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martedì 1 ottobre 2024

Sissy (2022)

Oggi avrei dovuto parlare di Cuckoo, ma non è mica un giorno fesso come tutti gli altri. E' il primo ottobre, inizio ufficiale della Spooky Season, ma non solo. Quest'anno, infatti, Lucia e Marika hanno creato la Halloween Challenge di Nuovi incubi, che comincia proprio oggi. Purtroppo non riuscirò a seguire pedissequamente le regole e guardare ogni giorno un film (lo vorrei tanto, avessi il tempo non ci penserei due volte) né a seguire la challenge col blog, che anche scrivere prende ore che non ho, ma ogni giorno giocherò con le mie adorate amiche sulla pagina Facebook del Bollalmanacco e anche sul mio profilo Instagram. Quindi partiamo col prompt 1, Australia, patria di questo horror delizioso uscito nel 2022 e disponibile sul canale Midnight Factory, ovvero Sissy, diretto e sceneggiato dai registi Hannah Barlow e Kane Senes.


Trama: Cecilia è un'influencer i cui video sono mirati al self improvement degli utenti. Un giorno, la ragazza incontra una sua ex amica d'infanzia, che la invita al suo addio al nubilato, e l'esperienza riporterà in superficie traumi mai superati...


Come sempre, l'horror australiano ha una marcia in più, non c'è niente da fare. Lo dimostra anche questo colorato, cattivissimo Sissy, che da una parte si presenta come satira degli influencer e santoni della sanità mentale sul web, tutti vocetta pacata e namasté assortiti, dall'altra è un thriller psicologico efficacissimo che mette angoscia e, soprattutto, porta lo spettatore a mettersi in discussione e riflettere su quanto viene mostrato sullo schermo. La protagonista della vicenda, come da titolo, è Cecilia, detta Sissy; "Sissy the sissy", ovvero "Sissy la mocciosetta, la pisciasotto" (mi concedessero di adattare il film mi garberebbe molto utilizzare "Sissy la sussa", in effetti), è il fastidioso leitmotiv che vi accompagnerà per tutto il film e vi porterà a simpatizzare con la ragazza che ha scelto di abbandonare il suo soprannome infantile e farsi un nome come influencer con la missione di aiutare gli altri a guarire da paure, ansie e frustrazioni, ritrovando un contatto col proprio "io" e, contemporaneamente, aumentando la propria autostima. Il mondo di Cecilia crolla quando il passato torna a morderla nei panni di Emma, BFF d'infanzia che la protagonista non vede da decenni e che la invita prima ad una festa, poi al suo addio al nubilato, dimenticando di dirle che quest'ultimo si terrà a casa di Alex, la bulletta che terrorizzava Cecilia da bambina e che, nel frattempo, è diventata la migliore amica di Emma. Cosa mai potrebbe andare storto, vi chiederete? Nulla, ci mancherebbe. D'altronde, Hanna Barlow e Kane Senes ci consentono fin da subito di dare una sbirciata a ciò che si nasconde dietro la facciata di pacatezza telematica di Cecilia, mostrandoci squarci di quello che non viene inquadrato dal cellulare, ovvero piatti da lavare, stanze in disordine, una generale aria di deboscia e "abbandono", e questo solo per cominciare. Più Sissy va avanti, infatti, più il film diventa un gioco tra gatto e topo con lo spettatore, che inizialmente viene spinto a provare compassione per una ragazza che ha tentato di liberarsi di tutto lo schifo che le è capitato da bambina e ad aiutare gli altri a non finire come lei, e in seguito si ritrova ad avere paura di Cecilia, perché il divario tra giusta vendetta (o sfortuna) e follia diventa troppo grande per fare finta di nulla.


A differenza di altri film scorretti in cui un personaggio negativo diventa un eroe perché circondato da gente peggiore di lui, Sissy asseconda il trend fino a un certo punto, dopodiché cancella con un sanguinoso colpo di spugna qualsiasi fetta di prosciutto residua che lo spettatore possa avere sugli occhi, perché è vero che gli amici di Emma sono insopportabili (soprattutto Jamie ed Alex), ma non meritano il destino che capita loro in sorte, né l'odio dello spettatore. Nel corso della scena più fastidiosa del film, ovvero l'imbarazzante cena in cui Cecilia viene costretta a subire quello che è né più né meno un interrogatorio, le domande indiscrete e i commenti stronzi degli astanti non sono poi così campati in aria e, a un certo punto, nonostante il disagio crescente, gli amici di Emma e lei stessa cercano di aiutare Cecilia e di venirle incontro; anche i dettagli precedenti mostrati su Cecilia cominciano a un certo punto ad acquistare nuovi significati, e ho molto apprezzato l'utilizzo consapevole di costumi, accessori e make up (che meraviglia quell'ombretto glitterato!!) per sottolineare il completo distacco dalla realtà della protagonista. I colori sgargianti di costumi e make-up, l'atmosfera scoppiettante e girly, gli occhioni blu di Emma e il sembiante pacioso di Cecilia (peraltro, Aisha Dee è superba) non devono però trarre in inganno né fare pensare a Sissy come un thriller puramente psicologico, perché i due registi non si fanno alcun problema a darci giù pesante col gore e a mettere in scena un paio di morti ad alto tasso di schifo, crudeltà e, perché no, creatività, tanto lo sappiamo tutti che in Australia nessuno può sentirti urlare non solo nel bush, ma nemmeno nelle ville fighette di gente coi soldi. Per questo e mille altri motivi vi consiglio di recuperare Sissy, sono sicura che diventerà uno dei vostri horror del cuore!

Hannah Barlow è la co-regista e co-sceneggiatrice e interpreta Emma. Australiana, anche produttrice, è al suo primo lungometraggio.
Kane Senes è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Australiano, anche produttore, è al suo primo lungometraggio.


Aisha Dee, che interpreta Sissy, aveva partecipato alla seconda stagione di Channel Zero. Ciò detto, se il film vi fosse piaciuto recuperate Tragedy Girls e, se volete unirvi alla challenge di Nuovi Incubi, ecco qui tutti i prompt giorno per giorno! ENJOY!





mercoledì 17 luglio 2024

Vermin (2023)

E' arrivato in questi giorni in Italia, distribuito dalla Midnight Factory, un film che, chissà perché, mi ispirava nonostante l'argomento. Sto parlando di Vermin (Vermines), diretto e co-sceneggiato dal regista Sébastien Vanicek.


Trama: Kaleb, appassionato di insetti, compra al mercato nero un ragno. La bestiola, lasciata incustodita, si moltiplica, e il palazzo dove abitano Kaleb e i suoi amici si riempie di pericolosi aracnidi...


