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venerdì 16 settembre 2022

Il signore delle formiche (2022)

In settimana sono andata al cinema a vedere Il signore delle formiche, l'ultimo film di Gianni Amelio, presentato a Venezia.


Trama: verso la fine degli anni '60, l'intellettuale di sinistra Aldo Braibandi viene accusato di "plagio" ai danni di un suo giovane studente, finendo vittima di una gogna mediatica senza pari...


Pre-covid ero stata letteralmente uccisa da Hammamet, l'elegia a San Bettino girata da Gianni Amelio, e avevo giurato che mai più avrei riguardato un altro film del regista. Poi, da Venezia, sono arrivate le prime recensioni de Il signore delle formiche e i primi, interessanti trailer, quindi ho deciso di dare una chance alla vera storia del "Caso Braibanti", che ha visto l'intellettuale di sinistra Aldo Braibanti finire a processo per l'accusa di "plagio". Plagio non già inteso come auto attribuzione di opere riprese da altri, quanto piuttosto nell'accezione di riduzione in schiavitù, fisica o mentale che sia; in questo senso, il reato di plagio era stato introdotto durante il regime fascista ma è stato stato utilizzato per la prima volta per mandare a processo Braibanti nel 1965, in un disperato tentativo, da parte dei giudici, di trovare una scappatoia dall'impossibilità di condannare qualcuno per la sua omosessualità. Il signore delle formiche racconta quindi un'ingiustizia tutta italiana, accorsa negli anni '60 ma terribilmente attuale in questi tempi di regressione verso il fascismo e l'intolleranza (ciao, Giorgina, sto parlando di te!), e fotografa una pagina di storia che, personalmente, non conoscevo. La vicenda di Braibanti viene raccontata in ordine non cronologico e la prima parte del film verte principalmente sul legame tra l'intellettuale e il giovane Ettore, figlio di una famiglia di fascisti bigotti, che rimane affascinato dalla forte personalità del suo maestro, tanto da arrivare a ricambiarne l'amore e trasferirsi con lui a Roma; la seconda parte, invece, verte sul processo contro Braibanti ed introduce la figura di Ennio, giornalista dell'Unità attraverso il cui sguardo lo spettatore arriva a toccare con mano non solo l'ipocrisia dell'ambiente politico sia di destra che di sinistra ma anche la ferocia dell'omofobia imperante tra la gente comune. Mentre Braibanti, forse volutamente, viene reso quasi inavvicinabile e risulta troppo spesso antipatico nella sua reiterata natura di intellettuale tout court superiore a tutti coloro che lo circondano, Ettore ed Ennio rappresentano la "semplicità" di sentimenti, gli "uomini della strada" che, pur non finendo sotto i riflettori, risentono più di altri dell'ingiustizia di una società che condanna senza appello, forte della cieca ed arrogante convinzione di sapere cosa sia bene e cosa sia male, senza neppure ascoltare le parole di chi viene ritenuto vittima. 


Da questo punto di vista, a toccare il cuore dello spettatore sono le interpretazioni di Elio Germano e di Leonardo Maltese, al suo primo ruolo cinematografico. Luigi Lo Cascio è un Aldo Braibanti perfetto, dignitoso e tormentato, dotato di un'aura di fascino particolare e di un carisma che trasuda dalla sua figura anche nel silenzio, tuttavia ho trovato difficile empatizzare con un personaggio così arrogante e, talvolta, odioso nell'affermare la sua superiorità morale ed intellettuale. Diversa la situazione con Elio Germano e Leonardo Maltese, i quali stringono il cuore, ognuno a modo loro. Ettore, caratterizzato da Maltese con sguardi nervosi e un timido mezzo sorriso che nasconde la freschezza della gioventù, colpisce in quanto vittima sacrificale di una famiglia di pazzi bigotti, disposta a rovinare un ragazzo nel fiore degli anni nel tentativo folle di curarlo e liberarlo dall'influenza del Braibanti, e commuove per la caparbietà con la quale, in una delle scene a maggiore intensità emotiva, proclama la propria libertà riguardo la vita e l'amore. Anche Elio Germano, nei panni di Ennio, gioca di "sottrazione" e convoglia tutta la dignità e la sofferenza del proprio personaggio nei silenzi e negli sguardi di chi ogni giorno è costretto a sopportare ignoranza ed ipocrisia indossando la maschera del giornalista rozzo e spiccio per poter sopravvivere anche in mezzo ai "compagni", dipinti con toni non particolarmente lusinghieri (in realtà, l'amico Sauro dice che L'Unità ha seguito e dato risalto al processo). A queste belle interpretazioni si aggiungono quelle altrettanto intense di buona parte dei personaggi "secondari", che contribuiscono ad arricchire un film interessante e coinvolgente, al quale imputo giusto il difetto di rallentare parecchio nella seconda parte, tanto che dopo il processo di Braibanti mi sono ritrovata spesso a chiedermi "ma ancora? Ma quando finisce? Ma che c'è ancora da dire?". Un'inezia, visto che guardando Hammamet l'ho pensato dopo due minuti dall'inizio, mentre Il signore delle formiche è un film che vi consiglio di correre a vedere... anche perché dal 18 comincia la Festa del Cinema, e potete godervelo al prezzo di 3,50 Euro!



