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venerdì 18 marzo 2022

A History of Violence (2005)

Il 13 marzo scorso è venuto a mancare William Hurt. Per celebrare degnamente il grande attore, ho deciso di riguardare dopo quasi 20 anni A History of Violence, diretto nel 2005 dal regista David Cronenberg e tratto dall'omonima graphic novel di John Wagner e Vince Locke


Trama: Tom gestisce una caffetteria in una sonnacchiosa cittadina americana, è felicemente sposato e ha due figli. Tutto cambia dopo che Tom, cercando di sventare una rapina, uccide due uomini...


Tutti questi anni ho lasciato passare. Mica perché non mi fosse piaciuto A History of Violence quando lo avevo visto al cinema, per carità. Certo, era un Cronenberg molto diverso da quello a cui ero abituata, ma ero rimasta così coinvolta dalla potenza di ciò che era stato trasposto in pellicola, da avere letto anche la graphic novel, che dovrei avere ancora a casa da qualche parte. Purtroppo sono trascorsi davvero troppi anni e mi risulta impossibile fare un confronto tra opera cinematografica e cartacea, quindi mi soffermerò solo sulla prima. A History of Violence è, come da titolo, una storia in cui la violenza, in ogni sua forma, distrugge la vita di un uomo. Fin dalla scena iniziale, un piano sequenza di più o meno cinque minuti che ricorda tantissimo (a mio avviso volutamente) lo stile di Tarantino, la violenza viene rappresentata come un qualcosa che serpeggia, indisturbato e spesso non visto oppure appositamente ignorato, tra le ombre della società americana, con l'unica eccezione della famiglia, istituzione apparentemente inviolata ed inviolabile. L'alcova familiare è un'oasi felice che deve essere protetta dalla polizia; al di fuori della stessa, la violenza può colpire durante una colazione al diner, una normale giornata di lavoro, a scuola, mentre si va a fare la spesa, e ciò vale non solo per le grandi città ma anche in quelle piccole, come la cittadina dove vivono Tom, la moglie e i suoi due figli, che si vedono stravolgere la vita da una tentata rapina durante la quale Tom uccide due malviventi. Poiché, come scritto sopra, la violenza non viene respinta, bensì semplicemente ignorata per la maggior parte del tempo, il gesto di Tom diventa ovviamente quello di un eroe e nessuno (tranne una scomoda giornalista liquidata in meno di un minuto) si chiede come sia possibile che l'uomo abbia agito con tanta freddezza e abilità, di sicuro non se lo chiede la moglie. Purtroppo, come tenta di comunicarci un regista come Cronenberg che, paradossalmente, aborre la violenza, quest'ultima ne attira sempre dell'altra. 


Strani, inquietanti figuri cominciano a ronzare attorno a Tom e alle persone a lui più care, come se il suo gesto avesse spalancato una porta su un mondo oscuro da cui lasciare entrare un infinito numero di demoni, a causa dei quali nemmeno l'alcova familiare è più un luogo sicuro. Ancora peggio, anzi: i demoni non vedono l'ora di trascinare Tom negli abissi da cui aveva faticosamente cercato di liberarsi, rinnegando un passato non solo di violenza, ma anche di orrore e follia (di cui allo spettatore viene concesso scorgere solo la punta dell'iceberg, perché non è importante scendere nei dettagli: sono tutti racchiusi nello sguardo da animale braccato di uno splendido Viggo Mortensen, nei sorrisi sprezzanti di Ed Harris, nei gesti di un William Hurt che compare giusto per 10, indimenticabili e tesissimi minuti). Fa sorridere come oggi, probabilmente, un film come A History of Violence durerebbe almeno due ore e mezza invece che un'ora e trentasei: un altro regista ci avrebbe subissati di flashback, spiegoni, dialoghi fiume per farci capire la progressiva distruzione dei rapporti familiari di Tom, dell'uomo ideale amato dalla moglie Edie, di un figlio che si ritrova orfano dei valori positivi magnificati dal padre e si abbandona a sua volta alla violenza, mentre Cronenberg abbraccia uno stile asciutto e conciso ma tremendamente efficace, colpendoci con la potenza di sequenze che spesso non solo sono prive di dialoghi, ma anche di colonna sonora, lasciando che siano le azioni degli attori e gli sguardi a parlare allo spettatore, anche a costo di venire mal interpretato (la violenta scena dell'amplesso tra Tom e Edie non rappresenta uno stupro ma molti l'hanno vissuta così). Paradossalmente, è proprio William Hurt a tenere banco col monologo più lungo del film, forse perché al male piace vantarsi, ascoltarsi, imporsi, fingersi amichevole e suadente prima di colpire a morte; ed è splendida la contrapposizione tra un male logorroico e il semplice, silenzioso gesto di una bambina che cerca, con innocenza e fatica, di riportare l'equilibrio e lenire le ferite, un palese insegnamento a non fingere di non vedere la violenza innata in ognuno di noi e cercare, per quanto possibile, di conviverci senza false ipocrisie. 


Del regista David Cronenberg ho già parlato QUI. Viggo Mortensen (Tom Stall), Maria Bello (Edie Stall), Ed Harris (Carl Fogarty), William Hurt (Richie Cusack) e Stephen McHattie (Leland) li trovate invece ai rispettivi link. 

