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martedì 22 aprile 2025

Death of a Unicorn (2025)

Martedì scorso sono andata a vedere Death of a Unicorn, diretto e sceneggiato dal regista Alex Scharfman, un film che mi aveva ispirata fin dal trailer.


Trama: Elliot e la figlia Ridley investono per sbaglio un unicorno durante il viaggio verso lo chalet di montagna di Odell, ricchissimo proprietario di un'azienda farmaceutica. Il magnate vorrebbe sfruttare i poteri dell'animale per soldi, ma non ha fatto i conti con gli altri unicorni...


Death of a Unicorn
è una commedia horror talmente semplice che potrebbe averla scritta un ragazzo dell'età della Ortega, non a caso nume tutelare dell'intera operazione. Ciò non vuol dire che Death of a Unicorn sia brutto, ma uno dalla A24 si aspetta sempre qualcosa di arguto, un po' artsy, un'innovazione del genere, mentre il film scritto e diretto da Alex Scharfman è un'opera prima talmente lineare che parrebbe tagliata con l'accetta. All'interno della sceneggiatura c'è un bel miscuglio di cliché che altrove, persino di recente, sono stati sfruttati per cose ben più originali. Innanzitutto, abbiamo un rapporto padre-figlia tempestoso, tipico di due generazioni che non si incontrano e di due persone alle quali è venuto meno il collante incarnato da una madre morta da poco di tumore; la giovane Ridley è piena di ideali altruisti, frequenta l'accademia di belle arti, è "alternativa", mentre papà Elliot è un'avvocato che, per non far mancare nulla alla figlia, mette da parte ogni scrupolo morale onde spillare più soldi possibili ai terribili Leopold (ma, fondamentalmente, è una persona buona). I Leopold, invece, sono abietti. A capo di un impero farmaceutico, sembrano usciti da un cartone animato e si presentano con diversi gradi di stronzaggine e stupidità; ovviamente, appena l'unicorno finisce nelle loro mani, l'unico loro pensiero è fare dei gran soldoni con le proprietà taumaturgiche e magiche del corno e del sangue dell'animale, aggiungendo in mezzo qualche extra personale, come un'accennata speranza di vivere in eterno. Death of a Unicorn, date le premesse, si snoda come un racconto di riconciliazione tra padre e figlia incrociato ad una critica verso il capitalismo moderno, al quale si aggiunge l'aspetto creature feature degli unicorni assassini. A tal proposito, l'aspetto davvero interessante del film, forse l'unico, è l'idea di sfruttare le conoscenze artistiche di Ridley per rivelare la vera natura degli unicorni, non così pucciosi come uno si aspetterebbe, ma per una buona riuscita dell'operazione, l'ideale sarebbe stato abbracciare un'anima di serie B tendente al trash e lasciare che gli animali si abbandonassero alle mattanze più sfrenate e assurde. Qualche bella morte c'è, non lo nego (anche se le crudeltà vengono riservate più all'unicorno che agli esseri umani!) ma è tutto molto trattenuto, un po' patinato, di conseguenza anche la parte di commedia satirica ne risente, rivelandosi meno graffiante di quanto avrei sperato.


Come ho scritto sopra, Death of a Unicorn è un'opera prima, quindi Alex Scharfman avrà tutto il tempo di stupirci più avanti, e dietro la macchina da presa dimostra di non essere proprio interdetto, per il modo efficace con cui centellina le apparizioni degli unicorni, sfruttando ombre e primi piani di dettagli inquietanti (muso e zoccoli in primis), senza affidarsi a jump scares d'accatto. Purtroppo, poi, gli unicorni si devono vedere, e la CGI, come troppo spesso succede, non collabora, soprattutto nelle sequenze più dinamiche ed illuminate, dove le bestiole sembrano appiccicate a un fondale, finte come i soldi del Monopoli. Va un po' meglio quando si tratta di riprese statiche o ravvicinate, fermo restando che l'unicorno più realistico è il puledrino, degli altri due non ho apprezzato granché nemmeno l'aspetto, visto che sembrano usciti da un videogame. Per quanto riguarda gli attori, il lavoro di casting è la vera eccellenza di Death of a Unicorn, perché ad ogni interprete è stato affidato un ruolo che gli calza come un guanto. A tal proposito, si può dire che tutti sono bravi ma nessuno brilla particolarmente, forse perché ognuno ripropone le caratteristiche che più gli si confanno, ma una menzione speciale la merita l'esilarante interazione tra Will Poulter e Anthony Carrigan. Il primo lo conoscevo, ed è perfetto per vestire i panni di un ricco figlio di papà che vorrebbe portare i pantaloni del capo invece è un povero cretino, mentre il secondo è una faccia per me nuova e, nel film, interpreta il tuttofare da richiamare con uno schiocco di dita; la dinamica servo-padrone regala momenti di vero divertimento e genuine risate, soprattutto quando il povero, vessato Griff si renderà conto che la dedizione a un lavoro odioso non vale la sopravvivenza. Ho poco altro da dire su questo Death of a Unicorn, horror di facile consumo per una serata con qualche sporadico brivido e abbastanza divertimento da risultare adatto anche ai ragazzini che si approcciano al genere per le prime volte. Ma da una produzione A24 mi aspettavo qualcosa di più.


