Nonostante il trailer non mi avesse detto granché, ho comunque recuperato Che fine ha fatto Bernadette? (Where'd You Go, Bernadette?), diretto e co-sceneggiato dal regista Richard Linklater partendo dal romanzo omonimo di Maria Semple.
Trama: Bernadette, moglie, madre ed ex architetto in profonda crisi creativa, deve affrontare la sua condizione di reclusa volontaria e far ripartire la sua vita...
Come ho scritto sopra, il trailer di Che fine ha fatto Bernadette? non mi aveva invogliata molto, ma siccome Cate Blanchett ha ricevuto una nomination ai Golden Globe ed è un'attrice che solitamente adoro veder recitare, ho deciso di dare comunque una chance al film. Non me ne sono pentita, perché Che fine ha fatto Bernadette? non è per nulla malvagio, tuttavia è una di quelle opere che, per funzionare e diventare indimenticabile, avrebbe dovuto finire tra le mani di Wes Anderson, non di un Linklater in versione anonima. I personaggi, infatti, hanno tutte le caratteristiche tanto amate dal regista di Houston, soprattutto quello principale: Bernadette è un architetto geniale, vive in un ex collegio cattolico femminile che sta cadendo in rovina, è piena di tic e fobie che le impediscono di avere una vita normale, detesta la gente ma ha una figlia che la adora, è piagata da un passato di frustrazione professionale che non riesce a superare. Basterebbe questo a farla diventare un membro onorario de I Tenenbaum, per dire, e non è meno atipico il metodo scelto per riprendere tra le mani le redini della sua vita, ovvero una fuga in Antartide, probabilmente il luogo meno ospitale del mondo. Eppure, con tutto questo, parrebbe quasi di guardare un film perfetto per i pomeriggi di Canale 5 o Rete 4, con l'unica differenza che sì, Cate Blanchett è davvero brava e si è palesemente divertita un mondo a interpretare la "strana" Bernadette, riuscendo allo stesso tempo a conferire una dimensione umana a un personaggio con il quale è difficile relazionarsi al 100%, come dimostra il marito ormai incerto sulla natura della donna che ha sposato.
Il problema di fondo di Che fine ha fatto Bernadette, comunque, è proprio questo: il divertimento. La malattia di Bernadette non è così sciocca e banale: parliamo di una donna che ha vissuto per anni una carriera frenetica all'apice del successo e che ha finito per svuotarsi, per rinnegare il suo lato creativo diventando così una persona prona alla depressione e incapace di relazionarsi con altri che non siano la sua paziente, giovane figlia. La questione della malattia mentale viene trattata invece come un gioco, un plot device facile da superare con una fuga rocambolesca e un'ancor più rocambolesca arrampicata verso la libertà e il ritorno della creatività a lungo rifiutata. Il dramma umano di Bernadette rischia di passare completamente inosservato, sviscerato com'è in 5 minuti di monologo davanti a un attonito Laurence Fishburne oppure confidato dal marito a una psichiatra che si perde nel mucchio di guest star, e quello che rimane di Che fine ha fatto Bernadette? è semplicemente l'idea di una simpatica, eccentrica matta con qualche problemino di comunicazione e tutti i soldi che vuole per risolverli nel modo più atipico possibile, abbracciando un happy ending scontato che consolerà tutta la famiglia (per dire, nel romanzo si parla di una relazione tra il marito di Bernadette e la sua assistente, cosa che nel film è completamente assente, e il finale mi pare abbastanza "sospeso"). E' vero, le tragedie e la serietà a tutti i costi non sempre pagano, soprattutto in questi tempi così pessimisti, ma lo stesso vale per la volontà di essere leggerini a sproposito; non ho letto il romanzo di Maria Semple e magari poi il tono dell'opera cartacea è simile a quello del film, ma riguardo a quest'ultimo devo ammettere che l'avrei preferito un po' meno confuso sul registro da utilizzare, con buona pace di una Blanchett comunque bravissima.
Del regista e co-sceneggiatore Richard Linklater ho già parlato QUI. Kristen Wiig (Audrey), Cate Blanchett (Bernadette Fox), Billy Cudrup (Elgie Branch), Judy Greer (Dr. Kurtz), Laurence Fishburne (Paul Jellinek), Megan Mullally (Judy Toll) e Steve Zahn (David Walker) li trovate invece ai rispettivi link.
Visualizzazione post con etichetta laurence fishbourne. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta laurence fishbourne. Mostra tutti i post
martedì 17 dicembre 2019
martedì 21 maggio 2019
John Wick 3 - Parabellum (2019)
Per uscire da una settimana a dir poco devastante, non c'è nulla di meglio dello staccare il cervello e, per ottenere il migliore dei risultati, John Wick 3 - Parabellum (John Wick: Chapter 3 - Parabellum), diretto dal regista Chad Stahelski, è semplicemente perfetto.
Trama: dopo essere stato scomunicato, John Wick deve cercare di sopravvivere mentre tutti i killer del mondo gli danno la caccia.
Avevamo lasciato John Wick con una taglia di 14 milioni di dollari sulla testa, il bisogno di portare via le suole da New York il prima possibile, la perdita di tutti i privilegi legati al rispetto delle regole de La Tavola e con un cagnusso nuovo. Lo ritroviamo più o meno nelle stesse condizioni nel terzo capitolo di quella che si preannuncia una quadrilogia, nonché una delle zamarrate più sfacciate dopo Sharknado, a differenza del quale, per lo meno, John Wick mantiene un minimo di dignità a livello di regia, coreografie marziali ed interpreti. Non a livello di sceneggiatura, ci mancherebbe: in cinque non sono riusciti a tirare fuori qualcosa di sensato, ché se già i primi John Wick erano scritti sulla lista della spesa, questo sta direttamente su uno scontrino e ogni twist della trama (che a un certo punto, detto proprio onestamente, fa fare "cose" a John Wick senza un motivo plausibile, leggasi la parentesi nel deserto) è finalizzato a raggiungere un obiettivo e uno soltanto: che il protagonista dia e prenda quante più mazzate possibili, stavolta anche troppe. Qui e là, furbamente, vengono gettati i semi per un altro capitolo della saga e probabilmente anche di un prequel, perché l'unica cosa davvero furba, per quanto scorretta, del franchise, è quello di mostrare allo spettatore dei rapidissimi flash di personaggi o organizzazioni che sarebbero molto più interessanti del protagonista, se solo venissero approfonditi: è il caso della benedetta Tavola, della miriade di Hotel Continental sparsi per il mondo, dell'organizzazione gestita da Anjelica Huston, persino di Halle Berry, che compare in una delle sequenze più divertenti dell'intero film. Insomma, John Wick "affama" in particolari e, così facendo, spinge il pubblico idiota, io per prima, a volerne di più.
Ciò che non viene lesinato, come ho scritto sopra, sono le botte. Lamentavo nel capitolo secondo una certa qual ripetitività nello schema di lotta del nostro, sintetizzabile in "atterro l'avversario e poi headshot"; anche in Parabellum i nemici muoiono malissimo, vittime al 90% di headshot doppi (si fa pour parler, ovvio, ché aspettarsi la coerenza in questo genere di film non ha senso, ma a che pro finire perennemente gli avversari con colpi alla testa sparati a bruciapelo quando già il colpo al cuore/stomaco precedente dovrebbe decretarne la morte certa?), ma perlomeno ci sono interessanti scambi all'arma bianca, vengono utilizzati mordaci e velocissimi cagnolini e persino un tomo antico, veicolo della morte più esilarante dell'intero film, e nonostante alcuni combattimenti vengano tirati anche troppo per le lunghe diventando un mero sfoggio di tecnica coreografica (vedi quello con Yayan Ruhian), di sicuro la sete di sana, vecchia ultraviolenza viene soddisfatta persino a fronte di una stranissima mancanza di sangue. Certo, bisogna rendersi conto che Parabellum, forse ancor più dei suoi predecessori, è soltanto un insieme di scontri portati avanti all'interno di splendide e dettagliatissime scenografie create ad hoc per non annoiare l'occhio dello spettatore, attaccati tra loro con uno sputo di "trama" (o si parla di pretesti narrativi?), tuttavia è palese che gli attori coinvolti si siano tutti divertiti e non vedano l'ora di passare una quarta volta a battere cassa. Io, neanche a dirlo, aspetto il quarto capitolo con trepidazione, sperando che torni, anche stavolta, l'elegantissimo Ian McShane... e che venga affiancato dalla ottima Asia Kate Dillon, vera rivelazione del film!!
Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUI. Keanu Reeves (John Wick), Halle Berry (Sofia), Ian McShane (Winston), Laurence Fishburne (Bowery King), Mark Dacascos (Zero), Lance Reddick (Charon), Anjelica Huston (Il direttore) e Yayan Ruhian (Shinobi 2) li trovate invece ai rispettivi link.
Said Taghmaoui interpreta l'Anziano. Francese, ha partecipato a film come L'odio, Three Kings, American Hustle - L'apparenza inganna, Wonder Woman e a serie come Lost. Ha 45 anni e un film in uscita.
Jerome Flynn, il Bronn de Il trono di spade, interpreta Berrada. Nell'attesa che StarZ dia il via alle riprese della serie Continental che, ahinoi, non vedrà la presenza di Ian McShane e di sapere se davvero nel 2021 uscirà John Wick 4, se John Wick 3 - Parabellum vi fosse piaciuto recuperate John Wick e John Wick 2. ENJOY!
Trama: dopo essere stato scomunicato, John Wick deve cercare di sopravvivere mentre tutti i killer del mondo gli danno la caccia.
Avevamo lasciato John Wick con una taglia di 14 milioni di dollari sulla testa, il bisogno di portare via le suole da New York il prima possibile, la perdita di tutti i privilegi legati al rispetto delle regole de La Tavola e con un cagnusso nuovo. Lo ritroviamo più o meno nelle stesse condizioni nel terzo capitolo di quella che si preannuncia una quadrilogia, nonché una delle zamarrate più sfacciate dopo Sharknado, a differenza del quale, per lo meno, John Wick mantiene un minimo di dignità a livello di regia, coreografie marziali ed interpreti. Non a livello di sceneggiatura, ci mancherebbe: in cinque non sono riusciti a tirare fuori qualcosa di sensato, ché se già i primi John Wick erano scritti sulla lista della spesa, questo sta direttamente su uno scontrino e ogni twist della trama (che a un certo punto, detto proprio onestamente, fa fare "cose" a John Wick senza un motivo plausibile, leggasi la parentesi nel deserto) è finalizzato a raggiungere un obiettivo e uno soltanto: che il protagonista dia e prenda quante più mazzate possibili, stavolta anche troppe. Qui e là, furbamente, vengono gettati i semi per un altro capitolo della saga e probabilmente anche di un prequel, perché l'unica cosa davvero furba, per quanto scorretta, del franchise, è quello di mostrare allo spettatore dei rapidissimi flash di personaggi o organizzazioni che sarebbero molto più interessanti del protagonista, se solo venissero approfonditi: è il caso della benedetta Tavola, della miriade di Hotel Continental sparsi per il mondo, dell'organizzazione gestita da Anjelica Huston, persino di Halle Berry, che compare in una delle sequenze più divertenti dell'intero film. Insomma, John Wick "affama" in particolari e, così facendo, spinge il pubblico idiota, io per prima, a volerne di più.
