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mercoledì 14 dicembre 2022

Spirited - Magia di Natale (2022)

E' uscito su Apple TV+ un film perfetto per il periodo, ovvero Spirited - Magia di Natale (Spirited), diretto e co-sceneggiato dal regista Sean Anders.


Trama: i fantasmi del Natale Dickensiano si ritrovano a dover redimere il cinico consulente Clint Briggs, che si rivela un osso durissimo soprattutto per Presente, veterano roso da mille dubbi...


Come faccio a scrivere qualcosa di obiettivo su un film che sembra realizzato apposta per me e che, in effetti, ha fatto di tutto per piacermi, riuscendoci? Pur essendo un Grinch della peggior specie, ho sempre adorato Il canto di Natale di Dickens in ogni sua forma e questo Spirited ne è la rilettura in chiave moderna; in più, ho un debole per i musical e, nonostante nutra verso di lui sentimenti molto ambivalenti, quando è in buona ho anche un debole per Will Ferrell, che in questo Spirited dà veramente il bianco. Prendete dunque con le pinze tutto quello che sto scrivendo, compresa la definizione di "Film natalizio del 2022" (considerate che devo ancora guardare Violent Night), e rimanete ancora un po' con me per cercare di capire perché, al di là dei motivi di cui sopra, mi è piaciuto così tanto Spirited. Intanto, ne ho apprezzato la trama. Spirited prende tutti i cliché de Il canto di Natale, rende i personaggi consapevoli di essere protagonisti di una storia già raccontata mille volte, e ci ragiona sopra attraverso l'ottica cinica e moderna di Clint Briggs, media consultant che punta al successo sfruttando i più bassi istinti umani e che, ovviamente, rifiuta di sottomettersi al volere degli spiriti diventando l'ennesimo malvagio convertito. L'atteggiamento strafottente ma non privo di acume di Clint costringe il Fantasma del Natale presente, veterano che da anni potrebbe reincarnarsi ma continua a lavorare per recuperare le anime "prave", a rimettersi completamente in discussione deviando dal classico percorso di redenzione della vittima e anche dal classico rapporto tra fantasmi ed esseri umani, con twist interessanti che, ovviamente, non sto a svelare ma che posano interamente sulla bella alchimia tra Will Ferrell e Ryan Reynolds.


I due attori abbracciano i ruoli che sono loro più congeniali, ovvero quello dell'adorabile babbeo e quello dello stronzetto sboccato, e assieme fanno faville. Il rischio corso da Ferrell è sempre un po' quello di perdersi, a un certo punto, nella smielatezza di un personaggio costretto in improbabili storie d'amore (un punto debole di Euro Vision Song Contest, giusto per nominare una pellicola), ma fortunatamente la presenza di Reynolds, col suo reiterato rifiuto di ruoli e snodi canonici, mantiene salda quell'aura di cinismo che, di fatto, equilibra l'intera opera incarnando il messaggio che il film vuole veicolare, ovvero il rifiuto di una redenzione posticcia valida solo per quel "Christmas Morning Feelin" a favore, invece, di un impegno giornaliero ad essere persone imperfette ma gentili, che ci provano senza essere necessariamente straordinarie o sante, né cambiare dal giorno alla notte. Poi, ovviamente, c'è la parte musical. I compositori Pasek e Paul (già autori di un'opera a tema natalizio con A Christmas Story: The Musical e vincitori di un Oscar per City of Stars) hanno scritto una serie di canzoni che non solo catturano lo spirito irriverente e contemporaneamente festivo dell'opera, ma si adattano perfettamente allo stato d'animo e alla situazione contingente dei personaggi, toccando a volte picchi emozionanti che non sfigurerebbero in musical più "seri". Per la prima volta in anni mi sono ritrovata a ridere di cuore e a continuare a farlo per parecchi minuti grazie alla geniale Good Afternoon, sicuramente la mia canzone preferita, ma tutti gli altri numeri musicali valgono la visione, sono ben realizzati a livello di scenografie e luci (senza contare che spesso sono molto metacinematografici!) e ancor meglio eseguiti da attori e ballerini, forse con l'unica eccezione di Octavia Spencer che, povera stella, era palesemente alla sua prima prova come cantante e lascia trasparire tutte le difficoltà affrontate. Un piccolissimo neo che non inficia assolutamente la visione di Spirited e che, anzi, rende ancora più tenero il suo personaggio, l'unico (assieme allo scazzatissimo Marley di Patrick Page) a non farsi fagocitare dalla verve dei due protagonisti. Augurandovi un Good Afternoon, vi invito quindi a vedere il film il prima possibile, senza perdervi i titoli di coda, che contengono uno splendido numero musicale "scartato"!


Del regista e co-sceneggiatore Sean Anders ho già parlato QUI. Will Ferrell (Presente), Ryan Reynolds (Clint Briggs), Octavia Spencer (Kimberly), Tracy Morgan (voce originale di Futuro), Rose Byrne (Ms. Blansky), P.J.Byrne (Mr. Alteli) e Judi Dench (Judi Dench) li trovate invece ai rispettivi link.

Sunita Mani interpreta Passato. Americana, ha partecipato a film come Si salvi chi può!, Evil Eye, Everything Everywhere All at Once e a serie quali Mr. Robot e GLOW. Anche sceneggiatrice, ha 36 anni e un film in uscita. 


Se Spirited vi fosse piaciuto recuperare S.O.S. Fantasmi, Il Grinch e Elf. ENJOY!

venerdì 4 marzo 2022

Belfast (2021)

Nonostante il fastidio provocatomi da Assassinio sul Nilo, ho deciso di ridare fiducia a Kenneth Branagh e domenica sono andata a vedere Belfast, da lui diretto e sceneggiato nel 2021 nonché nominato per 7 premi Oscar: Miglior film, Miglior regia, Miglior sceneggiatura originale, Ciarán Hinds miglior attore non protagonista, Judi Dench miglior attrice non protagonista, Miglior sonoro e Miglior canzone originale.


Trama: durante i cosiddetti Troubles di fine anni '60, il piccolo Buddy cerca di vivere la sua infanzia nonostante la violenza che scorre nelle strade, i problemi economici dei genitori e quelli di salute del nonno...


