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martedì 22 ottobre 2024

Alien³ (1992)

Seguendo la challenge di Letterboxd, oggi avrei dovuto parlare di Alien - La clonazione, ma che senso avrebbe avuto guardarlo se prima non avessi rivisto Alien³, diretto nel 1992 dal regista David Fincher?


Trama: Ripley sopravvive a un atterraggio di fortuna sul pianeta-prigione Fiorina "Fury" 161 ma scopre che con lei è atterrato anche un alieno...


A dimostrazione di quanto la saga Alien non abbia mai fatto presa sulla mia coscienza di cinefila, neppure ora che, a 43 anni suonati, ne sto riguardando/recuperando i film, comincerò il post dicendo che Alien³ non mi è sembrato così aberrante rispetto ai suoi predecessori. Certo, la coerenza, la solidità che c'erano in Alien e Aliens - Scontro finale qui non si percepisce, ma come potrebbe? David Fincher era al suo primo lavoro importante e, tra ingerenze degli studios, cambi quotidiani di sceneggiatura, pressioni per finire di girare in tempo entro una data d'uscita già definita, è un miracolo che il regista non sia fuggito a gambe levate lasciando la produzione dopo mezza giornata. Tutto ciò ha riempito innanzitutto il film di incongruenze a livello di sceneggiatura e contribuito a rendere alcuni passaggi oscuri, per non parlare di un paio di personaggi che perdono o acquistano importanza apparentemente senza alcun senso, eppure l'atmosfera di tragico, ineluttabile nichilismo, che sarebbe poi esplosa nell'opera più famosa di Fincher, Seven, qui è palpabile fin dall'inizio. In Alien³ non c'è speranza per nessuno. Un potenziale nucleo familiare viene spazzato via con una spietatezza agghiacciante, un sentimento in boccio stroncato alla radice da fiotti di sangue, una flebile speranza di sopravvivenza viene consegnata a chi ne è privo da anni ma l'unica, reale fonte di salvezza e autodeterminazione è la morte. Una morte temuta, certo, ma chiesta più volte come dignitosa conclusione di una battaglia perduta a causa delle macchinazioni di chi non rispetta la vita umana e guarda solo ad uno squallido profitto. E' difficile, se non addirittura impossibile, affezionarsi ai detenuti di Fiorina 161, questo è certo, ma è altrettanto impossibile non amare la Ripley umanissima e stanca di Alien³, la fragilità che trasuda da una tempra d'acciaio ormai fiaccata da innumerevoli traumi, sia fisici che psicologici. Il film di Fincher non diverte mai, piuttosto angoscia per il suo "mai una gioia" reiterato, eppure lo trovo apprezzabile proprio per questo motivo, chiamatemi pazza.


In Alien³, poi, ho trovato quello che per me, al momento, è il miglior personaggio della saga, il medico "decaduto" Clemens di Charles Dance. Pacato, gentile, dotato di britannico aplomb e mai fuori posto (tranne in una scena, porca di quella miseria...), sarei stata ore a guardarlo e sentirlo raccontare la sua triste storia, aggrappandomi alla sciocca speranza di un happy ending che negli Alien in generale, e Alien³ in particolare, è più raro dell'ossigeno. Anzi, a dire il vero mi ha intrattenuto più l'elemento umano di quello alieno. Per quanto mi riguarda, infatti, il vero difetto di Alien³ è, innanzitutto, uno xenomorfo abbastanza orripilante, realizzato con effetti speciali che sembrano molto più vecchi di quelli utilizzati nel '79, poi uno scontro finale che a me è sembrato soporifero. Mai avrei pensato di addormentarmi guardando un Alien (soprattutto perché Alien³ è molto gore), eppure è successo, e l'ultima mezz'ora si è trasformata in un'ora di click sul tasto rewind del telecomando. Non so se è stata colpa dei setting tutti uguali, resi ancora più uggiosi da una cupa monocromia, se è un problema della regia inesperta, del montaggio o del sembiante assai simile dei vari detenuti (avendo ormai difficoltà a ricordare i nomi dei personaggi, l'unica speranza è avere personaggi interpretati da attori dal volto molto familiare, come quello di Pete Postlethwaite), ma prima del gran finale ammetto di essermi persa più volte, ben poco convinta dalla trappola architettata ai danni dello xeno-cane. So che del film esiste una "Assembly Cut", chiamata così perché Fincher, ancora rivoltato dall'esperienza a distanza di anni, si è rifiutato di rimettere mano al girato e ha dato via libera a chiunque volesse riproporlo senza tagli, e forse il modo migliore per fruire di Alien³ sarebbe guardarla prima di emettere giudizi, ma al momento sono a posto così e mi accontento di quanto di buono è rimasto nella versione che potete trovare su Disney +.


Del regista David Fincher ho già parlato QUI. Sigourney Weaver (Ripley), Charles S. Dutton (Dillon), Charles Dance (Clemens), Paul McGann (Golic), Ralph Brown (Aaron), Holt McCallany (Junior), Lance Henriksen (Bishop II) e Pete Postlethwaite (David) li trovate invece ai rispettivi link.


Richard E. Grant
aveva fatto il provino per il ruolo di Clemens, in quanto David Fincher è un grande fan di Shakespeare a colazione e avrebbe voluto riunire Grant a Paul McGann e Ralph Brown. La produzione, purtroppo, ha ritenuto l'attore troppo mite per l'ambiente carcerario e ha preferito dare il ruolo a Charles Dance. Ciò detto, se Alien³ vi fosse piaciuto, recuperate Alien, Aliens - Scontro finale, Alien - La clonazione, Prometheus e Alien: CovenantENJOY!  

mercoledì 4 settembre 2024

Aliens - Scontro finale (1986)

La challenge di oggi voleva un film degli anni '80 e ho scelto così Aliens - Scontro finale (Aliens), diretto e co-sceneggiato nel 1986 dal regista James Cameron e vincitore di tre premi Oscar: Migliori effetti speciali, Miglior colonna sonora originale, Miglior montaggio sonoro.


Trama: l'astronave di Ripley viene ritrovata e la donna viene svegliata dal sonno criogenico dopo più di 50 anni. Il ritorno sulla Terra risulta difficile, ma non quanto dover tornare sul planetoide dove il suo equipaggio era stato sterminato dall'alieno, ora trasformato in una colonia...