Ciò che non viene lesinato, come ho scritto sopra, sono le botte. Lamentavo nel capitolo secondo una certa qual ripetitività nello schema di lotta del nostro, sintetizzabile in "atterro l'avversario e poi headshot"; anche in Parabellum i nemici muoiono malissimo, vittime al 90% di headshot doppi (si fa pour parler, ovvio, ché aspettarsi la coerenza in questo genere di film non ha senso, ma a che pro finire perennemente gli avversari con colpi alla testa sparati a bruciapelo quando già il colpo al cuore/stomaco precedente dovrebbe decretarne la morte certa?), ma perlomeno ci sono interessanti scambi all'arma bianca, vengono utilizzati mordaci e velocissimi cagnolini e persino un tomo antico, veicolo della morte più esilarante dell'intero film, e nonostante alcuni combattimenti vengano tirati anche troppo per le lunghe diventando un mero sfoggio di tecnica coreografica (vedi quello con Yayan Ruhian), di sicuro la sete di sana, vecchia ultraviolenza viene soddisfatta persino a fronte di una stranissima mancanza di sangue. Certo, bisogna rendersi conto che Parabellum, forse ancor più dei suoi predecessori, è soltanto un insieme di scontri portati avanti all'interno di splendide e dettagliatissime scenografie create ad hoc per non annoiare l'occhio dello spettatore, attaccati tra loro con uno sputo di "trama" (o si parla di pretesti narrativi?), tuttavia è palese che gli attori coinvolti si siano tutti divertiti e non vedano l'ora di passare una quarta volta a battere cassa. Io, neanche a dirlo, aspetto il quarto capitolo con trepidazione, sperando che torni, anche stavolta, l'elegantissimo Ian McShane... e che venga affiancato dalla ottima Asia Kate Dillon, vera rivelazione del film!!
Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUI. Keanu Reeves (John Wick), Halle Berry (Sofia), Ian McShane (Winston), Laurence Fishburne (Bowery King), Mark Dacascos (Zero), Lance Reddick (Charon), Anjelica Huston (Il direttore) e Yayan Ruhian (Shinobi 2) li trovate invece ai rispettivi link.
Said Taghmaoui interpreta l'Anziano. Francese, ha partecipato a film come L'odio, Three Kings, American Hustle - L'apparenza inganna, Wonder Woman e a serie come Lost. Ha 45 anni e un film in uscita.
Jerome Flynn, il Bronn de Il trono di spade, interpreta Berrada. Nell'attesa che StarZ dia il via alle riprese della serie Continental che, ahinoi, non vedrà la presenza di Ian McShane e di sapere se davvero nel 2021 uscirà John Wick 4, se John Wick 3 - Parabellum vi fosse piaciuto recuperate John Wick e John Wick 2. ENJOY!
martedì 12 febbraio 2019
Il corriere - The Mule (2018)
Avrei voluto recuperare Il primo re ma a Savona, quando salti la prima settimana di programmazione, sei letteralmente foutu e ti ritrovi a dover andare al cinema ad orari improponibili. A salvarmi la domenica cinefila ci hanno pensato però Clint Eastwood e il suo Il corriere - The Mule (The Mule).
Trama: Earl, floricoltore novantenne, si ritrova in gravi ristrettezze economiche e, anche un po' per gioco, accetta la proposta di fare da corriere per un cartello messicano, diventando presto uno dei "dipendenti" più quotati.
Ammetto di non essere molto esperta del cinema di Clint Eastwood ma da lui tutto mi sarei aspettata tranne la "leggerezza" che permea Il corriere nel corso del primo tempo. Leggerezza senza superficialità, si badi bene, ché il grande vecchio del cinema americano ci mette di fronte a un mezzo road movie dolceamaro filtrato dagli occhi di un novantenne pronto a recuperare tutte le mancanze nei confronti della famiglia attraverso una ca**ata ancora più grande e, così facendo, ci spinge a riflettere sul modo in cui spesso sprechiamo il tempo che ci viene concesso. Protagonista di questa storia vera (basata sull'articolo del New York Times "The Sinaloa Cartel's 90-Year Old Drug Mule") è Earl, anziano coltivatore di Emerocallidi caduto in disgrazia dopo un'esistenza passata a concentrarsi solo sul proprio lavoro, al punto da dimenticarsi ricorrenze importanti come il matrimonio della figlia. Aperta parentesi sui day lily coltivati da Earl. Il fatto che questi gigli siano stati scelti come oggetto della passione del protagonista, a mio avviso, ha un senso, perché dicono molto della personalità di Earl, uomo convinto che tutto possa rigenerarsi e rimanere lì, immobile e perenne, ad aspettarlo; assai simili, per ciclo vitale, alle Belle di notte, i fiori delle Emerocallidi durano solo un giorno e vengono rimpiazzati subito da altri sullo stesso stelo, quindi virtualmente non smettono mai di essere splendidi. Non così, ovviamente, per la vita di Earl, uomo che della noncuranza e della perdita di tempo ha fatto un vanto, tanto da accettare con leggerezza il fatto di poter fungere da corriere della droga in virtù della sua esperienza e del suo innegabile fascino, che porta persino i narcos a chiudere un occhio sulle sue stramberie o i suoi strappi alla regola. Persona fondamentalmente di buon cuore (persino il suo razzismo e la sua ignoranza sono talmente ingenui da non causare neppure scandalo), il vegliardo accetta il lavoro di corriere per procurarsi soldi destinati ad altri, al matrimonio della nipote o al circolo dei reduci, poi ovviamente si ritrova sempre più invischiato in un mondo da cui è impossibile uscire ed è lì che qualcosa "scatta", sia nel personaggio che nel film. Il lavoro, di qualunque genere, si priva di fascino davanti alla prospettiva concreta di perdere definitivamente ciò che di importante c'è nella vita, davanti alla consapevolezza che ciò che va non torna più, a differenza dei fiori perenni, e capirlo a novant'anni, quando il tempo è ormai agli sgoccioli, è qualcosa di talmente doloroso da spezzare il cuore. Il viaggio verso la consapevolezza di Earl è il fulcro de Il corriere. Il resto, gli agenti della DEA in crisi, la lotta interna al cartello, l'aspetto "crime" della pellicola, è tutto mero contorno alla figura fragile e granitica di Clint Eastwood.
Sarà questa l'ultima performance del "texano dagli occhi di ghiaccio"? Non lo so ma, a prescindere, è una bellissima performance, sia dietro che davanti la macchina da presa. Clint Eastwood, nonostante siano passati anni dalla sua ultima prova di attore, non si nasconde dagli anni impietosi che passano, mette al servizio del film la sua figura esile, un passo strascicato, la debolezza di carni flaccide e segnate dal tempo, un sorriso che indubbiamente, pur non essendo più quello ammaliante di un tempo, non passa inosservato, capelli radi, una voce arrochita e stonata (ma oh, quanto accattivante!) e un po' di demenza senile a completare il quadro. Talvolta non gli si perdona, diciamolo pure, scivoloni da anziani, quelle inquadrature lascive su chiappe mulatte e ben tornite, momenti di umorismo forse eccessivo e altrettanto eccessivo melò, benché a un certo punto mi sia ritrovata piangere lacrime copiose per una delle morti più realistiche e naturalmente inevitabili viste sullo schermo. Eppure, sul finale, con quel sole che gli colpisce il volto insanguinato e tumefatto, quella smorfia amarissima di chi ormai non ha più nulla da perdere, avrei pensato che Bradley Cooper sarebbe stato colpito da una pallottola sparata a freddo dall'ultimo grande pistolero di Hollywood, un vecchio che avrà anche perso tutto ma non la dignità di andarsene nel modo a lui più consono, un regista e un attore capace di tirare ancora delle belle zampate e fare emozionare con questa improbabilissima storia vera. Da sottolineare anche la presenza di attori assai validi ad accompagnare Eastwood nel percorso, soprattutto per quel che riguarda le "quote rosa", sostenute da una dolcissima Taissa Farmiga, da una rediviva Dianne Wiest e da una delle tante figlie di Clint Eastwood, la bionda Iris, che chissà non abbia insinuato un che di autobiografico nell'odio del personaggio verso il papà. E con questa bassissima insinuazione chiuderei, consigliando di dare ancora una chance a questo quasi novantenne sempre arzillo e mai banale.
Del regista Clint Eastwood, che interpreta Earl Stone, ho già parlato QUI. Bradley Cooper (Colin Bates), Michael Peña (Trevino), Taissa Farmiga (Ginny), Andy Garcia (Laton), Laurence Fishburne (Agente Speciale DEA), Dianne Wiest (Mary) e Clifton Collins Jr. (Gustavo) li trovate invece ai rispettivi link.
Trama: Earl, floricoltore novantenne, si ritrova in gravi ristrettezze economiche e, anche un po' per gioco, accetta la proposta di fare da corriere per un cartello messicano, diventando presto uno dei "dipendenti" più quotati.
Ammetto di non essere molto esperta del cinema di Clint Eastwood ma da lui tutto mi sarei aspettata tranne la "leggerezza" che permea Il corriere nel corso del primo tempo. Leggerezza senza superficialità, si badi bene, ché il grande vecchio del cinema americano ci mette di fronte a un mezzo road movie dolceamaro filtrato dagli occhi di un novantenne pronto a recuperare tutte le mancanze nei confronti della famiglia attraverso una ca**ata ancora più grande e, così facendo, ci spinge a riflettere sul modo in cui spesso sprechiamo il tempo che ci viene concesso. Protagonista di questa storia vera (basata sull'articolo del New York Times "The Sinaloa Cartel's 90-Year Old Drug Mule") è Earl, anziano coltivatore di Emerocallidi caduto in disgrazia dopo un'esistenza passata a concentrarsi solo sul proprio lavoro, al punto da dimenticarsi ricorrenze importanti come il matrimonio della figlia. Aperta parentesi sui day lily coltivati da Earl. Il fatto che questi gigli siano stati scelti come oggetto della passione del protagonista, a mio avviso, ha un senso, perché dicono molto della personalità di Earl, uomo convinto che tutto possa rigenerarsi e rimanere lì, immobile e perenne, ad aspettarlo; assai simili, per ciclo vitale, alle Belle di notte, i fiori delle Emerocallidi durano solo un giorno e vengono rimpiazzati subito da altri sullo stesso stelo, quindi virtualmente non smettono mai di essere splendidi. Non così, ovviamente, per la vita di Earl, uomo che della noncuranza e della perdita di tempo ha fatto un vanto, tanto da accettare con leggerezza il fatto di poter fungere da corriere della droga in virtù della sua esperienza e del suo innegabile fascino, che porta persino i narcos a chiudere un occhio sulle sue stramberie o i suoi strappi alla regola. Persona fondamentalmente di buon cuore (persino il suo razzismo e la sua ignoranza sono talmente ingenui da non causare neppure scandalo), il vegliardo accetta il lavoro di corriere per procurarsi soldi destinati ad altri, al matrimonio della nipote o al circolo dei reduci, poi ovviamente si ritrova sempre più invischiato in un mondo da cui è impossibile uscire ed è lì che qualcosa "scatta", sia nel personaggio che nel film. Il lavoro, di qualunque genere, si priva di fascino davanti alla prospettiva concreta di perdere definitivamente ciò che di importante c'è nella vita, davanti alla consapevolezza che ciò che va non torna più, a differenza dei fiori perenni, e capirlo a novant'anni, quando il tempo è ormai agli sgoccioli, è qualcosa di talmente doloroso da spezzare il cuore. Il viaggio verso la consapevolezza di Earl è il fulcro de Il corriere. Il resto, gli agenti della DEA in crisi, la lotta interna al cartello, l'aspetto "crime" della pellicola, è tutto mero contorno alla figura fragile e granitica di Clint Eastwood.
