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martedì 27 agosto 2024

Longlegs (2024)

Perdonatemi, ma non ce l'ho fatta. E' assolutamente VERGOGNOSO che, in Italia, uno dei film più importanti dell'anno esca con quattro mesi di ritardo rispetto al resto del mondo. Quindi, nell'attesa di riguardarlo come si deve in sala, mi sono permessa di recuperare altrove Longlegs, diretto e sceneggiato dal regista Osgood Perkins, e di parlarne SENZA SPOILER.


Trama: Lee, agente dell'FBI, viene coinvolta nel caso di Longlegs, misterioso assassino che da 30 anni stermina intere famiglie senza lasciare traccia salvo alcune lettere indecifrabili...


Cominciamo a togliere di mezzo la fastidiosa domanda generata dall'intenso battage pubblicitario americano: Longlegs è il film più spaventoso degli ultimi tempi? La risposta sincera è no, ma c'è da elaborare. L'ultimo lavoro di Osgood Perkins, per buona parte della sua durata, non lega la sua narrazione al genere horror, ma svia l'attenzione dello spettatore mirando, apparentemente, al modello di thriller pesantemente contaminati dal nostro genere preferito, come Se7en e Il silenzio degli innocenti. Questi due film balzano subito alla mente guardando Longlegs, non solo perché la protagonista è poco più che una recluta con alcune caratteristiche che la rendono "particolare", ma per una generale aura di plumbea pesantezza e pericolo imminente che sembrano volerla schiacciare fin dalle primissime scene. A dire il vero, a me il film ha però ricordato, piuttosto, alcuni degli episodi di X-Files più riusciti (non a caso, siamo negli anni '90 del sorridente Clinton), e, soprattutto, le prime due stagioni di Twin Peaks. L'elemento lynchiano di Longlegs, se mi passate il termine, risiede nella weirdness (talvolta, ingannevolmente esilarante) di tutti i personaggi presenti nel film, ognuno dei quali, persino quelli che dovrebbero garantire legge, ordine o tranquillità famigliare, hanno una caratteristica che stona all'interno di un contesto verosimile, e offrono di conseguenza il fianco alla possibilità di qualcosa che esista qualcosa di "sbagliato", di perturbante. Longlegs svariona pesantemente e gradevolmente sul finale, ma fino a quel momento cammina su un filo assai equilibrato di incertezza, nel centro perfetto del dualismo di una trama che segue un'investigazione tutto sommato lineare, e una regia che fa di tutto per confermare che di normale, in Longlegs, non c'è proprio nulla. Più volte, nel film, viene consigliato di osservare a lungo, di guardare, ma è difficile farlo quando il nostro punto di vista è condizionato da una regia fatta di grandangoli e prospettive sghembe che schiacciano le immagini rendendole claustrofobiche, spesso centrate su una Maika Monroe ripresa a distanza, come se qualcosa la osservasse, non visto. E quel qualcosa c'è, eccome. Perkins lo schiaffa a tradimento negli angoli nascosti, come un elemento dissonante, un male ineluttabile che agisce di nascosto ma neppure troppo, perché masticare e sputare gli inutili esseri umani è fin troppo facile. Per questo è importantissimo, in Longlegs, sapere dove guardare, in quanto, come nei migliori thriller, tutto è lì fin dall'inizio, e l'arte sta nel rendere spettatori e protagonisti dei burattini da sviare a piacimento, magari focalizzando la loro attenzione su Nicolas Cage.


Il brutto di vivere in un mondo ormai governato da social spoilerosi, è che Nic lo avrete già visto, nel suo trucco che lo rende quasi irriconoscibile, quando sarebbe stato meglio non sapere nulla di lui (e qui torniamo sulla questione dei quattro mesi di gap tra noi e il resto del mondo. Ribadisco, vergogna). Ma non importa, da un certo punto di vista, perché Cage, impegnato in una delle sue migliori performance, non è l'elemento fondamentale di Longlegs. Lui è l'uomo nero, certo, ma apre le porte a domande ben più insidiose, non solo legate all'"altro" da noi, ma proprio a ciò che in noi si nasconde, quello che non possiamo o non vogliamo vedere, quello che mettiamo da parte per qualcosa di più grande, vittime di un amore che diventa terreno fertile per l'orrore più profondo. Cage è la punta dell'iceberg, ma ciò che chiede Longlegs è di scavare, schiantarci come il Titanic contro un film che mette i brividi fin dalla prima inquadratura, che ti fa accendere le luci in casa, perché non sia mai che, al buio, ci sia qualcosa a fissarti. Poi, se volete, vi dico anche che Perkins è un mago della simmetria e delle simbologie nascoste, che riesce a trasformare il formato dei filmini casalinghi in qualcosa di ancora più terrificante di ciò che veniva mostrato in Sinister, che sul finale confeziona alcune delle sequenze e delle singole immagini più belle e agghiaccianti che vedrete quest'anno, e che Longlegs ha una colonna sonora di tutto rispetto e una fotografia da urlo, ma vi lascio il piacere di scoprire tutte queste cose da soli. Per quanto mi riguarda, Longlegs non è il film più terrificante degli ultimi decenni, ché ormai mi risulta difficile spaventarmi davvero, ma mi ha lasciato sicuramente la sensazione come di qualcuno che sia sempre lì a toccarti sulle spalle, pronto a farti "cucù" (e non in modo simpatico come Russell Crowe), oltre alla voglia di rivederlo ancora e ancora. La possibilità che diventi un grande classico e un cult è più che tangibile e io forse ho trovato l'horror dell'anno.


