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venerdì 18 novembre 2022

Wendell & Wild (2022)

Siccome ho sempre adorato il genere, ho recuperato volentieri Wendell & Wild, diretto dal regista Henry Selick e disponibile su Netflix.


Trama: la tredicenne Kat, dopo la morte dei genitori e un'adolescenza passata in riformatorio, viene mandata in una scuola per ragazze e scopre di essere legata a due demoni pasticcioni, Wendell & Wild...


Henry Selick è per me amore dai tempi di Nightmare Before Christmas e quando ho letto il suo nome alla regia di Wendell e Wild mi sono sfregata le manine dalla gioia, visto che non realizzava più un lungometraggio dal 2009. Dopo la visione, posso dire che Selick è un po' sfortunato, poverello. A Nightmare Before Christmas la gente associa in primis il nome di Tim Burton, a Coraline quello di Neil Gaiman, mentre Wendell & Wild parrebbe principalmente frutto dello stile di Jordan Peele, tanto che probabilmente in futuro sarà il suo nome a venire associato a quest'opera animata. Nonostante l'aspetto gotico del film, presente ed innegabile, il fulcro della storia di Kat affonda infatti nel degrado di una città (s)popolata da minoranze, dove a farla da padroni sono i soldi di due dubbi riccastri che vorrebbero distruggere definitivamente il tessuto urbano per costruire un mega carcere in cui i detenuti non verrebbero riabilitati, bensì sfruttati per fare ulteriori quattrini; la morte dei genitori di Kat, devastata dal senso di colpa per essere sopravvissuta all'incidente che li ha uccisi, è il prodromo della morte di una città privata dei suoi abitanti più combattivi, portatori di valori quali famiglia e comunità, e la triste disumanità di chi è rimasto fa impallidire un inferno che, al limite, può essere giusto definito ripetitivo e "vecchio". I livelli di lettura di Wendell & Wild sono dunque molteplici, ma proprio questo è il suo difetto più grande, in quanto l'abbondanza di trame e sottotrame rallenta parecchio il ritmo della pellicola e, talvolta, rende più difficile l'armonizzazione tra temi, stili e personaggi, col risultato che questi ultimi sono poco approfonditi, spesso anzi sono solo abbozzati e dimenticati (la tutrice di Kat all'inizio, caratterizzata come donna forte e interessante, scompare dopo 2 minuti di film, le deliziose amichette di Siobhan sono meno di un comic relief, il collezionista di demoni è poco sviluppato, e potrei continuare).


Dal punto di vista della realizzazione, invece, Selick è Selick e non si discute. Premesso che, per puro gusto personale, non ho apprezzato granché il character design dei personaggi (la protagonista in particolare è bruttarella assai), ma un'opera animata in stop motion è qualcosa che riesce sempre a riempirmi il cuore di gioia e ammirazione, scatenate dalla consapevolezza di quanta bravura e pazienza ci voglia a realizzare ogni singola sequenza, tra costruzioni e movimenti di pupazzini, mezzi, scenografie, edifici e quant'altro. La fantasia visionaria del regista, assieme al suo gusto per la composizione delle scene, qui si manifestano soprattutto in presenza di Wendell e Wild, non a caso i personaggi titolari, che infondono gioiosa e macabra incoscienza a vari numeri di resurrezione con annesso trucco e parrucco (ho apprezzato molto lo spirito iconoclasta con cui ci viene proposto un prete truccato come Divine o quasi) e ci portano per mano in una dimensione infernale governata da un gigantesco demone vanesio, una sorta di Oogie Boogie un po' più indolente e magnanimo, che funge da "abitazione" bisognosa di strane cure. Ci sarebbero molti altri punti di forza all'interno del film, per esempio la bella colonna sonora interamente formata da pezzi black o il design tribale dei demoni personali di Kat, piuttosto che delle illustrazioni disegnate da Raul, ed è un peccato che si perdano all'interno di un film che, purtroppo, non ha la forza né la poesia dei cult realizzati in passato da Selick, al quale auguro di poter tornare in gran spolvero o con una storia interamente scritta da lui, oppure da qualcuno col quale sia più affine, perché qui ci sono talmente tante anime che il lungometraggio "infernale" è diventato un po' un purgatorio!   


Del regista e co-sceneggiatore Henry Selick ho già parlato QUIKeegan-Michael Key (voce originale di Wendell), Jordan Peele (co-sceneggiatore e voce originale di Wild), Angela Bassett (Sorella Helley), James Hong (Padre Bests) e Ving Rhames (Buffalo Belzer) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Wendell & Wild vi fosse piaciuto recuperate The Nightmare Before Christmas, La sposa cadavere, Coraline e ParaNorman. ENJOY!

venerdì 19 agosto 2022

Nope (2022)

Finalmente i cinema hanno riaperto anche dalle mie parti e, ovviamente, non potevo esimermi dal correre a vedere uno dei film che aspettavo con più impazienza, ovvero Nope, scritto e diretto dal regista Jordan Peele. NO SPOILER, tranquilli.


