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venerdì 17 febbraio 2023

Tár (2022)

E' uscito qualche giorno fa, con una distribuzione abbastanza pietosa, Tár, diretto e sceneggiato nel 2022 dal regista Todd Field e candidato a 6 premi Oscar (Miglior Attrice Protagonista, Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Fotografia e Miglior Montaggio).


Trama: Lydia Tár è una famosissima direttrice d'orchestra all'apice del successo. Alcuni scandali e reiterate accuse di favoritismi, tuttavia, fanno tramontare la sua stella...


A dimostrazione di quanto poco mi informi sui film prima di guardarli, ero straconvinta che Tár fosse la biografia di una direttrice d'orchestra realmente esistita e ancora vivente. La prima ora del film di Todd Field, in effetti, non è riuscita a dissuadermi, in quanto è strutturata come un documentario (fotografato e diretto con tutti i crismi ed eleganza innaturale, ma pur sempre un documentario) sulla vita di questa donna straordinaria e raffinatissima, che con piglio grintoso e deciso passa le sue giornate tra interviste, prove di registrazione, importanti decisioni legate alla gestione della Filarmonica di Berlino e mille altri impegni snocciolati attraverso dialoghi talmente dettagliati e legati a termini tecnici che per buona parte del tempo ho fatto fatica a seguirli. Anzi, per la prima ora ho fatto proprio fatica a seguire il film, a farmi coinvolgere dalla storia raccontata, in quanto, di fatto, questo tempo viene utilizzato "solo" per introdurre il personaggio di Tár e l'ambiente in cui vive. La storia comincia a muovere i primi, piccoli passi, nel momento in cui un'altra direttrice d'orchestra si suicida lasciando intendere che il motivo della sua decisione sia proprio il comportamento scorretto della Tár, ed è qui che mi sono effettivamente venuti dei dubbi relativamente alla natura biografica dell'opera, perché la rappresentazione di una potenziale indagata per istigazione all'omicidio era anche troppo "personale" e distante dai canoni della crime fiction. Spoiler alert: Tár NON è un film biografico, l'avrete capito tutti, e, a dimostrazione di quanto non sia mai contenta, una volta scoperto l'arcano mi è dispiaciuto che non lo fosse, in quanto, nonostante l'impegno profuso da tutti i coinvolti per creare un personaggio e un mondo così tanto verosimili da trarre in inganno, non sono riuscita comunque a farmi coinvolgere dalla progressiva caduta dall'Olimpo di Lydia Tár. O, meglio, di sicuro il film è diventato molto più interessante, perché se non altro hanno cominciato ad evidenziarsi le crepe e le imperfezioni della protagonista, tuttavia non sono riuscita ad empatizzare con quest'ultima nonostante l'innegabile bravura di Cate Blanchett.


L'attrice australiana offre l'interpretazione strepitosa di una donna ossessionata dal potere e dall'amore per se stessa, di una persona che si sforza in ogni momento di veglia di indossare una maschera di cultura, fascino e carisma, negando la propria fragilità e le proprie radici, che ovviamente arrivano, assieme ai peccati, a tormentarne le notti allontanandola da quello che dovrebbe essere l'unico motivo della sua esistenza: la musica. La musica, in Tár, si fa status symbol, è raro che veicoli emozioni e, quando lo fa, sono emozioni da cui la protagonista tenta di scappare o che non riesce a gestire e forse è per questo, paradossalmente, che non ricordo una sola nota della colonna sonora di Hildur Guðnadóttir, compositrice che solitamente riesce a toccare le corde del mio animo. In tutto questo, lungi da me definire Tár un brutto film, perché oggettivamente non gli manca nulla ed è, in primis, curatissimo sia a livello di sceneggiatura (io posso non essermi granché emozionata ma indubbiamente scava a fondo nella psiche della protagonista ed è perfetta nel rappresentare come quest'ultima si rapporta col mondo che la circonda, a cominciare dagli affetti) che di regia, quest'ultima impreziosita da una splendida fotografia che rende le immagini ancora più nitide; in più, ha vinto una marea di premi e non si contano le candidature, per non parlare del fatto che Martin Scorsese ha dichiarato addirittura che la visione di Tár riesce a spazzare via le nubi e a far tornare il sole. Tuttavia, nonostante questo, a me è sembrato che la vera forza di Tár risiedesse essenzialmente in Cate Blanchett e che, senza la sua nervosa, dolorosissima interpretazione, del film sarebbe rimasto ben poco da ricordare. Sono una capra, che volete farci. D'altronde, mi chiamo Erica Bolla, mica Henrietta Boullet. 


Di Cate Blanchett (Lydia Tár) e Mark Strong (Eliot Kaplan) ho parlato ai rispettivi link. 

Todd Field è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come In the Bedroom e Little Children. Anche attore, produttore e compositore, ha 59 anni.


Noémie Merlant
interpreta Francesca Lentini. Francese, ha partecipato a film come Ritratto della giovane in fiamme e Jumbo. Anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 35 anni e tre film in uscita. 


Se Tár vi fosse piaciuto recuperate Whiplash. ENJOY!

domenica 6 giugno 2021

Crudelia (2021)

Pur essendo ancora traumatizzata da quell'obbrobrio di Maleficent ho deciso di dare una chance a Crudelia (Cruella), diretto dal regista Craig Gillespie.


Trama: dopo la morte della madre, la piccola Estella comincia a vivere di espedienti e furtarelli, almeno finché non viene notata dalla Baronessa, la stilista più famosa della swinging London. Lavorando per la Baronessa, Estella scopre gli oscuri segreti del suo passato e arriva a meditare vendetta...


Vai a sapere perché la Disney ha deciso di fornire delle "giustificazioni" alla cattiveria dei suoi villain, come se già non bastasse la ridda di figli adolescenti scemi che gli hanno appioppato con Descendants (tra l'altro Crudelia De Mon si è beccata credo il cretino peggiore, ma non è il caso di parlarne). Probabilmente la Casa del Topo, nonostante abbia ora per le mani il franchise di Star Wars e un intero universo supereroistico, quindi abbastanza materiale per realizzare film da qui alla fine del mondo, non sa più dove sbattere la testa per quanto riguarda le idee originali, e ha deciso di fornire delle fondamenta al fascino misterioso di queste creature oscure che ci "perseguitano" fin da bambini, questi personaggi che a 40 anni arriviamo anche a capire, poverelli, "circondati da idioti" come sono oppure costretti a subire la melassa grondante di varie principesse. Crudelia De Mon, in realtà, è un caso un po' particolare, in quanto spinta da vanesio desiderio di possedere una pelliccia di cuccioli di dalmata e, quindi, è già più difficile parteggiare per lei piuttosto che per una Maleficent o un'Ursula, ma è anche vero che ella è "demonio di classe che incanta con stile", modellata su Tallulah Bankhead, quindi affascinante e scazzato modello di vita a prescindere; la sua origin story non poteva dunque essere una robetta banale e stracciapalle come quella di Maleficent bensì qualcosa di cool, moderno, più vicino a un'idea alla Birds of Prey che ai recenti live action disneyani. A dire il vero, a un certo punto mi è venuto quasi da pensare che Cruella fosse la origin story di Vivienne Westwood, radicata com'è nel mondo della moda e impreziosita, letteralmente, dai costumi più belli e sfacciati visti quest'anno, e non è un caso che molti citino Il diavolo veste Prada visto che la fonte di tutti i mali della povera Cruella è una meravigliosa baronessa che darebbe filo da torcere a Miranda Priestly. Anzi, diciamocela tutta, La baronessa della Thompson dà parecchi punti alla Miranda della Streep ed è il capo maligno che tutte vorremmo essere almeno una volta nella vita. Ma torniamo a Cruella.