Del regista e sceneggiatore Osgood Perkins ho già parlato QUI. Maika Monroe (Agente Lee Harker), Nicolas Cage (Longlegs), Alicia Witt (Ruth Harker) e Kiernan Shipka (Carrie Anne Camera) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Longlegs vi fosse piaciuto, recuperate Il silenzio degli innocenti, Zodiac e Se7en. ENJOY!

martedì 23 maggio 2023

Bollalmanacco on Demand: Greta (2018)

Torna il Bollalmanacco On Demand con un film richiesto nientemeno che da Mr. Ink del blog Diario di una dipendenza! Oggi parlerò di Greta, diretto e co-sceneggiato nel 2018 dal regista Neil Jordan. Il prossimo film On Demand sarà L' Orribile Segreto Del Dr. Hichcock! ENJOY!


Trama: la giovane Frances, da poco orfana di madre, trova sulla metro una borsa abbandonata e la riporta a Greta, elegante vedova di origini europee che vive da sola. Dall'episodio nasce un'amicizia, che si incrina quando Frances scopre l'inquietante segreto di Greta...


Purtroppo è passato tantissimo tempo da quando Michele mi ha chiesto di recensire Greta e non ricordo, ahimé, il contesto in cui è nata quest'occasione di confronto, quindi chiedo al diretto interessato di dire la sua, magari nei commenti! Per quanto mi riguarda, guardare Greta è stato come fare un tuffo negli anni '80/'90, in piena febbre da "Ciclo Alta Tensione", che offriva allo spettatore thriller sul filo dell'assurdo dove persone assolutamente normali vedevano la loro vita sconvolta da matti col botto. E' ciò che accade alla povera Frances, ragazzotta di buon cuore finita a fare la cameriera a New York, che in un giorno come tanti trova sulla metro una borsa abbandonata e decide di restituirla personalmente alla proprietaria. Quest'ultima è la Greta del titolo, un'elegante signora dall'accento francese che, complice la condizione di vedova solitaria e con figlia lontana, si accattiva le simpatie della sensibile Frances ed instaura un rapporto di sincera amicizia con la ragazza. Tutto crolla quando Frances scopre l'inquietante segreto di Greta, che inizialmente va a collocarla, su una scala di follia da zero a psicopatica, al livello "follower di Giorgia Soleri". La ragazza decide comprensibilmente di non avere più niente a che fare con Greta e tutto finirebbe lì, non fosse che la signora si incaponisce e da "semplice" eccentrica diventa una stalker via via sempre più pericolosa, con sviluppi della trama che vi lascio il piacere di scoprire. Come tutti i film di genere, Greta funziona grazie a un po' di sospensione dell'incredulità (soprattutto verso la conclusione, a causa di una scelta di Frances che lascia abbastanza perplessi), aiutata dal fatto che, purtroppo, è vero che la legge non tutela minimamente le vittime di stalking finché il persecutore non passa alle minacce fisiche vere e proprie, quando ormai è già troppo tardi; diversamente da altre pellicole simili, invece, la protagonista non viene fatta passare per scema, e la sua migliore amica la sostiene fin da subito nel corso della sua lotta disperata contro le attenzioni indesiderate di Greta, elemento della trama che mi è piaciuto molto.


