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lunedì 28 marzo 2022

Oscar 2022

Buon lunedì a tutti! Quella di quest'anno è stata una delle premiazioni più vergognose della storia degli Academy Awards, con premi dati letteralmente a ca**o di cane (d'altronde, c'era il Potere del, tra i candidati); ringrazio la dolce gatta Sandy per avermi svegliata solo alle 5 di mattina, giusto in tempo per vedere Uma Thurman, Samuel L. Jackson e John Travolta omaggiare uno dei film più belli della storia, prima di dare un immeritato premio a un cretino, cosa che mi ha portata a spegnere la TV e rimettermi a dormire. ENJOY!


Cominciamo, come ogni anno, dal Miglior Film. Contrariamente a tutti i pronostici e anche un po' al senso logico, l'Oscar è andato a I segni del cuore, remake USA de La famiglia Bélier. Ora, io non ho mai visto l'originale e il film mi è anche piaciuto, ma come si fa a far vincere come miglior film una pellicola "derivata" da un'altra e, mi si dice, praticamente identica? Fossi nei realizzatori de La famiglia Bélier, mi girerebbero le palle a elicottero, visto che il loro film non era stato nemmeno considerato nella cinquina degli Oscar stranieri di quell'anno. Ovviamente, I segni del cuore ha vinto anche l'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale ma l'unico premio davvero dovuto e che mi ha resa felicissima è quello a Sian Heder, il mio attore preferito tra quelli Non Protagonisti. Nonostante un po' di giustizia, comunque, la vergogna resta e quelli assegnati a I segni del cuore sono due tra i premi più paraculi della storia degli Oscar.



E il favoritissimo Il potere del cane? Niente, s'è portato a casa "solo" una statuetta, quella per la Miglior Regia, che ha costretto la regista a salire sul palco con la lista della spesa. Giusto ridimensionamento di un film che a me non ha detto proprio nulla, salvato solo dalla perizia tecnica di Jane Campion, che effettivamente ha dato tutto il respiro necessario a un western atipico, sottolineando comunque la natura claustrofobica di paesaggi apparentemente sconfinati. 



Un'altra somma minchiata in una serata che ne era zeppa, è stato il premio come Miglior Attore Protagonista a Will Smith, che in Una famiglia vincente rifà se stesso tranne per quei cinque minuti in cui apre il cuore a una delle due figlie, durante i quali ho pensato "eccolo lì. Il momento in cui l'Academy non capirà più un belino e gli darà l'Oscar". Appunto. Una cosa buona, però, l'ex Principe di Bel Air l'ha fatta, ovvero tirare davanti a mezza America, sul palco, una cinquina in faccia a Chris Rock, reo di avere fatto una battuta di merda su Jada Pinkett Smith, moglie di Will. In un mondo migliore, Rock avrebbe risposto per le rime e il tutto sarebbe finito con le facce rotte di due degli attori che più detesto al mondo ma, ahimé, questo non è un mondo migliore. 


Una delle poche, vere gioie della serata è stato il premio a Jessica Chastain come Miglior Attrice Protagonista. In realtà, sono anni che la Chastain merita l'Oscar, e dispiace che a rimetterci sia stata Kristen Stewart, che in tutta onestà era la mia prima favorita, ma a caval donato non si guarda in bocca. Gli occhi di Tammy Faye vince anche un meritato Oscar per Make Up e Acconciature. 


Mezza delusione anche per l'Oscar alla Migliore Attrice Non Protagonista. Vero è che Ariana De Bose, come scritto QUI, è una delle poche cose per cui West Side Story è degno di essere ricordato e che supera di venti spanne la protagonista, ma il mio cuore è andato tutto alla dolorosa interpretazione di Jessie Buckley in La figlia oscura. Poteva andare peggio, tutto sommato, quindi auguro una carriera sfavillante alla bella Ariana.  


Anche l'altro favorito Belfast è stato brutalmente ridimensionato, e porta a casa solo il premio per la Miglior Sceneggiatura Originale. A me fa venire da piangere che un film bello ma dalla storia banalotta, per quanto edificante, abbia surclassato Don't Look UpLicorice Pizza La persona peggiore del mondo, ma a quanto pare quest'anno andava di moda il trionfo del prevedibile, che vi devo dire. 


Ma parliamo della cosa più esilarante e vergognosa di tutte. Dune. Il film di Villeneuve mostra la sua supremazia vincendo TUTTI i premi tecnici, ma ovviamente, essendo un film di fantascienza (ORRORE!!) non ha potuto ambire a venir premiato come miglior film. Fotografia, Montaggio, Scenografia, Sonoro, Colonna Sonora Originale, Effetti Speciali e poi basta perché sono finiti, tutto s'è preso. Scuoto il capo con disappunto, prima o poi il talento di Villeneuve e la bellezza dei film "di consumo" realizzati da autori veri verranno riconosciuti.


Scontatissima la vittoria di Encanto per la categoria Film d'Animazione. Lo strapotere Disney, se posso permettermi, ha rotto le palle. Preferire Encanto, sebbene molto carino, a Flee I Mitchell contro le macchine, è qualcosa di incomprensibile per me. 


Altrettanto scontata la vittoria di Drive My Car nella categoria Film Straniero. E vabbé, sapete che io non sono andata matta per il film di Ryusuke Hamaguchi, a cui ho preferito Flee La persona migliore del mondo, ma sapete anche che sono una capra e che ogni premio che va al Giappone mi rende felice a prescindere, quindi sorvolo.


Riassumo qui quei due o tre premi che ancora mancano, come quello, meritato, per i Migliori Costumi a Crudelia, quello per la Miglior Canzone Originale a Billie Eilish per No Time to Die (i miei complimenti qui vanno a lei, che si è vestita come un sacchetto della rumenta, e a J.K.Simmons, la cui faccia, quando lei parlava e saltellava sul palco avvolta da quell'orrore, era tutta un programma). Aggiungo quelle categorie di cui non ho assolutamente conoscenza: Summer of Soul (...Or, When the Revolution Could Not Be Televised) come Miglior Documentario (ma Flee vi faceva così schifo???), The Queen of Basketball come Miglior Corto Documentario, The Windshield Wiper come Miglior Corto Animato e The Long Goodbye come Miglior Corto. E con questo concludo, vado anche io a prendere un po' a ceffoni Chris Rock, che lo merita sempre! All'anno prossimo (forse)!



mercoledì 9 febbraio 2022

Gli occhi di Tammy Faye (2021)

La settimana scorsa è uscito anche in Italia Gli occhi di Tammy Faye (The Eyes of Tammy Faye), diretto nel 2021 dal regista Michael Showalter e tratto dal documentario omonimo di Fenton Bailey e Randy Barbato. Con questo film si comincia il recupero pre-Oscar! In questo caso le nomination sono Miglior Attrice Protagonista e Miglior Trucco e Parrucco.


Trama: Tammy Faye e il marito Jim cominciano una carriera come telepredicatori ma col successo arrivano anche una serie di scandali ben poco cristiani...