Del regista e co-sceneggiatore Gianni Amelio ho già parlato QUI. Luigi Lo Cascio (Aldo Baibranti) e Elio Germano (Ennio Scribani) li trovate invece ai rispettivi link.



martedì 28 maggio 2019

Il traditore (2019)

Ero un po' dubbiosa ma domenica, grazie alle parole di Sauro, sono andata a vedere Il traditore, diretto e co-sceneggiato dal regista Marco Bellocchio.


Trama: dopo una vita di "onorata" carriera all'interno di Cosa Nostra, negli anni '80 Tommaso Buscetta decide di diventare il primo collaboratore mafioso della polizia.


Quello di Tommaso Buscetta è un nome che da bambina e ragazzina avrò sentito mille volte nel corso di quei telegiornali che ascoltavo, durante il pranzo o la cena, con un occhio sempre tenuto su un libro o su un fumetto. Riflettendoci, domenica mi sono resa conto che, se di Totò Riina ho ben impresso il viso da vecchio zoticone di campagna, il volto di Buscetta mi era praticamente sconosciuto, così come in generale tutto ciò che era legato alla sua figura di primo collaboratore di giustizia; ho ben chiaro, invece, il ricordo della strage di Capaci, anche se nel tempo è subentrata la sensazione di caldo afoso che accompagnava un'altra strage, quella dove ha perso la vita Borsellino, a dimostrazione di come anche gli eventi più segnanti diventino vittime, col tempo, di una sorta di "smarginatura". Per fortuna esistono i film, che nel caso specifico colpiscono duro nel riproporre la strage di Capaci, momento tristemente fondamentale della storia moderna italiana e anche nella vita di Buscetta, la cui esistenza si è intrecciata saldamente, almeno per un periodo, a quella di Giovanni Falcone. Ma chi era questo Buscetta? Cosiddetto Boss dei due mondi, soldato di Cosa Nostra fuggito in Brasile, dopo essere stato catturato per la seconda volta ha deciso di diventare uno dei primi informatori di giustizia a causa di un perverso senso dell'onore, offeso dalla perdita dei romantici dettami della mafia di un tempo. "Cosa nostra" che diventa "cosa del singolo", col dio denaro come primo ed unico principio da seguire, senza guardare in faccia donne, bambini e "famiglie": così Buscetta arriva a considerarsi paladino della correttezza di Cosa Nostra, dimenticando (o, meglio, sorvolando sul fatto) di essere lui stesso, in primis, assassino, criminale, spacciatore, pronto a suicidarsi pur di non farsi catturare dalla polizia, esponente di spicco di qualcosa già sbagliato e orribile in partenza. Bellocchio, anche co-sceneggiatore, cammina sul filo sottilissimo che separa fascinazione e disgusto, riuscendo a smontare in tempo zero ogni sequenza che rischierebbe di presentarci Buscetta come l'ultimo degli eroi e sottolineando sempre e comunque la sua natura di criminale; emblematici i confronti con Falcone e la pubblica gogna dell'avvocato Coppi (per quanto paraculo difensore di un altro deprecabile, Andreotti), la prima atta ad aprire gli occhi di Buscetta davanti al suo concetto di mafia "onorevole", la seconda atta a sviscerare tutta l'assurdità di un criminale trattato come un vip e la possibilità che, tra 100 verità espresse dal nostro, ci fossero almeno 30 bugie o mezze verità, magari dettate da odio, desiderio di vendetta, voglia di mostrarsi ancora indispensabile allo Stato.


