Visualizzazione post con etichetta natalie portman. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta natalie portman. Mostra tutti i post

venerdì 22 marzo 2024

May December (2023)

E' uscito ieri in tutta Italia il film May December, diretto nel 2023 dal regista Todd Haynes.


Trama: un'attrice decide di partecipare a un film indipendente che porterà sul grande schermo la storia di Gracie, condannata anni prima per aver abusato di un minorenne che, nel frattempo, è diventato suo marito. 


May December
è uno di quei film che non so proprio come affrontare, perché, dal mio punto di vista, offre tantissimi spunti difficili ed interessanti, ma li approccia con una superficialità che, onestamente, non mi sarei aspettata dai coinvolti. La "base" della trama è la storia vera di Mary Kay Letourneau, insegnante di 34 anni che, nel 1997, avviò una relazione sessuale con Vili Fualaau, uno dei suoi allievi, all'epoca dodicenne; questa storia non viene esplicitamente citata nei credits e questo ha fatto abbastanza scalpore negli USA, visto che la Letourneau è morta ma Fualaau non è stato neppure interpellato e, pare, si sia detto disgustato dal film. Al di là di scalpori e offese, personalmente credo che una storia come questa vada trattata coi guanti e stando ben attenti a non trasformarla in un'opera di "exploitation". A costo di sembrare impopolare, però, dico anche che sicuramente la Letourneau aveva problemi psico-comportamentali di varia natura (io non mi eccito sessualmente guardando creature implumi come dei dodicenni, li riconosco come bambini e il solo pensiero mi repelle) ma comunque il bambino l'ha messa incinta due volte (la seconda quando la donna è uscita dal carcere con la condizionale) e un uomo funziona un po' diversamente da una donna, quindi aspetterei ad additare lei come unica strega della situazione, quando gli adulti che dovevano tutelare Fualaau e magari indirizzarlo meglio a livello psicologico hanno fallito nel loro lavoro. A prescindere da cosa possa pensarne io, c'è di buono che May December non pretende di trovare dei colpevoli, anzi, è molto chiaro nella sua volontà di inserire due dei protagonisti, Gracie e il giovanissimo marito Joe, in una zona di grigio ricca di sfumature; il presunto amore che legherebbe i due viene complicato dalla fragilità mentale di lei, bisognosa di essere curata come una bambina e di avere un modello di virilità gentile ed affascinante, un prince charming in grado di gestire la vita di entrambi, e dal fatto che lui sia stato costretto a crescere troppo in fretta, assumendosi tutte le responsabilità adulte di un marito e padre, senza essersi goduto le esperienze dei suoi coetanei. A rimestare nel torbido arriva Elizabeth, attrice famosa chiamata ad interpretare Gracie. Per approfondire il personaggio, Elizabeth decide di passare del tempo con Gracie, Joe e le loro famiglie, ma la sua presenza sconvolge gli equilibri della coppia, facendo sorgere domande scomode.


Quello che io contesto al film e che mi porta a parlare di "superficialità" è che la sceneggiatura, invece di concentrarsi sulle dinamiche tra Gracie e Joe, ci presenta la storia dal punto di vista di Elizabeth, personaggio a dir poco ambiguo. Fin dall'inizio, infatti, Elizabeth sembrerebbe quasi volersi sostituire a Gracie più che capirla per portare meglio su schermo il personaggio e, ancora peggio, viene mostrata l'attrazione subitanea nei confronti di Joe, altro elemento che farebbe di Elizabeth un personaggio non solo ambiguo, ma anche deplorevole. Joe, nonostante la sua paternità e l'atteggiamento adulto, è un ragazzo pieno di problemi, probabilmente invischiato in una relazione impossibile da troncare senza causare traumi psicologici ad entrambi i coinvolti, e io capisco il desiderio di Elizabeth di immedesimarsi al punto da voler riportare su schermo anche l'attrazione sessuale di Gracie verso l'allievo, ma la presenza di questo "terzo incomodo" complica inutilmente uno studio di personaggi già complesso di suo e svia l'attenzione dello spettatore verso... cosa? L'ennesima critica sull'establishment, sul desiderio di spettacolarizzazione a tutti i costi? Non saprei, giuro che non ho capito il punto del film. Sicuramente è un mio limite, per carità, ma così mi è risultato difficile godermi le interpretazioni degli attori, che pur sono parte integrante del fascino malato di May December. Le simpatie dello spettatore (e probabilmente di Todd Haynes) vanno inevitabilmente a Joe, interpretato alla perfezione da un Charles Melton malinconico e dimesso, divorato dalle personalità psicotiche delle donne che lo circondano, mentre l'aspetto grottesco del film poggia interamente sulle spalle di Natalie Portman e Julianne Moore, con un continuo ribaltamento di ruoli che rappresenta la parte più affascinante di May December: la natura dominatrice di Elizabeth e Gracie le porta ad affrontarsi in silenziosi scontri alimentati da disprezzo reciproco e una continua tendenza a sottovalutarsi a vicenda, il che porta a gustose sequenze in cui il dramma lascia il posto a una triste commedia. Aspetti positivi, che tuttavia non mi tolgono dalla testa la convinzione che May December sia una splendida confezione per il vuoto cosmico. 


Del regista Todd Haynes ho già parlato QUI. Natalie Portman (Elizabeth) e Julianne Moore (Gracie) le trovate invece ai rispettivi link. 



martedì 23 agosto 2022

Thor: Love and Thunder (2022)

Aiuto. E' passato più di una settimana da quando ho visto Thor: Love and Thunder, diretto e co-sceneggiato dal regista Taika Waititi. Spero di ricordarmi ancora qualcosa.


Trama: Thor viene richiamato dal suo esilio nello spazio nel momento in cui Gorr, il distruttore di dei, attacca il nuovo regno di Asgard. Lì, Thor si trova di fronte la sua ex fidanzata Jane Foster, scelta dal martello Mjolnir per diventare la Potente Thor.



Se non altro questa volta ero preparata. Dopo i primi due serissimi (e ammorbantissimi, almeno per quanto riguarda The Dark World) Thor, la visione di quell'invereconda trashata di Ragnarok mi aveva lasciata basita, mentre stavolta Love and Thunder non mi ha sconvolta, anche se Waititi ha messo di sicuro il turbo alle meenchiate portate sullo schermo, a maggior ragione perché, da brava Dory dei poveri, prima di andare al cinema ho riguardato la trashata di cui sopra. Devo inoltre ammettere di averla trovata meno orribile di quanto (non) ricordassi e riconosco che l'aver stravolto completamente la natura seriosa di un personaggio anacronistico come una divinità vichinga, trasformandolo da babbalone malinconico a supereroe babbeo, è senza dubbio vincente; certo, continuano a sanguinarmi le orecchie davanti a "zio del tuono", ma non è colpa di Waititi, quanto di un adattamento italiano orribilmente cciovane. Ma parliamo di Love and Thunder. La vita di un Thor sempre più scemo viene raccontata con toni epici attraverso la voce dello stesso regista (il doppiatore originale del personaggio che funge da narratore, Korg), il quale ribadisce così la paternità di questa versione folle del Dio del Tuono, al punto da permettersi di tornare sui suoi passi e colmare le mancanze del precedente capitolo nel modo che più gli è congeniale, trasformando così un film di supereroi in uno strampalato film d'amore dove i protagonisti sono Thor, la sua ex fiamma Jane Foster, il martello Mjolnir e l'ascia Stormbreaker. L'Amore è il fil rouge di ogni vicenda della pellicola e ogni personaggio chiave ha il suo percorso di caduta e redenzione ad esso legato: il villain Gorr diventa un mostro per amore della figlia defunta, Thor rifiuta l'amore per timore di soffrire e per questo è solo, triste ed imperfetto, Jane (afflitta da un tumore incurabile) diventa la Potente Thor per amore di un martello, un'ascia perde il controllo per gelosia, e così via, fino ad arrivare a chi di amore ne è privo, ovvero le divinità, che invece dovrebbero provarne in abbondanza verso chi crede in loro. 