Come ogni anno, i Golden Globe (e, per estensione, gli Oscar), portano con sé una serie di biopic di figure popolarissime in America ma a me completamente sconosciute. Tammy Faye Bakker e il marito Jim sono stati protagonisti, verso la fine degli anni '80, di uno dei più grandi scandali mediatici dell'epoca, che ha portato l'allora famosissimo televangelista Jim Bakker a venire condannato per frode (dopo essersi arricchito alle spalle di una moltitudine di fedelissimi donatori) e anche per una serie di violenze sessuali ai danni di donne nonostante, si dice, fosse omosessuale. La moglie Tammy Faye, la quale, come ho scritto su Facebook, ai miei occhi è parsa un incrocio cristiano tra Vanna Marchi e Moira Orfei, è rimasta sempre fuori di galera e, col tempo, è diventata un'icona gay grazie anche alla sua apertura mentale e al suo appoggio nei confronti della causa LGBT; che la signora non sapesse proprio nulla nulla nulla degli affari del marito a me pare strano, ma c'è da dire che Gli occhi di Tammy Faye non cerca di santificarla a tutti i costi, benché tra Tammy e Jim è chiarissimo chi sia il "cattivo" della situazione. Il film di Michael Showalter racconta dunque, secondo il canovaccio tipico delle storie di ascesa e caduta di persone realmente esistite, il legame tra Tammy Faye e il marito a partire dal loro primo incontro al college, i loro primi spettacoli itineranti, le prime trasmissioni televisive e, infine, l'impero del network PTL da loro interamente gestito. Mentre Tammy Faye viene descritta fin dall'inizio come un'animo candido, ispirata da una cristianità inclusiva ("Io amo tutte le persone!") che spesso fa a pugni con le convinzioni ortodosse anche in virtù del suo aspetto assai civettuolo, il personaggio di Jim non è mai particolarmente limpido e, mano a mano che il film prosegue, la sua devozione appare sempre più falsa e subordinata a fare soldi e a mantenere una facciata di ipocrita rispettabilità. 


Come molti altri biopic simili, Gli occhi di Tammy Faye non brilla particolarmente per originalità a livello di sceneggiatura o di regia e il suo valore "documentaristico" varia a seconda di quanto lo spettatore decide di lasciarsi coinvolgere dall'argomento trattato. A me, lo sapete, il popolo americano fa sempre tanta tenerezza e questi personaggi assurdi che ogni tanto sfornano e rendono famosi, prima di venire traditi proprio da chi hanno messo sul piedistallo, mi mandano in brodo di giuggiole, e non nascondo che da due giorni passo il mio poco tempo libero a leggere articoli relativi ai due coniugi Bakker, anche perché Gli occhi di Tammy Faye non copre (ovviamente) tutto lo scibile né sullo scandalo che li hanno visti coinvolti né su cosa ne sia stato poi di loro. Tammy Faye, come ho scritto su, è diventata un'icona LGBT ed è morta di cancro nel 2007, mentre quell'idiota dell'ex marito ha perso il pelo ma non il vizio, perché è stato condannato ancora l'anno scorso per aver venduto rimedi a base di argento colloidale contro il Covid. Detto questo, ciò che è oggettivamente innegabile è la bravura di Jessica Chastain, irriconoscibile nei panni di questa signora dal trucco pesante e dalla voce simile a quella di Betty Boop. Che la Chastain sia molto legata al personaggio è palese dal modo in cui riesce a renderlo assai lontano dalla caricatura che rischiava di essere, a smuovere anche il cuore dello spettatore più disgustato da tutto quel carrozzone cristiano (eccomi!) conferendo dignità a Tammy Faye sia nei momenti faceti, sottolineandone tutta l'incredibile forza d'animo ed ottimismo, sia in quelli drammatici, che a tratti commuovono. Le sequenze in cui Tammy Faye è letteralmente costretta a perdere la fede per colpa di chi dovrebbe esserne il baluardo, in primis l'agghiacchiante marito, spezzano il cuore e verrebbe davvero voglia (sempre restando in tema biopic da Oscar) di invocare quella dolce anima buona di Mister Rogers per fargli prendere a schiaffi Jim Bakker da qui all'eternità. Onestamente, se la Chastain si portasse a casa un'Oscar per questa interpretazione non mi dispiacerebbe (fa sorridere come lei, pesantemente truccata, risulti molto meno finta della Kidman in Being the Ricardos, anche lei nella rosa dei candidati), ed è uno dei motivi per cui vi consiglierei di andare a vedere Gli occhi di Tammy Faye anche e soprattutto se non sapete nulla delle vicende che tratta. 


Del regista Michael Showalter ho già parlato QUI. Jessica Chastain (Tammy Faye Bakker), Andrew Garfield (Jim Bakker), Cherry Jones (Rachel Grover) e Vincent D'Onofrio (Jerry Falwell) li trovate invece ai rispettivi link.

martedì 14 luglio 2020

Le paludi della morte (2011)

Qualche mese fa passavano in TV Le paludi della morte (Texas Killing Fields), diretto nel 2011 dalla regista Ami Canaan Mann, e siccome ai tempi dell'uscita mi intrigava, mi sono messa a guardarlo.


Trama: due detective della omicidi in Texas si ritrovano a indagare sulla scomparsa di giovani ragazze trovate poi morte nelle paludi che circondano la cittadina.



Le paludi della morte si basa su una serie di delitti, in buona parte insoluti e probabilmente compiuti da più di una persona, accorsi nei pressi di Texas City, all'interno dei cosiddetti "killing fields". Zona paludosa dove il cellulare non prende nemmeno per sbaglio, così distante dalla strada che nessuno può sentirti urlare e talmente fitta di vegetazione brulla da far invidia ai bush australiani dove impera Mick Taylor, questa terra di nessuno rappresenta l'habitat ideale per chi ha velleità di serial killer, soprattutto quando la città confinante abbonda di giovani donne ai margini della società e, in generale, impera un'aria di squallore e degrado. Lo sa bene Mike Souder, nato e cresciuto lì, segnato da un'infanzia mai vissuta, a base di ubriaconi e schifo assortito; è costretto ad impararlo sulla sua pelle Brian Heigh, convinto dell'importanza di una fede salvifica e pronto ad aiutare le persone meno fortunate come la piccola Ann, figlia di una prostituta e reduce dal riformatorio. Lo scontro tra i metodi dei due è il cuore del film ma non si tratta di un confronto tra "poliziotto buono e poliziotto cattivo", è più il tentativo di due persone di mantenere la sanità mentale all'interno di una città dove il disagio si spande come un miasma e dove vige un'omertà da far spavento, dove quasi quasi sono guardati con più sospetto i pochi che cercano di fare qualcosa di positivo piuttosto che chi conduce un'esistenza violenta e prospera sulla disperazione altrui. All'interno della trama si incrociano diverse storie di criminalità e perversione, alcune delle quali non avranno risoluzione alla fine del film, e ciò che le accomuna è la mancanza di sensazionalismo: deviati e criminali assortiti, in città si confondono col paesaggio triste e desolato, e sono la quintessenza stessa della banalità, tanto che persino una tranquilla serata passata in casa può avere come conseguenza la morte.