Maledetto Kenneth Branagh. Stavolta con me ha vinto davvero facile, trovando terreno fertile nella mia ignoranza crassa di persona che aveva solo una vaga idea di cosa fosse vivere alla fine degli anni '60 nell'Irlanda del Nord, e che quindi non può dire "eh ma sei falso, tendenzioso, e pure un po' paraculo perché il tuo film è anche troppo edulcorato". Posso dire che a me poco importa che il film in questione sia palesemente un'Oscar bait creata ad arte per intenerire ed emozionare il pubblico? D'altronde, se avessi voluto l'aderenza storica, o la rabbia sociale, avrei guardato un documentario o un film di Ken Loach, invece in questo caso c'è "baffo" Branagh che ha deciso di raccontare la storia della SUA infanzia, filtrata dal punto di vista di un bambino di nove anni che, bontà sua, l'aderenza storica e la rabbia sociale non sa neppure cosa siano. E' palese che tutto, in Belfast, sia a misura di bambino, a partire dalle inquadrature, perché allo spettatore arriva "solo" quello che arriva al protagonista, Buddy, ovvero il piccolo alter ego di un Branagh già allora affascinato dal cinema; ci arriva la situazione "tradotta" in modo semplice, per l'appunto infantile, perché l'Irlanda di quei tempi era una polveriera e probabilmente l'unico modo che aveva un bambino di capire qualcosa era semplificare il più possibile, tirando fuori cattivi da film, elevando i genitori, per quanto imperfetti, a eroi positivi, sottolineando la natura amichevole di persone che si conoscono da sempre nemmeno fossero tutti una grande famiglia priva di odi ed invidie. Belfast non è quindi un documentario, quanto piuttosto un coming of age, dove Buddy è costretto ad affrontare lo spauracchio di abbandonare la città dov'è nato e cresciuto, e un inno d'amore a chiunque abbia vissuto lì, che se ne sia andato, che sia rimasto o a chi purtroppo si è perso, come da dedica finale prima dei titoli di coda. 


Come una vecchia fotografia trovata nel cassetto, Belfast è in bianco e nero (splendidamente fotografato, per inciso) e gli unici sprazzi di colore sono i film che Buddy vede al cinema, oppure le opere teatrali, che si ammantano di un'aura magica e salvifica, sprazzi di un mondo di fantasia in cui evadere da una realtà incomprensibile e pericolosa, dove non è così facile conservare l'innocenza e la speranza dei bambini. Le influenze cinematografiche di un bambino affamato di film si ritrovano in moltissime sequenze di Belfast ma saltano maggiormente all'occhio verso il finale, forse perché, paradossalmente, Buddy si scontra con i due eventi più difficili della sua infanzia (lo scontro tra suo padre e Billy sembra il duello di un western, la scena in cui Jamie Dornan canta al funerale ha tutto il sapore di un musical), per il resto le scene di "vita vissuta" mi sono sembrate piuttosto plausibili e non è proprio vero che Branagh rifugge dal mostrare la natura reale della violenza. Certo, l'autoindulgenza del regista e sceneggiatore si evince dalla scelta di affidare il "suo" ruolo ad un bambino dolce e bellissimo, cuginetto ideale del Roman Griffin Davis di JoJo Rabbit, ma stavolta ci sono due attori che strappano la scena al protagonista (e il cuore dal petto dello spettatore), ovvero Ciarán Hinds e Judi Dench, i nonni burberi, scafati e dolci che tutti abbiamo sognato di avere. Fonti inesauribili di insegnamenti per Buddy, nonno e nonna sono due personaggi che rimangono dentro e la Dench mi ha straziata giusto un pelino meno di quanto ha fatto nonna Coco in quel film Disney che non posso più nemmeno nominare senza cominciare a piangere come una fontana; lo sguardo rassegnato, pieno di amore e di dolore, in quel primo piano della Dench, è qualcosa di così devastante che mi viene il magone a scriverne. Quindi sì, Kenneth, sarai pure antipaticissimo e tracotante ma credo che quest'anno tiferò un po' per te agli Oscar.


Del regista e sceneggiatore Kenneth Branagh ho già parlato QUI. Jamie Dornan (Pa), Judi Dench (Nonna) e Ciarán Hinds (Nonno) li trovate invece ai rispettivi link. 

Caitriona Balfe interpreta Ma. Irlandese, ha partecipato a film come Super 8, Now You See Me - I maghi del crimine e Le Mans '66 - La grande sfida. Anche produttrice, ha 43 anni. 


Se Belfast vi fosse piaciuto recuperate Roma e Jojo Rabbit. ENJOY!

martedì 12 dicembre 2017

Assassinio sull'Orient Express (2017)

Con calma (c'era il ponte, ho cazzeggiato, lo ammetto!) arrivo a parlare anche di Assassinio sull'Orient Express (Murder on the Orient Express), diretto da Kenneth Branagh e tratto dal giallo omonimo di Agatha Christie.


Trama: durante un viaggio sull'Orient Express il famoso investigatore Hercule Poirot si ritrova per le mani un caso di omicidio. Una valanga improvvisa blocca la corsa del treno e Poirot ha tempo solo finché non arriveranno i soccorsi e libereranno le rotaie per scoprire l'identità dell'assassino!


