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venerdì 19 novembre 2021

Eternals (2021)

Ho lasciato sciamare un po' le orde di nerd pronte a catapultarsi al cinema per vederlo e ho aspettato fino a lunedì per Eternals, l'ultimo film della Marvel, diretto e co-sceneggiato dalla regista Chloé Zhao.


Trama: mandati sulla Terra dai Celestiali in epoca mesopotamica, gli alieni chiamati Eterni si sono prodigati per millenni a far sì che l'umanità prosperasse e sopravvivesse agli attacchi dei Devianti, ma questi ultimi tornano in epoca moderna, più potenti che mai...


Sono un'idiota. Mi rendo conto solo ora che fino a tre secondi fa ero convinta che gli Eterni fossero gli Inumani, infatti c'ero rimasta un po' "male", guardando il film, nel non vedere Freccia Nera e Medusa; anzi, per un attimo avevo persino pensato che l'Eterna muta fosse una versione di Freccia Nera al femminile, invece i due supergruppi, pur essendo Marvel, non c'entrano un cavolo gli uni con gli altri. Pensate un po' come conosco bene i fumetti della Casa delle Idee quando si esula dal novero degli X-Men, e in che condizioni è la mia memoria. Ciò detto, ripeto la domanda fatta su Facebook: ma che diavolo vi hanno mai fatto questi Eterni? Cos'è tutto questo livore verso un film Marvel che non è né migliore né peggiore di altri, anzi, al limite PROVA a distaccarsi dal tono brigittobardò delle ultime pellicole e a creare un'epica più profonda e di ampio respiro? Io ho una memoria di melma, signori, ma probabilmente voi avete già dimenticato, nell'ordine, aberrazioni come il primo Capitan America, Thor: The Dark World e quel disastro di Loki, altrimenti davvero non si spiega perché tutto questo odio. Forse perché il film dura due ore e mezza, poco meno di Avengers: Endgame? D'accordo, in questo senso vi do ragione. Eternals è TROPPO lungo. Quaranta minuti in meno e un po' più di compattezza a livello di storia gli avrebbero enormemente giovato, soprattutto per quanto riguarda quel pesantissimo strascico di storia d'aMMore (??) tra Sersi e Dane Whitman solo in funzione di ciò che apporterà quest'ultimo ai futuri film Marvel, però mi rendo anche conto che tagliare qui e là sarebbe stato un bel casino: con dieci personaggi da introdurre e approfondire un minimo, non potendo contare, come nel caso degli Avengers, su almeno mezza dozzina di film in solitario a precedere la loro prima apparizione come gruppo, si rischiava di avere una pellicola avente per protagonisti dei cartonati monodimensionali di cui al pubblico sarebbe fregato meno di zero e già qui alcuni Eterni (Makkari in primis) sono pesantemente a rischio.


Qui gli sceneggiatori hanno dovuto condensare la genesi dei personaggi come Eterni e come gruppo, abbozzare un minimo di cosmogonia Marvel, dare un'idea di background in grado di coprire millenni e sottolineare legami/conflitti destinati a perdurare fino all'epoca moderna, fornire ai personaggi una nemesi e un twist shyamalano, soddisfare gli appassionati di fumetti e film Marvel con rimandi/citazioni/scene post credits, e ovviamente inserire scene d'azione ed effetti speciali, oltre a lasciare aperta la porta per futuri sequel/crossover. Insomma, avendo a disposizione solo un film non dev'essere stato facile e secondo me il risultato non è stato neppure male. Parlando solo per me, posso dire che Eternals è riuscito a coinvolgermi, a interessarmi al destino di personaggi a tratti anche profondi, molto umani di fronte a un dramma di proporzioni cosmiche (e non è tanto per dire), alla ricerca del loro posto in un mondo dove, a ragion veduta, potrebbero atteggiarsi come dei ma dove molti di loro sono costretti invece a nascondersi, a soffrire invidiando l'umanità, a portare sulle spalle un peso schiacciante, a subire la pazzia, la noia e la disperazione; si vede che le ambizioni di Zhao e company erano molto alte, lo si evince dalla natura multietnica dei personaggi, dal gran numero di location (alcune splendide) utilizzate e dalla grandeur di alcune sequenze (Eternals ha una delle poche scene di lotta finale che non mi fa venire voglia di cavarmi gli occhi) e si vede purtroppo anche l'ingresso a gamba tesa degli executive Marvel che hanno preteso i soliti momenti (tristemente) divertenti e le scene post-credits peggiori EVER. Il cast non è male, così come non lo è la protagonista Gemma Chan, carinissima e delicata ma anche fiera, e dovessi proprio dire gli unici che meritano sputi in un occhio sono Richard Madden, Salma Hayek e Kit Harington, inespressivi come pochi; la Jolie, stellassa, va a momenti, a volte si limita a mostrare i labbroni e dietro il vuoto, a volte diventa il personaggio più interessante e figo del mucchio, benché la palma dei migliori vada a Ma Dong-seok, Barry Keoghan e a Kumail Nanjiani, il quale si profonde in un numero bollywoodiano da urlo che mi impedisce di voler anche solo un po' di male a Eternals. Ho letto tantissime recensioni che lo definivano noioso e incoerente ma se cercate la Noia vera, quest'anno potete dedicarvi a Prisoners of the Ghost Land e se cercate l'incoerenza di azioni, pensieri e opere c'è sempre Army of the Dead. Ma poi, santo Cielo, è un film Marvel: davvero state a spaccare il capello quando potete evitarlo e andare a vedere Freaks Out, Last Night in Soho e The French Dispatch? E dài.


Della regista e co-sceneggiatrice Chloé Zhao ho già parlato QUI. Richard Madden (Ikaris), Angelina Jolie (Thena), Salma Hayek (Ajak), Kit Harington (Dane Whitman), Kumail Nanjiani (Kingo), Brian Tyree Henry (Phastos), Barry Keoghan (Druig), Bill Skarsgård (Kro), Patton Oswalt (voce di Pyp), Mahershala Ali (voce di Blade) li trovate invece ai rispettivi link.

Gemma Chan interpreta Sersi. Inglese, ha partecipato a film come Animali fantastici e dove trovarli, Captain Marvel, Maria regina di Scozia e a serie quali Doctor Who. Anche sceneggiatrice, ha 39 anni e un film in uscita. 