Peter MacNeill interpreta lo sceriffo Sam Carney. Canadese, ha partecipato a film come Rabid - Sete di sangue, La fiera delle illusioni e a serie quali Alfred Hitchcock Presenta, La tempesta del secolo, Psi Factor e Mucchio d'ossa.  


Se A History of Violence vi fosse piaciuto, recuperate lo splendido La promessa dell'assassino. ENJOY!

venerdì 24 maggio 2019

Demonic (2015)

E dopo il diludendo di Keep Watching tocca a Demonic, altro film compreso in quel cofanetto austriaco che mi aveva incuriosita, una produzione targata James Wan, diretta e co-sceneggiata nel 2015 da tale Will Canon.


Trama: un gruppo di aspiranti studiosi dell'occulto si reca nella casa dove, tempo prima, era stato compiuto un massacro. La polizia arriva giusto in tempo per trovarli quasi tutti morti e salvare il salvabile, per quanto possibile...


Demonic è la tipica produzione Wanina a base di case infestate e poveri idioti che desiderano giocare col maligno senza pensare bene alle conseguenze, con una piccolissima aggiunta: la storia parte quando tutto il delirio demoniaco è già finito e viene ricostruita dalle indagini sommarie di un detective e una psicologa che si ritrovano ad interrogare uno dei sopravvissuti. Alle tipiche riprese alla Paranormal Activity, che purtroppo regalano allo spettatore giusto un paio di jump scare mosci, si affiancano dunque flashback girati in maniera più classica, il tutto messo al servizio di una trama prevedibile che tenta, qui e là, di ingannare lo spettatore o, perlomeno, a mantenerlo interessato una volta che ha cominciato a mangiare la foglia. A rendere non bello ma perlomeno "apprezzabile" il film, dunque, non è tanto il cucuzzaro di fenomeni più o meno paranormali a cui assistono i protagonisti  (ché lì non c'è davvero molto da dire, visto un volto spettrale che ciccia fuori dall'ombra, visti tutti), né tanto meno la consapevolezza di trovarsi davanti l'ennesimo gruppo di imbelli testardi che stavolta non mollano l'osso nemmeno quando l'entità prende una delle ragazze e la fa volare attraverso porte e corridoi per metri (alla faccia della testardaggine e del "finalmente abbiamo le prove!"), quanto piuttosto l'approccio scientifico e assai razionale della squadra di polizia giunta, stranamente, in maniera abbastanza tempestiva, portando seco quella falsa sicurezza quasi kinghiana che da una parte rassicura lo spettatore, dall'alta lo tiene sul chi va là aspettando l'incoolata.


I pilastri della cosiddetta razionalità hanno i volti "normali" e anche forse un po' agé di Maria Bello e Frank Grillo, quest'ultimo ormai votato ai ruoli di poliziotto o vigilante costretto ad affrontare eventi estremi col piglio da tough boy, mentre gli altri, neanche a dirlo, sono dei ragazzetti senz'arte né parte, magari un po' più bellocci di altri, pronti a farsi mere vittime di una forza senza nome. Il vero problema del film, lo avrete capito, sta soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi, che questi attori un po' "così", mutuati dalla televisione, non riescono a far brillare con un carisma adatto a sopperire a dialoghi banalotti e alla mancanza di alchimia non solo all'interno del gruppo ma anche tra fidanzati. E anche il demone che viene tirato in ballo... mah, un paio di effetti speciali non sono male e i makeup che prevedono sangue nero e labbra spaccate sono sempre molto evocativi, però da una produzione made in James Wan mi aspetto più di un po' di vento che spegne le candele, sedie che si rovesciano, manine che spuntano dal nulla e poco altro. Insomma, premesso che il film di Will Canon riesce almeno ad ottenere la sufficienza, tra Demonic e Keep Watching quel cofanetto che ho incrociato a Vienna merita di venire seppellito nel cestone delle offerte a 1 euro, altro che messo tra le novità imperdibili: vi capitasse di incappare in questo prodotto, consiglio di evitare l'incauto acquisto!


Di Maria Bello (Dottoressa Elizabeth Klein) e Frank Grillo (Detective Mark Lewis) ho parlato ai rispettivi link.

Will Canon è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto solo un altro lungometraggio, Brotherhood, ed è anche produttore e attore.


Dustin Milligan interpreta John. Canadese, ha partecipato a film come Final Destination 3, Slither, The Messengers, Un piccolo favore e a serie quali La zona morta, Supernatural e 90210. Anche sceneggiatore e produttore, ha 34 anni.


Il film avrebbe dovuto essere diretto o da Xavier Gens o da F. Javier Gutiérrez (rimasto come produttore) ma alla fine non se n'è fatto nulla. A parte questo, se Demonic vi fosse piaciuto recuperate la saga The Conjuring con tutti i suoi vari spin-off e magari anche i due Sinister e il primo Amityville Horror. ENJOY!

martedì 9 agosto 2016

Lights Out: Terrore nel buio (2016)

La calda stagione ha menato seco un paio di horror estivi e se l'intento era quello di mandare il Bollalmanacco in vacanza per un po' è anche vero che mi sarebbe dispiaciuto non parlare di Lights Out: Terrore nel buio (Lights Out), diretto dal regista David F. Sandberg ed "espansione" del suo corto omonimo.