Di Jenna Ortega (Ridley), Paul Rudd (Elliot), Richard E. Grant (Odell), Will Poulter (Shepard), Sunita Mani (Dr. Bhatia) e Steve Park (Dr. Song) ho già parlato ai rispettivi link.

Alex Scharfman è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, ha lavorato principalmente come produttore.


Téa Leoni
interpreta Belinda. Ex moglie di David Duchovny, la ricordo per film come Nei panni di una bionda, Ragazze vincenti, Deep Impact e The Family Man; inoltre, ha partecipato a serie come Santa Barbara e X-Files. Americana, anche produttrice, ha 59 anni e un film in uscita. 



venerdì 13 settembre 2024

Beetlejuice Beetlejuice (2024)

Nonostante qualche perplessità non potevo perdermi Beetlejuice Beetlejuice, diretto dal regista Tim Burton.


Trama: Lydia e la figlia Astrid sono costrette a tornare a Winter River per partecipare a un funerale. Lì, per una serie di circostanze, avranno di nuovo a che fare col bioesorcista Betelgeuse.


Non avevo grandi speranze quando ho deciso di andare al cinema a vedere Beetlejuice Betlejuice. Ormai dai tempi di Planet of the Apes, Burton non è più quello di un tempo, e il massimo che mi sarei aspettata è un prodotto dignitoso, in grado di farmi passare un paio d'ore in tetra allegria. Fino alla fine del primo tempo, in realtà, mi sono sentita invece come Califano. Tra nuovi personaggi abbastanza sciapi, vecchie conoscenze che non sembrano essersi evolute dagli anni '80 e omaggi alla prima pellicola, la sensazione è stata quella di una storia che stentava a decollare, schiacciata nella noia di un'introduzione infinita. Tutto il primo atto, infatti, serve a presentarci una Lydia ormai cresciuta, con figlia annessa che la odia a causa di un lavoro derivante dalla sua capacità di vedere qualsiasi fantasma tranne quello dell'adorato padre defunto. La sceneggiatura scava nelle dinamiche familiari dei Deetz, che subiscono uno scossone alla morte di un altro padre, quello di Lydia; l'evento costringe le donne superstiti, assieme al nuovo compagno di Lydia, Rory, a tornare a Winter River e ad affrontare un passato ancora ben radicato all'interno del diorama dei coniugi Maitland, ma finché non arriva l'unico, imprevedibile twist della pellicola, il tempo scivola via lento tra recriminazioni, bizzarrie e imbarazzi. La cosa che mi ha soprattutto fatto specie è vedere la tosta Lydia ridotta a cretinetti insicura, incapace di riconoscere il belinone che la sorte le ha messo accanto e di comunicare con una figlia ben più odiosa di quanto fosse lei da adolescente. Ha un bel daffare Delia a parlare di Karma, quando la realtà è che la rossa wannabe artista, nonostante il disprezzo di Lydia, ha sempre avuto un carattere egoista e volitivo, mentre la figliastra è diventata un'ameba dallo sguardo stralunato (lì, probabilmente, ci ha messo del suo anche la Ryder, che negli anni si è legata al ruolo di Joyce Byers e non ne è più uscita). Il film si risolleva un po' quando l'aldilà torna a farla da padrone, con le sue stranezze e la grottesca burocrazia sbattute in faccia senza pietà agli umani inconsapevoli, e quando, ovviamente, la presenza di Beetlejuice comincia a farsi un po' più preponderante. Da quel momento, se non altro, il ritmo aumenta e si torna a divertirsi, a dispetto della costante sensazione di avere davanti tre film in uno, rabberciati alla bell'e meglio come la bellissima Sall.... ehm, Delores di Monica Bellucci.


Ha i suoi momenti, Beetlejuice Beetlejuice. Al di là dell'innegabile bellezza dei costumi di Coleen Atwood, delle scenografie, e di parecchi effetti speciali artigianali, il film raggiunge apici notevoli, per esempio, quando si affida alla verve della divertentissima Catherine O'Hara e alla sua elaborazione del lutto, fa battere il cuore nei momenti in cui Burton si convince di stare girando un horror e mette in campo un terrificante neonato frutto dell'empia unione tra Baby Killer e il cadaverino di Trainspotting, e poco prima del finale riesce persino a commuovere nonostante la faciloneria con cui i personaggi ci lasciano le piume. Il resto, purtroppo, l'ho trovato molto superficiale, oppure tirato per le lunghe. Non c'è stato, da parte mia, alcun coinvolgimento emotivo davanti a drammi familiari o ricongiungimenti, e onestamente avrei preferito che il personaggio interpretato all'epoca da Jeffrey Jones non venisse proprio utilizzato "fisicamente" (se decidi, giustamente, di non coinvolgerlo in quanto predatore sessuale pluricondannato e ritiratosi dalla recitazione da anni, mi pare assurdo infilare delle sue foto o animazioni in stop motion dal sembiante identico, o sfruttare un personaggio senza testa, ma perché?). Il numero musicale verso la fine richiama quello iconico della cena coi gamberetti, ma è davvero lunghissimo e, anche se io l'ho apprezzato ridendo parecchio, capisco perché uno dei miei compagni di visione si sia addormentato; allo stesso modo, enorme rispetto verso Burton per la scelta di utilizzare la melodia che accompagna il finale di Carrie - Lo sguardo di Satana, ma francamente mi è sembrato che la conclusione onirica di Beetlejuice Beetlejuice fosse attaccata con lo sputo, messa lì giusto per dare la possibilità di realizzare un altro sequel. D'altronde, il nome del bioesorcista va pronunciato tre volte, non mi stupirei se tra qualche anno arrivasse Beetlejuice Beetlejuice Beetlejuice. Nell'attesa (e non tratterrò il respiro, non mi va di finire laggiù e prendere il numero), per me è un nì. Non è un film che riguarderei, sono contenta comunque di averlo visto, ma temo che la settimana prossima l'avrò già dimenticato. Peccato.  