Due cenni anche sugli altri interpreti: Lia McHugh, che interpreta Sprite, era una dei due bambini di The Lodge, Lauren Ridloff, che interpreta Makkari ed è davvero sordomuta, era nel cast di Sound of Metal mentre il vero esperto di arti marziali Ma Dong-seok, ovvero Gilgamesh, si era già distinto in Train to Busan. Passando alle scene post-credit, ad interpretare Eros, fratello di Thanos, c'è l'ex membro degli One Direction Harry Styles. Gemma Chan aveva già partecipato a un film Marvel, Captain Marvel, ma il suo personaggio era l'aliena Kree Minn-Erva ed essendo ricoperta interamente di trucco blu, direi che il problema di due personaggi identici non si è posto; l'attrice, tra l'altro, l'ha spuntata su nomi come Sofia Boutella e Tatiana Maslany, ma quest'ultima non ha picchiato tanto distante visto che interpreterà She-Hulk nella serie a lei dedicata. Passando a chi "non ce l'ha fatta", per il ruolo di Druig c'erano in lizza Keanu Reeves, Luke Evans, Rami Malek e Ian McShane mentre per quello di Ikaris c'erano Charlie Hunnam, Alexander Skarsgård e Armie Hammer. Ciò detto, Eternals si colloca ovviamente DOPO tutti gli altri film del MCU. Se, come immagino, non avete tempo e voglia di recuperarli tutti, per gustarvi al meglio Eternals cercate almeno The Avengers, Avengers: Age of Ultron, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Guardiani della Galassia, Guardiani della Galassia: Vol. 2 e magari anche il primo Thor: li trovate tutti su Disney +. ENJOY!

mercoledì 22 novembre 2017

C'era una volta in Messico (2003)

Non c'è mica solo Netflix, sapete. Amazon Prime Video ha un catalogo più ridotto e meno indipendente/cool ma qualcosina si trova, per esempio C'era una volta in Messico (Once Upon a Time in Mexico), diretto e sceneggiato nel 2003 dal regista Robert Rodriguez.


Trama: El Mariachi, in cerca di vendetta per la morte di moglie e figlia, si trova coinvolto nelle macchinazioni di un agente della CIA e in una storia fatta di boss mafiosi, colpi di stato e presidenti da uccidere...



In quel lontano novembre del 2003, ricordo ancora, in sala c'ero solo io. Non avevo trovato nessuno che mi accompagnasse a vedere C'era una volta in Messico, miracolosamente arrivato anche a Savona, e io, all'epoca ancora folgorata da Dal tramonto all'alba e preda di un amore folle per tutto ciò che riguardava Tarantino e i suoi simpatici amici, non potevo sopportare l'idea di non vedere l'ultima fatica di Rodriguez. Adesso, forse forse, mi farei un po' due conti in tasca. Rodriguez è ancora un bambino mai cresciuto, capace di regalare incredibili gioie allo spettatore disposto a farsi prendere in giro ma anche tantissima camurrìa derivante proprio da quell'incontenibile entusiasmo che palesemente lo prende ogni volta che si siede dietro la macchina da presa; detto questo, il nostro non azzecca un film da almeno dieci anni (Machete e Machete Kills li ho amati ma mi rendo conto che quello non è cinema) e guardando oggi C'era una volta in Messico si avverte già quel sentore di declino concretizzatosi in supercazzole e omaggi ai film di serie Z che sanno tanto di scusa per celare una fondamentale incapacità di essere Autore "serio". Nonostante tutto, io voglio un sacco bene a Rodriguez, intendiamoci, proprio per l'entusiasmo fracassone che mette nella realizzazione di ogni suo film e per la sua voglia di sperimentare sempre e comunque, tuttavia con C'era una volta in Messico il regista e sceneggiatore si è andato ad impelagare in un'impresa che meritava semplicità e tamarreide (ribadisco: Machete), non un plot a base di spie, doppiogiochisti e colpi di stato. Al culmine di una trilogia discontinua come quella del Mariachi (talmente discontinua che il regista non ricordava neppure che il personaggio di Cheech Marin fosse morto in Desperado, cosa che lo ha costretto a rivedere lo script e cambiarlo) Rodriguez fa del personaggio il salvatore della Patria, figura violenta ma pura capace di guardare oltre la corruzione serpeggiante in ogni angolo di Messico e portare la giusta revolución a suon di schitarrate e pistolettate. Il problema è che il personaggio di Sands, agente CIA, ruba la scena al Mariachi depresso più di una volta e, ancora peggio, viene utilizzato come un fastidioso latore di caos attraverso il quale vengono introdotti i più disparati personaggi, tutti ugualmente privi di carisma e abbozzati alla bell'e meglio, incapaci persino di fissarsi nella memoria dello spettatore per le loro caratteristiche trash/weird. Il che, mi spiace, ma dal regista e sceneggiatore che mi ha regalato Machete e Sex Machine (solo per citarne un paio) proprio non lo accetto.


Sarà che ormai Johnny Depp mi è inviso? Può essere benissimo, visto che Sands avrebbe tutte le carte in regola per qualificarsi come personaggio cult e invece la vista della faccetta da caSSo dell'attore (non ancora preso dalla sindrome di Sparrow, questo almeno glielo concedo) mi faceva venire voglia di prenderlo a pugni nonostante il linguaggio colorito e le braccia finte, tanto che solo nel prefinale, bardato con occhiali da sole e sangue a nascondergli il volto a mo' di novello Corvo, sono riuscita finalmente ad apprezzare Sands come meritava. Rimanendo in tema attori, Rourke e Dafoe sono un assurdo spreco di potenziale (il primo, col cagnusso, poteva fare molto meglio), la Mendes una cagnaccia inqualificabile (degnamente accompagnata da Enrique Iglesias e Marco Leonardi, due gatti di marmo) e persino faccette amate come quelle di Danny Trejo e Cheech Marin questa volta non bucano lo schermo. Meglio piuttosto l'accoppiata Banderas/Hayek o lo spettacolo del Mariachi in solitario, visto che il buon Antonio era ancora ai tempi in cui non veniva preso per il chiulo da galline e mulini: gli stunt dell'attore sono una gioia per gli occhi, basti solo pensare alla tamarrissima scena iniziale, alla sparatoria in chiesa, alla rocambolesca fuga dall'hotel incatenato ad una Hayek particolarmente sboccata... peccato solo per la decisione del regista di riempire il film di effetti digitali all'epoca all'avanguardia ma che probabilmente hanno ormai cominciato a soffrire un po' l'usura del tempo. Non che mi dispiaccia vedere proiettili che fanno letteralmente esplodere i corpi spillando ettolitri di sangue o roba che salta in aria senza un perché ma talvolta il risultato è talmente posticcio da andare persino oltre lo stile cartoonesco di Rodriguez. A compensare il tutto ci sono comunque una bellissima fotografia ricca di colori caldi, un montaggio serratissimo e, soprattutto, la colonna sonora, degna compagna delle imprese di un Mariachi che sembra quasi essere killer per caso, più interessato a tamburellare le dita sulla chitarra e cavarne evocative melodie (ma che brividi mi ha dato sentire le note di quella Malagueña appena accennata?) oppure a danzare come un ballerino di flamenco. Insomma, purtroppo tra me e C'era una volta in Messico non è più amore come un tempo ma comunque un po' di affetto c'è ancora.


Del regista e sceneggiatore Robert Rodriguez ho già parlato QUI. Antonio Banderas (El Mariachi), Salma Hayek (Carolina), Johnny Depp (Sands), Mickey Rourke (Billy), Eva Mendes (Ajedrez), Danny Trejo (Cucuy), Cheech Marin (Belini) e Willem Dafoe (Barrillo) li trovate invece ai rispettivi link.