Ami Canaan Mann, degna figlia di tanto padre (Michael Mann è produttore del film), confeziona immagini cupe e violente, spesso ad alto tasso ansiogeno, immerse in una fotografia per l'appunto paludosa, come se l'influenza dei killing fields protendesse una mano artigliata e posasse una cappa di uggia perenne sulla vicina cittadina; ci sono sequenze difficili da dimenticare, come quella al cardiopalma del rapimento improvviso, altre molto interessanti come il pedinamento impedito da alberi provvidenziali, e tutti gli attori, all'interno di di un cast di tutto rispetto, recitano al meglio. Mi mordo le dita, onestamente, per due cose. Primo, non aver guardato Le paludi della morte in lingua originale come avrebbe meritato e, secondo, non aver riconosciuto Sheryl Lee nei panni della madre di Ann, il che dimostra come l'attrice non sia solo un bel faccino e come sia drammaticamente poco utilizzata a fronte delle sue grandi capacità. A una Jessica Chastain ahimé poco sfruttata si contrappongono Sam Worthington e Jeffrey Dean Morgan, entrambi decisamente in forma, e una Chloe Grace Moretz che all'epoca non sbagliava ancora un film, per non parlare di Jason Clarke e Stephen Graham, capaci di lasciare il segno con personaggi distanti dai loro soliti ruoli, soprattutto il secondo. Da brava "cinèfila" mi sto appassionando all'utilizzo di Letterboxd e trovo disarmante la quantità di recensioni negative ottenute da Le paludi della morte. A me è sembrato un thriller affatto banale, ben diretto e ben recitato, capace di lasciare una cappa di inquieta tristezza addosso allo spettatore per parecchio tempo, quindi ve lo consiglio.


Sam Worthington (Mike Souder), Jeffrey Dean Morgan (Brian Heigh), Jessica Chastain (Pam Stall),  Chloë Grace Moretz (Ann Sliger), Jason Clarke (Rule), Annabeth Gish (Gwen Heigh), Sheryl Lee (Lucie Sliger) e Stephen Graham (Rhino) li trovate ai rispettivi link.

Ami Canaan Mann è la regista della pellicola. Inglese, figlia del regista Michael Mann, ha diretto film come Jackie & Ryan e serie quali House of Card, Runaways e Cloak & Dagger. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 51 anni.


All'inizio il film avrebbe dovuto essere diretto da Danny Boyle, con Bradley Cooper nel ruolo di Brian Heigh. Se Le paludi della morte vi fosse piaciuto recuperate Se7en, Zodiac, Il collezionista d'ossa e Il silenzio degli innocenti. ENJOY!

venerdì 6 settembre 2019

It - Capitolo due (2019)

Mercoledì sera mi sono imbarcata in una maratona degna di quelle di Mentana, culminata con la proiezione di mezzanotte dell'attesissimo It - Capitolo due (It Chapter Two), diretto dal regista Andy Muschietti e tratto dall'omonimo romanzo di Stephen King. Siccome non sono una brutta persona, NIENTE SPOILER.



Trama: i Perdenti tornano dopo 27 anni a Derry, così da uccidere il malvagio clown Pennywise una volta per tutte.



Disclaimer: ho solo 4 ore di sonno addosso, quindi mi scuso in anticipo se questo post sarà scritto coi piedi (per non dire di peggio) ma tanto c'è chi ha già parlato e soprattutto parlerà di questo secondo capitolo di It meglio di quanto possa fare io, ergo non mi preoccupo. Abbiamo aspettato due anni, pianto e gioito sul dream cast messo in piedi da Muschietti e soci, incrociato le dita affinché la conclusione di It cancellasse con un colpo di spugna il ragno di gomma di Tommy Lee Wallace e finalmente è arrivato il momento di tirare le somme: i perdenti sono cresciuti, hanno dimenticato quello che è successo a Derry nel corso della loro terrificante adolescenza e ventisette anni dopo sono tornati all'ovile, pronti a uccidere Pennywise una volta per tutte. Se la prima parte della serie del 1990 si concludeva con un evento ben preciso, dopo aver giustamente mescolato passato, presente e telefonate minatorie, il film del 2017 si era concluso invece con la promessa dei Perdenti ancora ragazzini: è normale, quando non si sa quale successo potrà avere la pellicola e quindi bisogna offrire un film in grado di stare in piedi da solo. Ecco perché uno degli eventi più importanti di It, uno dei più scioccanti e, perché no, "scenografici", qui viene ridotto a mero flash (mentre io quelle caspita di gocce che cadono le ricordo ancora adesso), parte di un processo di accelerazione che riunisce i Perdenti già adulti nel giro di pochi minuti. Uno dei difetti del film, senza dubbio, ma difetti inevitabili, ahimé. Come condensare in tre ore, tante ma purtroppo lo stesso insufficienti, tutta la ricchezza delle fisime, dei problemi, del dolore accumulatosi in 27 anni? C'è giusto il tempo di qualche sprazzo di indizio che il pubblico potrà cogliere o meno, di far pace con l'idea che forse Tom e Audra non sono poi così importanti all'economia della storia, di pensare che magari Bowers qualche minuto in più l'avrebbe anche meritato altrimenti non è null'altro che una macchia messa lì per far colore; di chiedersi, di nuovo, dove diamine è finito Mike, povero bibliotecario con la mera funzione di guardiano e portasfiga cosmico, prima che l'azione incalzi e cancelli ogni pensiero. Non si può dire, infatti, che il secondo capitolo di It manchi di ritmo. Allo spettatore non viene concesso nemmeno un istante di tregua perché anche i momenti più riflessivi sono il preludio a qualcosa di orribile, con l'occhio onnipresente di Pennywise sempre puntato sulla schiena dei protagonisti, nel passato e nel presente.


E quanto è più infantile e malvagio Pennywise in questo secondo capitolo. Così appare, ovvio, perché i Perdenti sono cresciuti, gli anni '80 hanno lasciato il posto al nuovo millennio ma Pennywise è rimasto sempre lo stesso, una creatura piena di sé convinta di avere sempre davanti dei bambini incapaci di liberarsi dai traumi passati e che quindi agisce di conseguenza, probabilmente nell'unico modo che conosce. Vero, sono passati 27 anni, non dovrebbero essere solo i Perdenti ad essere cambiati ma anche il mondo, popolato da ragazzini più smaliziati che hanno per l'anima di farsi prendere in giro da un clown; eppure, la solitudine e la paura travalicano i tempi, i diversi e perdenti vengono sempre perseguitati, e di questo il maledetto clown si nutre, approfittando della natura umana che tende a voler dimenticare quello che fa male, anche a costo di allontanarsi dai momenti felici e abbandonare tutto, le cose importanti e quelle che non lo sono mai state. Per questo, sono tanto più importanti quei momenti in cui i perdenti si ritrovano, l'umorismo infantile degli esilaranti battibecchi tra Richie ed Eddie e quei momenti di apparente comic relief che aiutano a stemperare la tensione, perché il fulcro della storia è, banalmente, questo: Pennywise è ridicolo, Pennywise incarna la stupida bruttezza del mondo, è il bullo supremo che merita di essere annullato con una risata in faccia per mostrargli la realtà della sua insipienza, non di essere temuto e venerato. Questo King lo diceva nel libro, lo ribadisce Muschietti, e se per un paio di momenti divertenti vi siete messi a gridare allo scandalo e al "ma questo non è horror", mi spiace ma non avete capito nulla. Anzi, It - Capitolo due, nonostante non sia privo di momenti agghiaccianti, è un film volutamente molto ironico e demolisce non solo Pennywise ma anche quelli che "la vecchia miniserie era meglio" (in effetti un ragno c'è anche qui), quelli che "ma questo pezzo nel libro non era così" (sì, mi ci metto in mezzo io per prima. E ammetto che alcuni contentini mi hanno fatto un po' male, decontestualizzati come sono), quelli che "Stephen King non sa scrivere i finali" (a volte è vero) e persino lo stesso Stephen King (amore mio), facendosi volere ancora più bene.


