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venerdì 13 giugno 2025

Bolle di recensioni: Heart Eyes (2025) e Presence (2025)

Siccome rischiavano di cadere nel dimenticatoio e slittare a chissà quando, ho deciso di accorpare un paio di brevi opinioni su due horror (totalmente diversi tra loro) visti qualche tempo fa, anche perché nel frattempo, finalmente, Heart Eyes è uscito anche nei cinema italiani (alla buon'ora, gente!!). Quello di Soderbergh, invece, è ancora inedito nel nostro Paese, chissà perché! ENJOY!

Heart Eyes (Josh Ruben, 2025)

Avevo visto Heart Eyes già parecchio tempo fa, ma era finito vittima della marea di post ai quali avevo dato la precedenza. Nulla di male, perché nel frattempo è stato distribuito anche in Italia, e va bene parlarne oggi, anche se sarò un po' più stringata nel parlare del nuovo film di Josh Ruben. E non perché non sia bello, beninteso! Heart Eyes è uno slasher "di cuore", letteralmente. Segue tutte le regole del genere ma, siccome tra gli sceneggiatori c'è l'adorabile Christopher Landon, l'horror si mescola senza soluzione di continuità ad un altro tipo di film, in questo caso la commedia romantica. Sì perché Heart Eyes, o HEK, come viene chiamato nel film, adora uccidere le coppie proprio il giorno di San Valentino e l'intero film ruota attorno all'equivoco che vede la protagonista, Ally, e un suo nuovo collega di lavoro, Jay, venire scambiati per due innamorati che tubano, per tutta una serie di circostanze che vi lascio il piacere di scoprire. Inutile dire che, come in tutte le commedie romantiche che si rispetti, i due protagonisti si innamoreranno davvero l'uno dell'altra nel corso della pellicola. Superfluo anche dire che Heart Eyes li seguirà molto da vicino, lasciandosi dietro una scia di persone uccise con metodi molto fantasiosi e coreografici. Josh Ruben, con un budget più consistente rispetto al suo primo film da regista (parlo di Scare Me, purtroppo non ho ancora avuto modo di vedere A cena con il lupo), conferma di saperci fare, di avere un occhio brillante per la messinscena e per i dettagli stilosi o originali, mai fini a se stessi, come conferma il favoloso look del killer (opera di Tony Gardner, che già aveva realizzato le maschere di Freaky, Auguri per la tua morte e Totally Killer) e non avete idea di quanto mi piacerebbe vederlo all'opera con qualche horror più "serio". Per quanto mi riguarda, Heart Eyes merita anche solo per l'esilarante inizio, la somma presa per il culo di tutte le falsissime storie a tema amore, fidanzamento e matrimonio che si vedono nei feed di Instagram, ma in generale è una visione divertentissima e intelligente, che non annoia neppure per un secondo, oltre che zeppa di belle facce (Devon Sawa in primis, sempre graditissimo!). Se ci fosse un sequel non mi lamenterei, anche perché vorrei vedere la faccia dello sugar daddy di Monica.  

Presence (Steven Soderbergh, 2024)

Tra challenge, uscite cinematografiche e altri film, ci ho messo un po' a scrivere un post su Presence, il che si tradurrà in maggior brevità rispetto al solito, anche perché la mia memoria ha delle difficoltà a richiamare alla mente un'opera così poco emozionante, dopo due settimane dalla visione. Presence avrebbe dovuto uscire il 6 febbraio in Italia ma si è perso nel limbo distributivo di una Lucky Red evidentemente interessata a portare altri film al cinema, e ora pare abbiano deciso di distribuirlo il 24 luglio, quando la maggior parte dei cinema saranno chiusi. Poco danno, se mi posso permettere. Presence non mi ha granché entusiasmata, anzi, ammetto di avere avuto non poche difficoltà a rimanere sveglia durante la visione, e questo nonostante sia molto interessante dal punto di vista dell'esecuzione. Il film, infatti, è stato girato con una piccola videocamera digitale direttamente dal regista, e mostra per tutta la sua durata il punto di vista soggettivo di una presenza (da qui il titolo), di uno spirito, all'interno di una casa. La narrazione è costituita esclusivamente di ciò che la presenza vede e sente, con tutto ciò che ne consegue. Il problema di Presence, per quanto mi riguarda, è che la trama non è nulla di che, i personaggi sono appena abbozzati e, spesso, vengono introdotte alcune questioni in apparenza importantissime che si concludono in un nulla di fatto, come se la presenza non avesse alcun interesse a seguirle. Lo stesso tema dell'elaborazione del lutto, da cui prende il via tutta la vicenda (la famiglia della giovane Chloe decide di cambiare casa dopo il trauma subito dalla ragazza, alla morte improvvisa della sua migliore amica), dà semplicemente il la ad una serie di conflitti familiari isterici, con la giovane colpevolizzata dal fratello, ignorata dalla madre e sostenuta solo da un padre privo di polso, una serie ripetuta di dinamiche familiari fastidiose all'interno delle quali si inserisce, da un certo punto in poi, una vena thriller angosciante. Presence, salvo per il modo in cui è stato realizzato, riesce in effetti a sorprendere solo sul finale, con una conclusione spiazzante in grado di dare un perché anche alle scelte tecniche. Peccato che il film diventi interessante solo nei suoi ultimi, concitati e persino commoventi minuti.