Marco Leonardi interpreta Fideo. Australiano, ha partecipato a film come Nuovo Cinema Paradiso, La sindrome di Stendhal, Dal tramonto all'alba 3 - La figlia del boia e a serie come Elisa di Rivombrosa e Don Matteo. Ha 46 anni e sei film in uscita.


Rubén Blades interpreta Jorge FBI. Nato a Panama, ha partecipato a film come Predator 2, Il colore della notte, L'ombra del diavolo, The Counselor - Il procuratore e a serie quali X-Files e Fear the Walking Dead. Ha 69 anni ed è anche compositore e sceneggiatore.


Il cantante Enrique Iglesias, che interpreta Lorenzo, era già comparso, non accreditato, in Desperado. Johnny Depp è riuscito a completare tutte le sue scene in otto giorni ma siccome voleva rimanere ancora sul set Rodriguez gli ha fatto interpretare anche il prete con cui parla El Mariachi prima della sparatoria in chiesa; il ruolo di Johnny Depp comunque era stato pensato per George Clooney, già diversamente impegnato (probabilmente sul set di Ocean's Eleven, La tempesta perfetta o Fratello, dove sei?, chissà), mentre per l'aMMore Quentin (ringraziato nei nei titoli di coda in quanto fonte d'ispirazione del film) era pronto quello di Cucuy, al quale il regista ha dovuto rinunciare perché preso dalla realizzazione di Kill Bill. Detto questo, C'era una volta in Messico è il momentaneamente ultimo capitolo di una trilogia che comprende El Mariachi e Desperado, quindi se vi fosse piaciuto recuperateli e aggiungete Machete, Machete Kills e Dal tramonto all'alba. ENJOY!

mercoledì 11 ottobre 2017

Come ti ammazzo il bodyguard (2017)

Attirati da un trailer scemo e dalla necessità di guardare un film supercazzola causa orari infami, lunedì io e il Bolluomo ci siamo sparati Come ti ammazzo il bodyguard (The Hitman's Bodyguard), diretto dal regista Patrick Hughes.


Trama: una guardia del corpo deve scortare un sicario fino alla Corte Penale Internazionale dell'Aia, dove quest'ultimo è chiamato a testimoniare contro un sanguinario dittatore...


Cosa succede quando qualcuno decide di mettere insieme Samuel L. Jackson, emblema della badassitudine "nera" fin dai tempi di Pulp Fiction e ultimamente sempre più pronto a prendersi in giro, e Ryan Reynolds, adorabile quanto inespressivo beniamino delle nuove generazioni nerd? La risposta banale sarebbe "una supercazzola action", la verità è che Come ti ammazzo il bodyguard è un film schizofrenico, che prende tante di quelle direzioni da non sapere più nemmeno lui come definirsi. Di tanto in tanto traspare la sua natura "drammatica", precedente alla riscrittura che lo avrebbe fatto diventare una commedia; per esempio, la figura del dittatore Dukhovich è incredibilmente negativa, così come è anche troppo realistica ed attuale la sua natura di folle criminale e, nonostante Gary Oldman si ritrovi a sfoderare esagerati atteggiamenti di minaccia nei confronti dei suoi collaboratori (e di Samuel L. Jackson), il suo personaggio non strappa mai il sorriso, nemmeno per sbaglio. Il rapporto tra i due protagonisti poi oscilla di continuo tra bromance, legame insegnante-mentore e un più naturale e sano odio reciproco, seguendo dinamiche che non riescono a sfociare interamente nel territorio del buddy movie come è stato, per esempio, nel recente e ben più riuscito The Nice Guys. Di fatto, le personalità dei due sono troppo simili e i protagonisti passano molto dell'abbondante minutaggio a parlarsi addosso, rinfacciarsi sempre le stesse cose (nella fattispecie uno è troppo "noioso" nel suo lavoro, l'altro apparentemente è un folle assassino) e disquisire d'amore, ennesima aggiunta alla trama capace di renderla ancora più psicotica: sia sicario che bodyguard hanno infatti problemi di cuore, il secondo più del primo, e le rispettive amanti od ex hanno un ruolo abbastanza importante nell'economia della storia. L'aspetto action della pellicola non è marginale, d'altronde il regista è lo stesso de I mercenari 3, però diciamo che viene diluito e sfilacciato da tutto ciò che ho scritto sopra, quando io (e altri spettatori immagino) mi sarei aspettata un'ora e mezza di violenza sopra le righe alla John Wick, con l'aggiunta dell'esilarante alchimia tra i due protagonisti che si evince dal trailer e che mi ha spinta a guardare il film. Il risultato di questo mix di "anime" è un pasticcio, non un pasticciaccio brutto ma lo stesso qualcosa di poco memorabile, che dura il tempo di una risata (poche a dire il vero) nonostante si prolunghi per due ore, troppe per questo genere di film.


Come spesso accade, il meglio di Come ti ammazzo il bodyguard è stato già mostrato nel trailer e allo spettatore in cerca di qualcosa di nuovo da aggiungere rimane l'unico, vero momento esilarante del film (il coretto con le suore, da guardare esclusivamente in lingua inglese e che doppiato perderà interamente la sua forza umoristica) e al limite il bell'inseguimento tra i canali di Amsterdam, dove Patrick Hughes si ingegna tra stunt arditi, montaggio serrato, riprese con la steadycam e tutto il necessario per rendere la sequenza uno dei punti forti della pellicola. Per il resto, l'azione non manca, esplosioni e headshots abbondano e gli sceneggiatori non si tirano indietro neppure quando si tratta di inserire nel film una scena che rimanda anche troppo agli ultimi fatti di cronaca a base di camion lanciati sulla folla, cosa che di questi tempi mi ha lasciata francamente perplessa (per dire, questa settimana gli autori hanno deciso di montare da capo e tagliare l'episodio di American Horror Story per rispetto verso quanto accaduto a Las Vegas...). Quanto agli attori, Reynolds e Jackson fanno quello che ci si aspetta da loro, né più ne meno, e tra i due forse spicca di più il vecchio Samuel, dotato del personaggio più simpatico e anche più approfondito psicologicamente (diciamo che Reynolds va bene solo come Deadpool, forse perché recita al 90% col volto coperto da una maschera); fa un po' male invece vedere non solo Gary Oldman e Richard E. Grant (!!) relegati ad essere "semplici" caratteristi di lusso ma anche una bellezza come Salma Hayek ormai ridotta al ruolo di vajassa volgarissima che infarcisce ogni dialogo di parolacce in spagnolo, benché durante il flashback che la riguarda parrebbe quasi di essere tornati ai bei tempi di C'era una volta in Messico. Insomma, Come ti ammazzo il bodyguard non è interamente da buttare ma col senno di poi direi che i contro superano i pro e se cercate un film divertente, entusiasmante e memorabile rischiate di rimanere davvero delusi. Meglio approcciarsi alla pellicola durante un futuro passaggio televisivo, senza troppe aspettative e senza sprecare preziosi soldi per il biglietto del cinema (detto che è già disponibile da un paio di mesi su Netflix Japan. A buon intenditor...).