Sarà questa l'ultima performance del "texano dagli occhi di ghiaccio"? Non lo so ma, a prescindere, è una bellissima performance, sia dietro che davanti la macchina da presa. Clint Eastwood, nonostante siano passati anni dalla sua ultima prova di attore, non si nasconde dagli anni impietosi che passano, mette al servizio del film la sua figura esile, un passo strascicato, la debolezza di carni flaccide e segnate dal tempo, un sorriso che indubbiamente, pur non essendo più quello ammaliante di un tempo, non passa inosservato, capelli radi, una voce arrochita e stonata (ma oh, quanto accattivante!) e un po' di demenza senile a completare il quadro. Talvolta non gli si perdona, diciamolo pure, scivoloni da anziani, quelle inquadrature lascive su chiappe mulatte e ben tornite, momenti di umorismo forse eccessivo e altrettanto eccessivo melò, benché a un certo punto mi sia ritrovata piangere lacrime copiose per una delle morti più realistiche e naturalmente inevitabili viste sullo schermo. Eppure, sul finale, con quel sole che gli colpisce il volto insanguinato e tumefatto, quella smorfia amarissima di chi ormai non ha più nulla da perdere, avrei pensato che Bradley Cooper sarebbe stato colpito da una pallottola sparata a freddo dall'ultimo grande pistolero di Hollywood, un vecchio che avrà anche perso tutto ma non la dignità di andarsene nel modo a lui più consono, un regista e un attore capace di tirare ancora delle belle zampate e fare emozionare con questa improbabilissima storia vera. Da sottolineare anche la presenza di attori assai validi ad accompagnare Eastwood nel percorso, soprattutto per quel che riguarda le "quote rosa", sostenute da una dolcissima Taissa Farmiga, da una rediviva Dianne Wiest e da una delle tante figlie di Clint Eastwood, la bionda Iris, che chissà non abbia insinuato un che di autobiografico nell'odio del personaggio verso il papà. E con questa bassissima insinuazione chiuderei, consigliando di dare ancora una chance a questo quasi novantenne sempre arzillo e mai banale.
Del regista Clint Eastwood, che interpreta Earl Stone, ho già parlato QUI. Bradley Cooper (Colin Bates), Michael Peña (Trevino), Taissa Farmiga (Ginny), Andy Garcia (Laton), Laurence Fishburne (Agente Speciale DEA), Dianne Wiest (Mary) e Clifton Collins Jr. (Gustavo) li trovate invece ai rispettivi link.
martedì 28 agosto 2018
Ant-Man and the Wasp (2018)
Tornata dalla splendida Scozia ho trovato aperto il Multisala di Savona e, pur poco convinta, per rimettermi in carreggiata ho deciso di recuperare Ant-Man and the Wasp, diretto dal regista Peyton Reed. NO SPOILER, ci mancherebbe.
Trama: dopo gli eventi accorsi in Civil War, Scott Lang è agli arresti domiciliari e gli è stato proibito di contattare Hope Van Dyne o Hank Pym. Le visioni della moglie scomparsa di Pym lo costringono però a tornare in azione...
Sono passati tre anni dal primo Ant-Man e due da Civil War eppure, col sovraccarico di uscite annuali del MCU, pare quasi trascorso un secolo soprattutto per chi, come me e il Bolluomo, non ha minimamente tempo di indulgere in recuperi che possano rinfrescare la memoria relativamente a pellicole usa e getta, che entusiasmano il tempo di un mese per poi venire subito cancellate dall'uscita successiva. Questo per dire che, se io ricordavo poco o nulla di Ant-Man (occavolo, Scott Lang aveva una figlia???) e di Civil War, il mio povero fidanzato non rammentava nemmeno che il personaggio avesse partecipato ad una delle più attese scene di botte tra supereroi della storia dei cinecomic, quindi continuava a chiedermi perché mai Scott Lang fosse agli arresti domiciliari dopo aver aiutato Captain America. E vi dirò, noi probabilmente staremo anche cominciando l'allegro viaggio verso i prodromi dell'alzheimer, ma posso mettere la mano sul fuoco relativamente al fatto che Ant-Man and the Wasp subirà lo stesso destino dei film che lo hanno preceduto e in meno della metà del tempo. Se le altre pellicole Marvel erano dei ricchissimi fazzolettini usa e getta, il film di Peyton Reed è infatti l'allegro vuoto tra le parole Ma e Quindi (?), il sequel di un film simpatico al quale tuttavia aggiunge poco o nulla, sia in termini di trama che in termini di approfondimento psicologico dei personaggi, affiancati da villain presi direttamente dal discount della malvagità. La mia è una critica, è vero, però non mi ci arrabbio nemmeno più di tanto, anche perché Ant-Man and the Wasp fa il suo dovere di intrattenere per tutta la sua durata, che è probabilmente il compito per cui era stato progettato, oltre a rispondere alla domanda (se qualcuno se la fosse posta) "perché Ant-Man in Infinity War non c'era?" e riempire l'attesa per il prossimo filmone Marvel con qualcosa di non troppo impegnativo. Abbiamo quindi tutti gli ingredienti che rendevano gradevole Ant-Man con pochissime variazioni; se nel primo film Scott Lang era un criminale in quanto ladro, qui lo è in quanto supereroe "in disgrazia", se là il rapporto con Hope era teso, benché romanticamente in evoluzione, proprio per l'ambigua natura di Lang, in questo sequel la disaffezione trova radici in quello che è successo in Civil War. La trama, per il resto, è totalmente incentrata sull'universo Quantico nominato nel primo film, croce e delizia dei vari personaggi, più o meno tutti toccati, buoni o malvagi che siano, dall'esistenza di questa dimensione parallela.
Il pregio principale del film, al di là della trama, resta l'umorismo lieve e tipico di alcune commedie americane, di cui si fanno portavoce il sempre simpatico Paul Rudd, un po' guascone e un po' clueless come giustamente impone il ruolo, lo spassoso Michael Peña che riporta sullo schermo il suo esilarante Luis con tanto di dialoghi messi in bocca ad altri personaggi, e soprattutto un Michael Douglas che riesce a fare ridere senza risultare ridicolo quanto, chessò, uno Skarsgård nudo o un tristissimo Anthony Hopkins in Thor. Anzi, diciamo pure che Ant Man and the Wasp segna la rivincita dei sex symbol anni '80 anche perché la visione della pellicola vale anche solo per la presenza di una Michelle Pfeiffer splendida, capace di dare dei punti a tutto il resto del cast femminile a fronte di un'apparizione totale di nemmeno un quarto d'ora; non è che Evangeline Lilly e la new entry Hannah John-Kamen (tanto affascinante quanto, diciamolo tranquillamente, poco utile) siano da buttare via ma il confronto tra giovinezza e "vecchiaia" stavolta risulta impietoso per la prima, non certo per la seconda. Mettendo un attimo da parte le considerazioni di una persona che ha sempre venerato la Pfeiffer e tornando in campo un po' più "tecnico", l'altra cosa apprezzabile di Ant-Man and the Wasp sono i gradevoli effetti speciali a base di oggetti e persone che si rimpiccioliscono e ingrandiscono a dismisura, particolarmente azzeccati nelle sequenze di lotta ben coreografate, dove il cambio di dimensione diventa fondamentale per conferire dinamismo alle scene, soprattutto quando entra in gioco l'intangibilità di Ghost, personaggio che avrebbe potuto (e avrebbe dovuto) essere utilizzato al meglio delle sue infinite e mortali possibilità, non come un "di più" da affiancare al tristissimo uomo d'affari interpretato da Walton Goggins. Su Ant Man and the Wasp c'è quindi poco altro da dire. Riassumendo, un "classico" cinecomics poco sensazionale ma comunque valido per passare una serata in lieta spensieratezza; non ho idea di come sia la versione 3D (azzarderei a dire "inutile") ma, a parte questo, vi consiglierei di non alzarvi dalla poltrona fino alla fine dei carinissimi titoli di coda perché ci sono ben due scene post-credit, una anche molto interessante.
Del regista Peyton Reed ho già parlato QUI. Paul Rudd (Scott Lang/Ant-Man), Evangeline Lilly (Hope Van Dyne/Wasp), Michael Peña (Luis), Walton Goggins (Sonny Burch), Bobby Cannavale (Paxton), Judy Greer (Maggie), David Dastmalchian (Kurt), Michelle Pfeiffer (Janet Van Dyne/Wasp), Laurence Fishburne (Dr. Bill Foster) e Michael Douglas (Dr. Hank Pym) li trovate invece ai rispettivi link.
L'immancabile Stan Lee compare nel film nei panni di un signore che si ritrova la macchina rimpicciolita. Ovviamente, Ant Man and the Wasp è da vedersi dopo Ant-Man e Captain America: Civil War e, pur collocandosi cronologicamente prima di Avengers: Infinity War, sarebbe meglio che abbiate visto l'ultimo film degli Avangers prima di tornare a divertirvi con Scott Lang. Se il film vi fosse piaciuto recuperate inoltre Captain America: Il primo vendicatore, Iron Man, Iron Man 2, L'incredibile Hulk, Thor , The Avengers, Iron Man 3, Thor: The Dark World, Captain America: The Winter Soldier, Guardiani della Galassia, Guardiani della Galassia vol. 2, Avengers: Age of Ultron, Doctor Strange, , Spider-Man: Homecoming , Thor: Ragnarok e Black Panther. ENJOY!
Trama: dopo gli eventi accorsi in Civil War, Scott Lang è agli arresti domiciliari e gli è stato proibito di contattare Hope Van Dyne o Hank Pym. Le visioni della moglie scomparsa di Pym lo costringono però a tornare in azione...
Sono passati tre anni dal primo Ant-Man e due da Civil War eppure, col sovraccarico di uscite annuali del MCU, pare quasi trascorso un secolo soprattutto per chi, come me e il Bolluomo, non ha minimamente tempo di indulgere in recuperi che possano rinfrescare la memoria relativamente a pellicole usa e getta, che entusiasmano il tempo di un mese per poi venire subito cancellate dall'uscita successiva. Questo per dire che, se io ricordavo poco o nulla di Ant-Man (occavolo, Scott Lang aveva una figlia???) e di Civil War, il mio povero fidanzato non rammentava nemmeno che il personaggio avesse partecipato ad una delle più attese scene di botte tra supereroi della storia dei cinecomic, quindi continuava a chiedermi perché mai Scott Lang fosse agli arresti domiciliari dopo aver aiutato Captain America. E vi dirò, noi probabilmente staremo anche cominciando l'allegro viaggio verso i prodromi dell'alzheimer, ma posso mettere la mano sul fuoco relativamente al fatto che Ant-Man and the Wasp subirà lo stesso destino dei film che lo hanno preceduto e in meno della metà del tempo. Se le altre pellicole Marvel erano dei ricchissimi fazzolettini usa e getta, il film di Peyton Reed è infatti l'allegro vuoto tra le parole Ma e Quindi (?), il sequel di un film simpatico al quale tuttavia aggiunge poco o nulla, sia in termini di trama che in termini di approfondimento psicologico dei personaggi, affiancati da villain presi direttamente dal discount della malvagità. La mia è una critica, è vero, però non mi ci arrabbio nemmeno più di tanto, anche perché Ant-Man and the Wasp fa il suo dovere di intrattenere per tutta la sua durata, che è probabilmente il compito per cui era stato progettato, oltre a rispondere alla domanda (se qualcuno se la fosse posta) "perché Ant-Man in Infinity War non c'era?" e riempire l'attesa per il prossimo filmone Marvel con qualcosa di non troppo impegnativo. Abbiamo quindi tutti gli ingredienti che rendevano gradevole Ant-Man con pochissime variazioni; se nel primo film Scott Lang era un criminale in quanto ladro, qui lo è in quanto supereroe "in disgrazia", se là il rapporto con Hope era teso, benché romanticamente in evoluzione, proprio per l'ambigua natura di Lang, in questo sequel la disaffezione trova radici in quello che è successo in Civil War. La trama, per il resto, è totalmente incentrata sull'universo Quantico nominato nel primo film, croce e delizia dei vari personaggi, più o meno tutti toccati, buoni o malvagi che siano, dall'esistenza di questa dimensione parallela.