Avrò sicuramente già scritto che la saga di Alien non è tra le mie preferite e che, di conseguenza, avrò visto i film che la compongono solo una volta, al massimo un paio. Ciò vale anche per Aliens - Scontro finale, che ricordavo di aver visto intorno al 1997 e poi mai più, ispirata (non ridete) dalla cassetta X-Terror Files 2, che conteneva un riadattamento della colonna sonora inframezzato da alcuni degli iconici dialoghi, in primis il "Get away from her, you bitch!" finale. E' stato dunque come guardare un film inedito, completamente diverso dal predecessore, che invece avevo ancora ben fresco in mente. Aliens, a differenza di Alien, non è un horror ma un action di fantascienza, carico di quelle vibes anni '80 che tanto fanno andare in visibilio chi è figlio di quei tempi come me. Nonostante questo, è anche un film modernissimo, ovviamente. Ripley, che nel primo capitolo veniva fatta assurgere a protagonista in maniera inaspettata, dopo un primo atto passato quasi completamente nell'ombra, è il fulcro della storia fin dall'inizio, nonché baluardo contro tutto ciò che è all-american e testosteronico, dal capitalismo sfrenato che non guarda in faccia a nessuno per il profitto, ai fucili automatici più grossi di coloro che li impugnano. Ripley è l'estranea dell'equipaggio, con tutti i suoi traumi, le sue diffidenze e il suo carattere stundaio, ma nel giro di poco si guadagna il rispetto e la fiducia del gruppo di marine impegnati nella missione su LV-426. Questo perché Ripley, in questo film, non lotta per la sua salvare se stessa, bensì la piccola Newt, unica sopravvissuta alla mattanza degli alieni, e ciò la rende ancora più umana e fondamentale, così come rende Aliens meno freddo e, passatemi il termine, più "avventuroso" rispetto all'algido capolavoro di Ridley Scott. Come ho scritto sopra, sono due generi diversi, ed è inevitabile. Lo spettatore sa già cosa aspettarsi dai ferocissimi xenomorfi; la tensione non manca, così come non mancano un paio di scene schifosette, ma gli alieni sono meno subdoli e più diretti, Cameron punta tutto su un gran dispendio di armi ed esplosioni, con un confronto col "boss finale" che risulta in uno scontro fisico tra titani e tra due tipi di istinto materno, diversi ma speculari.


Chi, come me, non è legato alla saga ma ha guardato da poco Avatar, si potrà divertire a trovare già in questo Aliens embrioni di un sacco di armi, armature, equipaggiamenti e personaggi, se ci fosse ancora bisogno di testimoniare la genialità di James Cameron e la modernità del suo spettacolare modo di fare cinema. Non a caso, gli effetti speciali reggono alla perfezione l'usura del tempo. Nell'Alien di Ridley Scott sembrava tutto, volutamente, già vecchio e squallido, Aliens rende invece protagonisti complicati ma funzionali esempi di ingegno umano (che nulla possono contro gli xenomorfi, ma questo è un altro discorso) e, dal momento in cui compaiono gli alieni titolari, è impossibile non rimanere a fissare lo schermo a bocca aperta. A proposito degli alieni, è impressionante il loro attacco ed è impressionante il loro realismo sia nelle inquadrature ravvicinate sia quando brulicano addosso ai poveri marine, per non parlare della terrificante "madre" annidata in una delle scenografie più genuinamente raccapriccianti della storia del cinema; se già lo xenomorfo del primo Alien aveva una sua perversa personalità, la Regina è un incubo gigante di tremenda intelligenza, un inarrestabile concentrato di odio che, da sola, decreta la superiorità degli effetti pratici su qualunque frutto della grafica computerizzata. E anche il cast, ovviamente, ha buona parte del merito della riuscita di Aliens. Sigourney Weaver è sempre iconica e il suo personaggio si arricchisce di ulteriore profondità grazie al legame, tenero e credibile, con la piccola Newt, ma gente come Lance Henriksen, Bill Paxton e Jenette Goldstein sono le ciliegine sulla torta di un parterre di marine indimenticabile, benché sfortunato, e non lo dico solo perché, grazie a questo film, è stato realizzato quel trionfo di Il buio si avvicina. Per l'ennesima volta, la challenge horror (anche se Aliens - Scontro finale di horror ha poco o nulla) mi ha dato delle gioie e mi ha spinta a riguardare un film che, nella mia pigrizia, non sarei riuscita a recuperare nemmeno con l'uscita di Romulus, cosa che invece ha fatto Lucia, con la sua bella rassegna che vi invito a leggere, perché scritta con competenza e passione, a differenza di questo post. D'altronde, sono scoppiata a ridere pensando a Cartman nel momento esatto in cui Newt ha detto "Molto spesso vengono di notte. Molto spesso", quindi sono proprio una brutta persona. 
 

Del regista e co-sceneggiatore James Cameron ho già parlato QUI. Sigourney Weaver (Ripley), Michael Biehn (Hicks), Lance Henriksen (Bishop), Bill Paxton (Hudson), William Hope (Gorman), Jenette Goldstein (Vasquez) e Mark Rolston (Drake) li trovate invece ai rispettivi link. 

Paul Reiser interpreta Burke. Americano, lo ricordo per film come Beverly Hills Cop - Un piedipiatti a Beverly Hills, Beverly Hills Cop II - Un piedipiatti a Beverly Hills II, Bella, bionda... e dice sempre sì, Storia di noi due, Dietro i candelabri, Whiplash, The Darkness e serie quali Innamorati pazzi, The Boys e Stranger Things. Anche sceneggiatore e produttore, ha 68 anni e un film in uscita, inoltre tornerà nell'ultima stagione di Stranger Things


Stephen Lang aveva fatto l'audizione per i ruoli di Burke e Hicks, mentre per quanto riguarda Bill Paxton c'è stato il serio rischio di vederlo come Zed in Scuola di polizia 2: Prima missione e per fortuna ha preferito accettare la parte di Hudson o non avremmo mai avuto Bobcat Goldthwait! Per brindare allo scampato pericolo, recuperate AlienAlien 3, Alien - La clonazione, Prometheus, e Alien: Covenant. ENJOY!  



venerdì 26 luglio 2024

Pumpkinhead (1988)

La challenge di oggi prevedeva di scegliere l'horror solo in base all'ispirazione della locandina. Ecco perché ho scelto Pumpkinhead, diretto nel 1988 dal regista Stan Winston.


Trama: dopo la morte del figlioletto, Ed decide di vendicarsi evocando un terribile demone che non fa distinzione tra colpevoli e innocenti...


