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venerdì 23 maggio 2025

The Apprentice - Alle origini di Trump (2024)

L'avevo perso ai tempi dell'uscita ma, in occasione delle due candidature (Miglior attore protagonista e Miglior attore non protagonista), ho recuperato The Apprentice - Alle origini di Trump (The Apprentice), diretto nel 2024 dal regista Ali Abbasi.


Trama: Donald Trump, giovane rampollo di una famiglia di imprenditori edili, riesce a farsi strada nella New York degli anni '70 grazie allo spregiudicato avvocato Roy Cohn...


Anche in questo caso, non avevo visto il film a causa della pessima distribuzione savonese, poi The Apprentice era un po' passato in cavalleria, almeno finché non è comparso (abbastanza sorprendentemente, direi) tra le varie candidature. La mia sorpresa non deriva dal fato che The Apprentice sia un pessimo film, anzi, quanto piuttosto per la scarsa risonanza mediatica avuta ai tempi dell'uscita, nonostante l'argomento trattato. Il film infatti, come specifica il sottotitolo italiano, racconta la "nascita" del Trump che conosciamo; non è che in America la cosa non abbia fatto scandalo, con Trump su tutte le furie, produttori ritiratisi all'ultimo momento e il terrore degli attori coinvolti nel promuovere il film (salvo Sebastian Stan), ma, a parte questo, non mi sembrava che il film fosse stato consigliato come opera particolarmente ben fatta o illuminante. Invece, The Apprentice è una pellicola equilibrata ed interessante, che racconta di come l'allievo Donald Trump abbia superato il maestro Roy Cohn, avvocato senza scrupoli nonché fervente sostenitore di un'America repubblicana da difendere a spada tratta, ricorrendo anche a mezzi controversi. The Apprentice ci mostra un Trump giovane, inizialmente distante dalla figura del tycoon alla quale siamo abituati; insicuro, privo degli agganci giusti, vessato da un padre accentratore e severo, in lotta col governo per problemi legati a presunte discriminazioni razziali nell'affitto degli immobili, il futuro presidente viene descritto come persino troppo "innocente" per sopravvivere nel mondo degli affari. Roy Cohn, d'altra parte, viene rappresentato come il demonio o, se vogliamo prendere a modello gli schemi dei film ambientati nel mondo della malavita, come il boss che viene surclassato e cancellato dal novizio che aveva preso sotto la sua ala, il quale ha assimilato la lezione talmente bene da ritenersi superiore anche a quei pochi limiti morali che tenevano a freno il suo mentore. Purtroppo, a differenza di quasi tutte le "crime stories", legate ad un percorso di ascesa - trionfo - caduta del protagonista, The Apprentice può fare questo discorso solo con Roy Cohn e la sua disgraziata fine, mentre Trump è ben lungi dall'essere caduto, anzi. Dopo una corsa forsennata, alimentata dalle anfetamine e da un appetito vorace legato ad ogni aspetto dello sviluppo edilizio ed economico, il film ce lo consegna con lo sguardo proiettato verso un ben cupo futuro (il nostro), forte degli angoscianti insegnamenti di chi è stato usato e gettato via senza alcun ritegno nel momento esatto in cui radiazione dall'albo degli avvocati e sospetti di omosessualità ne hanno minato irrimediabilmente il potere e la credibilità.  


La trama coinvolgente di The Apprentice viene ulteriormente ravvivata dalla regia di Abbasi, distante da quella classica che ci si aspetterebbe da un biopic. Il taglio delle inquadrature e la fotografia ricordano spesso quelle di un documentario, come se la cinepresa spiasse i personaggi consegnandoceli nella maniera più verosimile possibile. Inoltre, cambia anche la grana dell'immagine, cosa che si può notare persino sul televisore di casa;  quando la vicenda si svolge negli anni '70, l'effetto è quello "casalingo" di un filmino in 16mm, negli anni '80 ci sono le stesse righe orizzontali colorate di una videocassetta, non si ha la resa pulita del digitale. Passando agli attori oggetto delle due candidature, come ho scritto sopra, non me le aspettavo, ma le trovo comunque doverose. Addirittura, per quanto mi riguarda, Jeremy Strong surclassa Sebastian Stan imponendo una presenza fatta di sguardi fissi, aggressività a malapena contenuta, un'abiezione morale che non sfocia mai in overacting e, sul finale, una dignità talmente grande da trasmettere allo spettatore tutta l'umana pietà dovuta a un uomo orrendo, costretto tuttavia a morire in un modo indegno per un essere umano. Sebastian Stan ha il pregio di non aver dato vita a una caricatura di Trump, neppure negli anni iconici in cui Donald lo era già di per sé, offrendo la sua interpretazione del personaggio conservandone atteggiamenti e accento ma senza caricarli né copiare pedissequamente. La cosa che ho apprezzato di più è che sia il film che l'attore rifuggono la critica cieca verso il controverso oggetto della trama. The Apprentice non condona Trump, men che meno Roy Cohn, ed entrambi vengono connotati come persone prive di scrupoli ed estremamente egocentriche, attente solo a ciò che può portare loro vantaggi economici; eppure, qui e là, si percepisce il tentativo di osservare il contesto storico-sociale che ha fatto nascere questi mostri, privandoli di un'umanità di fondo che entrambi dimostrano di aver posseduto, almeno un tempo. Certo, da un cieco seguace di Trump non mi aspetto l'intelligenza di accettare e discutere un'opera così equilibrata, ma The Apprentice è un film che consiglierei sia ai detrattori sia agli amanti dell'attuale presidente USA. A me, onestamente, sono venuti più brividi che davanti a un horror, ma ritengo sia valsa la pena di guardarlo. 


Del regista Ali Abbasi ho già parlato QUI. Sebastian Stan (Donald Trump), Jeremy Strong (Roy Cohn) e Martin Donovan (Fred Trump) li trovate invece ai rispettivi link.

Maria Bakalova interpreta Ivana Trump. Bulgara, la ricordo per film come Borat - Seguito di film cinema, Bodies, Bodies, Bodies, The Guardians of the Galaxy: Holiday Special e Guardiani della Galassia Vol. 3. Anche produttrice, ha 29 anni e tre film in uscita.
 


venerdì 9 maggio 2025

Thunderbolts* (2025)

Era qualche tempo che evitavo i film Marvel al cinema, ma per amore di Florence Pugh domenica sono andata a vedere Tunderbolts*, diretto dal regista Jake Schreier.


Trama: durante una missione per conto di Valentina, Yelena si ritrova costretta a fare fronte comune con altri agenti dalla dubbia moralità, per affrontare una potentissima minaccia...