Come già scritto nella solita rubrica delle uscite settimanali, ho avuto la (s)fortuna di vedere Assassinio sull'Orient Express di Sidney Lumet solo una volta nella vita, da bambina, e di non avere mai letto il giallo di Agatha Christie. Oltre quindi a non ricordare NULLA relativamente alla risoluzione del caso non ho potuto nemmeno venire sopraffatta dall'effetto nostalgia legato alla pellicola, quella sensazione canaglia che ti prende proprio quando non vuoi e ti porta a rompere le palle alla gente dicendo "eeeeh, ma Albert Finney era un Poirot migliore, eh ma cosa mi significano quei baffoni signora mia, ah ma la Bergman era ben più sopraffina di quel rattu penigu della Cruz!". Posso dire perciò di essere una delle poche persone al mondo che si è approcciata al film di Branagh in totale letizia ed assoluta ignoranza, pronta a godersi un giallo all-star pregando il signoruzzo che la coppia di anziani burini parlanti seduti accanto a lei non spoilerassero il finale durante uno dei loro interminabili dialoghi. In virtù di ciò, mi sento di affermare innanzitutto che Kenneth Branagh dietro la macchina da presa è sempre e comunque un signore. Aiutato da un bel reparto effetti speciali capace di realizzare delle splendide sequenze panoramiche e momenti di pura suspance in mezzo alla neve, quelle belle scene in cui chi (come me) soffre di vertigini rischia di farsi venire un embolo e crepare in mezzo alla sala, lord Branagh confeziona un gioiellino capace di intrattenere innanzitutto gli occhi, assai vivace dal punto di vista delle inquadrature che riescono a dilatare lo spazio ristretto di un treno. La scelta di riprendere le carrozze dall'alto, come se non avessero un soffitto, oppure quella di scomporre l'immagine in tanti prismi illuminati da una calda luce artificiale, piuttosto che l'ennesima citazione di un'opera d'arte sul finale (in Cenerentola c'era Fragonard, qui addirittura Leonardo Da Vinci con L'ultima cena) o i flashback in bianco e nero sono tutti eleganti tocchi di stile che si sommano all'eleganza dei costumi e delle scenografie e rendono Assassinio sull'Orient Express un film di indubbia bellezza "formale". E benché non abbia visto la pellicola in lingua originale mi è sembrato che gli attori fossero tutti molto in parte, soprattutto la splendida Michelle Pfeiffer (la quale mi pare stia vivendo una seconda giovinezza e non posso che esserne felice), e persino Johnny Depp mi è sembrato lontano, per una volta, dalle terrificanti macchiette da lui interpretate negli ultimi tempi. Quindi cos'è che mi ha portata, al termine della visione, a relegare Assassinio sull'Orient Express tra i dimenticabili del 2017?


Il motivo ha un nome e un cognome e non può che essere Kenneth Branagh. Intendiamoci, io andrei a vedere persino una recita parrocchiale se ci fosse coinvolto Kenneth Branagh, però Assassinio sull'Orient Express è già il secondo film di seguito, tra quelli da lui diretti, che mi fa cadere i marroni non tanto per la noia, quanto per la tracotanza che traspare da ogni fotogramma, da ogni singolo pelo di baffo insistentemente messo in primo piano. Poirot non nasce come personaggio simpatico, per carità, però in questa versione è ancora più insopportabile del normale, un mix tra l'investigatore classico e un maestro della deduzione alla Sherlock Holmes (anche dal punto di vista "fisico" visto che riesce a prevedere le mosse del nemico e neutralizzarle come l'Holmes di Guy Ritchie), con la terrificante aggiunta di una passione per gli spiegoni demoralizzanti, filosofici ed aulici: vedere Kenneth Branagh sospirare una mezza dozzina di volte davanti al ritratto dell'amata o perdersi in elucubrazioni sul senso della vita e la natura del male, col faccione preoccupato ad occupare interamente lo schermo del cinema come nemmeno quel bolso di Tom Hanks nel vecchio Il codice Da Vinci visto in prima fila, abbiate pazienza ma mi ha causato un po' di orchite, spezzando il naturale, dinamico andamento della vicenda più volte di quanto non fosse necessario. Per carità, senza questi excursus probabilmente il metraggio del film sarebbe stato ridotto e la trama sarebbe risultata troppo semplice ma sinceramente avrei preferito un po' più di ironia e maggior coesione all'interno delle indagini, talmente prolisse e dispersive da risultare in qualche modo "faticose" da seguire per chi, come me, non era a conoscenza dell'esito finale. E comunque s'è lamentato anche Toto accanto a me quindi se non è piaciuto a lui il film chi sono io per contestare un giudizio ben più affidabile del mio? Che poi, non piaciuto... diciamo che è il solito film senza infamia né lode pompato da un enorme battage pubblicitario che alza le aspettative dello spettatore all'inverosimile per poi deluderle, quindi magari sono stata troppo dura e qualcuno potrebbe invece trovarlo uno dei migliori film dell'anno. Non io, però.


Del regista Kenneth Branagh, che interpreta anche Hercule Poirot, ho già parlato QUI. Penélope Cruz (Pilar Estravados), Johnny Depp (Edward Ratchett), Derek Jacobi (Edward Henry Masterman), Lucy Boynton (Contessa Elena Andrenyi), Marwan Kenzari (Pierre Michel), Michelle Pfeiffer (Caroline Hubbard), Judi Dench (Principessa Dragomiroff), Olivia Colman (Hildegarde Schmidt) e Willem Dafoe (Gerhard Hardman) li trovate invece ai rispettivi link.

Daisy Ridley interpreta Miss Mary Debenham. Inglese, la ricordo per film come Star Wars - Il risveglio della forza e Star Wars - Gli ultimi Jedi. Anche produttrice, ha 25 anni e tre film in uscita.


Josh Gad interpreta Hector MacQueen. Americano, lo ricordo per film come La bella e la bestia; inoltre ha partecipato a serie come E.R. Medici in prima linea e Numb3rs e lavorato come doppiatore per film quali L'era glaciale 4 - Continenti alla deriva, Frozen - Il regno di ghiaccio, Frozen Fever, Frozen - Le avventure di Olaf e serie come American Dad!, The Cleveland Show, Phineas and Ferb e South Park. Anche produttore e sceneggiatore, ha 36 anni e un film in uscita.


Per il ruolo di Caroline Hubbard erano state convocate sia Angelina Jolie che Charlize Theron ma entrambe hanno rinunciato (la Jolie, in verità, pare sia stata estromessa dal progetto a calci in culo a causa delle pretese di riscrivere la parte in base ai propri desideri). Come anticipato nel finale, pare che sia Branagh che la 20th Century Fox siano molto interessati a realizzare un adattamento di Assassinio sul Nilo quindi prepariamoci a more Branagh per il futuro! Nell'attesa, se Assassinio sull'Orient Express vi fosse piaciuto recuperate il film omonimo di Sidney Lumet. ENJOY!

mercoledì 1 novembre 2017

Vittoria e Abdul (2017)

Nonostante l'uscita di Thor: Ragnarok, lunedì ho scelto di andare a vedere Vittoria e Abdul (Victoria and Abdul), diretto dal regista Stephen Frears e tratto dal libro omonimo di Shrabani Basu.