Il pregio principale del film, al di là della trama, resta l'umorismo lieve e tipico di alcune commedie americane, di cui si fanno portavoce il sempre simpatico Paul Rudd, un po' guascone e un po' clueless come giustamente impone il ruolo, lo spassoso Michael Peña che riporta sullo schermo il suo esilarante Luis con tanto di dialoghi messi in bocca ad altri personaggi, e soprattutto un Michael Douglas che riesce a fare ridere senza risultare ridicolo quanto, chessò, uno Skarsgård nudo o un tristissimo Anthony Hopkins in Thor. Anzi, diciamo pure che Ant Man and the Wasp segna la rivincita dei sex symbol anni '80 anche perché la visione della pellicola vale anche solo per la presenza di una Michelle Pfeiffer splendida, capace di dare dei punti a tutto il resto del cast femminile a fronte di un'apparizione totale di nemmeno un quarto d'ora; non è che Evangeline Lilly e la new entry Hannah John-Kamen (tanto affascinante quanto, diciamolo tranquillamente, poco utile) siano da buttare via ma il confronto tra giovinezza e "vecchiaia" stavolta risulta impietoso per la prima, non certo per la seconda. Mettendo un attimo da parte le considerazioni di una persona che ha sempre venerato la Pfeiffer e tornando in campo un po' più "tecnico", l'altra cosa apprezzabile di Ant-Man and the Wasp sono i gradevoli effetti speciali a base di oggetti e persone che si rimpiccioliscono e ingrandiscono a dismisura, particolarmente azzeccati nelle sequenze di lotta ben coreografate, dove il cambio di dimensione diventa fondamentale per conferire dinamismo alle scene, soprattutto quando entra in gioco l'intangibilità di Ghost, personaggio che avrebbe potuto (e avrebbe dovuto) essere utilizzato al meglio delle sue infinite e mortali possibilità, non come un "di più" da affiancare al tristissimo uomo d'affari interpretato da Walton Goggins. Su Ant Man and the Wasp c'è quindi poco altro da dire. Riassumendo, un "classico" cinecomics poco sensazionale ma comunque valido per passare una serata in lieta spensieratezza; non ho idea di come sia la versione 3D (azzarderei a dire "inutile") ma, a parte questo, vi consiglierei di non alzarvi dalla poltrona fino alla fine dei carinissimi titoli di coda perché ci sono ben due scene post-credit, una anche molto interessante.
Del regista Peyton Reed ho già parlato QUI. Paul Rudd (Scott Lang/Ant-Man), Evangeline Lilly (Hope Van Dyne/Wasp), Michael Peña (Luis), Walton Goggins (Sonny Burch), Bobby Cannavale (Paxton), Judy Greer (Maggie), David Dastmalchian (Kurt), Michelle Pfeiffer (Janet Van Dyne/Wasp), Laurence Fishburne (Dr. Bill Foster) e Michael Douglas (Dr. Hank Pym) li trovate invece ai rispettivi link.
L'immancabile Stan Lee compare nel film nei panni di un signore che si ritrova la macchina rimpicciolita. Ovviamente, Ant Man and the Wasp è da vedersi dopo Ant-Man e Captain America: Civil War e, pur collocandosi cronologicamente prima di Avengers: Infinity War, sarebbe meglio che abbiate visto l'ultimo film degli Avangers prima di tornare a divertirvi con Scott Lang. Se il film vi fosse piaciuto recuperate inoltre Captain America: Il primo vendicatore, Iron Man, Iron Man 2, L'incredibile Hulk, Thor , The Avengers, Iron Man 3, Thor: The Dark World, Captain America: The Winter Soldier, Guardiani della Galassia, Guardiani della Galassia vol. 2, Avengers: Age of Ultron, Doctor Strange, , Spider-Man: Homecoming , Thor: Ragnarok e Black Panther. ENJOY!
martedì 21 marzo 2017
John Wick - Capitolo 2 (2017)
Dopo l'entusiasmo generato dal primo capitolo potevo non andare a vedere John Wick - Capitolo 2 (John Wick: Chapter 2), nuovamente diretto da Chad Stahelski?
Trama: finita la mattanza del primo capitolo John Wick cerca di ritirarsi a vita privata ma viene richiamato in attività dal camorrista Santino D'Antonio, deciso a scalare i vertici della criminalità mondiale...
Nel 2014 John Wick era stata una bella sorpresa, un action anni '80 tamarro al punto giusto, con un protagonista sufficientemente duro ed inespressivo e alcune finezze di fondo che facevano venire voglia di averne di più. Il di più è arrivato tre anni dopo, con un film che mostra John Wick ancora incazzato nero per la morte della moglie e dell'amato cagnussu (e basta, santo cielo!), ancora desideroso di pace e ancora circondato da gente che lo rivorrebbe in azione a tutti i costi. Stavolta la sceneggiatura, se tale la si può definire, scava maggiormente all'interno di quel mondo organizzato di assassini e criminali che era la parte più affascinante del primo capitolo: apprendiamo infatti (o forse lo dicevano già in John Wick ma chi se lo ricorda...) che il mondo è governato da una sorta di cosca criminale internazionale, un G7 del crimine tipo, un'organizzazione ancora diversa da quella che gestisce l'Hotel Continental ma ad essa strettamente legata. Questi due gruppi, ai quali bisogna aggiungerne un terzo che richiama molto i Morlock degli X-Men, evitano di pestarsi i piedi a vicenda grazie ad un ferreo codice fatto di regole che non bisognerebbe infrangere, pena la scomunica e la perdita non solo della vita ma anche e soprattutto di protezione e privilegi. In base ad una di queste regole, John Wick è costretto ad accettare di "rientrare nel giro" quando il camorrista Santino D'Antonio (nome meno banale e pizzaspaghettimandolino no?) gli chiede di ammazzare la sorella Gianna presentandogli un cosiddetto pegno, sorta di patto suggellato all'epoca in cui John voleva andare in pensione e passare la vita con l'amata moglie. Altro non aggiungerò sulla trama, ché tanto il succo è riassumibile, da qui in poi, in "John Wick spara in testa a laGGente" con pochissime varianti, tra le quali una molto interessante in cui l'intera New York si trasforma in un covo di assassini e le incursioni in un Hotel Continental che, se volete il mio parere, meriterebbe un film a parte con Ian McShane e Franco Nero come protagonisti assoluti. Rileggendo ciò che ho scritto finora mi sono resa conto di suonare poco entusiasta ma il fatto è che stavolta, nonostante la presenza di molti momenti ridicoli (la sparatoria silenziosa è esilarante, della pretestuosissima sequenza iniziale non voglio neppure parlare altrimenti scoppio a ridere), l'atmosfera generale è troppo seria e alcune scene d'azione ripetitive.
Non mi reputo un'esperta di film action zamarri o di "cinema di menare" (probabilmente se volete leggere una recensione competente di John Wick 2 dovete andare QUI), per carità, ma mi è sembrato che John Wick - Capitolo 2 riciclasse spesso e volentieri gli stessi stunt, con intere e lunghissime sequenze in cui Keanu Reeves, quando non ammazza alla prima i ventordici nemici che gli si parano davanti sbucando da ogni dove, li atterra con un paio di mosse di sottomissione rotolanti e poi li secca con un headshot ben piazzato. Questa routine si ripropone due o tre volte e sinceramente preferisco soluzioni un po' più fantasiose, che magari contemplino armi improprie particolari come una matita, un'automobile, pistole utilizzate a mo' di mattoni da lanciare, ecc. ecc. Di fatto, l'unica sequenza memorabile è quella sul finale, interamente ambientata in un labirinto di specchi e luci al neon che permette al regista di giocare un po' con prospettive e macchina da presa, oltre all'emozionante conclusione, che si svolge davanti allo splendido angelo della Bethesda Fountain in Central Park (location che grazie ad Angels in America mi smuove sempre un desiderio irrazionale di trovarmi lì in contemplazione), il resto francamente puzza un po' di già visto e gli attori non aiutano. Keanu Reeves fa John Wick e va bene, da lui mi aspetto una performance granitica, ma Riccardo Scamarcio è semplicemente imbarazzante, un blocco di tufo imbolsito, monoespressivo e autodoppiatosi con la verve di un paramecio (nulla credo rispetto al vedere quel gianduia di Luca Argentero che imita il Brad Pitt di Fight Club nell'imminente Il permesso, cercate il trailer poi ne riparliamo); non va meglio a Claudia Gerini, che ricordavo splendida e brillante e che invece mi si è riproposta col volto tumefatto da probabili ritocchi estetici nei panni di un'improbabile e moscia femme fatale, mentre perlomeno a tenere alto il buon nome del Cinema italiano ci pensa il già citato Franco Nero che, assieme a Ian McShane, interpreta l'unico personaggio davvero memorabile del film. Ribadisco: nel terzo John Wick ESIGO che il ruolo degli Hotel Continental sia preponderante perché tra assassini invulnerabili e tamarreide stavolta vince la fredda ed elegantissima burocrazia, mi spiace.
Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUI. Keanu Reeves (John Wick), Riccardo Scamarcio (Santino D'Antonio), Ian McShane (Winston), Claudia Gerini (Gianna D'Antonio), Laurence Fishburne (Bowery King), John Leguizamo (Aurelio), Franco Nero (Julius), Peter Serafinowicz (Sommelier), David Patrick Kelly (Charlie) e Peter Stormare (Abram) li trovate invece ai rispettivi link.
Common (vero nome Lonnie Rashid Lynn) interpreta Cassian. Americano, più conosciuto come rapper che come attore, ha partecipato a film come Wanted - Scegli il tuo destino, Comic Movie, Now You See Me - I maghi del crimine, Selma - La strada della libertà, Suicide Squad e ha doppiato un episodio de I Simpson. Anche produttore, ha 45 anni e cinque film in uscita.
Lo avevo intuito dal finale ed è quasi certo che John Wick sarà una trilogia, quindi aspettatevi il ritorno di Keanu Reeves nei panni dell'eroe titolare tra qualche anno, magari con Samuel L. Jackson che, a quanto pare, muore dalla voglia di partecipare. Nell'attesa, se John Wick - Capitolo 2 vi fosse piaciuto recuperate John Wick e aggiungete Deadpool così da farvi due vere risate. ENJOY!
Trama: finita la mattanza del primo capitolo John Wick cerca di ritirarsi a vita privata ma viene richiamato in attività dal camorrista Santino D'Antonio, deciso a scalare i vertici della criminalità mondiale...
Nel 2014 John Wick era stata una bella sorpresa, un action anni '80 tamarro al punto giusto, con un protagonista sufficientemente duro ed inespressivo e alcune finezze di fondo che facevano venire voglia di averne di più. Il di più è arrivato tre anni dopo, con un film che mostra John Wick ancora incazzato nero per la morte della moglie e dell'amato cagnussu (e basta, santo cielo!), ancora desideroso di pace e ancora circondato da gente che lo rivorrebbe in azione a tutti i costi. Stavolta la sceneggiatura, se tale la si può definire, scava maggiormente all'interno di quel mondo organizzato di assassini e criminali che era la parte più affascinante del primo capitolo: apprendiamo infatti (o forse lo dicevano già in John Wick ma chi se lo ricorda...) che il mondo è governato da una sorta di cosca criminale internazionale, un G7 del crimine tipo, un'organizzazione ancora diversa da quella che gestisce l'Hotel Continental ma ad essa strettamente legata. Questi due gruppi, ai quali bisogna aggiungerne un terzo che richiama molto i Morlock degli X-Men, evitano di pestarsi i piedi a vicenda grazie ad un ferreo codice fatto di regole che non bisognerebbe infrangere, pena la scomunica e la perdita non solo della vita ma anche e soprattutto di protezione e privilegi. In base ad una di queste regole, John Wick è costretto ad accettare di "rientrare nel giro" quando il camorrista Santino D'Antonio (nome meno banale e pizzaspaghettimandolino no?) gli chiede di ammazzare la sorella Gianna presentandogli un cosiddetto pegno, sorta di patto suggellato all'epoca in cui John voleva andare in pensione e passare la vita con l'amata moglie. Altro non aggiungerò sulla trama, ché tanto il succo è riassumibile, da qui in poi, in "John Wick spara in testa a laGGente" con pochissime varianti, tra le quali una molto interessante in cui l'intera New York si trasforma in un covo di assassini e le incursioni in un Hotel Continental che, se volete il mio parere, meriterebbe un film a parte con Ian McShane e Franco Nero come protagonisti assoluti. Rileggendo ciò che ho scritto finora mi sono resa conto di suonare poco entusiasta ma il fatto è che stavolta, nonostante la presenza di molti momenti ridicoli (la sparatoria silenziosa è esilarante, della pretestuosissima sequenza iniziale non voglio neppure parlare altrimenti scoppio a ridere), l'atmosfera generale è troppo seria e alcune scene d'azione ripetitive.
