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mercoledì 24 maggio 2023

Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023)

Con tutta la calma del mondo, domenica sono finalmente andata a vedere Guardiani della Galassia Vol. 3 (Guardians of the Galaxy Vol. 3) diretto e sceneggiato dal regista James Gunn.


Trama: mentre Quill cerca ancora di riprendersi dal ritorno di Gamora e gli altri Guardiani della Galassia rimettono a posto Knowhere per renderlo la loro nuova casa, una minaccia dal passato di Rocket rischia di distruggere ogni cosa...


E così, James Gunn se n'è andato. Dopo alterne vicende che non starò qui a riassumere, il creatore dei Guardiani della Galassia cinematografici, ovvero l'unico Autore in grado di imprimere un minimo di personalità a una saga costretta necessariamente a confluire all'interno di un affresco più grande, ha trovato casa alla DC, come capo dei DC Studios. Grandissima perdita per l'MCU, se chiedete a me. Ovviamente, non starò qui a glorificare Gunn, e in tutta sincerità posso affermare che dimenticherò anche Guardiani della Galassia Vol. 3 nel giro di un mese o due, come del resto ho fatto con i suoi predecessori, ma mi sento anche di dire, altrettanto sinceramente, che il suo ultimo atto d'amore verso i Guardiani svetta rispetto alla merda che abbiamo dovuto inghiottire dopo il Doctor Strange di Raimi. Gunn ama i suoi personaggi e si vede; senza fare troppi spoiler, il regista è riuscito a chiudere il discorso cominciato nel 2014 con ogni singolo Guardiano e con l'idea di Famiglia, di quella misteriosa entità che riconosce ed accoglie chi si affida a lei, non importa quanto sia strano od imperfetto. Non è un caso che Thor sia stato calcioruotato fuori da quella stessa Famiglia, dove hanno cercato di infilarlo a forza per un periodo, perché lo spirito goliardico di Gunn non è lo stesso di Taika Waititi, che ha trasformato i personaggi in stupidi balocchi buoni solo per far ridere (a volte, neanche sempre) e si è abbandonato a vuoti esercizi di stile tamarri. Gunn è sempre stato bravo a raccontare storie, per quanto strane, e a farci affezionare ai suoi personaggi, e qui gioca delle carte molto crudeli per coinvolgerci nelle vicende di chi è stato letteralmente plasmato nel dolore e nella perdita, e che indossa da sempre una maschera di cinico o buffone per evitare che qualcuno possa anche solo avvicinarsi per cercare di riaprire ferite profondissime. Quindi si, ci si commuove parecchio guardando Guardiani della Galassia Vol. 3, e più che il sorriso strappato dai "soliti" Drax o Kraglin, dalla new entry Adam o da piccole, grandi guest star (ma ciao Nathan!), conta la catarsi offerta da sequenze violentissime di vendetta disperata, chiamate a forza da uno dei villain più odiosi e bastardi della storia del MCU.


Il mood di Guardiani della Galassia Vol. 3, d'altronde, viene stabilito fin dall'inizio, introdotto dalle note di una Creep versione acustica che già da sola è riuscita a magonarmi, e in diversi momenti, non solo alla fine, il film lascia allo spettatore quella sensazione di "crescita" ed abbandono, dolorosi ma positivi, che già avevo apprezzato col terzo capitolo di Toy Story (sempre per rimanere in ambito Disney. E mi auguro, con tutto il rispetto, che non esca MAI un Guardiani della Galassia vol. 4, perché vanificherebbe molti risultati raggiunti da questo film). Nonostante ciò, Gunn non dimentica di stare realizzando un film d'azione ambientato nello spazio e, lasciato più o meno a briglia sciolta, il regista si scatena. Le ambientazioni hanno delle scenografie interessanti e anche un po' schifosette (soprattutto il pianeta organico sede della Orgocorp), la varietà di pianeti ed il bestiario presenti nel film denotano una fantasia ed una cura sempre più rare da trovare all'interno di pellicole che ormai puntano solo ad aumentare il numero di personaggi titolari da sfruttare per eventuali serie streaming, e le sequenze d'azione sono uno spettacolo. Particolarmente notevoli, a livello di coreografia e pathos, sono quella iniziale che vede l'attacco di Adam, il finto piano sequenza sulle note di No Sleep Till Brooklin, e il delirio che coinvolge le bestie più pericolose dell'Alto Evoluzionario, a proposito del quale mi andrebbe di spendere due parole di elogio anche per Chukwudi Iwuji (attore mai visto né conosciuto prima, mannaggia), che interpreta a briglia sciolta un personaggio folle, spietato, senza alcuna possibilità di redenzione. Il resto del cast, non me ne vogliate, fa il suo senza che qualcuno svetti su altri, e per quanto mi riguarda in Guardiani della Galassia Vol. 3 non c'è nulla e nessuno che possa eguagliare lo sguardo triste e ferito di un procione interamente creato in CGI... forse giusto dei procionetti ancora più piccoli. O forse Sly, chi lo sa. Nonostante ciò, mi mancheranno tutti, belli e brutti, quindi See you, space cowboys: ovunque vi porterà la continuity del MCU, il viaggio con Gunn è stato molto bello e, per quanto mi riguarda, il regista lascerà di sé solo un bel ricordo!