Del regista Tim Burton ho già parlato QUI. Michael Keaton (Beetlejuice), Winona Ryder (Lydia Deetz), Catherine O'Hara (Delia Deetz), Jenna Ortega (Astrid Deetz), Justin Theroux (Rory), Willem Dafoe (Wolf Jackson), Monica Bellucci (Delores) e Danny DeVito (uomo delle pulizie) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Beetlejuce Beetlejuice vi fosse piaciuto, recuperate Beetlejuice, La sposa cadavere e The Nightmare Before Christmas. ENJOY!

 

venerdì 17 marzo 2023

Bolle dall'Abisso: Scream VI (2023)

Mi ha fatto aspettare un po' ma martedì sono riuscita finalmente ad andare al cinema a vedere Scream VI, diretto dai registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett. Il post che segue sarà rigorosamente SENZA SPOILER e lo potete trovare anche sul blog Pellicole dall'Abisso


Trama: è passato un anno dagli eventi dell'ultimo Scream e Sam e Tara, assieme agli amici Mindy e Chad, si sono trasferiti a New York, gli ultimi tre per studiare, la prima per tenere d'occhio la sorella. Il tentativo di ricominciare una nuova vita viene interrotto dalla comparsa di un nuovo Ghostface...


Con lo Scream uscito l'anno scorso, i Radio Silence raccoglievano l'eredità di Wes Craven dando vita a un requel (definizione di Mindy) che fungesse da ponte col passato ma guardando al futuro. I temi erano gli stessi dei suoi quattro predecessori, aggiornati al gusto moderno, e la follia degli assassini era sempre, in qualche modo, legata all'horror e alle sue regole, in un continuo gioco metacinematografico di eventi "reali", film "fasulli" e la vaga, rassegnata consapevolezza dei personaggi di essere dei cliché da slasher, trattati come tali da un killer senza volto ma dalle grandi ambizioni. Con Scream VI i Radio Silence si staccano dal passato senza lasciarlo andare del tutto e cominciano a creare una propria mitologia, un proprio studio sui personaggi di Sam e Tara, le vere eredi di quella Sidney che (non è uno spoiler, lo si sapeva da un anno) è la grande assente di questo capitolo. I tempi sono cambiati, ed è cambiato non solo il modo di affrontare i traumi ma anche la sensibilità della società: se Sidney, nel secondo Scream, cercava attivamente di rifarsi una vita coccolata dagli amici rimasti e da un nuovo amore, "pulita" e credibile nel suo ruolo di vittima o sopravvissuta, Sam è costretta ad affrontare una gogna mediatica legata alle sue radici, cosa che le impedisce ulteriormente di fidarsi delle persone e che inficia il suo rapporto con Tara, la quale, dal canto suo, vorrebbe solamente tornare a vivere un'esistenza normale. Questo studio sulle due protagoniste, già cominciato in Scream, ce le rende familiari e simpatiche, e lo stesso vale per Mindy e Chad, il che consente allo spettatore di interessarsi alle loro vicende come fossero quelle dei vecchi personaggi titolari, tanto che il ritorno di un paio di volti noti viene vissuto come una piacevole aggiunta, non come LA cosa fondamentale, a dimostrazione che il franchise è ormai in grado di camminare sulle sue gambe. 