La fine degli anni '80 era, evidentemente, il periodo degli horror in cui morivano dolci frugoli biondi il cui destino infingardo scatenava tragedie ancor più grandi. Il dolore annulla il giudizio, non c'è nulla da fare, e se Louis Creed decideva di andare contro la morte stessa pur di riavere indietro il piccolo Gage, con conseguenze che ben sappiamo, Ed Harley si "accontenta" di esigere furiosa vendetta contro gli scappati di casa che gli hanno investito il figlio, ma il risultato per entrambi è la perdita dell'anima e dell'umanità. Il veicolo della vendetta di Ed è Pumpkinhead, creatura nominata in una poesia di Ed Justin che funge da canovaccio per la storia raccontata nel film: Pumpkinhead è cattivo e, soprattutto, spietato, "la vendetta è un divertimento che persegue con passione", senza mai stancarsi o dimenticare, e non ci sono porte o finestre sprangate, né cani da guardia che lo tengano lontano dal suo obiettivo. A fare le spese di queste caratteristiche sono un branco di giovinastri con le marmitte scureggianti, a onor del vero meno cattivi di altri loro emuli cinematografici. L'unico che meriterebbe di venire appeso per le palle è l'esecutore materiale dell'investimento in moto, gli altri, più o meno, tentano di aiutare il bambino morente e, miracolo dei miracoli, non fuggono dalle loro responsabilità. L'unica loro colpa, in realtà, è di non avere la spina dorsale di prendere e saccagnare di botte il bulletto del gruppo, ma cosa può importare ad un padre reso folle dalla perdita? Nulla, infatti il dramma umano è interamente di Ed, vero fulcro della vicenda e personaggio stundaio, sì, ma col quale si simpatizza fino alla fine anche in virtù della sua capacità di spiccare all'interno di una comunità di campagnolassi stereotipati e fuori dal tempo (a farmi terrore, più di Pumpkinhead, è stata la vista di quei bambinelli sporchi e promiscui che gridano "inbred" in ogni fotogramma!). E poi, lo interpreta Lance Henriksen, quindi di cosa stiamo parlando?


Lance Henriksen
, per l'appunto, ci mette del suo e ha il physique du rol per interpretare un uomo duro, ai margini della società, sempre un po' a braccetto con quella follia che esplode nel momento in cui Ed sceglie di chiedere aiuto alla megera del paese e disseppellire l'orrido Pumpkinhead, che è poi la cosa splendida del film. Stan Winston è uno dei pochi, veri re degli effetti speciali, e in realtà gli era stato chiesto di partecipare alla pellicola in tal veste, ma si è entusiasmato così tanto che ha deciso di dirigerla e affidare la realizzazione della creatura ai tecnici del suo laboratorio. Questi ultimi hanno lavorato benissimo. Figlio illegittimo di uno xenomorfo e un demone, Pumpkinhead è uno splendore tangibile, non teme le sequenze in cui si vede a figura intera, chiaro come il sole, e neppure i primi piani, tanto è ben realizzato; trucchi prostetici, attori versatili, trampoli e arti mossi da tecnici nascosti fanno miracoli e mandano tranquillamente al diavolo la CGI posticcia a cui siamo abituati oggi, incapace di veicolare quel terrore fisico che è appannaggio esclusivo degli effetti speciali artigianali. Ecco perché, nonostante la presenza di attori secondari un po' (tanto) cani e qualche incertezza a livello di regia e ritmo, Pumpkinhead risulta tuttora un film divertente e pauroso, con parecchie scene goduriose non soltanto per il gore ma anche per l'ottima ambientazione rurale e la suggestiva rappresentazione della vecchia strega Haggis e della sua catapecchia sperduta nei boschi. In Italia, chissà perché, questo film non è mai arrivato, ma recuperatelo se ne avete occasione, è ottimo non solo sotto Halloween ma anche per le calde serate estive!  


Di Lance Henriksen (Ed Harley) e George 'Buck' Flower (Mr. Wallace) ho parlato ai rispettivi link. 

Stan Winston è il regista della pellicola. Americano, principalmente conosciuto come truccatore e tecnico degli effetti speciali (Ha vinto quattro Oscar, uno per gli effetti speciali di Aliens - Scontro finale, uno per gli effetti speciali e uno per il trucco di  Terminator 2 - Il giorno del giudizio, uno per gli effetti speciali di Jurassic Park), ha diretto un altro lungometraggio, Lo gnomo e il poliziotto. Anche produttore, assistente regista, scenografo, attore sceneggiatore e costumista, è morto nel 2008, all'età di 62 anni.


La Amy di The Big Bang Theory, l'attrice Mayim Bialik, compare bambina nei panni di una dei figli di Mr. Wallace. Il film ha generato tre seguiti, che non ho mai visto: Pumpkinhead II: Blood Wings, Ceneri alle ceneri - Pumpkinhead 3 e Faida di sangue - Pumpkinhead 4. Se Pumpkinhead vi fosse piaciuto recuperateli! ENJOY!

lunedì 8 luglio 2024

Il buio si avvicina (1987)

La challenge horror oggi voleva un film diretto da una donna. Ho così scelto Il buio si avvicina (Near Dark), diretto e co-sceneggiato nel 1987 dalla regista Kathryn Bigelow.


Trama: una notte, il giovane Caleb incontra Mae e se ne invaghisce. Finito l'appuntamento, invece di baciarlo, la ragazza lo morde e lo trasforma in un vampiro...


Mi vergogno molto ma, nonostante ami l'horror e i vampiri, non avevo mai visto Il buio si avvicina. Forse non lo passavano a Notte Horror né in TV, forse non aveva una locandina abbastanza accattivante da attirare la mia attenzione nel video noleggio, fatto sta che l'ho recuperato solo alla mia veneranda età. E quanto mi è piaciuto. Ne hanno già scritto fior di elogi persone ben più competenti di me, quindi probabilmente non dirò nulla di nuovo ma almeno colmerò la lacuna sul blog. Il buio si avvicina è un'opera molto avanti per il suo tempo, in quanto rilettura del mito del vampiro in chiave western, con una bella spruzzata di road movie tanto per gradire. Adesso siamo abituati a vedere vampiri in tutte le salse, ma indubbiamente alla fine degli anni '80 poteva fare strano già solo che la parola "vampiro" non venisse nominata, così come la maggior parte dei cliché che, nel bene o nel male, ne caratterizzano la figura fin dai tempi di Bram Stoker. Via aglio e croci, dunque, ma via anche le zanne, i pipistrelli, la nebbia e la nobiltà, rimangono solo la vulnerabilità al sole e la necessità di nutrirsi di sangue per sopravvivere, come scopre suo malgrado Caleb dopo aver sperato di combinare qualcosa con la bionda Mae. Quest'ultima, vuoi perché inesperta o chissà per quale altro motivo, invece di uccidere Caleb dopo averlo morso lascia che si trasformi in vampiro e lo introduce alla sua strana famiglia. Qui c'è l'altra bella novità de Il buio si avvicina, che non si concentra su una stantia e banale storiella d'amore adolescenziale, ma racconta di un ragazzo diviso tra due mondi, tra l'affetto e la fascinazione per la ragazza che lo ha condannato a una sanguinaria vita notturna e l'amore profondo per il padre e la sorellina. Naturalmente, noi spettatori tifiamo per Caleb e speriamo possa diventare un vampiro "di successo" senza perdere i suoi legami di sangue, ma arriviamo a volere bene anche al quartetto di vampiri che lo accolgono con riluttanza, ognuno più carismatico dell'altro (tranne, paradossalmente, Mae), in virtù del profondo rapporto di affetto e cameratismo che intercorre tra loro. E' un po' quello che sarebbe successo decenni dopo con Rob Zombie e i suoi Devil's Rejects (quel contorto meccanismo per cui non importa quanto abietti siano i personaggi, se fra loro c'è coesione e affetto, anche solo per la necessità di proteggersi da un mondo dal loro punto di vista ostile e incapace di comprenderli o accettarli) ed è un escamotage narrativo che riesce a ben pochi autori, perché il rischio è quello di non trovare il giusto equilibrio, cosa che in effetti è accaduta con 3 From Hell, sempre di Zombie, mentre qui funziona alla stragrande.