Per quanto riguarda la realizzazione, Greta ha il difetto di essere leggermente piatto e trattenersi troppo durante il primo e il secondo atto, forse per rispetto di un'attrice blasonata come Isabelle Huppert. Ciò è un vero peccato, perché l'attrice esplode nel terzo, folle atto, che la trasforma in una strega cattiva da fiaba e va incontro alla vocazione registica di Neil Jordan, il cui stile è perfetto per questo genere di storie dark e un po' grottesche; a differenza di un thriller come Watcher, che vede come protagonista proprio Maika Monroe, Greta non riesce a sfruttare appieno gli ambienti in cui viene a trovarsi la protagonista (tranne quando la casa di Greta, all'interno della quale i suoni esterni e il tempo sembrano annullarsi, diventa il luogo principale dell'azione), né a creare un reale senso di isolamento attorno alla Moretz, di conseguenza risulta piatto e privo di personalità, almeno fino al provvidenziale tintinnio del forno a microonde, un suono che preannuncia il cambiamento di registro della pellicola, rendendola molto più interessante (e anche schifosa. In una scena che coinvolge una siringa ho dovuto distogliere lo sguardo). Avessero deciso di giocare fin da subito la carta del weird, Greta avrebbe potuto essere un capolavoro, ciò nonostante il film risulta molto godibile, perché si regge interamente sull'interpretazione di attrici assai brave. Chloë Grace Moretz, coi suoi grandi occhioni e il sembiante da brava ragazza ingenua, fa tutto quello che si può chiedere a una protagonista, la Huppert si è palesemente divertita e, come ho scritto sopra, non si sottrae alla richiesta di alzare il tasso di weirdness da un certo punto in poi, cosa che rende il suo personaggio ancora più inquietante, e la Monroe fa come il buon vino, ovvero migliora se lasciata a riposo. Capirete il perché di quest'ultima affermazione guardando il film, che ovviamente vi consiglio, anche in virtù di una breve durata che gli impedisce di annoiare lo spettatore, trattenendolo dall'inizio alla fine. Peccato che ormai questa regola aurea di brevità non venga più seguita!


Del regista e co-sceneggiatore Neil Jordan ho già parlato QUI. Isabelle Huppert (Greta Hideg), Chloë Grace Moretz (Frances McCullen), Maika Monroe (Erica Penn), Colm Feore (Chris McCullen) e Stephen Rea (Brian Cody) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Greta vi fosse piaciuto recuperate Watcher (lo trovate a noleggio su varie piattaforme legali). ENJOY!

martedì 26 luglio 2022

Watcher (2022)

Attirata dalla locandina vista su Letterboxd, ho deciso di recuperare Watcher, diretto e co-sceneggiato dalla regista Chloe Okuno.


Trama: appena trasferitasi in Romania col marito, l'ex attrice Julia vede qualcuno che la spia dalla finestra dell'appartamento di fronte, proprio mentre il quartiere è scosso dagli omicidi di alcune giovani donne...


Watcher
è un film di un'eleganza spaventosa. Sto scrivendo questo post dopo parecchi giorni dalla fine della visione, ed è la bellezza della messa in scena la cosa che più mi è rimasta impressa, forse ancor più dell'aspetto thriller di quello che può tranquillamente venire definito uno slow burn con tutti i crismi, dove "non succede nulla" fino a pochi minuti dalla fine. Eppure, come tutti gli slow burn ben fatti, Watcher entra sottopelle, con una storia la cui atmosfera paranoica mira a grandi nomi come Hitchcock e Polanski, aggiornata tuttavia a situazioni anche troppo attuali, nelle quali molte spettatrici rischiano di riconoscersi, in questi tempi in cui è difficile sentirsi sicure anche in pieno giorno, in mezzo alla gente. Julia, la protagonista, si ritrova ad essere straniera in terra straniera nel momento in cui il marito la porta con sé in Romania per lavoro; lui ha origini romene, quindi conosce la lingua e deve impegnarsi ogni giorno per mostrarsi degno della promozione ricevuta, lei parla solo inglese e si è presa una pausa dalla recitazione per motivi che non vengono chiariti ma che, probabilmente, hanno radici in qualche disagio psicologico. Le giornate di Julia passano, inutile girarci attorno, nella solitudine e nella noia, amplificate dalla barriera linguistica che si frappone tra lei e chi la circonda, e la sensazione di straniamento iniziale si amplifica nel momento in cui la ragazza si accorge che, dall'appartamento di fronte, qualcuno la sta spiando. A nulla vale ricorrere alla soluzione più intelligente che vedrete in un horror recente, ovvero mettere delle tende spesse per bloccare la visuale del vicino inopportuno, perché nel frattempo nel quartiere vengono uccise delle donne e Julia si convince di essere nel mirino dell'assassino, di essere perseguitata dal suo sguardo onnipresente, mentre il marito, oltre ovviamente a non crederle, la lascia sempre più sola.


Come vedete, la trama di Watcher è una delle più classiche che esistano, eppure il film di Chloe Okuno è comunque estremamente efficace e costruisce la suspense in maniera impeccabile, avvalendosi di una protagonista che non si limita a subire lo sguardo del maniaco ma che, in qualche modo, cerca di reagire creando nuove dinamiche e sovvertendo gli equilibri. Julia, forse in modo goffo, ci prova a prendere in mano la situazione, non lascia mai correre. Monta delle tende efficaci, impone al marito di chiamare la polizia e di andare nell'appartamento del vicino assieme allo scettico poliziotto, pretende di vedere le immagini di sorveglianza del supermercato, si improvvisa a sua volta stalker, ribaltando completamente il punto di vista di un film che, fino a quel momento, non aveva mai messo in dubbio la natura negativa (fosse anche perché "soltanto" guardona) del vicino di casa; sotto lo sguardo implacabile di Julia, messo dall'altra parte del "microscopio", l'uomo diventa una figura triste e sola quanto la protagonista, ammantata da un'aura di dimesso squallore, là dove Julia potrebbe vivere invece un'esistenza da sogno. Il suo appartamento enorme, gli abiti raffinati (che acquistano toni di colore sempre più neutri, come se Julia volesse mescolarsi con l'ambiente urbano cercando di non saltare all'occhio del potenziale stalker), l'innegabile bellezza, sono croce e delizia del personaggio interpretato dalla bravissima Maika Monroe, schiacciata dal peso dell'essere "la moglie annoiata e matta", "l'eccentrica straniera", l'"ingrata che sfrutta i soldi del marito senza fare nulla" e che addita un poveraccio come fonte di tutti i suoi problemi, attirandosi l'incredulo biasimo di chi dovrebbe invece proteggerla. 