Non mi reputo un'esperta di film action zamarri o di "cinema di menare" (probabilmente se volete leggere una recensione competente di John Wick 2 dovete andare QUI), per carità, ma mi è sembrato che John Wick - Capitolo 2 riciclasse spesso e volentieri gli stessi stunt, con intere e lunghissime sequenze in cui Keanu Reeves, quando non ammazza alla prima i ventordici nemici che gli si parano davanti sbucando da ogni dove, li atterra con un paio di mosse di sottomissione rotolanti e poi li secca con un headshot ben piazzato. Questa routine si ripropone due o tre volte e sinceramente preferisco soluzioni un po' più fantasiose, che magari contemplino armi improprie particolari come una matita, un'automobile, pistole utilizzate a mo' di mattoni da lanciare, ecc. ecc. Di fatto, l'unica sequenza memorabile è quella sul finale, interamente ambientata in un labirinto di specchi e luci al neon che permette al regista di giocare un po' con prospettive e macchina da presa, oltre all'emozionante conclusione, che si svolge davanti allo splendido angelo della Bethesda Fountain in Central Park (location che grazie ad Angels in America mi smuove sempre un desiderio irrazionale di trovarmi lì in contemplazione), il resto francamente puzza un po' di già visto e gli attori non aiutano. Keanu Reeves fa John Wick e va bene, da lui mi aspetto una performance granitica, ma Riccardo Scamarcio è semplicemente imbarazzante, un blocco di tufo imbolsito, monoespressivo e autodoppiatosi con la verve di un paramecio (nulla credo rispetto al vedere quel gianduia di Luca Argentero che imita il Brad Pitt di Fight Club nell'imminente Il permesso, cercate il trailer poi ne riparliamo); non va meglio a Claudia Gerini, che ricordavo splendida e brillante e che invece mi si è riproposta col volto tumefatto da probabili ritocchi estetici nei panni di un'improbabile e moscia femme fatale, mentre perlomeno a tenere alto il buon nome del Cinema italiano ci pensa il già citato Franco Nero che, assieme a Ian McShane, interpreta l'unico personaggio davvero memorabile del film. Ribadisco: nel terzo John Wick ESIGO che il ruolo degli Hotel Continental sia preponderante perché tra assassini invulnerabili e tamarreide stavolta vince la fredda ed elegantissima burocrazia, mi spiace.
Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUI. Keanu Reeves (John Wick), Riccardo Scamarcio (Santino D'Antonio), Ian McShane (Winston), Claudia Gerini (Gianna D'Antonio), Laurence Fishburne (Bowery King), John Leguizamo (Aurelio), Franco Nero (Julius), Peter Serafinowicz (Sommelier), David Patrick Kelly (Charlie) e Peter Stormare (Abram) li trovate invece ai rispettivi link.
Common (vero nome Lonnie Rashid Lynn) interpreta Cassian. Americano, più conosciuto come rapper che come attore, ha partecipato a film come Wanted - Scegli il tuo destino, Comic Movie, Now You See Me - I maghi del crimine, Selma - La strada della libertà, Suicide Squad e ha doppiato un episodio de I Simpson. Anche produttore, ha 45 anni e cinque film in uscita.
Lo avevo intuito dal finale ed è quasi certo che John Wick sarà una trilogia, quindi aspettatevi il ritorno di Keanu Reeves nei panni dell'eroe titolare tra qualche anno, magari con Samuel L. Jackson che, a quanto pare, muore dalla voglia di partecipare. Nell'attesa, se John Wick - Capitolo 2 vi fosse piaciuto recuperate John Wick e aggiungete Deadpool così da farvi due vere risate. ENJOY!
venerdì 25 settembre 2015
Punto di non ritorno (1997)
Durante le ferie estive mi sono imbattuta in alcuni memorabilia di un film che non conoscevo, Punto di non ritorno (Event Horizon), diretto nel 1997 dal regista Paul W.S. Anderson, quindi mi è venuta la curiosità di vederlo.
Trama: un gruppo di astronauti viene inviato su Nettuno dopo che la nave Event Horizon, scomparsa da anni, ha ricominciato ad emettere segnali. Gli astronauti tuttavia si accorgono presto che sulla Event Horizon è successo qualcosa di terribile…
Nelle ferie di agosto ho convinto quel santo del mio ragazzo, fortunatamente allergico alla spiaggia, a portarmi a Settimo Torinese per vedere il museo dedicato a Ritorno al futuro. In mezzo alla vasta collezione di oggetti di scena presi dalla trilogia di Zemekis c’erano props di Terminator 3: Le macchine ribelli, Blade Runner e anche una giacca indossata da uno dei personaggi in Punto di non ritorno; la cosa interessante è che non si faceva il nome del film di Anderson, però alcune immagini passavano su uno schermo e quando ho visto che tra gli interpreti figuravano Laurence Fishburne, Sam Neill e soprattutto quel gran figo di Jason Isaacs ho preso in mano lo smartphone e, fatta una rapida ricerca su Wikipedia, ho capito cosa avrei dovuto guardare appena tornata a casa. Punto di non ritorno, sempre per la gioia del mio ragazzo che non sopporta il genere e credeva di trovarsi davanti un film innocuo, è un interessante ibrido tra horror e fantascienza dove la claustrofobica ambientazione spaziale offre spesso il fianco, come già succedeva in Alien, a soluzioni di sceneggiatura un po’ più sanguinose ed “infernali”. Event Horizon non è solo il nome della nave protagonista del film ma è anche la parola inglese per definire sia il “punto di non ritorno” (ovvero quando la forza gravitazionale diventa così forte che non è più possibile sottrarvisi) sia il limite oltre il quale, se non ho capito male, le leggi della fisica cessano di esistere (e se ho capito male abbiate pazienza ché io sono letteraria, non matematica o fisica); effettivamente, agli sfortunati personaggi succede di venire letteralmente inglobati e fatti prigionieri da una forza misteriosa alla quale non riusciranno a sottrarsi tanto facilmente e questo perché la nave che sono andati a salvare ha superato i limiti dello spaziotempo conosciuto diventando qualcosa di senziente, malvagio e molto pericoloso, un’entità che se ne infischia sia della fisica sia della realtà comunemente conosciuta. Il viaggio verso la Event Horizon diventa così per i protagonisti una discesa allucinata nei meandri della mente umana, dell’ambizione sfrenata che diventa follia, della realtà oscura e distorta che esiste dietro le fragili pareti della dimensione che conosciamo e delle paure più o meno irrazionali che tutti quanti ci portiamo dentro, con l’aggravante di essere ambientato in quello Spazio profondo dove “nessuno può sentirti urlare” e che quindi mette ancora più ansia, almeno a me.
Fermo restando che la pellicola poteva e doveva essere molto più visionaria (travagliate vicissitudini produttive hanno letteralmente mutilato Punto di non ritorno che, a quanto ho letto, doveva essere un’orgia di sangue di quasi tre ore, uno Shining in space ma ovviamente ben più zamarro; non a caso, Clive Barker era stato chiamato come consulente in pre-produzione!), è indubbio che Anderson in Punto di non ritorno abbia limitato un po’ la tamarreide che avrebbe caratterizzato i suoi lavori seguenti ma è anche riuscito nonostante tutte le difficoltà produttive a ricreare ambienti stranianti e mozzafiato; le prime sequenze ambientate nello spazio aperto, il lunghissimo corridoio zeppo di luci che collega i due vani principali della Event Horizon e il cuore della stessa nave, un inquietante giroscopio che all’occasione si apre su una liquida dimensione infernale, sono elementi che si fissano nella memoria dello spettatore nonostante l’ambientazione claustrofobica rischi alla lunga di risultare un po’ monotona. La componente horror o, almeno, quello che ne è rimasto, non è affatto male, anche perché gli effetti speciali del film sono in generale invecchiati benissimo; per volontà della Paramount il film è stato costretto a giocare di privazione e a centellinare il sangue per buona parte della sua durata, preferendogli visioni perlopiù spettrali e sottilmente inquietanti, ma verso la fine il regista sbraga comunque e colpisce allo stomaco lo spettatore con un “fantasioso” esperimento chirurgico, un folle video dal contenuto devastante e il trucco da pelle d’oca di un Sam Neill in formissima. Non sono da meno gli altri attori, ovviamente. Il cast all-star per una volta paga, forse anche perché nel 1997 la maggior parte dei coinvolti erano o all’apice delle loro carriere, come il già citato Sam Neill e l’imponente Laurence Fishburne, oppure dei carismatici giovani di belle speranze, come la delicata Joely Richardson o uno stempiato ma sempre figo Jason Isaacs, ancora lontano dai lunghi capelli biondi di Lucius Malfoy. In sostanza, Punto di non ritorno è un film imperfetto che non è riuscito a diventare cult ma che sicuramente ha tutti i mezzi per conquistare parecchi spettatori: a me è rimasta sicuramente l’insana curiosità di sapere COSA avrebbe potuto ancora rivelare il ventre oscuro della Event Orizon se non si fossero messi in mezzo i produttori ma anche la gioia di avere scoperto grazie alla passione per Ritorno al futuro una pellicola che forse da sola non avrei mai avuto occasione di guardare, quindi spero che il mio post invogli al recupero quelli tra voi che ancora ne ignoravano l’esistenza (e se potete andate a vedere il Museo di Ritorno al futuro, è zeppo di cose meravigliose)!
Del regista Paul W.S. Anderson ho già parlato QUI mentre Laurence Fishburne (Capitano Miller), Sam Neill (Dottor WilliamWeir), Kathleen Quinlan (Peters), Joely Richardson (Starck), Jason Isaacs (D.J.) e Noah Huntley (Edward Corrick) li trovate ai rispettivi link.
Richard T. Jones (vero nome Richard Timothy Jones) interpreta Cooper. Nato in Giappone, ha partecipato a film come Mezzo professore tra i marines, Il collezionista, Super 8, Godzilla e a serie come L'ispettore Tibbs, Ally McBeal, CSI: Miami, Numb3rs, Bones, Grey's Anatomy e American Horror Story. Anche produttore, ha 43 anni e quattro film in uscita.
Jack Noseworthy (vero nome John E. Noseworthy Jr.) interpreta Justin. Americano, ha partecipato a film come Alive - Sopravvissuti, Giovani diavoli e a serie come Oltre i limiti e CSI - Scena del crimine. Ha 46 anni e due film in uscita.
Dopo Mortal Kombat, Anderson voleva girare qualcosa di più adulto e gore, quindi ha rifiutato l'offerta di dirigere X-Men per dedicarsi a Punto di non ritorno che, come ho detto, alla fine è stato comunque tagliato di una buona mezz'ora. A parte questo, se Punto di non ritorno vi fosse piaciuto recuperate Moon, Solaris, Sfera, The Abyss, Leviathan e Il seme della follia. ENJOY!