Come ho scritto sopra, era un po' che non andavo al cinema per vedere un film del MCU. L'ultimo dev'essere stato Thor: Love and Thunder, dopodiché ho deciso di smettere di buttar via soldi, e di sfruttare l'abbonamento condiviso a Disney + per guardare in streaming le ultime oscenità (mi manca solo Captain America: Brave New World ma dicono non mi sia persa nulla) della "casa delle idee". A Thunderbolts* ho dato fiducia principalmente per gli attori. Adoro Florence Pugh e la sua rozza, scoglionata Yelena, in più ci sono David Harbour e Sebastian Stan che sono due gran figonzi, e a una "ragazza" quello basta per essere felice. Nonostante ciò, le mie aspettative erano bassissime, forse per questo Thunderbolts* mi è piaciuto più degli altri film Marvel recenti. Intendiamoci, Thunderbolts* non è il capolavoro che vogliono farvi credere le recensioni entusiaste; è un cinecomic Marvel e, come tale, per un'idea azzeccata dovete sopportare umorismo messo a sproposito, personaggi inconsistenti, CGI non troppo entusiasmante e scene action che potevano essere realizzate meglio, ma se non altro questo film in particolare un po' di cuore ce l'ha. Forse perché parte da antieroi davvero disastrati e, da qui, riesce ad intavolare un discorso non banale sulla depressione, sul vuoto che tanti di noi si portano dentro, sul senso di inutilità che spesso ci accompagna. Tutti i personaggi di Thunderbolts* indossano una corazza di incrollabile "coolness" e pretendono che tutto vada per il meglio, alcuni mentendo agli altri, molti persino a loro stessi; lupi solitari per natura, rifiutano l'aiuto altrui e vanno avanti per la loro strada, cercando di ignorare il vuoto e l'oscurità, aumentandoli così sempre di più. Accettare il passato, per quanto oscuro, non basta più. Serve qualcuno che aiuti a portare il peso, uno scopo che non sia necessariamente "alto", larger than life, ma anche solo la piccola consapevolezza di servire a qualcuno offrendogli magari una spalla su cui piangere e un minimo di empatia che spezzi il circolo vizioso di autodistruzione. Inserire un discorso così "universale" all'interno di un film in cui le persone volano, attraversano muri, fanno esplodere cose, non è banale, considerato anche che Thunderbolts* ha l'ingrato compito di aprire la cosiddetta sesta fase del MCU, con tutte le marchette che conseguono; Gunn lo aveva fatto con molta più eleganza, ma visti i tempi che corrono ci si può accontentare. 


L'operazione funziona, innanzitutto, perché il personaggio principale, Yelena Belova, è affidato a un'attrice come Florence Pugh. La biondissima Florence ci crede, picchia durissimo nelle scene d'azione, si dà agli stunt più spericolati, ma riesce anche a far uscire il lato infantile di Yelena, quello che è morto decenni prima nella "fabbrica" di vedove nere, nonché il mostro terrificante della depressione, che la divora da dentro spegnendo la "luce" che l'ha sempre caratterizzata. Non mi vergogno a dire di aver versato qualche lacrima nel confronto tra Yelena e Alexey; quest'ultimo, interpretato da un David Harbour ingiustamente sfruttato quasi solo come comic relief, riesce a ritagliarsi un paio di sequenze che nobilitano il personaggio, e aiutano quello di Yelena a crescere. Il resto del cast, purtroppo, si barcamena tra alti e bassi. Sebastian Stan e Julia Louis-Dreyfus brillano, soprattutto la seconda, adorabilmente perfida, purtroppo però ci pensano i nepo babies a fare la figura delle oloturie. Wyatt Russell ci prova a dare al suo John Walker un briciolino di oscura follia, ma dovrebbe guardarsi una puntata di Daredevil per capire che ha ancora tanto pane da mangiare prima di riuscirci, mentre Lewis Pullman è sicuramente favorito dall'attenzione messa dagli sceneggiatori nel tratteggiare il suo personaggio, ma funziona solo come Bob, senza avere il carisma necessario per sostenere l'altra faccia di Sentry. Per quanto riguarda la realizzazione, Thunderbolts* ha un paio di idee visive interessanti (peraltro già sfruttate in Moonknight, se non erro) quando la realtà si trasforma in una dimensione da incubo e, anche se le scene d'azione non sono granché esaltanti o memorabili, affossate peraltro dalla solita fotografia bigia per nascondere, probabilmente, le scollature più evidenti di una CGI farlocca, se non altro hanno buon ritmo e lo stesso vale per tutto il film, durante il quale è davvero difficile annoiarsi. O forse no, perché il Bolluomo nella prima parte si è fatto due palle tante, soprattutto per lo sforzo di ricordare chi fosse chi e dove l'avesse già visto. Scherzi a parte, Thunderbolts* è un film per cui potreste anche andare al cinema, senza fare i pigri con lo streaming; in caso, ricordatevi di NON alzarvi fino alla fine dei titoli di coda, perché la seconda scena post credit è molto più importante della prima. 


Di Florence Pugh (Yelena Belova), Sebastian Stan (Bucky Barnes), Julia Louis-Dreyfus (Valentina Allegra de Fontaine), Lewis Pullman (Robert Reynolds), David Harbour (Alexei Shostakov), Wyatt Russell (John Walker), Hannah John-Kamen (Ava Starr), Olga Kurylenko (Antonia Dreykov), Wendell Pierce (deputato Gary) e Violet McGraw (Yelena bambina) ho già parlato ai rispettivi link.

Jake Schreier è il regista della pellicola. Americano, ha diretto episodi di serie come Al nuovo gusto ciliegia e Lo scontro. Anche produttore e attore, ha 43 anni. 


Steven Yeun
era stato scelto per il ruolo di Robert Reynolds/Sentry, ma ha dovuto rinunciare, per impegni pregressi, quando il film è stato posticipato a causa degli scioperi del SAG-AFTRA; per lo stesso motivo, Ayo Edebiri ha rinunciato al ruolo di Mel. Quanto al regista, James Gunn si era detto interessato a dirigere un film sui Thunderbolts dopo aver realizzato Guardiani della Galassia, ma, visto il successo del film, la Marvel ha posticipato il progetto per realizzare i sequel dei guardiani. Quando è arrivato il momento dei Thunderbolts, Gunn aveva già deciso di migrare altrove. Ciò detto, non vi starò a fare il solito listone di film del MCU, solo una lista degli "indispensabili" da vedere per fruire al meglio di Thunderbolts*; innanzitutto, Black Widow, senza il quale non capireste assolutamente nulla dei personaggi principali, poi aggiungerei Captain America – Il primo vendicatoreCaptain America: The Winter Soldier, Ant-Man and the Wasp (prima inserite Ant-Man, così da non arrivare a metà storia) e aggiungete le due serie Falcon and the Winter Soldier e Hawkeye (siete fortunati, sono due tra le più carine). ENJOY!


mercoledì 26 marzo 2025

A Different Man (2024)

Nonostante la vittoria di Sebastian Stan ai Golden Globe e una nomination agli Oscar per il miglior trucco, in Italia è stato distribuito solo la settimana scorsa il film A Different Man, diretto e sceneggiato nel 2024 dal regista Aaron Schimberg.