Il "manifesto programmatico" del nuovo corso di Scream, se così si può chiamare, viene enunciato senza possibilità di errore nell'esatto momento in cui il nuovo Ghostface manda al diavolo i film horror, lasciando lo spettatore e Mindy (pur inconsapevolmente) con un palmo di naso, in quanto, potete ben capirlo, non ci sono più regole tranne quelle dettate da un assassino che non necessariamente agirà come pensiamo o come siamo abituati. Per questo, Scream IV è forse ancora più spassoso da seguire rispetto ai suoi predecessori, è più divertente perdersi nelle elucubrazioni di chi si possa nascondere dietro la maschera di Ghostface, confrontandosi con i compagni di visione sulle teorie più strampalate (se avete già visto il film, se volete, ne possiamo parlare nei commenti, vi farete delle grassissime risate), ma è anche più insidioso ed inquietante, proprio per la costante atmosfera di incertezza e diffidenza che stringe alla gola Sam, forse ancora più di Sidney. E' anche, diciamolo tranquillamente, molto più sanguinoso ed efferato dei precedenti. I Radio Silence vengono da quei bagni di sangue che sono Southbound e Finché morte non ci separi e il loro stile dinamico e cattivissimo riverbera nella mano del nuovo Ghostface, il quale non disdegna modi assai creativi e dolorosi di nuocere al prossimo; ci sono poi due o tre sequenze esaltantissime che mostrano tutta l'abilità dei Radio Silence come registi, nella fattispecie una delle scene iniziali più interessanti e divertenti di tutta la saga, tre sequenze incredibilmente dinamiche girate all'interno di luoghi chiusi o ristretti, e uno showdown finale ambientato in quello che penso sia uno dei set più belli del mondo. Se ancora non vi basta, potete confidare anche in un paio di momenti di pura commozione, tra sentiti (e mai inutili) omaggi ai personaggi che abbiamo sempre amato e stralci di una colonna sonora ormai consacrata a mito, che già mi emozionava durante i rewatch post 1996, figuriamoci dopo il 2023 d.L.. Di più non posso dire senza fare spoiler, mi dispiace. Correte al cinema a vedere Scream VI e preparatevi, che il VII è già lì che vi sta sulle spalle a mo' di carogna e io non vedo l'ora!!


Dei registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett ho già parlato QUICourteney Cox (Gale Weathers), Jenna Ortega (Tara Carpenter), Skeet Ulrich (Billy Loomis), Dermot Mulroney (Detective Bailey), Hayden Panettiere (Kirby Reed), Tony Revolori (Jason Carvey), Samara Weaving (Laura Crane) e Henry Czerny (Dr. Christopher Stone) li trovate ai rispettivi link.


Jack Champion, che interpreta Ethan, è lo Spider di Avatar - La via dell'acqua e, come tale, tornerà in Avatar 3 e 4. Ovviamente, per capire alla perfezione ogni riferimento di Scream VI è necessario avere visto Scream, Scream 2, Scream 3, Scream 4 e lo Scream del 2022, quindi recuperateli (li trovate tutti su Prime Video a pagamento, altrimenti potete abbonarvi a Paramount + ma dovrete comunque acquistare a parte Scream 4 che, a quanto pare, è il figlio della serva) e più non dimandate! ENJOY!

venerdì 15 luglio 2022

X (2022)

Con un ritardo a dir poco imbarazzante rispetto al resto del mondo, con un titolo ancora più imbarazzante che non riporterò per verecondia, e in un periodo dei più infelici, è uscito ieri in tutta Italia X, l'ultimo film scritto e diretto dal regista Ti West. Mi permetto di fare SPOILER qui e là, tanto ormai chi era davvero interessato avrà già avuto modo di vedere X almeno dieci volte. 


Trama: nel 1979, una troupe si reca in una sperduta fattoria del Texas per girare un porno ma i vari membri del cast andranno incontro a un ben cupo destino...


Era dalla deludente visione di The Sacrament che davo per disperso Ti West, relegato alla realizzazione di episodi per serie horror pur importanti, come L'esorcista, Outcast o Them, tanto che non mi ero neppure accorta dell'uscita del suo ultimo lungometraggio, Nella valle della violenza. Questo X, invece, lo aspettavo con ansia, neanche tanto in virtù del nome alla regia, quanto per la presenza di due adorabili e bravissime attrici quali Mia Goth e Jenna Ortega, e l'attesa è stata ripagata con quello che, almeno per me e al momento, è l'horror più bello del 2022. Siccome ne avrete già letto da gente molto più competente di me più o meno ad aprile, quando X ha fatto il suo ingresso nelle case di tutti gli appassionati con un minimo di dimestichezza informatica, eviterei di soffermarmi sullo stile di West, che omaggia non solo quello dell'Hooper di Non aprite quella porta (primo termine di paragone, ovviamente) ma anche quello di Ford, che poco c'entra con l'horror ma che qui è assolutamente efficace, ed eviterei anche di sottolineare la cruda bellezza delle secchiate di sangue con cui vengono ricoperti corpi bellissimi e ammiccanti o l'efficacia di un make up in particolare, perché la messa in scena di X è talmente elegante che mi vergogno a parlarne. Mi asterrei anche dal fare apprezzamenti sulla bontà del cast, ma siccome un paio di interpretazioni sono funzionali alla particolarità di ciò che X vuole raccontare, qualche "nome" eccellente mi toccherà farlo per forza.