Maledetti francesi. E maledetta anche la versione francese di Aracnofobia. Non so perché, visto che detesto i ragni, mi sono messa a guardare il film, sta di fatto che dopo 10 minuti volevo morire e mi sentivo brulicare addosso la qualsiasi. Però liquidare Vermin solo come un horror sui ragni sarebbe improprio. Il film contiene il germe di un disagio sociale particolarmente sentito in Francia, dove il senso di ingiustizia e la percezione del divario tra classi ed etnie ribolle nel sangue degli abitanti fin dai tempi della Rivoluzione. Kaleb e amici abitano all'interno di uno squallido caseggiato (peraltro esistente e risalente agli anni '80) zeppo di immigrati di prima e seconda generazione, ai margini della città, in un posto dove la criminalità va a braccetto con il rispetto delle tradizioni, l'amore per i vicini di casa, il desiderio di fare ognuno il possibile per aiutarsi a vicenda; non si tratta di un mondo perfetto o innocente, ma nemmeno si può fare di tutta l'erba un fascio e vedere solo il lato buio della vita del condominio. A proposito di fasci, quando la merda colpisce il ventilatore la polizia non trova altra soluzione che ignorare, brutalmente, le razionali proteste degli abitanti e isolarli dal resto del mondo, invece di aiutarli, col risultato di fare ancora più danni. Certo, questo accadeva anche in Rec, film a cui questo Vermin deve moltissimo, ma qui viene mostrata tutta la cattiveria e la freddezza nata dal pregiudizio verso una fascia della popolazione, la speranza, da parte delle forze dell'ordine, che succeda qualcosa di "grosso" onde poter mettere mano a manganelli e pistole, prima ancora che la minaccia aracnide faccia finalmente piazza pulita di ciò che porta vergogna alla città. Al di là dei momenti di puro terrore, ci sono sequenze in cui il senso di ingiustizia e la tristezza verso il destino dei protagonisti è soverchiante, tanto che spesso mi è venuto il magone, anche perché la sceneggiatura riesce a risvegliare l'empatia verso tutti i personaggi, anche quelli secondari.  


Oltre a questi tocchi che, a mio avviso, sono fondamentali per rendere il film un po' più sentito e originale, Vermin è ovviamente un trionfo di ragni orribili. Sébastien Vanicek, che ha studiato i capisaldi del genere (e anche un po' la tecnica di Raimi), indugia in riprese bastarde di scarpe, buchi, prese d'aria, scatole e, neanche a dirlo, sulle mani e gli occhi di eventuali malcapitati, ammazzando lo spettatore di tensione anche quando non succede quello che ci aspetteremmo. Tanto i ragni sono sempre lì, che aspettano. Angosciosi e terribili nella prima metà del film, in virtù del loro essere talmente piccoli da infilarsi in qualsiasi orifizio, "migliorano" andando avanti diventando sempre meno verosimili, benché non meno pericolosi (ma se non altro, una volta cresciuti riescono a non causare infarti alla sottoscritta, al limite un po' di schifo contenuto). Le metamorfosi dei ragni sono realizzate con effetti speciali all'altezza, che non danno loro un'aria fasulla, e secondo me c'è anche qualche ragnetto vero che vaga, quindi complimenti agli attori, tra l'altro molto bravi e credibili, che hanno avuto il coraggio di farseli zampettare addosso. L'unica cosa che mi ha spezzato il cuore e fatto paura più dei ragni è la colonna sonora a base di rap franzoso, ma nel contesto della storia è un genere che ci sta tutto e che trovo, a dire il vero, molto meno odioso di quello italiano... forse perché non capisco una mazza di quello che dicono? Pazienza, questo genere di intolleranza fa parte del "pacchetto vecchiaia": prima che vi entri a far parte anche un eventuale disgusto verso l'horror poco elevated (gli dei non vogliano!!) vi consiglio di recuperare questo Vermin, per passare una lieta serata di disgusto ragnesco, sì, ma anche umano.   

Sébastien Vanicek è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Anche attore, è stato designato come regista del prossimo spin-off de La casa.


Se Vermin vi fosse piaciuto, recuperate senza indugio Aracnofobia, Attack the Block e la saga di Rec. ENJOY!


mercoledì 24 ottobre 2018

German Angst (2015)

Dopo Excision, ho guardato anche l'altro horror distribuito questo mese dalla Midnight Factory, il film a episodi German Angst, diretto e sceneggiato nel 2015 dai registi Jörg Buttgereit, Michael Kosakowski e Andreas Marschall.


La prima storia di German Angst è Final Girl, scritta e diretta dal regista Jörg Buttgereit, famoso per opere estreme come Nekromantik (che non ho ovviamente mai guardato. "Ovviamente" perché patisco questo genere di film a tema necrofilia). Molti dicono che questo sia l'episodio migliore del mucchio, io direi che forse è il meno peggio ma, a prescindere, non l'ho apprezzato granché, sinceramente. Protagonista di Final Girl è una ragazza amante dei porcellini d'india che vive in un appartamento squallido e sporco e nasconde in camera un uomo da torturare. Salvo un paio di scene splatter, l'atmosfera malata del film si crea proprio a livello di scenografia e montaggio, con questa ragazza immersa nella spazzatura sulla quale zampettano i porcellini d'india e i flashback che lasciano allo spettatore il compito di capire perché c'è un uomo legato in una stanza, cos'ha fatto di così grave per meritare le torture che gli verranno inflitte e, soprattutto, chi è costui: è il padre della fanciulla? Un vicino di casa? Un pedofilo? Non lo sapremo forse mai o, meglio, io non l'ho capito. Carino comunque il parallelo tra i momenti più splatter della vicenda e i racconti di vita del porcellino d'india Mucki, narrati con la voce della protagonista che, di per sé, è un po' cagna maledetta... ma non quanto gli attori del segmento successivo, Make a Wish.


Make a Wish è, in effetti, il segmento peggiore e non solo per la recitazione (I quattro skinhead sono imbarazzanti e l'unica donna mi faceva venire voglia di strapparmi le orecchie da tanto strillava a mo' di gallina sgozzata, inoltre costringere gli attori a parlare in inglese non è stata proprio una scelta saggia a mio avviso) ma anche per la storia in sé. L'idea di un amuleto capace di scambiare le persone all'interno di due corpi non è brutta e non lo è nemmeno il concetto di "vittima" che sceglie di diventare carnefice... ma il pippone filosofico sul "Chi sta meglio, io o lui? Lui che soffre perché perseguitato o io che sono odiato in quanto persecutore?" è di una pochezza incredibile e lascia con l'amaro in bocca. Non c'è catarsi alla fine di Make a Wish, non c'è un messaggio di fondo, a mio avviso necessario visto il tema trattato, e, oltretutto, le parentesi ambientate ai tempi della seconda guerra mondiale sono a livelli di recitazione e regia pari a quelli di un episodio qualsiasi di Tempesta d'amore. Giusto per rimanere sul teutonico.