Del regista e sceneggiatore James Gunn (che doppia Lamb-Shank, il mostrillo liberato da Mantis) ho già parlato QUI. Bradley Cooper (voce originale di Rocket), Dave Bautista (Drax), Karen Gillan (Nebula), Vin Diesel (voce di Groot), Sean Gunn (Kraglin/Giovane Rocket), Chris Pratt (Peter Quill/Starlord), Will Poulter (Adam Warlock), Linda Cardellini (voce di Lylla), Elizabeth Debicki (Ayesha), Judy Greer (voce di War Pig), Sylvester Stallone (Stakar Ogord), Michael Rosenbaum (Martinex), Zoe Saldana (Gamora), Nathan Fillion (Master Karja), Michael Rooker (Yondu), Gregg Henry (Nonno Quill) e Seth Green (voce di Howard il Papero) li trovate invece ai rispettivi link.

Pom Klementieff interpreta Mantis. Canadese, la ricordo per film come Guardiani della Galassia Vol. 3, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Diamanti grezzi, The Suicide Squad - Missione suicida, Thor: Love and Thunder e The Guardians of the Galaxy: Holiday Special. Anche sceneggiatrice, ha 37 anni e due film in uscita, Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno e due.


Maria Bakalova, che presta la voce a Cosmo, era stata candidata all'Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista per Borat - Seguito di film cinema, dove interpretava la figlia di Borat. Nel film compare anche Lloyd Kaufman, in un ruolo citato come Gridlemop. Guardiani della Galassia vol.3, ovviamente, segue Guardiani della Galassia vol. 1 e vol. 2, oltre al The Guardians of the Galaxy: Holiday Special; per dovere di completezza, però, dovreste aggiungere anche Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Thor: Love and Thunder e la serie animata Io sono Groot (trovate tutto su Disney +) ENJOY!


domenica 28 aprile 2019

La Llorona - Le lacrime del male (2019)

Lo so che tutti stanno parlando di Avengers: Endgame ma io lo guarderò probabilmente il trenta sera e comunque potevo perdermi, prima di partire, l'ennesimo horror prodotto da James Wan? Assolutamente no! Giovedì scorso sono corsa a vedere La Llorona - Le lacrime del male (The Curse of La Llorona), diretto dal regista Michael Chaves.


Trama: un'assistente sociale rimasta vedova si ritrova a dover salvare i figli dallo spirito de La Llorona, decisa ad ucciderli.


