Visualizzazione post con etichetta sienna miller. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sienna miller. Mostra tutti i post

venerdì 12 luglio 2024

Horizon: An American Saga - Capitolo 1 (2024)

Lo scorso venerdì ho trascinato il povero Bolluomo al cinema per vedere Horizon: An American Saga - Capitolo 1 (Horizon: An American Saga - Chapter 1), il mastodonte di tre ore diretto e co-sceneggiato da Kevin Costner.


Trama: a partire dal 1859, i destini di diverse persone si legano a Horizon, città di frontiera dell'Arizona, terra contesa tra coloni e Apache...


Da che mondo e mondo, io di western non so veramente nulla. Tuttavia, sono anche una bimba degli anni '80 e sono cresciuta con Kevin Costner e i suoi successi del decennio successivo, quindi un po' gli voglio bene, inoltre mi aveva incuriosita l'idea che tenesse così tanto a portare Horizon su grande schermo da arrivare persino a indebitarsi. Sono dunque andata al cinema colma di curiosità ma senza aspettarmi granché, e adesso mi ritrovo qui con una scimmia colossale, che mi saltella impaziente sulla schiena continuando a chiedermi "quando arriva agosto?" e che sbraita terrorizzata all'idea che il multisala chiuda per ferie proprio in quei giorni, impedendomi di sapere come continuerà la saga imbastita in questo primo capitolo di Horizon. Per scrivere un post imparziale e corretto sulla fatica di Kevin Costner dovrò dunque, innanzitutto, sedare la scimmia ricordandole che non si può giudicare un libro dalla copertina (o meglio, dalla prima parte di una saga potenzialmente divisa in quattro) e secondariamente che sono la persona meno adatta per parlare di western. Ne avrò visti un paio in tutta la mia vita, per di più contaminati con lo "spaghetti", non conosco minimamente i numi tutelari del genere come John Ford, di conseguenza non ho gli strumenti necessari per ritrovare la poetica tipica del genere all'interno del film di Costner o per capire eventuali omaggi tributati dal regista. Ciò nonostante, divoro libri e romanzi da quando ho memoria, ho una passione per le saghe zeppe di personaggi che si evolvono nel tempo e i cui destini si intrecciano (poi mi spiegherete perché faccio così fatica con quelle schifezze scritte da Martin, ma questa è un'altra faccenda...) e, mio malgrado, qualcosa nella storia dell'America, Paese che pur disprezzo, mi ha sempre affascinata. Horizon sarebbe una perfetta saga letteraria, ha il respiro epico e grandioso di quei romanzi fiume spessi come mattoni, eppure non ha la stessa pesantezza fisica di un blocco di cemento: tre ore sono passate come se fossero state una, e appena ho capito che la scena finale coincideva con l'inizio delle "anticipazioni della prossima puntata", ho bestemmiato ogni divinità conosciuta, per il dolore di dover abbandonare quei personaggi appena conosciuti e i cui destini mi avevano già irrimediabilmente coinvolta, senza sapere che ne sarebbe stato di loro e di Horizon, la città di frontiera del titolo. 


Horizon è il punto da cui si dipanano e verso cui convergono le esistenze dei protagonisti, nonché il simbolo di tutte le contraddizioni su cui è stato fondato il sogno americano. Territorio degli indiani Apache, vede scontrarsi due popoli ugualmente disperati, ognuno per motivi diversi. Gli indiani vorrebbero mantenere la propria libertà e la pace all'interno delle tribù, entrambe minacciate e minate irreparabilmente dall'espansionismo dei bianchi, che li costringono a lotte intestine per il cibo sempre più scarso; i coloni vedono territori immensi ed inesplorati, dove stanziarsi e prosperare, così da fuggire dalla povertà e far avverare tutte le promesse di una "gloriosa nazione" fondata sulla libertà del singolo e sull'autorealizzazione. C'è chi fugge da Horizon, segnato dalla tragedia, c'è chi si mette in cammino verso l'insediamento spinto dalla speranza, c'è chi è costretto a pensarlo come punto d'arrivo di una fuga precipitosa, c'è chi sparge sangue a causa di Horizon, c'è chi ci lucra senza farsi troppi problemi. Alla fine, neanche fosse Roma, tutte le strade portano a Horizon e Costner costruisce un affresco composto da tutte queste strade, concentrandosi sulle vicende individuali senza (per ora) perdere di vista la totalità dell'universo in cui sono ambientate. Ce n'è davvero per tutti i gusti, perché la sceneggiatura attinge ad archetipi immediatamente riconoscibili, e qualcuno potrebbe dire che le azioni e il carattere dei personaggi sono ampiamente prevedibili, ma non trovo nulla di male in questo, perché sembra di stare accanto al fuoco, ad ascoltare le storie che ci raccontavano i nonni, oppure in salotto davanti alla TV, a guardare film assieme a loro e ai nostri genitori.