Trama: dopo la morte del padre, O.J. e la sorella Emerald cercano di salvare la loro attività di addestratori di cavalli dalla bancarotta, proprio quando qualcosa di orribile comincia ad accadere all'interno della loro proprietà...


Mi levo subito il dente, così la facciamo finita. Credo di essere una delle poche persone ad avere avuto qualche problemino con Nope e ammetto di non averlo apprezzato tanto quanto i lavori precedenti del regista. Il motivo è essenzialmente legato a una questione di pancia: l'argomento di Nope, per quanto sia tra le cose che più mi terrorizzano cinematograficamente parlando, è anche uno di quelli che mi infastidisce maggiormente e che mi dà sempre una sensazione di "cheap", di cretinata buttata lì. Di conseguenza, sono rimasta molto meno coinvolta da Nope rispetto a Noi o Get Out, ma ciò non significa assolutamente che l'ultima pellicola di Peele sia un brutto film, anzi, probabilmente è quella più stratificata ed ambiziosa e, di sicuro, non è una cretinata. Senza scendere troppo nello specifico, Nope getta uno sguardo piuttosto feroce su un'altra delle nostre piaghe sociali, la necessità (più che la brama) di essere famosi e speciali per contare davvero qualcosa, quel "picture or it didn't happen" che, più in piccolo, governa anche la nostra quotidianità, tra Facebook, Instagram, Youtube, ecc. Nope però non è una critica ai social, nulla di così banale, ma proprio alla pressione sociale che ormai ha cambiato definitivamente il nostro modo di approcciarci alle cose, trasformando tutto in "spettacolo" usa e getta; alla sincera passione si affianca troppo spesso il desiderio non solo di ricavare del denaro ma, soprattutto, di spiccare, di essere speciali ed unici, anche a scapito della ragionevolezza e del piacere di dedicarsi a qualcosa. I protagonisti di Nope, è vero, sono alla canna del gas e la loro attività (retaggio comunque di un tempo passato in cui i risultati si ottenevano con calma e ci si fidava dei professionisti, senza pensare di saperne più di loro) rischia di mandarli in bancarotta, ma quando l'orrore si abbatte sulle loro vite né O.J., che parrebbe più ragionevole, né l'inaffidabile Emerald pensano di lasciare i loro terreni, e non tanto per una questione di orgoglio o nostalgia, quanto proprio per il triste miraggio del denaro e della fama. Lo stesso vale per Jupe, ex bambino prodigio, protagonista di una side story che, lì per lì, parrebbe non entrarci nulla con la trama principale ma che, invece, nasconde proprio la chiave per interpretare l'intera pellicola. 


Jupe è sopravvissuto a un'esperienza che avrebbe mandato al manicomio più di una persona e ne ha trasfigurato l'orrore in una sorta di benedizione, di autocelebrazione a base di memorabilia capaci di parlare agli istinti più bassi dei curiosi. "Tu sei il prescelto", si ripete Jupe, risparmiato da una furia omicida per puro caso, eppure ovviamente convinto che dietro alla sua fortuita salvezza si nasconda un qualche significato in virtù dell'egocentrismo che abbiamo tutti in misura più o meno minore, e da questa convinzione deriva quella di essere invincibile, speciale e necessario, con tutte le conseguenze che Jordan Peele mette in scena in una delle sequenze più angoscianti del film. Nel trailer, un personaggio si domanda "come si chiama un miracolo al contrario?". Ebbene, qui c'è da chiedersi come si chiama il contrario della speranza gioiosa di Spielberg, di quell'ingegno umano tutto americano e anche un po' sfacciato che consentiva ad adulti e ragazzini di vivere le avventure più meravigliose trovandosi davanti l'ignoto. Si chiamerà "Nope", come a dire "manco per il ca**o" o come a dire "No hope"? In qualunque modo la si voglia chiamare, di sicuro a Peele non manca la grandiosità spielberghiana di una regia che regala immagini splendide ed emblematiche, tra campi lunghi mozzafiato e comunque claustrofobici (perché qualunque cosa può nascondersi nel paesaggio brullo dove i cavalli fuggono spaventati), primi piani di occhi che non ardirebbero guardare ma devono farlo comunque, perché essere testimoni, anche di fronte all'orrore, significa essere speciali ed unici, e punti di vista che cambiano a seconda del personaggio, cosa che ci cala nei panni dei terrorizzati protagonisti, il tutto unito da un montaggio fluido e intelligente. Nope non è un film ottimista, nonostante ci insegni a fare un passo indietro e a rivestirci di umiltà ridimensionando il nostro posto nel mondo, ma è un film che sancisce la fine del sogno americano, dell'innocenza di un far west esistito solo al cinema, e che regala un lieto fine incerto ed amarissimo, racchiuso interamente nel sorriso forzato della brava Keke Palmer. A prescindere da tutto quello che mi ha potuta infastidire (e da tutto quello che ci viene insegnato nel film), a voi consiglio però di non distogliere lo sguardo da Nope e di godervi lo spettacolo messo in scena da Peele, rigorosamente al cinema. 