Nata come la versione gnocca di un gelato Pinguino, la futura signora De Mon (o De Vil. Parentesi aperta sull'adattamento. Ma porco belino, ho capito che Estella/Crudelia non funzionava, ma chi, in Italia, ha mai conosciuto il personaggio come Cruella?) è bipolare già nella capigliatura e fin da bambina è costretta a tenere a bada la sua indole caotica, di persona fuori dagli schemi ed anticonformista. Narrata attraverso la caustica voce narrante di un "io" futuro e già divenuto Crudelia, la storia di Estella sembrerebbe quella di Cenerentola, non fosse che al posto delle due sorellastre la piccola, una volta rimasta orfana, si ritrova accanto due amichetti sbandati (i futuri Gaspare e Orazio, qui Jasper e Horace) che la aiutano in qualche modo a superare infanzia e adolescenza tra un furtarello e una truffa, finché la fanciulla non diventa assistente della già citata Baronessa. Dotata di uno spiccato gusto per la moda e uno stile fuori dal comune, Estella potrebbe rapidamente scalare i vertici di un'azienda gestita fondamentalmente da una parassita di idee, non fosse che detta parassita è legata a doppio filo alla morte di sua madre; abbandonata quella che Estrella pensava fosse la sua vera personalità, quella remissiva e goffa, per riuscire a fare luce sui tanti misteri che la circondano la ragazza lascia quindi spazio a Cruella, il suo lato malvagio, dirompente e menefreghista, arrivando a poco a poco a scoprire, come già successo per il Joker di Joaquin Phoenix, che talvolta la nostra faccia "buona" è solo una maschera che utilizziamo per essere accettati dalla società, quella stessa società che ci mette con le spalle al muro e ci costringe a combatterla mostrandoci per quello che siamo: degli psicopatici senza se e senza ma. 


Dimenticatevi i cuccioli di dalmata, la perfidia senza ragione, l'immancabile fumo di sigaretta, perché questa Cruella sarà anche matta ma non compie nulla di particolarmente sconvolgente o irreparabile, anzi, paragonata alla Baronessa è un agnellino, ma almeno la sua cattiveria non è stata innescata dai futuri padroni di Pongo e Peggy (come invece succedeva in Maleficent, dove re Stefano veniva trasformato in un mostro spietato). Anzi, paliamo un po' dei dalmata. La pelliccia bramata viene spesso citata e un eventuale odio verso i cani a pois viene "stuzzicato" all'inizio sfruttando una delle scene di morte meno epiche e più esilaranti della storia della Disney, ma non c'è nulla che spieghi come mai in futuro una donna amante dei cani dovrebbe decidere di spellarli per puro piacere, a meno che non si voglia tirare in ballo la demenza senile. Allo stesso modo, non si capisce perché Jasper, connotato come possibile love interest della protagonista, a un certo punto si veda azzerare il Q.I. per avvicinarlo maggiormente alla sua controparte animata, quando per buona parte del film abbiamo davanti un bel ragazzo, intelligente, simpatico ed affettuoso. Fortunatamente, questi difetti o errori di continuity, chiamateli un po' come volete, non inficiano la fondamentale validità di una scanzonata commedia nera in perfetto stile Craig Gillespie, che smorza con una patina di black humour qualunque momento rischi di diventare strappalacrime e confonde lo spettatore con una girandola ricchissima di avvenimenti, colpi di scena, sfondamenti della quarta parete, colori e suoni. Emma Stone sarà anche perfetta (e si è portata dietro l'esperienza dell'interpretazione borderline in La favorita), Emma Thompson mai troppo lodata (anche lei ispirata dal personaggio interpretato nel suo ultimo film, E poi c'è Katherine), ma la vera bellezza del film sono i meravigliosi costumi, le stupende scenografie che fanno loro da scrigno e, ovviamente, una colonna sonora furbissima, perfetta per accompagnare ogni sequenza della pellicola nemmeno ci trovassimo davanti a una sfilata di moda. Sperando che prima o poi qualcuno decida di mettere in commercio tutte le mise indossate dalla Stone, vi invito a non essere schizzinosi com'ero io prima della visione e a dare una chance a questo Cruella, potrebbe sorprendervi. 


Del regista Craig Gillespie ho già parlato QUI. Emma Stone (Estella/Cruella), Emma Thompson (La baronessa), Paul Walter Hauser (Horace), Emily Beecham (Catherine) e Mark Strong (John) li trovate invece ai rispettivi link. 

Joel Fry interpreta Jasper. Inglese, ha partecipato a film come Paddington 2, Yesterday, In the Earth e a serie quali Il trono di spade. Anche produttore, ha 37 anni.


Le altre attrici in lizza per il ruolo della Baronessa erano Nicole Kidman, Charlize Theron, Julianne Moore e Demi Moore. Ovviamente, se Crudelia vi è piaciuto, consiglierei il recupero de La carica dei 101, La carica dei 101 - Questa volta la magia è vera e anche di Tonya, film questo da non propinare ai bambini, per carità. ENJOY!

martedì 28 gennaio 2020

1917 (2019)

I compiti sono finiti e con 1917, scritto e co-sceneggiato nel 2019 dal regista Sam Mendes, ho recuperato tutte le pellicole candidate all'Oscar come miglior film.


Trama: sul fronte francese della prima guerra mondiale, due soldati inglesi si imbarcano in una missione per impedire a un intero plotone di connazionali di finire in una trappola tedesca.


Chiedo a chi ama i film di guerra di essere indulgente con me, ché il genere non rientra proprio tra i miei preferiti. Dico questo perché ho letto, fino ad ora, le peggio cose su 1917: è noioso, è risibile, non racconta la prima guerra mondiale com'è successa davvero, è un videogioco, ha tutte le esplosioni sbagliate, è facilone, chi più ne ha più ne metta. A me, che sono invece ignorante come una capra di Biella e avrò visto sì e no una decina di film a tema, 1917 è piaciuto, con tutte le riserve del caso, ovviamente. Innanzitutto, non lo avrei mai guardato se non fosse stato nella rosa di candidati all'Oscar ma, detto questo, la marea di premi destinati a piovergli addosso mi perplime oltremodo: sì, il film di Mendes mi è piaciuto e posso definirlo una bella pellicola, sono convinta che vincerà il premio per la Miglior Regia anche solo per il virtuosismo tecnico del finto piano sequenza, ma da qui a candidarlo nella categoria Miglior Film e Miglior Sceneggiatura Originale ne passa. Ma parliamo un po' della sceneggiatura. Persino io, che di cinema di guerra non capisco nulla, mi sono resa conto di come la trama di 1917 altro non sia che una "storia di guerra" raccontata dal nonno (non lo dico tanto per dire: la sceneggiatura si basa sui racconti di Alfred Mendes) e filtrata dall'occhio sognante di un ragazzino che lo sta ad ascoltare, semplice, lineare ma avvincente dall'inizio alla fine. C'è davvero tutto: ci sono le trappole, la corsa contro il tempo per portare a casa una missione impossibile, gente che muore inaspettatamente, nemici insidiosi ed infidi, personaggi quasi "mitologici", parentesi dolci e commoventi, momenti terribili in cui tutto pare cospirare contro il protagonista, persino ingratitudine ed insulti. Questi ultimi meritati, va detto. Blake e Schofield sono due minchie di mare, l'incarnazione letterale di un triste verso de La guerra di Piero, inconsapevoli, povere creature, del detto mors tua vita mea persino quando hanno i tedeschi pronti a far loro saltare in aria le chiappe, roba che la suspension of disbelief era seduta sulla poltrona accanto a me a ridere come una matta (soprattutto quando, a un certo punto, cicciano fuori soldati e mezzi da ogni dove) mentre io mi asciugavo una lacrimuccia furtiva.