Non che il film sia esente da difetti, ci mancherebbe. Come ho scritto, tante, troppe cose si perdono qui e là o vengono totalmente stravolte per le esigenze più svariate ma ci sta, gli sceneggiatori non possono diventare scemi e inoltre non hanno vilipeso in toto un libro che al limite posso rileggere per la ventesima volta; è soprattutto la CGI a non convincere. Vedendo in sequenza il primo e il secondo capitolo saltano all'occhio gli imbarazzanti pupazzoni deformi e se già, rivista a mente fredda, la donna di Modigliani fa pietà, preparatevi all'orribile visu della strega/gollum e ad altre schifezzuole assortite, finte come i soldi virtuali di un Monopoli giocato su un green screen. Peccato, perché poi la battaglia finale è epica, tra regia e montaggio si arriva a un certo punto che manca il respiro per l'ansia e Bill Skarsgård è talmente "bello" che verrebbe voglia di abbracciarlo e allora perché Muschietti non ce la fa a stare lontano dagli obbrobri grotteschi? Chi lo sa, non pensiamoci, perché in It - Capitolo due ci sono ancora tante cose bellissime. Il dream cast di cui parlavo sopra, in primis. Tutti gli attori, nessuno escluso, sono assolutamente in parte e se da Jessicona nostra e Jamesuccio bello me lo aspettavo, non avevo idea che Bill Hader sarebbe stato un Richie sfaccettato, dolce da spezzare il cuore, né che i semi-sconosciuti James Ransone e Jay Ryan avrebbero riportato in vita alla perfezione due personaggi amatissimi come Eddie e Ben (tra l'altro scusate ma Ben è strafigo, come l'avevo sempre pensato). I loro volti, le loro espressioni, i loro gesti non fanno rimpiangere quelli delle loro giovani controparti (anche se, non me ne voglia la Chastain, ma la Lillis è talmente bella da essere innaturale) ed entrano nel cuore dello spettatore, concorrendo a spillare qualche lacrima, non certo per il bruciore dovuto a cinque ore ininterrotte di film. E qui, mi dispiace, ma parte lo SPOILER, tanto la recensione è bell'e finita, il film mi è piaciuto, correte a vederlo.


SPOILER
Stephen King potrà anche non sapere scrivere finali, ma quello di It è amaro e malinconico, una rappresentazione lucida di quello che è la vita, dove anche i legami più saldi, col tempo e a causa di percorsi diversi, tendono ad indebolirsi e forse a scomparire. E' un finale per nulla felice, che ho amato da lettrice, detestato da fan girl. Muschietti mi è venuto incontro con un happy ending per il quale non posso che ringraziarlo tra le lacrime, che hanno cominciato a scorrere copiose quando sullo schermo è comparsa una delle citazioni più belle di It e si sono intensificate con l'inno alla vita e all'amicizia di Stan. E' una cosa paracula, lo so. E' un tradimento dello spirito dell'opera, va bene, senza contare che Stan è morto per mera paura (e qui avrebbero potuto ricamare sul fatto che è stato l'unico, assieme a Beverly, a guardare DENTRO It)  enon per qualche contorto e scricchiolante piano. Ma che cazzo, già la vita dona poche gioie, perché non si può sperare, abbracciando idealmente un Ben finalmente felice, innamorato e pronto a girare il mondo in compagnia di Beverly? Sperando che la maledetta rimpatriata al ristorante cinese sia una delle mille che accompagneranno i Perdenti superstiti fino alla vecchiaia? Suvvia, lasciatemi sognare. E lasciate in pace Muschietti, criticoni.
FINE SPOILER



Del regista Andy Muschietti ho già parlato QUI. Jessica Chastain (Beverly Marsh), James McAvoy (Bill Denbrough), Bill Hader (Richie Tozier), James Ransone (Eddie Kaspbrak), Bill Skarsgård (Pennywise), Jaden Lieberher (Bill Denbrough da giovane) Nicholas Hamilton (Henry Bowers da giovane), Javier Botet (il barbone/la strega) e Xavier Dolan (Adrian Mellon) li trovate invece ai rispettivi link.


Il primo It ha portato fortuna ai giovani protagonisti, tutti tornati anche in questo secondo capitolo? Non proprio a tutti, in effetti, ma ad alcuni sì: Jack Dylan Grazer (Eddie) ha partecipato al film Shazam!, Finn Wolfhard (Richie) è sempre più mostro e, oltre a continuare a interpretare Mike in Stranger Things ha avuto tempo di doppiare Pugsley nell'imminente La famiglia Addams e parteciperà al nuovo Ghostbusters 2020; Sophia Lillis (Beverly) era nel cast di Sharp Objects, Chosen Jacobs (Mike) in quello di Castle Rock mentre Jeremy Ray Taylor (Ben) ha fatto capolino in Piccoli brividi 2 - I fantasmi di Halloween. Interessante invece vedere come l'attrice Molly Atkinson, che nel primo film interpretava la madre di Eddie, sia stata utilizzata nel secondo film per incarnarne la moglie, Myra; se inoltre, come me, volete sapere chi sia il "Peter" regista del film di Bill, trattasi di un regista vero, nella fattispecie Peter Bogdanovich il quale, per inciso, non è l'unica guest star eccellente della pellicola, anzi. Ma ho promesso niente spoiler, quindi vi rimando semplicemente alla visione di It e della miniserie del 1990 oltre a consigliarvi di leggere il romanzo di Stephen King. ENJOY!

martedì 11 giugno 2019

X-Men: Dark Phoenix (2019)

E finalmente è uscito anche l'ultimo film degli X-Men pre-Disney, un prodotto sulla carta assai ambizioso come X-Men: Dark Phoenix, diretto dal regista Simon Kinberg e tratto dalla Saga di Fenice Nera, storico arco narrativo della seconda generazione di X-Men. NO SPOILER, of course!


Trama: dopo aver recuperato degli astronauti persi nello spazio, Jean Grey viene investita da una forza cosmica che, a poco a poco, la corrompe, mettendo in pericolo tutto ciò che gli X-Men avevano ottenuto con fatica.



Verso questo X-Men: Dark Phoenix nutro sentimenti ambivalenti ma lasciate che metta in chiaro una cosa: NON è l'abominio che vorrebbero farvi credere l'80% delle recensioni presenti su internet. Sono molti gli aspetti positivi del film, in primis l'atmosfera cupa e disperata che permea ogni singolo fotogramma della pellicola, imperniato su una storia così tetra che nemmeno le scintille di Dazzler all'inizio possono rischiararla. La storia di Fenice Nera dovreste conoscerla tutti, quindi in questo caso non c'è spoiler: la mente di Jean Grey viene corrotta dal potere di un'entità cosmica che enfatizza tutte le sue emozioni, positive o negative che siano, e la priva del controllo sui suoi poteri, già di base abbastanza "volatili". Questo risvolto narrativo, contestualizzato all'interno della storyline cinematografica degli X-Men recenti, ci consegna un'adolescente (o poco più) che si trova ad avere a che fare con traumi infantili spaventosi, che incappa in un errore dopo l'altro poiché smette di fidarsi di coloro che ama di più, che distrugge letteralmente il mondo pacifico in cui gli X-Men sono riusciti ad affermarsi come eroi amati invece di paria. Il mondo è bianco o nero quando si ha l'età di Jean Grey e non è facile capire le azioni di un uomo storicamente ambiguo come Charles Xavier, qui finalmente ritratto come il rattuso emerso nel corso di anni di fumetti piuttosto che come un'amorevole papà; è difficile fidarsi di chi palesemente gode della fama e del successo, di chi si fa scudo di giovani mutanti mandandoli allo sbaraglio (vi ricordo che, nei fumetti, Xavier ne ha fatti morire parecchi di X-Men giovani) e di chi prende decisioni importantissime senza consultare nessuno, per poi "dimenticarsene" lasciando nella confusione i diretti interessati. E' difficile empatizzare con un personaggio come Xavier, che alla fine risulta più negativo di Jean Grey e persino dello stesso Magneto, poiché se la rabbia e i crimini di questi ultimi nascono dal (ri)sentimento, il primo non si accorge nemmeno di commettere crimini, preso com'è dal suo ego e dal desiderio di plasmare il mondo secondo la sua concezione. Davanti a un villain in disguise come Xavier (ah, quanto mi sarebbe piaciuto un bell'Onslaught, ma ormai...) è normale che scompaiano i flosci D'Bari, spenti ed asettici come l'orrida tinta bionda in cui è stata costretta la solitamente splendida Jessica Chastain, mai così poco carismatica.