Trama: Edward, affetto da neurofibromatosi, vive nel disgusto del suo aspetto fisico. Decide quindi di cogliere al volo la possibilità di sottoporsi ad un trattamento sperimentale che, nel giro di qualche tempo, gli restituirà un volto normale, privo dei segni della malattia. Ma non sempre la bellezza si accompagna alla felicità...


La visione di A Different Man mi ha messa davanti alla consapevolezza che la mia memoria, ormai, non vale più una cicca, o mi sarei ricordata dell'esistenza di Adam Pearson, presentatore e attore inglese affetto da neurofibromatosi che avevo già avuto modo di vedere in Under the Skin. Oddio, è anche vero che, forse, avevo voluto proprio dimenticare un film che non mi era granché piaciuto, ma il mio cervello l'ha rimosso a tal punto che credevo la trama imbastita da Aaron Schimberg partisse da un'idea horror come tante. Invece, la neurofibromatosi esiste davvero, chi ne soffre deve convivere ogni giorno col volto sfigurato dalla malattia, e giuro che vorrei avere anche solo un briciolo dello spirito di Adam Pearson, io che nemmeno mi guardo allo specchio dopo la doccia per lo schifo che provo davanti al mio fisico meno che atletico. Il che è un po' il discorso su cui si fonda l'intero concetto di A Different Man, ovvero la disperata fuga da ciò che si è e l'incapacità di migliorare ciò che è in nostro potere cambiare, anche quando le circostanze ci favorirebbero. Edward, il protagonista del film, è un attore affetto da neurofibromatosi. Le sue giornate si alternano tra provini per ruoli adatti al suo volto e un'esistenza solitaria all'interno di uno squallido appartamento. Edward, ogni giorno, cerca di essere invisibile, di non richiamare l'attenzione di altri, neppure quando ne andrebbe della qualità della sua vita, quando avrebbe ogni ragione di lamentarsi. Un giorno, a Edward capita quello che succede nelle favole: una fatina buona, incarnata da un dottore spregiudicato, con un colpo di bacchetta magica (leggi: un dolorosissimo mix sperimentale di medicinali) lo rende bello, anzi, bellissimo. Edward dichiara la morte del suo vecchio io, rinunciando anche ai pochissimi legami che era riuscito a creare, e si costruisce una nuova identità, quella di Guy Moratz. A testimonianza di come la natura profonda di Edward non sia cambiata per nulla, basta già vedere il nome generico che si è scelto,"Guy", e il lavoro anonimo come agente immobiliare, in un ufficio dove il protagonista evita ogni rapporto profondo coi colleghi. 


Le cose precipitano quando Ingrid, ex vicina di casa con velleità di sceneggiatrice, dopo la "morte" di Edward decide di mettere in piedi una produzione off-Broadway basata proprio su di lui. Scoperto lo spettacolo per caso, Guy/Edward fa di tutto per ottenere il ruolo di protagonista, arrivando ad indossare la maschera che i medici avevano modellato sulle sue fattezze prima del trattamento. E' un cortocircuito mentale quello di Edward, la consapevolezza che il suo aspetto "bello" lo rende anche anonimo, un volto nella folla, mentre in precedenza proprio la sua malattia lo distingueva dalla massa, per quanto in negativo. Ancora peggio, Edward viene definito dalla neurofibromatosi nonostante la bellezza ritrovata. Prima, la sua condizione era la scusa per un'esistenza infelice, solitaria e grigia; dopo il trattamento, la malattia diventa un segreto impossibile da rivelare che gli avvelena esistenza e sanità mentale, soprattutto dopo la comparsa di Oswald, a sua volta deturpato dalla neurofibromatosi eppure capace di vivere appieno, trasformando la malattia nella ciliegina sulla torta di una personalità scoppiettante e vivace. Aaron Schimberg racconta dunque la storia di un uomo incapace di affermarsi, a prescindere da quali siano i suoi problemi, un uomo privo di un'ancora a cui appigliarsi per non andare alla deriva, e lo fa coi toni grotteschi di una commedia nera e il linguaggio di un body horror. Purtroppo, parte di quelle fregnacce presenti negli imbarazzanti video (de)motivazionali interpretati da Edward sono vere, già solo la vista degli effetti devastanti della neurofibromatosi sconvolgono la nostra percezione di "normale"; inoltre, il fatto che chi è affetto dalla malattia sia nato "sano" e poi abbia perso il controllo del proprio corpo, è la base fondamentale di ogni body horror che si rispetti. Dopo aver visto il film, mi rendo conto che solo The Substance avrebbe potuto battere gli effetti speciali di A Different Man, ma è davvero una bella lotta, visto che sia il trucco prostetico di Edward che i terrificanti step della sua trasformazione in Guy, forniscono materiale da incubo. 


Un'altra caratteristica che rende A Different Man uno dei film più originali e, a parer mio, migliori dell'anno scorso, è la presenza di ottimi attori. Sebastian Stan prosegue nella sua carriera di belloccio in cerca di ruoli che non lo definiscano solo per il suo aspetto (in questo, è assai simile a Dan Stevens, che però ha scelto un percorso ancora più weird) ed è perciò l'interprete perfetto per Edward. Dopo la trasformazione, infatti, sembra quasi che il protagonista sia diventato bello "suo malgrado", e conserva la postura goffa e timida, nonché lo sguardo ferito, che lo caratterizzava prima della sua guarigione, al punto che non si potrebbe mai definirlo "figo". Renate Reinsve continua invece a confermarsi "la persona peggiore del mondo", con un giusto mix di fascino e crudele incostanza che, inevitabilmente, inghiotte tutte le personalità deboli ed insicure, come quelle del protagonista. Un'ambivalenza simile, di attrazione e rifiuto, l'ho provata anche verso il personaggio interpretato da Adam Pearson, e non per il suo aspetto fisico ma perché, molto intelligentemente, la sceneggiatura di Schimberg lo tratteggia come un vincente logorroico e, nonostante Edward non sia perfetto, inevitabilmente adottiamo il punto di vista del protagonista; razionalmente, ammiro Oswald perché ammiro Adam Pearson, ma lasciandomi coinvolgere da ciò che vede e sente Edward, è inevitabile arrivare a percepirlo come un vanesio rompicoglioni e a provare rabbia per la "facilità" con la quale è in grado di vivere bene, a differenza di Edward. Potenza del cinema, con tutto il rispetto per Pearson, ovviamente. Anche per questo motivo, ritengo che A Different Man sia uno dei film migliori presentati agli Oscar di quest'anno, ed è davvero un peccato che non abbia avuto maggior successo durante la Awards Season e, conseguentemente, che sia uscito al cinema in Italia senza la spinta di un'eventuale corsa ai recuperi prima della premiazione. Datemi retta e correte a vederlo, prima che lo tolgano dalle sale, soprattutto se avete la fortuna di averlo proiettato in lingua originale, perché l'accento di Pearson è spettacolare! 