Sì, io mi sono commossa nonostante tutto perché George MacKay è bravissimo. O, meglio, la sua faccia sconvolta e stralunata è l'elemento che, assieme ad alcune sequenze crude, conferisce il necessario realismo a questa storia di guerra e offre il contrasto tra chi guarda/ascolta con distacco/racconta dopo tanto tempo e chi quella storia se l'è vissuta sulla pelle, provando tutta la sofferenza, il dolore e la paura del caso. E' l'elemento umano necessario, altrimenti sì, con la sua trama semplice e i suoi virtuosismi tecnici, 1917 sarebbe solo un bell'esercizio di stile, perfetto appunto per gli Oscar ma nulla più. Sam Mendes, chevvelodicoaffare, dietro la macchina da presa è un drago: sfruttando tecniche Hitchcockiane, il regista passa con fluidità invidiabile da una semi-soggettiva a riprese più panoramiche, ci catapulta nel vivo dell'azione senza una sbavatura (grazie anche a un valido montaggio) e senza mai perdere di vista la centralità dei protagonisti, si permette persino alcune sequenze di sublime poesia notturna, quando sembra che i personaggi siano immersi nell'Apocalisse, ma soprattutto ci consente di percepire la durezza della vita di trincea, riportando su grande schermo la labirintica claustrofobia di un luogo che, più che proteggere i soldati, arrivava ad inghiottirli per non lasciarli andare mai più (sì, ci aveva già pensato il film Deathwatch, che vi consiglio di recuperare, ma a me non era ancora capitato di andare a vedere al cinema un film ambientato in buona parte all'interno di trincee). Insomma, avrete capito che sono uscita dal cinema soddisfatta e non mi pento dei soldi spesi ma devo dire anche che Sam Mendes ha fatto di meglio e che accanto agli altri candidati 1917 è robetta, e, a costo di risultare antipatica e spocchiosa, spero sinceramente non porti a casa nemmeno un premio salvo quelli tecnici legati al sonoro.


Del regista e co-sceneggiatore Sam Mendes ho già parlato QUI. George MacKay (Caporale Schofield), Colin Firth (Generale Erinmore), Mark Strong (Capitano Smith), Benedict Cumberbatch (Colonnello MacKenzie) e Richard Madden (Joseph Blake) li trovate invece ai rispettivi link.


1917 ha ben dieci nomination: Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Fotografia, Miglior Trucco e Pettinature, Miglior Scenografia, Miglior Colonna Sonora Originale, Migliori Effetti Speciali, Miglior Missaggio Sonoro, Miglior Montaggio Sonoro.  Dean-Charles Chapman, che interpreta Blake, era il Tommen de Il trono di spade e ha partecipato al film al posto di Tom Holland, non disponibile per impegni pregressi. Se 1917 vi fosse piaciuto recuperate Orizzonti di gloria. ENJOY!

martedì 25 giugno 2019

Rapina a Stoccolma (2018)

Spinta dal trailer accattivante ho deciso di recuperare Rapina a Stoccolma (Stockholm), diretto e sceneggiato nel 2018 dal regista Robert Budreau e uscito proprio in questi giorni in Italia.


Trama: un malvivente fa irruzione all'interno della Kreditbanken di Stoccolma e prende con sé tre ostaggi. Mentre la polizia cerca di risolvere la situazione, con l'aiuto di un altro detenuto, tra rapitori e ostaggi si sviluppa uno strano rapporto di fiducia reciproca.


La cosiddetta Sindrome di Stoccolma, quella per cui delle persone arrivano a dipendere da coloro che hanno abusato di loro in maniera fisica o verbale, arrivando a fidarsi di loro o persino ad amarli, prende il suo nome da una rapina occorsa negli anni '70 a Stoccolma, per l'appunto. Lì, tale Jan Erik-Olsson ha tenuto in ostaggio per alcuni giorni degli impiegati, soprattutto donne, e nel corso di questo pur breve periodo di tempo gli ostaggi sono arrivati a considerare i malviventi gentili, al punto da fidarsi più di loro che della polizia; quando gli agenti sono riusciti a fare irruzione con l'aiuto del gas lacrimogeno, gli ostaggi si sono preoccupati dell'incolumità dei loro carcerieri e anche dopo, a quanto pare, hanno fatto loro visita in prigione. Rapina a Stoccolma si basa proprio su questa storia vera, romanzandola e trasformando Jan Erik-Olsson (qui chiamato Lars Nystrom) in un istrionico malvivente mezzo svedese mezzo americano, appassionato di musica, cinema e motori, un incosciente le cui motivazioni diventano sempre più risibili mano a mano che il film prosegue, anche perché, scopo della pellicola, è riportare su schermo un esempio di Sindrome di Stoccolma. Ecco dunque che, fin dall'inizio, i riflettori vengono puntati sul personaggio di Bianca, moglie e madre di due bambini che finisce (assieme ad altri due colleghi che potrebbero anche non essere presenti vista la loro utilità all'interno della storia) per venire presa in ostaggio da Lars, del quale si innamora senza un perché, seguendo una sceneggiatura disonesta che trasforma il marito in personaggio negativo dopo aver deciso di ignorare le istruzioni di Bianca relativamente alla cena da propinare ai figli e altri piccoli screzi. Bianca, nonostante l'intelligenza e la forza d'animo dimostrata nel corso della rapina, risulta così poco più di una casalinga frustrata in cerca di emozioni, mentre Lars è un povero pirla, punto.


Paradossalmente, il film avrebbe funzionato di più se non fosse stato tratto da una storia vera. Così, quella che poteva trasformarsi in una tragedia è stata resa su pellicola come una superficiale serie di eventi, con qualche eco di weird Coeniano, all'interno della quale i poliziotti ci fanno una ben magra figura ma, a ben vedere, sono molto più divertenti dei rapinatori e dei loro ostaggi, forse perché questi ultimi sono davvero tagliati con l'accetta. Qualche minuto di divertimento, tuttavia, non sopperisce al piattume generale di un film che prometteva di essere "assurdo" come la storia da cui è tratto e che difetta proprio dell'assurdità di cui sopra, visto che è prevedibile dall'inizio alla fine, più concentrato sulla riuscita della sua parte heist che sui fatti veri, quelli sì davvero incomprensibili ed interessanti. Peccato, perché anche i pur bravi attori hanno risentito di questa superficialità. Ethan Hawke sguazza nei panni di un personaggio tragicamente ridicolo riuscendo a renderlo affascinante più in virtù del suo aspetto sempre belloccio che della sceneggiatura; Noomi Rapace stona un po' vestita come un'impiegata, ché di fatto il suo essere badass si intuisce lontano un chilometro, ma è comunque deliziosa; Mark Strong, infine, fa il suo lavoro, anche se non ha occasioni di brillare come meriterebbe, sacrificato alla "follia" del personaggio di Hawke. Tra tutti ho comunque preferito il perfido Capo Mattsson di Christopher Heyerdahl, l'unico tra tutti i personaggi a riservare più di una sorpresa dietro il suo atteggiamento amichevole e dimesso e ad essere realmente "assurdo". Occasione sprecata, dunque? Mah, per me sì. Il film "perfetto" e "vero" sulla Sindrome di Stoccolma deve ancora arrivare.


Di Ethan Hawke (Kaj Hansson/Lars Nystrom), Noomi Rapace (Bianca Lind) e Mark Strong (Gunnar Sorensson) ho parlato ai rispettivi link.

Robert Budreau è il regista e sceneggiatore della pellicola. Canadese, ha diretto film come That Beautiful Somewhere. Anche produttore, ha 45 anni.




martedì 26 settembre 2017

Kingsman: Il cerchio d'oro (2017)

Avendo adorato il primo film non potevo perdere Kingsman: Il cerchio d'oro (Kingsman: The Golden Circle), diretto e co-sceneggiato dal regista Matthew Vaughn e ispirato al fumetto omonimo di Mark Millar. NO SPOILER, tranquilli.