Merito di Kathryn Bigelow, al suo primo film come unica regista dietro la macchina da presa e al secondo come co-sceneggiatrice, ma già dotata di idee molto chiare sia a livello di tematiche da esplorare, sia per quanto riguarda le sequenze: alcune di esse sono assai spettacolari, anche grazie a un'ottima fotografia che illumina la notte (come nei dialoghi messi in bocca a Mae) e a un montaggio fluido e dinamico, e la mia preferita è di sicuro quella del raid al motel, trasformato in una trappola mortale talmente fragile che sembra fatta di carta. Il buio si avvicina ha anche il merito di rendere affascinanti personaggi brutti, sporchi e cattivi, distanti dall'iconografia fighètta del vampiro e più vicini all'immagine che potrebbero offrire dei drogati o dei senzatetto. Per quanto il sembiante del "piccolo" Homer mi repella un po', ci sono momenti in cui si prova pena per l'attaccamento morboso che arriva a provare per Sarah, mentre Lance Henriksen e Jenette Goldstein trasudano un tale carisma che è difficile non accettarli come pacati ma pericolosi capifamiglia dall'esperienza centenaria. Così come, da amante del Preacher di Ennis, è stato matematicamente impossibile, per me, non impazzire per il Severen di Bill Paxton, personaggio nel quale ho ritrovato ben più di un aspetto dell'adorato Cassidy (ma, in generale, l'intera saga di Preacher e buona parte del design dei personaggi e dei setting mi è sembrata debitrice de Il buio si avvicina); contemporaneamente disgustoso e sexyssimo, Bill Paxton è una mina vagante che surclassa il protagonista un po' bietolone, e probabilmente al giorno d'oggi Severen si beccherebbe tanti di quelli spin-off da fare la fortuna della Bigelow. Ahimé, così non è stato negli anni '80, quando Il buio si avvicina è stato surclassato da Ragazzi perduti e dalle sue atmosfere un po' più commerciali e "facili", ma se date retta a me il film di Schumacher non è nemmeno degno di allacciare le scarpe a quello della Bigelow. Anzi, considerato anche quanto sono rimasta stupita di fronte a un'inaspettato twist, direi che Il buio si avvicina non ha perso di freschezza nemmeno dopo tutto questo tempo, tanto da finire dritto tra i miei film vampirici preferiti, assieme a un altro film che, a mio avviso, gli deve moltissimo, Vampires. Meglio tardi che mai!!


Della regista e co-sceneggiatrice Kathryn Bigelow ho già parlato QUI. Lance Henriksen (Jesse Hooker), Bill Paxton (Severen), Joshua John Miller (Homer) e Troy Evans (poliziotto in borghese) li trovate invece ai rispettivi link.

Adrian Pasdar interpreta Caleb Colton. Per me quest'uomo sarà sempre Nathan Petrelli della serie Heroes, ma ha partecipato a film come Top Gun, Carlito's Way, L'esorcismo - L'ultimo atto e ad altre serie quali Oltre i limiti, Desperate Housewives e Agents of S.H.I.E.L.D.; come doppiatore, ha lavorato in Phineas e Ferb. Americano, anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 66 anni. 


Jenette Goldstein
interpreta Diamondback. Americana, ha partecipato a film come Aliens - Scontro finale, Arma letale 2, Terminator 2 - Il giorno del giudizio, Titanic, Paura e delirio a Las Vegas e a serie come MacGyver, E.R. Medici in prima linea, Six Feet Under, Alias e 24. Ha 64 anni. 


Se Il buio si avvicina vi fosse piaciuto recuperate Ragazzi perduti e VampiresENJOY!

martedì 14 maggio 2024

Bolla Loves Bruno: Il colore della notte (1994)

La rubrica dedicata a Bruno rallenta, come sempre, ma non si ferma! Oggi parliamo di Il colore della notte (Color of Night), diretto nel 1994 dal regista Richard Rush.


Trama: dopo avere assistito al suicidio di una sua paziente, lo psichiatra Bill Capa si trasferisce a Los Angeles da un collega, che viene ucciso di lì a poco da un killer sconosciuto. Senza volerlo, Capa si ritrova coinvolto nelle indagini, e nella torrida relazione con una misteriosa ragazza...


Mamma mia. Il colore della notte era un film che temevo, pur non avendolo mai visto, in quanto i thriller erotici che andavano di moda negli anni '90 erano spesso delle schifezze colossali senza capo né coda. In più, Il colore della notte ha il non trascurabile difetto di essere stato massacrato da un produttore che è riuscito a renderlo più brutto ed arzigogolato, là dove la versione del regista sembrava essere molto più centrata, almeno per quanto riguarda il personaggio interpretato da Jane March, ma anche più popporno. A onor del vero, io ho visto la versione da 139 minuti e tutta questa bellezza e centratezza in più non l'ho vista. In compenso, ci sono quelle scene di scopate gratuite e per nulla sensuali che sono ciò che detesto di questo genere di film, a prescindere da quanto possa essere godibile (come in questo caso) vedere Bruce Willis nudo che sfodera il suo attrezzo in piscina e i segni dell'abbronzatura sotto la doccia. Senza fare troppi spoiler, ché Il colore della notte è un thriller, vediamo perché l'ho trovato incredibilmente cretino e schizofrenico. Bruce Willis è uno psichiatra che perde la fiducia in se stesso e diventa incapace di riconoscere il colore rosso (!!) dopo che una sua paziente (la quale all'inizio viene mostrata praticare fellatio sia a un rossetto che a una pistola, così, debbotto, in una delle scene introduttive peggiori di sempre) gli si suicida davanti, buttandosi da un grattacielo. Taglio su Bill Capa, così si chiama lo psichiatra, che per riprendersi decide di andare a L.A. da un collega con tanti di quei soldi da avere una villa e uno studio allucinanti, sui quali poi tornerò. Il collega, che ogni settimana gestisce un gruppo d'incontro frequentato dai peggio matti della zona, riceve da mesi minacce di morte e, dai che ti ridai, un bel giorno viene ucciso. Ora, una persona normale sarebbe tornata a New York, invece Bill Capa si stabilisce nella villa dell'amico, gli usa le macchine, i vestiti e si prende in carico il gruppo di schizzati, in mezzo ai quali si nasconde, presumibilmente, il killer. Qui mi taccio, perché un minimo di divertimento nello scoprire chi ha fatto fuori lo psichiatra fighètto in effetti ci sarebbe. Peccato che, tra un'indagine e l'altra, Capa si invaghisca di una sgallettata subito dopo essere stato tamponato da costei e, da quel momento, il film diventi la sagra della scopata. Ora, il personaggio di Jane March non è inutile ai fini della trama, ma la sceneggiatura è palesemente scritta da due uomini alle prime armi che ambivano a mettere su schermo le banali fantasie sessuali del maschio medio, perché Rose non ha un pregio che sia uno, a parte quello di essere porca.