Poi, per quanto me ne posso intendere io, ho trovato Horizon proprio bello da vedere. Costner indulge in gloriose panoramiche di paesaggi mozzafiato, accentuando la vastità delle pianure bruciate dal sole e anche la sensazione di sentirsi sperduti e vulnerabili in un luogo pieno di insidie, ma ha occhio anche per le foreste e l'inospitale freddo dei luoghi più a nord. Se, a tratti, la scelta di spezzettare la pellicola in tante microstorie, i cui fili si riallacciano in maniera non necessariamente consequenziale, può confondere e stordire lo spettatore (vittima di una miriade di nomi che sarà un casino ricordare da qui ad agosto), c'è comunque da dire che il montaggio è assai dinamico e le scene più concitate mettono un'ansia tremenda. Accompagnate da una colonna sonora che definirei epica, le tragedie e le stragi che passano su grande schermo stringono il cuore tanto quanto piccoli, inusuali gesti di umanità, e all'interno del nutrito cast c'è soltanto da scegliere il proprio preferito o quello che vorremmo vedere morto. Per quanto mi riguarda, non ho dubbi che la palma dell'abiezione vada a Jamie Campbell Bower e al suo "simpaticissimo" Caleb, campione indiscusso di una famiglia di facce di merda, mentre preferiti ne ho parecchi, anche se non saprei dire se il mio amore nasca dall'effettivo valore dei personaggi o dall'affetto che nutro per attori tirati fuori spesso dal genere che più mi si confà, l'horror. Senza dubbio, la versione "vecchietta" di Michael Rooker e quella saggia di Danny Huston mi hanno colpito più di altri, ma faccio davvero fatica a stilare una classifica, ora come ora (l'unica cosa che non perdono alla sceneggiatura, e che ha fatto ridere me e Mirco, è la quasi venerazione tributata a Frances e figlia, solo perché sono le uniche sopravvissute bionde all'interno di un insediamento fatto di poveracce dall'aspetto trasandato). Aspetterò dunque che le storie dei vari protagonisti si sviluppino ulteriormente, sperando che continuino in crescendo e che Kevin Costner non mi spezzi il cuore per la delusione, lasciandomi magari sospesa ad aspettare un terzo e un quarto film che non si faranno mai! 


Del regista e co-sceneggiatore Kevin Costner, che interpreta anche Hayes Ellison, ho già parlato QUI. Sienna Miller (Frances Kittredge), Sam Worthington (Trent Gephart), Jena Malone ('Ellen' Harvey), Giovanni Ribisi (Pickering), Danny Huston (Col. Albert Houghton), Abbey Lee (Marigold), Michael Rooker (Sergente maggiore Thomas Riordan), Will Patton (Owen Kittredge), Douglas Smith (Sig), Luke Wilson (Matthew Van Weyden), Isabelle Fuhrman (Diamond Kittredge), Dale Dickey (Mrs. Sykes), Jeff Fahey (Tracker) e Jamie Campbell Bower (Caleb Sykes) li trovate invece ai rispettivi link. 

Tom Payne interpreta Hugh Proctor. Inglese, lo ricordo come Jesus di The Walking Dead ma ha partecipato ad altre serie come Fear the Walking Dead e a film quali Imaginary. Anche produttore, ha 42 anni e due film in uscita, tra cui ovviamente Horizon: An American Saga - Capitolo 2.


Jon Beaver
s, che interpreta Junior Sykes, era il marito della pazza protagonista di Soft and Quiet mentre Ella Hunt, che interpreta Juliette Chesney, era la Anna di Anna and the Apocalypse. Hayes Costner, invece, è il figlio di Kevin ed ha esordito proprio qui col ruolo dello sfortunato Nathaniel Kittredge. Il film è stato pensato come il primo di quattro capitoli, ma chissà se gli ultimi due verranno mai alla luce... nel frattempo, ad agosto dovrebbe uscire Horizon: An American Saga - Capitolo 2 e io non vedo l'ora!

domenica 5 giugno 2016

High-Rise (2015)

In questi giorni mi è capitato di sentire parlare di High-Rise, diretto nel 2015 dal regista Ben Wheatley e tratto dal romanzo Il condominio di James G. Ballard, quindi ho deciso di recuperarlo.