Del regista Patrick Hughes ho già parlato QUI. Ryan Reynolds (Michael Bryce), Richard E. Grant (Seifert), Gary Oldman (Vladislav Dukhovic), Samuel L. Jackson (Darius Kincaid) e Salma Hayek (Sonia Kincaid) li trovate invece ai rispettivi link.

Elodie Yung interpreta Amelia Roussel. Francese, la ricordo per film come Millenium - Uomini che odiano le donne e serie quali Daredevil e The Defenders, dove interpreta Elektra. Ha 36 anni.


Joaquim de Almeida interpreta Jean Foucher. Portoghese, ha partecipato a film come Sostiene Pereira, Desperado e a serie quali Miami Vice, 24, CSI: Miami, C'era una volta e Bones. Ha 60 anni e un film in uscita.


Aspettate la fine dei titoli di coda per un fuori scena dedicato interamente a Ryan Reynolds e, se Come ti ammazzo il bodyguard vi fosse piaciuto, recuperate The Nice Guys, Baby Driver, 48 ore e Ancora 48 ore. ENJOY!


domenica 13 novembre 2016

Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia (2016)

Uscito sotto Halloween credo in cinque sale, con un bel divieto ai minori di 14 anni ma senza alcun clamore, è arrivato in Italia Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia (Sausage Party), diretto dai registi Greg Tiernan e Conrad Vernon e sceneggiato da gente del calibro di Seth Rogen, Evan Goldberg e Jonah Hill.


Trama: alla vigilia del 4 luglio, la salsiccia Frank e il panino Brenda aspettano solo di essere scelti dagli "Dei" umani per essere portati fuori dal supermercato, in un mondo migliore dove finalmente potranno consumare il loro amore. Purtroppo, ciò che attende il cibo fuori dal supermercato non è un destino gioioso...



E’ possibile che il senso dell’umorismo, così come i gusti, cambino ogni dieci anni? Me lo chiedo perché ai tempi di South Park – Più lungo, più grosso e tutto intero ricordo di essermi spanciata dalle risate e, magari in maniera più contenuta, è successo lo stesso anche guardando I Simpson – Il film, giusto per fare un esempio di lungometraggi dichiaratamente “per adulti”. Mettiamo un attimo da parte I Simpson, il cui umorismo col tempo si è fatto decisamente più “signorile” ed innocuo, ma il film di South Park, al netto di bestemmie e parolacce, era un trionfo di cattivo gusto, violenza e risate scatologiche, eppure quanto mi fa ridere ancora oggi (nonostante non segua la serie più o meno dai tempi del primo cambio di doppiatori)! Forse perché la creatura di Trey Parker e Matt Stone era uscita nel momento giusto, oppure perché per quanto presentasse un umorismo di grana grossa conteneva sempre qualche riferimento alla politica, allo spettacolo o al reale capace di scatenare il mio senso dell’assurdo ma sta di fatto che, come del resto succede anche con I Griffin, ancora non riesco a volere male a South Park, neppure quando tocca i più bassi livelli di becerume. Lo stesso, non riesco a voler male a “orsotto” Rogen, eppure Sausage Party, da lui co-sceneggiato assieme ad altri loschi figuri quali Evan Goldberg, Jonah Hill, Kyle Hunter ed Ariel Shaffir, è una belinata della peggior specie che mi lasciata spesso obnubilata all’interno di una coltre di perplessità oppure mi ha disgustata senza possibilità di recupero. Ho riso forse un paio di volte davanti all’epopea di Frank e Brenda, rispettivamente un wurstel e un panino da hot dog costretti ad affrontare la scomoda verità su ciò che si cela oltre le porte del supermercato che fa loro da casa. Il “great beyond” abitato dagli dei che scelgono la merce sugli scaffali è la promessa di una vita migliore e, soprattutto, della scopata tanto bramata da alimenti costretti a passare la loro breve esistenza stipati all’interno di involucri di plastica ma cosa succede quando gli dei (ovvero noi voraci esseri umani e sì, vegani, ce n’è anche per voi, mi dispiace!) si rivelano essere dei mostri “cannibali” capaci  solo di dare la morte per i propri scopi egoisti? L’idea di base, effettivamente, ha un che di geniale, e il ribaltamento di punti di vista che trasforma un semplice scontro tra carrelli in un disaster movie zeppo di vittime o una cena in un horror-splatter sono i punti più alti della pellicola, assieme ovviamente ad una certa fantasia nel trasformare il supermercato in una sorta di megalopoli dove ogni genere alimentare ha il suo quartiere ben definito tutto da esplorare; non disprezzabile è anche una critica di tipo “religioso”, dove ci si fa beffe del desiderio di credere a tutti i costi in un piano divino o nelle punizioni per i propri peccati, anche quando gli dei si rivelano essere nient’altro che pie illusioni. Eppure, con tutto questo, mi sono ritrovata al massimo a sorridere con indulgenza.


Il problema di Sausage Party è che ogni tipo di satira o critica, siano esse religiose, sociali o politiche, è subordinato all’umorismo adolescenziale tipico dei film di Rogen o Seth MacFarlane, quello humour demenziale tipicamente americano che si concretizza, più o meno dagli anni ’80, in due cose soltanto: la patata e la fattanza. Certo, seguendo il trend attuale Sausage Party raggiunge picchi di “depravazione” che forse nemmeno Fritz il gatto, ma la mega orgia nella sequenza finale è talmente gratuita ed esageratamente gretta da chiedersi se davvero tutto quello che c’è stato prima non fosse altro che un mero contorno per arrivare al punto focale della pellicola, ovvero sconvolgere lo spettatore attraverso il coito infervorato tra salsicce e panini. Che per carità, Rogen, se ti ricorderai di aver pensato questa sequenza anche quando verrà il momento di mostrare Jesus De Sade in Preacher potrei anche applaudire, però solo se riuscirai a crescere mentalmente e contestualizzare la cosa, evitando di renderla il fulcro della storia. Il problema però è che io, non essendo un’americana puritana né un membro del MOIGE, dopo un’ora e mezza di wurstel dritti, panine vulviformi, lavande vaginali dopate (giuro), doppi sensi a sfondo sessuale, procaci lesbicone e personaggi cripto gay, se permetti invece di sconvolgermi mi rompo anche un po’ i marroni. Poi posso dire che le animazioni sono molto belle, alcune trovate divertenti, le parodie di film come Salvate il soldato Ryan o Terminator sono pregevolissime, il punto di vista “umano” che ritrasforma gli oggetti da animati ad inanimati ha una resa molto realistica, i flashback hanno lo stile gradevole dell’animazione bidimensionale anni ’80, c'è un bell'omaggio a Meat Loaf, la colonna sonora è simpatica quanto basta (ecco, l’unico momento in cui ho riso è stato quando i “fruits” che, come sapete, in inglese può indicare non solo la frutta ma anche un modo scortese di chiamare gli omosessuali, sono partiti all’attacco al ritmo di Wake Me Up Before You Go) e in particolare l’”inno del supermercato” è esilarante ma, per il resto, parliamo di poca roba davvero. Insomma, come sempre la Rogen Factory potrebbe fare molto di più ma non si impegna abbastanza: passi un cartone, scemino e divertente quanto volete, ma se nella seconda stagione mi rovineranno Preacher (e non miglioreranno Tulip, pensare che ci vorrebbe così poco!), orsotto o non orsotto scasserò il buon Seth di mazzate nei denti.