Trama: Rebecca è una ragazza che ha deciso di tagliare tutti i ponti con la sua famiglia. Un giorno viene contattata dalla scuola del fratello minore a causa di alcuni disturbi mostrati dal ragazzino e si ritrova costretta ad affrontare non solo la follia della madre ma anche un mostro che striscia nel buio con intenti omicidi...


Da qualche anno a questa parte, James Wan si sta dando da fare non solo come regista e sceneggiatore ma anche e soprattutto come produttore (da qui al 2017 dovrebbero uscire il quarto capitolo di Insidious, Saw: Legacy e gli spin-off  The Nun e Annabelle oltre ad un Mortal Kombat e alla serie McGyver). Non pago di aver riportato in auge i topoi della casa invasa da demoniache presenze e aver ridefinito il concetto di scare jump, il buon Wan sta cominciando a prendere sotto la sua ala protettiva anche registi come David F. Sandberg, il quale è riuscito così a sviluppare l'idea base di un suo corto diventato praticamente virale su internet e girare un film che in pochissimo tempo ha superato il budget investito per realizzarlo. Buon per noi, perché Lights Out è un agevole ed onesto horror che offre momenti di genuino terrore senza perdersi in baracconate e spiegoni senza fine, attingendo a piene mani all'atavica paura del buio che ancora oggi molti di noi provano e che magari è stata rinfocolata in anni non sospetti dal vecchio Mana Cerace di Dylandoghiana memoria (a me è successo, ahimé). La struttura semplicissima di Lights Out, basata interamente sull'unica regola ferrea "cerca di tenere accese le luci o sono caSSi tuoi", un po' come accadeva nel meno riuscito Al calar delle tenebre con quella maledetta Fata Dentina, va ad intrecciarsi con suggestioni psicologiche che strizzano parecchio l'occhio allo stupendo The Babadook; al di là della presenza ovvia del mostro, il motore sotterraneo dell'intera vicenda è il senso di colpa di una madre che non riesce ad essere tale e che a causa della sua debolezza, pur avendo già allontanato da sé la figlia maggiore dopo averle fatto passare un'infanzia terribile, mette in pericolo la salute fisica e mentale del figlio più piccolo.


Anche questa volta innestare il dramma familiare alla tipica ghost story si è rivelata dunque una scelta vincente, capace di rendere i protagonisti più umani e, di conseguenza, il pubblico più partecipe. C'è da dire che gli attori di Lights Out sono bravi ed espressivi, su tutti le due protagoniste Teresa Palmer e Maria Bello, quest'ultima molto adatta ad interpretare il ruolo della madre che ha superato da parecchio l'orlo di una crisi di nervi, e anche il bimbo che interpreta Martin, pur non avendo la faccetta meravigliosamente tenerella di Jacob Tremblay, riesce a conquistarsi un pezzettino del cuore dello spettatore. Dal punto di vista tecnico, Lights Out gioca ovviamente molto sulle luci e le ombre, quindi più che la regia (la quale punta molto sulle inquadrature volutamente ambigue di oggetti e luoghi in ombra, appena fuori dalla visione dei protagonisti) svolge un ruolo importantissimo la fotografia, nitida e pulita anche nelle sequenze illuminate da oggetti come torce e candele; sul finale, i realizzatori potevano sfruttare all'osso la psichedelia di una luce al neon blu causando così allo spettatore nausea e mal di testa a non finire, invece fortunatamente il regista non è un cane e ha scelto un approccio più classico, salvando di conseguenza le cornee del pubblico pagante. Infine, lodi sperticate alla scelta di ridurre al minimo la CGI e di affidarsi a manichini (bastardi, maledettissimi manichini, vi odio quasi quanto le bambole e i clown!), attori e all'arte di Matthew W. Mungle, creatore del terrificante trucco della perfida Diana, mille volte meglio rispetto ad un pupazzone ricreato con l'ormai abusata computer graphic. Insomma, motivi per apprezzare questo film ce ne sono, quindi se riuscite a trovare un cinema aperto che proietti Lights Out gettatevi a pesce, ne vale la pena!


Di Teresa Palmer (Rebecca), Maria Bello (Sophie) e Billy Burke (Paul) ho già parlato ai rispettivi link.

David F. Sandberg è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Svedese, al suo primo lungometraggio, è anche compositore, produttore, attore e animatore. Ha 34 anni e sta girando Annabelle 2.


Lights Out: Terrore nel buio avrebbe dovuto mostrare la solita scena post-credit in grado di dare il la ad un eventuale seguito ma fortunatamente gli screening test hanno registrato reazioni negative e non se n'è fatto nulla. Niente sequel di Lights Out quindi, almeno per ora, ma se il film vi fosse piaciuto recuperate il corto omonimo e aggiungete il già citato Al calar delle tenebre. ENJOY!

domenica 26 ottobre 2014

Big Driver (2014)

Questo è il mese di Notte buia, niente stelle. Dopo A Good Marriage, in questi giorni è uscito per l'emittente Lifetime il film TV Big Driver, diretto dal regista Mikael Salomon e tratto dal racconto Maxicamionista di Stephen King, contenuto proprio nella raccolta nominata sopra.


Trama: dopo una piccola conferenza in un paesino sperduto, la scrittrice di gialli Tess fora una gomma mentre torna a casa. Si ferma ad aiutarla un enorme camionista che presto palesa la sua natura di maniaco e la violenta, per poi, credendola morta, abbandonarla in un condotto di scarico. Tess però è viva, riesce a tornare a casa e giura vendetta...