Trama: negli ultimi anni del regno della regina Vittoria, la corte viene sconvolta dall'amicizia tra la sovrana e Abdul, scrivano indiano di religione mussulmana.


Il motivo principale per cui sono andata a vedere Vittoria e Abdul, a parte l'essere una vecchia carampana con una passione per i film in costume ambientati possibilmente nell'Inghilterra vittoriana, è stato la presenza di Judi Dench. Dal trailer, il ritratto della Regina realizzato dall'attrice dava l'idea di una Vittoria imperfetta, anziana, malinconica e disperata oltre che forte e altera e non sono rimasta delusa, per fortuna. L'umanità instillata dall'attrice in un'icona della storia mondiale è sicuramente il merito principale del film, nel corso del quale si arriva a provare un'enorme simpatia nei confronti di Vittoria, persino in barba alla consapevolezza di avere davanti il capo di un impero che ha fatto più danni del colera, soprattutto in India. L'unico timore era quello che mi sarei trovata davanti una storiella zuccherosa a base di amicizie indissolubili e sermoni antirazzisti ma così, fortunatamente, non è stato. Benché inevitabilmente adattata per l'intrattenimento del pubblico e infiocchettata da siparietti anche esilaranti (in un modo tutto british, of course...) la storia raccontata in Vittoria e Abdul conserva uno (s)gradevole tocco di ambiguità interamente imperniato sulla figura di Abdul, diventato in pochi anni indispensabile Mushi, ovvero maestro, dell'anziana regina. Nel film di Frears non viene mai detto apertamente che questo scrivano indiano si sia approfittato di una sovrana magari non più lucidissima, tuttavia Abdul non viene neppure ritratto come un uomo dalla virtù adamantina, anzi: benché i sospetti giungano all'orecchio dello spettatore "dalle labbra" di corte, servitù e primi ministri inviperiti, quindi di parte, non è difficile provare un'istintiva antipatia verso una persona che, nonostante molti suoi compatrioti e seguaci della sua stessa religione si siano ribellati apertamente contro l'impero indiano, sceglie di "servire" la regina nemica arrivando persino a mentire pur di rimanere in Inghilterra. Il compare di sventura di Abdul, Mohammed, da voce alla speranza di vedere cadere le convenzioni e l'intero impero proprio grazie all'influenza del Mushi ma l'idea che mi ha dato quest'ultimo è stata quella di un ottimo affabulatore affatto intenzionato a cambiare lo status quo, anzi, ben deciso a tenersi stretto il suo ruolo di indiano di corte senza chiedere nulla per il suo popolo. D'altronde, da uno che non nomina la moglie perché convinto che l'esistenza di quest'ultima non possa interessare alla regina, e che segue i suoi principi religiosi che vedono le donne inferiori solo quando gli fa comodo, non mi sarei aspettata niente di meglio.


Momento "razzista" a parte, la storia di amicizia viene raccontata ed è comunque profonda e coinvolgente com'è giusto per un film simile. Victoria e Abdul contiene molti momenti commoventi e altri in grado di fare riflettere su cosa significhi rapportarsi al "diverso" da sé senza preconcetti, perché se è vero che l'indiano soffre perché vessato, è anche vero che, più in piccolo, c'è una donna altrettanto sofferente proprio per il suo essere a capo di mezzo mondo, circondata da persone servili e uccisa a poco a poco dalla rigida etichetta di corte; in questo, Abdul, con tutti i suoi difetti, viene a rappresentare per Vittoria non solo un diversivo ma anche la finestra verso un mondo paradossalmente a lei sconosciuto ed incredibilmente ricco di arte, storia, cultura ed insegnamenti. Nel raccontare questa storia Frears non esagera in barocchismi scenografici e non si appoggia a costumi sontuosi se non quando è strettamente necessario (si vedano gli abiti nuovi del Mushi), piuttosto predilige concentrarsi sulle porte chiuse dietro le quali i personaggi origliano e l'immensità di un paio di splendidi paesaggi naturali all'interno dei quali vanno a rifugiarsi Victoria e Abdul per fuggire da tutto ciò che li circonda. L'immagine più bella catturata dal regista è però quella di una Vittoria oppressa da una corona pesantissima, terribilmente vecchia e fragile, al punto che parrebbe quasi dovesse spezzarlesi il collo. Avendo visto il film doppiato sicuramente qualcosa si è perso sia a livello di interpretazione che di traduzione, tuttavia mi è parso che, oltre a Judi Dench, anche il resto del cast fosse all'altezza, per quanto un paio di attori siano costretti a recitare un po' sopra le righe, conferendo ai loro personaggi una sfumatura comica che probabilmente le loro controparti reali non avevano (per esempio Paul Higgins e il suo agitatissimo Dr. Reid) ma che personalmente ho apprezzato. Vero è che Frears ha fatto di meglio, tuttavia Vittoria e Abdul è una pellicola molto interessante che racconta una storia scoperta recentemente e sconosciuta ai più; a voi, ovviamente, decidere come considerarla, se edificante oppure soltanto paracula.


Del regista Stephen Frears ho già parlato QUI. Judi Dench (Regina Vittoria), Michael Gambon (Lord Salisbury), Olivia Williams (Lady Churchill) e Simon Callow (Puccini) li trovate invece ai rispettivi link.

Eddie Izzard interpreta il principe Bertie. Nato in Yemen, ha partecipato a film come L'agente segreto, Velvet Goldmine, L'ombra del vampiro, Blueberry, Ocean's Twelve, My Super Ex-Girlfriend, Ocean's Thirteen e a serie quali I racconti della Cripta e Hannibal; inoltre, ha lavorato come doppiatore per I Simpson e Lego Batman - Il film. Anche produttore e sceneggiatore, ha 55 anni e un film in uscita.


