Trama: Lee, agente dell'FBI, viene coinvolta nel caso di Longlegs, misterioso assassino che da 30 anni stermina intere famiglie senza lasciare traccia salvo alcune lettere indecifrabili...
Cominciamo a togliere di mezzo la fastidiosa domanda generata dall'intenso battage pubblicitario americano: Longlegs è il film più spaventoso degli ultimi tempi? La risposta sincera è no, ma c'è da elaborare. L'ultimo lavoro di Osgood Perkins, per buona parte della sua durata, non lega la sua narrazione al genere horror, ma svia l'attenzione dello spettatore mirando, apparentemente, al modello di thriller pesantemente contaminati dal nostro genere preferito, come Se7en e Il silenzio degli innocenti. Questi due film balzano subito alla mente guardando Longlegs, non solo perché la protagonista è poco più che una recluta con alcune caratteristiche che la rendono "particolare", ma per una generale aura di plumbea pesantezza e pericolo imminente che sembrano volerla schiacciare fin dalle primissime scene. A dire il vero, a me il film ha però ricordato, piuttosto, alcuni degli episodi di X-Files più riusciti (non a caso, siamo negli anni '90 del sorridente Clinton), e, soprattutto, le prime due stagioni di Twin Peaks. L'elemento lynchiano di Longlegs, se mi passate il termine, risiede nella weirdness (talvolta, ingannevolmente esilarante) di tutti i personaggi presenti nel film, ognuno dei quali, persino quelli che dovrebbero garantire legge, ordine o tranquillità famigliare, hanno una caratteristica che stona all'interno di un contesto verosimile, e offrono di conseguenza il fianco alla possibilità di qualcosa che esista qualcosa di "sbagliato", di perturbante. Longlegs svariona pesantemente e gradevolmente sul finale, ma fino a quel momento cammina su un filo assai equilibrato di incertezza, nel centro perfetto del dualismo di una trama che segue un'investigazione tutto sommato lineare, e una regia che fa di tutto per confermare che di normale, in Longlegs, non c'è proprio nulla. Più volte, nel film, viene consigliato di osservare a lungo, di guardare, ma è difficile farlo quando il nostro punto di vista è condizionato da una regia fatta di grandangoli e prospettive sghembe che schiacciano le immagini rendendole claustrofobiche, spesso centrate su una Maika Monroe ripresa a distanza, come se qualcosa la osservasse, non visto. E quel qualcosa c'è, eccome. Perkins lo schiaffa a tradimento negli angoli nascosti, come un elemento dissonante, un male ineluttabile che agisce di nascosto ma neppure troppo, perché masticare e sputare gli inutili esseri umani è fin troppo facile. Per questo è importantissimo, in Longlegs, sapere dove guardare, in quanto, come nei migliori thriller, tutto è lì fin dall'inizio, e l'arte sta nel rendere spettatori e protagonisti dei burattini da sviare a piacimento, magari focalizzando la loro attenzione su Nicolas Cage.
Il brutto di vivere in un mondo ormai governato da social spoilerosi, è che Nic lo avrete già visto, nel suo trucco che lo rende quasi irriconoscibile, quando sarebbe stato meglio non sapere nulla di lui (e qui torniamo sulla questione dei quattro mesi di gap tra noi e il resto del mondo. Ribadisco, vergogna). Ma non importa, da un certo punto di vista, perché Cage, impegnato in una delle sue migliori performance, non è l'elemento fondamentale di Longlegs. Lui è l'uomo nero, certo, ma apre le porte a domande ben più insidiose, non solo legate all'"altro" da noi, ma proprio a ciò che in noi si nasconde, quello che non possiamo o non vogliamo vedere, quello che mettiamo da parte per qualcosa di più grande, vittime di un amore che diventa terreno fertile per l'orrore più profondo. Cage è la punta dell'iceberg, ma ciò che chiede Longlegs è di scavare, schiantarci come il Titanic contro un film che mette i brividi fin dalla prima inquadratura, che ti fa accendere le luci in casa, perché non sia mai che, al buio, ci sia qualcosa a fissarti. Poi, se volete, vi dico anche che Perkins è un mago della simmetria e delle simbologie nascoste, che riesce a trasformare il formato dei filmini casalinghi in qualcosa di ancora più terrificante di ciò che veniva mostrato in Sinister, che sul finale confeziona alcune delle sequenze e delle singole immagini più belle e agghiaccianti che vedrete quest'anno, e che Longlegs ha una colonna sonora di tutto rispetto e una fotografia da urlo, ma vi lascio il piacere di scoprire tutte queste cose da soli. Per quanto mi riguarda, Longlegs non è il film più terrificante degli ultimi decenni, ché ormai mi risulta difficile spaventarmi davvero, ma mi ha lasciato sicuramente la sensazione come di qualcuno che sia sempre lì a toccarti sulle spalle, pronto a farti "cucù" (e non in modo simpatico come Russell Crowe), oltre alla voglia di rivederlo ancora e ancora. La possibilità che diventi un grande classico e un cult è più che tangibile e io forse ho trovato l'horror dell'anno.
Del regista e sceneggiatore Osgood Perkins ho già parlato QUI. Maika Monroe (Agente Lee Harker), Nicolas Cage (Longlegs), Alicia Witt (Ruth Harker) e Kiernan Shipka (Carrie Anne Camera) li trovate invece ai rispettivi link.