Come ho scritto su, il film si dimentica facilmente, anche perché procede per accumulo di assurdità visive e scene spettacolari che pure si conformano, comunque, allo standard Marvel nonostante fingano originalità e weirdness, dal momento in cui tutto fa parte della Fase 4 del MCU e ogni cosa è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo, ovvero il completamento della "Saga del Multiverso" di cui vedremo la fine nel 2025 (aiuto!!!!). L'unica cosa che veramente spicca in Thor: Love and Thunder, ancora più delle capre urlanti, della colonna sonora cafona e delle chiappe nude di un Chris Hemsworth al quale vanno tutti i miei complimenti per la fisicata, è Christian Bale, un uomo che probabilmente riuscirebbe a rendere interessante anche l'interpretazione di un comodino. Il suo Gorr è un mostro uscito dritto da un film dell'orrore, il babau che ti aspetti di vedere sotto il letto, una creatura in grado di prendere a coppini ogni versione di Pennywise riducendola a intrattenimento per bambini, e non è merito solo del trucco; probabilmente, Bale si è pensato alla perfezione il personaggio di Gorr dandogli tutta la tridimensionalità di cui era privo il post-it su cui Waititi avrà vergato giusto due appunti, infondendo, in quello che dalle foto di scena sembrava uno Zio Fester magrolino e nulla più, tutta la dignità, la disperazione, l'odio e il disprezzo di un uomo tradito dalla fede (forse scrivo questo perché sono Team Gorr, al quale viene davvero difficile dare torto, ma sfido chiunque abbia visto il film a dire di non avere tifato per lui per più di metà pellicola). Purtroppo, la complessità incarnata da Bale fa a pugni con troppa faciloneria da parte di Waititi, che la fa spesso fuori dal vaso: il pre-finale non ha senso, con Thor che conferisce la "dignità" nemmeno fosse la Santità di Padre Maronno, al finale che spiega il significato del titolo volevo alzarmi e andarmene, ché non ci sono già abbastanza supereroi che cicciano fuori al ritmo di venti al mese nel MCU, ma la cosa che mi ha infastidita di più è il modo in cui è stato gestito il tumore di Jane, maneggiato con la delicatezza di un elefante e l'umorismo inopportuno di un Boldi qualsiasi. Arrivati a questo punto, siccome Thor "thornerà", io spero davvero che Waititi trovi un equilibrio tra commedia e tragedia, altrimenti il quinto episodio della saga (se mai ci sarà) sarà la zappa che il regista rischierà di darsi sui piedi, mettendo a rischio la sua carriera cinematografica per portare avanti la sua fama di "trollone". Incrocio le dita perché ciò non accada, sarebbe davvero un peccato dopo tutte le belle opere che ci ha regalato. 


Del regista e co-sceneggiatore Taika Waititi, che doppia anche Korg e il dio Kronano, ho già parlato QUI. Chris Hemsworth (Thor), Natalie Portman (Jane Foster/La Potente Thor), Christian Bale (Gorr), Tessa Thompson (Re Valchiria), Russell Crowe (Zeus), Chris Pratt (Peter Quill/Starlord), Dave Bautista (Drax), Karen Gillan (Nebula), Sean Gunn (Kraglin/On-Set Rocket), Vin Diesel (voce di Groot), Bradley Cooper (voce di Rocket), Matt Damon (attore che interpreta Loki), Idris Elba (Heimdall), Melissa McCarthy (attrice che interpreta Hela) e Sam Neill (attore che interpreta Odino) li trovate invece ai rispettivi link.  

Jaimie Alexander torna nei panni di Sif dopo l'assenza in Thor: Ragnarok e lo stesso vale per Kat Dennings, la cui Darcy Lewis era tuttavia una presenza preponderante nella serie Wanda/Vision. Torna anche Luke Hemsworth, uno dei fratelli di Chris, nei panni della versione teatrale di Thor, e non è l'unico membro della famiglia ad essere presente nel cast: i figli di Chris Hemsworth, Sasha e Tristan, interpretano Thor da bambino, India Rose è la figlia di Gorr (ribattezzata Love sul finale), e la moglie di Chris, Elsa Pataky, è la donna lupo. Per godere appieno di Thor: Love and Thunder, infine, recuperate  ThorThor: The Dark WorldGuardiani della galassiaGuardiani della Galassia vol. 2, Thor: Ragnarok, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame e le serie Wanda Vision e Loki. ENJOY!

mercoledì 18 settembre 2019

Vox Lux (2018)

Stasera correrò a vedere l'ultimo film di Quentin e spero di riuscirne a parlare già venerdì. Nel frattempo, spinta dai molti pareri positivi, nonostante la pessima distribuzione italiana ho recuperato anche Vox Lux, scritto e sceneggiato nel 2018 dal regista Brady Corbet.


Trama: sopravvissuta a una strage, la giovanissima Celeste intraprende una carriera di pop star che, nonostante inevitabili alti e bassi, prosegue per oltre vent'anni...


"Ciao, io sono Gianfranzo, sono il vuoto che c'è dentro di te. Se mi accosti l'orecchio alla bocca senti solo il mare e basta!", così cantavano I ragazzi delle ragazze, durante la sigla del mitico Pippo Chennedy Show. Non riuscivo a trovare un perfetto riassunto per ciò che ho provato assistendo alle gesta di Celeste e alla fine toh, l'illuminazione, la Lux anche senza Vox: il nulla cosmico, accompagnato da una sensazione costante di prurito alle mani che non sono riuscita a sfogare con una bella catarsi esplosiva nel corso dei titoli di coda, privi di colonna sonora, arrivati dopo 10 minuti di concerto durante i quali, lo giuro, speravo qualcuno facesse brillare una bomba o perlomeno levasse dal mondo Celeste. SPOILER: magari, e invece. Sono una bestia ignorante, lo so, tuttavia ho provato un reale senso di disfatta guardando Vox Lux, un senso di aspettativa costantemente frustrata che, probabilmente, è proprio ciò che ricercava il regista. Perché, altrimenti, far raccontare la sciocca, inutile vita della pop star Celeste dal Diavolo in guisa di voce narrante, mister Willem Dafoe in persona, accostandola costantemente alle peggiori piaghe sociali (stragi studentesche e terrorismo) nella speranza che la Vox Lux di Celeste, sopravvissuta proprio ad una strage da ragazzina e infusa del potere di guarire col canto, potesse in qualche modo cambiare questo mondo così marcio? In questo modo lo spettatore si trova per le mani la solita storia all'interno della quale la protagonista, con tutte le sue doti e la sua bontà iniziale, il sentimento religioso che la smuove unito al profondo amore per la sorella maggiore, diventa una vuota vaiassa che è riuscita a distruggere tutto ciò che di buono c'era nella sua vita, indulgendo in parossismi di autodistruzione a base di alcool e droga e accumulando soldi, soldi, soldi. One for the Money and two for the Show. Ma 'sti soldi, benedetta fanciulla, a che ti servono? Si potrebbe riflettere sul fatto che il pop di Celeste, nato da una tragedia, serva proprio a non far pensare il suo pubblico, ad aiutare tutti i fan della cantante a superare i propri problemi prendendola come esempio di persona che ha superato un'enorme tragedia risorgendo più forte, come la fenice mitologica, raggiungendo un successo planetario che tutti vorrebbero, tuttavia anche vedendola così non sono riuscita assolutamente a trarre davvero un senso da ciò che viene raccontato nel film.