Di Sebastian Stan (Edward), Charlie Korsmo (Ron Belcher) e Michael Shannon (Michael Shannon) ho parlato ai rispettivi link.

Aaron Schimberg è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, anche produttore, ha diretto altri due film, Go Down Death e Chained for Life


Renate Reinsve
, che interpreta Ingrid, era la protagonista de La persona peggiore del mondo. Non avrei scritto quanto segue se non mi fossi detta "ma dai, questo bancone, questa inquadratura, mi sembra di averle già viste": la scena del bar in cui Edward osserva Oswald ed Ingrid è stata girata nello stesso locale visto in Past Lives e, addirittura, Edward è seduto dov'era seduta Nora. Se vi fosse piaciuto A Different Man recuperate The Elephant Man, The Substance e Apri gli occhi. ENJOY! 

martedì 7 gennaio 2025

Golden Globes 2025

Ieri sono stati assegnati i Golden Globes, ma siccome era la Befana, ho passato la giornata in famiglia, a mangiare come se non ci fosse un domani e a perdere a Scala 40 con papà. Dei premi parliamo dunque oggi, con la tradizionale, ignorantissima disamina! 


Miglior film drammatico
The Brutalist
(USA/UK/Canada, 2024)

Non ho mai visto un trailer, mai una foto spoiler, non so nemmeno di cosa parli questo film che si è preso ben tre Golden Globes. L'unica certezza è che parrebbe un film imperdibile, che dura più di tre ore e che, in Italia, uscirà il 23 gennaio. Attenderò fiduciosa, che vi devo dire.


Miglior regista
Brady Corbet per The Brutalist

Di Corbet avevo visto solo Vox Lux, affascinante ma non particolarmente entusiasmante, né memorabile, quindi sono decisamente curiosa di capire cosa abbia fatto di così favoloso dietro la macchina da presa. Avendo visto solo Conclave e The Substance, tra i film candidati per la categoria,  non posso fare altro che fidarmi e aspettare.

Miglior film - Musical o commedia
Emilia Pérez
(Francia/Belgio/Messico, 2024)

Sono, ovviamente, dispiaciutissima per The Substance, ma ho sentito dire solo cose belle su Emilia Pérez e, in effetti, il trailer visto prima di Maria mi ha invogliata parecchio. Tra qualche giorno, sempre che la distribuzione savonese mi venga in aiuto, capirò come mai la giuria ne è rimasta conquistata.


Miglior attore protagonista in un film drammatico
Adrien Brody in The Brutalist

Tra i candidati ho visto "in azione" solo Ralph Fiennes, il quale mi ha entusiasmata poco, anche in virtù di un doppiaggio poco ispirato. Adrien Brody è un attore che ho sempre amato tantissimo, quindi ho molte aspettative! 

Miglior attore non protagonista
Kieran Culkin in A Real Pain

Affronto questa categoria in totale ignoranza ma sono felice per Kieran, anche se continuo a preferirgli il fratello Rory. A Real Pain, tra l'altro, è uno di quei film che aspetto tantissimo, purtroppo in Italia arriverà solo il 27 febbraio, giusto in tempo per gli Oscar.

Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Fernanda Torres in Io sono ancora qui

Non conosco la Torres, non ho assolutamente idea di cosa parli Io sono ancora qui, mi dispiace moltissimo per la Jolie, che in Maria mi ha fatto venire i brividi. Anche in questo caso, non resta che attendere il 30 gennaio, giorno dell'uscita italiana del film.

Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
Sebastian Stan in A Different Man

Benché io sia molto dispiaciuta per Hugh Grant e Jesse Plemons, entrambi favolosi, ho sempre amato Sebastian Stan e A Different Man è un film che mi incuriosisce tantissimo. Purtroppo, il film uscirà solo il 20 marzo. Per fortuna, prepararsi in tempo per gli Oscar è comunque possibile. 

Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Demi Moore in The Substance

E qui, la notizia mi ha fatta saltellare di gioia, perché l'interpretazione della Moore è splendida, sicuramente una favolosa rinascita per un'attrice che aveva perso molto del suo smalto e stava scomparendo in film bruttarelli. Spero che il premio coincida davvero con una ripresa, se lo meriterebbe!


Miglior attrice non protagonista
Zoe Saldana in Emilia Pérez

Niente male per un'attrice che, finora, aveva legato il suo nome alla bellezza e all'atleticità surreali di personaggi celati da trucco oppure effetti speciali. Mi spiace per la Qualley ma è giovane e sulla cresta dell'onda, avrà molto tempo per rifarsi! 

Miglior sceneggiatura
Peter Straughan per Conclave

Giuro che non capisco l'entusiasmo. Conclave, di cui parlerò nei prossimi giorni, è un thriller religioso molto all'acqua di rose, obiettivamente perfetto per un pubblico anglofono, ma già solo The Substance (l'unico altro film visto tra i candidati) era molto più fantasioso e particolare. Mah. 


Miglior canzone originale
"El Mal" di Clément Ducol, Jacques Audiard e Camille per Emilia Pérez

Mi fido dei giurati, visto che non conosco neppure una delle canzoni in gara.

Miglior colonna sonora originale
Challengers di Trent Reznor e Atticus Ross

Cosa avevo scritto il 3 maggio 2024? "La struttura stessa del film è quella di una partita a tennis, cadenzata dalla truzzissima colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross (so che tanti l'hanno odiata, io l'ho adorata, non riuscivo a smettere di andare a tempo con la testa)". Amore batte odio 15 a 0!


Miglior cartone animato
Flow
(Straume - Lettonia/Belgio/Francia, 2024)

E io bestemmio, ché Flow lo hanno tenuto pochissimi giorni a orari per bambini, col risultato che non sono potuta andare al cinema a vederlo. Mi si spezza davvero il cuore, perché come posso essermi persa un film avente per protagonista un micino nero?

Miglior film straniero
Emilia Pérez
(Francia/Belgio/Messico, 2024)

Continuo a non capire il motivo di premiare lo stesso film per due categorie simili, ma, non conoscendo le altre opere in gara, me ne sto sulla fiducia. 

