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martedì 10 settembre 2024

MaXXXine (2024)

Finalmente. Quando ormai non ci speravo più, anch'io sono riuscita ad andare al cinema e vedere MaXXXine, diretto e sceneggiato dal regista Ti West.


Trama: anni dopo la terribile esperienza in Texas, Maxine Minx, sempre decisa a diventare una stella del cinema, ottiene una parte in un film horror. Qualcuno, però, è sulle sue tracce, pronto a rivangare il suo passato...


Ti West
ha concluso la sua trilogia, il suo progetto più ambizioso. Per quanto avessi adorato, all'epoca, X, mentirei se dicessi che avrei scommesso anche solo un'euro sulla riuscita dell'operazione. Credevo, erroneamente, che non si potesse fare meglio di così. Invece, il regista ci ha prima stupito con un racconto di frustrazioni e speranze tanto potente da farci provare pietà per quella che, a rigor di logica, avrebbe dovuto essere solo una disgustosa e rancorosa matta, infine ha concluso il percorso del personaggio Maxine Minx, inserendolo in un discorso più ampio legato al cinema di genere e alla società americana, senza una sola sbavatura. Maxine ha cominciato, in X, come potenziale stellina dell'hard dotata del "fattore X", quel qualcosa in grado di bucare lo schermo, riconducibile ad una cazzimma e una durezza interiore nate dalla ferma volontà di sfondare, a qualunque costo; in parallelo, West raccontava un'America ipocrita, che rinnegava in pubblico la fame di libertà sessuale stigmatizzando un'industria del porno mai stata così fiorente, e rivendicava la dignità di chi in quell'industria lavorava o creava legami familiari. Con MaXXXine, arriviamo agli anni '80 in cui le speranze di ricchezza e di progresso si scontravano con un clima di puro terrore, alimentato da un'amministrazione durissima e bigotta, pronta a creare nemici mediatici per ciò che più contava davvero, riassumibile con Patria, mamma, torta di mele. Negli anni del Satanic Panic e delle proteste contro horror, pornografia e persino giochi di ruolo, la realtà abilmente nascosta sotto il tappeto dell'ipocrisia puritana era fatta di squallidi localini a luci rosse, serial killer e quant'altro e questa sensazione di pericolo e "sporco" tangibile viene resa da Ti West ogni volta che Maxine esce di casa per andare a lavorare. Quanto alla protagonista, il tempo passato e il mancato successo non l'hanno resa meno determinata, anzi; ben consapevole della realtà che la circonda, dov'è un attimo venire uccise da un pazzo e dimenticate in un angolo di strada, Maxine è ben decisa a non lasciare che nulla disturbi la sua paziente ricerca di un'occasione giusta, e finalmente quest'ultima arriva con un ruolo all'interno di un film horror. L'amore di Ti West per la sua protagonista e per l'industria cinematografica è tangibile. La regista del film "La puritana II", le maestranze e il set diventano per Maxine l'unico punto fermo di un'esistenza minacciata da un caotico passato, e ogni azione "altruista" intrapresa da un personaggio al quale importa solo di se stesso (e, nonostante questo, impossibile da odiare) nasce proprio dal desiderio di non perdere in primis questo porto sicuro, oltre alla ovvia possibilità di diventare una star, finalmente. Di vivere la vita che Maxine merita.