L'ultimo episodio ha un nome particolare, Alraune, il quale indica una sorta di Mandragola o comunque una pianta dai poteri misteriosi... e non solo. Dal punto di vista dello splatter e della fantasia probabilmente questo è l'episodio migliore del mucchio anche se non è esente da difetti (in primis, anche qui, una recitazione penosa, non tanto del protagonista quanto dei comprimari; provare ad ascoltare Il cielo in una stanza cantata dalla Cagna Maledetta che gli fa da fidanzata per credere). Se parliamo di "German Angst", essa si percepisce alla perfezione sia in Final Girl sia in questo segmento, interamente basato sul desiderio di evadere, di perdersi in sordidi club sotterranei dove provare piaceri proibiti, mescolando eros e thanatos per non soccombere alle imposizioni di una vita "normale", con ovvie conseguenze per chi si ritrova ad osare troppo. Dei tre episodi, questo è sicuramente quello maggiormente horror nel senso più stretto del termine e anche quello dalla connotazione maggiormente onirica. Il protagonista si ritrova vittima di incubi ad occhi aperti aventi per oggetto mostri innominabili e donne sensualissime, finendo per soccombere all'altro da sé e alle allucinazioni nemmeno si trovasse all'interno di un corto girato da un Cronenberg alle prime armi; nessun inno alla nuova carne, per carità, ma avviso gli stomaci deboli che un paio di mutilazioni potrebbero essere difficili da digerire, per il resto probabilmente Alraune farà felici gli spettatori uomini vista l'abbondanza di belle fanciulle discinte. Noi donne dobbiamo accontentarci dell'emulo di Demetan seminudo, che non è un bel vedere.


Riassumendo, in tutta onestà non mi sento di consigliare German Angst, probabilmente uno dei peggiori film a episodi distribuiti dalla Midnight Factory. Final Girl ha enormi velleità artistiche ma mi ha colpita poco, Make a Wish è abbastanza inqualificabile sotto ogni punto di vista e Alraune mette più disgusto che inquietudine e non è così entusiasmante da giustificare la visione di tutto ciò che viene prima. Può essere che non abbia capito il senso dell'operazione o che, a pelle, la morbosità deprimente di questo trio di autori tedeschi mi abbia dato fastidio; se vi piace il genere, potreste anche dargli un'opportunità, ma decisamente non fa per me.

Jörg Buttgereit è il regista e sceneggiatore di Final Girl. Tedesco, ha diretto film come Nekromantik, Nekromantik 2, Der Todesking e Schramm. Anche attore, produttore e tecnico degli effetti speciali, ha 55 anni.


Michal Kosakowski è il regista e co-sceneggiatore di Make a Wish. Tedesco, ha diretto film come Zero Killed. Anche attore e produttore, ha 43 anni.


Andreas Marschall è il regista e sceneggiatore di Alraune. Tedesco, ha diretto film come Lacrime di Kali e Masks. Ha 57 anni.


L'edizione Midnight Factory del DVD comprende il libretto illustrativo curato dalla redazione di Nocturno e il making of del film. ENJOY!

martedì 23 ottobre 2018

Excision (2012)

Ad ottobre la Midnight Factory ha distribuito due horror, uno German Angst, di cui parlerò nei prossimi giorni, e l'altro Excision, diretto e sceneggiato nel 2012 dal regista Richard Bates Jr.



Trama: Pauline è un'adolescente bruttina e fuori di testa con due soli pensieri nella testa: perdere la verginità e diventare un abile chirurgo.



Avevo conosciuto un paio d'anni fa Richard Bates Jr. grazie al bellissimo Trash Fire, un film che partiva come una caustica commedia sentimentale per concludersi come un angosciante horror dal finale devastante e che, in virtù di ciò, era risultato come uno dei più interessanti della stagione. Excision assomiglia parecchio a Trash Fire, sia per la struttura che per un paio di temi portanti quali l'oppressione della religione e la difficoltà insita nei rapporti familiari, forse è giusto un po' più grezzo e "manierista", nel senso che il regista adora indulgere nei sogni ad occhi aperti di Pauline, fatti di frattaglie, sangue, gente squartata e glamour a fiumi, in pratica gli unici momenti davvero splatter di quella che, in fin dei conti, prima del colpo di coda finale è una commedia adolescenziale nerissima ma parecchio divertente. E' il personaggio di Pauline in primis, al di là dei suoi sogni angoscianti, ad esserlo, perché la ragazza può essere tranquillamente assimilabile ad una Daria un po' più "lurida" ma dotata della stessa lingua tagliente. Pauline sa cosa diventerà nell'immediato futuro, alla faccia di una madre castrante, di un padre castrato e di una sorellina che, forse perché effettivamente più dolce, forse perché malata, è la pupilla di casa: un chirurgo abilissimo, senza se e senza ma. Per diventarlo, Pauline deve necessariamente liberarsi di tutte le cose inutili che la circondano, mettendo al bando ogni sorta di emotività per raggiungere la freddezza necessaria. Ecco il perché dei suoi tragicomici dialoghi con un Dio che viene riconosciuto come entità superiore ma trattato alla stregua di un uomo d'affari, ecco la necessità di perdere la verginità nemmeno fosse un ingombro, ecco il perché del rifiuto di una femminilità inutile quanto le amicizie, se non per fornire consulti non richiesti ed imbarazzanti che la isolano ancora più dai suoi coetanei. In tutto questo, ovviamente, ci si mettono i genitori. La madre di Pauline è l'esatto opposto della figlia, estremamente legata alle convenzioni e alla religione, pronta a sacrificare la dignità della sua "bambina" pur di integrarla nella società mentre il padre, con l'unico atto coraggioso della sua vita, ha relegato ulteriormente Pauline nel novero degli outsider.


Insomma, leggendo immagino vi sarete fatti l'idea di una commedia adolescenziale, quasi demenziale, ma la verità è che Richard Bates Jr. introduce, qui e là, elementi dolorosi ed inquietanti che non si limitano ai coloratissimi e patinati flash splatter dove AnnaLynne McCord si libera finalmente del make up che la imbruttisce per diventare una sensuale e perversa dea della chirurgia; l'alone della morte, della malattia e del rifiuto incombe costantemente sulla famiglia di Pauline, tra dialoghi di una violenza inaudita (quello in cui la madre di Pauline dichiara, disperata, di non amarla mentre la ragazza ascolta di nascosto e piange in camera sua è struggente a dir poco) e piccoli eventi che stridono con la "normalità" piccolo borghese che viene messa in scena dal regista. Pauline è sicuramente l'elemento più inquietante all'interno del film, col suo aspetto ripugnante e le sue abitudini malsane, ma col senno di poi pare quasi che la ragazza incarni una tumescenza latente, in procinto di esplodere ed inondare col suo marciume (o mondare, ripulendo?) la sua intera famiglia e la solita accozzaglia di teenager arrapati e stupidi, senza arte né parte, adolescenti peraltro dei quali fa pare la stessa Pauline, creatura "mediocre" nonostante la sua diversità. La protagonista non è né un genio né un chirurgo prodigio e la sua testardaggine è condivisibile ma non giustificabile, tanto che spesso Pauline mette solo una gran tristezza. Annalynne McCord si annulla completamente in questo personaggio scomodo, provando un gusto palese ad imbruttirsi pur senza rinunciare a una sorta di sensualità perversa che si evince dagli sguardi predatori che Pauline lancia a ciò che la circonda; per contro, i sogni di cui è protagonista sono il trionfo del trash, del cattivo gusto illuminato da una luce asettica, dove dominano i colori dell'azzurro, del bianco e del rosso, quadri in movimento affascinanti e disgustosi al tempo stesso... che è poi la sensazione che provoca l'intero film, ottimo acquisto "indie" della Midnight Factory. Ho un solo appunto negativo da fare su una pellicola che mi è piaciuta tantissimo: ma quanto diamine sono sprecati McDowell, Ray Wise e John Waters?