Trama: ormai Eggsy è un Kingsman a tutti gli effetti e la sua vita procede nel migliore dei modi, almeno finché un'organizzazione criminale costringe gli agenti segreti inglesi a fuggire da Londra e allearsi coi "cugini" americani, gli Statesman.


Cosa gli vuoi dire a quello sfacciato di Matthew Vaughn? Quest'uomo è un truzzo esagerato, uno dei pochi ad aver capito che anche quando si parla di film d'intrattenimento bisogna fare sul serio, schiacciando sul pedale del cattivo gusto senza diventare antipatici (la scorsa volta c'era la Principessa p0rno, stavolta abbiamo una roba molto in stile titoli di testa di Senti chi parla!) e soprattutto creando un prodotto visivamente bello, con attori di un certo spessore in cerca di divertimento, basato su una storia che possa coinvolgere lo spettatore senza scadere nelle soluzioni facili o banali e, anche in quel caso, riuscendo comunque a renderle esaltanti. C'era riuscito già con Kick-Ass, vincendo ovviamente facile in quanto pesantemente spalleggiato dal folgorante fumetto di Mark Millar, aveva rinfrescato gli X-Men alla grande nel 2011 (e non a caso il franchise è andato calando dopo quel trionfo di X-Men - L'inizio) e nel 2014 era tornato a folgorare il pubblico con il primo Kingsman, la sagra scema dell'agente segreto inglese, una roba folle che andava a braccetto col ridicolo nobilitandolo e vestendolo da gentleman. Pur essendo amante di Kingsman mai avrei creduto in primis nella realizzazione di un sequel ma soprattutto di un seguito all'altezza del primo capitolo, invece Vaughn ce l'ha fatta anche stavolta e io non posso fare altro che volergli bene per mille motivi. Tanto per cominciare, Il cerchio d'oro si ricollega perfettamente alla pellicola del 2014 senza andare troppo a scomodare la memoria dello spettatore poco attento seppellendolo di dettagli impossibili da ricordare dopo tre anni ma facendo anche il gesto dell'ombrello agli "uomini fumetto" che non ne lasciano passare una agli sceneggiatori, i quali lavorando di lima sono riusciti a soddisfare anche i palati più esigenti (io per prima a un certo punto ho esclamato "Ma quello non aveva fatto quella fine...? E allora perché...?" prima di zittirmi e chinare il capo). Seconda cosa, Il cerchio d'oro presenta un'evoluzione di determinati personaggi, ci racconta qualcosina in più di quelli maggiormente amati e ne presenta altri con tutto il potenziale per diventare a loro volta dei beniamini, senza tuttavia farsi scrupoli quando si tratta di aumentare il bodycount: se è vero che un Kingsman non piange durante la missione e versa solamente una singola lacrima alla fine della stessa, in privato, è anche vero che alcuni colpi di scena sono crudeli tanto quanto l'inaspettata morte di Harry nel primo film e, come già accadeva nel 2014, la resa cartoonesca della violenza non toglie il fatto che anche Il cerchio d'oro scodelli al pubblico delle belle macellate.


Volendo trovare un difetto nella trama si potrebbe dire che Poppy, la villainess arrivata a sostituire Valentine (un Samuel L. Jackson "con zeppola" al quale comunque vanno i ringraziamenti post credits), è talmente pazza da rasentare il surreale e soprattutto che le scelte di un determinato personaggio sono guidate da motivazioni risibili ed infantili, ma sono due particolari che scompaiono davanti al gusto con cui Vaughn coreografa e riprende le sue esageratissime scene d'azione. Nulla a che vedere con la fisicità tecnica di Atomica Bionda, per carità, siamo su tutt'altro livello, però il risultato è altrettanto godurioso: il car chase iniziale lascia a bocca aperta, durante la sequenza in montagna è meglio chiuderla o si rischia di rimanere in debito d'ossigeno, i gadget dei nuovi Statesman (degna controparte "bovara" e cafona dei Kingsman) consentono la realizzazione di scontri corpo a corpo esaltanti quanto quelli del primo capitolo e persino delle sequenze riproposte che non vanno proprio come ci si aspetterebbe, in più stavolta ci sono persino i robot. I robot, santo cielo. In tutto questo, come ho detto, la cattiveria non manca e non si limita solo a qualche morto ammazzato in maniera particolarmente crudele. Al di là di un presidente particolarmente "trumpiano", la sceneggiatura punzecchia lo spettatore mediamente moralista e bigotto con un paio di domande scomode che probabilmente toccheranno più di un americano (ma non solo) e la risata sguaiata seguìta all'ennesima, coloratissima e cialtrona scena d'azione lascia spesso l'amaro in bocca. Fortuna che ad addolcire il tutto c'è Elton John. No, davvero. I Kingsman ereditati dalla prima pellicola sono meravigliosi, Colin Firth sempre più elegante e figo in primis, Julianne Moore si permette di gigioneggiare in maniera del tutto inaspettata, Jeff Bridges è una garanzia, Channing Tatum e soprattutto Pedro Pascal fanno il loro porco lavoro ma è SIR Elton John che merita il pagamento del prezzo del biglietto, lui e le sue canzoni, punte di diamante di una colonna sonora come al solito perfetta. La versione country della mia adorata Word Up e Take Me Home, Country Roads cantata da un Mark Strong in stato di grazia mi hanno mandata a casa canticchiando come nemmeno le colonne sonore congiunte di La La Land e Baby Driver sono riuscite a fare, ennesima dimostrazione di come Vaughn sappia mescolare sapientemente colonna sonora (ruffiana quanto volete ma sempre bella), regia, montaggio e una buona dose di truzzeria: d'altronde, che importa se Saturday Night's Alright (for Fighting) quando c'è casino di mercoledì? Bon, avevo promesso di non fare spoiler e dire altro sarebbe un delitto, aggiungo solo grazie Sir Matthew Vaughn per avermi resa felice come una bambina ancora una volta!


Del regista e sceneggiatore Matthew Vaughn ho già parlato QUI. Taron Egerton (Eggsy), Mark Strong (Merlino), Julianne Moore (Poppy), Colin Firth (Harry Hart), Michael Gambon (Artù), Channing Tatum (Tequila), Halle Berry (Ginger), Jeff Bridges (Champion), Pedro Pascal (Whiskey) ed Emily Watson (Capo di Stato Fox) li trovate invece ai rispettivi link.

Bruce Greenwood interpreta il Presidente degli Stati Uniti. Canadese, ha partecipato a film come Rambo, Orchidea selvaggia, Generazione perfetta, Truman Capote - A  sangue freddo, Déjà Vu - Corsa contro il tempo, Super 8, Come un tuono, l'imminente Il gioco di Gerald e a serie quali I viaggiatori delle tenebre e American Crime Story; come doppiatore, ha lavorato in serie come American Dad!. Anche produttore, ha 61 anni e due film in uscita.


Clara, fidanzata di Charlie, è interpretata da Poppy Delevingne, sorella maggiore di Cara già vista in King Arthur: Il potere della spada. Se Kingsman: Il cerchio d'oro vi fosse piaciuto, nell'attesa che esca un già annunciato terzo capitolo (e forse anche uno spin-off dedicato agli Statesman), recuperate Kingsman: Secret Service e il primo Kick - Ass. ENJOY!

venerdì 12 maggio 2017

Miss Sloane (2016)

Avrebbe dovuto uscire la scorsa settimana in tutta Italia (ma a quanto pare si è perso nei meandri della distribuzione) Miss Sloane, diretto nel 2016 dal regista John Madden, film recuperato esclusivamente per la presenza di Jessica Chastain e rivelatosi inaspettatamente bello.


Trama: Elizabeth Sloane è una delle lobbiste più quotate sul mercato, spregiudicata e senza scrupoli. La sua stessa carriera viene però messa in pericolo quando decide di accettare un lavoro in diretto contrasto con la lobby delle armi, atto a spingere i senatori ad approvare una legge per il controllo dei precedenti dei privati che le acquistano e ne fanno uso.