Stavo quasi per cominciare a parlare degli aspetti negativi di Dark Phoenix ma prima diamo a Cesare quel che è di Cesare (oltre alle trentatré pugnalate), ché qualcosa di positivo, oltre a questa strisciante oscurità, ancora c'è. Sophie Turner, per esempio. Già, proprio lei, la spilungona de Il trono di spade. C'è qualcosa di liberatorio nel vederla abbandonarsi al potere di Fenice, qualcosa che con Famke Janssen non era abbastanza sottolineato, soffocato da sottotrame "sentimentali" e da una generale incapacità di gestire i personaggi, mentre attraverso la giovane attrice si percepisce in tutta la sua sublime grandezza; la sofferenza di Jean Grey stavolta si trasmette direttamente allo spettatore (sì, persino a me che ho sempre odiato Jean, in carta e in film) ma è comunque ipnotico il modo in cui la mutante annienta con un solo gesto tutti coloro che la vorrebbero vedere morta o vorrebbero approfittarsi di lei in qualche modo, con un sorriso di puro godimento sulle labbra, la consapevolezza di essere superiore a chiunque mescolato all'orrore causato da questa conoscenza. Ecco perché i combattimenti all'interno del film sono tra i migliori realizzati per questo genere di film, perché in essi c'è la cattiveria e la sofferenza, oltre alla perizia tecnica e l'entusiasmo di responsabili degli effetti speciali, stuntman ecc.. La sequenza dello scontro all'interno del treno, catastrofica a più livelli, è chiarissima, molto ben diretta, ha persino il pregio di inserire un elemento che avrebbe potuto essere trattato meglio, ovvero la tentacolare azione dell'oscurità di Fenice, che arriva a toccare persino l'infantile Nightcrawler, cambiandolo. Lo sfogo finale di Fenice da dei punti a quell'orrore di X-Men - Conflitto finale, l'incidente a inizio film, mostrato attraverso due punti di vista differenti, è angosciante, e anche lo scontro ambientato in mezzo alla città (nonostante la presenza di due dei mutanti più MEH dell'intero franchise, poi ci torno) è epico e ben fatto. Insomma, sono molti gli aspetti positivi di Dark Phoenix, eppure ho percepito qualcosa che mi ha fatta uscire dal cinema "media" come diceva Elio ne Il vitello dai piedi di balsa, né esaltata né scazzata.


Come ho scritto su FacebookDark Phoenix mi è sembrato molto svogliato, e non solo perché è palese che molti dei coinvolti non ne hanno più voglia (Jennifer Lawrence doveva già abbandonare la baracca con Apocalisse e si vede, idem per Michael Fassbender e Nicholas Hoult) ma anche per come sono stati scritti i personaggi. Salvo Xavier e Jean Grey, gli altri sono dei pupazzetti senz'anima ai quali sono state messe in bocca le peggiori banalità e la cartina tornasole di quanto affermo è la scomparsa di un personaggio importantissimo che diventa mero mezzo per portare la trama nella direzione voluta dagli sceneggiatori. Nessuna emozione, nessuna empatia nel corso dell'evento, il che è assurdo. Nonostante i personaggi da gestire fossero molto pochi, perché fortunatamente Dark Phoenix non è la sagra della guest star mutante (anche se qui e lì cicciano la già citata Dazzler e, di spalle, persino Quentin Quire con la capigliatura da cacca di Arale), gli X-Men rimasti sono comunque delle figurette intercambiabili in (orribile) tutina e benché sia felice di non aver assistito all'ennesimo sfoggio tecnico imperniato sui poteri di Quicksilver (che pur si profonde in un bel numero, più contenuto, giustamente adatto all'atmosfera del film), il poco metraggio che gli viene concesso ha del perplimente. Ma d'altronde Tempesta e Ciclope sono delle ombre sullo sfondo, mera manovalanza da VFX, quindi perché domandare di più? Abbastanza terrificante anche la resa di Genosha, storico stato mutante ipertecnologico, teatro delle più sconvolgenti catastrofi della saga cartacea. Qui abbiamo un meraviglioso Magneto in versione George Clooney immerso nelle atmosfere tipiche di uno spot della Nescafé, dove tutto è equo e solidale, persino la marijuana. Anonima Genosha, anonimi i D'Bari, alieni sui generis usciti dal bignami della fantascienza, anonimi i tirapiedi di Magneto: santo cielo, ma con tutti i mutanti tirati fuori nel corso degli anni, hanno dovuto ripiegare su un tizio sconosciuto che muove i dread e ridurre Selene (Selene. Ho dovuto andare a controllare su Imdb perché speravo di aver sentito male nel film) al rango di scappata di casa? Nemmeno quella schifezzuola di The Gifted aveva osato tanto. La cosa mi intristisce ancor più perché Dark Phoenix poteva essere come il suo corrispettivo cartaceo: sfacciato, tragico, cattivissimo, capace di distruggere i personaggi lasciando strascichi decennali, mentre qui basta un mese per far tornare tutto a posto, vai di tarallucci e vino, vecchi amici e fotografie di gente sorridente. L'amaro in bocca che mi ha lasciato l'ultima possibilità di far brillare davvero gli X-Men come una Fenice, prima di gettarli nell'oblio o nell'omologazione, è lo stesso rimasto allo Xavier scornato, senza più un perché nella vita. Questo freno tirato, questa parziale noncuranza svogliata, mi fanno avere molta paura per quanto riguarda New Mutants. Spero di sbagliarmi.


Di James McAvoy (Professor Charles Xavier), Michael Fassbender (Erik Lehnsherr/Magneto), Jennifer Lawrence (Raven/Mystica), Nicholas Hoult (Hank McCoy/Bestia), Tye Sheridan (Scott Summers/Ciclope), Evan Peters (Pietro Maximoff/Quicksilver), Kodi Smit-McPhee (Kurt Wagner/Nightcrawler) e Jessica Chastain (Vuk) ho parlato ai rispettivi link.

Simon Kinberg è il regista della pellicola. Inglese, conosciuto più come produttore (X-Men - L'inizio, La leggenda del cacciatore di vampiri, X-Men - Giorni di un futuro passato, Cenerentola, Sopravvissuto: The Martian, X-Men: Apocalisse, Logan - The Wolverine, Deadpool, Assassinio sull'Orient Express, Deadpool 2, The Gifted, Legion), è al suo primo lungometraggio dopo un episodio de The Twilight Zone. Anche sceneggiatore e attore, ha 46 anni.


Sophie Turner interpreta Jean Grey/Fenice. Inglese, la ricordo per film come X-Men: Apocalisse, inoltre ha partecipato alla serie Il trono di spade. Ha 23 anni e due film in uscita.