Bill e Rose si innamorano dopo cinque minuti. Il perché, non è dato sapere. Cioè, è comprensibile che Bill perda la testa per una che gli si offre al primo incontro e che, dopo la prima giornata di sesso (non si può parlare di notte, visto che questa arriva già senza mutande - giuro! - per colazione e se ne va la sera), non faccia altro che cucinare nuda, ma lei perché dovrebbe innamorarsi al punto da "cambiare"? Solo perché lui, ogni volta che la vede, si mette a narrare con fare sognante le azioni di Rose (giuro, lo fa)? Perché, in effetti, è Bruce Willis quindi figo a prescindere? Perché non l'ha scassata di mazzate dopo averlo prima tamponato e poi dichiarato innocentemente di non avere la patente? Comunque, questo è quanto, la struttura del film è: un passo avanti nelle indagini, una scopata, un momento in cui Capa si pente di non essersi fatto i fatti suoi, una scopata, un passo avanti, una scopata. Il tutto, con i riflettori puntati su un'attrice, Jane March, non solo cagna (il che è un problema visto che le viene richiesta un'abilità camaleontica) ma nemmeno dotata di bellezza e sensualità eccelse. Per fortuna, ci sono i matti. Trattati, ovviamente, come ci si aspetterebbe da un film simile, ovvero senza nessuna pretesa di empatia (salvo un momento stranamente serio, dedicato al personaggio interpretato da Lance Henriksen) o verosimiglianza, ma solo come un branco di mine vaganti pronte ad esplodere in faccia a Capa. Vederli interagire tra loro, snocciolando piccoli segreti potenzialmente incriminanti, e gettare uno sguardo nelle loro folli vite, è più pertinente rispetto alle infinite performance sessuali di Capa e Rose; in più, Brad Dourif si mangia il resto del cast appena sgrana gli occhi e lo stesso vale per Lesley Ann Warren, incredibilmente sopra le righe, anche se mai quanto Rubén Blades, il cui investigatore è la cosa più improbabile di tutta la pellicola, oltre che la più esilarante. Anzi, no. La cosa più improbabile de Il colore della notte sono la villa e lo studio di Bob Moore, un trionfo di ostentazione pacchiana, arricchite da elementi ripresi dalle cattedrali gotiche. Probabilmente, nelle intenzioni di Richard Rush, scenografie simili dovevano dare un tocco originale ed autoriale a Il colore della notte, così come alcuni particolari bizzarri all'interno delle inquadrature; per quanto mi riguarda, hanno solo alimentato la sensazione di incredula ilarità che mi ha accompagnata per tutta la durata di un film che depennerei tranquillamente dalla filmografia di un Bruce Willis in declino che, grazie a Tarantino, avrebbe di lì a poco iniziato il suo ritorno in grande stile. 
 

Di Bruce Willis (Bill Capa), Rubén Blades (Martinez), Scott Bakula (Bob Moore), Brad Dourif (Clark), Lance Henriksen (Buck), Eriq La Salle (Anderson) e Shirley Knight (Edith Niedelmeyer) ho già parlato ai rispettivi link.

Richard Rush è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Professione pericolo. Anche sceneggiatore, produttore e attore, è morto nel 2021 all'età di 92 anni.


Lesley Ann Warren
interpreta Sondra. Americana, la ricordo per film come Victor/Victoria e Signori, il delitto è servito ; inoltre, ha partecipato a serie quali Missione impossibile, Colombo, Will & Grace, Desperate Housewives e Daredevil. Anche produttrice, ha 78 anni e due film in uscita. 


Jane March
era stata scelta in quanto reduce dal successo internazionale del suo primo film, L'amante, ma giustamente ha fatto, in seguito, ben poca carriera. Se Il colore della notte vi fosse piaciuto potete andare qui e recuperare tutta una serie di film simili più o meno riusciti. ENJOY!

venerdì 2 febbraio 2018

Mom and Dad (2017)

Siccome Nicolas Cage mancava da un po' su questi lidi (da un anno. Non si può, su), è arrivato pronto il richiamo di Lucia, la quale mi ha espressamente consigliato di recuperare Mom and Dad, diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista Brian Taylor.


Trama: per qualche motivo sconosciuto (probabilmente un impulso inserito nei segnali radiotelevisivi) i genitori cominciano ad attaccare i propri figli e ucciderli, dando così voce alle frustrazioni accumulate in anni di paziente sopportazione...


Mom and Dad è uno degli horror più divertenti che potrete vedere quest'anno, ed è quasi un peccato. Da un'idea così cattiva, ovvero quella dei genitori che perdono ogni istinto di protezione verso i figli sostituendolo con un intento omicida altrettanto forte, poteva uscire un film truce, malato ed inquietante ai livelli di The Children ma mi rendo conto che probabilmente sul mercato americano una cosa simile non sarebbe neppure mai stata distribuita (se qualche regista europeo illuminato mi leggesse, però...). Qui, a dire il vero, qualche sequenza che testimonia ciò che avrebbe potuto diventare Mom and Dad c'è, e parlo dell'angosciantissima scena ambientata in sala parto, per il resto il sangue non scorre nemmeno troppo copioso e c'è quasi vergogna a mostrare il mostrabile, con Brian Taylor che preferisce tagliare prima che lo spettatore possa assistere alle terribili vendette dei genitori vessati, per concentrarsi piuttosto sui loro sguardi predatori e lasciare libero sfogo all'immaginazione del pubblico. Con quest'ultimo si viene a creare un gioco di complicità a prescindere dall'età anagrafica: un adolescente probabilmente si divertirà a tifare per i giovani Carly e Josh apprezzando un paio di trovate "difensive" e sperando di sfogare sui genitori immaginari la voglia di far del male ai propri, rei di non avere magari sborsato soldi per il cellulare all'ultimo grido, mentre gli ultratrentenni con prole passeranno il tempo ad ingoiare le amare lacrime derivanti dalla consapevolezza che i migliori anni della loro vita sono già andati e non torneranno più, consacrati al bene di frugoletti che ERANO carini, ma sono diventati dei mostri ingrati dopo averli privati dell'identità e resi, semplicemente, mamma e papà. Punto. Quindi, se avete figli e siete nel pieno di una crisi di mezza età non guardate questo film o vi verranno sicuramente degli istinti omicidi (a me, per esempio, si è prosciugato il già scarso istinto materno, va che roba!), anche perché il maledetto Brian Taylor alterna azione horror ad una serie di flashback di indicibile amarezza, dove mamma Selma Blair e papà Nicolas Cage rimpiangono i bei tempi e picchiano di naso contro il muro della triste realtà che li vuole ormai finiti, vecchi brutti e scionchi (come diceva la compianta Anna Marchesini e comunque per quanto possa esserlo Selma Blair, of course).