Diverso, invece, l'entusiasmo per il MODO in cui viene raccontata la storia di Celeste. Conoscevo Brady Corbet solo come uno dei protagonisti dell'angosciante ma bellissimo Mysterious Skin (film che peraltro vi consiglio di recuperare se non lo avete mai fatto, preparando stomaco e fazzoletti) e non avrei pensato che sarebbe diventato un regista raffinato e capace, in grado di padroneggiare diversi registri e, soprattutto, giocare con le aspettative dello spettatore. Avendo cominciato a guardare Vox Lux senza mai avere visto trailer o letto recensioni, onestamente mi sarei aspettata, dalle poche foto scorse sulla rete, di avere davanti un novello The Neon Demon oppure un Il cigno Nero, ovvero qualcosa in bilico tra il dramma e l'horror; in effetti, la già citata voce narrante di Defoe e l'inizio scioccante concorrono a dare proprio questa impressione, e il contrasto che si crea tra la pacatezza del narratore e la freddezza delle immagini mostrate da Corbet, seguite dai titoli di testa più angoscianti e "arty" visti quest'anno, provoca uno shock sensoriale non da poco. In realtà, andando avanti, più dell'abilità registica, che comunque si mantiene su livelli altissimi, contano le performance di Natalie Portman e della meravigliosa Raffey Cassidy, che incarnano il triste contrasto tra una ragazzina cupa che cerca di superare il peggior trauma della sua vita e la donna che sarebbe diventata, una pazza umorale prosciugata dal successo che prospera sulla sciocca vacuità del suo pubblico di riferimento e si crede una divinità. Il glitter & gold citato da Rebecca Ferguson abbonda, ammaliando lo spettatore assieme al make up, agli abiti glamour di una sfattissima Natalie Portman dal trucco pesante, spezzata nel corpo e nello spirito, e alle melodie pop di Sia (combinate alle melodie totalmente diverse di Scott Walker), ma è tutta vuota apparenza, una maschera talvolta splendente e talvolta dark priva di significato, tanto che può essere indossata da chiunque, terroristi o killer in primis. Il risultato è un film bellissimo, affascinante e anche capace di tenere avvinto lo spettatore alla poltrona anche solo per mera curiosità, ma che a mio avviso si perde un po' e rischia di avere difficoltà a far passare il suo messaggio, se davvero ne ha uno; a pensarci, però, potrebbe essere proprio questa la sua carta vincente, ovvero quella di far scervellare il pubblico per cercare di colmare quei "vuoti" di cui Vox Lux è pieno, interessanti quanto lo stesso film e ugualmente affascinanti. Insomma, un bell'esercizio cerebrale, altro che una semplice canzonetta pop.


Del regista e sceneggiatore Brady Corbet ho già parlato QUI. Natalie Portman (Celeste), Jude Law (il manager), Jennifer Ehle (Josie), Raffey Cassidy (Celeste da giovane/Albertine) e Willem Dafoe (il narratore) li trovate invece ai rispettivi link.

Stacy Martin interpreta Eleanor. Francese, ha partecipato a film come Nymphomaniac - Volume 1, Nymphomaniac - Volume 2, Il racconto dei racconti, High Rise e Tutti i soldi del mondo. Ha 28 anni e quattro film in uscita.


Rooney Mara avrebbe dovuto interpretare Celeste ma quando la produzione è andata per le lunghe l'attrice ha abbandonato il progetto. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Il cigno nero. ENJOY!

venerdì 16 marzo 2018

Annientamento (2018)

Era uno dei film che più mi incuriosivano quest'anno e quando Annientamento (Annihilation), diretto e co-sceneggiato dal regista Alex Garland partendo dal romanzo omonimo di Jeff VanderMeer, è approdato su Netflix ho deciso di guardarlo. Segue recensione di ignoranza crassa e completamente SPOILER FREE.


Trama: una biologa decide di unirsi a un gruppo di esploratrici per entrare nella fantomatica Area X, una luogo in continua espansione delimitato da una barriera luminescente all'interno del quale si manifestano strani fenomeni...


Stavolta posso anche cominciare il post dicendo con fierezza di non avere mai letto il romanzo di VanderMeer, intanto persino Garland ha ammesso di avere adattato "il ricordo" dello stesso e di essere andato dritto per la sua strada, quindi avere una mente vergine e pronta a tutto forse in questo caso ha giovato. Dall'alto della mia crassa ignoranza e dalle immagini promozionali di Annientamento mi sarei quindi aspettata una sorta di survival horror in cui le protagoniste venivano fatte a pezzi una ad una da forze sconosciute ma non avevo tenuto in conto la raffinatezza del Garland regista e sceneggiatore e ci ho azzeccato solo al 30%. Annientamento è infatti in parte survival horror ma anche e soprattutto sci-fi elegantissima fatta di dialoghi filosofici, allucinazioni, teorie scientifiche, sensi di colpa passati e percezione di un io che va progressivamente disgregandosi; al centro di tutto c'è la figura di Lena, biologa interessata ai comportamenti delle cellule ed ex militare che da un anno aspetta il ritorno del marito, missing in action durante una missione misteriosa. Proprio il ritorno inaspettato e sconvolgente del marito la porta a scoprire l'esistenza di una porzione di mondo delimitata da una barriera luminescente, in continua espansione, e ad entrare a far parte di un gruppo di esploratrici incaricate di rivelarne i segreti, in barba al fatto che tutti coloro entrati nell'Area X non hanno mai più dato loro notizie. Cosa si nasconda nell'Area X ovviamente non starò a scriverlo nel post ma le amabili fanciulle si ritroveranno ad avere a che fare con un luogo dove i fondamenti della biologia sono completamente stravolti e dove qualcosa distrugge per poi ricreare, chissà se per "annientare", come suggerirebbe il titolo originale, oppure per comprendere un mondo sconosciuto; questa stessa incertezza, ovviamente, ce l'hanno le protagoniste, chi più chi meno affette dagli stravolgimenti del luogo e quindi pronte o ad arrendersi serenamente al mutamento oppure a combatterlo, travolte dal terrore dell'incomprensione e dal forte desiderio di rimanere sé stesse. Oppure potrei non avere capito una cippa io, come del resto non ho ancora ben compreso se Annientamento mi sia piaciuto o se invece mi stia riempiendo la bocca di belle parole perché non ho il coraggio di ammettere di non essere rimasta entusiasta.


Oggettivamente parlando, al di là della trama, Annientamento è splendido. Il tripudio di colori che sfocia nella psichedelia, l'atmosfera "sfumata" in cui sono immersi protagonisti e luoghi, il riproporsi ciclico di un paio di dettagli (il tatuaggio di Lena o la casa in cui si rifugiano le donne, replica di quella in cui vive la protagonista), l'elegante coreografia, mix di balletto e lotta, in cui vediamo impegnata la Portman alla fine, la musica inquietante, le inquadrature mai casuali e il ritmo lento, ragionato, imposto da chi ha scelto di realizzare il PROPRIO film alla faccia di tutte le cretinate economiche del mondo produttivo, tutto questo fa di Annientamento un film unico, fatto da chi ama il Cinema per chi ama il Cinema, ed è ancora più frustrante pensare che proprio questo abbia condannato la pellicola a venire distribuita principalmente attraverso Netflix. Non oso immaginare tanta bellezza come sarebbe risultata se proiettata in un luogo consono come, per esempio, una sala cinematografica. Però (e parlo solo da un punto di vista soggettivo, eh, ché ad un sacco di gente valida Annientamento è piaciuto da morire) tanto tripudio di forma non è riuscito a rendermi partecipe dell'intimo dramma di Lena, il personaggio meglio caratterizzato, e delle altre, ridotte a poco più di semplici manichini dalla personalità scritta su un foglio di carta velina, e ciò mi impedisce di considerare il film di Garland come qualcosa di più di un sci-fi horror con velleità autoriali. Per dire, se l'avesse diretto un altro e anche costui avesse scelto di ignorare la trama del romanzo, probabilmente avremmo avuto un trucidissimo survival horror con qualche eco del vecchio Punto di non ritorno ma meno infernale, chissà. Sarà che da una singola immagine piazzata più o meno a un quarto del film ho capito quale sarebbe stato lo sconvolgente twist finale? Più probabilmente sarà che io e la sci-fi non andiamo d'accordissimo ed è per questo che Annientamento, pur riconoscendogli tutti i pregi del mondo e pur ringraziando Garland per il coraggio di rimanere Autore in un mondo di capre come la sottoscritta, non mi è entrato nel cuore come avrei voluto. Voi però non datemi retta e recuperatelo, ché film così purtroppo non ne girano più!


Del regista e co-sceneggiatore Alex Garland ho già parlato QUI. Natalie Portman (Lena), Benedict Wong (Lomax), Oscar Isaac (Kane), Jennifer Jason Leigh (Dr. Ventress) e Tessa Thompson (Josie Radek) li trovate invece ai rispettivi link.