Del co-regista Conrad Vernon (che presta la voce anche a vari personaggi) ho già parlato QUI. Michael Cera (Barry), James Franco (il drogato), Bill Hader (Firewater/Tequila/El Guaco), Salma Hayek (Teresa), Jonah Hill (Carl), David Krumholtz (Lavash), Danny McBride (Honey Mustard), Edward Norton (Sammy), Craig Robinson (Grits), Seth Rogen (Frank), Paul Rudd (Darren) e Kristen Wiig (Brenda) li trovate invece ai rispettivi link.

Greg Tiernan è il co-regista della pellicola, inoltre presta la voce alla Patata e ai Noodles. Irlandese, ha diretto parecchi episodi della serie Il trenino Thomas. Anche animatore e doppiatore, ha 51 anni.


Al festival South By Southwest è stata proiettata una versione non ancora definitiva del film, contenente una scena che avrei molto apprezzato, magari dopo i titoli di coda; in essa, Seth Rogen, Michael Cera ed Edward Norton vengono attaccati dalle loro controparti animate mentre, seduti in un diner, discutono proprio del film. Detto questo, se Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia vi fosse piaciuto recuperate il già citato South Park - Il film: più grosso, più lungo & tutto intero. ENJOY!

venerdì 22 maggio 2015

Il racconto dei racconti (2015)

Approfittando dell'insperata fortuna di trovarmi davanti una settimana ricca per quel che riguarda la programmazione cinematografica savonese, martedì sono andata a vedere Il racconto dei racconti, diretto e co-sceneggiato dal regista Matteo Garrone partendo da tre novelle contenute nell'opera omonima di Giambattista Basile.


Trama: in tre diversi regni vicini, una regina desidera ardentemente rimanere incinta, una principessa viene data in sposa ad un orco e un re si innamora perdutamente di una vecchia, ingannato dalla sua splendida voce..


In questi giorni il Cinema mi sta davvero regalando delle gioie. Prima c'è stato il trionfo di Mad Max: Fury Road, ora lo splendore visivo di questo Il racconto dei racconti, un film talmente bello da non sembrare nemmeno italiano. E invece, per fortuna, a parte gli attori principali (e la splendida fotografia di Peter Suschitzky) con l'ultima pellicola di Garrone si gioca interamente in casa e finalmente possiamo vantarci di quella Bella Italia che dovrebbe essere il nostro fiore all'occhiello nonché il nostro schiaffo morale agli occhi del mondo intero: i personaggi da fiaba de Il racconto dei racconti vivono, soffrono e soprattutto sbagliano nelle magnifiche stanze del Castello di Sammezzano, nel verde del bosco monumentale di Sasseto, tra le mura del Castello di Donnafugata, sulle rocce mozzafiato dove s'arrocca il Castello di Roccascalegna, nelle acque misteriose delle Gole dell'Alcantara, tra le strettissime pareti di roccia di Sovana e Sorano, solo per citare i luoghi che mi sono rimasti più impressi. I re e le principesse che rivivono sul grande schermo indossano abiti sfarzosi, talmente ricchi da lasciare senza parole, e interagiscono con creature fuori dall'immaginazione, le più belle che abbia mai visto in un film italiano: il mostro che sul finale attacca gli albini Eliah e Jonas è un incubo degno di Guillermo Del Toro e il drago che si vede all'inizio è molto, molto più realistico e delicato di quanto potrà mai essere lo Smaug della WETA, per non parlare della raccapricciante pulce formato famiglia del Re di Altomonte, talmente ben fatta da indurre a temere che possa uscire dallo schermo da un momento all'altro. Tutto questo orgoglioso sfoggio di artigianalità italiana viene amalgamato dalla sapiente regia di Garrone, che smussa alcuni difetti e lungaggini insite nella trama regalandoci immagini da imprimere nella mente per non scordarle mai più, in un continuo alternarsi di poesia e trivio, di allegra luce e triste oscurità, di commozione e risate, mentre l'evocativa colonna sonora di Alexandre Desplat culla l'orecchio dello spettatore trasportandolo inconsapevole all'interno di questo mondo che affonda le radici in un passato mai esistito e allo stesso tempo terribilmente familiare.


Avrete notato che, a differenza degli altri post, ho cominciato a parlare de Il racconto dei racconti partendo dalla tecnica mirabolante con cui è stato confezionato. Questo perché, onestamente, mi hanno catturata più le immagini del contenuto ma anche i tre racconti scelti non mi hanno lasciata indifferente, anzi. Finalmente, qualcuno ha avuto le palle di voltare le spalle alla "lezione Disney" e di proporre al pubblico delle fiabe senza snaturarle, lasciando intatta la loro ingenuità e soprattutto la loro terrificante crudeltà. Genitori alla lettura, non azzardatevi a portare i bambini a vedere Il racconto dei racconti: al di là di alcune immagini che ho trovato paurose persino io e di qualche nudo frontal-posteriore (sia benedetto Vincent Cassel e la sua chiappa d'oro) le tre storie selezionate dal cosiddetto "Pentamerone" sono angoscianti perché gettano in faccia allo spettatore tutta la pochezza della razza umana senza alcuna morale di fondo, lasciando i personaggi a subire un triste o mortale destino a causa dell'egoismo e dell'avidità di chi dovrebbe proteggerli e amarli. La regina che non può avere figli e la vecchia Dora sarebbero dei personaggi verso i quali provare pietà ma i loro desideri sono talmente violenti (come giustamente dice l'evocativo Necromante di Franco Pistoni) e loro talmente prive di scrupoli nel tentare di realizzarli che automaticamente la pietà si trasforma in repulsione, soprattutto quando la loro arroganza arriva a danneggiare i più deboli. La regina di Salma Hayek e la vecchia Dora sono due protagoniste complesse e sono in grado di suscitare sentimenti ambivalenti ma la storia che più mi ha toccata nel profondo, facendomi uscire dal cinema con un magone devastante, è quella che racconta di come il Re di Altomonte abbia dato in sposa la figlia Viola ad un orco, un racconto in cui la stupida freddezza di un solo uomo (che preferisce dare attenzioni ad una pulce piuttosto che alla figlia) causa l'infelicità e la morte anche di chi, pur essendo normalmente additato come "malvagio", non avrebbe sicuramente meritato una simile sorte. E qui mi fermo, altrimenti rischio di incappare nei tanto odiati spoiler. Voi invece non lasciatevi scoraggiare da eventuali recensioni tiepide e andate a vedere questo trionfo di fantasia e fiaba tutto italiano: vi assicuro che nessun blockbuster fantasy d'oltreoceano vi lascerà in bocca lo stesso gusto dolceamaro e nostalgico de Il racconto dei racconti!


Di Salma Hayek (Regina di Selvascura), Vincent Cassel (Re di Roccaforte), Toby Jones (Re di Altomonte) e John C. Reilly (Re di Selvascura) ho già parlato ai rispettivi link.