Del regista e sceneggiatore Richard Bates Jr. ho già parlato QUI. Roger Bart (Bob), Malcom McDowell (Mr. Cooper) e Ray Wise (Preside Campbell) li trovate invece ai rispettivi link.



AnnaLynne McCord, che interpreta Pauline, era già comparsa in un altro film di Richard Bates Jr, il pregevole Trash Fire, inoltre è stata la ninfetta infoiata Eden Lord di Nip/Tuck; nei panni del prete c'è invece il regista  John Waters, famoso per Pink Flamingos e La signora ammazzatutti. Il film nasce da un corto dello stesso regista (che purtroppo non è compreso all'interno del DVD targato Midnight Factory, comprensivo giusto del libretto curato dalla redazione di Nocturno), con lo stesso titolo, quindi se Excision vi fosse piaciuto recuperatelo e aggiungete Trash Fire e Raw. ENJOY!


venerdì 28 settembre 2018

Ghost Stories (2017)



Nel mese di settembre la Midnight Factory ha distribuito sul mercato dell'home video il film Ghost Stories, diretto e sceneggiato da Andy Nyman e Jeremy Dyson.


Trama: il Professor Goodman, esperto di paranormale pronto a smascherare le truffe di sensitivi e medium ciarlatani, viene contattato da un suo anziano collega per risolvere tre casi misteriosi e difficili da ricondurre a mano umana...



Ghost Stories è una strana, particolare ed interessante "bestia". Un film che ti prende a poco a poco, dopo un'inizio che sa tanto di già visto, col protagonista scettico costretto ad indagare su tre avvenimenti inspiegabili che hanno messo a dura prova un altro investigatore, ormai anziano e malato. Noi spettatori scafati sappiamo fin da subito che il Professor Goodman si pentirà di aver accettato l'incarico e che dovrà prostrarsi di fronte alla presenza di spiriti ed entità maligne assortite e la prima storia raccontata asseconda la nostra convinzione di avere davanti una pellicola sui generis; per quanto d'atmosfera, la storia di un uomo che, durante un turno di notte all'interno di una fabbrica, si trova davanti orribili presenze fatte apposta per assecondare lo jump scare compulsivo, è praticamente un bignami dei film recenti della BlumHouse, nonché il segmento più debole della pellicola. Già col secondo "caso", però, Ghost Stories alza l'asticella del weird e ci presenta una vicenda più complessa ed inquietante. In essa, un ragazzo viene perseguitato da un'entità non ben definita che, probabilmente, influenza anche la sua famiglia, composta da persone di cui non vediamo il volto né sentiamo la voce... ma qualcosa, indubbiamente, in casa c'è e la sua natura potrebbe venire rivelata dalle inquietanti immagini che tappezzano la stanza del ragazzo e che richiamano culti satanici e altre simili amenità. Un po' The Conjuring e un po' La Casa di Raimi, soprattutto quando il teatro della vicenda si sposta dalla casa ai boschi catturati da rapidissime carrellate di steadycam, l'episodio in questione si interrompe proprio quando lo spettatore ne vorrebbe di più e quando la sensazione di terrore ha quasi raggiunto il punto di non ritorno, contribuendo alla riuscita dell'effetto straniante causato dal terzo segmento.


Ecco, questa terza storia è ciò che rende Ghost Stories così particolare, benché in apparenza non vi sia proprio nulla di strano in una trama che unisce gravidanze sospette ad ancora più sospetti poltergeist casalinghi, soprattutto se a "vivere" il tutto è un uomo con la faccia perbene del meraviglioso Martin Freeman (a proposito, sono arrivata ad adorare questo attore)... ma è qui che comincia a convergere tutto ciò che strideva fin dall'inizio del film. Piccoli dettagli, immagini più esplicite, numeri che tornano a ripetersi, strane coincidenze che, dal nulla, trasformano quella che avrebbe dovuto essere solo la cornice di Ghost Stories in qualcosa di più importante e meritevole di attenzione e che, purtroppo, mi costringono a scrivere un post più breve del solito per non incappare in scandalosi spoiler. Basti solo sapere che Andy Nyman (già adorato nello splendido e ormai vecchio Dead Set e nell'altro splendido ma pure lui vecchiotto Severance - Tagli al personale) e il suo compare Jeremy Dyson hanno approfittato alla perfezione del fatto che l'horror non è morto come molti sperano ma, anzi, sta tornando in auge alla grandissima, e hanno scelto di portare sul grande schermo un esperimento nato a teatro che omaggia solo in apparenza gli horror a episodi degli anni '70. Ghost Stories è infatti un ottimo esempio di horror moderno, perfettamente in linea con i gusti del pubblico odierno e per questo non privo di difetti, ma comunque costruito per divertire, spaventare e, perché no, stupire lo spettatore con twist non esattamente prevedibili, dunque meritevolissimo di una visione.


Del co-regista e co-sceneggiatore Andy Nyman, che interpreta anche il Professor Goodman, ho già parlato QUI mentre Martin Freeman, che interpreta Mike Priddle, lo trovate QUA.

Jeremy Dyson è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Inglese, anche produttore e attore, ha 52 anni.


Paul Whitehouse interpreta Toy Matthews. Inglese, ha partecipato a film come Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Neverland - Un sogno per la vita e Morto Stalin, se ne fa un altro; come doppiatore ha lavorato in La sposa cadavere e Alice in Wonderland. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 60 anni e un film in uscita.




mercoledì 5 settembre 2018

Downrange (2017)

Il mese scorso la Midnight Factory ha distribuito in home video il film Downrange, diretto e co-sceneggiato nel 2017 dal regista Ryuhei Kitamura. L'ho guardato e...


Trama: quando la loro macchina fora apparentemente una gomma, un gruppetto di ragazzi si ritrova sotto il mirino di un implacabile e crudele cecchino.