Se Victoria e Abdul vi fosse piaciuto recuperate La mia regina, dove Judi Dench aveva già interpretato la Regina Vittoria. ENJOY!

martedì 20 dicembre 2016

Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali (2016)

Nonostante il boicottaggio del multisala sono riuscita comunque a vedere Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali (Miss Peregrine's Home for Peculiar Children), l'ultimo film di Tim Burton tratto dall'omonima serie di libri scritta da Ransom Riggs. Forse era meglio rispettare il boicottaggio...


Trama: il giovane Jake è cresciuto ascoltando le fantasiose storie del nonno, popolate da bambini dotati di abilità peculiari, riuniti in una scuola gestita da Miss Peregrine, in grado di trasformarsi in falco. Col tempo Jake ha smesso di credere alle storie ma alla morte del nonno intraprende un viaggio per andare a cercare Miss Peregrine e i suoi protetti, minacciati da terribili nemici.


Qualcuno ha ordinato un gran bollito? Occhio a quello che fate perché il cameriere potrebbe portarvi la testa di Tim Burton su un piatto e non necessariamente un piatto d'argento, piuttosto d'ottone, che sappiamo tutti con cosa fa rima. Io ci avevo sperato in un redenzione di Burton, in un allontanamento dalle barracconate degli ultimi anni, da quei cinecomic inutilmente patinati e zeppi di effetti speciali (perché, si sa, lui è "visionario"), in un riavvicinamento a pellicole magari meno grandiose ma un po' più personali come l'ingiustamente disprezzato Big Eyes. E invece. Gli esperimenti a laGGente non piacciono, quindi Burton è tornato alla deliranza aliciana e il risultato è stato un capitolo della saga X-Men ambientato negli anni '40, con la splendida Eva Green nei panni di una Xavier gnocca e capelluta (persino piumata) e un ragazzino che scopre di essere un mutante (no, scusate: "speciale") e incontra tanti piccoli mutant... speciali come lui. Per carità, dai libri di Ransom Riggs non si poteva tirare fuori un capolavoro, sono godibili ma derivativi e durano una settimana nella mente di un lettore, però trarne un mattone da due ore talmente piatto che mi sono addormentata durante la visione perdendomi la comparsata di Rupert Everett era una cosa che avrei detto impossibile. La colpa non è solo di Burton, per carità. Lui fa il regista e pertanto i problemi di sceneggiatura sono imputabili alla solitamente brava Jane Goldman, che stavolta è riuscita nella non facile impresa di privare di fascino un gruppo di bambini peculiari costretti a vivere in un loop temporale, a fare del tormentato e dubbioso Jake un banalissimo eroe pienamente consapevole del suo ruolo in un mondo sconosciuto dopo neppure mezz'ora di pellicola (alla faccia del racconto di formazione...), ad incasinare personaggi che non erano scritti male modificandone personalità e poteri senza apportare migliorie alla trama (davvero, mi spiegate perché Emma e Olive si sono scambiate nomi e poteri? Una ragazza fiammeggiante non sarebbe andata bene come fidanzata del protagonista? A Burton piaceva l'idea di rimettere una bionda accanto all'eroe, come ai tempi di Edward mani di forbice? Sarò limitata ma non capisco, giuro.) per poi aggiungerne altri per il semplice gusto di dare una parte sostanziosa ad attori del calibro di Samuel L. Jackson, a riempire la storia di buchi logico-temporali e a privare i romanzi di Riggs della loro cattiveria inusitata togliendo peraltro anche momenti commoventi (il fratello di Bronwyn schiatta definitivamente e lei non fa una piega? Vabbé.). Complimenti, non avrei potuto far di meglio, davvero. Con una storiella così derivativa, semplificata, freddina e zeppa di WTF cosa poteva fare Burton per salvare la baracca?


Assolutamente niente, ovvio. Come qualsiasi mestierante, Burton si è messo dietro la macchina da presa concentrandosi principalmente sull'effetto spettacolare fine a sé stesso e non dico che la resa dei poteri dei peculiar children non sia ben fatta, soprattutto quando Jake arriva per la prima volta nel rifugio di Miss Peregrine trovandosi davanti un mondo incantato, ma è uno sfoggio di tecnica fredda che mi aspetto da altri registi, non certo da Tim. L'unico momento di palpitazione è stato quando il regista ha scelto di tornare ad utilizzare la stop motion e lì ho cominciato (sbagliando) a nutrire aspettative per il personaggio di Enoch: con un ragazzo capace di infondere vita nelle creature inanimate più assurde e costringerle a battersi in modi crudeli speravo nel compimento di quel weird che già aveva caratterizzato il buon Baffino di Frankenweenie. E invece, again. Dieci minuti di omaggio a Harryhausen con la colonna sonora più sbagliata di sempre, una roba che neppure Uwe Boll probabilmente avrebbe utilizzato in una delle sue ciofeche, e neanche una sequenza memorabile al di fuori di quelle già mostrate nel trailer. Sugli attori, poi, stendiamo un velo pietoso. Eva Green non è criticabile, ovviamente, per carità. Non è colpa sua se Miss Peregrine non fa una cippa tanto nel film quanto nel libro, limitandosi a trattare i pargoli come la sorella mistress di Mary Poppins, quindi la bella Eva si limita semplicemente ad essere gnocca e a godere degli splendidi costumi di Colleen Atwood rendendoci tutti felici. Samuel L. Jackson merita invece schiaffi fortissimi e financo il trattamento riservato al figlio di Bruce Dern in The Hateful Eight perché non esiste che quest'uomo accetti ruoli al limite del demente solo per scopi alimentari: Samuel, la prossima volta che ti becco con gli occhi bianchi e i denti da squalo a fare il malvagio simpaticone nell'ennesimo film per ragazzini sono volétili per diabetici, te lo giuro. Stamp, Butterfield e tutti gli altri coinvolti portano invece a casa il compito dignitosamente, poverelli. Come per la Green, non è colpa loro se i personaggi sono delle macchiette monodimensionali e perlomeno Terence Stamp ci mette tutta la dignità del mondo, riuscendo a conferire al malinconico nonno Abe quel minimo di profondità capace di renderlo simpatico (anche lì, la sceneggiatura sbaglia tempi e modi nel riportare l'invidia di Mr. Portman verso il figlio e l'ovvio risentimento verso un padre che ha preferito cercare le sue chimere invece che vivere in un mondo "reale", struggendosi di dolore per un amore impossibile che qui diventa il peggiore dei teen romance); non a caso, le sequenze più belle del film sono quelle in cui duettano Jake e il nonno, per il resto proprio tanta aria fritta e l'ultimo film di Burton risulta sì "speciale", però nell'accezione utilizzata quando si parla di quei poveri bimbi che a scuola vengono seguiti da un insegnante di sostegno.