Dopo quella mezza ciofeca di A Good Marriage l'idea di vedere un altro film TV che massacrasse le opere di King non mi sorrideva molto ma, cosa volete farci, per amore di completezza mi sono buttata. Non me ne sono pentita come temevo ma sicuramente si poteva fare di meglio, come al solito. Il problema dei film tratti dai racconti contenuti in Notte buia, niente stelle è che il materiale di partenza è già deboluccio di per sé e, nonostante il figlio di Richard Matheson si sia fortunatamente occupato della sceneggiatura di Big Driver togliendola dalle mani di King, sta di fatto che il racconto era già di suo un rape and revenge facilone e privo di reali colpi di scena quindi il poveraccio non poteva fare miracoli. Rispetto a A Good Marriage, guardando Big Driver si riesce però ad empatizzare maggiormente coi personaggi e la storia risulta leggermente più credibile nonché più ricca di suspance (per quanto limitata). Richard Matheson Jr. introduce la protagonista Tess rendendocela subito simpatica, senza presentazioni interminabili e rimanendo molto fedele al racconto, che purtroppo però tocca il suo picco ansiogeno al momento della violenza, per poi consumarsi in soluzioni degne di un thriller televisivo; la vendetta di Tess viene sbrigata in quattro e quattr'otto, grazie ad un paio di ricerche su internet e qualche personaggio messo nel posto giusto al momento giusto e lo spettatore non ha mai neppure un istante di incertezza riguardo al successo del percorso vendicativo della protagonista (sarebbe degna erede di Hattori Hanzo, in effetti, per la linearità con cui arriva al suo obiettivo). L'unico guizzo simpatico è l'idea di dare a Tess degli interlocutori per rendere meno solitaria la sua vendetta (e per tradurre quel flusso di pensieri tipico dei romanzi di King), nella fattispecie il Tom Tom, che già "interagiva" con la protagonista nel romanzo, e l'anziana detective dei romanzi di Tess, praticamente la voce della sua coscienza. Tutte queste cosucce si amalgamano in un prodotto di routine senza infamia né lode, con qualche caratteristica positiva.


Per fortuna, quello che eleva Big Driver rispetto a A Good Marriage sono l'ottimo cast e una messa in scena non esaltante ma nemmeno piatta e televisiva. Maria Bello interpreta Tess ed è molto, molto brava, anche perché è costretta a reggere da sola l'intero film. Solitamente, inoltre, le eroine del rape and revenge sono delle macchine da guerra poco credibili, mentre Maria Bello riesce a mantenere per l'intera pellicola quell'aria di "normalità" quasi dimessa di una donna di mezza età senza particolari inclinazioni fisiche ma dotata di un acume leggermente superiore alla norma. Nelle terribili sequenze della violenza e in quelle subito successive l'interpretazione della Bello fa stare male davvero, mentre la regia di Mikael Salomon riesce a trasformare in angoscianti immagini l'orrore al limite della follia provato dalla protagonista; la sequenza meglio girata, tanto che quasi non sembra di avere davanti una produzione televisiva, è quella in cui Tess si "sdoppia", guardandosi da uno specchio mentre viene stuprata. Sempre elegante anche l'anziana Olympia Dukakis, che interpreta la detective fittizia Doreen e aggiunge un po' di ironia quasi british ad una vicenda che risulterebbe altrimenti pesantissima per un pubblico prettamente televisivo e femminile come quello dell'emittente Lifetime. A parte questo, il resto non è particolarmente entusiasmante e man mano che Big Driver va avanti subentra la noia, soprattutto per chi ha letto il racconto, una noia che sfocia in incredulità davanti ad un finale degno di una pubblicità del Mulino Bianco; diciamo che ho visto di peggio, ma se non siete (pignoli) fan all'ultimo stadio di Stephen King come me potete anche fare a meno di guardare l'ennesima, debole trasposizione che fa ben poco onore al Re.


Di Maria Bello, che interpreta Tess, ho già parlato QUI.

Mikael Salomon è il regista della pellicola. Svedese, ha ricevuto due nomination agli Oscar, una per la fotografia di The Abyss e una per gli effetti speciali di Fuoco assassino e, da regista, ha diretto film come Pioggia infernale, Aftershock - Terremoto a New York ed episodi delle serie Alias, Band of Brothers e Incubi e deliri. Anche produttore, ha 59 anni e un film in uscita.


Olympia Dukakis interpreta Doreen. Americana, ha partecipato a film come Stregata dalla luna (per il quale ha vinto l'Oscar come migliore attrice non protagonista), Una donna in carriera, Senti chi parla, Fiori d'acciaio, Dad - Papà, Senti chi parla 2, Senti chi parla adesso e Una pallottola spuntata 33 1/3 - L'insulto finale, inoltre ha doppiato un episodio de I Simpson. Anche produttrice, ha 83 anni e tre film in uscita.