E dunque, cos'è X e perché mi è piaciuto così tanto? Beh, perché al di là dell'ovvia gradevolezza della mattanza e della sua natura di horror, racconta una storia talmente triste e malinconica da rendere tridimensionali persino i personaggi che si vedono per cinque minuti. X come X-Rated, X come il "fattore" che fa spiccare la giovane Maxine agli occhi dello scafato produttore porno Wayne, X come la generazione di giovani che vorrebbero giustamente tutto e subito, proprio in virtù della loro freschezza, forza e giovinezza, che anelano alla libertà di essere ciò che desiderano perché gli è dovuto (e non lo dico in senso negativo); l'inizio di X sembra quasi un'appendice di Boogie Nights e contiene in sé lo stesso ottimismo, non fosse per la presenza insistente di un predicatore televisivo che sembra invece uscito da The Sacrament, per l'appunto, e che prefigura un destino cupo per i protagonisti. Eppure, non sono il puritanesimo o la cieca fede religiosa le fonti di tutto il male che colpisce la troupe del film, quanto piuttosto l'invidia e il rimpianto che portano ad una folle disperazione e a un desiderio di possedere, in modo distorto, una scintilla di ciò che brillava fulgido in passato e che, col tempo, si è spento fino a lasciare solo ricordi polverosi. In tal senso, il doppio ruolo della grandiosa Mia Goth è semplicemente perfetto. Da una parte abbiamo Maxine, che ha avuto il coraggio di liberarsi dalle catene di una religione oppressiva e di vivere appieno la giovinezza, dall'altra abbiamo Pearl, graziata da doni simili eppure costretta a rinunciarvi e a vivere per sempre nel rimpianto, guardandosi appassire e consumarsi di desiderio; è ovvio che il nostro cuore vada alla prima, disgustati come siamo dalla pazzia e dalla bruttezza della seconda, eppure West ci dice che abbiamo davanti le due facce della stessa medaglia, e che, nonostante tutto, la disperazione che muove Pearl è comprensibile e, ahimé, inevitabile. D'altronde, quello è il ciclo della vita. 


La "donna che visse due volte" Mia Goth è il fulcro della pellicola, ma all'interno di X ci sono tante piccolissime perle di sceneggiatura, quell'accenno di una storia, di una personalità, capace di rendere umani i protagonisti e di spingerci a dispiacerci per loro. Il pianto di RJ, costretto a passare dall'ovattato mondo universitario a una realtà che non è come quella dei film, il cameratismo tra i membri anziani della troupe, distanti dalla natura di pervertiti che la società vorrebbe affibbiargli, la lenta presa di coscienza di Lorraine, strappatale in maniera crudele, la rivelazione su Maxine e persino i momenti di intimità tra Pearl e il marito, che sicuramente tantissimi troveranno trash e di cattivo gusto, sono tutti piccoli elementi necessari a fare di X un'opera sfaccettata e lontana da un semplice omaggio ai vecchi horror, o un esercizio di stile fine a se stesso. Che poi, ovviamente, quello che colpisce maggiormente l'occhio sia una cura quasi tarantiniana per il dettaglio vintage o la natura "furba" della colonna sonora, non sarò io a negarlo, tuttavia credo che non riconoscere a X la sua capacità di scavare a fondo e rimestare nel torbido di un terrore sociale che troppo spesso ci soffoca e ci porta a vivere la vita con ancora più angoscia del normale, sia a dir poco ingiusto. Se, per miracolo, non lo avete ancora visto e se, ancora più per miracolo, vi capitasse di trovarlo programmato al cinema, dategli una chance, non ve ne pentirete.  


Del regista e sceneggiatore Ti West ho già parlato QUI. Mia Goth (Maxine/Pearl) e Jenna Ortega (Lorraine) le trovate invece ai rispettivi link.

Martin Henderson interpreta Wayne. Neozelandese, ha partecipato a film come The Ring, The Strangers: Prey at Night e a serie quali Home and Away, Dr. House e Grey's Anatomy. Ha 48 anni. 


Quest'anno dovrebbe uscire anche Pearl, il prequel di X, scritto da Ti West durante un periodo di quarantena da Covid e realizzato una volta finite le riprese di X. Personalmente, non vedo l'ora che esca!! ENJOY!

venerdì 8 luglio 2022

Studio 666 (2022)

A fine giugno è uscito per pochi giorni al cinema Studio 666, diretto dal regista BJ McDonnell e interamente interpretato dai Foo Fighters.


Trama: i Foo Fighters vanno a registrare l'ultimo album in una villa in cui, anni addietro, si era consumata una serie di omicidi rituali, e il frontman Dave Grohl viene posseduto da un demone...


Breve storia triste: il mio regalo per il compleanno del Bolluomo, nel 2020, era stato un biglietto per il concerto dei Foo Fighters che avrebbe dovuto tenersi nel giugno di quell'anno. Causa Covid il concerto è stato rimandato per due anni di fila e questo sarebbe stato l'anno giusto, non fosse che la sfiga ci vede benissimo e ha colpito il povero Taylor Hawkins, il batterista del gruppo, che è morto troppo giovane, con conseguente, ovvia e giusta cancellazione definitiva del tour. Tutto questo per dire che al Bolluomo i Foo Fighters sono sempre piaciuti molto ed è per questo che, nonostante il dolore ancora fresco per la scomparsa di un talentuoso musicista, gli ho proposto di guardare Studio 666, horror nato da un soggetto del cantante Dave Grohl e messo in scena con tutto il gruppo al completo, con l'aggiunta di qualche attore più o meno famoso e un paio di guest star di tutto rispetto, tra spiriti guida e tecnici del suono. La trama è quanto di più "tipico" per il genere e segue il cliché dell'artista maledetto che decide di (o viene costretto a) fare un patto col demonio, con i Foo Fighters che si trovano bloccati in una casa infestata e alle prese con un Dave Grohl posseduto da un'entità che lo spinge a realizzare un brano dalla durata spropositata. Nulla di nuovo o di eclatante sotto il sole, dunque, ma il risultato è comunque simpatico e divertente nella misura in cui Studio 666 ironizza sull'immagine di "buono" che da anni accompagna Grohl e trasforma un paio di membri del gruppo in personaggioni nel senso ironico del termine, soprattutto il tastierista Rami Jaffee, protagonista di alcune delle gag più riuscite e trash del film.