L'unica reazione possibile al film...

Del regista Tim Burton (che compare in un cameo al luna park) ho già parlato QUI. Eva Green (Miss Peregrine), Asa Butterfield (Jake), Samuel L. Jackson (Barron), Judi Dench (Miss Avocet), Allison Janney (Dr. Golan), Chris O'Dowd (Franklin Portman) e Terence Stamp (Abraham "Abe" Portman) li trovate invece ai rispettivi link.

Rupert Everett interpreta l'ornitologo. Inglese, lo ricordo per film come Dellamorte Dellamore, La pazzia di re Giorgio, Il matrimonio del mio migliore amico, Shakespeare in Love, Sogno di una notte di mezza estate, Inspector Gadget, Sai che c'è di nuovo?, L'importanza di chiamarsi Ernest, Stardust, inoltre ha partecipato a serie come Black Mirror; come doppiatore ha invece lavorato in Shrek 2, La cronache di Narnia - Il leone, la strega e l'armadio e Shrek terzo. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 57 anni e tre film in uscita.


Ella Purnell interpreta Emma Bloom. Inglese, ha partecipato a film come Non lasciarmi, Intruders, Kick - Ass 2, Maleficent e The Legend of Tarzan. Ha 20 anni e due film in uscita.


La madre di Jake è interpretata da Kim Dickens, ovvero la Madison della serie Fear the Walking Dead. Detto questo, se Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali vi fosse piaciuto, recuperate Alice in Wonderland, Animali fantastici e dove trovarli, Stardust e Il grande e potente Oz. ENJOY!

venerdì 26 luglio 2013

Kevin Spacey Day: The Shipping News - Ombre dal profondo (2001)


Effinalmente è arrivato, l'evento della settimana!! La nascita del roialbébi? Ma no, chissenefrega del bacarospo reale, oggi è il giorno in cui quel bel figueiro di Kevin Spacey (o Kevin Spacey Fowler se vogliamo essere pignoli) compie 54 anni e, nonostante luglio fosse anche il mese di nascita di Stallone, l'ala radical chic del F.I.C.A., alla quale mi pregio di appartenere ohibò, ha decretato di celebrare il bi-oscarato attore del New Jersey invece del tauro zamarro italo-americano, come si evince dal banner di cui sopra. La mia scelta per l'occasione è caduta su The Shipping News - Ombre dal profondo (The Shipping News) un film che avevo visto una volta al cinema e poi mai più, diretto nel 2001 da un regista che, chissà perché, mi piace tanto tanto, ovvero Lasse Hallström. Pronti a fare un tuffo nei ricordi con me? ENJOY!!


Trama: Quoyle è un uomo letteralmente sconfitto dalla vita. Quando la riluttante compagna muore, lasciandolo solo con la figlioletta, decide di lasciare l'insoddisfacente lavoro di tipografo e andare con una vecchia zia nella sua terra natale, un posto freddo, circondato dal mare e pieno di segreti...


Kevin Spacey, non lo nascondo, è uno dei miei attori preferiti e questo The Shipping News proviene da quel periodo in cui il nostro era ancora quotatissimo, soprattutto dopo aver vinto l'Oscar per  I soliti sospetti nel 1996 e American Beauty nel 2000. Quest'ultimo film, in particolare, lo aveva consacrato al ruolo di sfighé vessato da famiglia, figli, lavoro, vita, colleghi, genitori e quant'altro, della serie "la mamma piange e l'universo incombe"... MA in grado anche, in un modo tutto suo, di rendersi affascinante, di dare a intendere che sì, sono uno sfigato ma se voglio, se me ne darete l'occasione, vi sorprenderò e diventerò un figo paura o perlomeno mi farò crescere un paio di palle. Personalmente, sarà che sono donna, davanti a questo trucco ci sono sempre cascata e anche in The Shipping News ho accolto a braccia aperte la sottile trasformazione del personaggio di Spacey, credendoci ciecamente e tifando per il povero Quoyle, talmente disgraziato da portare un nome che è anche un cognome. Senza esagerare, entrando nel cuore dello spettatore con lo sguardo da cocker bastonato e il mezzo sorriso di chi accetta ogni legnata, Kevin infonde a poco a poco nel protagonista della pellicola quell'aura di fiducia, sicurezza e malinconia di chi non sarà mai un supereroe e ne è consapevole, di chi trova la sua dimensione in un piccolo paesino abitato da weirdos, di chi cerca disperatamente il contatto umano in un mondo crudele, di chi ha paura di amare perché è stato ferito e disprezzato da tutti, con quel lato "cattivo" e dispettoso pronto ad emergere ma ben nascosto (e quanto lo sa nascondere bene questo aspetto Kevin...!). Quoyle, sicuramente, non è uno dei personaggi più incisivi interpretati da Spacey, ma la sua aria di uomo comune e non banale, a mio avviso, è una delle più difficili da padroneggiare per un attore.