Siccome sono una bimbaminchia, ogni volta che guardo un film lo faccio sapere al mondo via Facebook. Non è solo per manie di protagonismo ma è anche per tenere un po' un diario di ciò che vedo al di là del blog, oppure raccogliere commenti/consigli in corso di visione, il che è sempre utile, almeno per quanto mi riguarda. Finito Downrange, ho preso il cellulare in mano per leggere le eventuali notifiche e ho notato che un po' di amici horrorofili avevano cliccato like sul post dedicato al film in questione. Stupita da tanto apprezzamento, ho dunque posto a questi amici la seguente domanda: "Ma avete messo il like perché vi è piaciuta questa sagra della minkia di mare?" (notare quanto sono raffinata su FB. Che pena.). Le risposte sono state tutte positive e io mi sono ritrovata come unica cretina a mettere in dubbio l'effettiva capacità di giudicare un horror, quindi ho deciso di sperimentare una recensione social e chiesto a chi è riuscito ad apprezzare un horror che in me ha suscitato solo grasse risate di regalare un proprio mini-commento ai lettori del Bollalmanacco, così da offrir loro un servizio migliore di quello che potrei offrire io. Ecco qui:


Kitamura per me è sempre da tenere d'occhio, anche perchè difficilmente ci sono registi che muovono la macchina da presa con quell'energia alla Raimi o Spiegel. La premessa è semplice, la gestazione perfetta, il bodycount maggiore di quello che ci si aspetta, e il finale...il finale è il punto dove lo spettatore bestemmia o scoppia a ridere applaudendo. Io sono rientrato nella seconda categoria. (Luca, I deliri di un horror nerd)

Downrange mi piace perché ha un ritmo forsennato, se ne frega dei personaggi, non perde neanche sei secondi del suo tempo per approfondirli, e si limita a metterli in una situazione senza via d'uscita e a massacrarli. È un horror senza pretese e pieno di sangue dove anche la mano al solito pesantissima di Kitamura fa pochi danni (Lucia, Il giorno degli zombi)

Downrange è un film senza compromessi, un incubo on the road che sembra uscito fuori dagli anni '70 che non lesina in sangue e violenza grafica. Bastardo per tutta la durata, in particolar modo il finale. Notevoli gli attori e nonostante la storia sulla carta potrebbe far pensare ad uno svolgimento statico, il regista fa di tutto per non renderlo tale. Consigliato per un'afosa notte di mezza estate. (Antonio, Alan Parker's Ride)


A mia discolpa, dico solo che guardare Downrange assieme al Bolluomo è stata un'esperienza assai divertente che però mi ha portata a mettermi nei panni di chi giustamente scoppia a ridere davanti ai più banali cliché horror e si stupisce non solo della sfiga atavica di protagonisti e comprimari ma anche, e soprattutto, della sequenza di scelte sbagliate in cui incappano i suddetti. Diciamo che è troppo facile parteggiare per un cecchino quando le sue vittime sono dei poveri mentecatti ed eventuali soccorritori incappano in figuracce degne di un maître chocolatier; oltretutto, gli attori coinvolti sono già abbastanza cani di loro e un doppiaggio italiano tra i più piatti mai uditi non aiuta lo spettatore a simpatizzare con gli assediati. Devo però riconoscere, in effetti, che Downrange non è privo di alcuni aspetti positivi: il ritmo è indiavolato, teso dall'inizio alla fine (con qualche caduta nell'inevitabile "momento strappalacrime" seguito dal "momento di lirismo nipponico", necessari a raggiungere una durata standard) e sono apprezzabili non solo la colonna sonora ma anche e soprattutto la natura anni '80 di quel boogeyman senza volto che è il cecchino, silenzioso, implacabile e privo di motivazioni come il destino infingardo, e il finale letteralmente da applauso. Per quest'ultima cosa, chiedete al Bolluomo. Anzi, lasciamo la parola a lui.

Se siete amanti delle scene sanguinolente, Downrange soddisferà la vostra voglia di vedere succo di pomodoro a fiumi con tanto d’insetti pronti ad approfittarne. Questi voraci insetti pare si siano mangiati, tuttavia, anche il pathos che contraddistingue un film horror “tradizionale”. Non è facile ambientare un’intera pellicola su un’assolata strada dove passa un’automobile ogni 8 ore e il cellulare ha campo solo in alcuni punti, pur restando nel giro di pochi metri (in pratica come avveniva a casa del povero Bruce Willis, prima che trovasse il tempo di cambiare operatore telefonico dopo aver salvato il mondo per l’ennesima volta). Pur con questa indubbia attenuante, lo sceneggiatore sembra si sia fatto prendere un po’ la mano. Appare già impari la lotta fra un cecchino in abbigliamento mimetico degno di Rambo e un gruppo di ragazzi (non proprio svegli) e “armati” solo di telefonini e selfie stick. Se poi ai malcapitati capita di tutto, incluso essere soccorsi da poliziotti sprovveduti, il rischio è quello di creare una tragicommedia. Purtroppo gli amanti del lieto fine rimarranno delusi, ma il finale è sicuramente con il “botto”, nel senso letterale del termine.
(Mirco, alias il Bolluomo)


Del regista e co-sceneggiatore Ryuhei Kitamura ho già parlato QUI.

L'edizione DVD e Bluray della Midnight Factory non ha contenuti speciali salvo il trailer ma è corredata dal libretto curato dalla redazione di Nocturno Cinema. ENJOY!

martedì 17 luglio 2018

The Bride (2017)

Questo mese la Midnight Factory propone due titoli horror, lo splendido Starry Eyes (di cui ho parlato QUI, acquistate il DVD o BluRay perché merita davvero!) e The Bride (Nevesta), diretto e sceneggiato dal regista Svyatoslav Podgaevskiy. Occhio agli SPOILER!


Trama: dopo essersi sposati, Vanya e la bella Nastya vanno in visita dalla famiglia di lui. Lì Nastya si rende conto che nel passato della famiglia dello sposo c'è qualcosa di terribilmente oscuro...