Ovviamente, per raggiungere l'happy end, sempre che qualcosa di simile esista, Maxine dovrà passare per un'ordalia di morte e follia. Sono tanti i modelli a cui guarda Ti West, purtroppo per la sottoscritta è passato tuttavia tanto tempo da quando quegli stessi modelli mi sono passati sotto agli occhi. Perdonatemi, dunque, se non citerò Fulci e il suo Lo squartatore di New York, bensì i padri del Giallo all'italiana come Bava e Argento, "genitori" di killer senza volto e con le mani guantate, in grado di trasudare odio e perversione nonostante siano privi di un sembiante riconoscibile. Ma più del killer e del gusto di Ti West per delle morti ancora più splatter che nei film precedenti, mi ha colpita il modo in cui sono state rappresentate le sordide strade di una Los Angeles priva di patina nostalgica o glamour, con uno stile che mi ha ricordato moltissimo Cruising di Friedkin (anche se lì l'azione si svolgeva a New York); la fotografia di MaXXXine, fatta principalmente di ombre e cupe luci al neon, enfatizza ancora più la sensazione di pericolo imminente, di una città caotica e corrotta, dove gioventù e bellezza sopravvivono poco e male. Quanto a Mia Goth, sarebbe un delitto non parlarne. Mi riservo di farlo con più competenza quando avrò rivisto il film in lingua originale, perché al momento ho apprezzato maggiormente la sua interpretazione in Pearl, ma ormai direi che l'attrice ha centrato in pieno il personaggio titolare, portando a termine il non facile compito di spingere lo spettatore a fare il tifo per una "macchina da guerra" egoista e dalla morale ambigua. Anzi, sul finale a me è salito persino il magone per l'amarezza dello sguardo e delle espressioni di Mia Goth, specchio di un futuro incerto, sempre appeso a un filo, anche quando le cose parrebbero essersi risolte per il meglio (non ha aiutato la presenza, sui titoli di coda, della canzone Bette Davis Eyes, che mi spezza il cuore dal 2015). Il resto del cast non è meno interessante. Su tutti, ho apprezzato tantissimo l'inedito Kevin Bacon in versione detective laido e anche Elizabeth Debicki, con la sua algida eleganza, è perfetta come mentore di Maxine e motivatrice in grado di riportare il personaggio sulla "retta" via verso il successo. Sono sicura che MaXXXine meriterebbe ulteriori approfondimenti ma, come nel caso di Pearl, è un film che riuscirei a capire ed apprezzare di più a una seconda visione, quindi per ora mi fermo qui, ringraziando Ti West e Mia Goth per il bellissimo viaggio e per una delle trilogie migliori degli ultimi anni... nell'attesa che ci siano altre storie da raccontare!


Del regista e sceneggiatore Ti West ho già parlato QUI. Mia Goth (Maxine Minx), Elizabeth Debicki (Elizabeth Bender), Giancarlo Esposito (Teddy Night), Kevin Bacon (John Labat), Michelle Monaghan (Detective Williams), Bobby Cannavale (Detective Torres), Larry Fessenden (Guardia), e Lily Collins (Molly Bennett) li trovate invece ai rispettivi link. 

Sophie Thatcher interpreta la FX artist. Americana, ha partecipato a film come The Boogeyman e a serie quali The Exorcist e Yellowjackets. Anche produttrice, ha 24 anni e un film in uscita, Heretic.



Se MaXXXine vi fosse piaciuto, recuperate X - A Sexy Horror Story e Pearl. ENJOY!

mercoledì 8 febbraio 2023

Nanny (2022)

Consigliata dall'amica Silvia, ho recuperato su Prime Video il film Nanny, diretto e sceneggiato dalla regista Nikyatu Jusu.


Trama: Aisha è un'immigrata che lavora per buona parte della giornata come babysitter per una famiglia facoltosa, così da consentire al figlioletto, rimasto in patria, di raggiungerla. A un certo punto, però, Aisha comincia a venire perseguitata da inquietanti presenze...