Prima di cominciare la parte positiva del post è necessario che ammetta di avere avuto MOLTA difficoltà a superare la prima, logorroica e complicata mezz'ora di Miss Sloane. Innanzitutto, e viva l'ignoranza, il termine "lobbista" mi era familiare ma evocava echi di corruzione e criminalità, mentre la sua accezione americana è assimilabile a quella di qualcuno che si occupa di pubbliche relazioni, creando l'ambiente ideale affinché politici et simili possano prendere decisioni in accordo coi grandi elettori o con rappresentanti di poteri forti. Quindi sì, obiettivamente il termine "lobbista" continua ad essere espressione di qualcosa di poco "pulito" in quanto i politici dovrebbero agire nell'interesse dei cittadini e non di entità non meglio definite e dotate di soldi, PERO' è anche vero che i senatori americani non dovrebbero ricavare NULLA dalle concessioni a questa o quell'altra fazione, in base ad una legge che ne regola l'etica, quindi i lobbisti, come ho detto più sopra, virtualmente sarebbero assimilabili ai PR. Virtualmente, ovvio. In un mondo ideale. Di sicuro Elizabeth Sloane, la Miss protagonista del film a cui da il nome, non è l'espressione di una moralità adamantina ed è talmente determinata a raggiungere i suoi obiettivi da non guardare in faccia a nessuno quando si tratta di far vincere la fazione che l'ha assunta, nemmeno quando si tratta di convincere i senatori ad approvare una legge che controlli i precedenti di chi acquista delle armi. Pur essendosi votata ad una causa positiva, miss Sloane si avvale infatti di metodi poco ortodossi, al limite dell'illegalità (come lo spionaggio) o dell'immoralità (sfruttare il tragico passato di una sua collaboratrice gettandola sotto i riflettori a sua insaputa), risultando così fredda e pericolosa quanto le armi di cui vorrebbe limitare l'uso oltre che meschina quanto i membri della cosiddetta lobby delle armi, un personaggio insomma col quale è difficile empatizzare ma al cui carisma non si riesce a rimanere indifferenti, affatto. Per di più, la sceneggiatura verte sull'annosa questione del Secondo Emendamento della Costituzione americana, che protegge il diritto delle persone di possedere armi e addirittura di portarle con sé, ed è scritta in modo da non dare un giudizio definitivo sul problema, preferendo lasciare allo spettatore la possibilità di considerare i pro e i contro di una simile libertà, profondamente radicata nella natura "di frontiera" degli Stati Uniti.


Detto ciò, si può tranquillamente affermare che Miss Sloane poggi interamente sulla superba interpretazione di Jessica Chastain, talmente valida che mi chiedo come mai non sia riuscita a superare gli standard dell'Academy (altra bella dimenticanza, assieme alla Amy Adams di Arrival). La bella rossa si carica sulle spalle un'interpretazione non facile, quella di una "macchina da guerra" apparentemente priva di sentimenti e interamente concentrata su sé stessa e sul lavoro, che si concede pochissimo alle aperture minime di una sceneggiatura per nulla conciliante o positiva, dove tutti prima o poi fanno una figura ben meschina, persino i personaggi più "innocenti"; l'incredibile bellezza della Chastain la rende ancora più distante dai comuni mortali e risulta così difficile per lo spettatore sentirsi vicino ad una donna così forte e potente che, nonostante l'aspetto, punta interamente su intelligenza, carisma e capacità di previsione, scrollandosi di dosso i rari momenti di debolezza come se fossero dei difetti di programmazione (diciamo che talvolta il ruolo sembra scritto per un uomo o per un essere totalmente asessuato, questo è l'unico difetto reale del film se vogliamo tenere da conto un punto di vista "femminista" che, peraltro, viene messo alla berlina come tutto il resto dell'establishment politico-sociale americano). Il cast di supporto è altrettanto valido, a partire dall'impronunciabile Gugu Mbatha-Raw e Mark Strong, i due che sicuramente saltano più all'occhio, passando per quel Michael Stuhlbarg che di nascosto impreziosisce tutte le pellicole che lo vedono presente per arrivare a due vecchi leoni come John Lithgow e Sam Waterston, attori che è sempre un piacere vedere sul grande e piccolo schermo. In tutta sincerità, compiango un po' gli adattatori e i doppiatori che dovranno rendere in italiano una sceneggiatura così verbosa e difficile, zeppa di termini tecnici che nella nostra lingua neppure esistono, eppure vi consiglierei lo stesso di "provare" Miss Sloane e di non farvi spaventare né dalla difficoltà dell'argomento trattato né dall'aria vagamente "Trumpista" che si respira per tutta la pellicola, specchio di tempi negativi (il film in america è uscito proprio a ridosso delle elezioni presidenziali e secondo me ne incarna tutto il pessimismo e lo "schifo") che purtroppo non sono ancora passati... e forse non passeranno mai.


Di Jessica Chastain (Elizabeth Sloane), Gugu Mbatha-Raw (Esme Manucharian), Michael Stuhlbarg (Pat Connors), John Lithgow (Ron M. Sperling), Mark Strong (Rodolfo Schmidt), Alison Pill (Jane Molloy), Douglas Smith (Alex), Sam Waterston (George Dupont) e Dylan Baker (Moderatore) ho già parlato ai rispettivi link.

John Madden è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Shakespeare in Love, Il mandolino del capitano Corelli, Marigold Hotel e Ritorno al Marigold Hotel. Anche produttore e sceneggiatore, ha 68 anni.


Se Miss Sloane vi fosse piaciuto recuperate Jerry Maguire, Il candidato, Tutti gli uomini del presidente e Thank You for Smoking. ENJOY!


domenica 18 settembre 2016

RocknRolla (2008)

Questa è l’ultima del 2016, prometto. Intendo l’ultima volta che scrivo un brevissimo post dopo praticamente un mese dalla visione del film, cosa che mi porta inevitabilmente ad affidarmi ad una memoria sempre più scarsa e ad emozioni ormai raffreddatesi. Ciò accade, soprattutto, quando si parla di film come RoknRolla, diretto nel 2008 dal regista Guy Ritchie, la tipica sagra del malvivente inglese tanto cara all’autore.


Trama: uno speculatore edilizio senza scrupoli cerca di concludere un grosso affare con un magnate russo ma la commercialista di quest’ultimo è in combutta con un paio di piccoli malviventi e lo deruba sistematicamente di ogni investimento. A complicare un affare che già sta in piedi per miracolo si aggiungono i capricci di un giovane cantante rock fattosi passare per morto…



Ammetto pubblicamente di essere un’estimatrice di Guy Ritchie, del suo stile caciarone e videoclipparo, del montaggio rapido quanto i giri di giostra tra personaggi che si susseguono continuamente sullo schermo, del sottobosco criminale che mette in scena con abbondanti dosi di umorismo nero e anche di un certo modo ruffiano di accattivarsi il pubblico. Tutti questi elementi si ritrovano in RockNRolla eppure, nonostante il mio amore per il regista inglese, la visione del film si è rivelata lievemente pesante, come se avessi davanti uno scherzo tirato per le lunghe; la trama della pellicola fila e tutto torna perfettamente sul finale, nel quale ogni tessera apparentemente stonata riesce nonostante tutto a comporre un mosaico perfetto, però credo che la parte centrale del film venga appesantita troppo da ripetizioni inutili e personaggi superflui. In aggiunta, bisogna dire che il RockNRolla del titolo è uno dei protagonisti più fastidiosi e meno carismatici mai creati da Guy Ritchie. Non so se imputare la colpa all’attore Toby Kebbell, che sembrerebbe un giovane Sacha Baron-Coen molto meno divertente (e già di suo non che Baron-Coen mi faccia impazzire...), sta di fatto che dal momento in cui compare il fantomatico Johnny Quid il film subisce una frenata che non molla neppure con la presenza del fantastico “gangster” di Tom Wilkinson e del sempre valido Mark Strong, punte di diamante di un cast che contempla anche due figoni del calibro di Idris Elba e Gerard Butler, tra gli altri. Ecco, forse RockNRolla mi ha un po’ delusa perché pensavo che il fulcro della storia fosse questa coppia di pregevoli attori, invece la trama a un certo punto si discosta dalle loro disavventure, focalizzandosi su furti di quadri, rockstar drogate, segretucci nascosti e russi psicopatici, questi ultimi protagonisti delle sequenze più genuinamente folli e divertenti di tutta la pellicola. Nonostante questo, quando durante i titoli di coda ho letto che i protagonisti di RockNRolla sarebbero tornati per un secondo film non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa aspetti Ritchie a riprendere le fila del discorso, magari con qualche aggiustatina qui e là: o sono completamente psicopatica e mi sbaglio di grosso, oppure potrebbe venire fuori un sequel molto migliore della pellicola originale!