Per la legge dell'equilibrio cosmico, la Midnight Factory questo mese propone una meraviglia come Starry Eyes e una schifezzuola come The Bride, horror russo che sfrutta le mille leggende superstiziose legate ai vecchi dagherrotipi e alle fotografie post-mortem per raccontare una storia dalle premesse interessanti affossata da una scrittura imbarazzante e facilona. L'idea di un rito capace di rendere l'anima immortale attraverso una fotografia, a rischio di invitare nella nostra dimensione anche un demone necessitante periodicamente nuovi corpi, non sarebbe nemmeno male se non fosse che la povera creatura infernale col passare degli anni si è ritrovata ad avere dei lacchè come minimo pirla. Difatti, quando Vanya porta la novella sposa alla famiglia (anche lui, un genio del male conoscendo i coinvolti), i membri di quest'ultima si fregano le mani pregustando un nuovo corpo per la cosiddetta "Madre", senza pensare nemmeno per un istante che dal 1900 ad oggi i tempi sono cambiati ed è raro che una sposa arrivi vergine al matrimonio; le facce sconvolte davanti al fallimento del rito, causato dal fatto che la sposa è "rotta", sono solo la punta dell'iceberg di una storia che fa acqua da tutte le parti, all'interno della quale i personaggi si muovono spinti essenzialmente da quell'idiozia tipica degli horror di serie Z, che spinge la protagonista a infilarsi in pertugi oscuri, aspettare fidanzati scomparsi, bere liquidi ambigui, tentennare nel distruggere il mostro nonostante la soluzione a TUTTI i suoi problemi le sia stata palesata, solo per allungare la broda e prestare il fianco ad un finale "a sorpresa" o, ancor peggio, a un sequel. Peraltro, gli sceneggiatori a un certo punto cominciano a non sapere bene come gestire la "Madre" e, a seconda delle necessità, le conferiscono il potere di saltare da un corpo all'altro a prescindere da verginità e riti, giusto per garantire allo spettatore quei 10 minuti finali di totale delirio a compensare l'ora precedente, fatta di noia a palate e sporadici jump scare.


La pochezza della trama cozza prepotentemente con una realizzazione tecnica che non è neppure poi così male. Per chi, come me, ha una passione per La casa nera, è particolarmente apprezzabile l'idea di dotare la magione della famiglia di Vanya di intercapedini labirintiche dove può nascondersi qualunque cosa e dove i bambini giocano indisturbati nonostante la polvere e le presenze che le abitano, ma in generale tutte le suggestive scenografie e i costumi del film sono assai curati, dalla cupa ed antiquata dimora di "Madre", un trionfo di fotografie spettrali e carta da parati cupa, all'abito da sposa che viene regalato a Nastya. In generale, guardando The Bride si respira fin dall'inizio aria di grandi ambizioni e il desiderio palese di realizzare una ghost story d'atmosfera, ed effettivamente la sequenza di apertura (con una sposa cadavere dagli occhi dipinti la cui testa rifiuta di rimanere dritta) mette abbastanza ansia; purtroppo, il regista lascia spesso spazio ad effettacci spersonalizzanti e debitori di un certo tipo di horror USA moderno a base di computer graphic e mostroni dalla bocca spalancata, così che durante la visione si ha spesso quell'idea di "Tu vuo' fa l'americano ma sei nato in Russia quindi tendi un po' al zamarro" che è tipico dei film di genere russi che mi è capitato di vedere (pochi, a dire il vero, e sarei felice di venire smentita da chi ne sa di più!). Non aiuta un parterre di attori tranquillamente assimilabili alla categoria "cani maledetti", con l'unica eccezione di Viktoriya Agalakova la quale, perlomeno, ha dei tratti del viso particolari (a me ha vagamente ricordato un mix tra Amanda Seyfried e Anya Taylor-Joy) ed è perfetta per il ruolo della sposa nonostante la pochezza del personaggio... e non aiuta nemmeno un doppiaggio italiano tra i più piatti uditi negli ultimi tempi. Sarebbe stato molto bello avere l'audio russo coi sottotitoli ma purtroppo il DVD è stato distribuito senza e anche per questo mi sento di non consigliare la visione o l'acquisto di The Bride. Ribadisco, buttatevi su Starry Eyes!

Svyatoslav Podgaevskiy è il regista e sceneggiatore della pellicola. Russo, ha diretto film come Queen of Spades e Mermaid: The Lake of the Dead. Anche attore, ha 35 anni e un film in uscita.


L'edizione DVD e BluRay della Midnight Factory presenta soltanto la traccia in italiano ed è corredata da un libretto illustrativo curato dalla redazione di Nocturno e da un dietro le quinte come extra. ENJOY!


martedì 26 giugno 2018

Contracted - Fase II (2015)

Secondo film del cofanetto Midnight Factory dedicato alla saga Contracted! Oggi parlerò di Contracted - Fase II (Contracted: Phase II), diretto nel 2015 dal regista Josh Forbes.


Trama: dopo avere fatto sesso con Sam, Riley comincia ad avvertire i sintomi della malattia che ha ucciso la ragazza. Intanto, il misterioso psicopatico BJ si impegna a diffondere la pandemia...


Due anni dopo il primo Contracted è arrivata la Fase II. Ora, non conosco le vicende produttive delle due pellicole (qualcosina la potete leggere QUI oppure QUA, scritta di pugno proprio da Eric England) quindi non so dire se il secondo capitolo di quella che potrebbe tranquillamente diventare una trilogia (anche se ad oggi di Contracted - Fase III non si sa ancora nulla) fosse già stato programmato mentre si stava girando il primo ma sta di fatto che la Fase II è sia la perfetta continuazione di Contracted sia l'ulteriore "banalizzazione" dei temi ivi trattati. In pratica, Contracted diventava un film di zombi solo sul finale, con un twist che mi aveva fatta sbuffare così tanto che a momenti si ribaltava il televisore, qui invece il fulcro è la diffusione del contagio, con gente che si zombifica e lo stupratore del primo capitolo assurto al ruolo di psicopatico, determinato ad eliminare la razza umana dalla faccia della Terra. Protagonista è Riley, il povero sfigato che nel film precedente aveva coronato il sogno di farsi Sam solo per ritrovarsi col pipino mozzicato dai vermi e ovviamente qui deve affrontare le conseguenze del suo gesto scellerato, tra terrore, rassegnazione e rabbia, con l'aggiunta di un paio di interessanti retroscena atti a rivelare la sua fondamentale natura di Persona di Merda. Siccome sappiamo già quali siano le conseguenze del virus, la Fase II preferisce concentrarsi sulla lotta disperata di chi si trova davanti per la prima volta l'orrida infezione e capisce che forse è arrivato il momento di diramare un allarme a livello nazionale, ché ci vuole poco a ritrovarsi tra le mani un'epidemia zombi; inoltre, il film sfrutta maggiormente l'aspetto thriller piuttosto che horror, mettendo in scena un gioco perverso in cui Riley diventa la vittima di BJ, il quale comincia a perseguitare il protagonista reo di averlo denunciato alla polizia e aver messo in pericolo le sue velleità da villain senza scrupoli. Per carità, anche nella Fase II non mancano le splatterate e i momenti schifidi, ma essendo questi ultimi una riproposizione di quelli del film precedente (con citazioni da La Scena Peggiore di Splatters - Gli schizzacervelli e REC) in qualche modo mi hanno colpita di meno.