Alexandra Shipp interpreta Ororo Munroe/Tempesta. Americana, ha partecipato a film come Alvin Superstar 2, X-Men:Apocalisse, Tragedy Girls e Deadpool 2. Anche produttrice, ha 28 anni e quattro film in uscita.


Tra gli ospiti della Casa Bianca spunta fuori lo scrittore storico degli X-Men, Chris Claremont. L'attrice Halston Sage, che interpreta Dazzler, aveva già lavorato con Tye Sheridan in Manuale scout per l 'apocalisse zombie. Folli voci di corridoio affermavano che Jessica Chastain avrebbe interpretato l'aliena Shi'ar Lilandra, storica moglie di Xavier, e si pensava persino che tale personaggio sarebbe stato affidato ad Angelina Jolie. Se il film vi fosse piaciuto recuperate  X-MenX-Men 2X-Men - Conflitto finale, X-Men - L'inizio X-Men: Giorni di un futuro passato, X-Men Origins: Wolverine, Wolverine - L'immortale, Logan - The Wolverine, Deadpool e Deadpool 2. ENJOY!


E ritorna, per la gioia di tutti i bambini... L'angolo del Nerd (o del gnégnégné, fate voi)
HIC SUNT SPOILER!:

Starhammer/Vuk: solitamente per questo spazio non uso Wikipedia ma ricordavo che i D'Bari erano semplicemente "il popolo fatto scomparire da Fenice", invece qualcuno è sopravvissuto e questo qualcuno, per esempio, è Vuk. Un D'Bari verdognolo impegnato in una quest per distruggere la Fenice, dotato di un'armatura che lo ha reso Starhammer. Di più non domandate.

Alison Blair/Dazzler: membro degli X-Men capace di trasformare il suono in fasci di luce luminosi, fuochi d'artificio, quello che volete. Un simile potere, unito alle sue doti canore, per un po' ne ha fatto anche una rockstar se non sbaglio, ma la cosa che più conta è che, dopo anni di tira e molla col fidanzato alieno (e fortunato) Longshot, in qualche modo contorto tirato fuori da sceneggiatori rincoglioniti, sembrava ci fosse scappato anche un figlio, Shatterstar... e in effetti è così ma Shatterstar è anche il materiale genetico da cui è nato Longshot, che ha messo incinta Dazzler, che ha fatto nascere Shatterstar, che è tornato nel passato per fornire il materiale genetico per Longshot che al mercato mio padre comprò.

Selene: Regina Nera del Club infernale, mutante millenaria, praticamente una dea, ha poteri psichici potentissimi, è telecineta e persino una strega, inoltre riesce a rimanere perennemente giovane perché assorbe l'energia vitale delle sue vittime e spesso e volentieri le assoggetta a sé. Insomma, un bel donnino potentissimo nonché una dei più mortali nemici di X-Men e affini. Altro che contadina delle piantagioni di Magneto, dai.

venerdì 20 aprile 2018

Molly's Game (2017)

Esce questa settimana in tutta italia Molly's Game, diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista Aaron Sorkin e nominato agli ultimi Oscar per la sceneggiatura non originale (il film è tratto dall'autobiografia di Molly Bloom, ovvero Molly's Game: From Hollywood's Elite to Wall Street's Billionaire Boys Club, My High-Stakes Adventure in the World of Underground Poker).


Trama: dopo un disastroso incidente che ha terminato la sua carriera di sportiva, la giovane Molly Bloom si ritrova indagata dall'FBI per essere diventata la regina del poker clandestino...


Il 2018 cinematografico probabilmente verrà ricordato come quello in cui le sportive a un passo dalle Olimpiadi escono di testa e abbracciano l'illegalità. Prima c'è stata la Tonya di Margot Robbie, ora arriva la Molly Bloom di Jessica Chastain, raffinata organizzatrice di bische clandestine che per qualche anno è riuscita a vivere alle spalle di potenti ricchi ed annoiati pronti a lasciare ingenti somme di denaro sui tavoli da poker. Le differenze tra le due donne non potrebbero essere più evidenti: mentre il retaggio di Tonya Harding è quello della white trash proletaria e la sua natura quella di "macchina da pattinaggio", Molly Bloom viene da una famiglia di atleti e, oltre ad essere incredibilmente acculturata, ha come unico obiettivo nella vita quello di vincere, non importa in quale campo. Donna fatta letteralmente d'acciaio, Molly ha subito sconfitte fin dalla più tenera età ma si è sempre rialzata e non solo a causa dello sprone di un padre severo ma ipocrita, bensì grazie soprattutto al nocciolo fondamentalmente duro del suo carattere indomito, quello stesso nocciolo che le impedisce di abbracciare appieno una carriera "criminale". A differenza di ciò che accade in molti film imperniati sul mondo delle scommesse, il personaggio di Molly ha infatti una morale e un rigido codice d'onore che le impediscono non solo di accettare compromessi ma anche di cercare facili vie di fuga quando la situazione si fa critica, inoltre l'inevitabile spirale discendente che cattura questo genere di protagonisti non è incontrollata come spesso succede, neppure quando Molly comincia a prendere delle droghe "per rimanere sveglia". Il destino di Molly assomiglia ad una sorta di caos ragionato e il film mostra una protagonista sempre e comunque lucida, calcolatrice ma non malvagia, come arriverà a scoprire l'avvocato Charlie Jaffey, incaricato di difenderla e affascinato suo malgrado dalla personalità della donna. La stessa fascinazione, nonostante la consapevolezza di una storia romanzata e sicuramente filtrata dal punto di vista soggettivo della vera Molly, autrice della biografia da cui il film è tratto, la subisce lo spettatore che non può fare altro che parteggiare per questa signora sfortunata che, in fin dei conti, non faceva altro che sfruttare i soldi di chi poteva permettersi di perderli a poker, senza depredare poveracci o simili.


D'altronde, sottrarsi al fascino carismatico di Jessica Chastain è un po' impossibile. La favolosa attrice, ingiustamente snobbata agli Oscar, mette tutta sé stessa nell'interpretazione di un personaggio difficile, a tratti talmente intelligente e capace da essere fuori dal mondo eppure lo stesso incredibilmente umano e fragile, con quello sguardo testardo capace di bucare lo schermo e la parlantina devastante che probabilmente metterà in ginocchio adattatori e doppiatori italiani. Di fatto, è soltanto la presenza di Jessica Chastain a rendere memorabile un film che soffre di qualche lungaggine a livello di sceneggiatura pur essendo strutturato in modo dinamico ed intrigante anche per chi non è avvezzo al mondo del poker. La prima parte, che vede tra le figure chiave un Michael Cera particolarmente ambiguo, scorre veloce concentrandosi sulla scalata di Molly verso i più alti livelli del gioco d'azzardo clandestino, la seconda si impantana in qualche cliché di troppo (la mafia italiana, quella russa, i problemi familiari corollati dal mega spiegone finale del padre...) ed è interessante soprattutto per quel che riguarda la parte giuridica della questione, con Idris Elba che si fa avanti per dare man forte alla protagonista dimostrando tutte le sue doti di attore carismatico e, se posso dire, anche di ometto dalla bella presenza, alla faccia delle inguardabili parrucche di Thor: Ragnarok. La chimica tra i due interpreti c'è e fa funzionare bene il film, sicuramente più di quanto non faccia la regia di Aaron Sorkin, alla sua prima prova dietro la macchina da presa e non particolarmente degno di infamia o lode, per quanto il suo modo di gestire le scene mi abbia ricordato a tratti il David O. Russel di American Hustle (ma forse era solo per l'argomento trattato, chissà. Ormai ho visto quel film talmente tanto tempo fa!). Detto questo, Molly's Game è una pellicola che merita una visione, soprattutto se vi interessa questo genere di storie che hanno per protagonisti figure ambigue al limite della legalità e se siete fan della Chastain. In quest'ultimo caso, però, meglio cercare un cinema che lo proietti in lingua originale.