Matteo Garrone è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Originario di Roma, ha diretto film come L'imbalsamatore, Gomorra e Reality. Anche produttore e attore, ha 47 anni.


Shirley Henderson interpreta Imma. Scozzese, ha partecipato a film come Rob Roy, Trainspotting, Il diario di Bridget Jones, Harry Potter e la camera dei segreti, Che pasticcio Bridget Jones!, Harry Potter e il calice di fuoco, Marie Antoinette, Lo schiaccianoci 3D, Anna Karenina e a serie come Doctor Who. Ha 50 anni e un film in uscita.


Alba Rohrwacher interpreta la padrona del circo. Originaria di Firenze, ha partecipato a film come Melissa P., Mio fratello è figlio unico, Caos calmo, La solitudine dei numeri primi, Bella addormentata e Hungry Hearts. Ha 36 anni e tre film in uscita.


Massimo Ceccherini interpreta il padrone del circo. Originario di Firenze, lo ricordo per film come S.P.Q.R. 2000 e 1/2 anni fa, Cari fottutissimi amici, I laureati, Il ciclone, Fuochi d'artificio, Viola bacia tutti, Lucignolo e Faccia di Picasso. Anche regista e sceneggiatore, ha 50 anni.


Stacy Martin, che interpreta la giovane Dora, era la giovane Joe in Nymphomaniac mentre il Necromante altri non è che il meraviglioso Iettatore di Avanti un altro, alias Franco Pistoni. ENJOY!

Qui trovate la recensione di Lucia e quella de I 400 calci, con le quali mi trovo assolutamente d'accordo!

giovedì 20 settembre 2012

Pirati! Briganti da strapazzo (2012)

Poiché l’amore per One Piece ha risvegliato in me anche un’insana passione per le storie di pirati, in questi giorni ho guardato Pirati! Briganti da strapazzo (The Pirates! Band of Misfits), di Peter Lord e Jeff Newitt.


Trama: Capitan Pirata cerca da anni, inutilmente, di vincere il premio di pirata dell’anno. L’occasione si presenta quando Charles Darwin scopre che l’amato pappagallo del capitano è nientemeno che… un rarissimo Dodo.


Ai tempi in cui la parola claymation era ancora qualcosa di misterioso, almeno per il pubblico italiano, passavano in TV la serie Wallace & Gromit, quella con il distinto signore inglese che amava il formaggio ed era sempre accompagnato dal fedele cane. Ricordo in particolare il secondo episodio della serie, I pantaloni sbagliati, esilarante ed inquietante al tempo stesso, nel quale un minaccioso pinguino si insediava nella casa dei due e cercava in tutti i modi di sostituirsi a Gromit. Da allora la claymation e, soprattutto, la casa di produzione Aardman hanno fatto passi da gigante, affermandosi anche al cinema, tuttavia nei lungometraggi non ho mai più ritrovato il feroce e pungente wit inglese di quei vecchi corti animati. Purtroppo è il caso anche di questo Pirati! Briganti da strapazzo, che si conferma carino e simpatico ma nulla più, con qualche idea geniale buttata qua e là ma, tendenzialmente, un po’ troppo infantile e all’acqua di rose per poter aspirare al rango di capolavoro.


Di solito, nel guardare un cartone animato, quello che mi cattura più di tutto il resto è la particolarità dei personaggi. In questo caso è sicuramente simpatica l’idea di non dare veri nomi ai membri della ciurma del Capitano, ma di chiamarli semplicemente “pirata” e poi aggiungere la caratteristica che li distingue dagli altri (per esempio Pirata Albino, Pirata con la sciarpa, ecc.), tuttavia all’interno di questa banda di “briganti da strapazzo” non ce n’è uno particolarmente degno di nota. Andiamo meglio, invece, con i villain: il film offre infatti un’inedita versione sfigata, pavida e innamorata di Charles Darwin (degnamente accompagnato dal personaggio più divertente del film, la scimmia che usa i cartoncini per comunicare) e, soprattutto, un’incommensurabile e folle Regina Vittoria, feroce moralista e contemporaneamente golosa consumatrice di animali rari, capace di trasformarsi da sovrana col pugno di ferro a combattente armata di doppia lama. Le interazioni con questi due “fenomeni” sono i momenti più divertenti dell’intero film e sfociano in magistrali sequenze action come quella del combattimento sulla nave – ristorante o quella della rocambolesca fuga da casa Darwin. Passando alla parte tecnica, premettendo che ormai il design dei personaggi (sempre uguale dai tempi, appunto, di Wallace e Gromit) mi ha un po’ stancata, l’animazione dei pupazzini in plastilina risulta comunque fluida e degnamente completata  da una CG poco invadente. Voto dieci anche alla colonna sonora, che comprende pezzacci come London Calling dei Clash e Alright dei Supergrass, ma nonostante tutto questo Pirati! Briganti da strapazzo non mi ha entusiasmata come avrebbe dovuto.


Di Hugh Grant (Capitan Pirata, doppiato in italiano da Christian De Sica), Imelda Staunton (la Regina Vittoria, doppiata in italiano da Luciana Littizzetto), David Tennant (Charles Darwin), Salma Hayek (Sciabola Liz) e Brendan Gleeson (il Pirata con la gotta) ho già parlato nei rispettivi link.

Peter Lord è il regista della pellicola, inoltre presta la voce ad alcuni personaggi secondari. Inglese, ha diretto Galline in fuga. Anche produttore, animatore e sceneggiatore, ha 59 anni. 
Jeff Newitt è co-regista della pellicola. Inglese, ha all’attivo la regia di una serie tv e due corti. E’ anche animatore, sceneggiatore e produttore.

Lord a sinistra, Newitt a destra..!
Martin Freeman da la voce al Pirata con la sciarpa, anche detto Numero Due. Inglese, ha partecipato a film come Shaun of the Dead e Hot Fuzz. Ha 41 anni e cinque film in uscita, tra cui Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, che lo vedrà protagonista nei panni di Bilbo Baggins.


Jeremy Piven da la voce a Bellamy il Moro. Americano, lo ricordo per film come Cuba Libre – La notte del giudizio, Heat – La sfida, Cose molto cattive e Scary Movie 3; inoltre ha partecipato alle serie Ellen e Will & Grace e doppiato un personaggio di Cars – Motori ruggenti. Anche produttore, ha 47 anni e un film in uscita.


Non chiedetemi il motivo, ma dalla versione inglese a quella americana cambiano un paio di doppiatori: per esempio, il pirata albino in Inghilterra viene doppiato da Russell Tovey, mentre in America lo stesso personaggio è stato affidato ad Anton Yelchin. Se qualcuno mi aiutasse a chiarire il mistero gliene sarei grata! Sarei invece curiosa di leggere il ciclo di romanzi dell’inglese Gideon Defoe da cui è stato tratto il film, i cui titoli sono abbastanza pittoreschi: The Pirates! in an Adventure with Scientists (Pirati! Briganti da strapazzo avrebbe dovuto intitolarsi così), The Pirates! in an Adventure with Whaling, The Pirates! in an Adventure with Communists, The Pirates! in an Adventure with Napoleon e The Pirates! in an Adventure with the Romantics, che è uscito proprio il mese scorso. ENJOY!


giovedì 22 dicembre 2011

Il gatto con gli stivali (2011)

Ay ay ay…. Primi giorni di Natale, prima delusione del periodo cinematografico. Quel Gatto con gli stivali (Puss in Boots) che tanto desideravo andare a vedere, diretto dal regista Chris Miller, si è rivelato un cuccioletto dagli artigli spuntati.