venerdì 2 dicembre 2022

A Wounded Fawn (2022)

L'ultimo film del ToHorror a cui ho voluto dedicare un intero post è A Wounded Fawn, una produzione Shudder diretta e co-sceneggiata dal regista Travis Stevens, approdata proprio ieri sull'adorata piattaforma horror.


Trama: liberatasi dallo spettro dell'ex violento, Meredith cerca di rifarsi una vita e comincia ad uscire con Bruce... peccato che quest'ultimo sia un serial killer!


Che bestia stranissima questo A Wounded Fawn. Talmente tanto che persino il regista ha deciso di dividerlo in due atti, uno più "normale" e uno in cui la locura la fa totalmente da padrona. A Wounded Fawn parte dalle stesse premesse di Fresh, più o meno, ed è ascrivibile al filone dei revenge movie: Meredith è una donna desiderosa di ricominciare a vivere dopo anni di terapia passati a liberarsi del ricordo dell'ex violento, che decide di concedersi un weekend in una casa isolata assieme a un uomo conosciuto da poco. Costui, dotato della faccetta rassicurante di Josh Ruben, è apparentemente colto, affascinante e gentile... non fosse per quel piccolissimo difetto, quell'istinto da serial killer che parte all'improvviso, preannunciato dall'inquietante arrivo di un gufo gigante che pare uscito dritto da Deliria. Quando il killer getterà la maschera e attaccherà la sua vittima, però, qualcosa andrà storto e scoprirà che quest'ultima non è indifesa come crede, né come credete voi! Senza fare troppi spoiler, A Wounded Fawn è un film a base di uomini piccini che perdono tempo a giustificare la loro follia, troppo miseri persino per abbracciarla in toto una volta scoperti, prede di una lamentela continua che li rende comunque vittime a prescindere (della società, delle donne troppo belle o troppo di successo, di una piccola parte del loro cervello a cui non riescono proprio a non dar retta) di eventi di cui non hanno colpa, roba che, quasi quasi, verrebbe da puntare il dito contro le donne che hanno la sventura di incontrarli e di "scivolare" addosso al loro coltello, invece di rimanere chiuse in casa. Josh Ruben, che già in Scare Me aveva dimostrato un talento per i personaggi miserevoli e passivo-aggressivi, è perfetto per il personaggio di Bruce, inquietantissimo killer che, una volta privato delle armi, si mostra per la feccia che è, ridicolo e anche un po' imbarazzante, di sicuro impossibilitato a difendersi dal delirio che si scatena nella seconda parte del film (la citazione che apre il film, "I suddenly became aware that I was both mortal and touchable and that I could be destroyed", attribuita alla pittrice Leonora Carrington, non è di certo diretta a Meredith).


Il secondo atto, MOLTO debitore dello stile della pittrice nominata poc'anzi (se non la conoscete, andatevi a vedere un paio di quadri su internet), è un incubo mitologico e quasi shakespeariano dove si scatena un caos fatto di bestie antropomorfe, incubi ad occhi aperti e tanto, tantissimo sangue; a tal proposito, il colore rosso, vivido e luminosissimo, fotografato come in un thriller di Dario Argento, è presente in quasi tutte le scene del film come simbolo di inquietante follia, soverchia i personaggi quando Bruce viene sopraffatto dal suo istinto omicida ma è perennemente presente sullo sfondo, vuoi nei complementi d'arredo, vuoi negli abiti o in qualche oggetto di scena, come se fosse inevitabilmente scritto nel destino dei protagonisti. Se il primo atto, quello più thriller, vanta una regia rigorosa e pulita, quasi geometrica, il secondo atto omaggia a tratti il primo Sam Raimi ed è una corsa forsennata intervallata da sprazzi di allucinazioni che ricordano gli horror "artistici" come quelli di Peter Strickland, una sequela ininterrotta di punizioni, interrogatori e catarsi che non si ferma nemmeno nei titoli di coda, a dire il vero l'unica cosa del film che mi ha fatto un po' storcere il naso, perché sembrano davvero non finire mai. Di Josh Ruben ho già parlato e, come ho scritto su, l'ho trovato perfetto, ma il cast femminile non è da meno e le interpretazioni di Sarah Lind e Malin Barr, donne "normali" ma capaci e simpatiche prima, Erinni dopo la violenza, fanno sì che lo spettatore si ritrovi ancora più coinvolto nella vicenda. A Wounded Fawn, secondo me, è uno di quei film che si amano o si odiano ma, di certo, non lasciano indifferenti e rischia di essere una delle visioni più interessanti dell'anno. Non perdetelo!