Del regista e sceneggiatore Jordan Peele ho già parlato QUI. Daniel Kaluuya (O.J. Haywood), Michael Wincott (Antlers Holst), Steven Yeun (Ricky "Jupe" Park), Keith David (Otis Haywood Senior) e Oz Perkins (Fynn Bachman) li trovate invece ai rispettivi link.

Keke Palmer interpreta Emerald Haywood. Americana, ha partecipato a film come Cleaner, e a serie quali Cold Case, E.R. Medici in prima linea, Grey's Anatomy, Scream Queens, Scream: La serie; come doppiatrice ha lavorato in The Cleveland Show, I Griffin, Robot Chicken, L'era glaciale 4 - Continenti alla deriva e L'era glaciale 5 - In rotta di collisione. Anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 29 anni. 


Se Nope vi fosse piaciuto recuperate Incontri ravvicinati del terzo tipo e Signs. ENJOY!

domenica 30 giugno 2019

Toy Story 4 (2019)

Credevo non sarei riuscita a vederlo ma, come si suol dire, volere è potere e così giovedì sono andata al cinema per guardare Toy Story 4, diretto dal regista Josh Cooley. NO SPOILER, almeno ci proviamo!


Trama: i giocattoli che erano di Andy passano ora una vita più o meno serena nella cameretta di Bonnie, ormai pronta per andare all'asilo. L'arrivo del "giocattolo" Forky e un'inaspettata vacanza in camper arrivano a scombinare le cose...


Avevamo lasciato Woody e soci nelle amorevoli mani di Bonnie, nell'ormai lontano 2010. Una perfetta quadratura del cerchio, così come perfetto era Toy Story 3, conclusosi con il passaggio di consegne da una generazione a un'altra, con Andy che, diventato adulto, donava i compagni di una vita a una bambina che la sua l'aveva appena iniziata. Non c'era bisogno di un Toy Story 4, questo sia chiaro a tutti, ovviamente, perché la storia aveva già raggiunto la sua naturale conclusione. Però, come viene spesso ripetuto nello stesso film, c'è gente che non riesce ad andare avanti e a lasciarsi alle spalle il passato (soprattutto quando c'era UNA piccola questione in sospeso in Toy Story 3), che passerebbe tutta la vita chiusa in una teca di vetro dove vengono proiettati vecchi film Disney o Pixar 24 ore su 24, e a tutti loro è dedicato questo Toy Story 4. A loro e a chi, come il nuovo personaggio Forky, fatica ad accettare di poter diventare qualcos'altro, al di là dei pregiudizi che lo bloccano precludendogli mille interessanti possibilità. A quelle persone che faticano ad uscire dalla loro confort zone trovando mille scuse per non fare un passo avanti, rasentando una psicosi dannosa tanto per se stessi quanto per gli altri. Toy Story 4 è pieno di questi personaggi, Woody in primis, terrorizzati di perdere quello che pensano essere il loro posto nel mondo, al di là del quale c'è una terrificante oscurità fatta di incertezze e solitudine; è proprio questa incapacità di "evolvere" (specchio della paura della piccola Bonnie di andare all'asilo) il motore di una storia in cui Woody e soci si ritroveranno nuovamente coinvolti in una tipica, rocambolesca missione di recupero all'interno della quale i giocattoli dovranno mettere in mostra tutte le loro abilità senza farsi scoprire e senza mostrare agli umani la sottile vena di follia che li caratterizza. Una storia dove i momenti nostalgici e commoventi sono dietro l'angolo, pronti a colpire a tradimento, spingendo lo spettatore particolarmente cretino (ovvero io) a mettere mano ai fazzoletti, e dove si ride parecchio, anche perché il tasso di demenza dei nuovi personaggi introdotti è assai elevato.