Tutti gli aspetti apparentemente positivi della vita di Julia diventano dunque mezzi per aumentare il senso di claustrofobia crescente, riproposto anche in inquadrature che vedono la protagonista sempre un po' in disparte o inscritta all'interno di una "cornice" dalla quale non può né scappare né evitare di essere vista, nonostante la presenza di ambienti spaziosi (il pluricitato appartamento, ma anche il cinema e il museo) o addirittura esterni come le strade di Budapest, città dai colori e dalle atmosfere perfette per raccontare questo tipo di storia, importante tanto quanto gli attori che in essa si aggirano. Della Monroe ho già detto ed è perfetta, regge letteralmente il film sulle sue spalle, ma per fortuna è affiancata da ottimi attori sui quali spicca Burn Gorman, con la sua faccia da omino sconfitto dalla vita, e la semi-esordiente Chloe Okuno riesce a tirare fuori il meglio da quello sguardo il grado di comunicare profonda tristezza, dolore ma anche una durezza insospettabile... che è poi uno specchio della natura stessa del film, che sul finale regala un inaspettata esplosione di dura e sanguinosa violenza. Dategli una chance se vi piacciono i thriller horror che non hanno fretta di scoprire tutte le carte fin da subito, non ve ne pentirete!


Maika Monroe (Julia), Karl Glusman (Francis) e Burn Gorman (Weber) li trovate ai rispettivi link.

Chloe Okuno è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, ha diretto un episodio di V/H/S/ 94. Ha 35 anni. 


Se Watcher vi fosse piaciuto recuperate La finestra sul cortile, Rosemary's Baby e Lost in Translation, tra i film che hanno influenzato Chloe Okuno durante la realizzazione. ENJOY!

venerdì 13 marzo 2020

Villains (2019)

Tra Oscar, virus, uscite cinematografiche in sala, cazzi brazzi e mazzi ho un po' perso di vista le recenti uscite thriller horror segnate nei mesi passati, ma grazie a Lucia c'è sempre la possibilità di fare recuperi interessanti, come questo Villains, diretto e sceneggiato nel 2019 dai registi Dan Berk e Robert Olsen.


Trama: Mickey e Jules, due ladruncoli che sognano una vita sulle spiagge della Florida, si ritrovano a piedi dopo un colpo in un supermercato. In cerca di benzina, finiscono per trovare la villa di George e Gloria, coppia di coniugi in apparenza irreprensibili ma in realtà matti come cavalli...


Villains è un film piccolino, una black comedy realizzata benissimo che regala allo spettatore un'ora e mezza di divertimento puro senza risultare sciocca né, nonostante il tema sia stra-abusato, banale. Una persona come me, che inserisce True Romance nel novero dei 10 film più belli di sempre, non può che apprezzare l'aMmore infinito tra Mickey e Jules, giovani criminali sfigatelli che sperano solo in una vita sulle spiagge della Florida a vendere conchiglie e, a causa della loro fondamentale natura maldestra, si infilano invece nei casini con gente molto più cattiva e fuori di testa di loro. Il legame tra Mickey e Jules è così ben tratteggiato che fare il tifo per loro è inevitabile e, a un certo punto, questa condizione spezza persino il cuore; allo stesso tempo, comunque, i folli George e Gloria non sono così detestabili, perché nonostante sia nato nel segno della follia anche il loro amore è reale, è c'è della tenerezza inaspettata nel modo in cui George asseconda la vita da sogno desiderata invano da Gloria. Quando le due coppie si "scontrano", e i giovani virgulti scoprono il terribile segreto dei due anzianotti che avrebbero voluto derubare, ovviamente volano scintille e nonostante Villains sia ambientato, fondamentalmente, all'interno di tre/quattro ambienti e tra le quattro mura di una casa, e nonostante ci sia ben poca violenza e ancor meno sangue, grazie ad interessanti ed abili scelte di regia e montaggio il film risulta molto dinamico e persino ansiogeno in un paio di sequenze fondamentali (il piano disperato per liberarsi dalle manette o la cena interrotta sul più bello sono due delle meglio riuscite).