Del regista e co-sceneggiatore Travis Stevens ho già parlato QUI mentre Josh Ruben, che interpreta Bruce, lo trovate QUI.


lunedì 7 dicembre 2020

Scare Me (2020)

Tra le segnalazioni di Lucia è spuntato Scare Me, diretto, sceneggiato e interpretato dal regista Josh Ruben.


Trama: uno scrittore fallito si ritrova a dover passare un blackout in compagnia di una scrittrice di successo e l'unico passatempo disponibile è raccontarsi storie di paura...

Scare Me è un film molto interessante che, a onor del vero, non mi ha entusiasmata granché proprio in virtù della sua natura incredibilmente teatrale. Lo sviluppo del film, infatti, è proprio come potete leggere nella trama: due attori che si raccontano quattro storie di paura con il solo ausilio della voce, della mimica, dell'interpretazione e di qualche accorgimento del regista, tra sprazzi di effetti speciali e qualche luce piazzata ad hoc. Le storie toccano i registri più disparati e si va dalla storia sui licantropi a qualcosa che ricorda moltissimo il primo episodio di Creepshow (ma anche un po' La nonna di Stephen King, va detto) per poi arrivare al pout-pourri sotto effetto di cocaina, apparentemente basato su ogni cliché horror possibile e immaginabile, per finire con un musical satanico che, onestamente, vorrei vedere messo in film; tutto nasce dalla noia e dalla sfida lanciata al mediocre scrittore Fred dalla star letteraria horror del momento, Fanny, che un giorno si incontrano per caso durante uno di quei ritiri privati che gli scrittori degni di questo nome devono fare di tanto in tanto per staccare dal mondo e ritrovare l'ispirazione. Fred se la crede, è uno che nella vita ha provato a fare qualunque cosa in campo artistico senza riuscirci e, diciamocela tutta, è anche un po' antipatico e viscido, mentre Fanny è una a cui riesce bene tutto, ha grinta da vendere e una personalità a dir poco debordante, grazie alla quale ci mette davvero poco a mettersi in tasca Fred e rigirarselo come un calzino, trasformandolo nella sua fonte di divertimento oltre che nel suo punch-ball personale. Il loro temporaneo rapporto tempestoso, che si complica con l'arrivo di un terzo incomodo, si sviluppa nel corso del film man mano che le storie raccontate si fanno meno incerte e più elaborate, fino ad arrivare a un twist finale magari non del tutto inaspettato ma comunque calzante.

Il mezzo diludendo che ho provato guardando Scare Me, lo avrete capito, non risiede quindi in qualche colpa del regista o degli interpreti. Anzi, riguardo questi ultimi mi sono ri-innamorata, dopo averla già adorata in The Boys, di Aya Cash, che è una mattatrice senza eguali e fa morire dalle risate ogni volta che apre bocca, mentre per quanto riguarda la regia è geniale che Josh Ruben, con pochissimi "trucchi", riesca a dare forma non solo all'immaginazione di chi ascolta una storia dell'orrore e si lascia suggestionare da ciò che viene raccontato, ma anche al lavorio mentale di chi si ritrova a dover dar vita a qualcosa di originale, fantastico e spaventoso. Purtroppo però, io sono una persona che riesce a godersi il viaggio fino a un certo punto, poi voglio della "ciccia" che Scare Me non mi ha dato; per dire, mi sarebbe piaciuto che sul finale Fred e Fanny si ritrovassero ad affrontare quegli stessi orrori da loro evocati o qualcosa di simile, invece l'intera pellicola si ritrova a servire una sorta di "morale", di critica cerchiobottista verso i belini molli ma anche verso le donne in carriera, entrambi insopportabili se portati all'estremo, e sull'amara ironia in cui rischia di incappare chi cerca qualcosa di originale in un'epoca di furbi matricolati, dove vince chi è in grado di rielaborare. Ecco, Scare Me rielabora senza vergognarsi di pescare a piene mani da una tradizione che affonda le radici nell'alba dell'uomo, e a prescindere da come posso essermi sentita alla fine del film, secondo me merita almeno una visione. 

Josh Ruben è il regista e sceneggiatore della pellicola e interpreta Fred. Americano, è al suo primo lungometraggio ma come attore ha partecipato al film Greener Grass. Anche produttore, ha 37 anni e un film in uscita. 

Aya Cash, che interpreta Fanny, era la meravigliosa Stormfront della seconda stagione di The Boys. ENJOY!

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