Del regista e sceneggiatore Guy Ritchie ho già parlato QUI. Gerard Butler (One Two), Tom Wilkinson (Lenny Cole), Mark Strong (Archy), Idris Elba (Mumbles), Tom Hardy (Bob il bello), Toby Kebbel (Johnny Quid), Karel Roden (Uri Omovich), Jeremy Piven (Roman), Gemma Arterton (June) e Jamie Campbell Bower (Rocker) li trovate invece ai rispettivi link.

Thandie Newton interpreta Stella. Inglese, ha partecipato a film come Intervista col vampiro, Gridlock'd, Mission: Impossible 2, The Chronicles of Riddick e a serie come E.R. Medici in prima linea, inoltre ha doppiato un episodio di American Dad!. Ha 44 anni e due film in uscita.


Il cantante Ludacris (col vero nome di Chris Bridges) interpreta Mickey, uno dei due manager di Johnny Quid. Apparentemente, quella di RocknRolla avrebbe dovuto essere una trilogia, di fatto nei titoli di coda viene scritto "The Wild Bunch will return in The Real RockNRolla", tuttavia nel frattempo Ritchie ha girato altri quattro film e di un eventuale sequel non c'è ancora traccia. Detto questo, se RocknRolla vi fosse piaciuto recuperate Lock & Stock - Pazzi scatenati e Snatch - Lo strappo. ENJOY!

venerdì 13 marzo 2015

Kingsman: Secret Service (2014)

Con un po' di ritardo, questa settimana ho recuperato anche Kingsman: Secret Service (Kingsman: The Secret Service), diretto e co-sceneggiato nel 2014 dal regista Matthew Vaughn partendo dall'omonima serie a fumetti scritta da Mark Millar e disegnata da Dave Gibbons.


Trama: Il giovane Eggs scopre che il padre defunto faceva parte dei Kingsmen, un gruppo di agenti segreti inglesi e viene preso sotto l'ala protettiva di Galahad, che lo addestra come nuova recluta. Intanto il malvagio supercriminale Valentine complotta contro l'umanità...


Ormai è ufficiale: io amo Matthew Vaughn. Da Kick-Ass a X-Men: L'inizio non ha sbagliato un colpo e ogni volta che guardo un suo film, per quanto caciarone, tamarro e fumettaro, esco dal cinema soddisfatta dopo essermi divertita come una pazza. Kingsman non fa eccezione e in più è pervaso da quel tocco di umorismo british che mi provoca sempre un educato brividino di giubilo lungo la schiena e mi fa scattare in piedi a salutare come la Regina (la vecchiaccia veramente inorridirebbe davanti a un paio di battute spinte, soprattutto sul finale, ma non stiamo a spaccare il capello). La zampaccia di Millar nella sceneggiatura si vede e si sente perché Kingsman è un film che non va troppo per il sottile; sotto il divertimento tamarro di una Scuola "Xavier" per Giovani Spie c'è un interessante confronto sociale tra ricchi e poveri o, meglio, tra chi ha i soldi e per questo s'illude di poter essere speciale e chi invece è costretto a subire una vita deprimente e priva di possibilità perché nato nel posto sbagliato al momento sbagliato ma, soprattutto, sotto il divertimento tamarro c'è una cattiveria inaudita. Kingsman non guarda in faccia nessuno e la sceneggiatura scanzonata, che tanto deve ai film di 007 e persino a Una poltrona per due oltre che a Cell di Stephen King, prevede momenti che, se non venissero buttati vagamente sul ridere, potrebbero trasformarsi in pesantissime sequenze horror con la semplice aggiunta di un po' di sangue. La sciagurata e folle mancanza di rispetto del villain per la specie umana, la noncuranza con cui i potenti ne ascoltano i deliri giustificandoli e infine accettandoli, la fallacità dei protagonisti, il mezzo utilizzato da Valentine per sterminare più persone possibili, la violenza suggerita nei confronti di bambini ed animali e la totale assenza di figure materne sono solo la punta di un iceberg che, ad un certo punto, con l'ormai iconica mattanza all'interno di una chiesa popolata da intolleranti promulgatori d'odio da voce e sfogo ai desideri reconditi della maggioranza degli spettatori, con una bella dose di cinismo e una discreta faccia tosta.


C'è da dire che a me piace anche come Matthew Vaughn dirige i film. Niente pesantissimi effetti speciali, niente fastidiosi movimenti di macchina "fighi", solo ralenti centellinati e dosati nel modo giusto e, soprattutto, poche scene clou di combattimento create combinando stunt, coreografie e soprattutto musica: d'altronde, se ancora oggi non mi tolgo dalla testa le due sequenze dedicate agli omicidi di Hit-Girl nel primo Kick-Ass mentre non ricordo una cippa del secondo, indegno capitolo, ci sarà un motivo. In Kingsman il regista da il bianco nella già citata sequenza all'interno della chiesa (un lunghissimo e violentissimo piano sequenza da sbavo, sulle note di Free Bird dei Lynyrd Skynyrd), nella "scazzottata" iniziale all'interno del pub e, in generale, in tutte le scene che vedono l'agile killer senza gambe Gazelle fare sfoggio delle sue taglienti protesi. Oltre a queste coreografie da "picchiaduro", il film si distingue per un paio di fantasiose soluzioni atte ad evitare il divieto a qualunque adolescente di entrare in sala (teste che esplodono con dovizia di colori e fuochi d'artificio), per dei titoli di testa assai particolari, per degli abiti e degli accessori che farebbero la gioia di ogni vero gentiluomo che si rispetti e, ovviamente, per degli attori assolutamente in parte. Il migliore è senza dubbio Colin Firth, figo da morire ed incredibilmente a suo agio nel ruolo del gentleman un po' avanti negli anni, carismatico e ancora in grado di muoversi come un diciassettenne, ma anche il ragazzetto protagonista non è male (sfido CHIUNQUE a non morire dal ridere davanti alla sua proposta indecente sul finale), strafottente e piacionetto al punto giusto, e Mark Strong assieme a Michael Caine sono sempre una garanzia. Nota un po' dolente, strano a dirsi, è Samuel L. Jackson, il cui personaggio non mi ha convinta appieno perché davvero troppo caricaturale (e quella zeppola, santo cielo, sembrava di sentire Jovanotti!): va bene l'assurdità però a tratti il perfido Valentine scade talmente nel ridicolo che persino io non sono riuscita a fare finta di nulla. Tolto questo, Kingsman è al momento il film più divertente, godurioso e badass visto quest'anno (non vedo l'ora di riguardarlo in lingua originale), consigliatissimo per tutti tranne che per i puristi del genere spy story, troppo irrispettoso!