Neanche a dirlo, in un film simile contano moltissimo gli attori, tutti a mio avviso ugualmente bravi. Jeffrey Donovan e Kyra Sedgwick si beccano i ruoli più "facili" e saltano subito all'occhio, per come abbracciano senza remore un'interpretazione sopra le righe che li richiede contemporaneamente matti ma ancorati ad un modello di comportamento cortese molto anni '50 (rispecchiato, ça va sans dire, da un abbigliamento e un arredamento altrettanto agée), più difficile il compito di Skarsgård e di Maika Monroe. Lui è di una tenerezza inverosimile, un personaggio scemo come un tacco che a volte si ficca in testa di fare l'eroe, lei è semplicemente adorabile ed è forse il personaggio più reale tra i quattro, dotata di una profondità sottesa che la rende ancora più apprezzabile. Come ho scritto su, le interazioni tra fidanzati e tra coppie è varia e interessante, e gli attori sicuramente danno il meglio di loro nonostante la produzione "piccola" che, tra l'altro, è assai curata. Ho apprezzato in particolare gli accostamenti cromatici molto ricercati tra gli abiti di Mickey e Jules e la scenografia, in alcune sequenze, oltre ai disegni animati che accompagnano i titoli di coda, decisamente underground e molto più splatter dell'intero film. Dategli un'occhiata, se riuscite a reperirlo.


Di Bill Skarsgård (Mickey), Maika Monroe (Jules) e Jeffrey Donovan (George) ho già parlato ai rispettivi link.

Dan Berk e Robert Olsen sono i registi e sceneggiatori della pellicola. Americani, hanno diretto film come Body e The Stakelander. Dan Berk ha 33 anni ed è anche produttore e tecnico degli effetti speciali; Robert Olsen è anche produttore e attore.


Kyra Sedgwick interpreta Gloria. Americana, sposata con Kevin Bacon, ha partecipato a film come Nato il quattro luglio, 4 fantasmi per un sogno, L'isola dell'ingiustizia - Alcatraz, Qualcosa di cui... sparlare, Phenomenon, 17 anni (e come uscirne vivi) e a serie quali Miami Vice e Ally McBeal. Anche produttrice e regista, ha 55 anni.


Danny Johnson, che interpreta il poliziotto, era l'avvocato Ben Donovan delle serie Daredevil e Luke Cage. Se il film vi fosse piaciuto potreste recuperare Satanic Panic oppure Monster Party. ENJOY!

domenica 8 luglio 2018

Tau (2018)

Spinta come sempre da uno degli ottimi articoli di Lucia, qualche sera fa ho guardato una delle ultime aggiunte al catalogo Netflix, il film Tau, diretto dal regista Federico D'Alessandro.


Trama: la giovane Julia viene rapita e sfruttata da un geniale quanto folle scienziato, per fare progredire degli esperimenti legati alle intelligenze artificiali.


Ho cominciato la visione di Tau con perplessità assortite: chi parlava di filmetto, chi di roba con un inizio talmente brutto da sembrare girato da dei bulgari (cit.), chi nominava la serie B. Non so perché ma ad un certo punto sono arrivata ad aspettarmi una roba trucida alla Baskin, senza aver forse presente la natura dei lungometraggi Netflix, normalmente assai patinati e garbati, per usare un eufemismo. Questi due aggettivi calzano perfettamente a Tau, soprattutto il primo, poiché lo stile con cui è stato girato, fotografato e "scenografato" (si può dire?) gli conferisce quella patina di nobiltà ruffiana che lo eleva dallo stato di semplice film di serie B e crea una sorta di cortocircuito mentale nello spettatore mediamente scafato. La storia di Tau, infatti, è semplicissima e i personaggi sono tagliati con l'accetta, soprattutto il cattivo da operetta interpretato da Ed Skrein, dotato della gamma emotiva e del carisma di un termosifone, malvagio "perché sì", padrone di una non ben precisata ditta che tutti i giorni esce a lavorare nonostante sia palesemente ricco sfondato, altrimenti la trama che lo prevede infinocchiato a poco a poco non andrebbe avanti.Un po' più sfaccettata, ma nemmeno troppo, è la protagonista Julia, fanciulla che vive di espedienti e che un giorno si ritrova prigioniera del folle Alex; in virtù di non si sa bene cosa, apparentemente a causa di alcuni traumi infantili, il cervello di Alex è l'ideale per sviluppare quello dell'intelligenza artificiale che sta costruendo lo scienziato, quindi la fanciulla viene sottoposta a un'infinità di test tra il difficile e il doloroso, il tutto sotto la supervisione di Tau. Ora, sarà che Tau è doppiato da Gary Oldman ma il personaggio più vivo, simpatico e reale di tutto il film, l'unico che spinge lo spettatore a preoccuparsi davvero per il suo destino (forse perché è l'unico che subisce un'evoluzione mentre gli altri due rimangono più o meno uguali), è proprio quest'entità artificiale ed incorporea, incarnata in un bell'occhio coloratusso e pixelloso e in un robot assassino che purtroppo non viene sfruttato a dovere, chissà se per problemi di budget o di censura.