E' tuttavia palese, al di là di tutti questi aspetti positivi, che molti personaggi non avessero più nulla da dire. I vecchi giocattoli, che nei primi tre film riuscivano a ritagliarsi un indispensabile spazio sotto i riflettori e a far da degna spalla a Woody (pezzi grossi come Jessie e Buzz Lightyear) qui sono molto sotto tono, parte del "mucchio" e spesso ridotti a far da tappezzeria, lasciando spazio a nuove creaturine che faranno impazzire gli abituali acquirenti di Funko Pop e prodotti del Disney Store e che, in effetti, sono molto spassose. Avevo molta paura di Forky, lo ammetto. Per i primi 20 minuti è l'equivalente di una gag tirata per le lunghe e non aiuta che a doppiarlo sia Luca Laurenti, dotato ahilui di una voce che mi istiga la violenza, poi per fortuna riesce in qualche modo a sbloccarsi e a rendersi amabile, anche se la palma di migliori personaggi (salvo una Bo-Peep evolutasi in uno dei migliori personaggi femminili Pixar di sempre) vanno agli svampitissimi peluche Ducky e Bunny, con quei loro sogni ad occhi aperti capaci di far la gioia di ogni amante dei film horror. Anzi, io chiederei a gran voce che gli sceneggiatori di Toy Story 4, assieme al regista, realizzassero qualcosa in ambito horror, in quanto hanno una conoscenza del genere (i riferimenti a Shining si sprecano. Chiedetevi, tra le altre cose, dove avete già sentito la canzone Midnight, the Stars and You. Ah, non c'entra nulla ma divertitevi anche a trovare una Boo cresciuta!), dei suoi topoi e dei suoi ritmi superiore a quella di molti registi e sceneggiatori impegnati nel campo, vedere le terrificanti marionette che accompagnano Gabby Gabby per credere ma anche gli inquietantissimi piani d'attacco di Ducky e Bunny. Sugli aspetti tecnici della pellicola c'è poco da dire, le animazioni e il character design sono a livelli superiori come sempre e in generale Toy Story 4 è un film piacevolissimo da vedere, sia per grandi che per piccini, perfettamente inserito all'interno di quel cerchio "chiuso" formato dalle prime tre pellicole. Insomma, quello che partiva come un film "inutile" è un gran bel quarto capitolo, da vedere e rivedere come i predecessori. Sperando, con tutto il rispetto, che sia finita lì, altrimenti tutti gli insegnamenti di Toy Story 4 saranno stati vani.


Di Tom Hanks (voce originale di Woody), Tim Allen (Buzz Lightyear), Annie Potts (Bo-Peep), Christina Hendricks (Gabby Gabby), Jordan Peele (Bunny), Keanu Reeves (Duke Caboom), Jay Hernandez (papà di Bonnie), Joan Cusack (Jessie), Bonnie Hunt (Dolly), Wallace Shawn (Rex), Laurie Metcalf (la mamma di Andy), Mel Brooks (Melephant Brooks), Bill Hader (Axel il giostraio), Patricia Arquette (la mamma di Harmony), Timothy Dalton (Mr. Pricklepants), Carl Weathers (Combat Carl) e Flea (voce dello spot di Caboom) ho già parlato ai rispettivi link.

Josh Cooley è il regista della pellicola. Americano, è al suo primo lungometraggio ma aveva già diretto il corto Il primo appuntamento di Riley. Anche doppiatore, sceneggiatore e animatore, ha 39 anni.


Tony Hale è la voce originale di Forky. Americano, ha partecipato a film come Yoga Hosers e a serie quali Dawson's Creek. I Soprano, Sex and the City, E. R. Medici in prima linea, Numb3rs, Medium e Una serie di sfortunati eventi. Anche produttore, ha 49 anni e un film in uscita.


Keegan-Michael Key è la voce originale di Ducky. Collaboratore storico di Jordan Peele, ha partecipato a film come Parto col folle, Come ammazzare il capo 2, Tomorrowland - Il mondo di domani, Scappa: Get Out, The Predator e a serie quali E.R. Medici in prima linea, How I Met Your Mother e Fargo, inoltre ha già lavorato come doppiatore per The Lego Movie, Hotel Transylvania 2 e Bojack Horseman, Robot Chicken, I Simpson e American Dad!. Anche sceneggiatore e produttore, ha 48 anni e quattro film in uscita tra cui Il re leone.


La voce originale di Bonnie è della giovanissima Madeleine McGraw che, nella serie Outcast, interpretava la figlia di Kyle Barnes. Nell'armadio di Bonnie si riuniscono un po' di vecchie glorie della commedia americana: assieme al Melephant Brooks ci sono infatti Chairol Burnett (la sedia verde doppiata da Carol Burnett), Bitey White (tigrotta doppiata da Betty White) e Carl Reinoceros (rinoceronte doppiato da Carl Reiner). Tra i doppiatori italiani segnalo invece il già citato Luca Laurenti (Forky) e Corrado Guzzanti (Duke Caboom). Il film segue, ovviamente, Toy Story, Toy Story 2 e Toy Story 3, assieme ai corti Vacanze hawaiiane, Buzz a sorpresa, Non c'è festa senza Rex, Toy Story of Terror e Toy Story - Tutto un altro mondo, tutte cosette che vi consiglio di recuperare. ENJOY!

domenica 7 aprile 2019

Noi (2019)

Dopo Suspiria di Guadagnino, il secondo horror più atteso dell'anno, in rigoroso ordine di uscita, era Noi (Us), diretto e sceneggiato dal regista Jordan Peele. NO SPOILER, assolutamente, sarebbe un delitto.


Trama: durante una tranquilla vacanza estiva, la famiglia Wilson viene attaccata da misteriosi individui.