Un avviso agli sparuti naviganti, così non vi create false aspettative com'è successo a me. Nanny viene definito thriller sovrannaturale ma è un prodotto atipico, che di thriller ha davvero poco o nulla; ci sono alcune sequenze perturbanti, legate al folklore della terra da cui proviene la protagonista, il Senegal, spunti assai interessanti che (per quanto mi riguarda, ovviamente) la regista e sceneggiatrice avrebbe potuto approfondire di più, ma fungono quasi da corollario per una storia profondamente ancorata alla realtà. E quest'ultima, neanche a dirlo, è orribile e fa più paura, oltre che più male, di qualunque racconto horror. Preso atto, dunque, del fatto che Nanny è uno slow burn che potrebbe non piacere a buona parte degli amanti del cinema "di paura", parliamone un pochino. L'opera prima di Nikyatu Jusu si focalizza sul personaggio di Aisha, giovane immigrata senegalese senza documenti, che lavora a New York presso una facoltosa famiglia di minchioni. Uso questo aggettivo non a caso, perché non saprei come  altro definire Alison e il marito, la tipica coppia che ha messo al mondo una figlia tanto per, ognuno dei due concentrato a vivere la propria esistenza di successo e a imporre agli altri (bambina compresa) le proprie stressanti imposizioni e convinzioni, con una superficialità inenarrabile; Aisha, poverella, sopporta, perché i due minchioni hanno i soldi che le servono per portare a New York il figlioletto che non vede da un anno, rimasto in Senegal con la sorella. Col piccolo, ovviamente, i rapporti si stanno sfilacciando, perché per un bambino di sei anni il tempo scorre molto diversamente rispetto a un adulto, di conseguenza Aisha è una giovane donna sofferente, lontana dalla famiglia e dagli amici, persa in un Paese che la tratta con diffidenza, costretta a fare più ore dell'orologio per ottenere una felicità che i suoi datori di lavoro danno per scontata al punto da non farci nemmeno più caso. Logico che qualcosa, a un certo punto, in Aisha si rompa.


La particolarità di Nanny, tuttavia, non è la progressiva deriva psicotica della protagonista, come ci si potrebbe aspettare in questo genere di film. Le presenze che arrivano a perseguitare Aisha nel momento in cui il controllo della sua vita comincia a sfuggirle di mano sono, come detto in uno dei dialoghi, "né buone né cattive", nonostante diventino sempre più insistenti; Anansi e le sirene veicolano un messaggio ben preciso e fungono da contatto con un mondo da cui Aisha rischia di staccarsi pur non volendo, ma più il terrore nel cuore della protagonista aumenta, più si affermano la sua freddezza e determinazione, per non parlare della (giusta) rabbia, almeno fino a un angosciante punto di rottura che mi ha lasciata più sconvolta di mille jump scares. La regia e la sceneggiatura di Nikyatu Jusu danno proprio l'idea di un mondo altro, sempre presente anche in un Paese lontano dove le divinità ancestrali sono state dimenticate, sacrificate a un dio denaro implacabile che costringe le persone a fare scelte tristissime per amore, e l'interpretazione di Anna Diop conferisce ulteriore potenza al messaggio veicolato dalla regista. L'attrice, americana di origine senegalese, ha una bellezza incredibile e interpreta Aisha donandole un misto di forza e delicatezza semplicemente perfette. Si potrebbe dire che la Diop regge da sola l'intero film, in realtà il resto del cast trae forza dalla sua e si vanno a creare delle alchimie perfette, sia in negativo (sfido chiunque a non voler strangolare i genitori della pargoletta, una con le sue crisi di nervi e l'altro col suo finto cosmopolitismo) sia in positivo, col dolcissimo Malik e la sua interessante nonna, due personaggi di cui, onestamente, avrei voluto venisse maggiormente approfondito il background. Nanny non è film perfetto, soprattutto per quanto riguarda una sceneggiatura che, a tratti, perde ritmo e va un po' fuori fuoco, ma alcune sequenze sono splendide e, per essere un'opera prima, fa davvero ben sperare per i futuri lavori della regista. Dategli una chance e fatemi sapere che ne pensate! 


Di Michelle Monaghan, che interpreta Amy, ho già parlato QUI.

Nikyatu Jusu è la regista e sceneggiatrice della pellicola. Americana, è al suo primo lungometraggio ed è anche produttrice. 


Anna Diop, che interpreta Aisha, aveva già partecipato al film Noi. Se Nanny vi fosse piaciuto recuperate His House. ENJOY!


lunedì 16 maggio 2011

Source Code (2011)

Ultimamente mi sembra vadano molto di moda i thriller tecnologici e cervellotici. Dopo il bellissimo (e complicatissimo) Inception di Christopher Nolan ecco uscire nelle sale italiane l’altrettanto complicato e bello Source Code del regista Duncan Jones.

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Trama: un soldato si sveglia all’interno di un treno, la sua coscienza riversata nel corpo di un uomo che non conosce. Scoprirà presto che la sua missione è quella di capire l’identità dell’attentatore che ha messo una bomba proprio su quel treno… e che ogni volta avrà solo otto minuti per farlo, prima di ricominciare da capo.