Cinematic and Box Office Achievement
Wicked
(USA, 2024)

L'anno scorso questo contentino era andato a Barbie, quest'anno a un altro film che avrebbe dovuto fare sfracelli, ovvero Wicked. Contentino per contentino, lo avrei dato a Il robot selvaggio, che non ho ancora visto ma mi si dice essere bellissimo.


Come al solito, anche con le serie TV vado FORTISSIMA!! Sono preparata solo sul premio a Jodie Foster come Miglior Attrice in una Serie Limitata, Antologica o Film TV per la serie True Detective Night County. Per il resto, mi limito a segnarmi un improbabile recupero di Shogun, Baby Reindeer e Hacks, le serie che hanno ottenuto più premi. La award season tornerà in occasione del consueto riassuntone degli Oscar, il 3 marzo! ENJOY!

martedì 26 aprile 2022

Fresh (2022)

Lo aspettavo da qualche mese e alla fine è approdato su Disney + il simpatico Fresh, diretto dalla regista Mimi Cave. Hic sunt spoiler, per forza di cose. 


Trama: Noa, single abbonata a incontri on line disastrosi, si "scontra" con il bel Steve al supermercato e si convince di avere trovato l'uomo dei suoi sogni. Peccato che Steve nasconda un segreto...


Fresh
è una "simpatica" e fresca, per l'appunto, pellicola horror dalle molteplici anime e dalla realizzazione scoppiettante. E' anche uno di quei film che, pur essendo lineari e comprensibili che più non si può, ho avuto difficoltà a capire dove andasse a parare e per questo ho concluso la visione non trovandolo riuscito come mi sarei aspettata, nonostante mi sia divertita parecchio guardandolo. Il motivo è presto detto. Durante la visione gli echi di Promising Young Woman erano a dir poco fortissimi, ma mentre il film della Fennel è coerente e centrato dall'inizio alla fine, quello di Mimi Cave, sceneggiato tra l'altro da una donna, perde spesso di vista l'oggetto della sua critica, SE ce n'è uno. Di sicuro, infatti, Fresh (come Promising Young Woman) si diverte a smontare i cliché della commedia romantica e a sfruttarli per creare una storia horror, al limite dell'exploitation, tanto che i titoli di testa arrivano quando la realtà viene rivelata per quello che è agli occhi di Noa; tutto ciò che viene prima è una ilusion en el pensamiento di una ragazza che crede ormai poco nell'amore, che ha avuto troppe esperienze imbarazzanti nel corso di svariati appuntamenti on line, e che incontra per caso il bel Steve al supermercato, decidendo di dargli una chance in virtù del suo essere bello, intelligente, simpatico, dolce. Noa per una volta si butta, ci va a letto al primo appuntamento, al secondo accetta di andare via con lui per un weekend, nonostante la perplessità della migliore amica, e nel giro di mezza giornata si ritrova drogata e legata in un seminterrato, dove un sorridente Steve le scodella il suo destino di diventare fonte di carne femminile per ricchi cannibali. E' qui che la storia diventa incredibilmente semplice ma anche fonte di perplessità.


Ovviamente, una volta scoperta la natura di Steve, Noa ha solo uno scopo nella vita: scappare e sopravvivere. Anche questo aspetto del film, in realtà, è interessante. Fregata dai cliché dell'amore, Noa arriva a sfruttarli per fregare a sua volta Steve, abbracciando consapevolmente l'ideale di miliardi di fanfiction, romanzetti rosa, filmacci a tema dove la donna accetta tutti gli orribili difetti dell'uomo (se poi è malvagio, ancora meglio) e cerca di cambiarlo per aMMore; se qualcuno ha detto Cinquanta sfumature di grigio qualcun altro potrebbe rilanciare con Twilight, giusto per fare due esempi recenti e molto conosciuti, ma io potrei cospargermi il capo di cenere e parlare di quanto batticuore avevo ai tempi davanti alla tossicità del legame tra Phoebe e Cole in Streghe, quindi ognuno ha le sue croci, signori/e. Vergognose confessioni a parte, è ovvio che Steve ci caschi, d'altronde le donne sono state cresciute con questi sogni mostruosamente proibiti, e chi è lui per non alimentare il suo ego o collezionare cagnolini fedeli? Fresh è dunque un film che ne ha un po' per tutti, a livello di nera ironia, e ha molti assi nella manica da trasformare in situazioni da incubo che noi amanti dell'horror conosciamo bene e che, ripulite ed addolcite nell'"aspetto", vengono date in pasto anche a chi solitamente non mastica questi piatti... tuttavia, davanti a tutti i ragionamenti di cui sopra, ancora mi chiedo "chi" andrebbe a colpire la critica del film, se ce n'è una. Quelle donne che tanto solitarie non sono e che cadono come babbee in tranelli facilmente evitabili se solo imparassero di più a vivere per loro stesse? Quegli uomini manipolatori per cui le donne sono solo dei "piatti" da consumare, prendendone le parti migliori e lasciando in cambio dei relitti privi di vita? Oppure Fresh è solo una supercazzola al profumo di satanismo, un preambolo pronto a diventare serie TV o franchise di successo?


Al di là delle domande di una spettatrice che ormai è una scassapalle da primato, confermo la godibilità e l'eleganza di Fresh. Il film è concepito come una commedia rosa anche a livello di immagini e colonna sonora (anche in questo è molto simile a Promising Young Woman, a livello di concetto, e anche qui sono importantissimi i costumi e gli accessori), e la dissonanza con gli aspetti horror della pellicola rende questi ultimi ancora più efficaci; Fresh non mostra, non segue i cliché tipici del torture porn né a livello di regia né tanto meno di scenografia o fotografia, e a mio avviso risulta così ancora più inquietante per la professionalità, l'eleganza e la normalità del male che arriva a travolgere Noa, per l'orrore sotteso che viene lasciato all'immaginazione (e che io trovo ancora più angosciante di una splatterata palese). E poi, ovviamente, c'è l'alchimia perfetta dei due protagonisti. Sebastian Stan si riconferma un attore poliedrico e capace, oltre che un gnocco da primato, e vorrei capire con che coraggio viene definito pessimo solo in virtù della sua partecipazione ai film Marvel, visto che il suo talento è stato confermato in più occasioni (fossi in voi guarderei Tonya e Pam & Tommy poi mi sciacquerei un po' la bocca, dai) e qui, come dream man e psicopatico, dà letteralmente il bianco strappando alternativamente brividi e risate, mentre Daisy Edgar-Jones, che io non conoscevo, ha il volto perfetto per le commedie rosa indipendenti e tiene testa al bel Sebastian per tutta la durata del film. In conclusione, se avete un abbonamento a Disney + recuperate il film di Mimi Cave, sia che vi piaccia l'horror sia che abbiate uno stomaco debole, perché Fresh ha le potenzialità per risultare gradevole a tutti!


Di Sebastian Stan, che interpreta Steve, ho già parlato QUI.