Certo, non è facile distaccarsi dall'inevitabile fascino e carisma di Pierfrancesco Favino. Affascinante anche sotto il make up che lo vuole appesantito e talvolta invecchiato, l'attore da vita ad un Buscetta molto umano non solo a livello di "sentimenti" ma anche per quanto riguarda il modo di esprimersi, di muoversi, di parlare, con quegli occhi che da un momento all'altro diventano lucidi e quel sarcasmo a fior di labbra tremanti, incerte davanti alla consapevolezza di come la cultura e l'arte oratoria talvolta possono veramente poco contro chi è più bestia di te. Il confronto tra Buscetta e Calò, così come tutti i processi mostrati all'interno del film, hanno quel mix di profondità drammatica e trash da tragicommedia che li rendono ipnotici e disgustosi al tempo stesso; si fa, paradossalmente, il tifo per Buscetta, ci si chiede se cose del genere siano accadute veramente, ci si vergogna per aver anche solo pensato di sorridere davanti alle intemperanze di un branco di animali in gabbia e allora arriva il regista a ricordarcelo, magari in maniera un po' didascalica, che ogni mafioso, Buscetta compreso, è una bestia selvatica momentaneamente confinata in una parvenza di civiltà, che non si farebbe scrupoli, una volta libero, a mordere, mutilare e uccidere. Come da "scuola Miller", Bellocchio a 80 anni si dimostra in grado di spaccare culi e confezionare un film violento, moderno sia per la scrittura che per la regia, che tira fuori il meglio dai suoi attori (non solo Favino ma anche Lo Cascio è strepitoso) e lascia lo spettatore spiazzato a più riprese, con flashback che vengono accennati e poi ripresi nel momento esatto in cui il pubblico disattento avrebbe potuto dimenticarli, tra immagini poetiche ed altre talmente terra terra da far venire voglia di vomitare. Personalmente, lo sapete, non sono "nazionalista" e non contesto (non avendo visto le opere in questione) la vittoria a Cannes di Banderas e Bong Joon-ho ma sicuramente questo Il traditore ha meritato di venire visto ed apprezzato al festival e di venire già acquistato da molti distributori esteri, quindi superate il terrore per un'eventuale mattonata (che stava per frenare anche me, lo ammetto) e correte al cinema a guardare l'ultimo film di Bellocchio prima che lo tolgano dalle sale!


Di Pierfrancesco Favino, che interpreta Tommaso Buscetta, ho già parlato QUI mentre Luigi Lo Cascio, nel ruolo di Totuccio Contorno, lo trovate QUA.

Marco Bellocchio è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Piacenza, ha diretto film come Sbatti il mostro in prima pagina, Diavolo in corpo, La balia, L'ora di religione, Buongiorno notte e Bella addormentata. Anche attore e produttore, ha 80 anni.


Tra gli altri interpreti segnalo Bebo Storti nei panni dell'avvocato Franco Coppi. ENJOY!

martedì 5 dicembre 2017

Smetto quando voglio: Ad Honorem (2017)

La notizia dell'uscita di Smetto quando voglio: Ad Honorem, diretto e co-sceneggiato da Sydney Sibilia, mi ha galvanizzata anche più del trailer di Avengers: Infinity War. Come sarà finita la trilogia più amata del cinema italiano recente?


Trama: richiusi ognuno in un carcere diverso, Pietro e i suoi compari devono trovare il modo di riunirsi e fermare Walter Mercurio, intenzionato a rilasciare il gas nervino sintetizzato per scopi ancora misteriosi...