Nei panni della cameriera Betsy troviamo la cantante Joan Jett, famosa per una delle prime cover di I Love Rock'N Roll e per la canzone Bad Reputation, ripresa anche da Avril Lavigne per il film Kick-Ass. Stranamente, il racconto Big Driver è stato trasposto, più o meno nello stesso periodo, anche in un omonimo corto diretto e sceneggiato da tale Kyle Burnett, che lo ha realizzato attraverso il crowfunding. Se Big Driver vi fosse piaciuto potete cercarlo, altrimenti buttatevi su altri rape and revenge movies come per esempio I Spit on your Grave. ENJOY!

venerdì 15 novembre 2013

Prisoners (2013)

Dopo qualche settimana di assenza dalle sale è giunto il momento di fare doppietta. Nel weekend spero di riuscire a parlare di Machete Kills mentre oggi vi beccate qualche pensiero sparso su Prisoners, diretto dal regista Denis Villeneuve.


Trama: il giorno del ringraziamento Anna ed Eliza, due bimbette di sei e sette anni, scompaiono, presumibilmente rapite. Il primo ed unico indiziato è Alex, un ragazzo con palesi problemi psichici. Incapace di rispondere alle domande della polizia il ragazzo viene rilasciato per mancanza di prove ma Keller, padre di Anna, non crede alla sua innocenza e lo rinchiude in un edificio abbandonato per estorcergli una confessione..


Questo 2013 cinematografico sta regalando un sacco di sorprese positive. Nonostante fosse privo di un battage pubblicitario che, molto probabilmente, avrebbe accompagnato l'opera di qualsiasi altro regista di "genere" ben più famoso, Prisoners rischia infatti di vincere il primo premio come miglior thriller dell'anno, forse perché la pellicola di Denis Villeneuve, ironicamente, non può venire "imprigionata" in una semplice definizione. Sotto la superficie dell'angosciante, spesso frustrante ricerca del rapitore di due bambine, delle indagini del detective Loki, della violenza di un padre disperato ai danni di un presunto colpevole c'è un'umanità tristissima e fatta di Prigionieri non solo fisici, sbatacchiati qua e là da una realtà orribile e, purtroppo, mai chiaramente definibile né facile da comprendere. Keller, padre disperato, è prigioniero delle proprie cieche convinzioni e delle aspettative della moglie, di un passato di alcoolista e di un'infanzia orribile; il detective Loki è prigioniero del suo terrore di fallire e causare conseguentemente dolore alle famiglie delle vittime, cosa che lo costringe ad innalzare un muro tra lui e loro; tutti gli altri personaggi sono prigionieri del dolore, della pazzia, di ferite talmente profonde da condizionare la loro esistenza e alimentare un circolo vizioso potenzialmente infinito dal quale nessuno potrà uscire vincitore e dove il confine tra bene e male cessa di esistere.


Prisoners è un film angosciante che supera nettamente molti altri thriller anche e soprattutto per la mancanza di quella fede salda ed incrollabile, tipicamente americana, verso la mentalità da vigilantes o di un'apologia del padre di famiglia che, attraverso il dolore, diventa eroe. Qui non esiste redenzione, non esiste catarsi, non esiste neppure un personaggio dotato di qualità fuori dal comune perché all'inizio, vedendo il modo in cui un Hugh Jackman fuori di sé si approccia al detective Jake Gyllenhaal, mi è venuto da pensare che mio padre reagirebbe allo stesso modo: sopraffatto dal dolore, incapace di ragionare o di capire la mentalità poliziesca continuerebbe comunque a dire "mia figlia è stata rapita, è stato lui, lo so che è stato lui e quindi perché lo avete rilasciato? No, non ci siamo capiti, non me ne frega niente se non ha parlato. Le ho detto che è stato lui quindi è così e basta." Allo stesso modo, il detective è un'altra figura assolutamente realistica perché, se ci fate caso, dalla sua ha sì una testardaggine incredibile, ma è indisciplinato, bizzoso e violento e tutto quello che scopre, alla fin fine, lo scopre più per fortuna che per abilità. Il che è un po' paradossale perché, nonostante vari twist della trama, gli indizi ci sono e non sono difficili da seguire o da comprendere per lo spettatore comodamente seduto in poltrona. Ma, come ho detto, l'elemento thriller è solo una scusante per indagare l'animo umano e, in questo, Prisoners da veramente il meglio.


Merito, ovviamente, di un gruppetto di attori fantastici, sui quali spiccano Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal, due grandissimi professionisti che si palleggiano il premio per la migliore interpretazione nel corso dell'intera durata del film ma ci sono anche le prove misurate ed efficaci di Viola Davis e Terrence Howard, quella convincentissima di Melissa Leo e la rivelazione dell'inquietantissimo, pietoso Paul Dano, in grado di provocare nello spettatore una miriade di sensazioni contrastanti. Per quanto riguarda la regia, Villeneuve utilizza un punto di vista distaccato ma limitato, nel senso che lo spettatore non viene portato a conoscenza di nessun dettaglio in più rispetto ai protagonisti, i quali spesso vengono ripresi dall'interno di un auto come se il regista volesse mostrarceli senza venire coinvolto nella vicenda, offrendoci così la possibilità di osservare con occhio imparziale e oggettivo. A dire il vero, per impostazione tecnica Prisoners mi ha ricordato tantissimo Mystic River, che viene spesso richiamato anche per quanto riguarda i temi trattati; siccome adoro quel particolare film di Clint Eastwood, non posso fare altro quindi che consigliare la pellicola di Villeneuve a tutti gli amanti del buon cinema. Astenersi genitori ansiosi, ovviamente.