Al di là della presenza di Spacey, c'è da dire che The Shipping News è anche un bel film. Certo, deve piacere lo "stile Hallström", che prevede la presenza di un mucchio di personaggi strambi, riprese che più classiche non si può, una risoluzione della trama tranquilla e senza scossoni, talvolta avviluppata da un'aura di poetico mistero, insomma un insieme di elementi che danno l'impressione che la pellicola sia fatta quasi di nulla. Una di quelle storie da "vecchine", piacevoli e quasi casalinghe. Per me film come questi sono uno spasso perché gli innumerevoli personaggi secondari sono appena tratteggiati ma anche affidati a grandissimi caratteristi che si ingegnano per renderli credibili ed indimenticabili (qui abbiamo lo storico Pete Postlethwaite, una bella e inedita Cate Blanchett, un giovane e ancora sconosciuto Rhys Ifans, una grandissima Judy Dench e una Julianne Moore stranamente simpatica e brava!)... e poi The Shipping News è permeato da una malinconica atmosfera vagamente kinghiana, perché sull'isola dove va a vivere Quoyle la vita degli uomini è strettamente intrecciata alla natura della terra in cui vivono, con una conseguente e maggiore sensibilità verso gli spiriti, i retaggi del passato, quei piccoli ed orribili segreti che sono parte integrante di una comunità ristretta, tanto quanto gli usi e i costumi. Insomma, oggi sono doppiamente contenta di questo Kevin Spacey Day perché ho potuto rivedere una pellicola che mi era sicuramente piaciuta all'epoca ma che, dopo la marea di altri film visionati in tutti questi anni, mi era praticamente passata di mente, così piccola e delicata com'era. Se sarò riuscita a convincervi a vedere The Shipping News potrò dire di aver fatto un regalo al festeggiato, che è già stato ospite del Bollalmanacco:

L.A. Confidential (1997), dove Kevin interpreta magistralmente uno sbirro corrotto in una Los Angeles noir.

Mezzanotte nel giardino del bene e del male (1997), dove un inedito Kevin in versione gaya da del filo da torcere a un giovanissimo John Cusack.


American Beauty (1999), dove Kevin porta a casa il primo, meritatissimo e finora unico Oscar come miglior attore protagonista con la magistrale interpretazione di un uomo in crisi di mezza età. Capolavoro.

Austin Powers in Goldmember (2002), dove Kevin si permette una meravigliosa comparsata di lusso (e io lo amerei anche solo per questo ruolo)!

L'uomo che fissa le capre (2009), un film moscio dove Kevin incarna il lato oscuro della forza militare.

Come ammazzare il capo... e vivere felici (2011), simpaticissima commedia dove Kevin è forse il capo più bastardo ed odioso tra quelli descritti.

Ed ecco, ovviamente, gli irrinunciabili link alle recensioni dei Merry Men che hanno preso parte a questa celebrazione! ENJOY!!

50/50 Thriller
Cinquecentofilminsieme
Combinazione casuale
Cooking Movies
Director's Cult
Ho voglia di cinema
In Central Perk
Montecristo
Pensieri Cannibali
Scrivenny
Triccotraccofobia
Viaggiando (meno)
White Russian Cinema

domenica 8 gennaio 2012

J. Edgar (2011)

Ieri sera ho inaugurato l'anno nuovo cinematografico con J. Edgar, l'ultima pellicola del regista Clint Eastwood. Ammetto che tutto (o quasi) mi sarei aspettata meno quel che ho visto e di essere rimasta positivamente spiazzata dal film.


Trama: il film racconta la storia dell'FBI dal parzialissimo punto di vista del suo fondatore, J. Edgar Hoover. Veniamo così a conoscenza anche di alcuni particolari della sua vita, indissolubilmente legata al lavoro e al potere...


Come ho detto, sono rimasta spiazzata. Adoro la storia americana, soprattutto quella moderna, quindi il film mi ha intrigata e mi è piaciuto, ma tutto mi sarei aspettata tranne una rivisitazione "rosa" (si può dire rosa o è meglio dire arcobaleno?) della vita di quello che immaginavo essere uno degli uomini più duri e tutti d'un pezzo della storia USA. E invece, per citare la meravigliosa Judi Dench, Eastwood mi viene a dire che il buon J.Edgar era nientemeno che.. gerbera. Un povero ometto vessato da mmadree, pieno di insicurezze e fisime, impossibilitato a trovare una moglie o una fidanzata in quanto inesorabilmente gay. A. Giuro che un simile twist nella trama non lo avrei mai previsto nemmeno in cent'anni, ma se dicessi che il film, dopo tale rivelazione, diventa una baracconata, direi il falso. Il bravo Clint, invece, riesce a mescolare fatti storici e "arricchimenti" della trama senza scadere nel trash o nel patetico.


Ovvio, J. Edgar non è un film facile. Innanzitutto per la scelta del protagonista, sicuramente non un uomo simpatico o dalle scelte condivisibili. Hoover è riuscito a creare quella che è diventata universalmente conosciuta come l'istituzione più rappresentativa della giustizia USA e anche la più controversa ed Eastwood ce lo presenta come un uomo dalle idee fondamentalmente giuste che però, per metterle in pratica, ha scelto metodi assai discutibili e slegati dalle leggi, arrivando ad agire più per il proprio interesse personale che per quello della tanto amata nazione. Assistiamo così alle "scene", è proprio il caso di dirlo, di un ometto insicuro, assetato di successo e di potere per colpa di una madre fredda che per lui, fin dall'infanzia, non ha mai voluto altro che un futuro di grandezza assoluta senza mai apprezzarlo fino in fondo (e che molto probabilmente ha ridotto il marito al vegetale che vediamo all'inizio); un uomo talmente assorbito dal suo lavoro da essere incapace di distinguere gli amici dai nemici (o meglio i collaboratori fidati da quelli che gli rovinerebbero la carriera, visto che amici non ne ha mai avuti...), costretto quindi ad affidarsi a due singole persone che, nel film, costituiscono gli altri due punti di vista attraverso i quali leggere la vicenda; un uomo che, in definitiva, era partito col piede giusto ed è stato seppellito dai suoi stessi errori, diventando quello che aveva sempre cercato di debellare: un criminale inconsapevole di esserlo, volutamente o meno.