Come horror, Studio 666 non si tira indietro nel mostrare sangue a litri e splatterate assortite, con gli effetti speciali "pratici" molto più goderecci ed interessanti della CGI che ammorba un po' a causa di alcuni dei demoni/spettro più brutti mai realizzati (d'altronde, il regista ha cominciato a gamba tesa con Hatchet 3, quindi non parliamo proprio di un omino raffinato!), e c'è da dire che anche le scenografie, con tanto di scantinato inquietante, fanno il loro sporco lavoro. Ma se uno guarda un horror coi Foo Fighters, ovviamente, lo fa in primis per il gruppo, mi verrebbe da dire. Ebbene, sul talento da attore di Dave Grohl non avevo dubbi, basta vedere i video dei singoli tratti da There Is Nothing Left to Lose, quelli che hanno reso famoso il gruppo anche tra chi non aveva idea di chi fosse l'ex batterista dei Nirvana (tra l'altro il suo trucco zannuto mi ha ricordato tantissimo quella trashata di Evil Toons, che potrebbe non essere un complimento ma tanto è l'affetto per quella schifezza che lo diventa automaticamente), mentre i suoi compari vanno dall'imbalsamato (il bassista Nate Mendel su tutti) all'entusiasta ma scarso (il chitarrista Pat Smear) e la bonanima di Taylor ha ammesso candidamente di non essersi neppure sbattuto ad imparare il copione e di avere improvvisato tutto. Che la terra ti sia levissima, biondo! Ciò detto, Studio 666 è un gradevolissimo horror la cui leggerezza è perfetta per il periodo estivo, quindi vi consiglierei di dare un'occhiata anche se non siete fan, anche solo per godere dei frutti dell'atmosfera rilassata che sicuramente si sarà respirata sul set!


Del regista BJ McDonnell ho già parlato QUI. Jenna Ortega (Skye Willow) e John Carpenter (che interpreta il tecnico del suono e firma anche la colonna sonora) li trovate invece ai rispettivi link.


Leslie Grossman, che interpreta Barb Weems, è ormai habitué della serie American Horror Story e dovrebbe tornare anche nell'undicesima stagione. Ciò detto, se Studio 666 vi fosse piaciuto recuperate Tenacious D e il destino del rock e Deathgasm. ENJOY!

venerdì 1 aprile 2022

The Fallout (2021)

Attirata dalle recensioni positive su Letterboxd, ho recuperato in questi giorni The Fallout, opera prima della regista e sceneggiatrice Megan Park.


Trama: sopravvissuta ad una sparatoria a scuola, Vada cerca come può di superare il trauma...


Documentarsi sulle stragi scolastiche americane è qualcosa di sconfortante e i numeri che escono fuori dalla mera lettura di pochi articoli sono da mettersi le mani nei capelli, così come la chiara percezione della necessità, da parte di studenti ed insegnanti, di proteggersi da qualcosa purtroppo insito nella cultura della loro "gloriosa" nazione. Non esistono leggi chiare né mezzi di prevenzione salvo la loro versione delle nostre esercitazioni antincendio, esiste solo la certezza che possedere delle armi è un diritto e che le pene per chi le lascia alla portata dei minori, in alcuni stati, sono anche troppo blande, nonostante le stragi scolastiche siano solo la punta dell'iceberg di incidenti mortali praticamente quotidiani. L'idea che mi sono fatta, da quarantenne italiana che la scuola non la vedrà mai più nemmeno col lanternino, è quella di un ambiente "rassegnato", fatto di persone che vivono tranquille nonostante esercitazioni ad hoc e che cercano di non pensare alla concreta possibilità di morire più per una sparatoria in classe che per un incidente stradale; ovvio, il fatto che l'intera società sia ormai rassegnata non vuol dire che simili eventi non siano scioccanti e drammatici, e da qui parte appunto il film The Fallout che racconta, come da titolo, gli strascichi di una strage scolastica.