Smetto quando voglio era spuntato tre/quattro anni fa con un trailer accattivante, riuscendo a conquistarmi con un mix di perizia registica, attori simpatici e una trama scoppiettante ma mai mi sarei aspettata che l'opera prima di Sydney Sibilia sarebbe diventata una trilogia. Né, sono sincera, che mi sarei congedata da Pietro, Alberto e compagnia con un una sensazione di malinconia così forte da farmi sudare un po' gli occhi. Tre anni, in quest'epoca di film mordi e fuggi, di "memoria del pesce rosso", non sono pochi e sarei una bugiarda se dicessi di ricordare alla perfezione Masterclass, uscito a febbraio e impossibile da rinfrescare in tempo per il debutto di Ad Honorem; probabilmente tra un mese non ricorderò nemmeno più la gioia di avere guardato l'ultimo capitolo della trilogia ma quello che spero rimarrà è la sensazione di aver perso qualcosa, di essermi dispiaciuta all'idea di non poter sbirciare nel futuro dei simpatici protagonisti del film e sapere cosa ne sarà di loro. Verranno schiacciati dalla burocrazia legale italiana fino a perdere tutte le loro facoltà intellettive oppure riusciranno a fare tesoro di tutti i casini successi in questo periodo e dare una svolta positiva alla loro esistenza? Non è dato sapere, purtroppo, e la sceneggiatura del film non offre spazio a riflessioni troppo allegre. Più distante dal piglio action del secondo capitolo, Ad Honorem torna a riflettere sul destino dei laureati precari in Italia, puntando il dito contro la vergognosa gestione delle risorse finanziare destinate all'istruzione, contro la burocrazia lenta e infame, lo schifo quasi tutto italiano di persone ignoranti che si riempiono la bocca di promesse senza mantenerle, il sistema di favoritismi che regola qualsiasi successo personale o accademico, leggi che tutelano i potenti e cavilli che inchiappettano i poveracci, persino (e qui è scattato l'applauso pensando a gente come Valentino Rossi, al suo omonimo Vasco, persino a Fabio Volo, santocielo!!!!) contro le cosiddette lauree Honoris Causa. "Ma qual è il voto di una laurea ad honorem?" si chiede uno dei personaggi sul finale e la risposta è "Non lo so ma dovrebbe equivalere ad una lode, no?" "Sì ma qual è il valore di una laurea ottenuta così?" EH. Bella domanda. Uno si fa un mazzo tanto per ottenerne una vera, spendendoci tempo, soldi e sanità mentale, e arriva il primo frescone ignorante e rigorosamente VIP che si becca una laurea "a gratis" per motivazioni imbecilli. Evviva il mondo accademico.


Il ritorno alle origini di Ad Honorem coincide con una trama molto più semplice rispetto ai due film precedenti, al punto che la pellicola sembra durare poco più di un quarto d'ora. Tolto un angosciante flashback iniziale, la storia si focalizza infatti su due soli avvenimenti, ovvero l'evasione dal carcere e il tentativo di fermare Mercurio, e questa semplicità è l'ideale per riannodare le fila del discorso facendo quadrare alla perfezione tutto ciò che è accaduto nei tre film, a partire dall'incidente di Alberto. Le gag questa volta sono state distribuite equamente a tutti i personaggi, ognuno dei quali ha la possibilità di profondersi per l'ultima volta nelle abilità a lui più congeniali, con risultati esilaranti; al solito, i riflettori sono puntati più su Edoardo Leo (vero e proprio comic relief, che non smette di fare ridere neppure quando gli puntano una pistola contro, anche se sul finale persino lui è riuscito a commuovermi) e Stefano Fresi, semplicemente meraviglioso durante la sequenza che ne mette in risalto le reali doti canore, ma anche gli altri si congedano dal pubblico con momenti e battute memorabili. Punte di diamante di un cast che potrebbe dare molto anche in una pellicola più "seria", mi si passi il termine, sono Luigi Lo Cascio e Neri Marcorè, interpreti di due figure tragiche e segnate da un fato impietoso, dotate di una profondità che impedisce a Ad Honorem di ridursi ad una semplice accozzaglia di gag ben riuscite; a tal proposito, complimenti a Sydney Sibilia, come sempre, per l'abilità con la quale riesce da quasi quattro anni a mescolare i generi, infilare delle citazioni sottili ma gradevoli (l'escamotage Lostiano del biglietto attraverso il vetro, unito a reminescenze Watchmeniane, merita tanto di cappello) e mantenere intatta una sorta di "italianità" che, per una volta, non fa vergognare lo spettatore. Si conclude qui, per me, una bella pagina di cinema "popolare" nostrano, con un occhio rivolto allo stile d'oltreoceano, pop e televisivo che spero si possa tradurre in una distribuzione della trilogia anche all'estero. E' quello che auguro a Sibilia e compagnia, sperando di rivederli presto al lavoro in qualche altra opera alla quale so già che darò tutta la mia fiducia. Una laurea a pieni voti, signori (con tanto di bacio accademico a Marcorè, che nei panni del Murena è stranamente affascinante, e a Marco Bonini, con quel fisico da bronzo di Riace sfoggiato in doccia)!