Di Hugh Jackman (Keller Dover), Jake Gyllenhaal (Detective Loki), Viola Davis (Nancy Birch), Maria Bello (Grace Dover), Terrence Howard (Franklin Birch), Melissa Leo (Holly Jones) e Len Cariou (Padre Patrick Dunn) ho già parlato ai rispettivi link.

Denis Villeneuve è il regista della pellicola. Canadese, ha diretto film come Polytechnique e La donna che canta. Anche sceneggiatore e attore, ha 46 anni.


Paul Dano interpreta Alex Jones. Americano, ha partecipato a film come Identità violate, Little Miss Sunshine, Cowboys & Aliens, Ruby Sparks, Looper – In fuga dal passato e alla serie I Soprano. Anche produttore, ha 29 anni e due film in uscita.


Hugh Jackman (che, ironia della sorte, era stato chiamato ad interpretare il ruolo di padre disperato anche per Amabili resti) è tornato all’ovile dopo aver abbandonato il progetto, quando a dirigerlo avrebbe dovuto ancora essere Antoine Fuqua. Anche Bryan Singer è stato tra i registi papabili e sotto di lui avrebbero dovuto recitare Mark Wahlberg e Christian Bale nei ruoli principali, ma anche questo progetto è venuto meno. Dopo queste curiosità, i soliti consigli: se Prisoners vi è piaciuto procuratevi Il silenzio degli innocenti e il già citato Amabili resti. ENJOY!

venerdì 7 ottobre 2011

Bollalmanacco on Demand - Un weekend da bamboccioni (2010)

Seconda puntata del Bollalmanacco on Demand, la “rubrica” dove i fan possono decretare il mio destino e scegliere quale film dovrei guardare e recensire, di cui trovate qui la prima parte. Stavolta è toccato al mio buon Cugi e la scelta è caduta su Un weekend da bamboccioni (Grown Ups), commedia diretta nel 2010 dal regista Dennis Dugan. Non il mio genere di film, decisamente, infatti non ne sono rimasta affatto soddisfatta.



Trama: un gruppo di amici di infanzia si ritrova dopo la morte del loro storico allenatore. Assieme cercano di rinverdire gli antichi fasti e insegnare ai viziatissimi figli come ci si divertiva un tempo…



La mia visione di Un weekend da bamboccioni, lo ammetto, partiva già viziata da un paio di preconcetti. Innanzitutto, io ooooooooooooooodio Adam Sandler. Non lo sopporto proprio. Con quella faccetta da fesso, quella comicità indecisa se essere feroce o moscia, quel modo di fare francamente irritante del tizio che “se la crede” (e in questo film “se la crede” molto, ahimé) lo prenderei a badilate da mane a sera. E uno. Poi, il titolo italiano che cavalca l’onda di quella citazione brunettiana che andava tanto per la maggiore all’epoca, giusto per convincere il pubblico pagante (al 90% composto appunto da bamboccioni) ad andare a vedere il film. Biih che camurrìa. E così, già rodendomi il fegato con queste due idee fisse in testa, mi sono accinta a vedere la pellicola, cercando di non farmi influenzare troppo. Procediamo con obiettività, orsù.



Steve Buscemi dopo essere stato pestato dal suo zoccolo duro di fan... WHOOOO!!!



Un weekend da bamboccioni non mi è piaciuto a prescindere da quello che pensavo all’inizio. Posso dirlo con sicurezza perché per la prima mezz’ora ho riso. Ebbene sì, ho riso e mi sono divertita, mettendo in dubbio la mia stessa sanità mentale. D’altronde la comicità di film simili è innocua e sicura proprio perché collaudata: nel gruppo di amici troviamo i soliti stereotipi dello sfigato “fico”, dello sfigato ciccione, dello sfigato donnaiolo, dello sfigato più sfigato e assurdo degli altri e, infine, dello sfigato nero (nel senso di colore), accompagnati ovviamente da un vasto stuolo di mogli e figli. L’interazione tra i vari personaggi lì per lì è dinamica e simpatica, questi amiconi si prendono in giro a vicenda, le mogli socializzano, i figli diventano meno “brats” viziati e più bambini normali, e via così… il che va bene per la prima mezz’ora, appunto, quando le famigliole passano il weekend nella casetta di campagna. Ma quando le stesse gag me le riproponi per tutto il film, cambiando solo lo scenario (prima il parco acquatico, poi la sagra di paese), e ci aggiungi pure un branco di rednecks con un imbarazzante Steve Buscemi a fare da macchietta nonché, orrore degli orrori, la moraletta finale del “hanno bisogno di vincere, qualche volta. E noi, di imparare a perdere” allora, abbia pazienza, ma mi costringi innanzitutto a sbadigliare, poi a mandarti a quel paese, Adam Sandler, a te, la tua famiglia, i tuoi amichetti, il tuo ego gigante e i tuoi soldi. Anzi, l’unico elemento del film che salvo è il cane incapace di abbaiare. Quello mi ha fatto veramente ridere ma è un po’ troppo poco per reggere un’intera pellicola. Ah, e poi ho anche scoperto che Kevin James mi sta sulle palle più di Sandler, il che è tutto dire. Ciccione sfigato e pure patetico che ti fai prendere in giro da ‘sto mezzo gibbone che non fa altro che gigioneggiare e farsi figo sulla pelle altrui. Al rogo. Sugli altri poveri attori coinvolti non mi pronuncio, Salma Hayek e Maria Bello non avrebbero potuto cadere più in basso, credo.