Di Jessica Chastain (Molly Bloom), Idris Elba (Charlie Jaffey), Kevin Costner (Larry Bloom), Michael Cera (Giocatore X), Jeremy Strong (Dean Ketih), Chris O'Dowd (Douglas Downey) e Graham Greene (Giudice Foxman) ho già parlato ai rispettivi link.

Aaron Sorkin è il regista e sceneggiatore della pellicola, alla sua prima prova dietro la macchina da presa. Americano, come sceneggiatore ha firmato film come Codice d'onore, Malice - Il sospetto, Il presidente - Una storia d'amore, The Social Network, che nel 2011 gli è valso un Oscar, e Steve Jobs. Anche produttore e attore, ha 57 anni.


Bill Camp interpreta Harlan Eustice. Americano, ha partecipato a film come In & Out, Lincoln, 12 anni schiavo, Birdman, Black Mass - L'ultimo gangster, Loving e The Killing of a Sacred Deer.


Tra le guest star della pellicola spunta a un certo punto il mitico Steve di Stranger Things, alias l'attore Joe Keery, nei panni dello sprovveduto Cole. Se Molly's Game vi fosse piaciuto recuperate anche Casino, Ocean's Eleven e Tonya. ENJOY!

venerdì 12 maggio 2017

Miss Sloane (2016)

Avrebbe dovuto uscire la scorsa settimana in tutta Italia (ma a quanto pare si è perso nei meandri della distribuzione) Miss Sloane, diretto nel 2016 dal regista John Madden, film recuperato esclusivamente per la presenza di Jessica Chastain e rivelatosi inaspettatamente bello.


Trama: Elizabeth Sloane è una delle lobbiste più quotate sul mercato, spregiudicata e senza scrupoli. La sua stessa carriera viene però messa in pericolo quando decide di accettare un lavoro in diretto contrasto con la lobby delle armi, atto a spingere i senatori ad approvare una legge per il controllo dei precedenti dei privati che le acquistano e ne fanno uso.



Prima di cominciare la parte positiva del post è necessario che ammetta di avere avuto MOLTA difficoltà a superare la prima, logorroica e complicata mezz'ora di Miss Sloane. Innanzitutto, e viva l'ignoranza, il termine "lobbista" mi era familiare ma evocava echi di corruzione e criminalità, mentre la sua accezione americana è assimilabile a quella di qualcuno che si occupa di pubbliche relazioni, creando l'ambiente ideale affinché politici et simili possano prendere decisioni in accordo coi grandi elettori o con rappresentanti di poteri forti. Quindi sì, obiettivamente il termine "lobbista" continua ad essere espressione di qualcosa di poco "pulito" in quanto i politici dovrebbero agire nell'interesse dei cittadini e non di entità non meglio definite e dotate di soldi, PERO' è anche vero che i senatori americani non dovrebbero ricavare NULLA dalle concessioni a questa o quell'altra fazione, in base ad una legge che ne regola l'etica, quindi i lobbisti, come ho detto più sopra, virtualmente sarebbero assimilabili ai PR. Virtualmente, ovvio. In un mondo ideale. Di sicuro Elizabeth Sloane, la Miss protagonista del film a cui da il nome, non è l'espressione di una moralità adamantina ed è talmente determinata a raggiungere i suoi obiettivi da non guardare in faccia a nessuno quando si tratta di far vincere la fazione che l'ha assunta, nemmeno quando si tratta di convincere i senatori ad approvare una legge che controlli i precedenti di chi acquista delle armi. Pur essendosi votata ad una causa positiva, miss Sloane si avvale infatti di metodi poco ortodossi, al limite dell'illegalità (come lo spionaggio) o dell'immoralità (sfruttare il tragico passato di una sua collaboratrice gettandola sotto i riflettori a sua insaputa), risultando così fredda e pericolosa quanto le armi di cui vorrebbe limitare l'uso oltre che meschina quanto i membri della cosiddetta lobby delle armi, un personaggio insomma col quale è difficile empatizzare ma al cui carisma non si riesce a rimanere indifferenti, affatto. Per di più, la sceneggiatura verte sull'annosa questione del Secondo Emendamento della Costituzione americana, che protegge il diritto delle persone di possedere armi e addirittura di portarle con sé, ed è scritta in modo da non dare un giudizio definitivo sul problema, preferendo lasciare allo spettatore la possibilità di considerare i pro e i contro di una simile libertà, profondamente radicata nella natura "di frontiera" degli Stati Uniti.


Detto ciò, si può tranquillamente affermare che Miss Sloane poggi interamente sulla superba interpretazione di Jessica Chastain, talmente valida che mi chiedo come mai non sia riuscita a superare gli standard dell'Academy (altra bella dimenticanza, assieme alla Amy Adams di Arrival). La bella rossa si carica sulle spalle un'interpretazione non facile, quella di una "macchina da guerra" apparentemente priva di sentimenti e interamente concentrata su sé stessa e sul lavoro, che si concede pochissimo alle aperture minime di una sceneggiatura per nulla conciliante o positiva, dove tutti prima o poi fanno una figura ben meschina, persino i personaggi più "innocenti"; l'incredibile bellezza della Chastain la rende ancora più distante dai comuni mortali e risulta così difficile per lo spettatore sentirsi vicino ad una donna così forte e potente che, nonostante l'aspetto, punta interamente su intelligenza, carisma e capacità di previsione, scrollandosi di dosso i rari momenti di debolezza come se fossero dei difetti di programmazione (diciamo che talvolta il ruolo sembra scritto per un uomo o per un essere totalmente asessuato, questo è l'unico difetto reale del film se vogliamo tenere da conto un punto di vista "femminista" che, peraltro, viene messo alla berlina come tutto il resto dell'establishment politico-sociale americano). Il cast di supporto è altrettanto valido, a partire dall'impronunciabile Gugu Mbatha-Raw e Mark Strong, i due che sicuramente saltano più all'occhio, passando per quel Michael Stuhlbarg che di nascosto impreziosisce tutte le pellicole che lo vedono presente per arrivare a due vecchi leoni come John Lithgow e Sam Waterston, attori che è sempre un piacere vedere sul grande e piccolo schermo. In tutta sincerità, compiango un po' gli adattatori e i doppiatori che dovranno rendere in italiano una sceneggiatura così verbosa e difficile, zeppa di termini tecnici che nella nostra lingua neppure esistono, eppure vi consiglierei lo stesso di "provare" Miss Sloane e di non farvi spaventare né dalla difficoltà dell'argomento trattato né dall'aria vagamente "Trumpista" che si respira per tutta la pellicola, specchio di tempi negativi (il film in america è uscito proprio a ridosso delle elezioni presidenziali e secondo me ne incarna tutto il pessimismo e lo "schifo") che purtroppo non sono ancora passati... e forse non passeranno mai.