Del regista e co-sceneggiatore Sydney Sibilia ho già parlato QUIEdoardo Leo (Pietro Zinni), Valerio Aprea (Mattia), Paolo Calabresi (Arturo), Libero De Rienzo (Bartolomeo), Stefano Fresi (Alberto), Lorenzo Lavia (Giorgio), Pietro Sermonti (Andrea), Giampaolo Morelli (Lucio Napoli), Greta Scarano (Paola Coletti), Luigi Lo Cascio (Walter Mercurio), Valeria Solarino (Giulia) e Neri Marcorè (Er Murena) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Smetto quando voglio: Ad Honorem vi fosse piaciuto recuperate i precedenti Smetto quando voglio e Smetto quando voglio: Masterclass. ENJOY!





martedì 7 febbraio 2017

Smetto quando voglio: Masterclass (2017)

Lo aspettavo più di La La Land e, alla faccia della febbre da Oscar che ha portato gli spettatori a guardare La battaglia di Hacksaw Ridge, sabato sono corsa a vedere Smetto quando voglio: Masterclass, diretto e co-sceneggiato da Sidney Sibilia.


Trama: accusati di svariati crimini, i membri della cosiddetta "banda dei ricercatori" si riuniscono per aiutare la polizia a stroncare sul nascere il traffico di smart drugs, con esisti imprevedibili...


Smetto quando voglio è stato uno di quei film che nel 2014 mi aveva folgorata e, come ben sapete, è MOLTO raro che un film italiano mi faccia questo effetto. La magica combinazione tra sceneggiatura esilarante, regia accattivante ed interpreti effettivamente molto bravi era riuscita nella non facile impresa di entusiasmarmi parecchio e quando è uscita la notizia di un sequel (assieme al quale è stato girato in contemporanea, alla Matrix, il terzo capitolo della saga, che chissà quando uscirà però!), confermata poi dai trailer, il mio fanciullino interiore è esploso di felicità. Ma, per restare in tema Matrix, questo Masterclass è maffo come Matrix Reloaded ed è riuscito a spalancare le porte del diludendo? Assolutamente no! Il secondo capitolo della saga dedicata alla banda dei ricercatori ha le stesse caratteristiche positive del primo film ma è in qualche modo più "rilassato": conoscendo il "gioco" da cui è partito tutto, gli sceneggiatori hanno investito Pietro e soci di una specie di aura supereroistica, votandoli alla causa del bene e trasformandoli in una task force speciale impegnata a riconoscere e debellare quelle stesse smart drugs che li avevano arricchiti nel primo film. L'intento di critica sociale è quindi venuto un po' meno e il piglio del film è diventato più avventuroso, tanto che gli stessi personaggi ammettono ad un certo punto di preferire la vita sregolata della banda a quella precedente, in quanto finalmente le loro capacità vengono messe al servizio di un bene più grande, ma quello che non è diminuito è il divertimento dello spettatore. Senza fare troppi spoiler, allo zoccolo duro della banda vengono aggiunti un paio di altri membri i quali, a mio avviso, sono un po' il punto debole del film (non che non siano simpatici ma tolgono spazio a beniamini quali per esempio Mattia, Arturo e Bartolomeo) e il tutto viene reso ancora più interessante perché Masterclass è costruito come un lunghissimo flashback che racconta parte di ciò che è accaduto a Pietro e soci tra l'arresto e la nascita del figlio suo e di Giulia, pargoletto che vediamo alla fine del primo film.