L'esordiente Megan Park sceglie, in maniera molto intelligente, di non mostrarci nulla della strage e di metterci nei panni di tre ragazzi terrorizzati che, mentre le pallottole esplodono, pregano disperatamente che all'assassino non venga mai in mente di entrare nel bagno dove sono rifugiati, in una delle sequenze più angoscianti viste quest'anno. Dopo questo inizio concitato e sconvolgente, The Fallout rallenta, mette da parte ogni tentativo di fare critica sociale o analizzare i motivi che hanno portato alla strage e preferisce concentrarsi su Vada, una normalissima ragazza senza particolari pregi o difetti, una studentessa "qualsiasi" che non ha né la capacità né l'interesse di trasformare un'esperienza orribile in uno spunto per migliorare la società o la vita dei suoi coetanei. Da questo punto di vista, The Fallout è apprezzabile per non essere né il solito film americano d'incoraggiamento o formazione, né l'ennesimo ritratto dell'angst giovanile tutto drama e autodistruzione, piuttosto cerca di riportare fedelmente una realtà in cui i sopravvissuti vorrebbero solo tornare a vivere normalmente, ad essere ragazzini "stupidi" con problemi "semplici" legati ad amicizie, amori e famiglia. Vada (e con lei Mia, una delle ragazze più popolari della scuola) si ritrova presa tra il terrore cieco che le impedisce di tornare a scuola e il desiderio di avere contatti umani che abbiano vissuto la sua stessa esperienza e non la forzino ad aprirsi o a ricordare; attraverso il suo sguardo, arriviamo a cogliere tutte le sfumature del trauma, non solo di chi ha provato l'orrore sulla pelle o ha perso qualcuno ma anche delle vittime collaterali, soprattutto dei familiari di chi è sopravvissuto e ne è uscito irrimediabilmente cambiato.


Questo drammatico slice of life funziona in primis grazie alla bravura degli interpreti, visto che i legami umani sono il cuore di The Fallout. Il film è quasi interamente retto dalla meravigliosa interpretazione della giovane Jenna Ortega la quale, oltre ad essere bellissima a mio parere, incarna alla perfezione l'esempio di una generazione "smart" perennemente connessa, ben consapevole di tutti i problemi che affliggono il mondo eppure per nulla interessata ad affrontarli; Vada riconosce la fortuna di essere sopravvissuta ma non riesce a trovare un motivo per cui le sia toccata, e il disagio derivante dall'assenza di un "motivo", di un qualcosa che la indichi come speciale o migliore di altri o destinata ad un futuro grandioso, è palpabile in ogni azione dell'attrice. La bravura della Ortega è tale da far brillare tutto il resto del cast, anche in virtù dei bei dialoghi scritti da Megan Park, e riesce a dar vita a molti momenti toccanti (soprattutto durante i dialoghi con la sorellina minore, perfetto esempio di annoying pre-teen che si atteggia a donnina vissuta ma riesce comunque a risultare adorabile) e a parecchie sequenze apparentemente divertenti e sciocche, eppure tinte di una tristezza impossibile da ignorare. Il messaggio offerto dalla Park e dal suo The Fallout non è incoraggiante, nonostante il linguaggio giovane e spesso allegro utilizzato, e lascia addosso allo spettatore la terribile e, ahimé, realistica sensazione di gioia e tranquillità precarie, di un equilibrio passeggero che rischia di venire mandato in frantumi in pochissimo tempo, di giovani (e, con loro, di famiglie ed insegnanti) abbandonati da quello Stato che dovrebbe tutelare la loro vita quotidiana e la loro felicità. Se dovesse arrivare in Italia, date una chance a questa perlina, visto che Jenna Ortega avrà in futuro parecchio da dire!


Di Jenna Ortega (Vada) e Shailene Woodley (Anne) ho già parlato ai rispettivi link.

Megan Park è la regista e sceneggiatrice del film. Canadese, è al suo primo lungometraggio e lavora principalmente come attrice, infatti ha partecipato a film come Le cronache dei morti viventi, Demonic e ad episodi di serie come Young Sheldon. Ha 36 anni. 


Julie Bowen
interpreta Patricia Cavell. Americana, ha partecipato a film come Un lupo mannaro americano a Parigi, Come ammazzare il capo... e vivere felici, e a serie quali E.R. - Medici in prima linea, Dawson's Creek, Lost e Weeds; come doppiatrice, ha lavorato in I Griffin, Ducktales e American Dad!. Anche produttrice e regista, ha 52 anni. 



mercoledì 19 gennaio 2022

Scream (2022)

Dribblando coviddi, problemi di salute, sale chiuse e sfiga a palate, lunedì, come per miracolo, sono riuscita a vedere Scream, diretto dai registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett. NIENTE SPOILER, tranquilli. E, se volete un punto di vista migliore e meglio articolato, sempre spoiler free, non perdetevi il post di Lucia, ovviamente. 


Trama: passato un decennio dagli ultimi omicidi, un nuovo Ghostface torna a seminare il terrore per le strade di Woodsboro, coinvolgendo facce vecchie e nuove...