Trama: il Gatto con gli Stivali si ritrova coinvolto dal vecchio amico d’infanzia Humpty Dumpty nella ricerca dei Fagioli Magici che, come tutti sanno, portano ad un castello tra le nuvole dove vive un’oca magica che fa le uova… d’oro.


Che sòla, gente. Il gatto con gli stivali è davvero il film più debole dell’intera franchise di Shrek, forse poco migliore del terzo capitolo ma niente di più. Tutte le grassissime risate che speravo di farmi grazie al personaggio più geniale della saga si sono trasformate in risolini a denti stretti seppelliti da fin troppa melassa e da comprimari non all’altezza del protagonista. E sì che l’inizio, dove il Gatto si presenta come “amante piccante e chupacabras” mi ha fatta praticamente svenire sulla poltrona. Ma a parte questa dichiarazione d’intenti, un paio di gag come la tutina d’oro di Humpty Dumpty, quella dei minimuffins, quella dei tatuaggi e gli occhioni enormi del Gatto c’è davvero poca roba e neppure l’animazione, “sostenuta” da un 3D più inutile del solito, è granché.


In tutto il film, infatti, c’è solo una sequenza davvero bella e mozzafiato, quella della crescita del fagiolo magico. Anche la sfida danzante tra i due gatti non è male, grazie alla colonna sonora veramente azzeccata (l’unica cosa davvero bella dell’intera pellicola) e l’espediente dello split screen è un omaggio ai film di genere sempre gradito, ma alla Dreamworks hanno dimostrato di saper fare molto di meglio. Quanto ai nuovi personaggi, Humpty Dumpty è troppo patetico e stronzo per essere davvero divertente, la “fidanzatina” di El Gato, Kitty Zampe di Velluto, è simpatica ma non è neppure troppo utile all’economia della storia e i due cattivi Jack & Jill (presi paro paro da una delle filastrocche inglesi di Mamma Oca, attenzione: il vero Jack della pianta di fagioli è quel vecchietto stordito che si vede nella prigione) fanno ridere ma fino ad un certo punto. E quindi, cosa rimane da salvare del film? A dire il vero poco o nulla, salvo solo il grandioso doppiaggio di Banderas, visto che anche la storia è debole. Ma lasciamo parlare i bambini, il cartone animato d’altronde dovrebbe essere dedicato a loro. Nella fattispecie, lascio la parola al bimbetto di 5/6 anni seduto qualche sedia più in là nella mia stessa fila: “Papà, quando arriva mezzanotte?? Quando finisce?”. Queste due domande il pargolo le ha ripetute da metà del film più o meno ininterrottamente, fino alla fine. Fate due conti, gente, risparmiate che è meglio. E, per Dio, portate i bambini al cinema quando sono un po’ più grandini!!!


Di Antonio Banderas, doppiatore del Gatto, ho già parlato qui. Salma Hayek doppia Kitty Zampe di Velluto e la trovate qua, mentre Zack Galifianakis, Humpty Dumpty, lo trovate qui. Tra gli altri doppiatori originali figura persino il regista Guillermo Del Toro, qui in veste di produttore. Aggiungo in questo spazio una nota di demerito all’edizione italiana, i cui realizzatori hanno letteralmente rovinato i titoli di coda cancellando i nomi dei doppiatori originali integrati nell’animazione, come già accadeva nel primo Shrek.

Chris Miller è il regista della pellicola. Americano, ha già diretto Shrek Terzo. Anche attore, sceneggiatore, animatore e produttore, ha 36 anni.


Billy Bob Thornton (vero nome William Robert Thornton) in originale doppia Jack. Americano, lo ricordo per film come Proposta indecente, Sfida tra i ghiacci, Armageddon, il bellissimo Soldi sporchi, L’uomo che non c’era, Bandits e Babbo bastardo, inoltre ha prestato la voce per la versione inglese di Princess Mononoke. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 56 anni e due film in uscita. Ha vinto un Oscar per la sceneggiatura del film Lama tagliente.


Amy Sedaris presta la voce a Jill. Americana, ha partecipato a film come Sei giorni sette notti, The School of Rock, Elf e Jennifer’s Body, oltre ad aver già doppiato Cenerentola in Shrek Terzo. Ha prestato la voce anche per le serie American Dad!, Spongebob Squarepants e partecipato ad episodi di Sex and the City e My Name is Earl. Anche sceneggiatrice, ha 40 anni.


Se siete fan del Gatto e di Shrek recuperate almeno i primi due capitoli, e se avete voglia di vedere un bel cartone animato “moderno” buttatevi sulla trilogia di Toy Story ma mi raccomando non spendete 10 euro per questa roba. Come cadeau natalizio vi trascrivo la nursery rhyme Jack & Jill così come viene tramandata nei paesi anglosassoni: “Jack and Jill went up the hill To fetch a pail of water. Jack fell down and broke his crown, And Jill came tumbling after. Up Jack got, and home did trot, As fast as he could caper, To old Dame Dob, who patched his nob With vinegar and brown paper”. ENJOY!

venerdì 7 ottobre 2011

Bollalmanacco on Demand - Un weekend da bamboccioni (2010)

Seconda puntata del Bollalmanacco on Demand, la “rubrica” dove i fan possono decretare il mio destino e scegliere quale film dovrei guardare e recensire, di cui trovate qui la prima parte. Stavolta è toccato al mio buon Cugi e la scelta è caduta su Un weekend da bamboccioni (Grown Ups), commedia diretta nel 2010 dal regista Dennis Dugan. Non il mio genere di film, decisamente, infatti non ne sono rimasta affatto soddisfatta.



Trama: un gruppo di amici di infanzia si ritrova dopo la morte del loro storico allenatore. Assieme cercano di rinverdire gli antichi fasti e insegnare ai viziatissimi figli come ci si divertiva un tempo…



La mia visione di Un weekend da bamboccioni, lo ammetto, partiva già viziata da un paio di preconcetti. Innanzitutto, io ooooooooooooooodio Adam Sandler. Non lo sopporto proprio. Con quella faccetta da fesso, quella comicità indecisa se essere feroce o moscia, quel modo di fare francamente irritante del tizio che “se la crede” (e in questo film “se la crede” molto, ahimé) lo prenderei a badilate da mane a sera. E uno. Poi, il titolo italiano che cavalca l’onda di quella citazione brunettiana che andava tanto per la maggiore all’epoca, giusto per convincere il pubblico pagante (al 90% composto appunto da bamboccioni) ad andare a vedere il film. Biih che camurrìa. E così, già rodendomi il fegato con queste due idee fisse in testa, mi sono accinta a vedere la pellicola, cercando di non farmi influenzare troppo. Procediamo con obiettività, orsù.