Trama: un gruppo di astronauti viene inviato su Nettuno dopo che la nave Event Horizon, scomparsa da anni, ha ricominciato ad emettere segnali. Gli astronauti tuttavia si accorgono presto che sulla Event Horizon è successo qualcosa di terribile…
Nelle ferie di agosto ho convinto quel santo del mio ragazzo, fortunatamente allergico alla spiaggia, a portarmi a Settimo Torinese per vedere il museo dedicato a Ritorno al futuro. In mezzo alla vasta collezione di oggetti di scena presi dalla trilogia di Zemekis c’erano props di Terminator 3: Le macchine ribelli, Blade Runner e anche una giacca indossata da uno dei personaggi in Punto di non ritorno; la cosa interessante è che non si faceva il nome del film di Anderson, però alcune immagini passavano su uno schermo e quando ho visto che tra gli interpreti figuravano Laurence Fishburne, Sam Neill e soprattutto quel gran figo di Jason Isaacs ho preso in mano lo smartphone e, fatta una rapida ricerca su Wikipedia, ho capito cosa avrei dovuto guardare appena tornata a casa. Punto di non ritorno, sempre per la gioia del mio ragazzo che non sopporta il genere e credeva di trovarsi davanti un film innocuo, è un interessante ibrido tra horror e fantascienza dove la claustrofobica ambientazione spaziale offre spesso il fianco, come già succedeva in Alien, a soluzioni di sceneggiatura un po’ più sanguinose ed “infernali”. Event Horizon non è solo il nome della nave protagonista del film ma è anche la parola inglese per definire sia il “punto di non ritorno” (ovvero quando la forza gravitazionale diventa così forte che non è più possibile sottrarvisi) sia il limite oltre il quale, se non ho capito male, le leggi della fisica cessano di esistere (e se ho capito male abbiate pazienza ché io sono letteraria, non matematica o fisica); effettivamente, agli sfortunati personaggi succede di venire letteralmente inglobati e fatti prigionieri da una forza misteriosa alla quale non riusciranno a sottrarsi tanto facilmente e questo perché la nave che sono andati a salvare ha superato i limiti dello spaziotempo conosciuto diventando qualcosa di senziente, malvagio e molto pericoloso, un’entità che se ne infischia sia della fisica sia della realtà comunemente conosciuta. Il viaggio verso la Event Horizon diventa così per i protagonisti una discesa allucinata nei meandri della mente umana, dell’ambizione sfrenata che diventa follia, della realtà oscura e distorta che esiste dietro le fragili pareti della dimensione che conosciamo e delle paure più o meno irrazionali che tutti quanti ci portiamo dentro, con l’aggravante di essere ambientato in quello Spazio profondo dove “nessuno può sentirti urlare” e che quindi mette ancora più ansia, almeno a me.
Fermo restando che la pellicola poteva e doveva essere molto più visionaria (travagliate vicissitudini produttive hanno letteralmente mutilato Punto di non ritorno che, a quanto ho letto, doveva essere un’orgia di sangue di quasi tre ore, uno Shining in space ma ovviamente ben più zamarro; non a caso, Clive Barker era stato chiamato come consulente in pre-produzione!), è indubbio che Anderson in Punto di non ritorno abbia limitato un po’ la tamarreide che avrebbe caratterizzato i suoi lavori seguenti ma è anche riuscito nonostante tutte le difficoltà produttive a ricreare ambienti stranianti e mozzafiato; le prime sequenze ambientate nello spazio aperto, il lunghissimo corridoio zeppo di luci che collega i due vani principali della Event Horizon e il cuore della stessa nave, un inquietante giroscopio che all’occasione si apre su una liquida dimensione infernale, sono elementi che si fissano nella memoria dello spettatore nonostante l’ambientazione claustrofobica rischi alla lunga di risultare un po’ monotona. La componente horror o, almeno, quello che ne è rimasto, non è affatto male, anche perché gli effetti speciali del film sono in generale invecchiati benissimo; per volontà della Paramount il film è stato costretto a giocare di privazione e a centellinare il sangue per buona parte della sua durata, preferendogli visioni perlopiù spettrali e sottilmente inquietanti, ma verso la fine il regista sbraga comunque e colpisce allo stomaco lo spettatore con un “fantasioso” esperimento chirurgico, un folle video dal contenuto devastante e il trucco da pelle d’oca di un Sam Neill in formissima. Non sono da meno gli altri attori, ovviamente. Il cast all-star per una volta paga, forse anche perché nel 1997 la maggior parte dei coinvolti erano o all’apice delle loro carriere, come il già citato Sam Neill e l’imponente Laurence Fishburne, oppure dei carismatici giovani di belle speranze, come la delicata Joely Richardson o uno stempiato ma sempre figo Jason Isaacs, ancora lontano dai lunghi capelli biondi di Lucius Malfoy. In sostanza, Punto di non ritorno è un film imperfetto che non è riuscito a diventare cult ma che sicuramente ha tutti i mezzi per conquistare parecchi spettatori: a me è rimasta sicuramente l’insana curiosità di sapere COSA avrebbe potuto ancora rivelare il ventre oscuro della Event Orizon se non si fossero messi in mezzo i produttori ma anche la gioia di avere scoperto grazie alla passione per Ritorno al futuro una pellicola che forse da sola non avrei mai avuto occasione di guardare, quindi spero che il mio post invogli al recupero quelli tra voi che ancora ne ignoravano l’esistenza (e se potete andate a vedere il Museo di Ritorno al futuro, è zeppo di cose meravigliose)!
Del regista Paul W.S. Anderson ho già parlato QUI mentre Laurence Fishburne (Capitano Miller), Sam Neill (Dottor WilliamWeir), Kathleen Quinlan (Peters), Joely Richardson (Starck), Jason Isaacs (D.J.) e Noah Huntley (Edward Corrick) li trovate ai rispettivi link.
Richard T. Jones (vero nome Richard Timothy Jones) interpreta Cooper. Nato in Giappone, ha partecipato a film come Mezzo professore tra i marines, Il collezionista, Super 8, Godzilla e a serie come L'ispettore Tibbs, Ally McBeal, CSI: Miami, Numb3rs, Bones, Grey's Anatomy e American Horror Story. Anche produttore, ha 43 anni e quattro film in uscita.
Jack Noseworthy (vero nome John E. Noseworthy Jr.) interpreta Justin. Americano, ha partecipato a film come Alive - Sopravvissuti, Giovani diavoli e a serie come Oltre i limiti e CSI - Scena del crimine. Ha 46 anni e due film in uscita.
Dopo Mortal Kombat, Anderson voleva girare qualcosa di più adulto e gore, quindi ha rifiutato l'offerta di dirigere X-Men per dedicarsi a Punto di non ritorno che, come ho detto, alla fine è stato comunque tagliato di una buona mezz'ora. A parte questo, se Punto di non ritorno vi fosse piaciuto recuperate Moon, Solaris, Sfera, The Abyss, Leviathan e Il seme della follia. ENJOY!
mercoledì 14 settembre 2011
Contagion (2011)
Forse perché il 2012 si sta avvicinando, il mio Multisala sta facendo il miracolo e si sta impegnando per mettere in programmazione bei film che non avrei mai creduto di poter vedere al cinema nella mia zona. Ieri sera sono riuscita così ad andare a vedere Contagion, la nuova pellicola del regista Steven Soderbergh.

Trama: Un terribile e mortale virus si diffonde in pochissimi giorni in tutto il pianeta. Mentre autorità mondiali, luminari della medicina e giornalisti cercano di trovare una soluzione, i pochi sopravvissuti cominciano a fare i conti con la paura e il caos…

Pur essendo uno dei pochi film “originali” in uscita, Contagion riprende un trend già in voga negli anni ’70, ovvero quello delle pellicole catastrofiche che radunavano un gran numero di famosissime star dell’epoca. Originale, quindi, con riserva, anche se l’approccio ad una trama di per sé non innovativa viene portato avanti con piglio assai asettico e documentaristico, concedendo poco allo spettacolo. Soderbergh decide di puntare molto sui fatti e di girare un film sobrio, privo di fronzoli o immagini ad effetto (uniche eccezioni la terribile sequenza dell’autopsia su Gwyneth Paltrow e la commovente scena finale del prom casalingo, accompagnata dalla splendida musica degli U2), dal montaggio serrato ed implacabile come la diffusione del virus che vorrebbe rappresentare. Un drink all’aeroporto, un viso lucido di sudore, primi piani di mani che toccano oggetti che vengono passati ad altre mani, didascalie con nomi di città e relativo numero di abitanti, panoramiche di hotel, autobus, condomini, metropoli: Contagion come da titolo si concentra giustamente sulla dinamica del contagio e sulla conseguente ondata di panico collettivo e “fobia dell’altro” che influenzano ogni cosa, dalle alte decisioni governative ai più semplici rapporti umani.

Il risultato è un film sicuramente ben recitato (Kate Winslet e Jude Law sono strepitosi!), molto bello ed ottimamente confezionato, che stringe lo spettatore in una morsa di ansia dall’inizio alla fine, evitando di ammorbarlo con spiegazioni scientifiche troppo dettagliate o complesse, e che alla fine non si sofferma troppo su nessun personaggio, preferendo mostrare un campionario di varia umanità per coprire il maggior numero di punti di vista possibili. Certo, all’uscita dal cinema ho origliato i pareri “a caldo” di alcune persone, e secondo loro il difetto più grande di Contagion è proprio questo, la decisione di raccontare tante piccole storie senza approfondirle troppo. Personalmente non l’ho preso come un difetto ma come un ulteriore mezzo per accentuare il realismo della pellicola perché, diciamoci la verità, nel corso di una pandemia dubito che tutti i giorni accadano costantemente, ad ogni singola persona, eventi degni di essere narrati: molto meglio, quindi, mostrare spizzichi e bocconi di vicende più o meno interessanti e lasciare anche qualche dubbio, storie che potranno essere ulteriormente raccontate o continuate se qualcuno lo vorrà. A dire il vero la cosa che però mi ha colpita di più è l’assenza di personaggi totalmente positivi o negativi (a parte Jude Law che è un bel bastardo, ma in modo particolare) e di qualsivoglia riferimento alla religione; in Contagion nessun personaggio ricerca il conforto della fede, non ci sono santi né predicatori che inneggiano alla fine del mondo, solo una disperata fiducia nella scienza e nell’informazione alternativa, un’ancor più disperata diffidenza verso le autorità e il desiderio di proteggere il proprio mondo, per quanto sia piccolo. Chissà cosa farei io in un caso come questo. Mah. Per ora posso solo dire che Contagion mi è piaciuto e lo consiglio.

Di Matt Damon (Mitch), Gwyneth Paltrow (Beth), Jude Law (Alan), Laurence Fishburne (Dr. Cheever), Kate Winslet (Dr. Mears), Elliot Gould (Dr. Sussmann), ho già parlato nei vari post a loro dedicati, che potete leggere cliccando sui link.
Steven Soderbergh è il regista della pellicola. Americano, lo ricordo per film come Sesso, bugie e videotape, Out of Sight, Traffic (che gli è valso l’Oscar come miglior regista), Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco, Ocean’s Twelve e Ocean’s Thirteen. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 48 anni e tre film in uscita.

Marion Cotillard interpreta la Dottoressa Orantes. Francese, ha partecipato a film come Taxxi, Taxxi 2, Taxxi 3, Big Fish – Le storie di una vita incredibile, Un’ottima annata, La vie en rose (che le è valso l’Oscar come miglior attrice protagonista) e Inception, oltre ad un episodio della serie Highlander. Ha 36 anni e un film in uscita, Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno.

John Hawkes (vero nome John Perkins) interpreta Roger. Per la serie, “dove t’ho già visto?”: ma sei Pete!! Pete, il povero, sfigatissimo commesso seviziato dai fratelli Jeko in Dal tramonto all’alba!! E non solo, ovviamente. Potete trovare l’attore americano in film come Scary Movie, Freaked – Sgorbi, Congo, Incubo finale, Identità, Miami Vice o in serie come Millenium, Nash Bridges, E.R. – Medici in prima linea, Buffy l’ammazzavampiri, X- Files, Più forte ragazzi, 24, Taken, Senza traccia, CSI e Lost. Ha 52 anni e quattro film in uscita.