Innanzitutto permettetemi di descrivervi la gioia di tornare a vedere uno Scream al cinema dopo 22 anni. Non è la stessa cosa vedere Ghostface all'opera nella solitudine del divano casalingo, perché da quel lontano, caldissimo pomeriggio settembrino del '97, l'unico modo a mio avviso perfetto di fruire dei vari Scream è in sala, sentendosi piccoli piccoli davanti all'orrore della maschera più famosa del nuovo millennio, oppure in casa ma con tanti amici/conoscenti, possibilmente ignari di cosa stanno per vedere (sì, non dimenticherò mai la serata passata in Danimarca con le danesi inconsapevoli che letteralmente saltavano giù dalla poltrona ad ogni colpo di scena). E non è un caso se ho aperto lo scrigno dei ricordi legati a una serie di film per i quali non smetterò mai di ringraziare Craven, perché il fulcro della nuova pellicola diretta dai due ex Radio Silence, ben più complessa di quanto appaia e perfettamente inserita all'interno di quel discorso metacinematografico che perdura da anni, è proprio il legame tra lo spettatore e il suo modo di vivere e percepire ciò che, in maniera distorta e troppo spesso insana, si trasforma in nella cristallizzazione di un ricordo granitico e personale, di non condivisibile se non con altri che hanno la stessa, limitata visione. Se non avete mai sentito parlare di "infanzie stuprate" probabilmente avete vissuto su Marte negli ultimi decenni oppure, fortunatamente per voi, non fate parte del branco di babbuini urlanti che, ogni volta che qualcuno prova a prendere un film/cartone animato/opera del passato e cambiarlo un minimo, riaggiornandolo magari al gusto attuale, urla al vilipendio e all'orrore, alla morte di tutto ciò che c'è di puro e sacro, nemmeno se l'opera in questione l'avessero realizzata loro, e che personalmente ritengo una delle cose peggiori vomitate da quella cloaca che è il web; è evidente, invece, che i Radio Silence, Williamson e soci hanno ben presente il fenomeno e non si limitano a criticarlo o dileggiarlo come merita (i dialoghi, ironici, pungenti e "nerd" sono ben chiari in tal senso) ma offrono allo spettatore una chiave di lettura per superarlo in modo sano, sicuramente malinconico e straziante come tutti i distacchi dal passato, ma comunque positivo. 


Ed è così che il nuovo Scream diventa un esaltante, sanguinoso ponte di passaggio tra il (nemmeno troppo, ammettiamolo) glorioso passato della saga, fermata dall'arrivo di quell'horror più adulto e cerebrale nominato anch'esso all'interno del film (e sì, tesoro, anche io preferisco The Babadook, non me ne voglia Craven), e un futuro ancora tutto da scrivere, distaccandosi magari anche per stile, colonna sonora e topoi dall'opera seminale del buon vecchio Wes, al quale non possiamo far altro che dire grazie in eterno. E' un ponte di passaggio intelligente e arguto, come ho scritto sopra, che gioca con le certezze dello spettatore, con la mentalità non solo dei fan ma anche e soprattutto dei detrattori che guarderanno il film solo per fargli le pulci, e che non si limita ad omaggiare intere, storiche sequenze abbracciandole o ribaltandole, ma si prende tutto il tempo di tratteggiare dei nuovi personaggi ai quali viene affidato più tempo in scena rispetto ai quattro titolari superstiti, elevandoli dal rango di monodimensionali vittime sacrificali a persone delle quali ci importa, al punto che vorremmo saperne di più (per esempio: ok il padre, ma chi è la madre?), interpretate da attori bravi ed espressivi. Ahiloro, questi personaggi si trovano di fronte il Ghostface più sanguinoso di sempre, altro segno di come sono cambiati i tempi, con spettatori più esigenti che vogliono vedere le coltellate e sentirle, tra fiumi di sangue finto e violenze assortite, anche se stavolta l'ansia, almeno per me, è derivata non tanto dal capire dove si sarebbe nascosto il killer, ma dalla minaccia costante ai tre amatissimi personaggi che ci accompagnano dal 1997. In tal senso, sono anche io un po' un bonobo urlante: Sidney, Gale, soprattutto Linus, li considero amici da anni, e sarei tanto contenta di vederli sempre giovani e belli, con Gale e Linus innamorati e felici, tutti pronti a regalarci ancora anni e anni di storie. Trovarmeli davanti invecchiati, con alle spalle decenni di vicende reali e fittizie, più o meno felici, è stato un colpo al cuore e allo stesso tempo un bello scrollone ai miei desideri di ragazzina fangirl, che deve imparare a lasciare andare con grazia e confidare nel nuovo, dopo avere ovviamente consumato fazzoletti a son di piangere. Se il nuovo sarà ai livelli di questo Scream posso stare tranquilla!


Dei registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett ho già parlato QUI. Neve Campbell (Sidney Prescott), Courteney Cox (Gale Weathers-Riley), David Arquette (Linus/Dwight Riley), Marley Shelton (Sceriffo Judy Hicks), Dylan Minnette (Wes Hicks), Jack Quaid (Richie Kirsch), Kyle Gallner (Vince Schneider) e Heather Matarazzo (Martha Meeks) li trovate invece ai rispettivi link.

Jenna Ortega interpreta Tara Carpenter. Americana, ha partecipato a film come Iron Man 3, La babysitter - Killer Queen e serie quali CSI: NY. Ha 20 anni e due film in uscita, Studio 666 e soprattutto X, inoltre interpreterà Mercoledì Addams nell'imminente serie Wednesday


Niente spoiler nemmeno qui, tranquilli. Consiglio solo, ovviamente, di recuperare la prima trilogia e Scream 4. ENJOY!

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