Avrei dovuto capirlo fin dal trailer ma ormai questi film mi paiono tutti uguali e sinceramente a Tony Amendola associo solo il personaggio di Geppetto. Invece, La Llorona è l'ennesimo tassello del MCU horror targato James Wan e il personaggio dello spettro bianco che piange è strettamente legato alla saga The Conjuring e a tutti i suoi spin-off, e anche per questo dico che visti uno, visti tutti. La Llorona non fa eccezione. Scritto da una coppia di esordienti con all'attivo giusto il recente A un metro da te e diretto dal futuro regista di The Conjuring 3, il film ha una trama che si snoda prevedibile dall'inizio alla fine pur affondando le radici nel folklore messicano e persino il sembiante dello spettro ricorda moltissimo la faccetta bianca di The Nun e i suoi abiti fluttuanti. Abbiamo dunque una famiglia un po' disfunzionale ma comunque felice, che vede la sua gioia distrutta da una presenza che decide di accozzarsi in casa, prendendo di mira i bambini; ora, la particolarità de La Llorona è che morire che i bambini in pericolo si confidino con la madre, una persona squisita e molto dolce, non la classica stronza, quindi ce ne vuole prima che costei si accorga della presenza maligna. Ovviamente, ciò succede e dopo una serie di "contatti" sempre più inquietanti e violenti viene tirato in mezzo uno dei tanti guru/santoni/sacerdoti/massimiesperti che popolano questo genere di pellicola e che spaziano dal vagamente utile al terribilmente dannoso. Ecco, quello de La Llorona sta nel mezzo, nel senso che non fa cose totalmente inutili però non è nemmeno così fondamentale, complice la stupidità sua e di chi lo circonda, alla quale si aggiunge una dose di cattiveria altrui. Una trama esiletta e stravista, nevvero? Ovvio, poiché deve servire giusto da scheletro per la marea di jump scare presenti nel film.


E sono tanti questi jump scare, per la maggior parte anche assai efficaci. Un paio, i migliori, sono stati spoilerati nel trailer ma ciò che rende infida la Llorona è il suo riflettersi solo sugli specchi o sulle superfici trasparenti, per poi riapparire brutalmente a distanza più che ravvicinata; completano il tutto porte che si spalancano da sole, cigolii assortiti ed urla assordanti, ché la Llorona strilla come una banshee ed è quasi più incazzata della Nun, oltre ad essere più teatrale di Annabelle. A tal proposito, già che si parla di The Nun, è bene sottolineare come l'unico pregio del film dedicato alla suora, oltre che uno dei punti di forza, in generale, della saga The Conjuring, fossero le ambientazioni gotiche nel caso della suora e un certo gusto vintaggio per quanto riguardava le avventure dei coniugi Warren, mentre ne La Llorona l'ambientazione anni '70 rimane fine a se stessa e non spiccano né le scenografie, né i costumi né, tanto meno, la regia, affidata ad un signor nessuno in grado di conformarsi perfettamente ai desideri di Wan e compagnia. Se non altro, almeno, anche La Llorona può vantare una brava attrice principale, ché la Cardellini non sarà elegante come la Farmiga o pazza come la Collette, ma non è nemmeno anonima e soprattutto ha il physique du role per interpretare una working class mom capace di combattere come una leonessa per il bene dei propri bimbi. Insomma, al solito ci troviamo di fronte a un horror senza infamia né lode, perfettamente in linea con tutte le produzioni recenti a base di fantasmi o maledizioni... e a proposito di maledizioni. Il film è vietato ai minori di 14 anni (vai a sapere perché) ma ciò non mi ha impedito di finire in sala con a) tre deficienti probabilmente appunto di 14 anni che hanno commentato OGNI FOTTUTA SEQUENZA dall'inizio alla fine del film e b) un gruppo di peones entrati dopo 15/20 minuti dall'inizio urlando "Ah ma è già iniziato????", che hanno riso poi per tutto il resto del tempo. Cristo, gente, esiste Netflix, tutti quelli della vostra età scaricano illegalmente i film, perché voi no? Se vi becco durante Pet Sematary o It - Parte 2 divento come la Llorona e vi urlo in faccia, giuro. Per il resto, peace and love (?).


Di Linda Cardellini (Anna Tate-Garcia) e Tony Amendola (Padre Perez) ho già parlato ai rispettivi link.

Michael Chaves è il regista della pellicola. Americano, al suo primo lungometraggio, è anche sceneggiatore, produttore e tecnico degli effetti speciali.