Un intero paragrafo e ho solo NOMINATO Nicolas Cage? Sono malvagia, lo so, ma qui bisogna creare suspance perché lo so che state leggendo il post solo per lui. Ebbene, Nicolas Cage in questo film è MERAVIGLIOSAMENTE Cageano, al punto di farmi tornare per un attimo ai bei tempi di Stress da vampiro. In effetti l'unico vero difetto di Mom and Dad è "solo" che Cage non compare in ogni scena ad allietare lo spettatore con la sua interpretazione talmente sopra le righe che a un certo punto le righe ci hanno rinunciato e se ne sono andate. Se Selma Blair trasforma mammà in un'assassina suadente ed infida, Cage la butta proprio in caciara tra urla belluine, occhi strabuzzati e pianti a dirotto tali che il Jack Torrance di Nicholson al confronto è l'emblema dell'aplomb inglese. Diciamo che Cage sceglie la mancanza di misura anche nei flashback, interpretando un padre psicopatico già in partenza, vittima di una crisi di mezza età devastante, inquietante persino quando dialoga amabilmente col figlioletto di otto anni, ammazzandosi di birra e inserendo qui e là una serie pressoché infinita di fuck tanto per completezza (però pussy non si può dire. Bad daddy.) ma la punta di diamante di Mom and Dad è una scena interamente imperniata su una livella e un tavolo da biliardo. Di più non mi sento di dire ma TEMO che la sequenza in questione sia già diventata il momento (s)cult dell'anno, dal quale non mi riprenderò per parecchio tempo. Ah, poi a un certo punto arriva Lance Henriksen e la situazione degenera, trascinando Cage per i capell... ehm, vabbé, ci siamo capiti, verso nuovi scampoli di assenza ed ulteriori picchi di ilarità. Peccato per il taglio brusco sul finale, sarei rimasta ipnotizzata a contemplare il mio amato Nicolas più o meno per altre tre ore, invece il film ne dura solo una e mezza. Che sadness. Non resta che aspettare Mandy, dove a quanto pare sangue e follia cageana non mancheranno (dal sito VultureWhat is the Nicolas Cage movie Mandy like? Well, it involves bikers, screaming, blood, battle axes, aliens, and more screaming - Com'è il film Mandy, con Nicolas Cage? Beh, ci sono motociclisti, urla, sangue, asce, alieni e ancora urla -). Sto già sbavando.


Di Nicolas Cage (Brent Ryan), Selma Blair (Kendall Ryan), Lance Henriksen (Mel) e Rachel Melvin (Jeanne) ho già parlato ai rispettivi link.

Brian Taylor è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Crank, Crank: High Voltage e Ghost Rider - Spirito di vendetta ed è anche produttore e attore.


Se Mom and Dad vi fosse piaciuto recuperate il già citato The Children e Cooties. ENJOY!

Come si fa a non amarlo? <3

mercoledì 21 ottobre 2015

Stung (2015)

Siccome amo notoriamente farmi del male, potevo forse perdermi Stung, horror diretto dal regista Benni Diez? No, ovviamente no.


Trama: durante una festa gli invitati vengono assaliti da uno sciame di enormi vespe che non si limitano a pungere le loro vittime ma le trasformano in qualcosa di ancor più terribile...



Dovete sapere che io ho il terrore di api, vespe, calabroni neri e rossi e che questi orridi esseri ricambiano la mia paura aggredendomi anche quando fingo di non vederli o mi chiudo a pangolino per scomparire dalla loro vista; alle elementari mi era addirittura capitato di finire nel bel mezzo di una "sciamatura" assieme a due amichette e, mentre loro sono rimaste annichilite alla vista di migliaia di api che le circondavano, io ho fatto dietrofront battendo il record di Bolt prima di spalmarmi sull'asfalto della via principale e attraversare la strada A GATTONI. Come diavolo abbia fatto ad essere ancora viva per raccontarlo mi è ancora oscuro, sta di fatto che Stung avrebbe potuto tranquillamente fare il paio con Clown, It, La bambola assassina e L'evocazione per quel che riguarda il livello di cieco terrore provocato dall'argomento trattato. Ed effettivamente l'inizio di Stung per me è stato angosciante, con quelle mostruose vespe formato famiglia intente a svolazzare attorno alla gente e a pungerla con quel terrificante ronzio di sottofondo, mi sembrava di averle in camera e non sapete quante volte mi sono nascosta sotto il plaid per l'ansia. Poi, vabbé, quando le dimensioni cominciano ad aumentare le vespe di Stung non assomigliano nemmeno più a degli insetti quindi l'effetto schifo è venuto meno e sono riuscita a guardare il film con più serenità. Talmente tanta serenità che ho fatto fatica a rimanere sveglia, sinceramente. Stung infatti è solo l'ennesima commedia horror, genere amato soprattutto dagli europei che si cimentano nel cinema di genere per la prima volta, come il tedesco Benni Diez, nonostante i tempi comici siano un casino da gestire e, ancor peggio, da mescolare con la componente horror; la pellicola è un mix di situazioni da commedia romantica (paradossalmente l'aspetto più interessante e ben gestito è proprio l'attesa del sospirato bacio tra i due protagonisti), mommy issues e umorismo alcoolico che prende più di metà film, il resto prevede la presenza di vespe giganti che squartano le persone mentre i protagonisti disperati cercano di fuggire in un dedalo di corridoi e cantine sotterranee. Niente di particolarmente divertente o pauroso, ahimé.


Lance Henriksen a parte, punta di diamante di un cast prevalentemente anglofono, e tolta la faccetta simpatica di Matt O'Leary, Stung non vanta attori memorabili e nemmeno chissà quali virtuosismi di regia o effetti speciali splatterosi e realistici. Anzi, per quel che riguarda il reparto FX la pellicola cade miseramente nell'utilizzo di una CGI terribilmente fasulla e devo riconoscere che solo il mio terrore per questo genere di insetti mi ha portata a provare un incontrollabile schifo verso vespe palesemente ricreate al computer. Davanti ad un reparto tecnico così carente ma anche troppo patinato, nasce spontanea nella mente dell'appassionato di horror un'invocazione verso i B-Movie poco pretenziosi ed artigianali degli anni '70-'80, che sopperivano alla mancanza di mezzi con un sacco di fantasia e una buona dose di sfacciataggine: Stung invece saccheggia gli incubi di Cronenberg, l'umorismo nero del primo Peter Jackson e la zomromcom di Shaun of The Dead privandoli della loro verve unica, forse perché lo sceneggiatore Adam Aresty, anche lui al suo primo film, non sapeva molto bene come farli filare assieme. Peccato perché in mani più capaci Stung avrebbe potuto diventare o una visione incredibilmente divertente o un'esperienza terrificante, una roba da costringere lo spettatore fobico come la sottoscritta a non uscire più di casa, mentre così è rimasto solo un filmetto da dimenticare nel giro di qualche giorno e in grado di offrire davvero pochi spunti di riflessione o critica per una povera blogger affamata di orrori validi o validamente trash. E sperate che non esca un sequel o che a nessun altro venga in mente di sviluppare l'idea accennata sul finale: nulla mi toglie dalla testa che Aresty si sia guardato Zombeavers e abbia colto il suggerimento presente dopo i titoli di coda, se qualche aspirante sceneggiatore verrà invece titillato dall'ultima scena di Stung nel giro di qualche mese rischiamo l'uscita di Zombovines.