Contracted: Fase II è quindi meno angosciante del suo predecessore ma più dinamico, più "classico" se vogliamo, benché non esente da difetti. Quello che salta subito all'occhio è come la malattia abbia un decorso più o meno lungo a seconda dell'importanza del personaggio, con Riley che tiene botta fino all'ultimo mentre tutti intorno a lui si decompongono senza speranza; altro difetto, il "folle" BJ ha il carisma di un orsetto gommoso e una faccina così delicata e tenerina da risultare come minimo improbabile nei panni di una minaccia nazionale e, per quanto fosse effettivamente poco utilizzato nel primo film, era un personaggio molto più efficace quando veniva lasciato nell'ombra. Per il resto, c'è davvero poco altro da dire. Contracted: Fase II è apprezzabile per la volontà di collegarsi direttamente al primo film senza commettere errori di continuity (cosa che non accade quasi mai negli horror)  pur andando comunque per la propria strada, offre un cast di attori non del tutto disprezzabile e con un protagonista il quale, benché meno "d'impatto" rispetto a Najarra Townsend, regge bene l'intera pellicola, infine ha dei buoni effetti speciali e tenta anche di alleggerire alcune situazioni con l'ironia (la canzone cantata da uno dei convenuti al funerale di Alice è terrificante!). In generale, posso quindi dire che la saga Contracted non mi è dispiaciuta; non entrerà mai negli annali dell'horror né si farà ricordare da me per più di un mese, massimo due, però si lascia guardare e potrebbe soddisfare il palato di più di un horrorofilo, per il quale il cofanetto della Midnight Factory sarebbe davvero un bel regalo.


Di Matt Mercer, che interpreta Riley, ho già parlato QUI.

Josh Forbes è il regista della pellicola, al suo primo e finora ultimo lungometraggio. Americano, è anche produttore.


Morgan Peter Brown, che interpreta BJ, ha già partecipato a parecchi horror come Absentia, Ouija e XX - Donne da morire mentre Najarra Townsend, Alice McDonald, Caroline Williams, Charley Koontz e Ruben Pla riprendono tutti i personaggi della prima pellicola. Detto questo, se Contracted - Fase II vi fosse piaciuto, recuperate Contracted - Fase I, contenuto nel cofanetto Midnight Factory che comprende anche il making of del primo film. ENJOY!

domenica 24 giugno 2018

Contracted - Fase I (2013)

La Midnight Factory questo mese ha puntato sul body horror e ha infilato in un cofanetto il dittico di Contracted. Oggi parlerò di Contracted - Fase I (Contracted), diretto e sceneggiato nel 2013 dal regista Eric England, con il prossimo post arriverà Contracted - Fase II.


Trama: dopo una serata "alcoolica", Samantha viene drogata e stuprata. Quando al mattino si risveglia, è convinta di soffrire di un pesante post-sbornia ma a poco a poco il suo malessere peggiora, dando inizio a un incubo...



Disgustorama. Sono strasicura di avere visto altri horror con delle scene rivoltanti (Tonight She Comes, di cui ho parlato nei giorni scorsi, è uno di questi) ma Contracted è riuscito a toccare tutti i tasti giusti per farmi contorcere le budella dal disgusto e, se era questo l'intento di Eric England, in ciò posso tranquillamente considerarlo un ottimo horror. Assai meno raffinato e mindfuck di un Cronenberg "qualsiasi", Contracted racconta della sfiga di Samantha, ragazza lesbica che una sera finisce vittima di uno stupratore e contrae, per l'appunto, quella che all'apparenza sembrerebbe una malattia venerea. Uno può anche farsi trarre in inganno dall'ironia nera per cui ovunque Samantha vada compaiono manifesti a favore della prevenzione e dell'uso del preservativo, o può abboccare alla sottotrama che accenna al passato della protagonista, fatto di abuso di droghe e autolesionismo; può persino cercare un qualche significato nell'"indecisione" sessuale di Sam e nel suo desiderio di essere amata ed apprezzata per quello che è oppure indignarsi per il moralismo grondante dalla penitenza che le è toccata, ma la verità è che Contracted è fondamentalmente una splatterata fine a sé stessa, alla faccia persino della raffinata metafora floreale che apre i titoli di testa. Ribadisco, se è quello che si ricerca (momentaneamente o meno) in un horror, va anche bene così. Io, per esempio, volevo semplicemente divertirmi a vedere il Bolluomo piegato in due dai conati quindi ho apprezzato la pellicola di Eric England e ogni singolo barbatrucco atto a prolungare l'agonia di Samantha, paragonando la sua esperienza con le mie recenti sfighe mediche. Per dire, la protagonista si risveglia al mattino (per carità, dimentica di essere stata violentata e quello che volete) un po' vomitilla, un po' con mal di pancia e mal di testa da hangover, quindi ci sta che non si preoccupi particolarmente. Ma dal momento in cui il giorno dopo, santa creatura, di svegli col peggior ciclo della tua vita, che a momenti nemmeno un maiale scannato, in più ti ritrovi la baginga irritata a livello VENE NERE che risalgono fino all'addome... ecco, io non andrei dall'equivalente del mio medico di base (poveraccio, mi immagino la faccia che farebbe!), forse nemmeno da un ginecologo, ma correrei al pronto soccorso implorando la reception di darmi un codice rosso, sempre che non sia già subentrato l'infarto da ipocondria.


Per carità, è un horror, quindi bisogna abbracciare forte la suspension of disbelief pregandola di non scappare, però non nego che, tra un lamento di disgusto e l'altro, io e il Bolluomo ci si sia fatti delle grasse risate davanti alla natura fondamentalmente clueless non solo della protagonista ma anche dei comprimari, un branco di belle "peerle", a cominciare dalla madre di Samantha che davanti alla figlia svomante qualsiasi schifezza presente in natura chiama uno psicologo (era meglio un esorcista, signò!) per finire con tale Riley, il quale... no, nulla, guardate il film. Vi dico solo che alla fine mi sono girata verso Mirco e gli ho chiesto "Ma davvero un uomo preda dell'arrunchio non vedrebbe che...?" e lui ha ricambiato il mio sguardo con un'espressione di puro odio schifato. Ah, l'aMMore! Dunque, questo post è diventato un po' troppo ironico e me ne scuso, anche perché sembra che stia scrivendo una stroncatura quando in realtà non è così. Anzi, secondo me Contracted dosa bene il poco tempo a disposizione entrando subito nel vivo della vicenda, sfruttando un countdown "con sorpresa" e soprattutto giocando in maniera subdola con i timori dello spettatore e i cliché del genere, creando non solo sequenze ad alto tasso di disgusto ma anche parecchi momenti di pre-schifo che forse sono anche peggiori, in quanto uno è portato ad immaginarsi (spesso azzeccando) le peggio cose, raddoppiando così l'orrore. Validissimi gli effetti speciali, sebbene il make-up di Sam cambi leggermente da una sequenza all'altra con qualche errorino di continuità, e valida anche l'interprete principale, dotata di una bellezza assai particolare. Unici, veri nei dell'opera: l'attrice che interpreta Alice è una cagna maledetta della peggior specie e il finale del film da il fianco a un'evoluzione banalissima della malattia di Sam, cosa che sicuramente ha agevolato la produzione del secondo capitolo ma a mio avviso ha un po' privato di significato tutto ciò che succede durante la prima fase di Contracted. Detto questo, se avete lo stomaco più che forte recuperatelo, io nel frattempo ingurgiterò una confezione di Maalox per affrontare senza indugio Contracted - Fase II!