Trama: nell'Inghilterra degli anni '70, il dottor Lain si trasferisce in un condominio di quaranta piani, fornito di ogni comfort, all'interno del quale esistono tuttavia delle discriminazioni sociali per cui gli abitanti dei piani più bassi godono di assai meno privilegi rispetto a quelli dei piani alti. Quando cominciano a mancare acqua ed elettricità, i precari equilibri tra inquilini iniziano a rompersi, generando un caos incontrollabile...


Al terzo film ho scoperto che io, Ben Whitley e sua moglie Amy Jump non andiamo molto d'accordo. O, meglio, che loro sono "troppo cerebrali per capire che si può star bene senza complicare il pane", come diceva Bersani (non lo smacchiaghepardi, l'altro). Intendiamoci, High-Rise non è un brutto film, assolutamente; è anzi molto stuzzicante e grottesco, intriso di nero umorismo e situazioni paradossali, oltre che di una buona dose di claustrofobico orrore, tuttavia ne ho patito la lunghezza eccessiva e il modo in cui viene sopravvalutato lo spettatore, al quale vengono gettate in pasto situazioni folli senza soluzione di continuità e senza motivazioni troppo chiare (contate che guardare un film simile alle 22 è un po' un autogol ma non ho altri momenti in cui farlo). Prendiamo per esempio il personaggio di Lain, il protagonista. High-Rise è ambientato in un condominio di quaranta piani, all'interno del quale c'è non solo ogni genere di servizio, dalla piscina, alla sauna al supermercato, ma soprattutto c'è parecchia maretta tra gli abitanti ricchi e snob dei piani alti e quelli più "proletari" dei piani inferiori; Lain va a collocarsi nel mezzo ma le sue mosse nei confronti degli altri inquilini non sono proprio chiarissime. C'è chi lo snobba, nonostante sia dottore, in quanto abitante intorno al ventesimo piano, chi lo tiene in altissima considerazione proprio per la sua professione, mentre lui, in generale, appare freddo e scostante con tutti, salvo quando cede ai piaceri della carne stuzzicato dall'affascinante Charlotte oppure quando cerca di ingraziarsi l'Architetto del luogo. Quando scatta il casino, ovvero quando l'edificio di quaranta piani comincia a soffrire interruzioni continue di acqua e corrente, le mosse di Lain diventano ancora più ambigue e la pellicola si trasforma in un delirio di visioni, incubi, paranoie e reale guerriglia "casalinga", all'interno della quale ognuno si abbandona ai desideri più turpi e alle bestialità più inenarrabili e, in generale, non c'è un solo personaggio (salvo forse il figlio di Charlotte e la gravida Helen), verso il quale si riesca ad empatizzare. Forse avrei dovuto leggere il libro di Ballard prima, eh? Ma no, perché? E' tanto bello vivere nell'ignoranza.


Digiuna della lettura pregressa del romanzo da cui High-Rise è tratto e nonostante l'amore per le situazioni complicate mostrato da Wheatley ho apprezzato moltissimo il già citato senso di claustrofobia che si respira per tutta la pellicola e la scelta di "umanizzare" il condominio al punto di renderlo un'entità malvagia capace di ottundere quasi del tutto la forza di volontà degli inquilini. La cosa che mi ha stupita guardando il film è che il Condominio è sicuramente isolato dalla città in cui i protagonisti vanno a lavorare e dove, ipoteticamente, dovrebbero avere dei legami, tuttavia non è chiuso ermeticamente; sono le persone che lo abitano a scegliere consapevolmente di rinchiudersi dentro fino a perdere il senso del tempo e della propria autoconsapevolezza, tanto che quando le comodità iniziano a venire meno anche loro si "rompono", convinti che non esista più nulla al di fuori delle quattro, altissime mura che le circondano e, soprattutto, dei "privilegi" acquisiti in anni di feste esclusive, favori sessuali alle persone giuste e quant'altro. L'idea di un disinteresse verso il prossimo che si espande come un virus è assolutamente intrigante, tanto quanto la scelta di ambientare High-Rise negli anni '70, aumentando così il senso di sfasamento provato dallo spettatore, che a tratti si convince di stare assistendo alle vicende di un luogo senza tempo, cristallizzato nelle idee decadenti di un Architetto vecchio e malato, incapace di governare al meglio la sua stessa creazione (o forse interamente disinteressato all'argomento. I dialoghi sono molto importanti ma seguirli tutti con attenzione è bello tosto, sappiatelo); a tal proposito, costumi e scenografie sono quasi più importanti del lavoro degli attori, comunque tutti bravissimi e completamente dedicati a ruoli difficili e poco simpatici, a cominciare da Tom Hiddleston per arrivare all'incredibile Luke Evans, forse il migliore del film (nonché, a detta dei personaggi, il più savio). Si ripropone dunque lo schema di Kill List: Wheatley e signora, vi capisco poco ma continuo a pensare ai vostri film anche a distanza di giorni, flagellandomi nell'ignoranza e cercando di capire. E anche questo è amore.