Sonoya Mizuno, che interpreta l'umanoide e una delle ricercatrici della base, era già comparsa in Ex Machina, sempre di Garland. Frances McDormand era stata considerata per il ruolo del Dr. Ventress prima che venisse presa la Leigh. Se vi interessassero le imbarazzanti vicende produttive che hanno condannato Annientamento alla distribuzione su Netflix leggete l'articolo di Lucia ,se invece il film vi fosse piaciuto potreste recuperare Ex Machina, Under the Skin, Arrival, La cosa,  2001: Odissea nello spazio, The Abyss e soprattutto Stalker di Tarkovskij; io non l'ho mai visto ma mi si dice che sia parecchio simile ad Annientamento. ENJOY!

domenica 26 febbraio 2017

Jackie (2016)

L'ultimo film di cui vi parlerò prima che vengano assegnati gli Oscar (per chi fosse interessato, i post sugli altri arriveranno a ridosso delle rispettive uscite italiane) è Jackie, diretto nel 2016 dal regista Pablo Larraín e in concorso con tre nomination (Natalie Portman Migliore Attrice Protagonista, Migliori Costumi e Miglior Colonna Sonora Originale).


Trama: dopo la morte del presidente Kennedy, la moglie Jackie si ritrova a dover tenere in piedi la propria famiglia e ad onorare la memoria del marito senza crollare nel tentativo...


Di base, ritengo quello americano come uno dei popoli più stupidi sulla faccia del pianeta, giudizio che, se possibile, si è intensificato ancora di più dopo l'elezione di quella sorta di imbarazzante Gabibbo malvagio che risponde al nome di Donald Trump. Nonostante questo o forse, chissà, proprio per questo, la storia americana esercita su di me un fascino stranissimo, soprattutto per quel che riguarda il periodo turbolento precedente e successivo alla morte di John Fitzgerald Kennedy. Morto giovanissimo, all'età di 46 anni, questo giovane e sfortunato presidente è diventato nel tempo un mito, il simbolo di un'era, la versione buona del "quando c'era lui" e persino Stephen King (che lo definisce nel ciclo de La Torre Nera "l'ultimo Pistolero del mondo occidentale") è arrivato a chiedersi, nel romanzo 22.11.63, cosa sarebbe successo se JFK non fosse morto. Non ci è dato sapere cosa ne sarebbe stato dell'America e del mondo sotto la sua guida ma quel che è certo è che tra coloro che hanno contribuito a costruire il mito Kennedy c'è sicuramente la moglie Jackie, figura diventata nel tempo altrettanto "mitica" e protagonista del biopic di Pablo Larraín il quale, concentrandosi principalmente sull'intervista concessa dalla ex first lady al giornalista Theodore H. White una settimana dopo la morte del presidente, fa poca luce sulla vita privata di Jacqueline Lee Bouvier in quanto donna. Il punto di vista adottato nel film è infatti piuttosto quello di una neo-vedova, di una Ginevra che ha perso il suo Re Artù e cerca in tutti i modi di consegnarne il ricordo ai posteri tentando, allo stesso tempo, di non soccombere al dolore e proteggere sé stessa e i figli ancora piccoli non solo da eventuali attentati ma anche dall'indigenza e dagli sciacalli mediatici. Intelligente, piena di amore per le arti e la storia, Jackie è nata per essere più un membro di qualche famiglia reale europea piuttosto che la first lady americana; nonostante l'amore del popolo americano, la consacrazione ad icona della moda e l'impegno profuso nel trasformare la Casa Bianca in un museo dedicato alla storia americana, alla morte di Kennedy la donna è diventata per legge una semplice civile che da quel momento in poi avrebbe avuto poco tempo per portare via baracca e burattini dall'edificio presidenziale, lasciando così il posto al neo presidente Johnson e alla moglie.


Larraín racconta dunque questo momento assai delicato nella la vita della ex first lady mettendo sotto i riflettori il dolore per la morte di un marito "ingombrante" ma comunque molto amato (le immagini che mostrano Jackie subito dopo il tristemente famoso attentato a Dallas sono molto crude e fanno riflettere sull'incredibile forza d'animo di una donna che è stata letteralmente investita dalla materia cerebrale e dal sangue del suo compagno di vita), la rabbia, l'impotenza e la confusione di chi non ha più un appoggio spirituale e materiale e di chi non può prevedere un futuro che si prospetta terribilmente buio ed incerto, contestualizzando il tutto attraverso il racconto di un America e di un mondo costretti a cambiare nella maniera più drastica. Oltre a tutto ciò, viene sottolineata anche l'importanza mediatica di Jackie Kennedy non solo nella creazione del mito di Camelot (nome con cui gli americani sono arrivati nel tempo a definire la presidenza Kennedy) ma anche nel rendere in qualche modo più vicina al popolo un'istituzione come la Casa Bianca, mostrata per la prima volta in TV dalla stessa Jackie come fulcro della storia e della cultura americane, quindi un patrimonio nazionale e non solo dimora presidenziale. Inutile dire che l'intero film poggia sulla straordinaria interpretazione di una Natalie Portman che è riuscita a riportare in vita la sfortunata Jackie, impadronendosi di quell'accento mezzo americano, mezzo british e assolutamente posh che la caratterizzava, soprattutto nelle occasioni pubbliche (e che, intelligentemente, si riduce fino a scomparire quando viene mostrata la Jackie più intima ed emotivamente scossa), ma non solo; la fisicità, gli sguardi e i vezzi dell'attrice sono emozionanti sia quando la Portman è da sola, sia quando interagisce con gli altri (la sequenza in cui Jackie vaga per le stanze ubriaca e in lacrime, cambiando un vestito dopo l'altro, è magistrale ma vengono resi alla perfezione anche il rapporto con i figli e Bobby, con Johnson e persino col prete interpretato da John Hurt, Dio lo abbia in gloria sempre) e attorno a lei scenografi, costumisti e soprattutto il direttore della fotografia Stéphane Fontaine, responsabile della bellezza degli innumerevoli primi piani dell'attrice, hanno creato un perfetto scorcio di vita della first lady più amata dagli americani, tra dolorosa realtà e sognanti fantasie da musical.


Di Natalie Portman (Jackie Kennedy), Peter Sarsgaard (Bobby Kennedy), Greta Gerwig (Nancy Tuckerman), Billy Crudup (Il giornalista), John Hurt (Il prete), Richard E. Grant (Bill Walton), Beth Grant (Lady Bird Johnson) e John Carrol Lynch (Lyndon B Johnson) ho già parlato ai rispettivi link.

Pablo Larraín è il regista della pellicola. Cileno, ha diretto film come Tony Manero, No - I giorni dell'arcobaleno, Il club e Neruda. Anche produttore e sceneggiatore, ha 41 anni.


Inizialmente il film avrebbe dovuto girarlo Darren Aronofsky, con Rachel Weisz in qualità di protagonista, ma quando entrambi si sono ritirati dal progetto Aronofsky è rimasto solo come produttore. Diversamente dal solito, se Jackie vi fosse piaciuto non vi consiglio di recuperare altri film a tema, bensì il musical Camelot e il film TV A Tour of the White House, entrambi citati nella pellicola di Larraín. ENJOY!

domenica 1 dicembre 2013

Thor: The Dark World (2013)

"Nora, Merlo, siete sempre in ritardo, ecchecca..."
"Dai, ragazzi, muoviamoci che mancan cinque minuti all'inizio di Thor: The Dark World!"
"Belin, ma è in treddì?"
"Occristo, sì.... Che due marroni. E vabbé, ormai ci siamo..."

Come avrete evinto, domenica scorsa sono andata a vedere Thor: The Dark World, diretto dal regista Alan Taylor. Con qualche convinzione derivata dalla visione di Thor e qualche dubbio derivato dalla lettura di recensioni assai migliori di quella che sarà la mia…


"Ma che è sta roba?"
"Che c'entra l'Iter? Ma non è Aehter?"
"Oddio Malekith!! Quello si chiama Malekith!! Bwahahaahh!!!"
"E quelli? Sono i Teletubbies?"
"No, sono dei mimi anni '50. Che tenerezza, hanno le orecchiette!"