Il rapporto che si viene a creare tra Julia e Tau è coinvolgente per la sua natura "formativa", con la ragazza che diventa una sorta di maestra di vita che spalanca a Tau le porte non solo della conoscenza esterna ma anche dell'autocoscienza, portandolo ad allontanarsi dalla sua natura artificiale e a mettere in dubbio persino la bontà del suo creatore; curioso, insicuro e a tratti persino pauroso, Tau diventa sempre più intrigante e calamita l'attenzione dello spettatore più di quanto non faccia la bella confezione preparata da Federico D'Alessandro. Costui è figlio del MCU, ha imparato tanto lavorando come storyboarder e si vede: il regista è più interessato al contenitore che al contenuto, ama giocare con ombre profonde e colori al neon, rende l'occhio di Tau quasi ipnotico con quel mix di oro, rosso e verde (a me continuava a tornare in mente Doctor Strange, giuro...), ricerca le simmetrie e l'eleganza in ognuno degli ambienti che compongono la casa di Alex, con dispendio di superfici riflettenti, schermi giganti di Garlandiana memoria e luci soffuse. Insomma, D'Alessandro infiocchetta parecchio una storia semplice e a suo modo "rozza", che probabilmente negli anni '80 sarebbe stata realizzata con dovizia di particolari trucidi e ambientata in tre asettici set tutti uguali, e rischierebbe di farla diventare spocchiosa al limite dell'antipatico se non fosse per il personaggio titolare. Fortunatamente, la storia scorre abbastanza liscia e coinvolgente, incagliandosi qua e là giusto quando i due umani sono costretti ad interagire, e questo esercizio di stile diventa una coccola per gli occhi mentre il cervello si rilassa e si diverte, possibilmente senza fare troppo le pulci alla suspension of disbelief in vacanza. Dunque, se cercate un film per passare una serata in estiva letizia, Tau potrebbe essere quello che fa per voi... aggiungo solo un appunto a chi magari non ama gli horror: non fatevi ingannare dalla maggior parte delle foto presenti in rete, ché sembrerebbe quasi di avere a che fare con l'ennesimo emulo di Saw. Tolta qualche goccia di sangue all'inizio, Tau è completamente innocuo e non fa paura nemmeno per sbaglio, sfortunatamente per noi splatteromani all'ultimo stadio.


Di Maika Monroe (Julia) e Gary Oldman (voce di Tau) ho parlato ai rispettivi link.

Federico D'Alessandro è il regista della pellicola. Uruguayano, si è fatto le ossa come storyboarder per il Cinematic Universe della Marvel ed è al suo primo lungometraggio come regista.


Ed Skrein interpreta Alex. Inglese, ha partecipato a film come Deadpool e a serie quali Il trono di spade. Anche regista e sceneggiatore, ha 35 anni e tre film in uscita, tra cui Alita: Angelo della battaglia.


Se Tau vi fosse piaciuto recuperate Ex Machina. ENJOY!

domenica 23 aprile 2017

The Guest (2014)

Prima di partire ho fatto in tempo a veder passare in TV quel The Guest di cui avevano parlato già tutti un paio di anni fa, diretto nel 2014 dall'amico Adam Wingard.


Trama: un soldato di nome David si presenta alla famiglia Peterson dicendo di essere amico del primogenito Caleb, morto in guerra. I Peterson lo accolgono come un membro della famiglia ma David non è cortese e carino come sembra...



Aaaah, Dan Stevens!!! Quanta inglesità, quanto aMMore, quanta bellezza, che gran figopaur... ehm... no, scusate, mi è andata in cortocircuito la capoccia ma dovete capire che tra docce, momenti "Aidontuontiutubiioursleivpappapparappappà" che fanno molto Coca Cola anni '90 e millemila inquadrature dell'occhio azzurro del buon vecchio David Haller DICIAMO che mi sono ricordata di essere donna e di avere qualcosa chiamato "ormone impazzito" in grado di farmi sragionare. Ma torniamo a The Guest che, a parte la momentanea fangirlitudine per Dan Stevens (sul quale tornerò ma, a proposito di inglesi fighi, ciao Joseph non mi sono scordata di te, attendo con trepidazione giugno) è un film molto ma molto simpatico e ben fatto. D'altronde, dall'adorabile puccio Wingard me lo aspettavo visto che, tolta quella vaccata di Blair Witch, il suo stile e le sue scelte cinematografiche mi hanno sempre garbato molto, soprattutto quando riprende dei cliché da determinati generi, li frulla, li rimastica e li sputa creando un collage nostalgico e molto apprezzato. In questo caso c'è un po' di thriller anni '80, un po' (tanto) Carpenter, persino un po' di tamarrata alla Van Damme e il cocktail che viene così assemblato e offerto allo spettatore è una di quelle robe leggere che vanno giù che è un piacere, capace di appagare sia la voglia di passare una serata divertente ad alto tasso di ignoranza sia l'occhio di chi guarda, non solo quello femminile. Certo, bisogna sorvolare sulla sceneggiatura dell'altro amico Simon Barrett, fatta di personaggi scemi come un tacco che non si pongono la minima domanda su David e cominciano a portarselo dietro persino per andare in bagno, a mo' di sostituto del figlio/fratello morto, ma questa è la conditio sine qua non per avere da una parte il quadretto pseudofelice della famiglia borghese americana, dall'altra gli inevitabili momenti thriller derivanti da questa situazione paradossale, soprattutto quando il film imbocca la strada dell'horror sci-fi che alla fine non ti aspetti, senza troppi spiegoni per lasciare a "David" quell'aura di fatale mistero che ti porta a pregare di non incrociare MAI la sua strada.