Steve Buscemi dopo essere stato pestato dal suo zoccolo duro di fan... WHOOOO!!!



Un weekend da bamboccioni non mi è piaciuto a prescindere da quello che pensavo all’inizio. Posso dirlo con sicurezza perché per la prima mezz’ora ho riso. Ebbene sì, ho riso e mi sono divertita, mettendo in dubbio la mia stessa sanità mentale. D’altronde la comicità di film simili è innocua e sicura proprio perché collaudata: nel gruppo di amici troviamo i soliti stereotipi dello sfigato “fico”, dello sfigato ciccione, dello sfigato donnaiolo, dello sfigato più sfigato e assurdo degli altri e, infine, dello sfigato nero (nel senso di colore), accompagnati ovviamente da un vasto stuolo di mogli e figli. L’interazione tra i vari personaggi lì per lì è dinamica e simpatica, questi amiconi si prendono in giro a vicenda, le mogli socializzano, i figli diventano meno “brats” viziati e più bambini normali, e via così… il che va bene per la prima mezz’ora, appunto, quando le famigliole passano il weekend nella casetta di campagna. Ma quando le stesse gag me le riproponi per tutto il film, cambiando solo lo scenario (prima il parco acquatico, poi la sagra di paese), e ci aggiungi pure un branco di rednecks con un imbarazzante Steve Buscemi a fare da macchietta nonché, orrore degli orrori, la moraletta finale del “hanno bisogno di vincere, qualche volta. E noi, di imparare a perdere” allora, abbia pazienza, ma mi costringi innanzitutto a sbadigliare, poi a mandarti a quel paese, Adam Sandler, a te, la tua famiglia, i tuoi amichetti, il tuo ego gigante e i tuoi soldi. Anzi, l’unico elemento del film che salvo è il cane incapace di abbaiare. Quello mi ha fatto veramente ridere ma è un po’ troppo poco per reggere un’intera pellicola. Ah, e poi ho anche scoperto che Kevin James mi sta sulle palle più di Sandler, il che è tutto dire. Ciccione sfigato e pure patetico che ti fai prendere in giro da ‘sto mezzo gibbone che non fa altro che gigioneggiare e farsi figo sulla pelle altrui. Al rogo. Sugli altri poveri attori coinvolti non mi pronuncio, Salma Hayek e Maria Bello non avrebbero potuto cadere più in basso, credo.



Del regista Dennis Dugan ho già parlato nel post dedicato a L’ululato, dove recitava invece che dirigere. Di Chris Rock, che interpreta Kurt, ho già parlato qui. Nello stesso post troverete anche Salma Hayek, che qui interpreta Roxanne, mentre Maria Bello (Sally Lamonoff) è comparsa in questo vecchio post. Menzione d’onore anche per la già citata Jamie Chung, che qui interpreta una delle figlie di Rob, Amber.  

Adam Sandler interpreta Lenny ed è anche lo sceneggiatore della pellicola. Uno dei comici americani più famosi e anche uno di quelli a cui io spaccherei volentieri il setto nasale con una badilata ben assestata, lo ricordo per film come Airheads – Una banda da lanciare, Terapia d’urto, Cambia la tua vita con un click e Zohan – Tutte le donne vengono al pettine; inoltre, ha partecipato ad alcuni episodi de I Robinson. Anche produttore, sceneggiatore e compositore, ha 45 anni e tre film in uscita.



Steve Buscemi interpreta Wyley. Indubbiamente uno dei miei attori preferiti in assoluto fin da quando l’ho visto interpretare il cinico Mr. Pink de Le Iene, lo ricordo per film come I delitti del gatto nero, Pulp Fiction (per contrappasso, visto che ne Le Iene critica i camerieri, è costretto ad interpretarne uno con le fattezze di Buddy Holly!), Airheads – Una banda da lanciare, Desperado, lo splendido Cosa fare a Denver quando sei morto, il meraviglioso Fargo, Fuga da Los Angeles, Il grande Lebowski, Armageddon, Con Air, Animal Factory, Ghost World, Spy Kids 2 – L’isola dei sogni perduti e Big Fish – Le storie di una vita incredibile. Ha inoltre partecipato a serie come Miami Vice, Innamorati pazzi, I Soprano e E.R., e prestato la voce per i film Monsters & Co., Mucche alla riscossa e un episodio de I Simpson. Americano, anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 54 anni e cinque film in uscita, tra cui il prequel di Monsters & Co. che dovrebbe intitolarsi Monsters University ed essere pronto per il 2013.



David Spade interpreta Higgins. Americano, ha partecipato a film come  Scuola di polizia IV: cittadini… in guardia! e Giovani carini e disoccupati, oltre ad avere prestato la voce per Beavis e Butt – Head alla conquista dell’America, Rugrats – Il film e aver doppiato l’originale Kuzco in Le follie dell’imperatore. Ha partecipato anche alle serie Baywatch e ALF. Anche sceneggiatore e produttore, ha 47 anni e un film in uscita.



Rob Schneider (vero nome Robert Michael Schneider) interpreta Rob. Americano, lo ricordo per film come Mamma ho riperso l’aereo – Mi sono smarrito a New York, Gigolò per sbaglio, Deuce Bigalow – Puttano in saldo, Cambia la tua vita con un click e Zohan – Tutte le donne vengono al pettine. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 48 anni e sei film in uscita.  



Blake Clark interpreta il coach “Buzzer”. Americano, ha partecipato a film come Toys – Giocattoli, The Mask  - Da zero a mito e Ladykillers, ha prestato la voce al cane Slinky in Toy Story 3 – La grande fuga ed è apparso nelle serie Pappa e ciccia, Quell’uragano di papà, Sabrina – Vita da strega, Cold Case e My Name Is Earl. Anche sceneggiatore, ha 65 anni e due film in uscita.



Tra gli altri interpreti, segnalo il piccolo Cameron Boyce che qui interpreta uno dei figli di Adam Sandler mentre in Mirrors – Riflessi di paura era il pargolo di Kiefer Sutherland; Joyce Van Patten invece, che interpreta l’anziana moglie di Rob, è l’ex moglie del regista ed è davvero più vecchia di lui, anche se “solo” di 11 anni. Parlando di chi invece non ce l’ha fatta, ad interpretare il personaggio di Eric avrebbe dovuto essere il comico Chris Farley (il ciccione biondo di Mai dire ninja, per intenderci), che tuttavia è morto nel 1997; pare che questo triste evento abbia ritardato così di tredici anni la realizzazione di Un weekend da bamboccioni. Se vi fosse piaciuto il film l’unica cosa che vi posso consigliare di guardare è Terapia d’urto, dove almeno la presenza di Adam Sandler è “neutralizzata” da quella di Jack Nicholson! Ora vi lascio con il trailer del film e con un'avvertenza: se volete proporre un film per la prossima puntata del Bollalmanacco on Demand scrivete il titolo nei commenti qui sotto o iscrivetevi al gruppo Facebook e commentate lì. Il primo che si prenoterà avrà l'"onore" di vedere recensito il film proposto. ENJOY!!!

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