Mimi Cave è la regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americana, è anche sceneggiatrice e produttrice. 


Se vi fosse piaciuto Fresh recuperate Una donna promettente e Scappa - Get Out. ENJOY!

martedì 29 settembre 2020

Le strade del male (2020)

Non ho ancora trovato il coraggio di guardare Sto pensando di finirla qui e la gioia di avere Lupin The First su Amazon Prime Video si è infranta contro la presenza del solo audio italiano (va bene, mi avete convinto, compro il BluRay a scatola chiusa piuttosto che strapparmi le orecchie con il nuovo, orribile doppiaggio!) quindi ho deciso di tentare Le strade del male (The Devil All the Time), diretto e co-sceneggiato dal regista Antonio Campos a partire dal romanzo omonimo di Donald Ray Pollock.


Trama: nella provincia americana del primo dopoguerra si incrociano i destini di mezza dozzina di persone perseguitate dalla sfortuna, ossessionate dalla fede e in generale afflitte da un destino sanguinoso.


A dimostrazione del fatto che in questo periodo sono completamente avulsa dal mondo cinèfilo che conta, de Le strade del male non sapevo nulla di nulla, a malapena ero consapevole del fatto che ci fosse Tom Holland come attore principale ma a dire il vero credevo si trattasse di un horror. Trattasi invece di southern gothic, dove l'orrore esiste, certo, ma è intrinsecamente legato a una società superstiziosa e corrotta, dominata in parte da Dio (e dall'ossessiva ricerca della sua benevolenza, qualcosa che spesso sconfina nella follia religiosa) e in parte da uomini violenti, pericolosi e senza scrupoli, là dove le donne "fortunate" possono ambire ad essere mogli e madri amate ma niente di più, mentre per quelle sfortunate l'unico destino è una vita misera probabilmente conclusa con una morte violenta. All'interno della provincia rurale americana post- seconda guerra mondiale si intrecciano dunque le vicende di svariati personaggi, in un alternarsi di diversi piani temporali: il protagonista principale è Arvin Russell, ragazzo di cui seguiamo la vita dall'infanzia dominata dal padre religioso e violento fino ad arrivare a una faticosa maturità come orfano e "fratellastro" di una ragazza complessata e tristemente piegata, anche lei, dalla religione, e attorno a lui gravitano altre povere anime identificabili in una coppia di serial killer, un poliziotto corrotto, un predicatore lussurioso e un altro predicatore completamente pazzo. Come ho scritto su, i destini di tutti questi personaggi arrivano a incrociarsi tra passato e presente, accompagnati dalla voce narrante di Donald Ray Pollock, a tratti caustica e spesso amaramente ironica, come se trovasse assai divertente farsi beffe delle illusioni di esseri dannati fin dal principio, all'interno di una struttura circolare in cui tutto torna sul finale e che ha molto del noir. Non è sempre facile seguire queste vicende, dilatate in più di due ore di film all'interno delle quali la sceneggiatura pare spesso perdersi in dettagli insignificanti, pesantezze varie e squilibri (non ho letto il romanzo ma la vicenda dei due serial killer mi pare preponderante al suo interno mentre qui ha un'utilità pari a zero o quasi, e sembrerebbe quasi una nota di colore aggiunta per sconvolgere ancor più lo spettatore), eppure il risultato è interessante e talvolta inaspettato, soprattutto se si pensa agli attori coinvolti.


Abituati a vedere Tom Holland nei panni dell'amichevole Uomo Ragno di quartiere, fa piacere notare l'impegno profuso dal fanciullo nello scrollarsi di dosso facili etichette e spingersi ad indossare le vesti di un personaggio con cui non è facile empatizzare, nonostante il carico di sfiga che si porta appresso. Arvin è infatti un ragazzo privo di qualità, un animaletto preso in trappola che cerca di sopravvivere e di tenersi stretto quel poco che la vita gli ha dato, in primis la sorellastra Lenora, ma che per il resto nasconde il proprio nucleo dagli occhi dello spettatore, che arriva a volergli bene quasi per reazione all'odio smisurato verso la maggior parte dei comprimari, papà Willard compreso (il cui dolore e la cui follia sono comprensibili ma, insomma, certe scene spezzano il cuore). Tom Holland affronta dunque tutto il film compreso in una furia e una disperazione intensi, inusuali per l'attore, che può così tenere testa a un Robert Pattinson meravigliosamente leppego, al solito, inquietantissimo Bill Skarsgård e all'altro campione di laidità del film, un Jason Clarke che fa venire voglia di togliersi la pelle di dosso dallo schifo; complimenti vivissimi anche all'ex Dudley Dursley, Harry Melling, il cui sguardo spiritato è perfetto per il ruolo di predicatore invasato, e anche all'irriconoscibile Sebastian Stan, altro membro della scuderia Marvel capace di un gradevolissimo trasformismo. E il cast femminile? Come ho scritto più su, le donne de Le strade del male sono l'equivalente di accessori soggetti al volere di Dio o dell'uomo e ciò comporta uno spreco di talenti come quello di Mia Wasikowska o Haley Bennett, mentre Riley Keough ed Eliza Scanlen si difendono come possono nel tempo che viene loro concesso. In definitiva, Le strade del male è un ibrido strano ed inusuale per il catalogo Netflix, che probabilmente non incontrerà il gusto di un buon numero di utenti della piattaforma ma che a me è comunque piaciuto, nonostante alcuni difetti. Il mio consiglio è quello di recuperarlo, possibilmente a mente fresca. 


Di Robert Pattinson (Reverendo Preston Teagardin), Haley Bennett (Charlotte Russell), Tom Holland (Arvin Russell), Bill Skarsgård (Willard Russell), Riley Keough (Sandy Henderson), Mia Wasikowska (Helen Hatton), Sebastian Stan (Lee Bodecker) e Jason Clarke (Carl Henderson) ho parlato ai rispettivi link. 

Antonio Campos è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Afterschool e Christine. Anche produttore e attore, ha 37 anni.


Harry Melling interpreta Roy Laferty. Inglese, famoso per il ruolo di Dudley Dursley nella saga cinematografica di Harry Potter, ha partecipato a film come Edison - L'uomo che illuminò il mondo e La ballata di Buster Scruggs. Ha 31 anni e due film in uscita. 


Eliza Scanlen, che interpreta Lenora, era la Beth di Piccole donne. Chris Evans avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Lee Bodecker ma ha dovuto rinunciare perché impegnato in altri lavori. Se il film vi fosse piaciuto recuperate Frailty - Nessuno è al sicuro, Hell or High Water (su Netflix), Prisoners (su Chili e altre piattaforme simili) e Non è un paese per vecchi (su Amazon Prime Video). ENJOY!

venerdì 1 giugno 2018

La truffa dei Logan (2017)

Ieri è uscito in Italia La truffa dei Logan (Logan Lucky), diretto nel 2017 dal regista Steven Soderbergh. Siccome ne ho letto bene un po' ovunque ho deciso di dargli una chance...