Raymond Cruz  interpreta Rafael Olvera. Americano, è una faccia conosciuta che ricordo per film come Gremlins 2 la nuova stirpe, The Rock, Alien - La clonazione e Dal tramonto all'alba 2, inoltre ha partecipato a serie quali Freddy's Nightmare, Walker Texas Ranger, X-Files, 24, Nip/Tuck, CSI, My Name is Earl, Breaking Bad e CSI: Miami. Ha 58 anni.


Sean Patrick Thomas interpreta il detective Cooper. Americano, ha partecipato a film come Giovani pazzi e svitati, Cruel Intentions, Halloween - La resurrezione e a serie quali Ringer, American Horror Story, Bones e Criminal Minds. Anche produttore, ha 49 anni.


Patricia Velasquez, che interpreta la Llorona, è stata la Anck-Su-Namun de La mummia e La mummia - Il ritorno. Se La Llorona - Le lacrime del male vi fosse piaciuto recuperate La Llorona di René Cardona e aggiungete L'evocazione - The Conjuring, The Conjuring - Il caso Enfield, AnnabelleAnnabelle: Creation e The Nun - La vocazione del male. ENJOY!

martedì 5 febbraio 2019

Green Book (2018)

La notte degli Oscar si avvicina a grandi passi e fortunatamente anche il multisala di Savona si adegua. Così, domenica sono riuscita a vedere Green Book , diretto nel 2018 dal regista Peter Farrelly e candidato a cinque statuette: Miglior Film, Miglior Attore Protagonista (Viggo Mortensen), Miglior Attore Non Protagonista (Mahershala Ali), Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Montaggio. 


Trama: Tony Lip, buttafuori italo-americano del Copacabana, si ritrova per carenza di lavoro a far da autista a Don Shirley, raffinato pianista di colore, durante un tour nel profondo sud americano.


Green Book è un affare di famiglia, letteralmente. Co-sceneggiato da Nick Vallelonga, figlio del vero Tony Lip, popolato dai veri membri del clan Vallelonga in diversi ruoli di genitori, fratelli e figli, profuma di Soprano e Quei bravi ragazzi (Tony Lip ha partecipato sia all'uno che all'altro) e forse è per questo che l'ho adorato dal primissimo fotogramma. Sinceramente, non sono una che si infastidisce con lo stereotipo dell'italo-americano, anzi, soprattutto quando viene reiterato da coloro che italo-americani lo sono e che, immagino, non si ritrarrebbero così se non si riconoscessero nei tratti esagerati di mangioni dall'accento pesante e dal turpiloquio generoso, sempre un po' ai margini della legalità. L'unica cosa che mi ha lasciata dubbiosa, in effetti, alla fine di Green Book, è l'eccessiva tolleranza dimostrata da Tony Lip nei confronti del Dottor Don Shirley, la capacità quasi ingenua di accettarlo nonostante il colore della pelle arrivando a vederne dopo pochissimo le qualità intrinseche nella persona, forse una concessione di un figlio devoto al padre. Ma, in sostanza, chissenefrega a un certo punto, perché Green Book è un film divertentissimo e coinvolgente, privo della volontà di far commuovere a tutti i costi (altrimenti avrei passato il tempo col fazzoletto in mano), pronto a far riflettere lo spettatore sul valore dell'amicizia e, soprattutto, della dignità umana, tanto spesso sottovalutata ma a mio avviso fondamentale in tempi bui e razzisti come questi. Green Book è l'esilarante e spesso dolente storia di un reietto, un pianista classico di colore che, nonostante il prestigio e le buone maniere, per i bianchi è poco più di una scimmietta beneducata, un raffinato fenomeno da baraccone, mentre per i suoi conrazziali è letteralmente una mosca bianca, qualcuno da cui prendere le distanze in quanto "venduto"; ad accompagnare quest'uomo malinconico in un viaggio verso le terre più razziste d'America, un "working class hero" incapace di vedere più in là del suo naso, concentrato sul presente, sulla famiglia, sui soldi, soprattutto sul cibo. Tony Lip è naif ma non stupido, ha un codice d'onore, se così si può chiamare, tutto suo, il codice della strada in cui è cresciuto, e del resto del mondo gliene frega poco o nulla, aspetto del suo carattere che, dopo l'iniziale titubanza, gli consente di fare da autista per un cliente molto scomodo, pieno di fisime e soprattutto d'orgoglio, giustamente poco propenso a chinare il capo davanti alle assurde leggi razziali ancora in vigore in buona parte degli Stati Uniti.