Trama: Thor e compagnia stanno riportando la pace ad Asgard e negli altri Regni, mentre la povera Jane Foster langue per la mancanza del Dio norreno. Insomma, tutto sembra tranquillo almeno finché la dottoressa non rinviene l’Aether, la potentissima arma che già una volta aveva quasi consentito agli Elfi Oscuri capitanati da Malekith di distruggere interi mondi…

"Stellan Skarsgard è nudo. ARGH! Ma perché?"
"Adesso è in mutande"
"Ah beh"
"Quello è Stan Lee"
"E quello è Sir Anthony Hopkins. Non ci crede più nemmeno lui, poveraccio".


"Ooh il martello! Va che roba! Ma da dove gli arriva? Dove lo tiene quando non combatte?"
"Nella gnagna di Miley Cyrus"
"Ahahahahahaahhahah!!"

Sono sincera. A parte gli addominali di Chris Hemsworth, il bel funerale vichingo, la "rivelazione" finale e i meravigliosi disegni nei titoli di coda, di Thor: The Dark World non ricordo quasi più nulla perché, purtroppo, è un film che sul nulla si regge. La pellicola avrebbe potuto tranquillamente ridursi alla mera parte centrale, quella in cui la presenza di Loki è un pochino più cospicua e, soprattutto, utile, una cosa che dura più o meno un quarto d’ora. E non lo dico perché mi piace Tom Hiddleston, non faccio parte dello zoccolo duro delle Hiddlestoner o come diavolo si fanno chiamare, sebbene l’attore inglese sia affascinante da morire e l’unico in grado di dare un minimo di profondità al personaggio: il problema è proprio che, a livello di sceneggiatura, non c’è nient’altro di interessante e, peggio ancora, Thor: The Dark World, sotto tutti i suoi mirabolanti effetti speciali, è privo di un’identità precisa. Comincia come la versione menosa de Il signore degli anelli, continua come Guerre Stellari e finisce (o, meglio, vorrebbe finire) come The Avengers ma il problema è che ai comandi non c’è Joss Whedon (nonostante ci abbia messo del suo quando Loki imita Capitan America pare) e, soprattutto, quest’ultimo tentativo di svolta umoristico/CCioFfane risulta un po’ improbabile.

"Bolla, ma come minkia si chiama quella?"
"Boh, mi ricordavo Frigga ma qui la chiamano Figa, Frega... ma che ti frega, tanto faceva la carta da parati nell'altro Thor."


"Che palle di film... Bolla, ricordami perché sono venuta a vederlo."
"Non lo so, devo già capire cosa ci faccio io qui. Certo che Kenneth Branagh..."
"Alé, pure il bambino col giochino."
"Allora, ho capito che il ragazzino è scoglionato, ma almeno la suoneria la togliamo? Grazie."

Vedete cosa intendo? Immaginate, per tutto il film, che quei pochi momenti epici o drammatici o anche solo vagamente interessanti vengano interrotti da quelle che in gergo chiamano gag ma che io chiamo ca**ate o “momento Ciccio Bastardo”: ricordate quando, negli ultimi due Austin Powers, Ciccio Bastardo raccontava i suoi tristi problemi esistenziali… e concludeva il tutto con una bella scoreggia? Ecco, Thor: The Dark World è interamente retto da momenti simili, senza soluzione di continuità tra serio e faceto. Tra l’altro l’unico, vero, inutile momento comico in grado di strappare una vera risata spunta dopo i titoli di coda (non in mezzo, proprio alla fine, non fate come TUTTI quelli che si sono alzati alla prima scena post credit, perché ormai lo sa persino l’ultimo streppone della Terra che ce ne sono DUE di scene) ma, anche lì, lascia in bocca quel simpatico retrogusto di fregatura messa lì solo perché ci DEVONO essere delle scene dopo i titoli di coda altrimenti non abbiamo visto un film Marvel.

"Ah, che bel momento dramma... e no ca**o, Stellan Skarsgard è di nuovo in mutande!!"
"No ma complimenti per il montaggio! La prossima volta mettete direttamente la dissolvenza con la stellina..."
"Bolla, scusa, ma perché sono a Greenwich? Cosa vanno a fare lì?"
"Nora è la convergenza... sì perché i pianeti, sai... er ... Malekith!!!"
"Bwahahahah chenomedimmm... Malekith! Ciao, guardami, sono Malekith!"
"ALLORA, LA SMETTIAMO CON 'STO GIOCHINO???"


Poi, per carità, il fumettone c’è e meno male perché, come mi successe ai tempi di Capote, serve a un certo punto il colpo di pistola che ti risveglia dall’assopimento oppure sai che dormita! Messo da parte l’approccio poco zamarro di Kenneth Branagh che, si sa, è uno snob e nel suo Thor aveva preferito concentrarsi un po’ più sui dialoghi e sui confronti tra i personaggi piuttosto che sulle mazzate, è stato giustamente chiamato Alan Taylor che, invece, si è profuso in adrenaliniche scene zeppe di effetti speciali della madonna, scenografie grandiose con il ponte arcobaleno rifatto, botte da orbi, visioni virate in rosso, il finale con tanto di confini spaziali che si annullano consentendo così balzi continui da un universo all’altro con dovizia di vomitazio per la sottoscritta e, ovviamente, l’importante monumento/città distrutti per giustificare la presenza di un Eroe a proteggere l’umanità. Biondoooo! Biondoooooo!! Mi hai scassato mezza Londra, che il Signore ti camalli! Proteggiti Asgard che “hai mancato una colonna!”, ah-ha. E non dimentichiamo l’approccio maschilista di Branagh! In Thor: The Dark World invece le donne rialzano la testa e reclamano fiere il loro ruolo di protagoniste, con l’ex carta da parati Rene Russo che viene messa a tacere per la legge di The Walking Dead, Natalie Portman che piglia a schiaffi gli dei quando per la scemenza del personaggio, semmai, sarebbe lei quella da prendere a ceffoni, e Kat Dennings che acquista maggiore importanza grazie ad un comprimario ancora più sfigato e inutile di lei. Bello bello, come no. Ridatemi Scarlett Johansson, Branagh, Whedon e Robertino mio bello, che è meglio.

"Noruzza, ma che fine ha fatto Odino quindi?"
"Ma che ca**o me ne frega...."


Del regista James Gunn (che ha diretto solo la scena post credit e che aspetto al varco con quello che potrebbe essere un trashissimo, meraviglioso Guardians of the Galaxy!) ho già parlato qui. Chris Hemsworth (Thor), Natalie Portman (Jane Foster), Tom Hiddleston (Loki), Anthony Hopkins (Odino), Stellan Skarsgård (Erik Selvig), Idris Elba (Heimdall), Rene Russo (Frigga) Tadanobu Asano (Hogun), Alice Krige (Eir), Clive Russell (Tyr) e i non accreditati Benicio Del Toro (il Collezionista) e Chris Evans (Capitan America) li trovate invece ai rispettivi link.

"Bolla ma quello alla fine era quello di Chuck?"
"Che è Chuck?"
"Ma sì dai è lui. Bolla, dimmi un po' come si chiama"
"Ma Zachary Levi dici?"
"No Bolla, quello di Chuck"
"..."

Alan Taylor è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come I vestiti nuovi dell'imperatore ed episodi delle serie Oz, Six Feet Under, Sex and the City, Lost, I Soprano e Il trono di spade. Anche produttore e sceneggiatore, ha 48 anni e un film in uscita, Terminator (!).

 
Christopher Eccleston interpreta Malekith. Inglese, ha partecipato a film come Piccoli omicidi tra amici, Elizabeth, eXistenZ, The Others, 28 giorni dopo e a serie come Doctor Who Heroes. Ha 49 anni e un film in uscita.


Zachary Levi (at last!) interpreta Fandral al posto di Josh Dallas, impegnato sul set della serie Once Upon A Time. Americano, ha partecipato ALLA SERIE CHUCK, Perfetti ma non troppo e ha lavorato come doppiatore in Alvin Superstar 2, Rapunzel - L'intreccio della torre e Robot Chicken. Anche regista e produttore, ha 33 anni.