Di Lance Henriksen, che interpreta Caruthers, ho già parlato QUI mentre Clifton Collins Jr., che interpreta Sydney, lo trovate QUA.

Benni Diez è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Tedesco, ha lavorato anche come responsabile degli effetti speciali, sceneggiatore e produttore.



Matt O'Leary (vero nome Matthew Joseph O'Leary) interpreta Paul. Americano, ha partecipato a film come Frailty, Spy Kids 2 - L'isola dei sogni perduti, Missione 3D - Game Over, Die Hard - Vivere o morire, The Lone Ranger e a serie come CSI. Anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 28 anni e quattro film in uscita.


Se Stung vi fosse piaciuto recuperate Zombeavers e magari La mosca. ENJOY!



domenica 23 agosto 2015

La maledizione di Damien (1978)

L'estate, si sa, reca seco zero voglia di sbattersi. Ed è così che ho ravanato nel fondo della mia collezione di film tirandone fuori La maledizione di Damien (Damien: Omen II), diretto nel 1978 dal regista Don Taylor.


Trama: Alcuni anni dopo la fine de Il presagio ritroviamo un Damien ormai tredicenne e ancora ignaro di essere l'Anticristo. Così non è per chi lo circonda, tra amici che cercano di favorirne l'ascesa e nemici che tentano inutilmente di fermarla...


Certo che essere l'Anticristo significa davvero vincere facile. Qualunque cosa accada, per chiunque voglia farci fuori o privarci dei nostri diritti o del nostro patrimonio, c'è sempre babbo Satana a metterci una pezza scatenando corvi assetati di sangue o incredibili botte di sfiga. Succedeva così già ne Il presagio, lo stesso accade anche in La maledizione di Damien, con la differenza fondamentale che nel primo film "un minimo" si riusciva a mantenere la speranza che il demoniaco pargoletto potesse venire fatto fuori, mentre nella pellicola di Don Taylor basta solo che uno pensi di contrastare le intenzioni di Damien o dei suoi seguaci per essere fatto fuori nel giro di un minuto. Insomma, fondamentalmente il difetto di La maledizione di Damien è l'essere stato girato con un ritmo tutto sbagliato che concentra l'attenzione su queste rapide morti ad effetto e per il resto ammorba lo spettatore con interminabili parate militari e ancor più tediosi dialoghi relativi ai ben poco etici piani aziendali di tal Paul Buher, intenzionato a sfruttare la fame nel mondo per fare soldi. Francamente, al posto degli sceneggiatori mi sarei maggiormente concentrata sul passaggio di Damien dall'adolescenza all'età adulta e magari su eventuali pensieri del ragazzino all'idea di essere l'Anticristo, cosa che invece viene liquidata in quattro e quattr'otto con una poco convinta fuga verso il mare con tanto di urlo "Perché proprio a me? Perché? Perchééééé???": o pargolo, non mi sembri tanto disperato all'idea visto che dopo questa merolata vai ad ammazzare tre o quattro persone! Davvero, per quel che riguarda la trama non c'è proprio gusto a guardare La maledizione di Damien, che sembra la versione horror della tipica giornata di Gastone.


Per quanto riguarda il resto, la pellicola viene resa incredibilmente noiosa anche dalla non memorabile regia di Don Taylor, che a differenza de Il presagio riesce a confezionare solo una sequenza degna di essere ricordata (quella dell'ascensore per intenderci, al massimo quella della giornalista attaccata dai corvi) e persino la musica di Jerry Goldsmith, per quanto evocativa ed azzeccata, riesce ad essere utilizzata malissimo e solo per sottolineare, molto banalmente, i momenti in cui l'intervento di Satana si abbatte sui vari personaggi. Poco da dire anche sugli attori. L'inquietantissimo pargoletto di Harvey Stephens è stato sostituito da un adolescente con la faccia da chiulo che, lungi dal fare anche solo minimamente paura, instilla nello spettatore l'incredibile voglia di prenderlo a calci nel didietro, un ancora poco famoso Lance Henriksen viene poco utilizzato e lo stesso vale per il personaggio più interessante della pellicola, l'odiosa ma perspicace zia Marion dell'iconica Sylvia "Juno" Sydney; i nuovi genitori di Damien, William Holden e Lee Grant, lasciano il tempo che trovano e sono davvero poco carismatici, soprattutto il personaggio di Anne Thorne viene sfruttato e sviluppato malissimo e, se arriverete alla fine del film senza addormentarvi com'è capitato di tanto in tanto a me, capirete anche il perché. Dopo questo filmucolo non so nemmeno io se proseguire, come mi ero prefissata tanto tempo fa, nell'impresa di recuperare anche Conflitto finale (c'è Sam Neill però... mah...) e il remake del primo Il presagio ma sicuramente al momento la mia "storia" con Damien si conclude qui. Ne riparliamo magari fra qualche tempo.

 Di Sylvia Sidney (zia Marion) e Lance Henriksen (Sergente Neff) ho già parlato ai rispettivi link.

Don Taylor è il regista della pellicola (ha sostituito il non accreditato Mike Hodges, che ha abbandonato il set a causa di divergenze creative). Americano, ha diretto film come Fuga dal pianeta delle scimmie, L'isola del dottor Moreau ed episodi di serie come Alfred Hitchcock presenta. Anche attore, sceneggiatore e produttore, è morto nel 1998 all'età di 78 anni.


William Holden (vero nome William Franklin Beedle Jr.) interpreta Richard Thorn. Americano, ha partecipato a film come Viale del tramonto, Stalag 17 (che gli è valso un Oscar come miglior attore protagonista), Sabrina, Il ponte sul fiume Kwai, Casino Royale, Il mucchio selvaggio, L'inferno di cristallo, Quinto potere e S.O.B.. E' morto nel 1981 all'età di 63 anni.