Insomma, una strana coppia se mai ce n'è stata una (ancora più strana, in effetti, di quella presentata in A spasso con Daisy, spesso nominato da chi ha criticato aspramente Green Book) che funziona e conquista un pubblico sempre più interessato alle vicissitudini del duo e allo sviluppo del loro rapporto, non solo grazie ad una bella scrittura ma anche e soprattutto grazie ad una coppia di attori straordinaria. A Viggo Mortensen non gli si può dire nulla, davvero. Se ci fosse bisogno di un'ulteriore conferma del suo talento di attore, la sua performance in Green Book fugherebbe ogni dubbio. Come sempre, il mio unico vero rimpianto è quello di non aver visto il film in lingua originale solo per sentirlo parlare in italiano e con l'accento che aveva Tony Lip ne I Soprano, ma mi è bastato leggere il labiale e, soprattutto, concentrarmi sulla sua fisicità, sulle smorfie del volto, sui gesti, per capire che Mortensen ha nuovamente azzeccato tutto del personaggio, riuscendo con un'eleganza invidiabile a camminare sul filo sottilissimo tra genuinamente divertente e terribilmente farsesco. Il suo Tony Lip è una creatura "alla chef Rubio", trash all'inverosimile e succido, ma con un fascino nascosto impossibile da ignorare. Per contro, Mahershala Ali è un signore, e pensare che come attore non mi ha mai fatta impazzire. Se l'interpretazione di Mortensen è debordante, quella di Ali è misuratissima, elegante, si prende tutto il tempo di trasformare il manichino impagliato che è Don Shirley nelle prime scene in un uomo vero, sciogliendo a poco a poco il ghiaccio che gli stringe il cuore impedendo la naturalezza di sguardi e movimenti. Il calore, la disperazione, la solitudine profonda nascosti in Shirley, emergono concretizzandosi in espressioni dolentissime e rendono la danza armoniosa di quelle mani delicate (non tanto al piano, quanto piuttosto nei gesti quotidiani) ancora più elegante e raffinata. Green Book sarà anche paraculo e falsato, come da critiche italiane ed internazionali, ma ho preferito questa storia di amicizia vissuta all'apologia della self-made singer di A Star Is Born o all'edificante romanzo su Freddy Mercury. Un guilty pleasure dal sapore familiare e "peccaminoso", un po' come mangiare pollo fritto con le mani, direttamente dal secchiello.


Del regista Peter Farrelly ho già parlato QUI. Viggo Mortensen (Tony Lip), Mahershala Ali (Dottor Don Shirley), Linda Cardellini (Dolores) e P.J. Byrne (Direttore della casa discografica) li trovate invece ai rispettivi link.


Nick Vallelonga, figlio di Tony Lip, ha scritto il film ma interpreta anche Augie. Detto questo, se non avete mai visto A spasso con Daisy e vi fosse piaciuto Green Book, potrebbe essere arrivato il momento di recuperarlo! ENJOY!

martedì 18 dicembre 2018

Un piccolo favore (2018)

Convinta da un'amica, sabato pomeriggio sono andata al cinema a vedere Un piccolo favore (A Simple Favor), diretto dal regista Paul Feig e tratto dal romanzo omonimo di Darcey Bell.


 Trama: la vlogger Stephanie, madre single dalle mille risorse, fa amicizia con Emily, donna in carriera disnibita ed elegante. Un giorno, Emily chiede a Stephanie di andare a prendere il figlio a scuola e poi sparisce senza lasciare traccia...