Dal trailer di Noi si evincevano solo un paio di cose: c'era una famiglia in vacanza e questa famiglia veniva attaccata da persone che alla fine si rivelavano essere i loro doppi. E queste sono le uniche cose che dovete sapere prima di guardare Noi, per il resto l'unico consiglio che vi do è di godervelo senza cercare recensioni in rete, spiegazioni o quant'altro perché Noi è un trip che va vissuto dall'inizio alla fine, un viaggio che predilige più il terreno del thriller psicologico che dell'horror tout court (anche se c'è sangue e vengono evocati generi apocalittici o zombeschi). Attraverso poche righe scritte sullo schermo e un prologo ambientato negli anni '80, Peele ci introduce all'apparentemente tranquilla vacanza della famiglia Wilson scatenandoci fin da subito un'inquietudine paragonabile giusto a quella con cui ci si accingeva a conoscere le imminenti sventure della famiglia Torrance in Shining, in un crescendo di elementi dissonanti e reiterati con un motivo ben preciso (un esempio su tutti: la citazione biblica di Geremia) che esplodono nell'ormai famigerata sequenza dell'attacco notturno ai danni dei protagonisti. Congegnata come insegnano i migliori home invasion, la scena in questione è un capolavoro di montaggio, regia e suspance ma è solo la punta dell'iceberg di qualcosa che, fortunatamente, non viene spoilerato nel trailer e che invoglia lo spettatore a capire cosa diamine stia succedendo ai Wilson, al di là dell'aspetto prettamente horror della questione. Nel dipanare la trama, Peele sta attento a non spiegare tutto subito, lasciando lo spettatore spesso perplesso e in balia di una sceneggiatura che non solo tende a stemperare con l'ironia momenti particolarmente pesi o truculenti attraverso la natura fanfarona del padre di famiglia, ma che apparentemente pare piegarsi alle regole degli horror più sciocchi quando invece c'è una spiegazione anche per ciò che sembra insensato di prim'acchito. La metafora di diseguaglianza sociale già presente in Scappa - Get Out si concretizza qui nella punizione per chi spazza lo sporco sotto i tappeti e cerca di rimediare quando ormai è troppo tardi (possibilmente male, come accaduto per il controverso e pluricitato Hands Across America), per chi adora gli dei sbagliati al punto da diventare sciocco ed inumano, incapace di guardare oltre il proprio naso rifatto, per chi a causa di questo lascia i figli allo sbando (soprattutto psicologicamente) per incuria o poco amore.


Servirebbero più visioni per penetrare tutti gli strati di cui è composto il meraviglioso parfait che è Noi, ma fin dalla prima occhiata si riesce a capire che non solo Peele è riuscito nell'impresa di scrivere una sceneggiatura solida ed interessante, ma è maturato molto anche a livello di linguaggio cinematografico. La sinergia tra colonna sonora (splendida, un riuscito mix di generi tra successi hip hop degli anni '90, Beach Boys e una Fuck the Police utilizzata nel migliore dei modi), direzione degli attori, regia e montaggio è qualcosa di splendido e ognuno di questi elementi contribuisce ad arricchire il film di significati ed indizi nascosti capaci di mettere alla prova l'attenzione dello spettatore così da renderlo parte attiva del processo cinematografico come ormai accade sempre più di rado; a partire dallo sforzo di comprendere le parole dell'inquietante nenia presente nei titoli di testa, fino ad arrivare al trionfo di montaggio che è la scena in cui Adelaide danza, durante la quale si cerca di scoprire quale sia la "rivelazione" che ha dato origine a tutto il delirio, non c'è un solo minuto di Noi in cui lo spettatore non sia messo alla prova, spinto a indovinare (non per vantarmi ma SPOILER il plot twist l'ho indovinato al primo suono emesso dagli invasori), a capire, ad inquietarsi e volerne di più. E anche gli attori ci mettono del loro, in primis una Lupita Nyong'o che probabilmente ha ottenuto il ruolo della vita alla faccia dell'Oscar come miglior attrice non protagonista per 12 anni schiavo; se, infatti, Winston Duke è "solo" scemo e i figlioli ininfluenti, almeno nelle loro versioni buone, la Nyong'o copre tutte le sfumature di un personaggio fragile, tosto e impossibile da definire come solo bianco o solo nero perché entrambe le Adelaide sono dotate di luci ed ombre in egual misura, entrambe madri, entrambe pronte a dar battaglia per non perdere ciò che ritengono loro di diritto. E più non dimandate, dai. Correte a vedere Noi in fiducia, poi al limite torniamo a riparlarne nei commenti. Per l'intanto, sia messo agli atti che io voglio ufficialmente benissimo a Jordan Peele.


Del regista e sceneggiatore Jordan Peele ho già parlato QUI. Lupita Nyong'o (Adelaide Wilson/Red) ed Elisabeth Moss (Kitty Tyler) le trovate invece ai rispettivi link.

Winston Duke interpreta Gabe Wilson/Abraham. Americano, ha partecipato a film come Black Panther e Avengers: Infinity War. Ha 32 anni e tre film in uscita tra i quali l'imminente Avengers: Endgame.