Lee Grant (vero nome Lyova Haskell Rosenthal) interpreta Ann Thorn. Americana, ha partecipato a film come La calda notte dell'ispettore Tibbs, Shampoo (che le è valso un Oscar come miglior attrice non protagonista), Il villaggio dei dannati, Airport '77, Mulholland Drive e a serie come Peyton Place e Colombo. Anche regista, produttrice e sceneggiatrice, ha 90 anni.


William Holden avrebbe dovuto partecipare già a Il presagio ma aveva rifiutato perché non voleva prendere parte ad un film incentrato sulla figura del demonio; neanche a dirlo, dopo che Il presagio è diventato un successo al botteghino, l'attore ha deciso di partecipare al secondo capitolo della saga. David Seltzer, che aveva sceneggiato la prima pellicola, ha invece deciso molto coerentemente di chiamarsi fuori da La maledizione di Damien e ha dichiarato che, se avesse accettato di scrivere la sceneggiatura del secondo capitolo, l'avrebbe fatta cominciare il giorno dopo la fine del primo film, con Damien che viveva nella Casa Bianca. Detto questo, se La maledizione di Damien vi fosse piaciuto recuperate Il presagio e i due seguiti, Conflitto finale e Omen IV: Presagio infernale ed estote parati! perché nel 2016 la A&E dovrebbe mandare in onda la serie TV Damien. ENJOY!

venerdì 13 maggio 2011

Scream 3 (2000)

Ed eccoci arrivati anche penultimo capitolo della saga dedicata a Ghostface: Scream 3, diretto nel 2000, sempre da Wes Craven. La parabola discendente è così completata, ma vediamo nel dettaglio.


Trama: sul set di Stab 3, l’ennesimo film tratto dai delitti di Woodsboro, cominciano a morire delle persone, e la cosa costringe la povera Sidney ad uscire dall’esilio forzato e ad affrontare un altro maniaco mascherato che vorrebbe attentare alla sua vita…



Scream 3 tocca davvero il punto più basso dell’intera saga: non c’è paura, non c’è suspance, non c’è ironia, non c’è neppure la curiosità di vedere colpo di scena finale con conseguente rivelazione dell’identità del killer, se proprio vogliamo essere sinceri. A tirare troppo la corda questa si strappa, e non basta introdurre la meraviglia tecnica del convertitore di voce, che questa volta è in grado persino di simulare le reali voci dei singoli personaggi, per fare un bel film. Scream 3 è una sorta di fiacco remake del secondo capitolo, che vorrebbe attirare lo spettatore con rivelazioni relative alla madre di Sidney, Maureen, insinuando addirittura il dubbio che il fantasma, questa volta, potrebbe essere vero e potrebbe addirittura essere lei; inoltre, la componente metacinematografica viene ulteriormente “caricata” perché, se in Scream 2 veniva introdotto il film Stab, questa volta il terzo capitolo viene ambientato proprio sul set di Stab 3, e le vittime sono proprio gli attori, che cadono come mosche seguendo l’ordine previsto dal copione.


Per quanto riguarda i punti di forza dei primi due capitoli di Scream, qui non ce n’è nemmeno uno. La scena iniziale è assurdamente fiacca e priva della tensione della storica introduzione del primo capitolo (anche se toglie di mezzo un personaggio inaspettato) e le morti che seguono non sono migliori, quasi tutte fuori campo o comunque molto sbrigative. Anche l’ironia che la faceva da padrone in Scream e Scream 2 qui viene condensata in qualche imbarazzante comparsata e battuta da avanspettacolo: la stessa presenza di Jay e Silent Bob (che peraltro adoro, non fraintendete…) è indice della tristezza a cui si sono ridotti Craven e gli sceneggiatori, ma il colpo più basso è probabilmente l’uso di un’icona sacra come Carrie Fisher per farle interpretare un’impiegatuccia che le somiglia e che “avrebbe dovuto essere la principessa Leila di Guerre Stellari, se solo quell’altra non le avesse soffiato il posto”. Ahah. Devo ridere? Mah. Certo, c’è da dire che tutti i difetti di Scream 3 sono quasi comprensibili, visto che in fondo il film è frutto di un ricatto. Infatti pare che Wes Craven sia stato praticamente costretto a girarlo per poter avere la possibilità di realizzare un film distante dalla sua usuale filmografia come La musica del cuore, un drammone musicale con Meryl Streep come protagonista. Comprensibile dunque il poco impegno, ma non per questo giustificabile. Speriamo che il quarto capitolo non sia ancora più brutto di questo.


Del regista Wes Craven (che compare anche qui in un cameo, stavolta nei panni di un visitatore degli studios), Neve Campbell, Courtney Cox e David Arquette ho già parlato qui, mentre il post su Liev Schreiber lo trovate qua. Di Lance Henricksen, che interpreta il produttore John Milton, invece, ho parlato qui.

Patrick Dempsey interpreta il detective Kincaid. La fama internazionale per questo attore è arrivata grazie alla serie Grey’s Anatomy, tuttavia aveva già partecipato prima a parecchi film, tra cui il geniale The Stuff – Il gelato che uccide e Virus letale, oltre che ad un episodio di Will & Grace. Originario del Maine, anche produttore e regista, ha 45 anni e un film in uscita.


Jenny McCarthy interpreta Kate. Ex modella e coniglietta di Playboy riciclatasi negli anni ’90 come attrice “comica” per programmi che passavano all’epoca su MTV come The Jenny McCarthy Show, ex fidanzata di Jim Carrey, tra i film a cui ha partecipato ricordo lo splendido Cosa fare a Denver quando sei morto e Scary Movie 3; ben di più le partecipazioni televisive, per serie come Baywatch, Quell’uragano di papà, Streghe, Perfetti… ma non troppo, Una pupa in libreria, My Name is Earl e Due uomini e mezzo. Americana, anche sceneggiatrice e produttrice, ha 39 anni.


Emily Mortimer interpreta Angelina Tyler. Attrice inglese, la ricordo per film come Spiriti nelle tenebre, Il Santo, Elizabeth, Notting Hill, Match Point, The Pink Panther – La pantera rosa, La pantera rosa 2 e Shutter Island, inoltre ha prestato la voce per il doppiaggio inglese de Il castello errante di Howl. Ha 40 anni e quattro film in uscita, tra cui l’Hugo Cabret di Scorsese e Cars 2.


Tra le guest star, oltre alla già citata Carrie Fisher, assieme alla premiata ditta Kevin Smith & Jason Mewes, ci sono anche il regista Roger Corman nei panni di un produttore ed Heather Matarazzo nei panni della sorella di Randy, Martha. Una marea di partecipazioni e una marea di finali: dopo miliardi di riscritture per evitare spoiler in rete, Craven ha girato anche una versione alternativa del finale, con l’unica differenza di Sydney che, prima di provare a colpire il killer, rimane per un po’ nascosta dietro a un mobile. Se siete arrivati a vedere Scream 3, probabilmente avrete visto anche i primi due episodi, in caso contrario cercateli, soprattutto il primo. Vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!

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