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Quando Ricomincio da capo incontra la fantascienza e il thriller. Immaginate infatti di dovere vivere di continuo, in loop, otto minuti della vita di un'altra persona. Sempre gli stessi otto minuti. E che ogni volta, alla fine di questi otto minuti, dobbiate morire solo per poi ricominciare da capo con l’ansia causata dal sapere l’inevitabile fine che farete. Un incubo. Questo è quello che succede al protagonista di Source Code, un film tra i più inquietanti che abbia mai visto negli ultimi anni. E anche uno dei più ben fatti. Tralasciando infatti gli sviluppi della trama di cui non parlerò per non rovinare la visione a chi non ha ancora avuto il piacere di andare al cinema e gustarsi la pellicola, tralasciando la perplessità e le obiezioni che di tanto in tanto il mio cervello sollevava davanti ad alcune spiegazioni un po’ troppo campate in aria almeno per me, Source Code ha poco da invidiare al già citato e pubblicizzatissimo Inception, ed è un peccato che ne abbiano parlato così poco.

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Jake Gyllenhaal nei panni del protagonista è bravissimo, innanzitutto. Considerando che il film si concentra soprattutto sul suo personaggio e che tutta la trama ruota attorno a quello che lui farà, non farà o penserà, l’attore offre una prova di bravura mica da ridere, anche perché si trova a dovere interpretare una persona immersa in una situazione assurda e a doverla renderla credibile. Ma il punto di forza di Source Code secondo me sta nel modo in cui vengono mostrati questi otto minuti ripetuti mano a mano che prosegue il film: le prime volte ci vengono riproposte, intelligentemente, le stesse identiche inquadrature, gli stessi dialoghi, gli stessi movimenti (e che inquietudine, che ansia quando arriva l'ineluttabile esplosione...) almeno finché non interviene quella minima influenza del protagonista a cambiare il corso degli eventi, influenza che si fa sempre più invasiva man mano che aumenta la sua consapevolezza del suo ruolo nella vicenda. Bellissimo anche il confuso caleidoscopio di immagini che accompagna Colter ad ogni “ritorno alla realtà” e il modo in cui viene rivelato allo spettatore ciò che sta dietro a tutta l’operazione Source Code nonché il modo in cui il protagonista è entrato a farne parte. Se devo trovare un difetto, direi che il finale in qualche modo è un po’ tirato per i capelli, ma ciò non toglie che il film sia molto bello e godibilissimo.

Duncan Jones (vero nome Duncan Zowie Hayward Jones) è il regista della pellicola. Figlio di David Bowie, è al suo terzo film come regista. Inglese, anche sceneggiatore, ha 40 anni.

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Jake Gyllenhaal (vero nome Jacob Benjamin Gyllenhaal) interpreta Colter Stevens. Americano, ha raggiunto la notorietà con il particolarissimo Donnie Dark, ma lo ricordo anche per film come Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche, I segreti di Brokeback Mountain (che gli ha regalato una nomination come miglior attore non protagonista) e Zodiac. Ha 31 anni e due film in uscita.

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Michelle Monaghan interpreta Christina. Americana, la ricordo per film come Constantine, North Country e Mission: Impossible 3. Ha 35 anni e 2 film in uscita.

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Vera Farmiga interpreta Colleen Goodwin. Americana, ha partecipato a film come 15 minuti - follia omicida a New York, The Departed, Orphan e a un episodio di Law & Order. L’anno scorso è stata nominata all’Oscar come miglior attrice non protagonista per il film Tra le nuvole. Anche regista, ha 38 anni e tre film in uscita.

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Jeffrey Wright intrepreta il Dottor Rutledge. Americano, ha partecipato a film come Presunto innocente, Syriana e l’orrendo Lady in the Water, oltre alla splendida miniserie Angels in America e al telefilm Le avventure del giovane Indiana Jones. Anche produttore, ha 46 anni e due film in uscita.   

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Se Source Code vi è piaciuto consiglio di vedere il già nominato Inception oppure Dejà Vu – Corsa contro il tempo, che non ho mai visto ma che la mia amica al cinema ha citato come molto simile. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!

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