Fun Fact: le gemelle Cali e Noelle Sheldon hanno condiviso per un annetto il ruolo di Emma Geller-Green, la figlia neonata di Ross e Rachel in Friends. Jordan Peele ha dato come compito al cast quello di guardare dieci horror così da creare un linguaggio "comune". I titoli sono L'altro delitto, Shining, Babadook, It Follows, Two Sisters, Gli uccelli, Funny Games, Martyrs, Lasciami entrare e Il sesto senso e vi direi di recuperarli tutti se Noi vi fosse piaciuto, aggiungendo magari anche Scappa - Get Out. ENJOY!


lunedì 5 marzo 2018

Oscar 2018

Buon lunedì a tutti! Oggi è un giorno gioiosissimo, in Italia non è successo NIENTE mentre in America hanno finalmente consacrato il tessitore di sogni (e incubi) Guillermo del Toro come meritava da tempo. Bando agli indugi e parliamo un po' di questa novantesima notte degli Oscar, che sono riuscita stavolta a guardare in diretta perché con tutta la bellezza premiata non potevo davvero perderla! ENJOY!


Cominciamo con i premi, dovuti e meritati, a La forma dell'acqua. La favola di Del Toro ha portato a casa gli Oscar più ambiti, Miglior Film e Miglior Regia, assieme a quello per la Miglior Scenografia e Miglior Colonna Sonora. Vedere ciccio Del Toro salire sul palco due volte e tributare omaggio a Spielberg, con tutta l'umiltà di un ragazzo messicano che MAI avrebbe pensato di trovarsi un giorno nel firmamento delle grandi stelle, mi ha sciolto il cuore di commozione. Uno sprone a inseguire i propri sogni fino a raggiungerli e una gioia per tutti noi che a Guillermo abbiamo sempre creduto!! (e grazie a Faye Dunaway e Warren Beatty per non avere fatto casini stavolta!)


Altro motivo di gioia, almeno per me, è la grandemente prevista vittoria di Gary Oldman come Miglior Attore Protagonista dopo la mostruosa interpretazione di Churchill. Lui era sicuramente contentissimo e ha dedicato l'Oscar a Churchill e a mammà, invitandola e mettere su il kettle per il the, da perfetto inglese, probabilmente erano invece meno contenti tutti gli altri coinvolti nella realizzazione de L'ora più buia, che ha vinto solo un altro premio, quello per il Miglior Make-Up.


Altro Oscar prevedibile ma molto gradito, quello a Frances McDormand come Migliore Attrice Protagonista per Tre manifesti a Ebbing, Missouri. L'attrice si è profusa in un discorso strepitoso, dove ha invitato Hollywood a parlare con le donne nei giorni seguenti ai bagordi, per ascoltarle e finanziarne i progetti. Speriamo in bene, via! Tre manifesti ha portato fortuna anche a Sam Rockwell, che ha giustamente vinto l'Oscar come Miglior Attore Non Protagonista, finalmente (anche se un po' mi spiace per il collega Woody Harrelson, piccolino), per il resto il film di McDonagh partiva strafavorito in ogni categoria e invece è rimasto con un palmo di naso.


Uno dei motivi del "ridimensionamento" di Tre manifesti a Ebbing, Missouri è da ricercarsi nel premio più inaspettato della serata, quello a Scappa - Get Out per la Miglior Sceneggiatura Originale. Ora, dite quello che volete ma, sorpresa a parte (non avrei scommesso un euro su questo risultato), io sono contentissima per Jordan Peele. Che un comico di colore sia riuscito ad imbastire una sceneggiatura in perfetto equilibrio tra horror, thriller e commedia e sia arrivato a conquistare l'Academy e il pubblico tutto (basta sentire le ovazioni che gli hanno tributato ad ogni nomination) mi riempie di speranze per il futuro del cinema in generale e dell'horror in particolare. Come ho scritto su Facebook, l'horror sta bene, vi saluta e Jason Blum mostra allegramente a tutti il dito medio. La Miglior Sceneggiatura Non Originale è finita tra le manine anziane del venerando e tenerissimo James Ivory per Chiamami col tuo nome, unica statuetta conferita al film di Guadagnino (Su TV8 hanno brindato. Dai, siete stati un po' ridicoli, ché di orgoglio italiano in quel film ce n'era davvero poco).


Torniamo di nuovo su sentieri più sicuri con l'Oscar per la Miglior Attrice Non Protagonista, finito come da programma alla meravigliosa Allison Janney di I, Tonia, motivo in più per vedere uno dei migliori film dell'anno quando uscirà tra qualche settimana.