Trama: dopo essere stato licenziato, Jimmy Logan decide di tentare un furto alla Charlotte Motor Speedway durante una delle corse più importanti dell'anno, affiancato dai fratelli e da altri peculiari figuri, in barba alla famigerata "sfortuna" dei Logan...



Avevo un po' lasciato perdere Soderbergh dopo aver visto l'ammorbante Knockout - Resa dei conti e più che La truffa mi sarei aspettata quindi La FUFFA dei Logan, motivo che mi ha spinta a non recuperare subito il film in questione nonostante fosse disponibile da mesi in rete. Poi hanno cominciato a proiettare i trailer al cinema e, nonostante la solita imbecillità del titolo italiano che ignora la sottotrama per cui i Logan avrebbero delle enormi botte di sfiga proprio quando tutto per loro comincia a girare bene, mi sono fatta attirare dall'immagine di un Daniel Craig tatuato e ossigenato e mi sono gettata nella visione. Il motivo per cui La truffa dei Logan andrebbe snobbato al cinema e visto in lingua originale non appena disponibile in DVD, Bluray o streaming legale, è la sua natura di "Ocean's Seven-Eleven", radicato in quel West Virginia magnificato nella canzone di John Denver dove gli abitanti sono grezzi e "provinciali", a voler far loro un complimento (altrimenti si può utilizzare il raffinato termine "Hillbilly", più calzante); tra una canzone folk e un concorso di bellezza alla Little Miss Sunshine, tra signore in viola e birra, tra delinquentelli di campagna e lavoratori precari, si dipana la trama di questo heist movie che manca della raffinatezza, per l'appunto, di un Ocean's Eleven ma non della suo sottile umorismo o della capacità di avvincere il pubblico. A onor del vero, ci vuole un po' prima di affezionarsi a Jimmy e ai suoi compari, perché la costruzione dei personaggi è assai simile a quella di un film dei Coen, con protagonisti malinconici e un po' stundai affiancati da spalle mai abbastanza weird o strabordanti da riuscire a colpire subito l'attenzione dello spettatore. Anche Clyde e Joe Bang, gli unici che spiccherebbero per le loro peculiarità fisiche o per lo "stile", sono infatti figure che vanno "fatte decantare" e che acquistano spessore man mano che il film procede, mai troppo esagerate, perfettamente amalgamate all'interno di quest'opera corale dove chiunque ha una sua importanza fondamentale, anche il personaggio apparentemente più inutile. Come raramente accade in questo genere di pellicole, il piano che porta al furto è plausibile e logico, non richiede personaggi con abilità fuori dal comune, ed è perfettamente inserito all'interno di una realtà che più USA non si può, quella delle corse NASCAR, che ogni anno inchiodano davanti allo schermo milioni di americani e che sono delle istituzioni intoccabili (non a caso, Jack e il fratello alla fine sono sconvolti all'idea di profanare una simile icona americana!).


Per quanto mi riguarda, l'unica cosa che non ho apprezzato troppo è proprio la location del furto, che sicuramente ha consentito a Soderbergh di sfoggiare la sua abilità di regista  ma mi ha anche costretta a "subire" una paio di giri di pista in auto (se c'è una cosa che non sopporto è la Formula 1 e qualunque cosa le somigli anche solo vagamente...), e per fortuna le sequenze incriminate sono poche, degnamente surclassate da una delle evasioni più esilaranti della storia del cinema e persino da un momento di commozione in cui la canzone Country Road la fa da padrone. Ma a parte tutto, ciò che mi ha stupita di La truffa dei Logan sono gli interpreti, anche perché sia Channing Tatum che Adam Driver non rientrano nel novero dei miei preferiti, invece qui danno veramente il bianco. Zoppo, barbuto e appesantito, addosso a Jimmy Logan persino la monoespressività di Channing Tatum diventa funzionale e si annulla nella generale rappresentazione del personaggio, mentre con la sua naturale bruttezza e l'aria di chi non capisce mai quello che gli sta succedendo, Adam Driver è meglio come loser senza braccio (anzi, senza mano e avambraccio) piuttosto che come malvagio intergalattico. Detto questo, anche il resto del cast è validissimo. Daniel Craig, col capello ossigenato e ricoperto di tatuaggi, è meraviglioso come avevo sperato guardando il trailer e in mezzo a tutto il cucuzzaro di attori più o meno riconoscibili, "mascherati" come sono da bifolchi, spunta persino Seth McFarlane, impegnato nell'offrire al pubblico il suo strepitoso accento british con un personaggio che avrei visto benissimo indosso ad Andy Nyman. L'unica domanda che mi pongo, alla fine del film, è: ma perché una volta Hilary Swank era una delle attrici più quotate del mondo e adesso si limita a fare delle comparsate che a momenti non accetterebbero nemmeno dei caratteristi? Mah, mistero della fede! Comunque datemi retta, recuperate La truffa dei Logan perché è molto ben fatto e divertente.


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Channing Tatum (Jimmy Logan), Riley Keough (Mellie Logan), Katie Holmes (Bobbie Joe Chapman), Adam Driver (Clyde Logan), Seth McFarlane (Max Chilblain), Daniel Craig (Joe Bang), Brian Gleeson (Sam Bang), Katherine Waterston (Sylvia Harrison), Sebastian Stan (Dayton White) e Hilary Swank (Agente Speciale Sarah Grayson) li trovate invece ai rispettivi link.

David Denman interpreta Moody Chapman. Americano, ha partecipato a film come Big Fish - Le storie di una vita incredibile, Chiamata da uno sconosciuto, Shutter - Ombre dal passato, Regali da uno sconosciuto - The Gift e serie quali E.R. - Medici in prima linea, Jarod il camaleonte, X-Files, CSI: Miami, Angel, Senza traccia, Bones, Grey's Anatomy, Due uomini e mezzo, True Detective e Outcast. Ha 45 anni.


Jack Quaid interpreta Fish Bang. Americano, ha partecipato a film come Hunger Games, Hunger Games: La ragazza di fuoco e Tragedy Girls. Anche sceneggiatore e produttore, ha 26 anni e un film in uscita, inoltre interpreterà Hughie nell'imminente serie The Boys.


Michael Shannon e Matt Damon erano entrati a far parte del cast ma hanno entrambi dovuto rinunciare perché impegnati in altri progetti. Detto questo, se La truffa dei Logan vi fosse piaciuto recuperate Ocean's Eleven e i suoi sequel! ENJOY!

venerdì 30 marzo 2018

Tonya (2017)

E' uscito ieri in Italia Tonya (I, Tonya), diretto nel 2017 dal regista Craig Gillespie e vincitore di un premio Oscar finito ad Allison Janney come Migliore Attrice Non Protagonista.