Momento fanservice per tutte le Hiddlestoners che passeranno di qui!
Del regista Ben Wheatley ho già parlato QUI. Tom Hiddleston (Lain), Sienna Miller (Charlotte) e Luke Evans (Wilder) li trovate invece ai rispettivi link.

Jeremy Irons interpreta Royal. Inglese, lo ricordo per film come Mission, Inseparabili, Il mistero Von Bulow (che gli è valso l'Oscar come miglior attore protagonista), La casa degli spiriti, Die Hard - Duri a morire, Io ballo da sola, Lolita, La maschera di ferro, La corrispondenza e Batman vs Superman: Dawn of Justice; inoltre, ha lavorato come doppiatore per film come Il re leone e serie come I Simpson. Anche regista e produttore, ha 68 anni e tre film in uscita, tra cui The Justice League Part One, in cui dovrebbe interpretare il maggiordomo Alfred.


Elisabeth Moss interpreta Helen. Americana, ha partecipato a film come Cose dell'altro mondo, Una cena quasi perfetta, Mumford e a serie come Grey's Anatomy, Medium, Ghost Whisperer; inoltre, ha lavorato come doppiatrice per serie quali Batman, Animaniacs, Freakazoid! e I Simpson. Anche produttrice, ha 34 anni e quattro film in uscita.


High-Rise era un sogno nel cassetto del produttore Jeremy Thomas da decenni ma il romanzo di Ballard era sempre stato ritenuto infilmabile e, prima che subentrasse Wheatley, tra i registi papabili c'era Vincenzo Natali. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Il demone sotto la pelle! ENJOY!

venerdì 23 gennaio 2015

American Sniper (2014)

Prosegue il recupero dei film candidati all'Oscar per qualsivoglia motivo e oggi tocca ad American Sniper, ancora nelle sale italiane, diretto nel 2014 da Clint Eastwood partendo dall'omonima autobiografia di Chris Kyle e candidato a sei premi Oscar: Miglior Film, Bradley Cooper miglior attore protagonista, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior montaggio, Miglior montaggio sonoro e Miglior sonoro.


Trama: Chris Kyle, nativo del Texas e abile col fucile, decide di arruolarsi nei Navy Seals per proteggere la patria. Mandato quattro volte in Iraq, ucciderà più di 160 persone e verrà riconosciuto come "La leggenda".


Quello che mi ha frenata a lungo dal vedere American Sniper è il mio fondamentale disinteresse per i film a sfondo militare, soprattutto se biografici, che, per quanto ben diretti e ben recitati, finiscono quasi sempre per diventare nel mio cervello un'accozzaglia di nomi e facce tutti uguali. Le uniche eccezioni finora sono state Full Metal Jacket e La sottile linea rossa ma qui si sta parlando di capolavori; American Sniper, visto dopo essermi lasciata convincere dalla bella (non) recensione di Lucia, film solidissimo, che tiene il ritmo per più di due ore senza mai annoiare lo spettatore, a tratti emozionante, non è un capolavoro ma è comunque abbastanza "universale" da farsi apprezzare anche da chi schifa il genere come la sottoscritta. E, cosa ancora più importante, non è l'apologia guerrafondaia che mi aspettavo, anzi. Il vecchio Clint colpisce allo stomaco e alle gonadi chiunque abbia una vaga velleità di partire verso luoghi lontani ed immolarsi per la patria, mostrando la guerra in tutta la sua orribile, sanguinaria e crudele inutilità con poche sequenze che mi hanno annientata e filtrandola attraverso lo sguardo di un uomo che a definirlo ottuso gli si farebbe un complimento. Chris Kyle è L'Eroe americano, l'incarnazione stessa della Mamma e della Torta di Mele, il Cane da Pastore che difende le povere pecorelle d'oltreoceano dai lupi selvaggi, va bene. Tutti lo venerano, tutti lo elevano ad esempio, in suo nome sono stati costruiti stadi e sventolate bandiere, va benissimo. Clint Eastwood e Bradley Cooper però preferiscono porre l'accento sul fatto che dietro l'Eroe c'è in realtà un cowboy ignorantissimo cresciuto a rodei, birra e luoghi comuni, dalle ristrettissime vedute, un uomo incapace di vivere una vita normale (nonostante voglia la moglie fedele, in perenne attesa del suo ritorno, da ingravidare ad ogni ritorno in patria per poi mollarla assieme ai pargoli con la scusa "combatto per difenderti") che si sente vivo e utile solo in mezzo a conflitti armati lontani e mostra un briciolo di umanità solamente in presenza dei suoi "simili", disadattati e condizionati quanto lui.


