Oggi parliamo di uno dei miei film preferiti, Frailty - Nessuno è al sicuro (Frailty), diretto nel 2001 dal regista Bill Paxton.
Trama: in una notte piovosa, un uomo si presenta a un agente dell'FBI dichiarando di conoscere l'identità del serial killer Mano di Dio, dietro cui si nasconderebbe il fratello col quale ha condiviso una terribile infanzia...
Avevo visto Frailty al cinema nel lontano 2002 e ricordo ancora oggi quanto mi fosse piaciuto. Tuttavia, non sono mai più riuscita a ritrovarlo, perso in passaggi televisivi probabilmente tardivi, raro da scovare in DVD o Bluray, completamente assente dal circuito dello streaming. Ultimamente mi sono incaponita e ho deciso di cercarlo e rivederlo, con somma soddisfazione, perché anche vent'anni dopo Frailty si è riconfermato uno dei film più intriganti, nel suo genere, che mi sia capitato di vedere. Cercherò di non fare spoiler, anche se spero che i miei pochissimi lettori conoscano già l'opera. Frailty è figlio dei thriller di fine anni '90 e delle contaminazioni di inizio secolo con l'horror sovrannaturale, che hanno dato parecchi frutti buoni (che trovate in fondo al post) e altri meno buoni e incasinati. A mio modesto parere, questo è uno dei migliori, anche perché la sua storia ha un sapore estremamente Kinghiano, e parrebbe uscita dritta dalla penna del Re. Abbiamo, infatti, un uomo che racconta a un agente dell'FBI la sua orribile infanzia, passata senza una madre e con un padre che, in breve tempo, è passato dall'essere un genitore amorevole a un folle ossessionato da una missione divina; papà Meiks, una sera, riceve la visita di un angelo che gli affida l'ingrato compito di scovare e uccidere demoni, nascosti dietro al sembiante di normalissime persone, e coinvolge nella missione anche i suoi due figli, il piccolo Adam e Fenton, il maggiore, che è poi la voce narrante dell'intera storia. L'orrore reale di Frailty è vedere andare in pezzi il mondo sicuro di Fenton, costretto a subire la ferma convinzione del padre e a perdere anche il fratellino, totalmente soggiogato dalle idee del genitore, ritrovandosi lacerato tra l'affetto per i familiari e la consapevolezza dell'orrore delle loro azioni in un'età in cui è difficile capire al 100% cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.
Il punto di vista di Fenton diventa totale all'interno del film. Non solo pendiamo dalle sue labbra, annichiliti dall'orrore di quello che due bambini sono costretti a subire (il padre è convinto di uccidere demoni e non capisce perché Fenton non veda oltre la loro apparenza di persone, mentre il bambino vede esseri umani massacrati con l'accetta, e questa è solo la punta dell'iceberg), al punto da riscuoterci perplessi quando la narrazione torna a concentrarsi sul dialogo tra un Fenton ormai adulto e l'agente dell'FBI, ma Bill Paxton si impegna a mettere su schermo il punto di vista di un bambino anche grazie alle inquadrature: tutto, nei flashback che sono il cuore della vicenda, viene reso a misura di ragazzino, con gli adulti ripresi dal basso verso l'alto, ad incombere da ambienti sempre meno familiari e sempre più ristretti e cupi, con ben poche concessioni a quelli che dovrebbero essere i luoghi frequentati da Fenton, come la scuola, il parco, le case degli amici, ecc. In tutto questo, sebbene il disagio e l'orrore derivanti dalle vicende di Fenton siano tangibili e anche troppo reali, c'è un orrore ancora più grande a pendere come una spada di Damocle sulla testa dello spettatore, ovvero il dubbio che il padre dei due bambini possa avere ragione. La narrazione è interamente filtrata dal punto di vista di Fenton, come ho detto, tuttavia alcuni elementi visivi e alcune inquadrature, pur rimanendo strettamente legate a un registro realistico (salvo la scena in cui un angelo visita effettivamente papà Meiks, l'unica davvero surreale presente in tutto il film) insinuano qualche dubbio nella mente dello spettatore, che viene costretto a rimanere attento e coinvolto fino al finale, del quale, ovviamente, non parlerò, e che da anni divide. Da par mio, dico che l'ho sempre apprezzato molto, perché rende il tutto ancora più tragico ed inquietante (SPOILER: il destino di Fenton, spinto alla psicosi proprio dal padre che voleva salvare l'umanità per mano di Dio, segna il fallimento sia del genitore sia di quel fratello che ha scelto di ereditarne la crociata e sottolinea ancor più come il "bene" predicato da Meiks valesse ben poco rispetto alla tortura fisica e psicologica subita dal figlio maggiore. Adam, da par suo, che si scopre essere il vero narratore, nonostante emerga come "vincitore" di una vicenda realmente sovrannaturale, è difficile da percepire come angelo salvatore, e risulta l'ennesimo strumento, cieco e folle, di una divinità che non guarda in faccia a nessuno pur di perseguire i suoi scopi). Se non vi è mai capitato di guardare Frailty fatelo subito, per gli altri potrebbe essere il gradito ripescaggio di uno dei titoli più interessanti e gradevoli dell'epoca.
Del regista Bill Paxton, che interpreta anche papà Meiks, ho già parlato QUI. Matthew McConaughey (Fenton Meiks), Powers Boothe (Agente Wesley Doyle) e Matt O'Leary (Fenton bambino) li trovate invece ai rispettivi link.