Quest'anno ero abbastanza preparata anche sugli altri premi (salvo corti, documentari e film stranieri, ma prometto che recupererò Una donna fantastica, ennesima riprova dello strapotere sudamericano che ha governato questa notte degli Oscar) quindi mi sento di poterne parlare senza vergogna. La statuetta per Miglior Film d'Animazione è andata a Coco (ne sono felicissima, anche perché rumenta come Baby Boss non andava nemmeno presa in considerazione, eppure avrei visto benissimo tra i vincitori lo splendido The Breadwinner, di cui parlerò domani), che ha vinto anche quella per la Miglior Canzone, premio un po' meno valido, ché tra tutte le canzoni in gara Remember Me era davvero quella meno bella e toccante. Vabbé. A Blade Runner 2049 sono andati invece i premi per la Miglior Fotografia, davvero meritatissimo, e quello per i Migliori Effetti Speciali, altrettanto meritato, mentre a Dunkirk è stata riconosciuta la perizia nel campo del Montaggio e del Sonoro, per un totale di tre premi molto importanti ad un film che obiettivamente non meritava di più, mi spiace cari Nolaniani. Le briciole, piuttosto, sono andate al povero Il filo nascosto, premiato solo per i Costumi, davvero meravigliosi, però forse il film meritava davvero di più. Ma tanto Del Toro ha stravinto, checcefrega? E per quest'anno è tutto! ENJOY!

venerdì 26 maggio 2017

Scappa: Get Out (2017)

Col solito ritardo da bradipo ho finalmente visto anch'io l'horror sulla bocca di tutti, ovvero Scappa: Get Out, diretto e sceneggiato dal regista Jordan Peele. NO SPOILER, anche se probabilmente chiunque leggerà il post avrà già visto il film.


Trama: Chris, ragazzo di colore, viene invitato dalla fidanzata bianca a raggiungere i genitori di lei per il weekend. I due arriveranno nel bel mezzo di una riunione di famiglia e Chris comincerà a sentirsi sempre più a disagio ed inquieto, non solo per il colore della pelle...


Purtroppo anche questo post rischia di essere più breve del solito, nonostante Get Out mi sia piaciuto molto. Il motivo è presto detto: potete tranquillamente mandare al diavolo chiunque accenni anche solo vagamente a ciò che succede nel film perché il bello di guardarlo è proprio andare oltre a un trailer per una volta fatto bene, che spinge lo spettatore a farsi un'idea abbastanza diversa dell'opera prima di Jordan Peele. Premesso che le persone mediamente scafate in ambito horror/thriller possono riuscire ad anticipare il twist più grande dopo dieci minuti di pellicola, ci sono tanti piccoli risvolti che, anche dopo la rivelazione principale, riescono a sorprendere in positivo mandando a ramengo tutti i cliché del genere e, soprattutto, c'è tutto ciò che viene prima e che rende Get Out non solo un ottimo thriller psicologico ma in particolare un'ottima riflessione sull'America d'oggi. Quell'America per cui Black Lives Matter ma intanto si vota Trump e dove le tensioni razziali non sono mai scomparse del tutto, nemmeno dopo conquiste civili di importanza capitale. Indovina chi viene a cena? è stato girato nel 1967 eppure la premessa di Get Out è la stessa, dopo 50 anni di civiltà "moderna": una ragazza bianca deve presentare ai suoi genitori il fidanzato nero, del quale non ha mai parlato in famiglia. All'ingenuità di lei si accompagnano le giuste perplessità di lui, costretto ad entrare nella tana del lupo praticamente nudo ed indifeso in uno Stato (a occhio e croce direi l'Alabama) non particolarmente famoso per la tolleranza, dove le case di stile colonico abbondano e i ricconi bianchi spopolano, costringendo la polizia a guardare con sospetto qualunque Fratello Nero si aggiri nei dintorni dei praticelli ordinati del quartiere. I genitori di Rose però sono la quintessenza del liberal, il papà di lei "se potesse voterebbe Obama per la terza volta", hanno un paio di domestici di colore tenuti solo perché "lavoravano già per i nonni, siamo così affezionati, in pratica sono di famiglia", quindi tutto a posto, no? Non proprio. Il disagio di Chris, prima ancora che dal risvolto thriller, nasce inevitabilmente dal dover confrontarsi con persone che non lo trattano con diffidente razzismo ma, e forse è peggio, si rapportano con lui come fosse una piacevole novità, un tocco esotico di cui vantarsi con gli amici, una persona su cui misurare il metro della propria apertura mentale per sentirsi superiori, alzando quindi una barriera originata non già dall'odio ma dalla convinzione di "fare del bene" accettando il diverso e facendolo sentire, di conseguenza, ANCORA più diverso, nemmeno fosse una specie protetta. Insomma, lo spettatore viene messo fin da subito nella condizione di empatizzare con Chris e con la sensazione di "estraneità" da lui provata appena messo piede nella dimora degli Armitage senza ricorrere ad elementi palesemente "sbagliati" (quelli arrivano dopo, a rafforzare il generale clima di inquietudine), esempio di perfetta scrittura che rende ciò che segue ancora più scioccante.