Del regista e co-sceneggiatora Matthew Vaughn ho già parlato QUI. Colin Firth (Harry Hart/Galahad), Mark Strong (Merlino), Jack Davenport (Lancillotto), Samuel L. Jackson (Valentine) e Michael Caine (Artù) li trovate invece ai rispettivi link.

Mark Hamill interpreta il Professor Arnold. Passato alla storia come Luke Skywalker di Guerre Stellari, L'impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi, lo ricordo per altri film come I sonnambuli, Villaggio dei dannati e Jay & Silent Bob... Fermate Hollywood!. Ha partecipato anche a serie come General Hospital, The Bill Cosby Show, La famiglia Bradford, Alfred Hitchcock presenta, Flash, Oltre i limiti, Una famiglia del terzo tipo e Criminal Minds mentre come doppiatore ha lavorato per film come Nausicaa della Valle del vento, Il castello nel cielo, La sirenetta e serie come Biker Mice da Marte, Bonkers, Batman, The Ren & Stimpy Show, Mignolo e Prof, Mucca e Pollo, Celebrity Deathmatch, Le Superchicche, Johnny Bravo, Il laboratorio di Dexter, I Griffin, SpongeBob Squarepants, Futurama, Robot Chicken e Adventure Time. Americano, anche produttore e regista, ha 64 anni e due film in uscita tra cui Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della Forza.


Nel fumetto originale Gazelle è un uomo e pare che il campione paralimpico Oscar Pistorius fosse stato avvicinato per il ruolo cinematografico chiedendo ai suoi rappresentanti se l'atleta avrebbe potuto interpretare un "killer convincente". Beh, a proposito dell'amara ironia presente in Kingsman, sappiamo tutti che alla fine Pistorius (che ha rinunciato a partecipare al film per concentrarsi sulla sua carriera di atleta) ha poi ucciso la fidanzata. Rimanendo nell'ambito di attori "veri", ad Aaron Taylor - Johnson era stata offerta la parte di Eggsy ma ha rifiutato; per il ruolo di Valentine erano stati presi in considerazione Leonardo Di Caprio, Idris Elba e Tom Cruise mentre per quello di Roxy erano stati fatti i nomi di Emma Watson e Bella Heathcote. Matthew Vaughn ha dichiarato che Kingsman: Secret Service dovrebbe essere il primo film di una serie: se così fosse, ne sarei MOLTO dispiaciuta ma queste sono le leggi del marketing, ahimé. Nell'attesa, recuperate la serie Secret Service pubblicata il mese scorso da Panini Comics (io credo proprio che lo farò!) e aggiungete magari qualche film delle franchise dedicate a 007, Jason Bourne o Mission: Impossible. ENJOY!

domenica 1 febbraio 2015

The Imitation Game (2014)

Continua il recupero in vista della Notte degli Oscar! A dire il vero, American Sniper a parte, finora sono rimasta un po' delusa dai film candidati per un motivo o per l'altro; per fortuna a salvare la baracca è arrivato The Imitation Game, diretto nel 2014 dal regista Morten Tyldum, tratto dal libro Alan Turing: Storia di un enigma di Andrew Hodges e candidato a otto premi Oscar (Miglior Film, Benedict Cumberbatch Miglior Attore Protagonista, Keira Knightley Miglior Attrice Non Protagonista, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Non Originale, Miglior Montaggio, Miglior Scenografia e Miglior Colonna Sonora Originale).


Trama: durante la seconda guerra mondiale il matematico Alan Turing si propone all'esercito inglese per riuscire a decodificare Enigma, il codice con cui i tedeschi comunicano tra loro. Il compito è improbo ma Turing, guardato con sospetto da collaboratori e capi, è convinto di riuscire grazie ad un cervello elettronico da lui costruito..


Benedetto Benedict e soprattutto benedetto il biopic mescolato alla spy story in grado di coinvolgere e far rimanere sveglio lo spettatore! Ecco cosa ho pensato, in lacrime, alla fine di The Imitation Game, guardato con incredibile sospetto fin dalle prime battute e film che invece mi ha conquistata in breve tempo a colpi di accenti britannici ed altrettanto inglese humor in grado di stemperare l'effettivamente drammatica storia vera rappresentata. Gli sceneggiatori sono stati molto furbi a dipingere Alan Turing come uno Sheldon Cooper degli anni '40, indisponente, disadattato, ingenuo per quel che riguarda le relazioni sociali ma incredibilmente intelligente nel suo campo di studi; è sicuramente un buon modo per catturare lo spettatore scettico oppure ignorante in materia (come nel caso della sottoscritta), quello che non sa di avere davanti la biografia del creatore delle basi dell'informatica moderna, il "nonno" dei computer come li conosciamo oggi. Attraverso il "filtro" del detective Nock, che rappresenta la curiosità di tutti noi, The Imitation Game prende per mano lo spettatore e lo porta sia a voler bene a Turing nonostante il suo brutto carattere, sia ad appassionarsi al rompicapo posto davanti al gruppo di scienziati da lui capitanato, a mordersi le dita davanti a fallimenti che hanno ahimé provocato innumerevoli vittime, a gioire e meravigliarsi davanti alle rivelazioni e ai progressi in grado di contrastare il terribile codice Enigma: la magia del cinema rende la storia appassionante quanto la finzione, cancellando gli inevitabili confini che le separano e facendo dimenticare per un istante che, fondamentalmente, Turing è davvero una delle persone da ringraziare per aver bloccato l'espansione nazista. E' un'illusione che, come ho detto, dura solo un istante e viene cancellata brutalmente dalle decisioni scomode e terribilmente reali che il vero Turing ha dovuto prendere, dal pianto spezzacuore di Cumberbatch sul finale e da un paio di lapidarie righe di testo che informano sul destino ingrato toccato al povero Turing, "graziato" da un perdono MOLTO postumo di Her Majesty in persona dopo essere stato trattato per anni peggio di un criminale a causa di sospetti pompati dalle angoscianti leggi omofobe dell'epoca. Della serie, vai a far del bene alla gente, vai.


Benedict Cumberbatch interpreta Turing con straordinaria sensibilità e una fisicità calzante, guida e sovrasta senza troppi problemi tutto il resto del cast senza però eclissarlo (cosa che invece succede in Still Alice) perché ogni personaggio ha la sua storia da raccontare e una caratteristica che lo distingue dagli altri. Sinceramente, nonostante Joan Clarke sia ben interpretata e decisamente simpatica e gradevole, non credo che la Knightley meriti l'Oscar come migliore attrice non protagonista, anche perché l'interpretazione mi sembra nella media e non dissimile da altre sue performance; tra i "caratteristi" spiccano invece il sempre affascinante Matthew Goode, il perfido vecchio leone Charles Dance e un Mark Strong sempre perfetto nei ruoli ambigui al limite della legalità. L'affiatamento degli attori ed il ritmo incalzante della sceneggiatura giovano anche alla regia del norvegese Morten Tyldum, che non spicca sicuramente per innovazione ma si limita ad assecondare con gusto "classico" i vari aspetti della vicenda mentre la colonna sonora di Alexandre Desplat ha riportato alla mia mente l'adorato Il discorso del re, mettendomi ancor più in condizione di guardare The Imitation Game con simpatia e relax. Ora che ho tirato in ballo Il discorso del re però mi pare brutto nascondermi dietro un dito quindi forse è meglio che prenda una decisione scomoda come ha fatto Turing e vi confessi una terribile verità: anche The Imitation Game è un giocattolone confezionato apposta per l'Oscar e in virtù di ciò farà sicuramente storcere il naso ai cinefili duri e puri. Detto questo, l'ho sicuramente preferito a La teoria del tutto perché, sempre dall'alto della mia ignoranza, mi pare sia stato dato più spazio alle effettive scoperte di Turing piuttosto che ai suoi rapporti familiari/amorosi, riuscendo nel miracoloso intento di rendere "appetibile" il personaggio anche ai non appassionati di scienza o informatica senza tuttavia snaturarlo troppo. E dopo una scomoda "confessione" tocca porre anche una scomoda domanda: fanciulle, Cumberbatch è bravo, bravissimo... ma dove cavolo lo vedete bello?