Oddio, se proprio Dan Stevens volesse incrociare la mia, di strada, che venga, lo aspetto, ma detto questo (Bolla ripigliati!) buona parte della riuscita del film è da imputare proprio all'attore inglese. Il quale, lo ammetto, mi è piaciuto molto di più in Legion ma qui ha quella perfetta ambiguità da Giano bifronte, che ti conquista col sorrisino, il consiglio fraterno, l'addominale scolp... la gentilezza, la faccetta da bravo ragazzo e poi ti fredda con lo sguardo di ghiaccio dello psicopatico capace di uccidere gente a caso senza stare troppo a pensarci su, profondendosi in freddissimi ma spettacolari corpo a corpo e sparatorie che John Wick, scansati un attimo, vecchiodimmerda. I momenti più riusciti, sul versante attoriale, sono in effetti quelli in cui il ragazzo duetta con la particolare Maika Monroe (colpevole di quella colonna sonora un po' così, che ha devastato i maroni del Bolluomo e che però, a ripensarci, non sta nemmeno male all'interno del film e soprattutto ricorda tanto Carpenter, It Follows e Refn), in un gioco di sguardi e atteggiamenti talmente carichi di sottintesi erotici che a registi e sceneggiatori meno "onesti" sarebbe scappato di mano portando all'inevitabile e banalissima scopata mentre qui si mantiene, aggiungo con molta coerenza, a "semplice" livello di tensione. Meno bene gli altri attori, anche se qualche faccia simpatica spunta qui e là (Ciao, Ethan Embry!), ma benissimo per quel che riguarda regia, fotografia e scenografie, con quei meravigliosi colori isterici nell'horror labirinto del finale, tra giochi di specchi e fumo anni '80, che catapultano lo spettatore in quel decennio tanto amato al giorno d'oggi senza fargli venire il tipico mal di testa da strizzata d'occhio. Quindi, riassumiamo: protagonista figo, molto figo, tremendamente figo, tamarreide, thriller, orrore, gente che muore male, colonna sonora straniante e colori fluo. Siete ancora qui a leggere? Ma che diamine, andate subito a guardare The Guest!

#Ciaone
Del regista Adam Wingard ho già parlato QUI. Dan Stevens ("David"), Maika Monroe (Anna Peterson) e Ethan Embry (Higgins) li trovate invece ai rispettivi link.

Lance Reddick interpreta il Maggiore Carver. Americano, ha partecipato a film come Godzilla, Attacco al potere, John Wick, John Wick - Capitolo 2 e a serie quali La tata, CSI: Miami, Numb3rs, Lost e American Horror Story. Anche produttore, ha 55 anni e sei film in uscita.


Chase Williamson interpreta John Hardesty. Americano, ha partecipato a film come John Dies at the End, Beyond the Door SiREN. Anche produttore, ha 29 anni e sette film in uscita.


Il film è stato pesantemente tagliato e ridotto di durata dopo i primi, insoddisfacenti test screening: sono stati eliminati tutti gli spiegoni relativi a cosa sia davvero David, cosa gli sia successo, perché agisca in questo modo e in cosa consista il programma militare in cui è stato coinvolto. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate il primo Halloween, Drive e magari qualche bel thriller anni '80 come Il patrigno. ENJOY!

martedì 2 giugno 2015

It Follows (2014)

Ne stanno parlando davvero tutti quindi era solo questione di tempo prima che anche io recuperassi "l'horror dell'anno" It Follows, diretto e sceneggiato nel 2014 dal regista David Robert Mitchell.


Trama: dopo aver fatto sesso col suo ragazzo la giovane Jay comincia ad essere perseguitata da una misteriosa entità e scopre così di essere stata usata per annullare un'inquietante maledizione...