Rimaniamo in tema di attori. Tra chi ce l’ha fatta, segnalo Jennifer Ehle, che nel film interpreta la dottoressa Hextall mentre ne Il discorso del re era la moglie di Logue. Passando a chi, invece, non ce l’ha fatta, si era pensato di assegnare il ruolo (marginale ma a suo modo importante) di Beth a Jennifer Connelly che, in quanto premio Oscar, in questo cast all star non avrebbe sfigurato. Se vi fosse piaciuto Contagion suggerirei di guardare almeno L’inferno di cristallo, film catastrofico che da piccola mi terrorizzava e dal quale pare Soderbergh abbia tratto ispirazione per la sua ultima pellicola. Intanto che lo cercate, vi lascio col trailer di Contagion... ENJOY!
Trama: Un terribile e mortale virus si diffonde in pochissimi giorni in tutto il pianeta. Mentre autorità mondiali, luminari della medicina e giornalisti cercano di trovare una soluzione, i pochi sopravvissuti cominciano a fare i conti con la paura e il caos…
Pur essendo uno dei pochi film “originali” in uscita, Contagion riprende un trend già in voga negli anni ’70, ovvero quello delle pellicole catastrofiche che radunavano un gran numero di famosissime star dell’epoca. Originale, quindi, con riserva, anche se l’approccio ad una trama di per sé non innovativa viene portato avanti con piglio assai asettico e documentaristico, concedendo poco allo spettacolo. Soderbergh decide di puntare molto sui fatti e di girare un film sobrio, privo di fronzoli o immagini ad effetto (uniche eccezioni la terribile sequenza dell’autopsia su Gwyneth Paltrow e la commovente scena finale del prom casalingo, accompagnata dalla splendida musica degli U2), dal montaggio serrato ed implacabile come la diffusione del virus che vorrebbe rappresentare. Un drink all’aeroporto, un viso lucido di sudore, primi piani di mani che toccano oggetti che vengono passati ad altre mani, didascalie con nomi di città e relativo numero di abitanti, panoramiche di hotel, autobus, condomini, metropoli: Contagion come da titolo si concentra giustamente sulla dinamica del contagio e sulla conseguente ondata di panico collettivo e “fobia dell’altro” che influenzano ogni cosa, dalle alte decisioni governative ai più semplici rapporti umani.
Il risultato è un film sicuramente ben recitato (Kate Winslet e Jude Law sono strepitosi!), molto bello ed ottimamente confezionato, che stringe lo spettatore in una morsa di ansia dall’inizio alla fine, evitando di ammorbarlo con spiegazioni scientifiche troppo dettagliate o complesse, e che alla fine non si sofferma troppo su nessun personaggio, preferendo mostrare un campionario di varia umanità per coprire il maggior numero di punti di vista possibili. Certo, all’uscita dal cinema ho origliato i pareri “a caldo” di alcune persone, e secondo loro il difetto più grande di Contagion è proprio questo, la decisione di raccontare tante piccole storie senza approfondirle troppo. Personalmente non l’ho preso come un difetto ma come un ulteriore mezzo per accentuare il realismo della pellicola perché, diciamoci la verità, nel corso di una pandemia dubito che tutti i giorni accadano costantemente, ad ogni singola persona, eventi degni di essere narrati: molto meglio, quindi, mostrare spizzichi e bocconi di vicende più o meno interessanti e lasciare anche qualche dubbio, storie che potranno essere ulteriormente raccontate o continuate se qualcuno lo vorrà. A dire il vero la cosa che però mi ha colpita di più è l’assenza di personaggi totalmente positivi o negativi (a parte Jude Law che è un bel bastardo, ma in modo particolare) e di qualsivoglia riferimento alla religione; in Contagion nessun personaggio ricerca il conforto della fede, non ci sono santi né predicatori che inneggiano alla fine del mondo, solo una disperata fiducia nella scienza e nell’informazione alternativa, un’ancor più disperata diffidenza verso le autorità e il desiderio di proteggere il proprio mondo, per quanto sia piccolo. Chissà cosa farei io in un caso come questo. Mah. Per ora posso solo dire che Contagion mi è piaciuto e lo consiglio.
Di Matt Damon (Mitch), Gwyneth Paltrow (Beth), Jude Law (Alan), Laurence Fishburne (Dr. Cheever), Kate Winslet (Dr. Mears), Elliot Gould (Dr. Sussmann), ho già parlato nei vari post a loro dedicati, che potete leggere cliccando sui link.
Steven Soderbergh è il regista della pellicola. Americano, lo ricordo per film come Sesso, bugie e videotape, Out of Sight, Traffic (che gli è valso l’Oscar come miglior regista), Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco, Ocean’s Twelve e Ocean’s Thirteen. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 48 anni e tre film in uscita.
Marion Cotillard interpreta la Dottoressa Orantes. Francese, ha partecipato a film come Taxxi, Taxxi 2, Taxxi 3, Big Fish – Le storie di una vita incredibile, Un’ottima annata, La vie en rose (che le è valso l’Oscar come miglior attrice protagonista) e Inception, oltre ad un episodio della serie Highlander. Ha 36 anni e un film in uscita, Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno.
John Hawkes (vero nome John Perkins) interpreta Roger. Per la serie, “dove t’ho già visto?”: ma sei Pete!! Pete, il povero, sfigatissimo commesso seviziato dai fratelli Jeko in Dal tramonto all’alba!! E non solo, ovviamente. Potete trovare l’attore americano in film come Scary Movie, Freaked – Sgorbi, Congo, Incubo finale, Identità, Miami Vice o in serie come Millenium, Nash Bridges, E.R. – Medici in prima linea, Buffy l’ammazzavampiri, X- Files, Più forte ragazzi, 24, Taken, Senza traccia, CSI e Lost. Ha 52 anni e quattro film in uscita.
Rimaniamo in tema di attori. Tra chi ce l’ha fatta, segnalo Jennifer Ehle, che nel film interpreta la dottoressa Hextall mentre ne Il discorso del re era la moglie di Logue. Passando a chi, invece, non ce l’ha fatta, si era pensato di assegnare il ruolo (marginale ma a suo modo importante) di Beth a Jennifer Connelly che, in quanto premio Oscar, in questo cast all star non avrebbe sfigurato. Se vi fosse piaciuto Contagion suggerirei di guardare almeno L’inferno di cristallo, film catastrofico che da piccola mi terrorizzava e dal quale pare Soderbergh abbia tratto ispirazione per la sua ultima pellicola. Intanto che lo cercate, vi lascio col trailer di Contagion... ENJOY!
mercoledì 28 luglio 2010
Predators (2010)
Non ho mai amato molto i film di fantascienza, mi annoiano. Ma da piccola ero rimasta terrorizzata dallo splendido (per quanto zamarro) Predator con il buon vecchio Schwarzenegger e così, grazie anche ad un trailer della madonna e al richiamo di nomi come Robert Rodriguez e Danny Trejo, sono andata a vedere il nuovissimo Predators di Nimród Antal, solo per rimanerne abbastanza delusa.
La trama: un gruppo di militari, assassini, mercenari con dottorino al seguito vengono scaraventati su un pianeta, senza sapere bene perché o percome. Quando cominciano a spuntare alieni rasta in ogni dove, i malcapitati capiscono di essere diventati prede in una caccia che dura da tempo immemorabile…
Parliamoci chiaro. Il mondo, e soprattutto l’America, sarebbe un posto migliore se Schwarzenegger fosse rimasto a fare film invece di impelagarsi in politica. Perché l’ex Mister Universo è un’icona degli anni ottanta, più simpatico di Stallone, più tamarro di Chuck Norris, più bello di Steven Siegal e poi, diciamocela tutta, i film che gli cucivano addosso erano praticamente perfetti nella loro assurdità. Non faceva eccezione Predator che, con due effetti speciali in croce, riusciva a mettere addosso un’ansia inaudita e a rendere il buon Schwarzy ancora più “cool” di quanto non fosse in altri film. Cosa che, purtroppo, non riesce a questo Predators, nonostante i meravigliosi effetti speciali del divino Nicotero e ad un’accozzaglia di attori di tutto rispetto. Per carità, qualche attimo di tensione c’è e almeno un personaggio è azzeccatissimo, senza contare che c’è anche qualche apprezzabile citazione del capostipite, ma la cosa finisce lì.
A dire il vero quello che rimane alla fine di Predators è un senso di spreco e di presa per il culo commerciale. Non tanto per la trama assurda, quella ci può stare: ciò che nel primo film accadeva in Amazzonia, se non sbaglio, nel nuovo capitolo si trasferisce in un pianeta che sta a metà strada tra l’isola di Lost e Pandora, e pazienza se non sapremo mai come tutti i personaggi siano finiti lì e come siano stati strappati alle loro attività. Pazienza anche se tutti, tranne il povero sfigato che si spetascia al suolo in un trionfo di budella all’inizio (l’unico personaggio ad avere avuto una reazione credibile), mostrano al massimo una blanda sorpresa nel ritrovarsi in caduta libera e su un pianeta sconosciuto. Però l’80% dei protagonisti viene sfruttato malissimo, Danny Trejo in primis, e in aggiunta sono tutti detestabili: Adrien Brody può essersi pompato come un novello Mister Muscolo, ma sicuramente non ha il phisique du role che aveva Schwarzy (non a caso non gli riesce nemmeno il trucchetto del fango…), Laurence Fishburne si palesa in un cameo che vorrebbe fare quasi il verso all’alienato Kurtz di Apocalypse Now ma lascia basiti per quanto è trash… ma mai trash, ovviamente, come la figura dello Yakuza, che vorrebbe strizzare l’occhio al diffuso amore cinematografico per l’arte delle lame giapponesi e che ci regala un duello tra katana e Predator a dir poco deprimente. Gli unici che si salvano sono Topher Grace, con il suo dottore sfigato fino all’inverosimile, e Walton Goggins nei panni di un condannato a morte particolarmente esilarante. Il resto è carne da macello, e rimane solo da capire chi verrà masticato per primo dagli alieni: non sbattetevi però, come abbiamo fatto io e la mia amica, a cercare una sequenza di morti che possa sorprendere, perché non si sono impegnati nemmeno in questo. Mi chiedo anche quale sceneggiatore possa aver deciso di infilare nel cast uno Spetsnaz (un membro dei corpi speciali russi) sentimentale e boccalone come quello che vediamo nel film: sarà che la prima volta che ho sentito questo termine è stato sulle pagine di Preacher, dove indicava un ex soldato talmente spietato da ricorrere anche al cannibalismo, ma insomma, quello di Predators ha il sembiante e la spina dorsale di Samvise Gamgee. Se dovessi dirla tutta, tra l’altro, anche gli alieni sono ormai talmente iconizzati da non fare nemmeno più paura. Cancelliamo il deludente film dalla memoria e andiamo avanti, verso l’infinito e oltre!
Nimród Antal è il regista della pellicola. Americano, trentasettenne, l’unico altro suo film a me conosciuto è Vacancy, che peraltro devo ancora vedere.