Di Benedict Cumberbatch (Alan Turing), Keira Knightley (Joan Clarke), Matthew Goode (Hugh Alexander) e Mark Strong (Stewart Menzies) ho già parlato ai rispettivi link.

Morten Tyldum è il regista della pellicola. Norvegese, ha diretto film che assolutamente non conoscevo ma comunque arrivati anche in Italia come Buddy e Headhunters. Ha 47 anni e un film in uscita.


Rory Kinnear interpreta il detective Robert Nock. Inglese, ha partecipato a film come Quantum of Solace, Skyfall e a serie come Black Mirror e Penny Dreadful. Ha 36 anni, tre film in uscita e comparirà anche nell'imminente miniserie The Casual Vacancy, tratta dall'omonimo romanzo di J.K. Rowling.


Charles Dance (vero nome Walter Charles Dance) interpreta il comandante Denniston. Inglese, ha partecipato a film come Il bambino d'oro, Alien3, Last Action Hero - L'ultimo grande eroe, Michael Collins, Gosford Park e a serie come Flying Doctors, Bleak House e Il trono di spade. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 68 anni e cinque film in uscita tra cui Orgoglio e pregiudizio e zombie.


Se The Imitation Game vi fosse piaciuto e foste interessati alla figura di Alan Turing, sappiate che esiste un film per la TV del 1996 intitolato Breaking the Code che ripercorre la vita del matematico, altrimenti buttatevi su La talpa o La teoria del tutto. ENJOY!

mercoledì 18 gennaio 2012

La Talpa (2011)

Lo sapevo. Andare al cinema pieni di aspettative non porta a nulla. Ormai lo so e parto prevenuta a prescindere, ma poi ci sono film che sulla carta sono un trionfo, come La Talpa (Tinker Tailor Soldier Spy), diretto da Tomas Alfredson e tratto dal romanzo omonimo di John Le Carré, e uno non può fare altro che attenderli con ansia... finendo la serata sentendosi come Fantozzi davanti alla Corazzata Potiemkin.


Trama: ai tempi della guerra fredda i servizi segreti inglesi tremano. Tra loro, nientemeno che ai vertici, c'è una talpa che lavorerebbe per i russi. L'ex agente Smiley viene incaricato di scoprirne l'identità, ma non sarà un lavoro semplice... e neppure piacevole.


Per parafrasare l'arguta signora seduta alle mie spalle: "che du' palle!!". E sì, devo proprio dirlo, anche se mi fa male, male, male da morire, come direbbe Titty Ferro. La Talpa è uno dei film più ammorbanti che abbia visto in tempi recenti. Per carità, è l'equivalente della morte dolce, di un lento suicidio, di un consumarsi Baudelairiano, ma sempre morte è: bellissimo, formalmente ineccepibile, ben diretto, ben recitato, con delle immagini splendide, degli attori della straMadonna, dei simbolisimi inarrivabili, una fotografia commovente, un'attenzione ai particolari che ha dell'incredibile... ma comunque una gran rottura di maròni. Hai voglia a capire chi è la talpa! Quando (se, scusate!) arriverete alla fine saprete l'identità del fellone, va bene, ma nel frattempo il vostro cervello annichilito si sarà già dimenticato come diamine ha fatto Gary Oldman a sciogliere l'arcano!


E gli sceneggiatori l'hanno capito. Hanno intuito che al ventesimo minuto di compassato ed arguto silenzio Oldmaniano lo spettatore più debole avrebbe cominciato a sbuffare... hanno percepito un ronfare nell'aere quando lo stesso Oldman si è messo a parlare per un quarto d'ora di Karla, di accendini, mogli e buoi dei paesi tuoi, interrogatori e disertori russi... quindi BAM! ci hanno piazzato la rivelazione dell'agente gay (assente nel romanzo originale) e del vecchio cornuto così il pubblico avrebbe aperto gli occhi, nuovamente interessato a tutta la faccenda. E avrebbero continuato così, alternando momenti di assoluta noia statica a uccisioni improvvise, in un susseguirsi di bastoni sedativi e carote energizzanti, riuscendo anche a catturare lo spettatore che pensa "dopo tutta sta menata mo' voglio proprio saperlo chi è sta razzo di talpa!!!"... per poi concludere con una delle sequenze più belle, geniali e ahimé involontariamente trash della storia del cinema, in cui la talpa finalmente smascherata si profonde, nel 300esimo flashback del film, in un florilegio di sguardi equivoci ed ammiccamenti al ritmo forsennato di "aaah, la mer... la mer....", concupendo l'unico personaggio che MAI avremmo creduto concupibile. Con tanto di applauso finale E alla canzone (di Julio Iglesias, mica pizza e fichi!!), E al film, E alla faccetta sorniona di Gary Oldman, indiscusso vincitore e scopritore di talpe. Applauso che non ha rispecchiato quello del pubblico, non stavolta. Un raffinatissimo, bellissimo, tecnicamente perfetto EPIC FAIL, per dirla con parole moderne.


Del regista Tomas Alfredson ho già parlato qui, mentre di Gary Oldman (Smiley), Mark Strong (Prideaux), John Hurt (Controllo, ma avrebbe dovuto interpretare Smiley secondo le prime indiscrezioni), Colin Firth (Bill Haydon), Ciaràn Hinds (Roy Bland) e Stephen Graham (Jerry Westerby) ho già parlato nei rispettivi link.

Toby Jones interpreta Percy Alleline. Inglese, ha partecipato a film come Orlando, I miserabili, Giovanna D’Arco, Neverland – Un sogno per la vita, Il rito, Captain America: Il primo Vendicatore e My Week With Marilyn, inoltre ha doppiato Dobby in Harry Potter e la camera dei segreti e nelle due parti di Harry Potter e i doni della morte e un personaggio di Le avventure di Tintin: il segreto dell’unicorno, oltre ad aver partecipato ad un episodio di Doctor Who. Ha 45 anni e tre film in uscita, tra cui l’imminente Biancaneve e il cacciatore.


David Dencik (vero nome Karl David Sebastian Dencik) interpreta Toby Esterhase. Svedese, ha partecipato a film come Uomini che odiano le donne e l'imminente remake USA Millenium: Uomini che odiano le donne, oltre alla serie tratta dai libri di Stieg Larsson, Millenium. Anche produttore, ha 37 anni e un film in uscita.


Tom Hardy (vero nome Edward Thomas Hardy) interpreta Ricki Tarr. Inglese, ha partecipato a film come Marie Antoniette, Sucker Punch e Inception. Ha 35 anni e tre film in uscita, tra cui Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno.


Nel film compare anche lo scrittore John Le Carré, come uno degli ospiti della festa. Benedict Cumberbatch, che nel film interpreta Peter Guillam, sta vivendo il suo momento di gloria come protagonista della nuovissima serie Sherlock e parteciperà anche all’imminente Lo Hobbit di Peter Jackson. Rimanendo in tema “nuovi attori famosi”, Michael Fassbender avrebbe dovuto interpretare Ricki Tarr, ma era già impegnato sul set di X – Men: First Class, mentre il Moriarty di Sherlock Holmes: Gioco di ombre, Jared Harris, avrebbe dovuto partecipare con il ruolo di Percy Alleline. La talpa può essere benissimo definito remake, perché il romanzo di Le Carré era già stato portato sul piccolo schermo nel 1979 da John Irvin, con Alec Guinness nel ruolo di Smiley; se vi piace questo genere di film, però, mi sento di consigliarvi il bellissimo Arlington Road, dove la paranoia si fa davvero palpabile. ENJOY!!

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