpreta la ragazza con cui Theodore ha l'appuntamento al buio. Americana, la ricordo per film come Turistas, Tron: Legacy, Cowboys & Aliens, In Time, The Words e Rush; inoltre, ha partecipato a serie come The O.C. e Dr House e, come doppiatrice, ha partecipato ad episodi di Robot Chicken e American Dad!. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 30 anni e cinque film in uscita.
Portia Doubleday, che nel film interpreta il "doppio" umano di Samantha, Isabella, nell'imbarazzante Lo sguardo di Satana - Carrie era mora e rispondeva al nome di Chris Hargensen. Originariamente, a dare la voce a Samantha avrebbe dovuto essere l'attrice Samantha Morton, che è stata sul set ogni giorno e aveva già registrato tutti i dialoghi. In fase di montaggio, però, Jonze ha capito che qualcosa non funzionava e, col benestare dell'attrice, ha deciso di ingaggiare la Johansson e farle ri-recitare da capo tutti i dialoghi. Tra l'altro, anche Chris Cooper ha girato alcune scene ma il suo personaggio è stato tagliato completamente fuori dalla pellicola. Un'altra attrice che ha dovuto rinunciare a partecipare al film, sebbene semplicemente a causa di impegni pregressi, è stata Carey Mulligan, rimpiazzata da Rooney Mara. E con questo concludo.. ENJOY!
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