Tra gli altri attori, segnalo la presenza dell'impronunciabile Adewale Akinnuoye-Agbaje (l'elfo nero Algrim) che, in Lost, interpretava Mr. Eko mentre il solito, immancabile Stan Lee è il vecchietto che in manicomio presta una scarpa a Stellan Skarsgard; rimanendo in tema "attori seri costretti a fare i cretini", ringraziamo la Madonna e gli impegni con la serie Hannibal o Mads Mikkelsen si sarebbe sputtanato la carriera interpretando Malekith. Passiamo ora al regista: Natalie Portman vi è sembrata svogliatella? Certo, perché dietro la macchina da presa avrebbe dovuto esserci la regista Patty Jenkins, che alla fine ha rinunciato per "divergenze creative", e l'attrice ci è rimasta così male che, non fosse stato per il contratto che prevedeva il suo ritorno nei sequel, avrebbe dato forfait senza pensarci un istante. E invece anche lei è rimasta a nel variopinto universo cinematografico Marvel che, al netto dei film mutanti, al momento comprende L'incredibile Hulk del 1998, Iron Man, Iron Man 2, Thor, Capitan America - Il primo Vendicatore, The Avengers, Iron Man 3la serie Agents of S.H.I.E.L.D. e gli imminenti Capitan America: The Winter Soldier, Guardians of The Galaxy (introdotto dalla prima scena post credits di Thor: The Dark World) e The Avengers: Age of Ultron. Ovviamente, se Thor: The Dark World vi fosse piaciuto recuperate tutto. ENJOY!

* P.S.: Ogni dialogo, per quanto idiota, è stato riportato fedelmente.






venerdì 29 novembre 2013

Thor (2011)

Siccome giovedì è uscito Thor 2: The Dark World e che The Avengers mi era piaciuto parecchio, in questi giorni ho deciso di recuperare Thor, diretto nel 2011 da Kenneth Branagh e Joss Whedon e, all’epoca, pesantemente snobbato dalla sottoscritta.


Trama: nel regno di Asgard Thor, Dio del Tuono ed erede al trono, viene bandito dal padre Odino a causa delle macchinazioni del fratello Loki. Scagliato sulla Terra senza poteri, il Dio dovrà imparare ad essere un vero eroe prima di poter reclamare la sua eredità…


Cominciando la visione di Thor la prima cosa da cui sono stata attirata è stata la lunghezza della pellicola: quasi due ore. Che, mi direte, non è proprio una lunghezza esagerata ma già mi sentivo morire al sol pensiero delle "epiche" belinate di cui immaginavo infarcito questo ennesimo cinecomic. Ed effettivamente, dopo il prologo iniziale con quegli orrendi Giganti di Ghiaccio (odio i mostri in CG, per quanto siano fatti bene mi sanno di posticcio, non posso farci nulla...) ero già pronta a spegnere la TV e dare il benservito a biondone figaccione e moretto ancor più figo ma proseguendo nell'impresa ho dovuto ricredermi. Thor non è uno di quei film che ricorderò finché campo, anche se, In My humble Opinion, è molto meglio di quell'orrore di Thor: The Dark World (di cui parlerò domenica), ma è comunque un intrattenimento dignitoso e piacevole almeno per chi, come me, conosce giusto sommariamente il fumetto da cui è stato tratto e, di conseguenza, non è interessato alla fedeltà per quel che riguarda  personaggi, storie ed atmosfere.


La storia è la quintessenza della "banalità" (e mi perdoni il Bardo) Shakespeariana, dove un Re severo ma giusto manda in esilio il figlio buono grazie all'intervento ingannevole del figlio malvagio e, nel far questo, lo mette alla prova per renderlo una persona migliore e più adulta, in grado di diventare un sovrano responsabile e saggio; a questo canovaccio sempre valido ed entusiasmante aggiungete la visione aMMeregana del pantheon di dei Asgardiani, vari riferimenti ad altri cinecomic, un paio di apparizioni speciali per accontentare i nerd più esigenti, un pizzico di umorismo, una storia d'aMMore e avrete un'idea di cosa aspettarvi da Thor. Nulla di nuovo, come ho detto, nessun colpo di scena inaspettato  o twist che non si possa ampiamente predire con almeno mezz'ora di anticipo, ma come racconto in grado di presentare i personaggi e rendere le cose comprensibili sia ai fan sia allo spettatore casuale direi che la pellicola funziona alla grande e, tra combattimenti, scaramucce, effetti speciali e qualche spiegone, non cala di ritmo nemmeno per un istante.


La tanto vituperata regia di Kenneth Branagh a me non è sembrata poi tanto diversa da quella di qualsiasi altro cinecomic, forse addirittura meno fracassona/videoclippara e sicuramente più ambiziosa per quello che riguarda i momenti ambientati ad Asgard, dove l'unione di scenografie grandiose, CG e costumi esagerati sfiora picchi di barocchismo esagerato ma, stranamente, non kitsch. Tanto, a mio avviso, fanno anche le interpretazioni dignitose degli attori coinvolti che, pur calati nei panni di personaggi a serio rischio di cadute nel trash, riescono a mantenersi credibili per tutta la durata della pellicola. A Chris Hemsworth non si può dire nulla perché lui E' Thor, nato per questo ruolo, mentre Idris Elba nei panni del guardiano Heimdall è a dir poco magnetico, ma i veri pilastri del film sono Anthony Hopkins, Tom Hiddleston e Stellan Skarsgård: il primo è semplicemente emozionante, riesce ad infondere a Odino la dignità di un personaggio Shakespeariano e con un solo gesto (peraltro improvvisato sul momento) riesce a zittire i figli e gelare il cuore dello spettatore; Tom Hiddleston, fino a quel momento illustre sconosciuto, interpreta il personaggio più sfaccettato dell'intera pellicola, un malvagio impossibile da odiare, tanto goffo e triste quanto ingannevole e viscido, con un'apparizione finale che lo rende praticamente identico al killer Bob di Twin Peaks, quindi ancor più subdolo e terrificante; l'Erik Selvig di Stellan Skarsgård, infine, è l'umano più umano e verosimile che mi sia mai capitato di vedere in un film tratto da un fumetto, assolutamente perfetto nel suo essere normalman. Non pervenuti, invece, i personaggi femminili, a partire dalla madre di Thor, un pezzo di carta da parati, continuando poi con l'inutile Natalie Portman, bellina ma scema come un tacco, per concludere con la "spalla comica" Kat Dennings, CCioFFane annoiata buona solo per sparare qualche triste battutina sarcastica. In conclusione, pensavo molto peggio. Peccato, se Thor fosse stata un'immane ciofeca avrei evitato Thor: The Dark World e invece...


Dei registi Kenneth Branagh e Joss Whedon (che ha diretto solo la scena post credit) ho già parlato qui e qui. Chris Hemsworth (Thor), Natalie Portman (Jane Foster), Tom Hiddleston (Loki), Anthony Hopkins (Odino), Stellan Skarsgård (Erik Selvig), Clark Gregg (Agente Coulson), Idris Elba (Heimdall), Tadanobu Asano (Hogun), Dakota Goyo (Thor da bambino) e i non accreditati Samuel L. Jackson (Nick Fury) e Jeremy Renner (Clint Barton/Occhio di falco) li trovate invece ai rispettivi link.

Colm Feore interpreta Re Laufey. Americano, ha partecipato a film come Face/Off, City of Angels, Titus, Changeling e a serie come Oltre i limiti, La tempesta perfetta, Nikita e 24. Anche sceneggiatore, ha 55 anni e tre film in uscita, tra cui The Amazing Spider-Man 2.


Rene Russo interpreta Frigga. Americana, la ricordo per film come Arma letale 3, Virus letale, Get Shorty e Arma letale 4. Anche produttrice, ha 59 anni e due film in uscita.