It Follows, come dice il titolo, ti segue. E, come la maledizione che lo caratterizza, passa di persona in persona come se fosse la cosa più naturale del mondo. E come il metodo utilizzato per trasmettere la maledizione può essere più o meno piacevole, tanto da riuscire a portare lo spettatore all'orgasmo. Ecco, io al culmine del piacere non ci sono arrivata purtroppo ma guardare It Follows è stata comunque una gran bella esperienza e più il tempo passa più riesco a trovarci dei lati positivi. Innanzitutto, guardare It Follows significa fare un tuffo negli anni '70/'80, a quando gli horror vivevano di pochi mezzi, tante idee e, soprattutto, tantissima atmosfera: ogni cosa nel film di Mitchell (soprattutto per quel che riguarda ambientazioni e colonna sonora) grida a gran voce "Carpenter!" o "Craven!" ma se It Follows si limitasse solo ad omaggiare i grandi non bisognerebbe nemmeno parlarne. La verità è che It Follows, nonostante apparentemente viva di cliché, in realtà riesce a sovvertirli, superarli e aggiornarli, rendendoli più vicini alla nostra mentalità. Proprio la settimana scorsa parlavo di Tomorrowland, praticamente un film d'avventura anni '80, di quelli che si facevano una volta e che ci inchiodavano davanti alla TV, con quel qualcosa di dissonante incarnato in un lassismo di fondo che è specchio diretto dei nostri tempi: degli scienziati vogliono avvertirci dell'imminente fine del mondo spaventandoci con delle immagini dell'apocalisse? Bene, noi inghiottiamo quelle immagini e alimentiamo la fine non facendo assolutamente nulla per impedirla. E lo stesso vale per i protagonisti di It Follows: perché sbattersi a debellare una maledizione quando ci si può limitare a passarla e procrastinare il momento in cui toccherà a noi essere "seguiti" e morire? Perché affrontare un'entità quando si può semplicemente, permettetemi la volgarità, scopare e scappare? Tanto il male ci seguirà sempre, al limite potrà darci una piccola tregua ma non ci lascerà mai in pace del tutto, non esistono amore o amicizia in grado di debellarlo.


E' questo che mette davvero paura guardando It Follows, la rassegnazione che si legge negli occhi di questi ragazzini che leggono Dostoevskij e che ricordano nostalgici l'infanzia come se da allora fossero passati cinquant'anni. Dei ragazzi che vivono in un sobborgo zeppo di villette dove i vicini o si fanno i fatti loro oppure indulgono in pettegolezzi inutili, assolutamente ininfluenti quando si tratta di salvare la vita a qualcuno, un quartiere "bene" appena fuori dalle zone disagiate, un posto dove gli adulti in generale e le figure genitoriali in particolare sembrano essere stati inghiottiti dallo stesso "nulla" che minaccia di fare fuori i figli in ogni momento (gli steli d'erba sul polso richiamano l'autolesionismo, ma ci sono altre immagini emblematiche che richiamano il suicidio, l'abuso di droghe, i problemi alimentari). Questi ragazzi crescono, vivono, fanno esperienze in perfetta solitudine e altrettanto soli muoiono, ma il fermo desiderio di condividere il cuore, la mente o il corpo è sempre presente, li "segue" fino a diventare un bisogno imperativo e così, a parer mio, nasce la maledizione che, non a caso, "Cercherà di avvicinarsi a te prendendo le sembianze di qualcuno che conosci, qualcuno di cui ti puoi fidare": questo è il meccanismo con cui agisce l'entità maligna di It Follows ed è lo stesso modus operandi seguito dal regista Mitchell, che decide di centellinare l'orrore "visivo"(racchiuso in un paio di sequenze d'effetto da salto sulla sedia) e di privarci del sonno con quella sensazione di tragedia imminente, di ineluttabile e orrendo destino tipica dei tanti horror "cazzuti" che ancora oggi popolano i nostri incubi. Questo per dire che guardando It Follows non mi sono granché spaventata ma la sua potenza si è attivata inesorabile appena ho spento le luci e ho appoggiato la capoccia sul cuscino e ancora dopo giorni diffido di chi mi viene incontro senza dire una parola e con flemmatica lentezza. Se siete come me e amate questi horror d'atmosfera It Follows potrebbe anche diventare il film dell'anno ma in caso contrario rinunciate, ché qui non ci sono né fantasmi spaventevoli né cascate di sangue ma solo del buon vecchio Cinema, come quello che si faceva una volta.

David Robert Mitchell è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto solo un altro film, The Myth of the American Sleepover. Anche produttore, ha 41 anni.


Maika Monroe (vero nome Maika Monroe Buckley) interpreta Jay. Americana, ha partecipato a film come Bling Ring, Un giorno come tanti e The Guest. Ha 22 anni e quattro film in uscita, tra cui il sequel di Independence Day.


Jake Weary, che interpreta Hugh, aveva partecipato anche al trashissimo Zombeavers. Il cinema che si vede all'inizio del film, invece, è quello dove è stato proiettato per la prima volta La casa nel 1980. Detto questo, se It Follows vi fosse piaciuto recuperate The Babadook, Nightmare - Dal profondo della notte, Halloween - La notte delle streghe e Oculus - Il riflesso del male. ENJOY!

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