Avevo liquidato Un piccolo favore come un thriller neppure troppo interessante, poi ho cominciato a leggerne molto bene e così, quando un'amica mi ha chiesto di accompagnarla a vederlo, ho accettato e la visione è stata abbastanza peculiare. Infatti, nonostante il regista Paul Feig, famoso per le commedie, non mi sarei aspettata un film in bilico tra ironica, grottesca commedia nera e thriller serio, all'interno del quale le peggiori cose vengono trattate con piglio divertito e gettate in pasto allo spettatore e ai protagonisti come se si trovassero in una puntata di Scherzi a parte. Né mi sarei aspettata il duello tra una sorta di Ned Flanders in gonnella, tutta rimedi casalinghi e sorrisi luminosi, e una femme fatale amante dei martini, con conseguente trasformazione della prima in una Nancy Drew dalle mille risorse. Ma del resto, "inaspettato" è la parola chiave di Un piccolo favore, film che mette alla prova anche il cinismo degli spettatori più smaliziati infilando un twist dietro l'altro e presentando personaggi stratificati come delle cipolle, tra scheletri nell'armadio che diventano più grossi e cattivi mano a mano che la storia prosegue e debolezze impensabili. Un piccolo favore potrebbe essere la versione cinematografica della proverbiale polvere da spazzare sotto i tappeti, un grumo di marciume all'interno di un sobborgo medio/piccoloborghese dove le cose più turpi succedono alla luce del sole e non aspettano la notte per incombere sui protagonisti; nel film, la tragedia e la morte si insinuano all’interno del colorato spazio web di una casalinga gioiosa ed ingenua, segreti inconfessabili agitano la mano passando sotto il naso dei cittadini e chi non si accorge di ciò che sta succedendo rischia o di passar per scemo oppure di venire attaccato da fantasmi in pieno giorno, mentre ogni certezza crolla e persino le pareti di casa sembrano diventare minacciose. Diamine, persino una vita apparentemente da sogno rischia di trasformarsi in un incubo ad occhi aperti.



Un piccolo favore si regge sulle sue contraddizioni e i suoi twist per quasi tutta la sua durata grazie a una coppia di attrici adorabili ed incredibilmente capaci. A Blake Lively, in effetti, “basta” essere splendida ed inarrivabile, fasciata in quegli abiti e quei tailleur che porterebbero alle lacrime chiunque abbia un minimo di buon gusto per la moda da tanto sono stilosi e splendidi (Ma cos’è quell’abitino anni ’50 col sottogonna in tulle? Ma cos’è quella finta camicia fatta di colletto e polsini? Ma cos’è, in generale, Blake Lively? Da dov’è uscita e perché non sono gnocca almeno un decimo di quanto lo è lei?), per incarnare una villainess perfetta ma anche la “bruttina” Anna Kendrick non è da meno. Trionfo di tic, risatine, imbarazzi e battutacce, la sua Stephanie è odiosa, non c’è altro modo di definirla, nonostante sia il personaggio positivo della situazione. Non è tutto oro (o perline, o pasta fimo) quello che luccica, infatti, e la signorina rischia di riservare più di una sorpresa, da perfetta acqua cheta o novella desperate housewife, e la cosa si rispecchia, sempre a proposito di abiti, nel mutare dell’abbigliamento che la caratterizza nel corso del film. Ma è meglio non aggiungere altro, anche se forse un avvertimento sarebbe opportuno farlo, senza incappare in spoiler. Tra una canzone francese anni ’60 e l’altra della strepitosa, inusuale colonna sonora, Un piccolo favore si affloscia subito dopo il twist più grande, spernacchiando sgonfio in un finale imbarazzante condito da una serie di battutacce da avanspettacolo. Diciamo che Feig non è John Waters e gli manca la sfacciata eleganza di chi a braccetto col trash ci ha camminato tutta la vita e aggiungiamo che 15 minuti di durata in meno avrebbero giovato così come il mantenimento del finale originale del romanzo… ma non stiamo a spaccare il capello, perché anche nelle sue imperfezioni Un piccolo favore è comunque un film molto divertente e ben realizzato, con due attrici in splendida forma, che merita di distinguersi dalla massa di thrillerini e commediole USA che invadono periodicamente le nostre sale.


Del regista Paul Feig ho già parlato QUI. Anna Kendrick (Stephanie Smothers), Blake Lively (Emily Nelson) e Linda Cardellini (Diana Hyland) le trovate invece ai rispettivi link.


Se Un piccolo favore vi fosse piaciuto recuperate L'amore bugiardo - Gone Girl e La ragazza del treno. ENJOY!




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