Tra gli altri attori segnalo Josh Dallas, il Prince Charming della serie Once Upon A Time, qui nei panni del guerriero Fandral (che in Thor: The Dark World verrà interpretato da Zachary Levi, prima scelta dei produttori assieme a Stuart Townsend, che però ha abbandonato il progetto per disaccordi coi realizzatori) e, ovviamente, l’immancabile Stan Lee che, se non ho visto male, dovrebbe essere il vecchino che cerca di spostare Mjolnir con l’aiuto di un pickup e una catena... anche se avrebbe voluto interpretare Odino! Tra gli scartati per il ruolo di Thor, invece, segnalo Daniel Craig, Tom Hiddleston e il povero Chris Hemsworth, a cui è stato alla fine preferito il fratello. Narra infine la leggenda che Sam Raimi avrebbe voluto dirigere un film su Thor subito dopo Darkman, ma alla fine al Dio del tuono ha preferito l’Arrampicamuri Spider-Man; destino simile è stato riservato a Matthew Vaughn, che nel 2005 era stato designato come regista ma è poi finito a girare Kick-Ass e X-Men - L'inizio. Facciamo ora un po' d'ordine sull'ormai complicatissimo Universo cinematografico Marvel: Thor si colloca cronologicamente dopo L'incredibile Hulk del 1998Iron Man, Iron Man 2 e Capitan America - Il primo Vendicatore ma prima di The Avengers, Iron Man 3, Thor: The Dark World, della serie Agents of S.H.I.E.L.D. e degli imminenti Capitan America: The Winter Soldier, Guardians of The Galaxy e The Avengers: Age of Ultron. Ovviamente, se Thor vi fosse piaciuto recuperate tutti questi film che ho nominato e che sono già usciti! ENJOY!

martedì 12 giugno 2012

Leon (1994)

E’ arrivato il momento di recensire uno dei miei film preferiti, ovvero Leon (Léon), diretto nel 1994 da Luc Besson.


Trama: quando la famiglia della dodicenne Mathilda viene massacrata da alcuni poliziotti corrotti, il killer Leon prende la ragazzina sotto la sua ala protettrice, anche se di malavoglia. Lo strano rapporto tra i due li porterà a maturare, cambiare e vedere la vita con occhi diversi…


 Il personaggio di Leon nasce qualche anno prima in un altro capolavoro di Luc Besson, Nikita. Se ricordate, nel corso del film compare Jean Reno, baschetto d’ordinanza, occhialini e pastrano lungo, nei panni del “pulitore” Victor. Questo killer era appena abbozzato, ovviamente, rispetto alla protagonista, ma era già una figura di forte impatto che lo spettatore attento sicuramente avrebbe faticato a dimenticare, e che nel tempo si è umanizzato fino a diventare, appunto, il protagonista della pellicola che sto recensendo. Per quanto mi riguarda, ho sempre adorato Leon, lo ritengo il film più bello mai girato da Luc Besson. Il personaggio di questo killer freddo ma ingenuo, quasi ritardato pur essendo il migliore in quello che fa è di una tenerezza e, allo stesso tempo, di un fascino abissali, caratteristiche accentuate ancor più dalla presenza della sboccata, triste e dolce figura di Mathilda, una ragazzina segnata dalla vita che vorrebbe mostrarsi più dura e menefreghista di quello che in realtà non sia. Nonostante la violenza, il cinismo e in generale lo squallore che soffocano i due personaggi, infatti, si può dire che Leon sia un film molto ottimista, quasi una favola, per quanto nera; nel corso della pellicola, Leon torna a vivere un’esistenza quasi umana e comincia a sognare di mettere radici, di dormire in un letto, di tornare ad amare, mentre Mathilda non perde mai la sua innocenza, tutelata da questa strana figura di protettore, padre e primo amore, che introduce comunque delle regole nella trasandata vita della ragazzina. Nonostante quello che vorrebbe Mathilda e il palese imbarazzo del killer, inoltre, il rapporto tra i due non diventa mai ambiguo al punto da sfociare in una presunta pedofilia di Leon, il cui amore per la protetta viene sempre e solo mostrato come un goffo ed incerto sentimento paterno.


Sentimenti positivi a parte, Leon è comunque pur sempre un film che affonda le radici nell’ambiente della malavita, e una pellicola di genere che si rispetti non sarebbe tale senza la presenza di personaggi ambigui o moralmente abietti. E qui entrano in campo il “maestro” di Leon, interpretato magistralmente da Danny Aiello, e il meraviglioso, imprevedibile, deviato, folle poliziotto corrotto interpretato da un Gary Oldman in stato di grazia ed assolutamente ispirato, un uomo dallo sguardo inquietante che inghiotte pasticche come fossero caramelle, annusa le sue vittime e ascolta musica classica per mantenere la calma. Il film, inoltre, è un concentrato di esempi di  bravura attoriale e registica, come le sequenze in cui Leon mostra tutta la sua abilità di assassino, arrivando a piombare sulle vittime a testa in giù come un grosso pipistrello, quella terribile e mozzafiato in cui la famiglia di Mathilda viene massacrata, sottolineata da uno stupendo score musicale e dallo struggente sguardo della bravissima Natalie Portman, all’epoca solo undicenne, o quella in cui Leon salva la ragazzina dagli scagnozzi di Stansfield, con la macchina da presa che inquadra i piedi dei due protagonisti mentre il killer abbraccia Mathilda sollevandola letteralmente da terra. Detto questo, aggiungo anche che il valore della pellicola aumenta esponenzialmente, se si pensa che Leon doveva essere solo un divertissement dovuto al ritardo nella realizzazione de Il quinto elemento. Ad avercene di “riempitivi” così, e se non avete mai visto il film rimediate subito!!


Del regista Luc Besson, Jean Reno (Leon), Gary Oldman (Stansfield), Natalie Portman (Mathilda) ed Ellen Greene (la madre di Mathilda) ho già parlato nei rispettivi link.

Danny Aiello (vero nome Daniel Louis Aiello Jr.) interpreta Tony. Americano, lo ricordo per film come Il Padrino – Parte II, C’era una volta in America, The Stuff – Il gelato che uccide, Radio Days, Hudson Hawk, il mago del furto e Fa’ la cosa giusta, che gli è valso la nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista. Anche produttore e sceneggiatore, ha 79 anni e tre film in uscita.  


Michael Badalucco interpreta il padre di Mathilda. Americano, lo ricordo per film come Cercasi Susan disperatamente, Nei panni di una bionda, Un giorno per caso, Fratello, dove sei? e L’uomo che non c’era, inoltre ha partecipato a serie come Ally McBeal, Bones e Cold Case. Anche produttore, ha 58 anni e due film in uscita. 


Tra gli altri attori segnalo un piccolissimo cameo di Maiwenn (il cui amore per Luc Besson, nato  quando lei aveva 15 anni e lui 32, pare abbia ispirato parte della trama del film) nei panni di una prostituta bionda e, per i Buffy geeks come me, la presenza di Adam Bush in quelli del piccolo Manolo. Liv Tyler era stata presa in considerazione per il ruolo di Mathilda, ma siccome all’epoca aveva 15 anni è stata ritenuta alla fine troppo vecchia. Per quanto riguarda il finale, invece, lo script originale ne prevedeva uno molto più pessimista e cupo, in cui la ragazza, dopo la morte di Leon, si faceva esplodere per uccidere Stansfield. Credete a me, meglio il finale che hanno mantenuto! ENJOY!

martedì 8 marzo 2011

Il cigno nero (2011)

La settimana scorsa ho finalmente finito di vedere tutti i film che avevo intenzione di gustarmi in questo ricco periodo. Una conclusione magnifica, perché Il cigno nero (Black Swan) di Darren Aronofsky è un’esperienza indimenticabile.

black-swan-movie-poster1

La trama: Nina ha un’ambizione, divenire prima ballerina. L’occasione le si presenta quando il direttore della sua compagnia decide di mettere in scena Il lago dei cigni e la sceglie per il ruolo del cigno bianco… a patto che Nina impari anche ad interpretare la gemella malvagia, il cigno nero, annullando sé stessa ed il suo carattere timido e remissivo.