Di Jessica Chastain (Elizabeth Sloane), Gugu Mbatha-Raw (Esme Manucharian), Michael Stuhlbarg (Pat Connors), John Lithgow (Ron M. Sperling), Mark Strong (Rodolfo Schmidt), Alison Pill (Jane Molloy), Douglas Smith (Alex), Sam Waterston (George Dupont) e Dylan Baker (Moderatore) ho già parlato ai rispettivi link.

John Madden è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Shakespeare in Love, Il mandolino del capitano Corelli, Marigold Hotel e Ritorno al Marigold Hotel. Anche produttore e sceneggiatore, ha 68 anni.


Se Miss Sloane vi fosse piaciuto recuperate Jerry Maguire, Il candidato, Tutti gli uomini del presidente e Thank You for Smoking. ENJOY!


martedì 7 giugno 2016

Il cacciatore e la regina di ghiaccio (2016)

Ogni tanto ci sono quelle sere in cui si guarda quel che passa al convento e, in questo caso, è toccato a Il cacciatore e la regina di ghiaccio (Huntsman: Winter's War), diretto dal regista Cedric Nicolas-Troyan, riempire il vuoto.


Trama: molti anni prima della nascita di Biancaneve, la matrigna cattiva Ravenna viveva con la sorella Freya. Quest'ultima un giorno è stata tradita dall'amore e ha scatenato i suoi gelidi poteri, rapendo tutti i bambini dei villaggi conquistati onde crescerli come "cacciatori". Questo destino è capitato ad Eric e alla moglie Sara, dapprima uniti e poi separati proprio dalla crudeltà di Freya...


Correva l'anno 2012 e gli schermi di tutto il mondo venivano ammorbati da una ciofeca quale Biancaneve e il cacciatore, buona solo per gli effetti speciali e per la bellezza fuori scala di una Charlize Theron in formissima. I difetti principali della pellicola in questione, a parte quello macroscopico di avere un merluzzo al posto dell'eroina principale, era l'incredibile nonché gotica serietà con la quale Rupert Sanders aveva affrontato il progetto, l'eccesso di effetti speciali bessonico/ghibliani e la quasi totale assenza di umorismo, cosa questa che rendeva il film più pesante del necessario. Sinceramente, dal sequel mi aspettavo gli stessi, fatali nei (meno il merluzzo, ovvio) e invece sono rimasta sorpresa da una pellicola non bella, questo no per carità, ma perlomeno divertente e capace di intrattenere. Fermo restando che Frozen ha fatto più danni del colera e che ora qualsiasi regina dalla morale ambigua e dai poteri magici deve avere per forza dei legami col ghiaccio, il seguito di Biancaneve e il cacciatore si sofferma sul passato del Cacciatore Eric e su quella moglie che nel primo film era solo nominata, partendo da un lungo flashback che a un certo punto diventa il proseguimento della storia che conoscevamo tutti: Ravenna è stata sconfitta ma lo specchio è rimasto e sta mandando fuori di testa il Merluzzo, quindi il regale consorte, rimasto nel frattempo mollo come la panissa, sceglie di affidare al Cacciatore l'ingrato compito di distruggerlo. Dei sette nani ne è rimasto soltanto uno, Nick Frost, l'unico che ha avuto il coraggio di ri-sputtanarsi in guisa di nanetto e, per completare l'opera, ne vengono aggiunti altri tre, un maschio logorroico e due femmine bruttarelle ma mai quanto Kristen Stewart. Come eroina principale abbiamo Jessicona Chastain, talmente bella e brava da riuscire a rendere gradevole un personaggio che è un banalissimo compendio di tutte le donne forti presenti nel cinema fantasy d'azione, a partire da Eowyn per arrivare alla sciacquetta, là, Katniss, e c'è da dire che le sue interazioni col cacciatore bonazzo non sono proprio adatte ad un pubblico di bambini.


Il cacciatore e la regina di ghiaccio procede dunque innocuo tra una battuta fatta dal cacciatore particolarmente piacionetto e guascone (ma solo io lo ricordo come un musone insopportabile nel primo film?) per spezzare la tensione, approcci amorosi naneschi ed esempi di inusitata crudeltà verso bambini bruciati e persone impalate, scorrendo lieve e vagamente privo di emozioni finché non ricompare lei, la Divina. Charlize Theron è una gnocca imperiale, quando è in scena la perfida Ravenna persino l'effetto speciale più scrauso scompare davanti alla sua assurda bellezza; impossibile non tifare per un personaggio stronzo ma infinitamente carismatico, capace di cancellare con un gesto la presenza della trascurabile Emily Blunt dal cuoricino di ghiaccio, di espellere dal corpo lance nere o fondersi in un tripudio di scaglie d'oro. La carta vincente che potrebbero giocare i realizzatori di un eventuale (e, ahimé, abbastanza probabile) terzo capitolo sarebbe quella di mandare al diavolo cacciatori e nani e raccontare la vita di Ravenna ma poi la saga diventerebbe un horror softcore e il pubblico di ragazzine e pargoletti dove finirebbe? Così, stavolta bisogna accontentarsi di un ex-tecnico degli effetti speciali ed aiuto-regista che viene chiamato a tenere le redini del discorso, cosa che ha depersonalizzato lo stile già abbastanza derivativo di Biancaneve e il cacciatore per lasciare spazio ad una cosa più blanda e terra terra, più videogame che fantasy dark, mentre il budget per gli effetti speciali è stato giustamente concentrato sulla spettacolarità dei poteri delle due regine. Per il resto, direi che Il cacciatore e la regina di ghiaccio è un film senza infamia e senza lode, salvato dalla simpatia degli interpreti e da quel senso di "leggerezza" che può provocare solo chi non desidera dare una svolta "autoriale" a delle belinate buone giusto per una serata di relax.


Di Chris Hemsworth (Eric, il cacciatore), Charlize Theron (Ravenna), Jessica Chastain (Sara), Emily Blunt (Freya) e Nick Frost (Nion) ho già parlato ai rispettivi link.

Cedric Nicolas-Troyan (vero nome Cedric Gabriel Fernand Nicolas) è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Francese, è conosciuto soprattutto come tecnico degli effetti speciali, che ha curato per film come One Hour Photo, The Ring, La maledizione della prima luna, Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma e Biancaneve e il cacciatore. Anche sceneggiatore, ha 47 anni e un film in uscita, il futuro remake di Highlander.


Se, come me, vi foste chiesti cosa ci faccia un'attrice brillante e sulla cresta dell'onda come Jessica Chastain in quella che è fondamentalmente una belinata fantasy, sappiate che la povera Jessicona è stata obbligata a partecipare per contratto, dopo aver preso parte a Crimson Peak, anch'esso distribuito dalla Universal; quanto a Charlize Theron, in seguito all'hakeraggio delle mail della Sony si è scoperto che l'attrice sarebbe stata pagata molto meno di Chris Hemsworth e ha giustamente rifiutato di firmare il contratto finché i due "stipendi" non sono stati equiparati. Si dice invece che Kristen Stewart non sia stata contemplata nel progetto, che pur nelle intenzioni iniziali dei produttori avrebbe dovuto essere un seguito di Biancaneve e il cacciatore, perché la signorina aveva avuto una relazione con Rupert Sanders, regista del primo film (ed estromesso dal sequel/prequel per lo stesso motivo); sempre rimanendo in tema di registi, l'ha scampata bella anche Frank Darabont, che ha abbandonato il progetto in fase di pre-produzione, anche per quel che riguarda la sceneggiatura. Detto questo, se Il cacciatore e la regina di ghiaccio vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Biancaneve e il cacciatore. ENJOY!

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