Del regista Dennis Dugan ho già parlato nel post dedicato a L’ululato, dove recitava invece che dirigere. Di Chris Rock, che interpreta Kurt, ho già parlato qui. Nello stesso post troverete anche Salma Hayek, che qui interpreta Roxanne, mentre Maria Bello (Sally Lamonoff) è comparsa in questo vecchio post. Menzione d’onore anche per la già citata Jamie Chung, che qui interpreta una delle figlie di Rob, Amber.  

Adam Sandler interpreta Lenny ed è anche lo sceneggiatore della pellicola. Uno dei comici americani più famosi e anche uno di quelli a cui io spaccherei volentieri il setto nasale con una badilata ben assestata, lo ricordo per film come Airheads – Una banda da lanciare, Terapia d’urto, Cambia la tua vita con un click e Zohan – Tutte le donne vengono al pettine; inoltre, ha partecipato ad alcuni episodi de I Robinson. Anche produttore, sceneggiatore e compositore, ha 45 anni e tre film in uscita.



Steve Buscemi interpreta Wyley. Indubbiamente uno dei miei attori preferiti in assoluto fin da quando l’ho visto interpretare il cinico Mr. Pink de Le Iene, lo ricordo per film come I delitti del gatto nero, Pulp Fiction (per contrappasso, visto che ne Le Iene critica i camerieri, è costretto ad interpretarne uno con le fattezze di Buddy Holly!), Airheads – Una banda da lanciare, Desperado, lo splendido Cosa fare a Denver quando sei morto, il meraviglioso Fargo, Fuga da Los Angeles, Il grande Lebowski, Armageddon, Con Air, Animal Factory, Ghost World, Spy Kids 2 – L’isola dei sogni perduti e Big Fish – Le storie di una vita incredibile. Ha inoltre partecipato a serie come Miami Vice, Innamorati pazzi, I Soprano e E.R., e prestato la voce per i film Monsters & Co., Mucche alla riscossa e un episodio de I Simpson. Americano, anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 54 anni e cinque film in uscita, tra cui il prequel di Monsters & Co. che dovrebbe intitolarsi Monsters University ed essere pronto per il 2013.



David Spade interpreta Higgins. Americano, ha partecipato a film come  Scuola di polizia IV: cittadini… in guardia! e Giovani carini e disoccupati, oltre ad avere prestato la voce per Beavis e Butt – Head alla conquista dell’America, Rugrats – Il film e aver doppiato l’originale Kuzco in Le follie dell’imperatore. Ha partecipato anche alle serie Baywatch e ALF. Anche sceneggiatore e produttore, ha 47 anni e un film in uscita.



Rob Schneider (vero nome Robert Michael Schneider) interpreta Rob. Americano, lo ricordo per film come Mamma ho riperso l’aereo – Mi sono smarrito a New York, Gigolò per sbaglio, Deuce Bigalow – Puttano in saldo, Cambia la tua vita con un click e Zohan – Tutte le donne vengono al pettine. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 48 anni e sei film in uscita.  



Blake Clark interpreta il coach “Buzzer”. Americano, ha partecipato a film come Toys – Giocattoli, The Mask  - Da zero a mito e Ladykillers, ha prestato la voce al cane Slinky in Toy Story 3 – La grande fuga ed è apparso nelle serie Pappa e ciccia, Quell’uragano di papà, Sabrina – Vita da strega, Cold Case e My Name Is Earl. Anche sceneggiatore, ha 65 anni e due film in uscita.



Tra gli altri interpreti, segnalo il piccolo Cameron Boyce che qui interpreta uno dei figli di Adam Sandler mentre in Mirrors – Riflessi di paura era il pargolo di Kiefer Sutherland; Joyce Van Patten invece, che interpreta l’anziana moglie di Rob, è l’ex moglie del regista ed è davvero più vecchia di lui, anche se “solo” di 11 anni. Parlando di chi invece non ce l’ha fatta, ad interpretare il personaggio di Eric avrebbe dovuto essere il comico Chris Farley (il ciccione biondo di Mai dire ninja, per intenderci), che tuttavia è morto nel 1997; pare che questo triste evento abbia ritardato così di tredici anni la realizzazione di Un weekend da bamboccioni. Se vi fosse piaciuto il film l’unica cosa che vi posso consigliare di guardare è Terapia d’urto, dove almeno la presenza di Adam Sandler è “neutralizzata” da quella di Jack Nicholson! Ora vi lascio con il trailer del film e con un'avvertenza: se volete proporre un film per la prossima puntata del Bollalmanacco on Demand scrivete il titolo nei commenti qui sotto o iscrivetevi al gruppo Facebook e commentate lì. Il primo che si prenoterà avrà l'"onore" di vedere recensito il film proposto. ENJOY!!!

lunedì 19 febbraio 2007

Auto focus (2002)

Un'altro genere di film che adoro, dopo gli horror, son quelli biografici. Non importa che io sappia o meno di chi si parla, i film ambientati nel passato, vicino o lontano che sia, e basati su storie vere, mi intrigano. In particolare quelli che riguardano un determinato e glorioso periodo televisivo o cinematografico, ed il suo inevitabile declino. Film come Boogie Nights, oppure lo splendido Demoni e Dei e l'indimenticabile e commovente Ed Wood.