Basta, altro sulla trama non dirò ma avrete capito che Get Out è un thriller-horror psicologico perfettamente radicato nell'attualità e per questo ancora più efficace (non a caso lo scrittore e regista è un comico di colore quindi chi meglio di lui potrebbe avere il polso della situazione senza cadere in scomodi cliché?). Ovviamente, non di sole "sensazioni" vive l'appassionato di horror, ci mancherebbe. Get Out mette la pelle d'oca con pochissimi jump scare ben piazzati, la giusta quantità di splatter e un paio di inquietanti sequenze quasi oniriche capaci di comprimere il petto dello spettatore e spingerlo subito a voler bene ad un "novellino" che, invece di tentare la facile via del mockumentary/found footage o dell'omaggio dichiarato allo slasher anni '80, punta tutto sui primissimi piani, sulle suggestioni degli ambienti naturali e artificiali, su immagini simboliche di immediata comprensione e su inquadrature attente ai dettagli e alla composizione della sequenza. Altro punto a favore della pellicola sono le bellissime musiche di Michael Abels, tra le quali spicca l'evocativa Sikiliza Kwa Wahenga (probabilmente una delle melodie più belle utilizzate per introdurre un horror recente), molte delle quali imperniate sul tema principale del film e zeppe di consigli per il povero Chris. Anche il cast è validissimo, sia per quel che riguarda il protagonista Daniel Kaluuya, con quegli occhioni da cervo abbagliato dai fari che terrorizzano più di qualunque altra cosa, che per gli attori che lo circondano: Caleb Landry Jones nei panni del figlio minore è fin troppo caricato mentre Katherine Keener e Bradley Whitford sono favolosi nella loro inquietante normalità di bianchi della upper class... ma attenzione perché, se devo dare retta ai commenti dei ragazzetti in sala, l'idolo indiscusso delle folle e il personaggio che più rimarrà impresso dopo la visione è la terrificante Georgina di Betty Gabriel, causa degli epiteti più esilaranti uditi in sala. Le aspettative sono state dunque ripagate e indubbiamente Get Out si candida per essere uno dei cinque horror da piazzare nella classifica di fine anno, sia per l'intelligenza che per la bella realizzazione e, diamine, sono persino riuscita a scrivere un post di lunghezza standard senza fare spoiler, quindi tanta roba. Speriamo che Jordan Peele continui a bazzicare nel campo dell'horror, c'è bisogno di comici seri come lui!


Di Catherine Keener (Missy Armitage), Bradley Whitford (Dean Armitage) e Caleb Landry Jones (Jeremy Armitage) ho già parlato ai rispettivi link.

Jordan Peele è il regista e sceneggiatore della pellicola, alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa. Comico americano, è anche attore e produttore e ha 38 anni.


Daniel Kaluuya interpreta Chris Washington. Inglese, ha partecipato a film come I segreti della mente, Johnny English - La rinascita, Kick-Ass 2 e a serie quali Doctor Who e Black Mirror. Anche sceneggiatore, ha 28 anni e due film in uscita tra cui Black Panther.


Marcus Henderson interpreta Walter. Americano, ha partecipato a film come Django Unchained, Whiplash e Il drago invisibile. Ha tre film in uscita tra cui Insidious: Chapter 4.


Lakeith Stanfield interpreta Andrew Logan King. Americano, ha partecipato a film come Anarchia - La notte del giudizio, Selma - La strada per la libertà e Snowden. Anche produttore, ha 26 anni e cinque film in uscita tra cui il live action di Death Note, dove interpreterà L.


Stephen Root interpreta Jim Hudson. Americano, ha partecipato a film come Mr. Crocodile Dundee II, Monkey Shines - Esperimento nel terrore, Black Rain - Pioggia sporca, Ghost - Fantasma, Buffy - L'ammazza vampiri, Robocop 3, Pandora's Clock - La terra è in pericolo, L'uomo bicentenario, Fratello dove sei?, Ladykillers, Palle al balzo - Dodgeball, Wake Up, Ron Burgundy: The Lost Movie, Non è un paese per vecchi, L'uomo che fissa le capre, J. Edgar, Bad Milo!, The Lone Ranger, Selma - La strada per la libertà, L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo e a serie come Pappa e ciccia, Quell'uragano di papà, Blossom, L'ispettore Tibbs, Cinque in famiglia, Seinfeld, Malcom, La vita secondo Jim, CSI - Scena del crimine, 24 e The Big Bang Theory; come doppiatore ha inoltre lavorato nelle serie Johnny Bravo, Kim Possible, American Dad!, The Cleveland Show, Phineas and Ferb, Adventure Time e nei film L'era glaciale, Alla ricerca di Nemo, L'era glaciale 2 - Il disgelo e Alla ricerca di Dory. Ha 66 anni e due film in uscita.


Eddie Murphy avrebbe dovuto interpretare Chris ma alla fine, giustamente, Jordan Peele ha deciso che l'attore era troppo vecchio per la parte. Il finale originale di Get Out prevedeva SPOOOOOILERRRRR l'arresto di Chris da parte della polizia (come avevo immaginato dall'inquadratura e dal sorriso di Rose) ma il regista ha scelto di dare al pubblico un happy ending. FINE SPOILER Se Get Out vi fosse piaciuto recuperate La fabbrica delle mogli, The Wicker Man, Terrore dallo spazio profondo, Society e La notte dei morti viventi. ENJOY!

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