Di Caroline Williams, che interpreta la madre di Sam, ho già parlato QUI.

Eric England è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Madison County e Josie. Anche produttore e attore, ha 30 anni e due film in uscita.


Matt Mercer interpreta Riley. Americano, ha partecipato a film come Madison County, Contracted: Fase II e Beyond the Gates. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 38 anni e un film in uscita.


Simon Barrett interpreta BJ. Americano, è principalmente conosciuto come sceneggiatore/socio di Adam Wingard (sue le sceneggiature di You're Next, V/H/S, The ABCs of Death, V/H/S 2, The Guest e Blair Witch), ha partecipato a film come You're Next, V/H/S, The ABCs of Death, V/H/S 2, ABCs of Death 2 e Always Shine. Anche produttore, ha 40 anni e un film in uscita.


Najarra Townsend ha partecipato anche a Contracted - Fase II, sempre col ruolo di Samantha. Se Contracted - Fase I vi fosse piaciuto consiglierei il recupero del sequel, di cui parlerò presto, e che potete trovare in vendita nel cofanetto Midnight Factory, corredato dal making of del primo film e dl libretto illustrativo curato dalla redazione di Nocturno. ENJOY!

venerdì 18 maggio 2018

The Midnight Man (2016)

Dopo averlo distribuito al cinema, la Midnight Factory porta anche sul mercato dell'home video The Midnight Man, film diretto e co-sceneggiato nel 2016 dal regista Travis Zariwny.


Trama: due ragazzi scoprono in una soffitta un gioco attraverso il quale viene invocato il Midnight Man. Il gioco prevede una serie di regole da rispettare, pena la morte per mano della cupa entità...



Sulla copertina del DVD del film campeggia la dicitura Robert Englund's The Midnight Man. Lì per lì pensavo che il vecchio Robert avesse scritto, diretto o perlomeno prodotto la pellicola, invece, come purtroppo sempre più spesso accade, si è limitato a metterci la faccia per qualche minuto e a promuovere l'opera con un entusiasmo francamente eccessivo. Mi spiace spendere parole di biasimo per un attore a cui voglio bene ma, davvero, ultimamente il suo nome sta diventando sinonimo di sòla quasi assicurata: di fatto, se deciderete di guardare The Midnight Man solo per la sua presenza fareste prima a procurarvi altri film in quanto Englund qui fa la parte del Dottor Ignazio Spiegonis, la cui presenza si amalgama all'interno della storia come la paprika in una torta Sacher e raggiunge una conclusione a dir poco indegna (SPOILER: Lin Shaye e Robert Englund sono le due star della pellicola. Nella mente dei realizzatori un amante dell'horror dovrebbe bagnarsi, letteralmente, assistendo a uno scontro fisico tra i due. Nulla da eccepire, per quanto se voglio uno scontro tra mostri mi guardo Gamera vs Godzilla... ma davvero c'era bisogno che Englund si lasciasse scassare la faccia da una vecchia fino a farsi uccidere???). Ma, parliamoci chiaro, il pessimo utilizzo di un'icona horror non è proprio l'unico o il più grande difetto di The Midnight Man, l'ennesimo film sui boogeymen fatto con lo stampino e prevedibile dall'inizio alla fine, né bello né brutto ma solo terribilmente banale. Io credo che ormai quando uno sceneggiatore sceglie di cimentarsi in questo genere di pellicola lo faccia tenendo presente uno schema che si passano l'uno con l'altro, a mo' di documento segreto: non si spiega altrimenti perché mai TUTTI i film recenti aventi per protagonista uno spettro malvagio mostrino un'ora e dieci di decisioni scellerate dei protagonisti, "stuzzicati" da ombre che si muovono a bordo schermo, per poi concludersi con venti rapidi minuti in cui succede la qualunque, come se il mostro si fosse stufato di metter paura alle sue vittime e avesse deciso di ucciderle tutte per punire la loro fondamentale demenza.


E questo film, signori miei, è un po' la fiera del demente, eh. O, meglio, è la fiera dell'incertezza. Abbiamo infatti un gioco portato avanti da tre fanciulli (al quale una di loro, per inciso, non potrebbe nemmeno partecipare poiché non ha seguito alla lettera tutte le regole di "ingaggio") e lasciato in eredità dalla nonna della protagonista, all'interno del quale il Midnight Man del titolo dovrebbe uccidere chi non segue le regole alla lettera; in realtà, l'Uomo di Mezzanotte non ha ben chiaro in mente cosa fare perché nei flashback passati lo si vede ammazzare bambini senza troppe menate, mentre nel presente PRIMA tortura le vittime mettendole di fronte alle loro peggiori paure, POI li uccide, ma con calma. Della serie, se ne ho voglia bene, altrimenti vedete voi. In tutto questo, non c'è NESSUNO tra i compaesani dei protagonisti che abbia avuto l'idea di impedire l'accesso a una villa dove dovrebbero essere morti una decina di bambini e altre persone, perché la panzana che è stata propinata a laggente nel corso del tempo per giustificare tutti i delitti pare fosse "Eh, è una famiglia distrutta per colpa del DOLORE". Ah. Capisco il personaggio di Lin Shaye, i cui altarini vengono rivelati poco a poco, ma capire perché SPOILER il Dr. Harding abbia deciso di non emigrare in Antartide dopo aver subito il trauma infantile peggiore della sua vita FINE SPOILER me fallit, sono sincera. A fronte di una storia banale, una regia non particolarmente esaltante, effetti speciali nella norma e attori dimenticabili si salvano solo le belle scenografie, con un manichino più inquietante dello stesso Midnight Man e una parete di orologi molto artistica, oltre al cosiddetto  "momento coniglio", unico guizzo visionario e leggermente weird dell'ennesimo horror usa e getta destinato ad affogare nel mare delle infinite produzioni di genere che arrivano periodicamente dagli USA. Con buona pace, neanche a dirlo, dei fan di Englund e della Shaye.


Di Lin Shaye, che interpreta Anna Luster, e Robert Englund, ovvero il Dr. Harding, ho già parlato ai rispettivi link.

Travis Zariwny è il regista e co-sceneggiatore del film. Probabilmente americano, conosciuto principalmente come production designer, ha diretto film come il remake di Cabin Fever ed è anche attore e produttore.


L'edizione Midnight Factory conta come extra il libretto curato dalla redazione di Nocturno Cinema e il backstage del film. Detto questo, se The Midnight Man vi fosse piaciuto forse saranno di vostro gradimento anche Slumber - Il demone del sonno e The Bye Bye Man, sempre editi dalla Midnight Factory. ENJOY!


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