Trama: il film racconta la vita sregolata di Tonya Harding, dagli esordi sulla pista di pattinaggio come bambina prodigio allo scandalo delle Olimpiadi del 1994, che l'ha vista coinvolta nell'incidente accorso all'avversaria Nancy Kerrigan.



Un genere di film che detesto è quello "sportivo", solitamente imperniato sulla brillante carriera di una stellina (vera o inventata, dipende) che ha trovato nello sport un modo per riscattarsi da una vita ingrata, assurgendo a modello per chiunque dopo anni e anni di duri allenamenti e sacrifici. A Tonya mi sono però avvicinata con fiducia, non solo per le tre nomination che lo infilavano di diritto nel novero dei film "da vedere" ma anche perché si parlava di uno scandalo che ha concluso la carriera della giovane pattinatrice, allontanando di prepotenza la pellicola da qualsiasi retorica sportiva (lo so, sono una stronza cinica). Quello che non mi sarei aspettata, però, era di trovarmi davanti un film drammatico ma anche esilarante, zeppo di caustica ironia e personaggi inattendibili che non ricostruiscono LA storia, bensì una versione della stessa filtrata dal loro punto di vista, al punto che lo spettatore arriva a chiedersi spesso chi sia la Tonya così fiera di mettere un Io davanti al nome proprio nel titolo originale. Indubbiamente, quello di Tonya Harding è un carattere temprato fin dalla più tenera età: nel corso del film vediamo come la madre LaVona abbia praticamente abbandonato la figlioletta sulle piste di pattinaggio sul ghiaccio, ricoprendola senza tregua con "amorevoli" insulti, schiaffi e sguardi di biasimo, insomma tutto ciò che potesse trasformare una piccola appassionata in una bambina prodigio colma di fiducia nelle proprie capacità atletiche ma assolutamente impreparata ad affrontare l'esistenza una volta tolti i pattini. Nello sport Tonya è incapace di trovare riscatto da una famiglia disfunzionale che l'ha condannata ad essere per sempre feccia ignorante e si ritrova così a cercare conforto, giovanissima, tra le braccia di un bifolco come lei, quel Jeff Gillooley clueless ma violento che è la quintessenza del white trash americano e col quale l'atleta avrà per anni un rapporto contrastato di mutua dipendenza che sfocerà persino in un matrimonio; proprio la stupidità incurabile di Gillooley e del suo pari, il disgustoso e folle Shawn, condanneranno Tonya all'oblio nel momento esatto in cui la ragazza sarebbe stata pronta ad acciuffare la gloria dell'oro olimpico, tenuta lontana da anni di eccessi.


Date le premesse  e gli eventi non certo allegri che l'hanno caratterizzata, la vita di Tonya Harding avrebbe  potuto venire tradotta in maniera patetica, sottolineando l'infinita serie di abusi fisici e mentali ai quali la ragazza è stata costretta a sottostare, ma Craig Gillespie e lo sceneggiatore Steven Rogers hanno scelto un'altra via e, oltre a sottolineare il lato ridicolo di una vicenda assai drammatica, hanno "sfidato" lo spettatore a trovare da solo un'eventuale simpatia per un personaggio che non ne cerca e, forse, non ne ha bisogno. A prescindere dalla teppaglia che la circonda, è infatti la stessa Tonya ad essere lamentosa ed incapace ad assumersi le proprie responsabilità ("Non è stata colpa mia" è la sua catchphrase per l'intero film ma ce n'è anche per l'audience di allora, accusata di averla trasformata in fenomeno da baraccone, e ovviamente per quella di oggi) oltre che incredibilmente testarda e in qualche modo orgogliosa delle sue origini proletarie, che fin dall'inizio l'hanno resa un outsider in un mondo fatto di signorine raffinate dove l'apparenza conta quanto l'abilità tecnica e dove, purtroppo, se non hai soldi né sponsor fai davvero poca strada; nel corso del film le interviste ai personaggi coinvolti nell'"incidente" di Nancy Kerrigan (assai simili a quelle reali, mostrate nei titoli di coda) si alternano senza soluzione di continuità ad attori che bucano la quarta parete e si rivolgono direttamente allo spettatore, commentando con cinica ironia molti degli avvenimenti oppure contraddicendo sfacciatamente quanto sta accadendo sullo schermo, lasciando il pubblico incredulo, divertito e a tratti sgomento davanti a tanta pochezza. All'interno del quartetto di attori principali spiccano Margot Robbie, atletica e grintosa ma anche terribilmente squallida, e una Allison Janney mostruosamente glaciale, ma la strana coppia Sebastian Stan/Paul Walter Hauser tocca altissimi vertici di sciocca depravazione e soprattutto Hauser passa nel giro di poche sequenze dall'essere patetica figura di sfondo a psicotico deus ex machina dell'intera, delirante operazione atta ad intimorire la Kerrigan: l'intervista sul finale è angosciante e mette una tristezza infinita, non tanto per lui quanto per la Harding che si è ritrovata vittima di un marito imbecille ed incapace di capire la portata della demenza dell'amico di sempre... sempre che, in realtà, la giovane non fosse consapevole fin dall'inizio di quello che sarebbe successo alla rivale. Questo, ovviamente, Tonya non lo dice (ci sono state condanne per tutti, Harding compresa, ma siccome i coinvolti si accusavano a vicenda le reali responsabilità non sono mai state interamente chiarite...) ma poco importa, anzi, perché lasciare il dubbio allo spettatore rende ancora più interessante il film ed ambigui i suoi protagonisti, ora ben lontani dai "fasti" di una fama giunta non grazie ad uno storico triplo axel, bensì ad una sbarra di ferro.


Del regista Craig Gillespie ho già parlato QUI. Margot Robbie (Tonya Harding), Sebastian Stan (Jeff Gillooley), Allison Janney (LaVona Golden), Julianne Nicholson (Diane Rawlinson) e Bobby Cannavale (Martin Maddox) li trovate invece ai rispettivi link.

Mckenna Grace interpreta Tonya da ragazzina. Americana, ha partecipato a film come Frankenstein, Amityville - Il risveglio, Ready Player One e a serie quali CSI - Scena del crimine, The Vampire Diaries e C'era una volta. Ha 12 anni e un film in uscita, The Bad Seed.


Se Tonya vi fosse piaciuto potete cercare il documentario The Price of Gold, episodio della serie 30 for 30 dedicato proprio al caso Harding e aggiungete Rocky IV (omaggiato nel film) e Da morire, che Gillespie ha citato come fonte di ispirazione per la struttura di Tonya. ENJOY!

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