Il punto di vista di Eastwood è quello di Taya, che cerca per tutto il film di far capire a Chris che oltre alla guerra "universale" c'è anche una realtà più "personale" da proteggere, è quello del fratello di Chris che dice "si fotta questo posto", intendendo l'Iraq e più in generale ogni luogo del pianeta dove infuriano guerre assurde mentre ci sarebbe modo di rendersi utili anche a casa. Non è un punto di vista che manca di rispetto a chi combatte e muore in battaglia, intendiamoci, ma è sicuramente un punto di vista che condanna chi, all'urlo di "boia chi molla", non riesce a guardare oltre la guerra, che la usa come scusa per non vivere e che non è più in grado di scindere i bisogni personali dal servizio alla Nazione, diventando così un povero alienato non tanto diverso dai "selvaggi" che è andato a combattere. Bradley Cooper in questo caso è perfetto nel dipingere un uomo saldo nei suoi principi ma vuoto, privo di emozioni che non siano la paura e la rabbia, che perde un pezzo della sua umanità ad ogni viaggio in Iraq; la sequenza in cui viene ringraziato da un soldato davanti al figlio è da antologia in questo senso, perché Cooper non spiccica altro che un paio di versi inarticolati e carichi di tensione nervosa, concretizzata in un tiratissimo sorriso verso il bambino mentre gli occhi evitano di guardare direttamente l'interlocutore, ma questo è solo uno dei tanti momenti in cui l'attore diventa tutt'uno con un personaggio per certi versi scomodo. Quanto a Clint, beh, Clint è un signore. L'unico vero scivolone è riscontrabile nello scontro tra cecchini, simile ad un videogioco, per il resto il vecchio Eastwood confeziona un film che non concede nulla alle mode attuali, lento nell'esecuzione ma serrato nel ritmo, con immagini nitide anche nelle scene d'azione, tocchi di leggerezza che lasciano il posto a sequenze difficili da sopportare, una fotografia che rimane splendida in ogni condizione, persino al buio o durante una tempesta di sabbia. E chissenefrega se le immagini di repertorio finali mi hanno strappato un incredulo sbuffo; superato l'inevitabile rigetto anche la conclusione di American Sniper diventa un altro tassello di una pellicola apparentemente ambigua ma, a mio avviso, fin troppo chiara in quelle che sono le sue intenzioni. Basta solo guardare il film con occhi scevri da pregiudizi e, magicamente, i pensieri di un Clint Eastwood in formissima diventeranno lapalissiani, quindi... non perdetevelo!


Del regista Clint Eastwood (che si può vedere brevemente nella scena iniziale in cui un giovanissimo Chris ruba la Bibbia in chiesa) ho già parlato QUI, Bradley Cooper (Chris Kyle) lo trovate invece QUA.

Sienna Miller (vero nome Sienna Rose Miller) interpreta Taya. Americana, ha partecipato a film come Casanova, Stardust e Foxcatcher. Ha 33 anni e sette film in uscita.


Bradley Cooper inizialmente intendeva solo produrre il film e lasciare a Chris Pratt il ruolo di Chris Kyle, poi ha cambiato idea; per quel che riguarda i registi, gli interessati a dirigere il progetto erano David O. Russel e Steven Spielberg, che hanno poi deciso di dedicarsi ad altro, mentre per la parte di Taya erano in lizza Jaimie Alexander, Kate Mara (che ha deciso di partecipare alla nuova versione de I fantastici quattro) ed Evangeline Lilly, che invece ha optato per Ant-Man. Detto questo, se American Sniper vi fosse piaciuto recuperate Zero Dark Thirty o Full Metal Jacket. ENJOY!

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...