Ieri sera ho visto questo dignitoso film diretto da Paul Schrader. ovvero Autofocus. Questa pellicola, basata sul libro The Murder of Bob Crane di Robert Gray-Smith, è la biografia di Bob Crane (interpretato da un ottimo Greg Kinnear), comico americano molto attivo alla radio negli anni '60 che ebbe il suo picco di notorietà interpretando il colonnello Robert E. Hogan, dal 1965 al 1971, nel telefilm Hogan's Heroes (in Italia "Gli Eroi di Hogan"). Il film narra la sua rapida scalata al successo e il suo morboso rapporto con l'ambiguo tecnico video John Carpenter (un laidissimo e convincente Willem Dafoe), anche a causa del quale l'attore diventerà sempre più dipendente dal sesso e dal voyeurismo, rovinando prima il proprio matrimonio poi la propria carriera, in un'epoca dominata dai film per famiglie, fino a venire ucciso (forse proprio da Carpenter).



Il film è raccontato in terza persona dallo stesso Kinnear/Bob Crane. La voce narrante non è ossessiva e presente per tutto il film, scandisce i diversi periodi della vita del comico: prima il lavoro alla radio, gratificante tuttavia limitato, poi l'offerta per Hogan's Heroes, quindi la fine della serie e il lento ma inesorabile declino dell'artista, il tutto unito dalla frase storica : "Un giorno senza sesso è un giorno sprecato", motto dei due amici, colleghi e complici. Da sottolineare come il film si inserisca nella tradizione cinematografica delle voci narranti postume: il protagonista è morto quando racconta, come avviene in Sunset Boulevard e American Beauty.

Il progressivo avanzare della "malattia" sessuale di Crane viene paragonata all'avanzare della tecnologia, e quindi alla sua dipendenza da Carpenter. Inizialmente Bob, sposato con una moglie cattolica e conservatrice, si accontenta di riviste osé, rimanendo fedele al vincolo matrimoniale e giustificando l'innocente perversione con la passione per la fotografia. Poi arriva Carpenter, la tecnologia, e tutto cambia... i vincoli matrimoniali non hanno più valore e, complici anche i liberi anni '70, Bob si appassiona sempre più alle riprese dal vero, collezionando ore ed ore di video porno fatti in casa, mentre il rapporto tra lui e l'amico si fa sempre più morboso e stretto. Il film sottolinea la presunta omosessualità di Carpenter, che è palesemente innamorato non ricambiato di Bob. Quest'ultimo cambia moglie due volte: a dimostrazione di quanto ormai la sua dipendenza dal sesso sia grave, neppure la seconda moglie (Maria Bello), emancipata e di larghe vedute, riuscirà più a resistere assieme ad un marito che monta filmini porno nello scantinato di casa....

La regia, classica ma adatta alla storia raccontata, alterna riprese a mano, rifacimenti di scene di Hogan's Heroes, surreali incubi e filmini fatti in casa, un bel collage montato ad arte che rende il film scorrevole e comprensibile anche per chi, come me, non aveva mai sentito parlare di Bob Crane (o quasi)

Il regista Paul Schrader è, nel mio cuore di fan, soprattutto ottimo sceneggiatore. Ha collaborato infatti con il grandissimo Martin Scorsese fin dai primi spelndidi film, consentendogli di firmare capolavori come Taxi Driver, Toro Scatenato, L'Ultima Tentazione di Cristo e Al Di Là della Vita. Come regista ha diretto American Gigolo e il remake de Il Bacio della Pantera. Oggi ha 60 anni e due film in produzione, uno come regista e uno come sceneggiatore.











Greg Kinnear è un pò uno di quegli attori che evocano la domanda "Ma dov'è che l'ho visto...?". In effetti più che protagonista viene ricordato per ruoli di "spalla", a tal proposito ha ricevuto una nomination come miglior Attore non protagonista per Qualcosa è Cambiato. Tra i suoi film ricordo The Gift e il recentissimo Little Miss sunshine. Oggi ha 53 anni e due film in produzione.



Assolutamente impossibile invece dimenticare il luciferino volto di Willem Dafoe, ovviamente tra la mia schiera di attori preferiti. Al di là della sua breve comparsata nel lesbo-chic-cult Miriam si Sveglia a Mezzanotte, tra i suoi film amo ricordare Platoon, L'Ultima Tentazione di Cristo, Existenz, American Psycho , C'era una volta in Messico, The Aviator e, ultimamente, Spider Man come un terrificante Goblin. Oggi ha 59 anni e tre film in uscita tra cui l'attesissimo (almeno per me) Mr. Bean's Vacations.



Ed ecco ora la prima delle due mogli di Bob Crane, almeno nella finzione.  Rita Wilson, sposata con l'ormai bolso Tom Hanks, ha recitato fin da giovane in produzioni televisive come MASH, La Famiglia Brady, Happy Days, Tre Cuori in Affitto. In campo cinematografico ricordiamola in Il Falò delle Vanità e nel remake di Psycho. Ha 60 anni.













E per ultima ecco Maria Bello, seconda moglie cinematografica di Bob Crane... Lanciata dalla serie ER in cui interpretava la dottoressa Del Amico, ha continuato la carriera in apprezzabili film quali Secret Window, A History of Violence, Thank You For Smocking e World Trade Center. Ha 39 anni e sei film in uscita.. complimenti!



 Ed ora ecco un bel filmato con la sigla del Pilot di Hogan's Heroes...



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