I due "poli" positivi della vicenda, che fungono in qualche modo da coscienza per il protagonista, sono la storica segretaria Miss Gandy e il braccio destro (nonché amante) Clyde Tolson. La prima incarna il rifiuto di una femminilità "classica" ed è colei che, consacrandosi interamente al lavoro, diventerà la collaboratrice più stretta di Hoover, pur rimanendo nell'ombra come segretaria. Come si dice, "dietro un grande uomo c'è una grande donna" e Miss Gandy nel film diventa l'impassibile esecutrice degli ordini del suo capo, colei senza la quale l'organizzazione perfetta dell'FBI crollerebbe e colei che riesce a salvare la reputazione di Edgar anche dopo la morte, quando il viscido Nixon crede di avere via libera per impossessarsi dei "fascicoli" con i quali Hoover era riuscito a tenere in pugno tutti i presidenti USA per 40 anni. Clyde, invece, è la parte "femminile" del film, un compagno silenzioso che con mano gentile guiderebbe ed accetterebbe le scelte di Hoover. E' colui che, nel corso della pellicola, lo mette di fronte alle conseguenze delle sue scelte, lo porta a vergognarsi del suo carattere e della sua gretta sete di potere, lo sopporta e lo sostiene come la madre non ha mai fatto... e lo porta ad ammettere, almeno in privato, la sua omosessualità. Le scene tra i due sono le più forti ed emotivamente spiazzanti del film ma, come ho detto, il regista e gli interpreti riescono a renderle delicate, verosimili e per nulla trash.


La messinscena e gli attori sono quindi elementi essenziali per la bellezza del film. Eastwood ci accompagna nella Storia Americana intrecciando un presente in cui Hoover, ormai vecchio, racconta a diversi giovani incaricati di batterla a macchina la SUA versione dei fatti, ad un passato fatto di flashback privi di continuità, che mostrano come tanti pezzi di un complesso puzzle la vita del protagonista ed i momenti chiave della sua carriera. Il regista unisce ricostruzioni certosine di arresti, indagini ed eventi realmente accaduti a sequenze emblematiche che ne palesano anche l'amore per il cinema, come l'incontro di Hoover con Shirley Temple, il dialogo assai rivelatorio con Ginger Rogers e la madre (nel quale il protagonista rifiuta di ballare con le due donne in presenza di Clyde, con conseguente crollo psicologico una volta arrivato a casa) o i due momenti in cui vengono mostrati i film con James Cagney al cinema, prima inneggianti ai malviventi e poi all'FBI. Personalmente, ho trovato deliziosa ed essenziale alla comprensione dell'intero film la scena finale, dove Clyde trova il flaccido corpo di Hoover ormai senza vita e, come prima cosa, lo copre con una coperta, proprio per impedire che i soccorsi testimonino la debolezza di un uomo ormai vecchio e malato.


Quanto agli interpreti, Di Caprio meriterebbe l'Oscar. Leo, finalmente la nostra faida personale è finita, ti riconosco come attore degno di stima davanti a tutto il web. Certo, vorrei capire perché il tuo trucco "da vecchio" è praticamente perfetto mentre quello del povero Armie Hammer è talmente brutto da richiamare quello di Ruggero ne I soliti idioti, ma il momento in cui, come un novello Bateman, ti inginocchi affranto dal dolore col vestito di mmadree addosso mi ha messo i brividi, lo ammetto. Bravissimi anche tutti i comprimari: da Judi Dench, qui fredda come il ghiaccio e stronza come poche, me lo aspettavo, e anche l'irriconoscibile Naomi Watts è praticamente perfetta, ma ogni altro attore interpreta con maestria il proprio personaggio, anche quelli che compaiono solo per poche sequenze. Insomma, dopo il deludente (a costo di beccarmi una bastonata da Mr Ford!) Hereafter, Eastwood è tornato a regalarci grande cinema. Non ai livelli di Mystic River, quello è insuperabile come il tonno, ma comunque un bellissimo film, degno di cominciare il 2012!


Del regista Clint Eastwood ho già parlato qui. Leonardo di Caprio, ovviamente nei panni di J. Edgar Hoover, lo trovate invece qua.

Judi Dench (vero nome Judith Olivia Dench) interpreta Anna Marie Hoover. Sicuramente una delle migliori attrici inglesi, la ricordo per film come Hamlet, Shakespeare in Love (con il quale ha vinto l'Oscar come migliore attrice non protagonista), Un té con Mussolini, Chocolat, The Shipping News - Ombre dal passato e Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare. Ha inoltre partecipato al doppiaggio di Mucche alla riscossa. Anche regista, ha 77 anni e tre film in uscita.


Naomi Watts interpreta Miss Gandy. Anche lei inglese, anche lei una delle mie attrici preferite, la ricordo per film come Mulholland Drive, The Ring, The Ring 2, King Kong e Funny Games U.S. Anche lei è stata condannata a recitare nella soap australiana Home and Away. Anche produttrice, ha 43 anni e cinque film in uscita.


Armie Hammer interpreta Clyde. Americano, ha partecipato a film come The Social Network e a serie come Veronica Mars e Desperate Housewives. Ha 25 anni e cinque film in uscita, tra cui il Biancaneve di Tarsem, dove interpreterà il Principe.


Dermot Mulroney interpreta il Colonnello Schwarzkopf. Americano, lo ricordo per film come Il matrimonio del mio migliore amico, A proposito di Schmidt, Zodiac e Burn After Reading, inoltre ha partecipato alle serie Saranno famosi e Friends. Anche produttore, regista e stuntman, ha 48 anni e tre film in uscita.


Josh Lucas (vero nome Joshua Lucas Easy Dent Maurer) interpreta Charles Lindbergh. Americano, ha partecipato a film come Alive - Sopravvissuti, L'occhio del male, American Psycho, Il mistero dell'acqua, Hulk e ad un episodio della serie L'ispettore Tibbs. Anche produttore, ha 40 anni e tre film in uscita.


L'attore Jeoff Pierson, che interpreta all'inizio Mitchell Palmer, era il disastratissimo padre che parlava nello scantinato col coniglio nella esilarante serie ... e vissero infelici per sempre. I miei complimenti vanno poi alla "saggezza" di Charlize Theron, che ha declinato il ruolo di Miss Gandy per poter fare la strega nell'imminente Biancaneve con Kristen Stewart (ughh!!). Al di là di queste scelte non condivisibili, tenete d'occhio J. Edgar perché l'interpretazione di Di Caprio è già candidata ad un Golden Globe. Chissà cosa succederà la notte degli Oscar. Nell'attesa di saperlo, andate a vedere il film al cinema e... ENJOY!!!

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