Aggiungere altro sulla trama sarebbe un delitto, anche perché sul finale Masterclass prende una direzione ancora diversa, quindi spenderò giusto un paio di parole sulla realizzazione. Per quel che riguarda la regia, Sydney Sibilia riprende lo stile "acido" e moderno del primo film, abbondando in  panoramiche rapide, primissimi piani, prospettive "strane" e omaggi ad altre pellicole sullo stesso filone: personalmente, ho apprezzato tantissimo la citazione di A Scanner Darkly di Richard Linklater, con l'introduzione della tecnica del rotoscoping  in un momento assolutamente calzante. Il montaggio serrato, la fotografia carica e la colonna sonora (un mix di musiche d'atmosfera e successi punkettoni) fanno il resto e rendono Masterclass un prodotto tecnicamente superiore rispetto alla media delle commedie italiane che ci vengono propinate mensilmente, in più questa volta c'è stato un aumento dei budget per quello che riguarda scenografie ed effetti speciali e si vede (la sequenza finale sul treno e l'inseguimento all'interno del parco archeologico sono realizzati benissimo). Gli attori, dal canto loro, sembrano ormai perfettamente a loro agio con i personaggi interpretati e vederli azzuffarsi sullo schermo è come avere davanti dei vecchi amici, magari un po' più colti, con i quali cazzeggiare la sera; se Edoardo Leo, Fresi e i già citati Valerio Aprea, Libero De Rienzo e Lorenzo Lavia, ai quali vanno aggiunti gli immancabili e fantastici Pietro Sermonti e Paolo Calabresi, danno come sempre il bianco, le nuove aggiunte non sono male (soprattutto l'avvocato esperto in diritto canonico!) e l'unico neo del cast restano come sempre le pochissime quote rosa, poco incisive se paragonate ai colleghi uomini. Insomma, la banda dei ricercatori è tornata alla grande e l'unico vero difetto del film è l'attesa di Smetto quando voglio - Ad Honorem che, sinceramente, avrei voluto guardare appena finito Masterclass. Non farmi aspettare troppo, Sydney!!


Del regista e co-sceneggiatore Sydney Sibilia ho già parlato QUI. Edoardo Leo (Pietro Zinni), Paolo Calabresi (Arturo), Libero De Rienzo (Bartolomeo), Pietro Sermonti (Andrea) e Valeria Solarino (Giulia) li trovate invece ai rispettivi link.

Stefano Fresi interpreta Alberto Petrelli. Nato a Roma, ha partecipato a film come Almost BlueRomanzo criminale, La prima volta (di mia figlia) Al posto tuo. Anche compositore, ha 42 anni e un film in uscita, l'imminente Smetto quando voglio: Ad Honorem.


Valerio Aprea interpreta Mattia Argeri. Nato a Roma, ha partecipato a film come Nessuno mi può giudicare, Boris - Il film, Smetto quando voglio e a serie come La squadra, Incantesimo 4, Il maresciallo Rocca e Boris. Ha 49 anni e un film in uscita, Smetto quando voglio: Ad honorem.


Lorenzo Lavia interpreta Giorgio. Nato a Roma, figlio di Gabriele Lavia, ha partecipato a film come La lupa, Smetto quando voglio e a serie come Don Matteo. Ha 45 anni e un film in uscita, Smetto quando voglio: Ad honorem.


Luigi Lo Cascio interpreta Walter Mercurio. Nato a Palermo, lo ricordo per film come I cento passi, La meglio gioventù e Buongiorno notte. Anche regista e sceneggiatore, ha 50 anni e due film in uscita, tra i quali Smetto quando voglio: Ad honorem.


Greta Scarano interpreta Paola Coletti. Nata a Roma, ha partecipato a film come Suburra e a serie quali Don Matteo, Romanzo criminale - La serie e Squadra antimafia. Ha 29 anni.


Rosario Lisma, che interpreta l'avvocato Arturo, era stato il padre del protagonista nel film La mafia uccide solo d'estate. Del film esiste anche un fumetto uscito la settimana scorsa in allegato alla Gazzetta dello sport, scritto da Roberto Recchioni e disegnato da Giacomo Bevilacqua; l'ho preso e sinceramente non è nulla di che ma come gadget è una cosa simpatica, anche perché si trova con quattro diverse cover variant. Meglio recuperare Smetto quando voglio se vi fosse piaciuto Masterclass e attendere con gioia Ad Honorem! ENJOY!

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