Black_Swan-550x366

Il mio commento a caldo all’uscita del cinema è stato: “che trip”. Effettivamente, Il cigno nero è un viaggio allucinante all’interno di una mente che si spezza, costellato di allucinazioni strettamente intrecciate alla realtà. Aronofsky prende per mano lo spettatore e attraverso l’interpretazione di una meravigliosa Natalie Portman lo introduce nel mondo della danza, così perfetto e delicato in apparenza quanto corrotto e fragile all’interno. Un ambiente che distrugge le persone dal carattere debole e le lega al desiderio di primeggiare a tutti i costi. Ed è quello che succede a Nina, una ragazza “bambina”, una ballerina accudita amorevolmente da una madre “padrona” che cerca di rivivere attraverso la figlia il successo che lei non potrà più avere. Nina è schiva, remissiva, insicura, timorosa di esprimere sé stessa ed ossessivamente alla ricerca della perfezione formale. E’ un cigno bianco perfetto, insomma, quasi imprigionata nella sua bellezza e nella sua purezza, come se fosse una seconda, impenetrabile pelle. Il problema è che allo spregiudicato direttore Thomas questa perfezione formale, priva di passione, non basta, perché quello che gli serve è avere un’Odette in grado di trasformarsi in Odile, un Cigno Bianco ed un Cigno Nero uniti in un unico corpo. E quando nella compagnia arriva Lily, bellissima, sensuale, piena di vita, pericolosa in un certo senso, un perfetto Cigno Nero, la fragile psiche di Nina si spezza sotto la pressione ed il senso di inferiorità e comincia un dramma che non potrà avere un epilogo felice.

black-swan-ravenmonster-10_thumb[1]

La bellezza de Il cigno nero sta nel modo in cui verità ed allucinazione si uniscono e nel modo in cui la realtà dei protagonisti diventa, a poco a poco, indistinguibile dalla storia de Il lago dei cigni. Aronofsky costruisce la pazzia di Nina in modo quasi certosino, a partire dalle prime scene del film, dove la ragazza intravede nella metro quello che sembrerebbe un suo oscuro doppio speculare (a proposito di specchi, quasi in ogni scena c’è una superficie riflettente tranne nel finale, per un motivo che sarà ben chiaro se avrete modo di vedere il film). Proseguendo nella visione de Il cigno nero sia Nina che lo spettatore arrivano a chiedersi se quel doppio non sia in realtà l’amica – nemica Lily, che in effetti incarna tutto ciò che la protagonista reprime e che Thomas cerca di tirare fuori. Il direttore della compagnia è uno schifoso e laido profittatore, che usa le ballerine finché gli sono utili e poi le abbandona al loro destino; il personaggio di Beth, interpretato da Winona Ryder, è patetico e tristemente crudele, perché rappresenta il futuro di gloria effimera e totale disfatta che attenderà anche Nina, in quanto “principessina” dell’uomo. Nonostante tutto, la ragazza si innamora del suo crudele maestro, ed è qui che cominciano chiaramente il parallelo con Il lago dei cigni (Odette si innamora del principe, e non è un caso che Thomas di cognome faccia LeRoy…) e l’annullamento di Nina.

black-swan-movie-photo-01

Aronofsky non lascia nulla al caso: dalla cameretta colma di pupazzi nella quale si rifugia la protagonista, agli inquietanti quadri dipinti dalla madre, dal tatuaggio a forma di ali sulla schiena di Lily al vizio che ha Nina di graffiarsi la pelle della schiena, come se sotto ci fossero delle ali che aspettano di spuntare e che premono per uscire, per liberarsi da quell’involucro umano, ogni dettaglio è un tassello per comprendere la psicologia della protagonista ed è un preludio al sanguinoso, splendido ed inquietante finale. Come raramente accade, le immagini violente, quelle legate al sesso ed i pochi effetti speciali sono assolutamente funzionali ed indispensabili al proseguire della trama. E a proposito di immagini, le coreografie sono eccezionali ed emozionanti come i costumi, scandite dalle note ben conosciute ed ottimamente eseguite de Il lago dei cigni di Tchaikovsky; lo spettacolo finale riesce a fare quello che il 3D, per quanto verrà perfezionato, non riuscirà mai a fare, ovvero annulla completamente la barriera che separa lo spettatore dal film, e dona l’illusione di trovarsi davvero a teatro ad ammirare la splendida Nina che balla. E a tal proposito: l’Oscar che ha portato a casa la Portman per questo film è meritatissimo, visto che è riuscita ad infondere anima e vita ad uno dei personaggi più complessi che abbia mai visto al cinema in questi ultimi anni.

Darren Aronofsky è il regista della pellicola. Prima de Il cigno nero non avevo mai visto un suo film, ma Requiem for a Dream e The Wrestler sono molto famosi e penso che prima o poi rimedierò guardandoli. Il regista americano, anche produttore, sceneggiatore e, talvolta, attore, ha 42 anni e due film in progetto tra cui l’adattamento del Wolverine di Frank Miller. Se tanto mi da tanto ne verrà fuori una cosa splendida!

darren-aronofsky-fix_jpg_595x325_crop_upscale_q851

Natalie Portman interpreta Nina. Attrice israeliana che ha esordito giovanissima in un ruolo difficile come quello di Mathilda nel Léon di Luc Besson, la ricordo per altri film come Heat – La sfida, Mars Attacks!, Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma, Star Wars: Episodio II – L’attacco dei cloni, Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith, V per Vendetta e Un treno per il Darjeeling, oltre che per aver doppiato un episodio de I Simpson. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 30 anni e due film in uscita.

natalie_portman_2011

Mila Kunis interpreta Lily. Data la sua straordinaria bellezza non lo si direbbe mai, ma l’attrice ucraina presta la voce ad un personaggio che di bello non ha proprio nulla e la sua famiglia passa il tempo a ribadirglielo in continuazione. Non avete ancora capito di chi si tratta? Sto parlando della povera Meg, la bistrattata figlia de I Griffin. Niente di più diverso dalla bella Mila, che ha partecipato anche a film come l’inquietante (e introvabile ormai ahimé…) Milo ed American Psycho II, a serie come Baywatch, il geniale … E vissero infelici per sempre, Walker Texas Ranger e That’s 70’s Show e al doppiaggio di alcuni episodi di Robot Chicken. Ha 28 anni e tre film in progetto tra cui Oz: The Great and Powerful di Sam Raimi, che se mai uscirà andrò a vedere di corsissima.  

2011-Mila-Kunis-Updo-Hairstyles

Vincent Cassel interpreta Thomas Leroy. Marito della Monica Bellucci nazionale e attore decisamente eclettico (oltre che molto affascinante..) lo ricordo per film come L’odio, Dobermann, Elizabeth, Giovanna D’Arco, I fiumi di porpora, l’orrendo Blueberry e l’altrettanto orrendo Derailed – Attrazione letale; inoltre ha prestato la voce al Robin Hood del primo Shrek. Francese, anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 45 anni e tre film in uscita, tra cui l’ultimo film di David Cronenberg e l’ennesima versione di Fantomas.

black-swan-premiere-vincent-cassel--large-msg-129123089884

Barbara Hershey interpreta la madre di Nina, Erica. A dimostrazione di quanto sono poco fisionomista, ho cercato di capire dove l’avessi vista per tutto il film, poi ho ricordato che l’attrice americana è stata una splendida Maria Maddalena ne L’ultima tentazione di Cristo di Scorsese. Tra gli altri suoi film, ricordo America 1929: sterminateli senza pietà, Un giorno di ordinaria follia e Ritratto di signora; ha anche partecipato ad episodi di Kung Fu ed Alfred Hitchcock presenta. Ha 62 anni e un film in uscita.

Barbara+Hershey+Black+Swan+Press+Conference+E9EGfpV0HvYl

Winona Ryder interpreta Beth. Non posso nemmeno spiegare quanto adoro questa attrice e quanto mi dispiace sapere che la sua carriera si è rallentata parecchio, visto che associo il suo viso alla maggior parte dei miei film preferiti, come Beetlejuice – Spiritello porcello, Edward mani di forbice, Dracula di Bram Stocker, Sirene, L’età dell’innocenza, La casa degli spiriti e Piccole donne. Speriamo che Il cigno nero coincida con la sua rinascita. Tra le altre pellicole a cui ha partecipato segnalo Giovani, carini e disoccupati, Alien: la clonazione, Lost Souls – La profezia, Simone, A Scanner Darkly; ha inoltre doppiato un episodio de I Simpson e partecipato a un episodio di Friends. Anche produttrice, ha 40 anni e due film in uscita, tra cui il Frankenweenie diretto da Tim Burton.

winona-ryder-black-swanE ora, lascio che siano le immagini a parlare, lasciandovi al trailer originale del film. ENJOY!!!

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...