Danny Trejo interpreta il messicano Cuchillo. Dopo averlo visto in un numero sterminato di film sono arrivata ad amare questo meraviglioso caratterista. Peccato solo che le sue comparsate durino pochissimo, ma non disperiamo: sta per arrivare il tamarrissimo Machete, e lui lì dovrà esserci dall’inizio alla fine del film visto che ne è il protagonista!! Comunque se volete gustarvi le performance dell’attore californiano guardatevi L’alieno (che peraltro è anche un film bellissimo), Desperado, Heat – La sfida, il meraviglioso Dal tramonto all’alba (e i due seguiti Dal tramonto all’alba: sesso, sangue e denaro e Dal tramonto all’alba: la figlia del boia), Anaconda, Con Air, Sei giorni sette notti, Animal Factory, Spy Kids (dove interpreta già Machete, così come nei seguiti Spy Kids 2 – L’isola dei sogni perduti e Missione 3D – Game Over), il bellissimo corto Beat the Devil, C’era una volta in Messico, Anchormen: The legend of Ron Burgundy, All Saints Day: Dia de los muertos, La casa del diavolo e Halloween: The Beginning. Ha lavorato anche parecchio per la TV, come testimoniano episodi di Baywatch, NYPD, Walker Texas Ranger, X – Files, Alias e persino Desperate Housewives. Californiano, ha 66 anni e la bellezza di 17 film in uscita. Chiù Trejo pè tutti!!
Adrien Brody interpreta l’odioso Royce. Ultimamente questo attore bravissimo (ha vinto persino un Oscar come migliore attore protagonista per Il pianista) dev’essere impazzito, perché un tempo si dedicava a cazzutissimi ed indipendenti film d’autore, ora si butta via con schifezzuole assortite. Lo ricordo per film come Assassini nati, La sottile linea rossa, Summer of Sam, Bread & Roses, L’intrigo della collana, The Village, King Kong, Il treno per il Darjeeling e due pellicole che ancora aspetto di vedere, il deludente Giallo di Dario Argento e l’ispirevole Splice di Vincenzo Natali; ha inoltre prestato la voce per The Fantastic Mr. Fox. Newyorchese, ha 37 anni e cinque film in uscita.
Laurence Fishburne interpreta il sopravvissuto Noland. Universalmente conosciuto come il Morpheus della trilogia di Matrix, questo attore ha partecipato anche a film come Apocalypse Now, Il giustiziere della notte 2, Rusty il selvaggio, Il colore viola, Nightmare III – i guerrieri del sogno, Danko, King of New York, Othello, lo splendido Mystic River e Mission: Impossibile 3, inoltre ha doppiato Osmosis Jones e TMNT, mentre in tv lo troviamo ospite quasi fisso di CSI Scena del crimine, nonché in vari episodi di MASH, Miami Vice, CSI NY e CSI Miami. Americano, ha 49 anni e due film in uscita.
Topher Grace interpreta il dottorino Edwin. Diventato famoso per il ruolo di protagonista nell’ingiustamente sottovalutata sit-com That’s 70’s Show, lo ricordo in film come Traffic e Spiderman 3. Ha inoltre doppiato la versione americana del Pinocchio di Benigni (da la voce a Lucignolo) e un episodio de I Simpson. Newyorchese, ha 32 anni e tre film in uscita.
Tra gli altri attori presenti segnalo un Derek Mears, già novello Jason nel reboot di Venerdì 13 e qui nascosto da strati e strati di lattice e rasta, nei panni del Predator prigioniero dei suoi simili. Il film sarebbe stato sicuramente più interessante e “Rodrigueziano” se nel ruolo di Royce fossero stati presi Josh Brolin o Freddy Rodriguez, assieme al reduce di Lost, Jeff Fahey, nel ruolo di Noland (cast molto simile a quello di Planet Terror!), e anche se il cameo di Schwarzenegger non fosse stato tagliato dallo script, visto che il buon Arnie, a quanto pare, non ne ha voluto sapere. Comunque, piuttosto che spendere dei soldi inutili per vedere questo Predators, guardatevi l’originale Predator del 1987 e, se volete rimanere nel mood “duri e mitici” degli anni ’80, cercate il primo Rambo. E ora vi lascio all'ingannevole trailer... ENJOY!
La trama: un gruppo di militari, assassini, mercenari con dottorino al seguito vengono scaraventati su un pianeta, senza sapere bene perché o percome. Quando cominciano a spuntare alieni rasta in ogni dove, i malcapitati capiscono di essere diventati prede in una caccia che dura da tempo immemorabile…
Parliamoci chiaro. Il mondo, e soprattutto l’America, sarebbe un posto migliore se Schwarzenegger fosse rimasto a fare film invece di impelagarsi in politica. Perché l’ex Mister Universo è un’icona degli anni ottanta, più simpatico di Stallone, più tamarro di Chuck Norris, più bello di Steven Siegal e poi, diciamocela tutta, i film che gli cucivano addosso erano praticamente perfetti nella loro assurdità. Non faceva eccezione Predator che, con due effetti speciali in croce, riusciva a mettere addosso un’ansia inaudita e a rendere il buon Schwarzy ancora più “cool” di quanto non fosse in altri film. Cosa che, purtroppo, non riesce a questo Predators, nonostante i meravigliosi effetti speciali del divino Nicotero e ad un’accozzaglia di attori di tutto rispetto. Per carità, qualche attimo di tensione c’è e almeno un personaggio è azzeccatissimo, senza contare che c’è anche qualche apprezzabile citazione del capostipite, ma la cosa finisce lì.
A dire il vero quello che rimane alla fine di Predators è un senso di spreco e di presa per il culo commerciale. Non tanto per la trama assurda, quella ci può stare: ciò che nel primo film accadeva in Amazzonia, se non sbaglio, nel nuovo capitolo si trasferisce in un pianeta che sta a metà strada tra l’isola di Lost e Pandora, e pazienza se non sapremo mai come tutti i personaggi siano finiti lì e come siano stati strappati alle loro attività. Pazienza anche se tutti, tranne il povero sfigato che si spetascia al suolo in un trionfo di budella all’inizio (l’unico personaggio ad avere avuto una reazione credibile), mostrano al massimo una blanda sorpresa nel ritrovarsi in caduta libera e su un pianeta sconosciuto. Però l’80% dei protagonisti viene sfruttato malissimo, Danny Trejo in primis, e in aggiunta sono tutti detestabili: Adrien Brody può essersi pompato come un novello Mister Muscolo, ma sicuramente non ha il phisique du role che aveva Schwarzy (non a caso non gli riesce nemmeno il trucchetto del fango…), Laurence Fishburne si palesa in un cameo che vorrebbe fare quasi il verso all’alienato Kurtz di Apocalypse Now ma lascia basiti per quanto è trash… ma mai trash, ovviamente, come la figura dello Yakuza, che vorrebbe strizzare l’occhio al diffuso amore cinematografico per l’arte delle lame giapponesi e che ci regala un duello tra katana e Predator a dir poco deprimente. Gli unici che si salvano sono Topher Grace, con il suo dottore sfigato fino all’inverosimile, e Walton Goggins nei panni di un condannato a morte particolarmente esilarante. Il resto è carne da macello, e rimane solo da capire chi verrà masticato per primo dagli alieni: non sbattetevi però, come abbiamo fatto io e la mia amica, a cercare una sequenza di morti che possa sorprendere, perché non si sono impegnati nemmeno in questo. Mi chiedo anche quale sceneggiatore possa aver deciso di infilare nel cast uno Spetsnaz (un membro dei corpi speciali russi) sentimentale e boccalone come quello che vediamo nel film: sarà che la prima volta che ho sentito questo termine è stato sulle pagine di Preacher, dove indicava un ex soldato talmente spietato da ricorrere anche al cannibalismo, ma insomma, quello di Predators ha il sembiante e la spina dorsale di Samvise Gamgee. Se dovessi dirla tutta, tra l’altro, anche gli alieni sono ormai talmente iconizzati da non fare nemmeno più paura. Cancelliamo il deludente film dalla memoria e andiamo avanti, verso l’infinito e oltre!
Nimród Antal è il regista della pellicola. Americano, trentasettenne, l’unico altro suo film a me conosciuto è Vacancy, che peraltro devo ancora vedere.
Danny Trejo interpreta il messicano Cuchillo. Dopo averlo visto in un numero sterminato di film sono arrivata ad amare questo meraviglioso caratterista. Peccato solo che le sue comparsate durino pochissimo, ma non disperiamo: sta per arrivare il tamarrissimo Machete, e lui lì dovrà esserci dall’inizio alla fine del film visto che ne è il protagonista!! Comunque se volete gustarvi le performance dell’attore californiano guardatevi L’alieno (che peraltro è anche un film bellissimo), Desperado, Heat – La sfida, il meraviglioso Dal tramonto all’alba (e i due seguiti Dal tramonto all’alba: sesso, sangue e denaro e Dal tramonto all’alba: la figlia del boia), Anaconda, Con Air, Sei giorni sette notti, Animal Factory, Spy Kids (dove interpreta già Machete, così come nei seguiti Spy Kids 2 – L’isola dei sogni perduti e Missione 3D – Game Over), il bellissimo corto Beat the Devil, C’era una volta in Messico, Anchormen: The legend of Ron Burgundy, All Saints Day: Dia de los muertos, La casa del diavolo e Halloween: The Beginning. Ha lavorato anche parecchio per la TV, come testimoniano episodi di Baywatch, NYPD, Walker Texas Ranger, X – Files, Alias e persino Desperate Housewives. Californiano, ha 66 anni e la bellezza di 17 film in uscita. Chiù Trejo pè tutti!!
Adrien Brody interpreta l’odioso Royce. Ultimamente questo attore bravissimo (ha vinto persino un Oscar come migliore attore protagonista per Il pianista) dev’essere impazzito, perché un tempo si dedicava a cazzutissimi ed indipendenti film d’autore, ora si butta via con schifezzuole assortite. Lo ricordo per film come Assassini nati, La sottile linea rossa, Summer of Sam, Bread & Roses, L’intrigo della collana, The Village, King Kong, Il treno per il Darjeeling e due pellicole che ancora aspetto di vedere, il deludente Giallo di Dario Argento e l’ispirevole Splice di Vincenzo Natali; ha inoltre prestato la voce per The Fantastic Mr. Fox. Newyorchese, ha 37 anni e cinque film in uscita.
Laurence Fishburne interpreta il sopravvissuto Noland. Universalmente conosciuto come il Morpheus della trilogia di Matrix, questo attore ha partecipato anche a film come Apocalypse Now, Il giustiziere della notte 2, Rusty il selvaggio, Il colore viola, Nightmare III – i guerrieri del sogno, Danko, King of New York, Othello, lo splendido Mystic River e Mission: Impossibile 3, inoltre ha doppiato Osmosis Jones e TMNT, mentre in tv lo troviamo ospite quasi fisso di CSI Scena del crimine, nonché in vari episodi di MASH, Miami Vice, CSI NY e CSI Miami. Americano, ha 49 anni e due film in uscita.
Topher Grace interpreta il dottorino Edwin. Diventato famoso per il ruolo di protagonista nell’ingiustamente sottovalutata sit-com That’s 70’s Show, lo ricordo in film come Traffic e Spiderman 3. Ha inoltre doppiato la versione americana del Pinocchio di Benigni (da la voce a Lucignolo) e un episodio de I Simpson. Newyorchese, ha 32 anni e tre film in uscita.
Tra gli altri attori presenti segnalo un Derek Mears, già novello Jason nel reboot di Venerdì 13 e qui nascosto da strati e strati di lattice e rasta, nei panni del Predator prigioniero dei suoi simili. Il film sarebbe stato sicuramente più interessante e “Rodrigueziano” se nel ruolo di Royce fossero stati presi Josh Brolin o Freddy Rodriguez, assieme al reduce di Lost, Jeff Fahey, nel ruolo di Noland (cast molto simile a quello di Planet Terror!), e anche se il cameo di Schwarzenegger non fosse stato tagliato dallo script, visto che il buon Arnie, a quanto pare, non ne ha voluto sapere. Comunque, piuttosto che spendere dei soldi inutili per vedere questo Predators, guardatevi l’originale Predator del 1987 e, se volete rimanere nel mood “duri e mitici” degli anni ’80, cercate il primo Rambo. E ora vi lascio all'ingannevole trailer... ENJOY!
Iscriviti a:
Commenti (Atom)